Mezzo secolo fa si suicidava Diane Arbus, la fotografa ribelle che “catturò” il lato oscuro dell’America- Articolo di Roberto Zadik
Personaggio estremamente tormentato e stimolante, la fotografa ebrea newyorchese di origini russe Diane Arbus oltrepassò i confini della fotografia. Le sue immagini ancora oggi colpiscono per la dolente espressività che le caratterizza, per lo sguardo lucido e poetico e il realismo del ritratto etico e sociale della “sua” America con cui questa artista vissuta solo 48 anni e suicidatasi il 26 luglio 1971, ha saputo rappresentare gli emarginati, i deboli, così come il mondo ebraico cui apparteneva e con il quale ebbe un rapporto profondo e conflittuale. Diane Nemerov, questo il suo vero nome prima di sposare il collega e correligionario Allan Arbus che le darà due figlie – prima di separarsi nel 1958 e divorziare nel 1969 -, nacque da una famiglia estremamente benestante, proprietaria di una catena di grandi magazzini. Ma come i cantautori Bob Dylan e Lou Reed, Arbus fu la figlia ribelle di un contesto estremamente “borghese”, attratta dal lato oscuro dell’America.
Icona della sua New York,di origine ebraico-askenazita, estremamente vitale e anticonformista, si consumò fra entusiasmi e depressioni per dedicarsi alla sua passione per la fotografia e l’indagine etica e psicologica compiuta attraverso il suo obbiettivo. Appartenente alla vasta schiera dei fotografi ebrei del Novecento, da Richard Avedon, all’ungherese Robert Capa, al tedesco Helmut Newton, questa artista si differenzia da tutti, con quella ricerca del diverso, dell’eccentrico e dell’anomalo che sembra essere una sua costante.
Nata il 14 marzo 1923, sposatasi a soli 18 anni, il sito theartstory.org descrive la sua infanzia estremamente solitaria, accudita da governanti e baby sitter mentre suo padre era impegnato negli affari e la madre soffriva di gravi depressioni. La sua carriera cominciò negli anni ’40 mentre l’ebraismo europeo veniva devastato dalla Shoah, lavorando assieme al marito, fotografando le modelle procurate dal padre David e dedicandosi con tale dedizione alle sue passioni artistiche da abbandonare anche l’università. Sempre più intenzionata a diventare una grande fotografa, cercò di affinare la sua tecnica al fianco di una professionista come Lisette Model, trascurando la famiglia e il maritò con il quale resterà in buoni rapporti anche dopo la separazione, per gettarsi nel lavoro e nella carriera.
Curiosa della vita e del mondo, dagli anni ’60 la sua personalità di artista indipendente e eccentrica emerse in tutto il suo talento stimolato dalla vivace atmosfera creativa e contestataria dell’era hippie e delle manifestazioni pacifiste contro la Guerra del Vietnam che la videro sempre in prima fila. Costantemente a caccia di stranezze e tortuosità, la Arbus frequentava gli ambienti più disparati. Dalle sfilate di moda, ai circhi, dalle gang giovanili delle strade, alle competizioni di body building e il suo occhio era costantemente puntato sull’essere umano in tutte le sue sfaccettature.
