Roma-al Teatro Belli con Expo – Teatro Italiano Contemporaneo-
Roma -Una nuova settimana al Teatro Belli con Expo – Teatro Italiano Contemporaneo, Rassegna diffusa di drammaturgia italiana contemporanea, ideata da Società Per Attori, da Franco Clavari e Andrea Paolotti.
Roma Teatro Belli-Contagio con Luca Vergoni, Francesca Blasutig, Andrea Barbati, Pietro Bovi
Andrea Barbati dirige Contagiodal 4 al 6 marzo. In scena Luca Vergoni, Francesca Blasutig, Andrea Barbati, Pietro Bovi intrepretano il testo di Enzo Ferraro Una grave epidemia si sta diffondendo. Un virus che permette di trasmettere convinzioni politiche, religiose o altri ideali da una persona all’altra semplicemente parlandone, sta creando panico e caos. Tre persone di tre diverse idee politiche vengono rinchiuse, come pazienti (o forse cavie), in un ambulatorio, sotto il controllo di un infermiere incaricato di tenerli sotto osservazione. Costretti ad una convivenza forzata, i tre si troveranno a dover affrontare le loro diversità ideologiche ma anche a collaborare, rivelando così l’ostacolo di qualsiasi ideologia: i sentimenti umani. Ciò che porterà i tre a contagiarsi l’un l’altro, sarà stato veramente il virus?
Roma Teatro Belli- PICCOLE DONNE NON DEVONO MORIRE scritto e diretto da Francesca Pica e Maria Scorza
Piccole donne non devono morire scritto e diretto da Francesca Pica e Maria Scorza, dal 7 al 9 marzo. Sud Italia, una piccola cittadina di provincia, oggi. Due sorelle, Margherita e Pina, si incontrano in un cimitero per un triste evento: la riesumazione della sorella Bettina, morta prematuramente vent’anni prima. Margherita è la maggiore, completamente assorbita dalla vita familiare, dal suo ruolo di madre di due gemelli adolescenti. Pina è la secondogenita, la più estroversa e brillante, spinta da tutta la famiglia a coltivare il suo talento di scrittrice. È riuscita a pubblicare un romanzo che le ha dato fama, ma le opere successive non sono state all’altezza della precedente. Le due sorelle mentre attendono Emilia, la piccola di casa, si confessano, discutono: riaffiorano vecchi rancori, segreti di famiglia. Le figure che hanno fatto parte della loro vita emergono da un passato che incombe su di loro. Un’imprevedibile scoperta le costringerà a guardare la realtà con altri occhi.
EXPO – TEATRO ITALIANO CONTEMPORANEO
rassegna diffusa di drammaturgia italiana contemporanea
CONTAGIO
Scritto da Enzo Ferraro
Con Luca Vergoni, Francesca Blasutig, Andrea Barbati, Pietro Bovi
Regia di Andrea Barbati
Dal 4 al 6 marzo
PICCOLE DONNE NON DEVONO MORIRE
scritto e diretto da Francesca Pica e Maria Scorza
Viterbo al Teatro dell’Unione va in scena “Il Rumore del Silenzio”
Il Comune di Viterbo –Teatro dell’Unione e ATCL – Circuito multidisciplinare del Lazio sostenuto da MIC – Ministero della Cultura e Regione Lazio, presentano, al Teatro dell’Unione, domenica 2 marzo, alle ore 18,00, Il Rumore del Silenzio,testo e regia Renato Sarti, con Laura Curino e Renato Sarti, disegni Ugo Pierri e Giulio Peranzoni, video installazione Fabio Bettonica, musiche originali Carlo Boccadoro, assistenti alla regia Salvatore Burruano, Chicco Dossi. “Il 12 dicembre 1969, alle 16:37 – si legge nella scheda dello spettacolo – nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano esplose una bomba che causò la morte di 17 persone e ne ferì 88. In seguito ai primi arresti, il 15 dicembre l’anarchico Giuseppe Pinelli, trattenuto illegalmente, morì innocente precipitando dalla finestra di un ufficio situato al quarto piano della Questura di Milano. Ricordare a cinquant’anni di distanza, con la forza di uno spettacolo teatrale, il tentativo della destra eversiva di imporre la legge dei carri armati attraverso il caos, le bombe e l’uccisione di innocenti, è un atto doveroso innanzitutto nei confronti delle vittime delle stragi e dei loro familiari. Il testo si sofferma soprattutto sulla tragedia, spesso dimenticata, delle vittime e dei loro cari, concentrando l’attenzione soprattutto sugli aspetti umani, quelli circoscritti alla sfera prettamente personale”.
Viterbo-Teatro dell’Unione- Il Rumore del Silenzio
ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio https://www.facebook.com/atcl1
Instagram
ATCL Lazio https://www.instagram.com/atcl_lazio/
Viterbo-Teatro dell’Unione-
il Teatro Unione (o Teatro dell’Unione) è il principale teatro della città di Viterbo. La sua costruzione ed il suo nome derivano dalla “unione” di un gruppo di cittadini viterbesi che nel 1844 formarono la “società dei palchettisti”, con a capo il conte Tommaso Fani Ciotti.[1]
In seguito ai gravi danni dovuti ai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, vista la necessità di reperire ingenti somme per la sua ricostruzione, termina il condominio tra la Società dei Palchettisti ed il Comune, che fino a quel momento aveva amministrato il teatro. Dal 9 dicembre 1949, con decreto prefettizio, la proprietà è totalmente comunale.[5]
Foyer del Teatro Unione e Carrozza dei Priori (1700).
L’edificio è situato nel centro storico in piazza Verdi (comunemente detta piazza del Teatro).
Dopo un lungo periodo di chiusura di oltre sei anni dovuto a lavori di ristrutturazione, il Teatro è stato riaperto al pubblico il 13 giugno 2017 nell’occasione di un incontro con lo scrittore americano Jeffery Deaver.[6][7]
Dal dicembre 2017 la programmazione delle stagioni di prosa, danza e teatro ragazzi è curata dall’Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio.[8][9][10][11] Il teatro ospita inoltre il concorso internazionale di canto Premio Fausto Ricci che ha visto come Presidenti di Giuria personalità del mondo della lirica come Fiorenza Cossotto, Desirée Rancatore, Fiorenza Cedolins, Luciana Serra e Alfonso Antoniozzi nonché direttori e casting manager di importanti teatri d’opera italiani ed europei, e, per l’edizione 2020, il celebre tenore spagnolo José Carreras[12][13].
