Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
Roma- La via Appia antica vista da due illustri viaggiatori del 1700.
Montesquieu:“ Avvicinandoci a Roma s’incontrano tratti della Via Appia, ancora integri. Si vede un bordo o margo che resiste ancora, e credo che abbia più di tutto contribuito a conservare questa strada per duemila anni: ha sostenuto le lastre dai due lati ed ha impedito che cedessero lì, come fanno le nostre lastre in Francia, che non hanno alcun sostegno ai bordi. Si aggiunga che queste lastre sono grandissime, molto lunghe, molto larghe, e molto bene incastrate le une nelle altre; inoltre questo lastricato, poggia su un altro lastricato, che serve da base. Le strade dell’imperatore sono fatte di ghiaia messa su una base lastricata, ben stretta e compressa. Dopo, vi hanno messo un piede o due di ghiaia. Questo renderà la strada eterna. C’è da stupirsi che in Francia non si sia pensato a costruire strade più resistenti? Gli imprenditori sono felici di avere un affare del genere ogni cinque anni”.
Montesquieu, Viaggio in Italia, 1728-1729.
Charles de Brosses:“E’ questo, o mai più, il momento di parlarvi della Via Appia, cioè il più grande,il più bello e il più degno monumento che ci resti dell’antichità; poiché, oltre alla stupefacente grandezza dell’opera, essa non aveva altro scopo che la pubblica utilità, credo che non si debba esitare a collocarla al di sopra di tutto quanto hanno mai fatto i Romani o altre nazioni antiche, fatta eccezione per alcune opere intraprese in Egitto, in Caldea e soprattutto in Cina per la sistemazione delle acque. La strada, che comincia a Porta Capena, prosegue trecentocinquanta miglia da Roma a Capua e a Brindisi, ed era questa la strada principale per andare in Grecia e in Oriente. Per costruirla hanno scavato un fossato largo quando la strada fino a trovare uno strato solido di terra……Codesto fossato o fondamento è stato riempito da una massicciata di pietrame e di calce viva, che costituisce la base della strada, la quale è stata poi ricoperta interamente di pietre da taglio che hanno una rotaia. E tanto ben connesse che, nei posti dove non hanno ancora incominciato a romperle dai bordi, sarebbe molto difficile sradicare una pietra al centro della strada con strumenti di ferro. Da ambedue i lati correva un marciapiede di pietra. Sono ben quindici o sedici secoli che non soltanto non riparano questa strada, ma anzi la distruggono quanto possono. I miserabili contadini dei villaggi circostanti l’hanno squamata come una carpa, e ne hanno strappato in moltissimi luoghi le grandi pietre di taglio, tanto dei marciapiedi che del selciato. E’ questa la ragione degli amari lamenti che fanno sempre i viaggiatori contro la durezza della povera Via Appia , che non ne ha nessuna colpa; infatti, nei posti che non sono stati sbrecciati, la via è liscia, piana come un tavolato, e persino sdrucciolevole per i cavalli i quali, a forza di battere quelle larghe pietre, le hanno quasi levigate ma senza bucarle. E’ vero che, nei luoghi dove manca il selciato, è assolutamente impossibile che le chiappe possano guadagnarsi il paradiso, a tal punto vanno in collera per essere costrette a sobbalzare sulla massicciata di pietre porose e collocate di taglio, e in tutti i sensi nel modo ineguale. Tuttavia, nonostante vi si passi sopra da tanto tempo, senza riparare né aggiustare nulla, la massicciata non ha smentito le sue origini. Non ha che poche o punte rotaie ma solo, di tanto in tanto, buche piuttosto brutte”.
Rosalia Gambatesa –Ormai è sicuro, il mondo non esiste
La poesia di Patrizia Cavalli. 1974-1992-Editore Progedit Bari
In questa prima monografia dedicata a Patrizia Cavalli, Rosalia Gambatesa esplora con appassionata sapienza filologica due opere cruciali dell’unica poeta ad aver ricevuto il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei e tra le più importanti viventi. Il suo intenso corpo a corpo con la lingua oscura e lucente di Poesie (1974-1992) e di Tre risvegli, libretto d’opera di vent’anni successivo, si misura col teatrino ciclico di un soggetto sospeso “a metà strada tra grazia e disgrazia”. Sotto la lente della studiosa appare lo stralunato andirivieni tra casa e città di un io proteiforme, mosso meccanicamente, di scena in scena, dai soprassalti dei cicli naturali. Il rigore del lavoro critico non scalfisce la meraviglia di uno spazio linguistico che espone il mistero dell’esistenza della poesia e introduce il lettore nell’enigma del farsi e del disfarsi del pensiero, espressione di una modernissima forma di resistenza al moderno.