Come evidenzia il sito jewishvirtuallibrary.org, nella sua luminosa carriera la talentuosa fotografa collaborò e strinse amicizia con vari colleghi e collaboratori ebrei. Sempre in cerca di stimoli e di nuove avventure, collaborò con l’artista Marvin Israel direttore artistico della rivista Harper’s Bazaar; fu un rapporto molto stretto ed egli divenne il suo mentore, come era stata già Lisette Model; incontrò il regista e fotografo Stanley Kubrick, i grandi scrittori Norman Mailer e Tom Wolfe, scattando immagini a vari soggetti appartenenti al mondo ebraico delle sue origini. Istantanee estremamente espressive come Coppia di ebrei danzanti che ritrae due anziani felici mentre ballano assieme, la foto alle due gemelle ebree identiche fra loro e soprattutto Il gigante ebreo in cui fotografò l’intrattenitore israeliano naturalizzato americano Eddie Carmel. Un’immagine inquietante in cui Carmel, affetto da gigantismo e figlio di una famiglia ebraica ortodossa polacca, viene rappresentato in tutta la sua figura altissima e massiccia, nipote di uno dei rabbini più alti d’Europa, mentre sovrasta i due genitori, parlando con loro. Morto a soli 36 anni per infarto, Oded Ha Carmeli, questo il suo nome di nascita, divenne un vero fenomeno collaborando per vari film e spettacoli, attirando la curiosità della Arbus sempre pronta a ritrarre personaggi stravaganti e fuori dagli schemi. Carmel e la Arbus morirono a un anno di distanza uno dall’altra e, come sottolinea un articolo del 2014 sul sito del New York Times, questa foto, scattata nel 1970, fu una delle sue ultime immagini. Dilaniata dal suo “male di vivere”, dal super lavoro, in crisi esistenziale nonostante il successo e i prestigiosi riconoscimenti, ricevette due volte il Premio Guggenheim, la Arbus si tolse la vita, ingerendo sonniferi per poi tagliarsi le vene, finì i suoi giorni improvvisamente, in quel luglio 1971 in cui tre settimane prima morì la rockstar Jim Morrison. Stando allo stesso articolo pubblicato dal New York Times il 13 aprile 2014, Carmel “il gigante” invitato al talk show presentato da Richard Lamparski le dedicò una struggente poesia pochi mesi dopo la sua morte.
-Fotoreportage di Franco Leggeri-Associazione CORNELIA ANTIQUA
ROMA- Gianicolo- LA CASA DI MICHELANGELO-
ROMA LA CASA DI MICHELANGELO AL GIANICOLO
ROMA- Gianicolo- LA CASA DI MICHELANGELO-Come si legge dall’epigrafe :Questa è la facciata della casa detta di Michelangelo già in via delle Tre Pile –demolita nell’anno MCMXXX (1930) fu ricostruita ad ornamento della passeggiata pubblica – XXI aprile MCMXLI-XIX E.F.
Associazione CORNELIA ANTIQUA-Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–ROMA LA CASA DI MICHELANGELO AL GIANICOLOROMA LA CASA DI MICHELANGELO AL GIANICOLOROMA LA CASA DI MICHELANGELO AL GIANICOLOROMA LA CASA DI MICHELANGELO AL GIANICOLOAssociazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
ROMA LA CASA DI MICHELANGELO AL GIANICOLOMichelangelo Buonarroti, vita Fonte: ansa Michelangelo Buonarroti è nato a Caprese nel 1475 e morto a Roma nel 1564. È stato uno scultore, pittore, architetto e poeta, era nato da un padre discendente di una famiglia fiorentina di tradizione guelfa che, alla nascita di Michelangelo, era podestà di Chiusi e di Caprese. La madre è morta quando Michelangelo aveva appena 6 anni. Avviato agli studi sotto la guida dell’umanista Francesco da Urbino, Michelangelo ha manifestato da subito tendenze artistiche. Incoraggiato da Francesco Granacci, è riuscito a convincere il padre e la famiglia e, nell’aprile 1488, è entrato come apprendista nella bottega dei pittori Domenico e David Ghirlandaio. Fin dal 1489 ha però preferito frequentare i giardini medicei di San Marco, per studiare le antiche sculture e i cartoni moderni ed imparare le tecniche della scultura sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, allievo e collaboratore di Donatello. I disegni dei primi anni, copie di figure di maestri del passato, come Giotto e Masaccio, rivelano in Michelangelo una straordinaria capacità di orientarsi criticamente ed individuare i punti fondamentali della tradizione artistica, accogliendone l’eredità e ponendosi come il più diretto continuatore. Nei