1. Storia
Soffitto del Teatro Unione.
Fino alla seconda metà dell’Ottocento, il teatro principale di Viterbo era il Teatro del Genio, ma era ormai ritenuto non più adeguato, sia per la capienza che per la sua scarsa connotazione sul tessuto urbano.[1]
Il Teatro dell’Unione divenne nell’Ottocento il primo per importanza e prestigio poiché l’impulso che ne permise l’edificazione fu la passione, comune a quasi tutte le principali città italiane, per l’opera lirica.
Il progetto prevedeva una nutrita partecipazione sia da parte della società dei palchettisti che da parte dello stesso Comune, il quale garantì l’acquisto di almeno cinque palchi. Il primo atto della società fu l’elezione della Deputazione Teatrale, composta dal Delegato Apostolico Mons. Orlandini e da sei deputati: Tommaso Fani, Antonio Calandrelli, Domenico Liberati, Giuseppe Signorelli, Cesare Calabresi e Vincenzo Federici, ingegnere comunale.[5]
La scelta della località dove erigere il Teatro ricadde sulla Contrada San Marco, dopo aver scartato l’idea di abbattere il Teatro del Genio e le abitazioni vicine per costruirvi il nuovo edificio. La Deputazione propose inoltre di dare all’Unione la forma del Teatro Argentina di Roma.[14]
Il 20 Giugno 1845 fu bandito l’appalto concorso per la costruzione del Teatro, l’incarico di valutare i progetti fu attribuito all’Accademia Nazionale di San Luca e la scelta ricadde sull’architetto Virginio Vespignani, esponente di spicco del tardo “classicismo eclettico”.[5]
Inaugurato nel 1855 con una stagione lirica che durò dal 4 agosto al 25 settembre e che comprendeva ben tre melodrammi e un balletto, la prima stagione si rivelò un vero e proprio successo. Negli anni successivi andò aumentando l’interesse del pubblico, sia con melodrammi che con lavori di prosa del repertorio dell’epoca e dai primi del ‘900 il teatro ospitò anche alcuni spettacoli cinematografici. Durante la seconda Guerra mondiale il teatro fu gravemente danneggiato e a causa della necessità di reperire ingenti somme per la ricostruzione il comune ne diventò unico proprietario.[5]
Facciata del Teatro dell’Unione di Viterbo
La sua conformazione architettonica propria dei teatri all’italiana è caratterizzata dalla separazione tra sala e scena, dalla simmetria e dalla prospettiva dell’impianto, il palco in declivio, la divisione “classistica” o “gerarchica” dei posti nonché le raffinate decorazioni fanno del Teatro dell’Unione un vero e proprio gioiello tra i teatri storici italiani.[5]
2. Il Teatro dell’Unione oggi
La capienza del teatro è di 574 posti, di cui 188 in platea a cui vanno aggiunti 4 posti per disabili e altrettanti per i relativi accompagnatori. I palchetti sono in totale 97 e sono disposti su 4 ordini. Il loggione non è agibile per motivi di sicurezza.
Dopo i lavori di restauro la graticcia è stata completamente rinnovata, così come la quadratura nera ed il sipario. Il palco ha 3 americane motorizzate.
3. Note
Clementina Barucci, Virginio Vespignani, architetto tra Stato Pontificio e Regno d’Italia, Argos, p. 296.
^ Clementina Barucci, Enzo Bentivoglio, Vincenzo Fontana., Vespignani a Viterbo. Il teatro dell’Unione e le opere progettate nel viterbese dall’architetto Virginio Vespignani., a cura di Simonetta Valtieri, GBE / Ginevra Bentivoglio Editore.
da “Stige. Tutte le poesie. (1990-2002)”, Progetto Cultura Edizioni, 2018
Stige (1992)è l’opera che rivelò il talento di questa straordinaria poetessa. Il libro appare estraneo al clima culturale dei primi anni Novanta, si presenta come un susseguirsi di fotogrammi in una lingua inventata («inventata et invetriata»). C’è un personaggio femminile che parla un idioma inventato che oscilla tra il sacro e l’osceno; il personaggio è recluso «nel monasterio» di un lontanissimo medioevo che parla un latino ingobbito, una «neolingua», lo definisce Amelia Rosselli.
Sì, mio caro lettore, dobbiamo amare le stelle
Tu mi chiedi ancora una volta
di tornare al nostro problema principe:
«quale sia l’origine del male».
«Ebbene, io ti rispondo che se
al male aggiungiamo altro male e al bene
altro bene, non per questo
avremo più o meno male, più o meno bene, ma ciò
non deve farci recedere di un millimetro
dal nostro proposito».
Sì, mio caro lettore, dobbiamo
amare le stelle e andare a passeggio
con Dante e i personaggi del suo Inferno
piuttosto che tra i beati del Paradiso.
Sì, mio stimato lettore, il male esiste e resiste
a tutte le intemperie…
Ed ora un aneddoto. Sai come si salvò
un tenente italiano fatto prigioniero dai tedeschi?
All’ufficiale della Wermacht che lo interrogava
rispose recitando il primo canto della Commedia…
parlava senza fermarsi della selva oscura
che nel pensiero rinnova la paura
e delle tre fiere che gli sbarravano il passo…
E così si salvò dalla deportazione nel lager.
Dunque, è vero, stimato amico lettore
che la poesia salva la vita e riscatta il mondo
e sono nel falso e nella menzogna
coloro che dicono altro. Tienilo a mente,
o lettore, tu che sei saggio e sai
distinguere la verità dalla menzogna.
***
A giudicare dal lento movimento
dei corvi che in alto nel cielo disegnano
vortici di strida
non ci resta che imitare la conversazione degli Angeli,
invetrare e invetriare una lingua tutta nostra
che sia monda degli stilemi del peccato
e dall’usura delle stelle.