Insieme alla cantautrice Diana Tejera realizzò nel 2012 il libro/disco Al cuore fa bene far le scale edito da Voland/Bideri. Con Tejera e Chiara Civello scrisse il brano E se (Premio Betocchi – Città di Firenze 2017).
Morì nel giugno del 2022 a Roma, all’età di 75 anni, dopo una lunga malattia.[9]
Stile letterario
La poesia di Patrizia Cavalli è caratterizzata da una complessa tecnica poetica. Le misure metriche che utilizza sono classiche, ma il lessico e la sintassi sono quelli della lingua contemporanea; sono assenti poeticismi e manierismi e il linguaggio è quello quotidiano e familiare, senza perdere profondità di analisi e con una grande sensibilità per i dolori e le gioie della vita. Intervistata dichiarò la propria omosessualità e sottolineò il ruolo di forti sensazioni emotive e somatiche (‘qualche forma estatica di adorazione, o disdegno, o odio; qualche cosa di corporale che prende possesso di me – il desiderio o un mal di testa’) quale principale spinta alla radice della sua poesia.[10]
Opere
Poesia
Le mie poesie non cambieranno il mondo, Einaudi, Torino, 1974.
Il cielo, Einaudi, Torino, 1981.
L’io singolare proprio mio, Einaudi, Torino, 1992.
Poesie (1974-1992), Einaudi, Torino, 1992 (raccolta che assomma le tre precedenti).
Sempre aperto teatro, Einaudi, Torino, 1999.
La guardiana, nottetempo, Roma, 2005.
Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, Torino, 2006 (contiene La guardiana).
La patria, nottetempo, Roma, 2011.
Al cuore fa bene far le scale (con Diana Tejera), Voland, Roma, 2012.
Datura, Einaudi, Torino, 2013 (contiene La patria).
Flighty matters, Quodlibet, Macerata, 2017.
Vita meravigliosa, Einaudi, Torino, 2020.
Breve biografia di Rosalia Gambatesa
Rosalia Gambatesa, dottore di ricerca in Langues, Littératures et Civilisation, ha insegnato dal 1987 al ginnasio e dal 2020 è lettrice d’italiano all’Università di Teheran. Ha pubblicato, tra l’altro, I tempi di Annina con Rossana Ingellis (Bari 2015), percorso formativo sui Versi livornesi di Caproni, e Drames des sentiments et drames des molécules dans «Tre risvegli» de Patrizia Cavalli-
La prima monografia dedicata a Patrizia Cavalli.-
Editore Progedit Bari
Introduzione di Laura Toppan
Prefazione di: Elsa Chaarani Lesourd
Collana: Incroci e percorsi di lingue e letterature
Albert Camus-(1913-1960) nacque in Algeria, dove studiò e cominciò a lavorare come attore e giornalista. Affermatosi nel 1942 con il romanzo Lo straniero e con il saggio Il mito di Sisifo, raggiunse un vasto riconoscimento di pubblico con La peste (1947). Nel 1957 ricevette il premio Nobel per la letteratura per aver saputo esprimere come scrittore “i problemi che oggi si impongono alla coscienza umana”. Di questo autore, oltre ai titoli già citati, Bompiani ha pubblicato L’uomo in rivolta, L’esilio e il regno, La caduta, Il diritto e il rovescio, Taccuini 1935-1959, Caligola, Tutto il teatro, Il primo uomo, L’estate e altri saggi solari, Riflessioni sulla pena di morte, I demoni, Questa lotta vi riguarda. Corrispondenze per Combat 1944-1947, Conferenze e discorsi (1937-1958), Saremo leggeri. Corrispondenza (1944-1959). Nei Classici Bompiani è disponibile il volume Opere. Romanzi, racconti, saggi.
Quelli che si amano,
gli amici, gli amanti,
sanno che l’amore
non è solo una folgorazione
ma anche una lunga e dolorosa
lotta nelle tenebre
per la riconoscenza
e la riconciliazione definitiva.
Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’ invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro.