giardini di San Marco ha eseguito piccole figure in terracotta e una Testa di fauno in marmo, suscitando l’interesse e l’ammirazione di Lorenzo il Magnifico, che lo ha accolto nel suo palazzo di Via Larga, dove Michelangelo , preso a benvolere da Poliziano, è venuto in contatto con gli umanisti della cerchia medicea, assimilandone le dottrine platoniche. Tra la fine del 1490 e i primi mesi del 1492 ha scolpito la Madonna della scala e la Battaglia dei Centauri e dei Lapiti. Alla morte di Lorenzo il Magnifico, è tornato nella casa paterna continuando a scolpire e intensificando gli studi di anatomia grazie alla dissezione di cadaveri che gli venivano procurati di nascosto dal priore di Santo Spirito, per il quale ha eseguito un Crocifisso ligneo. Michelangelo, biografia Agli anni 1493 e 1494 risale anche la profonda impressione suscitata nell’animo dell’artista dalla predicazione di Savonarola. Nell’ottobre del 1494, sconvolto dalle sommosse che avrebbero portato in breve alla caduta dei Medici, ha abbandonato Firenze, rifugiandosi prima a Venezia e poi a Bologna, dove è rimasto per circa un anno presso Gianfrancesco Aldrovandi. In questo periodo ha scolpito per l’arca di San Domenico due piccole figure (San Procolo e San Petronio) e un Angelo inginocchiato. Tornato a Firenze alla fine del 1495, vi è rimasto 6 mesi, durante i quali ha eseguito un Cupido dormiente e un San Giovannino. Dopo, forse a causa della mancanza di commissioni nella repubblica savonaroliana, si è recato a Roma, conquistando in pochi anni una grande rinomanza con il Bacco, scolpito per il banchiere Iacopo Galli, e con la Pietà vaticana, realizzata per il cardinale francese Jean Bilhères de Lagraulas. Di nuovo a Firenze nella primavera del 1501, vi è rimasto per quattro anni, ricevendo importanti commissioni da privati, dalla signoria, dall’Opera del duomo e dalle più potenti corporazioni: commissioni che testimoniano il continuo e rapidissimo crescere della sua fama. Stilisticamente vicina alla Pietà vaticana è la severa immagine della Madonna col Bambino di Bruges, mentre il tondo Pitti (la Vergine col Figlio e san Giovannino) e il tondo Taddei, scolpiti qualche tempo più tardi, rivelano l’interesse per l’opera di Leonardo che, presente a Firenze in quegli anni, aveva esposto alla Santissima Annunziata il cartone della Santa Anna, suscitando enorme ammirazione. Delle 15 statuette per l’altare Piccolomini nel duomo di Siena, previste in un contratto del giugno 1501, solo 4 sono state fornite ed eseguite in gran parte da Baccio da Montelupo su disegni di Michelangelo, che ha lasciato incompiuto anche un David bronzeo ordinatogli dalla signoria nel 1502 per il maresciallo Pierre de Rohan. L’opera che ha impegnato maggiormente l’artista fra l’agosto 1501 e l’aprile 1504 è stata il David marmoreo, destinato a Santa Maria del Fiore ma collocato davanti all’ingresso del palazzo della Signoria. Allo stupore per il prodigioso virtuosismo tecnico dell’artista, che ha saputo trarre la gigantesca figura, senza aggiungere altri pezzi, da un enorme blocco già sbozzato quarant’anni prima da Agostino di Duccio e poi abbandonato, è stata senza dubbio superiore l’ammirazione per la resa della struttura e dei minimi particolari anatomici del corpo vigoroso, in posizione di stasi, ma carico di tensione, pronto all’azione, e per l’energica caratterizzazione del volto che riflette l’ideale rinascimentale dell’uomo libero e creatore del proprio destino. Michelangelo Buonarroti, riassunto Altra commissione di grande prestigio, da parte del gonfaloniere Soderini, è stata quella di un affresco raffigurante la Battaglia di Cascina per il salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Poco prima del cartone della Battaglia di Cascina, Michelangelo aveva dipinto per Agnolo Doni un tondo con la Sacra Famiglia, in cui le tre vigorose figure in primo piano, annodate da una catena di movimenti a spirale, sono inserite in uno spazio articolato che anticipa motivi propri dei pittori manieristi. L’invito a Roma da parte di Giulio II nel marzo 1505 e l’incarico di costruire il monumento funebre del pontefice hanno acceso la fantasia dell’artista che si è messo all’opera