Annunci
Segnala questo annuncioPrivacy
E se il candido Abele è stato ucciso
il giusto Salomone e la corrotta corte
di Babilonia caddero
e il lusso di Creso disparve
quid juris?.
Aeternitas est merum hodie.
Non erubesco meae miseria
plango non esse quod fuerim.
***
La luna splende di un lilla sempre più tenue
un cono di luce intenso e fragile.
Io sono nuda davanti allo specchio.
Sono l’amante del Faraone, le ancelle mi preparano
all’udienza con il dio vivente.
La sfera della luna rotola nel cielo
come un carro trainato da schiavi fenici.
Forse anch’io sono intensa e fragile.
Tra me e il dio c’è una distanza d’aria.
C’è soltanto aria che puoi toccare come una palla da basket.
Tra me e il dio non ci sono parole.
Non c’è bisogno di parole.
Isotopi delle parole i sospiri
come ondate successive di un mare sconosciuto.
*
Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano
il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso
e le voci fluirono nella carta assorbente
d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate.
Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento
dove un narciso guardava nello specchio
d’un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro
danzante muoveva il nitore degli arabeschi
e degli intarsi.
*
È un nuovo inizio. Freddo feldspato di silenzio.
Il silenzio nuota come una stella
e il mare è un aquilone che un bambino
tiene per una cordicella.
Un antico vento solfeggia per il bosco
e lo puoi afferrare, se vuoi, come una palla di gomma
che rimbalza contro il muro
e torna indietro.
*
Con rumore di carrucola venne giù il temporale.
Città lituana, nitida e trasparente come un merletto di Murano.
«Ricordi?»; «sì, la ricordo come un altoparlante
che abbia inghiottito la voce… non più
di un secolo di luce fa. Forse più, forse meno…».
*
Sono arrivati i barbari
«Sono arrivati i barbari, console! – dice un messaggero
che è giunto da luoghi lontani – sono già
alle porte della città!».
«Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà.
«Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.
«Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi
né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto
essi sconoscono…».
E che farà adesso il console che i barbari
sono alle porte? Che farà il gran sacerdote di Osiride?
Che faranno i senatori che discutono nel senato
con il mantello bianco e le dande di porpora?
Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli
al console? Chiedono salvezza?
Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari?
«Quanto oro c’è nelle casse?»
chiede il console al funzionario dell’erario
«e qual è la richiesta dei barbari?».
«Quanto grano c’è nelle giare?»
chiede il console al funzionario annonario
«e qual è la richiesta dei barbari?».
«Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»
risponde l’araldo con le insegne inastate.
«E che cosa vogliono da noi questi barbari?»,
chiedono i senatori al console.
«Chiedono che gli si aprano le porte
della città senza opporre resistenza»
risponde il console avvolto nella sua toga scarlatta.
«Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori –
e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
Che vengano allora questi barbari, che vengano…
Forse è questa la soluzione che attendevamo.
Forse è questa».
*
La luna splende di un lilla sempre più tenue
un cono di luce intenso e fragile.
Io sono nuda davanti allo specchio.
Sono l’amante del Faraone, le ancelle mi preparano
all’udienza con il dio vivente.
La sfera della luna rotola nel cielo
come un carro trainato da schiavi fenici.
Forse anch’io sono intensa e fragile.
Tra me e il dio c’è una distanza d’aria.
C’è soltanto aria che puoi toccare come una palla da basket.
Tra me e il dio non ci sono parole.
Non c’è bisogno di parole.
Isotopi delle parole i sospiri
come ondate successive di un mare sconosciuto.
*
Era lì, sotto una pila di giornali vecchi,
album, atlanti in disuso. Una lettera,
la calligrafia minuta, assiepata, disordinata, irregolare
come di chi abbia fretta di prendere l’autobus;
mi dicevi, tra le altre cose, che avevi dimenticato
gli occhiali in frigorifero, le chiavi
di casa nell’oblò della lavatrice
e altre sciocchezze senza importanza.
C’era scritto
che eri andato in America (una sorta di esilio!)
e che lì avevi preso una moglie americana
e poi eri ritornato da dove eri partito.
«Beh, davvero un bel periplo», mi sono detta…
tra l’altro, c’era scritto che lavoravi
per i servizi segreti di non so quale nazione
e altre corbellerie…
«Sei sempre stato un buffone», ho pensato.
In fondo alla lettera c’era una cancellatura:
tutto un rigo. «Ecco, tutte quelle parole cancellate!
– mi sono chiesta –
che cosa c’è dietro, sotto le parole
che tu non volevi far vedere? E perché?
Perché?».
*
Sai, nel dottor Zivago c’è il protagonista
chiuso nella casa gelida immersa nella neve…
fuori delle finestre l’ululato dei lupi.
È un poeta. – che cosa fa? –
fa quello che fanno tutti i poeti: scrive poesie.
Scrive poesie, poesie, poesie.
Si deve sbrigare perché tra poco le guardie rosse
lo verranno a prendere. Davvero,
c’è così poco tempo per scrivere poesie.
*
Dicono i più che la poesia debba attingere
al dizionario delle parole morte.
Ecco, ci sono parole impossibili:
– difficili da pronunciare –
una di queste è anima
altre sono: amore, cuore, dolore
– con annesse rime –
altre ancora: bello, brutto, sole, primavera,
mare azzurro…
(con tutto ciò che di sordido
c’è al loro interno… )
e poi… numerose altre: infinito, empireo, angeli
cherubini farseschi, santità, diavoli…
ma sarebbe ben lungo l’elenco.
Se tu lettore vuoi sincerartene non c’è che aprire
a caso il dizionario delle parole morte
e gettarci un’occhiata.
*
Tutto questo favellare, tutto questo balbo
balbutire, mi è ostico – lo capisci?
La lingua dei famuli – lo capisci?
La detesto.
*
In quella posizione del quadrante
tra la lancetta delle ore e quella dei minuti
è convenuto il destino con la sua strada ferrata
dove passano i convogli dei treni merci.
*
C’è chi dice che il mondo
sarà salvato dai ragazzini
c’è chi dice che sarà salvato dai santi
c’è chi dice che il mondo sarà
salvato da una poesia…
Io invece penso che il mondo non sarà
salvato affatto.