“La Solitudine nell’Anima: Profondità e Riflessioni di Albert Camus”. Recensione a cura di Alessandria today
Il titolo stesso, semplice e diretto, introduce il tema centrale del testo, la solitudine, ma subito si pone in discussione. L’autore sostiene che non siamo mai davvero soli, portando con noi il peso del passato e del futuro, un carico composto dalle persone che abbiamo amato e da quelle che abbiamo ferito.
Camus dipinge un ritratto vivido della solitudine come un peso costante, una presenza inquietante di fantasmi e rimpianti che ci tormentano incessantemente. L’autore espone un contrasto significativo tra la solitudine desiderata, caratterizzata da un silenzio sereno e la solitudine reale, abitata dai fantasmi del passato.
La poesia è intrisa di emozioni forti e contrastanti: il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, il tutto racchiuso in una solitudine inquieta e affollata da fantasmi. L’immagine della solitudine desiderata, fatta di silenzio e tremori d’alberi, rappresenta un desiderio di pace interiore, una sorta di ricerca di comprensione e tranquillità nel cuore dell’essere.
L’uso delle immagini e delle metafore, come il chiasso, i lamenti perduti e il flusso del cuore, contribuisce a creare un’atmosfera di malinconia e riflessione profonda. La poesia invita il lettore a contemplare la complessità dell’anima umana, affrontando le contraddizioni e i tormenti della solitudine.
In conclusione, “La solitudine” di Albert Camus è una poesia che offre un’immersione profonda nell’animo umano, attraverso un’esplorazione intensa e ricca di emozioni contrastanti. Camus offre uno sguardo penetrante sulla solitudine, dipingendola come un carico emotivo costante, una presenza travolgente e inquietante che pervade l’essenza umana.
La solitudine – Albert Camus
La solitudine?
Quale solitudine?
Ma lo sai che non si è mai soli?
E che comunque ci portiamo addosso il peso del nostro passato
anche quello del nostro futuro.
Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi.
E fossero solo loro, poco male.
Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato e che ci hanno amato.
Il rimpianto, il desiderio
il disincanto e la dolcezza
le donne di strada, la banda degli dei.
La solitudine risuona di denti che stridono,
chiasso, lamenti perduti.
Se soltanto potessi godere la vera solitudine
non questa mia infestata di fantasmi
ma quella vera
fatta di silenzio e tremori d’alberi:
sentire tutta l’ebbrezza del flusso del mio cuore.
In cima al colle Gianicolo (praticamente sotto la statua di Garibaldi) è posto dal 24 gennaio 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto. Lo sparo, nei rari giorni in cui la città è meno rumorosa (particolarmente la domenica, o d’agosto), si può sentire fino all’Esquilino.
La cannonata a salve di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma, in modo che non suonassero ognuna il mezzogiorno del proprio sagrestano. Il cannone era allora in Castel Sant’Angelo, da dove venne spostato nel 1903 a Monte Mario, per qualche mese, per essere poi posizionato al Gianicolo nella sua collocazione attuale.
L’uso non fu interrotto dall’Unità d’Italia, ma dalla guerra sì. Fu ripristinato il 21 aprile 1959, in occasione del 2712º anniversario della fondazione di Roma.
Attualmente il cannone è un obice 105/22 Mod. 14/61, servito da personale dell’Esercito Italiano.
Nota copiata da Internet. Le foto sono del febbraio 2017-
l Gianicolo è un colle romano, prospiciente la riva destra del Tevere e la cui altezza è 82 metri. Non fa parte del novero dei sette colli tradizionali. La pendice orientale degrada verso il fiume e alla base si trova il rione storico di Trastevere, mentre quella occidentale, meno ripida, costituisce la parte più vecchia del moderno quartiere di Monteverde.
Secondo una delle più antiche leggende della mitologia romana, il colle del Gianicolo avrebbe ospitato la città fondata dal dio Giano, da cui il suo nome. Giano ebbe diversi figli, da uno dei quali, Tiberino, deriverebbe il nome del Tevere (Tiber in latino).Alla estremità del belvedere sono posizionate due grandi riproduzioni di piante di Roma vista dal Gianicolo: quella di Antonio Tempesta e quella di Giuseppe Vasi.
Proseguendo la passeggiata panoraminca lungo via Garibaldi, nello slargo all’altezza della Fontana dell’Acqua Paola, chiamata tradizionalmente “Fontanone”, eretta da Giovanni Fontana e Carlo Maderno per Papa Paolo V (1608 – 1612), si delinea sullo sfondo, nella cornice di Villa Borghese, Villa Medici. Si prosegue verso piazza G. Garibaldi, da cui si gode uno dei più superbi panorami della città: all’orizzonte i colli, sullo sfondo dei quali risaltano le cupole e i campanili delle chiese e le maestose rovine imperiali.