con entusiasmo, ideando un complesso architettonico che doveva sfidare la grandiosità degli antichi mausolei. Il progetto prevedeva un edificio di forma rettangolare con una cella funeraria coperta a cupola. All’esterno nell’ordine inferiore le 4 facciate erano divise da pilastri, con figure di Schiavi addossate, che racchiudevano nicchie con immagini di Vittorie. Più in alto quattro grandi figure rappresentavano il Vecchio e il Nuovo Testamento (Mosè e San Paolo) e la Vita attiva e la Vita contemplativa. Il coronamento era costituito dalle allegorie del Cielo e della Terra (o da due angeli) sorreggenti un’urna. Dopo un soggiorno di 8 mesi a Carrara per la scelta e l’estrazione dei marmi necessari, Michelangelo è tornato a Roma, impaziente di iniziare a scolpire, ma il pontefice nel frattempo aveva deciso di far erigere il nuovo San Pietro secondo i piani di Bramante. Michelangelo ha lasciato Roma il giorno prima dell’inizio dei lavori ed è tornato Firenze il 17 agosto 1506, inseguito invano dai messi papali e da lettere minacciose che gli ingiungevano di ritornare “sotto pena della sua disgrazia”. Tramite Giuliano da Sangallo ha offerto al papa di continuare a occuparsi del monumento a Firenze, dove è rimasto tre mesi riprendendo i lavori per la Battaglia di Cascina e per il San Matteo, l’unica iniziata delle 12 statue di apostoli commissionate dall’Opera di Santa Maria del Fiore nel 1503. Alla fine di novembre, in seguito alle continue sollecitazioni di Soderini, ha raggiunto a Bologna Giulio II ed ha fatto pace con lui, accettando l’ordinazione di una grande statua in bronzo raffigurante il pontefice. La scultura, che è costata a Michelangelo più di un anno di fatiche, è stata collocata sulla facciata di San Petronio nel febbraio 1508, ma tre anni dopo è stata distrutta in seguito al ritorno dei Bentivoglio. Il contratto per la decorazione ad affresco della volta della Cappella Sistina è stato sottoscritto nel maggio 1508: Michelangelo, accettato l’incarico con riluttanza, si è presto appassionato all’opera, ampliandone il programma e riversandovi tutto il patrimonio di idee e visioni che si erano accumulate in lui, fin dal tempo dei primi progetti per la sepoltura di Giulio II. Figure e architettura dipinta sono legate in un moto ascensionale che coinvolge lo spettatore, spingendone lo sguardo, oltre le gigantesche figure dei Profeti e delle Sibille, verso le Storie della Genesi, che raffigurano insieme le vicende dell’umanità “ante legem” e l’ascesa dell’anima all’intuizione del divino. Terminati gli affreschi Michelangelo ha ripreso i lavori per la sepoltura di Giulio II, firmando, dopo la morte del pontefice, un secondo contratto (maggio 1513), modificando e ingrandendo in parte il progetto originario ed eseguendo, nello spazio di tre anni, due figure di Schiavi e il Mosè. Un terzo contratto per il monumento, con un progetto ridotto nelle dimensioni, è stato stipulato nel 1516, ma neppure allora l’opera è stata condotta a termine a causa dei continui impegni dell’artista. La stessa sorte è toccata ai successivi progetti del 1526 e del 1532. Solo la sesta versione del monumento (1542), freddo riflesso del grandioso sogno giovanile, affidata in gran parte all’esecuzione degli aiuti, è stata terminata e collocata in San Pietro in Vincoli (1545). Le opere di Michelangelo A Giulio II era succeduto Leone X, il cardinale Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo, legato al Buonarroti da buoni rapporti fin dalla giovinezza. Dal nuovo pontefice Michelangelo ha ottenuto il primo importante incarico di natura architettonica: l’esecuzione della facciata di San Lorenzo a Firenze. Michelangelo ha preparato il modello in breve tempo (maggio-settembre 1517) e ha iniziato a occuparsi dell’estrazione dei marmi dalle cave di Carrara e Pietrasanta, ma nel marzo 1520, forse a causa della difficoltà di reperire i fondi necessari all’impresa, il papa ha annullato il contratto, sostituendo l’incarico con quello di trasformare una cappella di San Lorenzo in cappella funeraria dei Medici. Alla fine Michelangelo ha accettato la nuova commissione ed è rimasto a Firenze nonostante le sollecitazioni degli amici romani a