Non ci sarà nessuno a salvare il mondo.
E questa sarà la sua salvezza.
*
Gli angeli sono come gli uccellini
volano via al primo battere delle mani,
i dèmoni invece stanno immobili
appollaiati sui rami degli alberi
emettono il loro singhiozzo disperato.
Essi non possono fuggire… maledetti
dall’eternità sono condannati a star fermi.
Per sempre.
*
Ci sono parole che dormono
il loro sonno eterno e non è bene
svegliarle. Ci sono altre parole invece
che improvvisamente risorgono
a vita nuova dopo un sonno eterno…
magari in un’altra lingua, un altro mondo…
E questa è la vera resurrezione
della carne… la sola, unica e vera.
*
Tu mi chiedi ancora una volta
di tornare al nostro problema principe:
«quale sia l’origine del male».
«Ebbene, ed io ti rispondo che se
al male aggiungiamo altro male e al bene
aggiungiamo altro bene, non per questo
avremo più male o più bene, ma ciò
non deve farci recedere di un millimetro
dal nostro proposito».
Sì, mio caro lettore, dobbiamo
amare le stelle e andare a passeggio
con Dante e i personaggi del suo Inferno
piuttosto che tra i beati del Paradiso.
Sì, mio stimato lettore, il male esiste e resiste
a tutte le intemperie…
Ed ora un aneddoto. Sai come si salvò
un tenente italiano fatto prigioniero dai tedeschi?
All’ufficiale della Wermacht che lo interrogava
rispose recitando il primo canto della Commedia…
parlava senza fermarsi della selva oscura
che nel pensiero rinnova la paura
e delle tre fiere che gli sbarravano il passo…
E così si salvò dalla deportazione in un lager.
Dunque, è vero, stimato amico lettore
che la poesia salva la vita e riscatta il mondo
e sono nel falso e nella menzogna
coloro che dicono altro. Tienilo a mente,
o lettore, tu che sei saggio e sai
distinguere la verità dalla menzogna.
E così sia.
Maria Rosaria Madonna (Palermo, 1942- Parigi, 2002)mi spedì il dattiloscritto contenente le poesie che sarebbero apparse l’anno seguente, il 1992, con il titolo Stige con la sigla editoriale Scettro del Re. Con Madonna intrattenni dei rapporti epistolari per via della sua collaborazione, se pur saltuaria, al quadrimestrale di letteratura Poiesis che avevo nel frattempo messo in piedi. Fu così che presentai Stige ad Amelia Rosselli che ne firmò la prefazione. Era una donna di straordinaria cultura, sapeva di teologia e di marxismo. Solitaria, non mi accennò mai nulla della sua vita privata, non aveva figli e non era mai stata sposata. Sempre scontenta delle proprie poesie, Madonna sottoporrà quelle a suo avviso non riuscite ad una meticolosa riscrittura e cancellazione in vista di una pubblicazione che comprendesse anche la non vasta sezione degli inediti. La prematura scomparsa della poetessa nel 2002 determinò un rinvio della pubblicazione in attesa di una idonea collocazione editoriale. […] Alcune sue poesie inedite sono apparse nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016) (Nota di Giorgio Linguaglossa da http://www.giorgiolinguaglossa.com/index.php/giorgio-linguaglossa-critica301 )
*Giorgio Linguaglossa
Caro Ennio Abate
non è qui in questione il problema, come tu affermi, di un «determinismo» che minaccerebbe la posizione critica di un Pedota e mia, il vero problema è che in Italia la «riforma moderata» introdotta da Giovanni Giudici con “La vita in versi” (1965) e da Sereni con “Gli strumenti umani” (1965), hanno portato la poesia italiana in un collo di bottiglia dal quale ne fuoriesce soltanto il talqualismo e il turismo poetico delle ultime generazioni. È ovvio che nelle condizioni di generale mimetismo e omologismo della poesia italiana degli ultimi decenni, venga rimossa la «grande riforma» del parlato introdotta da poeti come Helle Busacca con la trilogia de “I quanti del suicidio” (1972) e di Angelo Maria Ripellino. La vera questione è, schematicamente:
1)vogliamo veramente uscire dal collo di bottiglia?
2)C’è una poesia che non adotta la corriva equazione del quotidiano visto dal punto di vista del quotidiano?
3) la vittoria del minimalismo è un problema politico oltre che estetico?
4) l’idea di una poesia modernista che attraversa il secondo Novecento (e arriva fino ai giorni nostri) che vanta poeti di grande spessore come Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Luigi Manzi, lo stesso Giuseppe Pedota, è una categoria percorribile?
L’importanza del mio lavoro di critico (e di quello dello scomparso Pedota) è tutto qui: nella valenza di una idea di poesia “altra” rispetto a quella, questa sì “deterministica” (perché determinata dall’alto, dalle Istituzioni deputate).
Ma, in fin dei conti, il generale disinteresse per la poesia epigonica di un Giudici, divenuto manifesto alla scomparsa del poeta lombarda non significa qualcosa? Che quella poesia non ha più nulla da dire ai contemporanei? Non è questa una riprova della scarsa importanza di un poesia, diciamolo, politicamente corretta come quella di Giovanni Giudici?
Tu mi chiedi di fornire una prova di quando vado dicendo? Ecco allora alcuni inediti di Maria Rosaria Madonna che ha pubblicato in vita un solo libro Stige nel 1992 e della quale sto cercando un editore disposto a pubblicare Tutte le poesie 1985-2022).
Catalogo Mostra- M9 – Museo del ’900 -Venezia Mestre
a cura di Gabriella Belli- Editore Marsilio Arte
Emilio Vedova è un artista che ancora ci ispira: nella vita come nell’arte ha unito etica ed estetica, messo al centro della sua ricerca l’uomo, rivoluzionato la pittura con un percorso riconosciuto dalla critica internazionale, svolto con passione l’insegnamento ai giovani, cui ha affidato idee nuove, responsabilità e speranze.
Rivoluzione Vedova, a cura di Gabriella Belli, presenta tanto la rivoluzione che Emilio Vedova ha rappresentato nella storia della pittura italiana quanto le sue battaglie per i diritti civili, il pacifismo, contro l’inganno delle ideologie e la violenza delle dittature, per i diritti democratici.