In primo piano si erge il Campidoglio; in fondo, a destra, s’innalzano, bianche come apparizioni, le gigantesche statue della facciata di San Giovanni in Laterano. Tra le architetture dei palazzi si vede scorrere il Tevere.
Proseguendo la nostra passeggiata, nello scendere verso Sant’Onofrio, incrociamo la splendida Villa Lante, dell’architetto Giulio Romano (1518-27), la cui loggia-belvedere si apre verso la città; infine, arrivati nello slargo del Faro di Manfredo Manfredi (1911), è possibile gustare quella che viene ritenuta la più completa visione panoramica di Roma.
Per tutti gli inguaribili romantici che non riescono ad accontentarsi del panorama romano ammirabile dal Pincio o dal Gianicolo, l’alternativa, più intima e raccolta, è quella di accaparrarsi una terrazza affacciata sul centro storico della città eterna. L’impresa non è facile, a meno che non abbiate amici o conoscenti disposti ad ospitarvi per un giro lungo i piani alti del loro palazzo, o vogliate “corrompere” qualche portiere. Per concedersi qualche istante di fronte alle bellezze romane che si perdono all’orizzonte, ogni momento è quello giusto: quindi non preoccupatevi, perché dal tramonto all’alba Roma non perde fascino e rimane lì ad aspettarvi.
Arsenij Tarkovskij-Poeta russo (Elizavetgrad 1907 – Mosca 1989). Nelle sue liriche (Pered snegom “Dinanzi alla neve”, 1962; Vestnik “Il messaggero”, 1969; Stichotvorenija “Versi”, 1974; Volšebnye gory “Montagne magiche”, 1978; Zimnij den´ “Un giorno d’inverno”, 1980) unì nobiltà e modernità di ispirazione a classicità di forme. Fu anche apprezzato traduttore da varie letterature orientali.
Tre poesie di Arsenij TARKOVSKIJ, Poeta russo.
Le poesie di Arsenij TARKOVSKIJ sono un dono inaspettato e prezioso al lettore contemporaneo. Questi versi, che hanno atteso a lungo per venire alla luce , colpiscono per rare qualità, la più sorprendente delle quali è che da noi quotidianamente pronunciate si rivestono chissà come di un mistero e suscitano echi inaspettati nel cuore .
Anna Achmatova , dalla recensione a “Prima della neve” 1962- La prima edizione italiana fu del 1992 con la traduzione di Paola Pedicone- EdizioniTracce di Pescara- Testo cirillico digitato da Novojilov Dmitrij- pubblicazione con il contributo del Ministero Università e Ricerca Scientifica e Tecnologica-Università G.D’Annunzio-Chieti-Edizione curata da Tatjana Tarkovskaja-
Arsenij Tarkovskij-Poeta russo (Elizavetgrad 1907 – Mosca 1989). Nelle sue liriche (Pered snegom “Dinanzi alla neve”, 1962; Vestnik “Il messaggero”, 1969; Stichotvorenija “Versi”, 1974; Volšebnye gory “Montagne magiche”, 1978; Zimnij den´ “Un giorno d’inverno”, 1980) unì nobiltà e modernità di ispirazione a classicità di forme. Fu anche apprezzato traduttore da varie letterature orientali.
Primi Incontri
Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e ” Dio mio! ” tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo”
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.
(Pervye svidanija, in A. A. Tarkovskij, Poesie scelte , Milano 1989)
First meetings
We celebrated every moment
Of our meetings as epiphanies,
Just we two in all the world.
Bolder, lighter than a bird’s wing,
You hurtled like vertigo
Down the stairs, leading
Through moist lilac to your realm
Beyond the mirror.
When night fell, grace was given me,
The sanctuary gates were opened,
Shining in the darkness
Nakedness bowed slowly;
Waking up, I said:
‘God bless you!’, knowing it
To be daring: you slept,
The lilac leaned towards you from the table
To touch your eyelids with its universal blue,
Those eyelids brushed with blue
Were peaceful, and your hand was warm.
And in the crystal I saw pulsing rivers,
Smoke-wreathed hills, and glimmering seas;
Holding in your palm that crystal sphere,
You slumbered on the throne,
And – God be praised! – you belonged to me.