trasferirsi a Roma dove gli incarichi più ambiti presso la corte pontificia erano rimasti vacanti alla morte di Raffaello. Il progetto definitivo per la Sacrestia Nuova di San Lorenzo e le tombe medicee è stato approvato all’inizio del 1521 e, nel 1525, l’organizzazione architettonica era già compiuta nelle parti fondamentali. Un anno prima era iniziata anche l’esecuzione delle statue per le tombe di Lorenzo, duca di Urbino, e di Giuliano, duca di Nemours. Ai lavori per la Sacrestia Nuova si intrecciarono quelli per la costruzione di una libreria nel convento di San Lorenzo, di cui Michelangelo aveva ricevuto la commissione da Clemente VII nel dicembre 1523. Approvati i primi progetti, che probabilmente già prevedevano una sala rettangolare e un vestibolo, l’esecuzione ha avuto inizio nell’agosto 1524. I lavori, interrotti nel 1526, sono stati ripresi solo 23 anni dopo. Il periodo seguente è stato tra i più travagliati della vita di Michelangelo che, dopo il sacco di Roma e la cacciata dei Medici da Firenze, ha abbracciato la causa repubblicana, entrando a far parte dei “Nove della milizia” e accettando (6 aprile 1529) la carica di “governatore e procuratore generale sopra alla fabrica et fortificazione delle mura delle città”. Si è recato allora a Ferrara per studiare le celebri opere difensive, ricevuto con grande onore dal duca Alfonso I d’Este, per il quale ha dipinto una Leda, e, di ritorno a Firenze, ha eseguito una serie di progetti per le mura e le porte, non realizzati per l’opposizione del gonfaloniere Niccolò Capponi. Il 21 settembre, presentendo il tradimento del Baglioni, non trovando ascolto presso la signoria, ha lasciato Firenze riparando a Venezia, incerto se proseguire per la Francia. Bandito dalla repubblica, il 15 dicembre è tornato nella città assediata dalle truppe imperiali e papali, riprendendo i lavori alle fortificazioni. Caduta la città (12 agosto 1530), si è dovuto nascondere per sfuggire a vendette private, finché non ha ottenuto il perdono di Clemente VII. Ha ripreso allora i lavori abbandonati alle tombe medicee ed è stato costretto anche ad accettare commissioni dai vincitori: un David-Apollo e progetti di una casa per il commissario pontificio Baccio Valori. Fonte: ansa Il Giudizio universale Tra il 1532 e il 1534 ha scolpito una figura virile di Vittoria e 4 Prigioni per la tomba di Giulio II. Insofferente per la nuova situazione politica di Firenze, venuto meno, anche in seguito alla morte del padre, ogni legame con la città, nel 1534 si è stabilito a Roma, accogliendo l’invito di Clemente VII e l’incarico di dipingere sulla parete dell’altare nella Cappella Sistina il Giudizio universale. Alla morte di Clemente VII la commissione gli è stata confermata dal nuovo pontefice Paolo III e l’affresco, iniziato nel 1536, è stato scoperto il 31 ottobre 1541. Sconvolgendo la tradizionale iconografia del tema, l’artista ha raffigurato l’atto finale della storia dell’umanità in uno spazio infinito, un cielo senza confini, rischiarato in basso da lividi bagliori, contro il quale si stagliano con violento contrasto quasi 400 figure, raggruppate senza ordine di piani e di grandezze, trascinate in un turbine che le travolge con moto vorticoso, scatenato dal gesto terribile del Cristo-Giudice che appare, in mezzo alla disperazione dei dannati e allo sgomento di santi, martiri e beati, nello splendore di un nimbo luminoso. Con il Giudizio, l’opera di Michelangelo appare, già agli occhi dei contemporanei, il momento culminante della secolare tradizione artistica, ma allo stesso tempo anche rivoluzionaria e polemica nei confronti della tradizione stessa. Le certezze morali e intellettuali del primo Rinascimento, la concezione dell’uomo padrone del proprio destino e la celebrazione della sua indomabile energia lasciano il passo alla visione di una immane tragedia che travolge l’umanità intera, dolente e sgomenta di fronte alla imperscrutabile condanna e al senso della propria fragilità e impotenza. Ma il Giudizio è stato anche l’opera che ha aperto la polemica fra i denigratori e gli esaltatori dell’opera di Michelangelo: da un lato c’erano le accuse di irreligiosità, di abbandono dell’iconografia