In mostra tre grandi installazioni, tra cui …in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88 e i plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch ’64, per la prima volta assieme nello stesso spazio espositivo, oltre a una quindicina di opere realizzate tra gli anni quaranta e i novanta, concepite da Vedova nell’urgenza di rispondere ai conflitti e alle contraddizione del suo tempo.
Rivoluzione Vedova apre un percorso inedito per M9 che, per la prima volta dalla sua inaugurazione, sceglie l’arte contemporanea come strumento per esplorare e interpretare la storia.
L’iniziativa avvia un ciclo di mostre biennali, dedicate a protagonisti della storia dell’arte dall’alto impegno civile che, al contempo, hanno rivoluzionato le arti cambiando regole e canoni con contributi originali e innovativi, come Emilio Vedova, la cui opera è interprete e testimone di una costante attualità.
Saranno esposti, tra gli altri, alcuni fondamentali lavori del pittore veneziano connotati proprio dal forte legame con i drammatici eventi del suo tempo, come Diario partigiano, Diario di Corea, Praga 1968, Chi brucia un libro brucia un uomo, oltre al grande ciclo …in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88 e i sette plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch ’64.
“L’attualità di Vedova sta negli universali della sua pittura o, più semplicemente, nel suo messaggio. Valori radicati nel suo esistenziale in dialogo con la storia, intesa come vivere nel presente, “esserci dentro”, misurarne i conflitti e le contraddizioni in una quotidiana dialettica.
La storia come una punteggiatura costante che ha esercitato nella sua vita pressioni ora forti ora lievi, il basso continuo di un’avventura che ha unito l’uomo all’artista, senza soluzione di continuità.
La storia come respiro e vampate della sua pittura, che ha agito all’unisono con le sue battaglie per i diritti civili, il pacifismo, contro l’inganno delle ideologie e la violenza delle dittature, per incalzare il cambiamento, per la difesa di Venezia, la cura dei suoi luoghi più antichi, e molto, molto altro ancora.
Vedova è un contemporaneo che ancora ci ispira: nella vita come nell’arte ha unito etica ed estetica, messo al centro della sua speculazione l’uomo, come riverbero delle infinite costellazioni dell’universo, rivoluzionato la pittura con un originalissimo percorso, riconosciuto fin dagli anni cinquanta
dalle massime autorità della critica internazionale, svolto con passione l’insegnamento ai giovani, a cui ha affidato idee nuove, responsabilità e speranza. Un artista che ancora oggi pone domande, accanto ai migliori della nostra epoca.”
Gabriella Belli curatrice
Gabriella Belli-Rivoluzione Vedova M9 Museum
Biografia di Emilio Vedova
Emilio Vedova M9 Museum
Nato a Venezia il 9 agosto 1919, deceduto a Venezia il 25 ottobre 2006, pittore.Negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, Vedova fece parte, a Milano, del gruppo di “Corrente”, nella cui galleria presentò una delle sue prime “personali”. Dopo l’8 settembre 1943 partecipò alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza romana.Militò poi, col nome di battaglia di “Barabba” (scelto, forse, per la folta barba che ne avrebbe incorniciato il volto per tutta la vita), in una formazione partigiana molto attiva sull’altipiano bellunese. Nel corso di un rastrellamento “Barabba” fu ferito, ma riuscì, fortunosamente ad evitare di essere catturato dai nazifascisti.
Dopo la Liberazione, Vedova tornò alla sua attività di pittore sempre mantenendosi coerente con i suoi ideali antifascisti, anche se mantenne le distanze dalla poetica degli artisti del Realismo. Nel 1946 elaborò, con Ennio Morlotti, il manifesto “Oltre Guernica” (la città spagnola bombardata dai nazisti”) e fu tra i fondatori della “Nuova secessione artistica italiana- Fronte nuovo delle arti”. Nel 1955 espose per la prima volta a “Documenta”, la rassegna artistica che lanciò le avanguardie postbelliche ed alla quale partecipò altre tre volte. Nel 1960 ecco per Vedova il Gran premio della pittura della Biennale di Venezia.
Emilio Vedova M9 Museum
Nel 1997, sempre alla Biennale, la consegna del Premio alla carriera. Un riconoscimento anche all’impegno didattico che il pittore profuse per anni all’Accademia di Venezia, sempre conservando gli ideali civili che l’avevano animato durante la Resistenza e ai quali Emilio Vedova è rimasto fedele anche quando era diventato un artista acclamato in tutto il mondo. Nell’aprile del 2006 il Presidente dell’ANPI provinciale di Venezia Gianmario Vianello gli ha consegnato la tessera ad honoremdell’associazione.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato ai familiari di Emilio Vedova il seguente messaggio: “Partecipo commosso al dolore della famiglia e al cordoglio del mondo dell’arte per la scomparsa di Emilio Vedova, maestro della pittura italiana, interprete di una ricerca artistica che, attraverso gli anni drammatici della II Guerra Mondiale e i travagli del Novecento, ha saputo intervenire nel reale ed interpretare i mutamenti con una significativa espressione personale e collettiva. Il suo originale linguaggio artistico e gestuale, ricco di tensioni ideali, lascia un segno profondo nella cultura del nostro paese”.
All’inizio degli anni cinquanta realizza i suoi celebri cicli di opere: Scontro di situazioni, ciclo della Protesta, ciclo della Natura. Nel 1954, alla II Biennale di San Paolo, vince un premio che gli permetterà di trascorrere tre mesi in Brasile, la cui estrema e difficile realtà lo colpirà profondamente. Nel 1961 realizza al Teatro La Fenice le scenografie e i costumi per Intolleranza ’60 di Luigi Nono, con il quale collaborerà anche nel 1984 al Prometeo.
Emilio Vedova M9 Museum
è considerato uno dei più influenti artisti italiani della seconda metà del XX secolo. La sua opera è interprete e testimone di un forte legame storico e civile con gli eventi che hanno segnato il XX secolo, mantenendo al contempo la forza di una costante attualità.