Awaking, you transformed
The humdrum dictionary of humans
Till speech was full and running over
With resounding strength, and the word you
Revealed its new meaning: it meant king.
Everything in the world was different,
Even the simplest things – the jug, the basin –
When stratified and solid water
Stood between us, like a guard.
We were led to who knows where.
Before us opened up, in mirage,
Towns constructed out of wonder,
Mint leaves spread themselves beneath our feet,
Birds came on the journey with us,
Fish leapt in greeting from the river,
And the sky unfurled above…
While behind us all the time went fate,
A madman brandishing a razor.
E’ fuggita l’estate…
E’ fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.
Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.
Nè il bene nè il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.
La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.
Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.
Now summer has passed
Now summer has passed,
As if it had never been.
It is warm in the sun.
But this isn’t enough.
All that might have been,
Like a five-cornered leaf
Fell right into my hands,
But this isn’t enough.
Neither evil nor good
Had vanished in vain,
It all burnt with white light,
But this isn’t enough.
Life took me under its wing,
Preserved and protected,
Indeed I have been lucky.
But this isn’t enough.
Not a leaf had been scorched,
Not a branch broken off…
The day wiped clean as clear glass,
But this isn’t enough.
E lo sognavo, e lo sogno
E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.
Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.
Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie,
e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso
solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia
I dreamed this dream and I still dream of it
I dreamed this dream and I still dream of it
and I will dream of it sometime again.
Everything repeats itself and everything will be reincarnated,
and my dreams will be your dreams.
There, to one side of us, to one side of the world
wave after wave breaks on the shore:
there’s a star on the wave, and a man, and a bird,
reality and dreams and death – wave after wave.
Dates are irrelevant. I was, I am, I will be.
Life is a miracle of miracles, and I kneel
before the miracle alone like an orphan,
alone in the mirrors, enclosed in reflections,
seas and towns, shining brightly through the smoke.
A mother cries and takes her baby on her knee.
Arsenij Tarkovskij nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve l’amore per la letteratura e le lingue – il padre è poliglotta e autore di racconti e saggi – come anche la conoscenza del pensiero di Grigorij Skovoroda. Nella seconda metà degli anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e scrive corsivi su «Il fischio», rivista dei ferrovieri, a cui collaborano anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Nello stesso anno nasce il figlio Andrej. Inizia a tradurre poesie dal turkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Nel dicembre ’43, dopo essere stato insignito dell’Ordine della Stella Rossa per il suo eroismo in guerra, è ferito gravemente e gli viene amputata una gamba. Nel ’46 viene rifiutata l’edizione del suo primo libro in quanto i suoi versi vengono ritenuti ‘nocivi e pericolosi’. Solo nel ’62 esce il primo volume di poesie:Neve imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78Le montagne incantate, nel 1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte. Poesie. Poemi. Traduzioni. (1929-1979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1986 muore in Francia il figlio Andrej. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia, titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso. Muore a Mosca il 27 maggio ’89.
Le sue opere pubblicate finora in Italia in volume sono: Poesie scelte, Milano, Scheiwiller, ’89. Poesie e racconti, Pescara, Edizioni Tracce, ’91. Poesie scelte, Roma, Edizioni Scettro del Re, ’92. Costantinopoli. Prose varie. Lettere, Milano, Scheiwiller, ’93.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