tradizionale e di scandalosa licenza; dall’altro l’esaltazione della sua opera come conclusione di un grandioso processo e la celebrazione dell’artista e della tradizione fiorentina. Altre opere Contemporaneo all’affresco del Giudizio è il busto di Bruto, eseguito per il cardinale Ridolfi, uno degli esuli fiorentini che Michelangelo ha frequentato assiduamente a Roma. Al decennio seguente, oltre alla definitiva collocazione in San Pietro in Vincoli della tomba di Giulio II, per la quale l’artista ha eseguito allora le figure di Lia e Rachele, appartengono gli affreschi della Cappella Paolina, con la Conversione di Saulo (1542-1545) e il Martirio di san Pietro (1546-1550). Negli ultimi 20 anni gli interessi di Buonarroti, giunto al culmine della fama e circondato dall’ammirazione delle giovani generazioni di artisti che si sforzavano di imitare le sue opere, si spostarono verso l’attività architettonica. In questo periodo Michelangelo, oltre a inviare a Firenze istruzioni per i lavori conclusivi della Biblioteca laurenziana, ha progettato la sistemazione prospettica e monumentale di Piazza del Campidoglio, la ricostruzione a pianta centrale della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini (1550-1559), la trasformazione del tepidarium delle terme di Diocleziano nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Ha poi preparato disegni per la cappella Sforza in Santa Maria Maggiore e per Porta Pia; ha continuato, dopo la morte di Antonio da Sangallo il Giovane (1546), la costruzione di Palazzo Farnese; ed ha assunto la direzione dei lavori per la nuova Basilica Vaticana (dal gennaio 1547). Scartando i progetti di Raffaello e del Sangallo, è voluto tornare alla pianta centrale bramantesca ed ha concepito l’edificio come un colossale organismo plastico, trasferendo all’esterno l’ordine gigante dei pilastri che costituiva il nucleo della struttura interna e convogliando nella grande cupola la tensione di tutte le membrature. Le sculture degli ultimi anni (la Pietà da Palestrina, la Pietà del Duomo di Firenze e la Pietà Rondanini) riprendevano un unico tema: il compianto sul Cristo morto, interpretato nelle ultime due come superamento del dolore in una beatitudine per l’abbandono del carcere terreno. Michelangelo poeta Di Michelangelo rimangono inoltre un nutrito epistolario e circa 300 componimenti poetici, pochi anteriori al 1520, anche se è probabile che l’attività poetica sia iniziata già negli anni giovanili, stimolata dalla lezione dei poeti e dal fatto che l’artista aveva trascorso gli anni della sua formazione artistica e spirituale in un ambiente di straordinaria vivacità culturale. Buonarroti trovava nell’esercizio letterario un mezzo per fissare e chiarire pensieri e moti dell’animo, ma è indubbio che solo piuttosto tardi, trovata dopo molti tentativi una propria misura espressiva, si è dedicato alla poesia con una certa assiduità. A partire dal quarto decennio del secolo motivi centrali del suo canzoniere sono state le teorie platoniche sull’amore. L’esaltazione della bellezza fisica come manifestazione di un’armonia spirituale, rivelazione e incarnazione del divino, si accompagnava alla concezione dell’amore non come vincolo umano, ma come legame universale. Nelle rime degli ultimi anni, invece, sono diventati temi dominanti i motivi di carattere religioso: pensieri di morte e senso angoscioso del peccato, disperazione della salvezza e invocazioni. Le Rime occupano un posto di rilievo nella lirica del Cinquecento, soprattutto per il loro tono particolare, energico e austero, che tradisce la tensione verso una più intensa potenza espressiva. Molto importante è anche l’epistolario che, pur contenendo rari accenni all’attività artistica, permette di approfondire la conoscenza del suo mondo interiore, rivelando l’attaccamento al nucleo familiare, la devozione per il padre, l’animo impaziente e travagliato, la scontrosa e sospettosa solitudine, la generosità e una vocazione espressiva. Michelangelo è morto a 88 anni, dopo breve malattia, il 18 febbraio 1564, nella sua casa di Macel dei Corvi, a Roma. Il suo corpo, segretamente trasportato a Firenze dal nipote Leonardo, è stato sepolto in Santa Croce.