In catalogo ritroviamo alcuni dei fondamentali lavori del pittore veneziano, connotati dal forte legame con i drammatici eventi del suo tempo, come Diario partigiano, Diario di Corea, Praga 1968, Chi brucia un libro brucia un uomo, oltre al grande ciclo …in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88 e i sette plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch ’64.
Il volume ripercorre la produzione dell’artista con uno straordinario supporto iconografico e approfondisce la vita e l’opera di Vedova attraverso il saggio di Gabriella Belli e le testimonianze di Fabrizio Gazzarri – artista che iniziò la sua attività di insegnamento come assistente al Corso di Pittura di Emilio Vedova all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1980, oggi direttore dell’Archivio e della Collezione di Fondazione Emilio e Annabianca Vedova – e Anselm Kiefer – pittore conosciuto e apprezzato da Vedova, i cui lavori sono stati ampiamente presentati alla Fondazione. I due dialogano con la curatrice su Vedova e l’arte tout court, rilevando aspetti inediti della pittura dell’artista veneziano. Il contesto in cui Vedova ha operato viene presentato in un magistrale excursus storico di Andrea Jacchia.
Luciano Canfora, Eric Hobsbawm, Marx e i suoi scolari-Stilo Editrice
Descrizione del libro di Luciano Canfora, Eric Hobsbawm-Circa venti anni addietro, il grande storico britannico Eric Hobsbawm pubblicò un’ampia voce biografica su Karl Marx nell’Oxford Dictionary of National Biography. Questo scritto, che rispecchia la riflessione più matura di Hobsbawm sulla figura e sul pensiero di Marx , segna, nonostante la brevità, un passo avanti e, si potrebbe dire, conclusivo nell’ambito della riflessione di lunga durata dedicata da Hobsbawm alla figura di Marx. Il testo è preceduto da una ricerca di Luciano Canfora incentrata sulle indicazioni politiche operative lanciate in modo discontinuo da Marx durante la sua lunga militanza, e soprattutto durante il lungo esilio. Ciò che viene qui messo in evidenza è il peso costituito dalla rilettura che Engels diede di quelle indicazioni sommarie e discontinue: rilettura che determinò il modo di essere e di condurre la propria azione politica da parte della socialdemocrazia europea e tedesca in particolare. Al termine di questa vicenda vi è lo scontro durissimo tra gli eredi di Engels e l’emergente leninismo. Un’attenzione particolare viene dedicata all’esito italiano di questo scontro, imperniato sulla originalità, sanamente eretica dei maggiori esponenti del marxismo italiano Gramsci e Togliatti.
Biografia degli autori
Luciano Canfora è professore emerito dellʼUniversità di Bari. Dirige i «Quaderni di storia» e collabora con il «Corriere della Sera». Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo: La meravigliosa storia del falso Artemidoro (Sellerio, 2011); Il mondo di Atene (Laterza, 2011); Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno, 2012); Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937 (Salerno, 2012); La guerra civile ateniese (Rizzoli, 2013); La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone (Laterza, 2014); Augusto. Figlio di dio (Laterza, 2015); Tucidide. La menzogna, la colpa, l’esilio (Laterza, 2016); La schiavitù del capitale (il Mulino, 2017).
Eric Hobsbawm (1917-2012), già docente a Cambridge (King’s College, Birkbeck College), è stato il maggiore storico del socialismo e dell’Europa otto e novecentesca. Tra le sue pubblicazioni: Il secolo breve (Rizzoli, 1995), Storia d’Europa, vol. I, L’età contemporanea. Secoli XIX-XX (Einaudi, 1996), Gente che lavora. Storie di operai e contadini (Rizzoli, 2001), Imperialismi (Rizzoli, 2007), La fine della cultura (Rizzoli, 2013). Ha diretto l’ampia e polifonica Storia del marxismo per Einaudi.
Aspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo Francucci
Descrizione del libro di Massimo Francucci–Piazze spaziose, alcuni bei palazzi e chiese gli danno aspetto di città. Tra queste è notevole la chiesa di San Francesco romanica, con un bel portale ogivale e una grande rosa, con l’interno ad una navata, con abside poligonale, deturpato da aggiunte di altari barocchi”. Declinata secondo i gusti del tempo, ancora incapaci di inserire il Barocco in un sistema critico coerente, questa descrizione di Amatrice inserita da Roberto Almagià nella voce dedicata alla cittadina nell’Enciclopedia Treccani (1929) esplicita inconsapevolmente la difficoltà di confrontarsi con la produzione pittorica amatriciana tra Seicento e Settecento. I problemi politici che nel secolo precedente erano culminati nel saccheggio da parte delle truppe imperiali nel 1528 e dieci anni più tardi nell’affidamento del feudo da parte di Carlo V al suo consigliere di guerra Alessandro Vitelli, si intensificarono ulteriormente nel Seicento, che vide il principe Alessandro Maria Orsini rinchiuso in Castel Sant’Angelo fino al 1683 con l’accusa di aver ucciso nel 1648 la moglie Anna Maria Caffarelli. Ai problemi politici vanno aggiunti i disastri naturali, quali i devastanti terremoti che colpiranno la zona e renderanno travagliata l’esistenza agli abitanti della cittadina laziale: il più terribile si verificò il 7 ottobre 1639 e produsse “la morte compassionevole di molte persone, la perdita di bestiami d’ogni sorta” 1 . In seguito l’evento sarebbe stato collegato alla maledizione lanciata contro Latino Orsini, signore della città, amante di spettacoli teatrali licenziosi, da San Giuseppe di Leonessa, il cui corpo venne trafugato dai suoi concittadini, approfittando proprio dell’assenza degli abitanti, che erano sfollati in seguito al sisma 2 . Non sorprenderà a questo punto che i dipinti di maggior pregio e interesse tra le opere seicentesche conservate precedano quel terremoto, di cui si sarebbero peraltro registrate repliche importanti nel 1672, nel 1703 e nel 1730. Ci si riferisce in particolare allo stupefacente San Lorenzo che adora la Trinità della chiesa di Sant’Agostino ( , un dipinto che sorprende per iconografia e composizione non propriamente canoniche e spicca per qualità pittorica. In basso a destra, con la dalmatica rossa, Lorenzo, inginocchiato al fianco della graticola, è colto nell’atto devoto di baciare il piede di Cristo, secondo un gesto che sembra richiamare il cerimoniale pontificio. A sinistra è raffigurato un desco con un libro aperto, penna e calamaio. Nella parte superiore si assiste a un aggrovigliarsi di figure che vede emergere come protagonista Cristo, volto a scrutare direttamente lo spettatore con sguardo fermo ma comprensivo, mentre con la destra benedice e con la sinistra sorregge un tomo con l’alfa e l’omega. Nelle pieghe dell’ampio manto rosso si 82. Paolo Guidotti, il “Cavalier Borghese”, San Lorenzo che adora la Trinità. Amatrice, chiesa di Sant’Agostino