di 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 – Regia 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 e 𝗣𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗠𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶 – Con 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗮 𝗗𝗲 𝗣𝗮𝘀𝗰𝗮𝗹𝗶𝘀 e con Francesco 𝗟𝗮𝗽𝗽𝗮𝗻𝗼, Elisa 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗵𝗶, Nicole 𝗠𝗮𝘀𝘁𝗿𝗼𝗶𝗮𝗻𝗻𝗶, Federico 𝗣𝗮𝗽𝗽𝗮𝗹𝗮𝗿𝗱𝗼, Giulia 𝗧𝗮𝗺𝗯𝘂𝗿𝗿𝗶𝗻𝗶, Elena 𝗕𝗮𝗿𝗯𝗮𝘁𝗶, Andrea 𝗟𝗮𝗺𝗶, Greta 𝗣𝗼𝗹𝗶𝗻𝗼𝗿𝗶, Dannis 𝗖𝗮𝗿𝗹𝗲𝘁𝘁𝗮, Jacopo 𝗕𝗮𝗿𝗴𝗻𝗲𝘀𝗶 𝗛𝗮𝘀𝘀𝗮𝗻. Musiche a cura di 𝐅𝐞𝐝𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐏𝐚𝐩𝐩𝐚𝐥𝐚𝐫𝐝𝐨 – Coreografie 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐋𝐚𝐩𝐩𝐚𝐧𝐨
Produzione: CTM CENTRO TEATRALE MERIDIONALE
Dopo il grande successo della precedente edizione, torna a grande richiesta 𝐂𝐈𝐍𝐃𝐄𝐑𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐖𝐈𝐍𝐆, la 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲 ampliata e arricchita di nuovi elementi. La favola di 𝐂𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐨𝐥𝐚 chi non la conosce? Cosa sarebbe successo se fosse nata nei primi anni del 𝟏𝟗𝟎𝟎? Quale principe avrebbe trovato? Come sarebbe stata la Fata madrina? Narrata in centinaia di versioni in gran parte del mondo, in questa pièce, la celebre favola è ambientata negli anni ‘𝟐𝟎 ’𝟑𝟎 del ‘𝟵𝟬𝟬, in uno 𝐬𝐰𝐢𝐧𝐠 𝐜𝐥𝐮𝐛, dove si cimenterà nel ballo e nel canto una 𝗖𝗲𝗻𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗼𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗮𝗿𝗹𝗲𝘀𝘁𝗼𝗻, simpatica e intraprendente, che enfatizza il riscatto femminile di una donna che non cede al conformismo e realizza il suo sogno. Le musiche, cantate e suonate dal vivo, animano travolgenti coreografie, che ci riportano nell’epoca d’oro in cui lo 𝘀𝘄𝗶𝗻𝗴 era la colonna sonora. Un’emozionante rivisitazione della favola originale in 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲, dove coreografie, canzoni dal vivo e personaggi esilaranti daranno vita ad uno spettacolo appassionante, pieno di risate, romanticismo e magia!
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina-
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina | 31 dicembre 2024 – 1 gennaio 2025
Reduce dal successo de “I 7 re di Roma”, in scena al Teatro Sistina di Roma (dove vi resterà fino a domenica 1 dicembre) Enrico Brignano festeggia con il suo pubblico anche la fine dell’anno e l’inizio del 2025 con “Speciale Capodanno”
Un doppio e unico appuntamento, che andrà in scena il 31 dicembre dalle ore 21.30 (con il brindisi di Mezzanotte) e il 1 gennaio dalle ore 18.
Enrico Brignano torna sé stesso e riveste i panni dello showman a tutto tondo per un Capodanno tra divertimento e spensieratezza. Come ama dire sempre, leggerezza non è superficialità, ma solo un modo per ridere di noi stessi e del nostro modo di essere, non senza qualche spunto di riflessione tra una risata e l’altra. Con la sua band di fiducia, capitanata dall’inseparabile maestro Andrea Perrozzi, Brignano traghetterà il pubblico verso il 202. Non mancheranno i lustrini, non mancherà il buonumore, non mancherà il brindisi di mezzanotte
‘Speciale Capodanno’ è scritto dallo stesso Brignano con Manuela D’Angelo. In scena anche Pasquale Bertucci e Michele Marra. Scene di Marco Calzavara, disegno luci di Marco Lucarelli.
QuandoDal 31/12/2024 al 01/01/2025 31 dicembre ore 21,30 – 1 gennaio ore 18
MILANO (ITALPRESS) – Descrizione del libro di Roberto Fiorentini –“I dimenticati”- Nel Maggio 1940. Ai circa 25 mila italiani residenti in Libia, tra Tripoli, Bengasi e la Cirenaica, è notificata una circolare delle autorità locali. Invita le famiglie, con figli dai 5 ai 10 anni, a inviarli in Italia dove sarebbero stati accolti, per tutto il periodo estivo, nelle colonie marine costruite del Regime Fascista. Il 3 giugno 3000 bambini, partono così dal porto di Tripoli, a bordo della nave ‘Augustus’ Il giorno successivo per il porto di Napoli. Trasferiti nelle colonie del regime chi sul mar Adriatico, chi sulla riviera ligure di Ponente, chi in zone montane. Non torneranno mai più nelle loro famiglie.