Aspetti della pittura barocca, in Amatrice. Forme e immagini del territorio, a cura di A. Imponente, R. Torlontano. Milano, 2015, p. 132-143. By Massimo Francucci
Aspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo Francucci
Gustavo Zagrebelsky- Il diritto mite – Legge diritti giustizia-
Piccola Biblioteca Einaudi
DESCRIZIONE-Gustavo Zagrebelsky-Questa è la tesi: chi maneggia il diritto sa che ciò che è davvero fondamentale sta non nella Babele dei codici, delle leggi, dei regolamenti, ma nelle concezioni della giustizia, in cui il diritto è immerso. I giuristi consapevoli della funzione sociale del diritto non possono ignorare queste radici complicate della loro professione. Il «diritto mite» è una proposta di apertura culturale indirizzata a loro. Ripercorrendo la storia europea fino allo Stato costituzionale di oggi, il libro mostra come le norme di diritto non possano più essere espressione di interessi di parte né formule imposte e subite. L’autorità della legge, infatti, come mostrano tanti esempi in materie che toccano la vita di tutti, entra in contatto con i casi della vita, illuminati dai principî di libertà e di giustizia. L’applicazione della legge da parte dei giudici è oggi ben altro compito che quello di semplici «bocche della legge».
Gustavo ZagrebelskyGustavo Zagrebelsky
BIOGRAFIA del Prof.Gustavo Zagrebelsky-Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.
Collabora con alcuni dei più importanti quotidiani italiani (La Repubblica, La Stampa) ed è socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei e socio nazionale dell’Accademia delle Scienze di Torino. Nel suo pensiero giuridico è rintracciabile una visione dualistica del diritto, diviso in lex e ius, concetti riconducibili ai lati formale e sostanziale del diritto[senza fonte]. Zagrebelsky afferma l’importanza della duplicità degli aspetti del diritto, evidenziando il pericolo derivante dall’acriticità di un diritto solo formale o solo sostanziale. Una visione dualistica che nello Stato attuale a suo avviso si è persa, a favore di un nichilismo giuridico.[7]
È autore di una pluriennale opera di analisi e di riproposizione di alcuni autori classici del pensiero giuridico novecentesco, come Piero Calamandrei, Costantino Mortati e Rudolf Smend.
Negli ultimi anni è ripetutamente intervenuto nel dibattito pubblico italiano, avversando le posizioni politiche e culturali dei cosiddetti atei devoti e in particolare sulla laicità dello Stato[non chiaro] e lo spirito concordatario: molti di questi saggi sono raccolti nel volume Contro l’etica della verità, pubblicato dall’editore Laterza.
Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, UTET, 1984.
Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Le fonti del diritto, Torino, UTET, 1987.
La giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1988.
Società, stato, costituzione: lezioni di dottrina dello stato degli anni acc. 1986-1987 e 1987-1988, a cura di Nicolò Zanon, Torino, Giappichelli, 1988.
Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.
Descrizione del libro di Corrado Calabrò-Con questo volume di poesie scelte, Corrado Calabrò consegna al lettore un’opera antologica importante e nuova, organizzata in sezioni che gettano luce sui temi fondamentali della sua sessantennale attività di scrittura: un autoritratto poetico da cui emerge la forte consapevolezza raggiunta con la piena maturità espressiva, capace di stabilire rapporti profondi fra testi nati in momenti diversi della vita. Il mare, l’astrofisica e l’amore risultano gli elementi cardine intorno ai quali ruota il pensiero emozionale del poeta, tenuti insieme dall’energia che dà forma alla salda pronuncia del dettato, tra classico e sperimentazione, nella variabilità di forme che spaziano dal poemetto all’epigramma. «La vera originalità del Calabrò» ha scritto Carlo Bo nel 1992, individuando uno dei motivi centrali dell’intera sua opera «sta nell’essersi staccato dai modelli comuni per inseguire una diversa sperimentazione poetica… Ha cantato non il suo mare, ma piuttosto l’idea di un mare eterno e insondabile.» Accompagnano le poesie due significative riflessioni d’autore. La densa postfazione, intitolata C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia, oggi?, costituisce un bilancio dei multiformi interessi e della passione profusa da Calabrò nel fare poesia; l’altra nota è invece dedicata al poemetto Roaming – apparso per la prima volta nel volume La stella promessa del 2009 e ora posto in apertura di questo libro – che rappresenta forse l’opera più suggestiva di Calabrò. Dopo duemila anni dal De rerum natura di Lucrezio, infatti, l’astrofisica è tornata ad essere, in forma onirica, materia di poesia.
Breve biografia di Corrado Calabrò è nato a Reggio Calabria. Al primo volume di poesie, scritto tra i diciotto e i vent’anni, Prima attesa (1960), sono seguite molte altre raccolte, tra cui Agavi in fiore (1976), Presente anteriore (1981), Rosso d’Alicudi (1992), Una vita per il suo verso (2002), La stella promessa (2009), T’amo di due amori (2010). Numerose sono le edizioni straniere delle sue poesie in una ventina di lingue e le trasposizioni teatrali e musicali dei suoi versi. Col romanzo Ricorda di dimenticarla (1999) è stato finalista al premio Strega e ha ispirato il film Il mercante di pietre di Renzo Martinelli. Per la sua opera poetica ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero, tra cui due lauree honoris causa.
Adam Zagajewski: Alla scoperta di questo grande poeta polacco –
Adam Zagajewski nasce nel 1945 a L’vov (attuale Leopoli, in Ucraina), ma non ci rimane a lungo: la sua famiglia, infatti, viene costretta, insieme a molte altre famiglie polacche tra il 1944 e il 1946, a trasferirsi nella Polonia centrale. Cresce e studia nella città di Gliwice prima, a Cracovia poi.
La città in cui vorrei abitare
È una città silenziosa al crepuscolo,
quando pallide stelle riprendono i sensi,
e a mezzogiorno sonora per le voci
di ambiziosi filosofi e mercanti
che hanno portato velluti dall’Oriente.
Vi ardono i fuochi delle conversazioni
non certo i roghi.
Le vecchie chiese, le pietre muscose
di antiche preghiere sono la sua zavorra
e il suo razzo diretto verso il cosmo.
È una città imparziale
che non condanna gli stranieri,
una città che rapida ricorda
e lentamente scorda,
che tollera i poeti e perdona ai profeti
la mancanza di humour.
È una città eretta
in base ai preludi di Chopin,
da cui ha preso solo la gioia e la tristezza.
Un largo anello di colline
la circonda; vi crescono
i frassini campestri e il pioppo slanciato
che è il giudice del popolo degli alberi.
Un fiume vivace che vi scorre in mezzo
notte e giorno sussurra
saluti incomprensibili
delle sorgenti, delle montagne, del cielo.
Ciò che
Ciò che pesa troppo
e trascina in basso
che fa male come il dolore
e brucia come uno schiaffo,
può essere pietra
o àncora.
A maggio
Camminando nel bosco, in un’alba di maggio,
chiedevo, dove siete, anime
dei morti. Dove siete, giovani
scomparsi, dove siete, ormai del tutto
mutati.
Un grande silenzio regnava nel bosco
e udivo le foglie verdi sognare,
udivo i sogni della corteccia da cui nascono
barche, navi e vele.
Poi a poco a poco gli uccelli si fecero
sentire, cardellini, tordi e merli nascosti
nei balconi dei rami; ognuno parlava a suo modo,
con voce diversa, senza chiedere nulla, senza
amarezza o rimpianto.
E capivo che voi siete nel canto,
inafferrabili come la musica, indifferenti come
le note, lontani da noi quanto noi
da noi stessi.
All’alba
All’alba dai finestrini del treno vedevo città
disabitate, spopolate dal sonno,
aperte e indifese come grandi
animali sdraiati sul dorso.
Per le vaste piazze camminavano
solo i miei pensieri e un vento freddo,
sulle torri perdevano i sensi bandiere di lino,
nelle chiome degli alberi si svegliavano gli uccelli,
nelle folte pellicce dei parchi scintillavano
occhi di gatti selvatici,
nelle vetrine dei negozi si specchiava
la timida luce del mattino, eterno debuttante,
le giostre, finalmente assorte,
pregavano il loro invisibile centro,
i giardini fumavano come le rovine di Varsavia,
e alle mura brune del macello
ancora non era arrivato il primo camion.
All’alba le città non sono di nessuno,
non hanno nomi
e neppure io ho un nome,
sul far del giorno, quando svaniscono le stelle
e il treno corre sempre più veloce.
La bandiera
La mattina mi sveglio e cerco di appurare
con l’aiuto di un binocolo da teatro
quale bandiera sventoli sulla mia città
nera, bianca o grigia come il terrore,
se la mia città è già stata conquistata
o ancora si difende, se implora
la clemenza dei vincitori oppure
porta il lutto per alcuni secondi
di oblio, o forse io stesso sono
la bandiera solo che non so
vederla, così come non vediamo
il nostro cuore.
Biografia di Adam Zagajewski nasce nel 1945 a L’vov (attuale Leopoli, in Ucraina), ma non ci rimane a lungo: la sua famiglia, infatti, viene costretta, insieme a molte altre famiglie polacche tra il 1944 e il 1946, a trasferirsi nella Polonia centrale. Cresce e studia nella città di Gliwice prima, a Cracovia poi.
Insegna filosofia all’università e pubblica alcune poesie, ma si schiera pubblicamente contro la propaganda comunista e questo fa sì che le sue opere vengano messe al bando. Nel 1982 si trasferisce a Parigi; tornerà a vivere in Polonia solo vent’anni dopo.
A oggi è considerato uno dei più grandi poeti contemporanei polacchi ed è stato più volte candidato al Nobel.
Decrizione del libro di Peter Lindbergh-Editore Taschen-With such credits as the Calvin Klein Eternity campaigns, shooting the first Vogue cover under Editor-in-Chief Anna Wintour, and helping to catapult the ’90s supermodels to mega fortune and fame, Peter Lindbergh has emblazoned his name into the halls of fashion history. The industry quickly became enamored with his almost anti-fashion fashion photography, capturing the spirit of his subjects rather than highlighting impossible ideals. In this book, the influential Lindbergh works to redefine beauty standards with awe-inspiring, never-before-seen images taken at his iconic Pirelli shoot. Beautiful women with beautiful minds are portrayed simply, accessibly, and in breathtaking fashion—unapologetic pores, fine lines, freckles, and all. The only photographer granted permission to shoot the calendar more than twice, Lindbergh leverages the marketing tool as an opportunity to communicate the zeitgeist. In lieu of opting for a traditional nudity-focused aesthetic and flawless supermodel lineup, he casts 14 Hollywood actresses (including 11 Oscar winners) instead. The message? True beauty isn’t perfect; it’s rooted in interest, intelligence, and emotional appeal. The photographer: Peter Lindbergh was born in Lissa, Germany, in 1944. His celebrated work is part of many permanent collections of fine art museums and has been presented in prestigious museums and galleries around the world, from the Victoria & Albert Museum in London to Centre Pompidou in Paris, as well as in solo exhibitions at Hamburger Bahnhof, Museum für Gegenwart, Berlin; Bunkamura Museum of Art, Tokyo; and the Pushkin Museum of Fine Arts, Moscow. Lindbergh lives and works between Paris, New York, and Arles.
Peter Lindbergh
Peter LindberghPeter LindberghPeter LindberghPeter LindberghPeter Lindbergh
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.