Racconta tutta questa incredibile odissea il nuovo libro del giornalista Roberto Fiorentini dal titolo ‘I dimenticatì (Ronca Editore). Lo fa con la voce di una delle sopravvissute: Silvia Napoletano, ora 92enne e che vive nel piacentino. Una storia oscura e drammatica del regime fascista quasi mai raccontata e rimasta solo nella memoria personale dei pochi sopravvissuti.
La narrazione parte proprio dalle terre libiche e da quel terribile viaggio in nave dove 3000 bambini erano stati ammassati ‘come pecorè (così racconta Silvia) per raggiungere il porto di Napoli, sempre controllati dalle ‘educatricì e dalle ‘camice nerè. La voce della protagonista narra la sua odissea. Prima nelle colonie estive della Romagna; poi in quelle in collina sull’appennino tosco romagnolo. Vita da caserma per quei bimbi e quelle bimbe.
“Alla caduta del regime la vita diventa un vero inferno”, racconta Silvia. Cibo finito. Vestiti spariti. Scarpe inesistenti. Notti da brividi e da paura in mezzo alle sparatorie tra i partigiani, uomini allo sbando del fascismo e truppe tedesche in ritirata. A pranzo e a cena solo l’erba che, di giorno, quelle bambine raccoglievano nei campi a combattimenti sospesi.
Fiorentini traccia anche una vera mappa di questi luoghi soprattutto nell’Italia del Nord che dovevano essere di villeggiatura ma che, con il passare del tempo, si sono trasformati in grandi carceri da cui non potere più uscire. Ricostruisce l’indottrinamento a cui erano sottoposti. Lettere, canzoni, disegni : tutto era utile per far celebrare ai bimbi le ‘progressive sortì del regime.
Un viaggio nell’orrore troppo velocemente dimenticato dalla memoria collettiva del Paese. “Ho voluto dar voce a questi bambini – dice Fiorentini – perchè i bimbi, ieri come oggi, sono le principali vittime di ogni conflitto bellico. I più indifesi. I più deboli. E per questo i più ‘Dimenticatì”.
– Foto: Fiorentini –
(ITALPRESS).
Breve biografia di Roberto Juarroz nasce nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’ Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosa università ottenne successivamente l’incarico di professore titolare. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía;. Fu critico del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), critico cinematografico della rivista Esto e traduttore di vari libri. Ricevette, tra tante distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría.
Poesia Verticale
Un giorno troverò una parola
che penetri il tuo corpo e ti fecondi,
che si posi sul tuo seno
come una mano aperta e chiusa al tempo stesso.
Penso che in questo momento
Penso che in questo momento
forse nessuno pensa a me nell’universo,
che solo io mi penso,
e se morissi ora,
nessuno, neppure io, mi penserebbe.
E qui inizia l’abisso,
come quando mi addormento.
Sono il mio sostegno e me lo tolgo.
Contribuisco a rivestire tutto di assenza.
Sarà per questo
che pensare ad un uomo
assomiglia a salvarlo.
L’estremo di un segno
Si deve cadere e non si può scegliere dove
Ma c’è una forma del vento nei capelli,
una pausa del colpo,
un certo angolo del braccio
che possiamo piegare mentre cadiamo
È soltanto l’estremo di un segno,
la punta impreveduta di un pensiero
Ma basta ad evitare il fondo avaro di alcune mani
e la miseria azzurra di un Dio deserto
Si tratta di piegare un po’ di più una virgola
in un testo che non possiamo correggere.
Dimenticare
Talvolta dimentico l’amore,
come dimentico la mia mano
Solo loro possono prendere il mondo
e mettermelo davanti
perché possa toccarlo,
ma non mi ricordano il suo compito.
Cercare una cosa
Cercare una cosa
è sempre incontrarne un’altra.
Così, per trovare qualcosa,
bisogna cercare quello che non è.
Cercare l’uccello per incontrare la rosa,
cercare l’amore per trovare l’esilio,
cercare il nulla per scoprire un uomo,
tornare indietro per andare avanti.
La chiave del cammino,
più che nelle sue biforcazioni,
il suo incerto inizio
o il suo dubbio finale,
è nel caustico umore
del suo doppio senso.
Si arriva sempre,
ma da un’altra parte.
Tutto passa.
Però al contrario.
Breve biografia di Roberto Juarroz nasce nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’ Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosa università ottenne successivamente l’incarico di professore titolare. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía;. Fu critico del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), critico cinematografico della rivista Esto e traduttore di vari libri. Ricevette, tra tante distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría.
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