Breve biografia di Paolo Volponi-(Urbino, 6 febbraio 1924 – Ancona, 23 agosto 1994). Scrittore, poeta e narratore. Nelle sue opere si affermare l’esigenza di una razionalità capace di affermare le più integrali possibilità dell’uomo e di mirare ad una libera espansione delle sue facoltà corporee e mentali, a uso positivo del lavoro, della scienza e della tecnica. Nel 1975 divenne presidente della Fondazione Agnelli, ma fu costretto a lasciare tale incarico per la sua adesione al partito revisionista , sgradita ai vertici della Fiat. Nel 1991 si oppose alla dissoluzione del PCI e aderì a Rifondazione Comunista, che a suo avviso “manteneva viva la speranza di un mondo più giusto e più razionale. Nel suo ultimo romanzo “Le mosche del capitale”, narra la vita di un manager la cui genialità viene schiacciata in azienda dalle cieche logiche di potere e di guadagno. Tra le opere poetiche ricordiamo: Memoriale; Poesie e poemetti; Con testo afronte; Le mosche del capitale; Nel silenzio campale.
Paolo Volponi
Nella divisione del lavoro internazionale
ha un suo tratto assegnato anche la tua pena: …………..
Il paesaggio collinare di Urbino,
che innocente appare quercia per quercia
mentre colpevole muore zolla per zolla,
é politicamente uguale
al centro storico di Torino
che crolla palazzo per palazzo
o ai giardini della utopica lvrea
ricca casa per casa;
tutti nella nebbia che sale
del mare aureo del capitale.
L’unità di tutti i democratici.
Ma chi di loro e di noialtri
Può stare sempre unito con gli altri?
Seno diverse le entrate, le uscite e i nastri
di registro, di paga, di cure termali,
di premi, compensi, indennizzi in caso di disastri.
Sono divisi i beni, le aliquote, i mali
Perfino i giorni e il corso degli astri.
Non ‘e vero che siamo tutti uguali,
noi siamo una serie di impiastri
stesi fra i civili e gli animali.
Paolo Volponi
da POESIE 1946-66
L’amor di sé L’alba ancora non lascia
l’ultima onda notturna;
ancora trattiene l’ambascia
di persistere sola, recisa
ogni corda l’aria stessa, la fascia
del proprio lucore indivisa
dalla tela nera che s’accascia
non dietro, ma sotto tra l’intrisa
minuta rena della sua diaccia
incerta orma, alterna, lisa
dalla sua labile irriverente traccia.
La direzione è opposta
al verso del piede che frena
e dello sguardo che accosta
trepido la prima spalla terrena
libera, non tesa una mano opposta
per indicare una scena
seppure piccola, appena opposta
alla nera matassa, alla vulva oscena
della notte, incinta, non deposta…
Ma spinta di fronte alla vista di sé
pallida stenderà la colpa
lucente alta sopra la testa
e si scioglierà in vapore dentro
l’imprendibile sabbia.
Niente l’assorbe né la desta
e solo l’onda notturna
più larga sotto la chiglia
della luna dentro la nuova urna
le toccherà un gomito e le ciglia
ancora lucide del rimpianto:
perla della conchiglia
dell’amore di sé.
D’autunno è con noi D’autunno è con noi
ogni foglia e ghianda
ed è raggiunto il cielo.
Fra le avellane svolazza
la palomba ferita,
freme il sottobosco
agli scoppi
dei ricci di castagna.
Dolcissima è l’ultima uva
celata fra i pampini rossi,
sul fianco dei monti sale
il fumo delle carbonaie.
A sera
io provo il caldo smemorato
delle castagne,
del torbido vino,
il più nudo corpo
della mia donna.
Tu sei l’uomo Tu sei l’uomo
che nelle fiere
appresti il tiroasegno
con il gallo di ferro
che colpito scoppia
sulla polvere da sparo
nel selciato.
Che scavi il pozzo,
che porti a maggio
la croce di canna
nel campo di grano.
Tu freni il puledro,
conduci la volpe prigioniera
a tutte le case;
tu fischi ai bovi
nell’abbeverata
che hanno le rane nell’orme.
Tu sei l’uomo
che porti alle ragazze
il geranio e lo sposo.
Tu arroti i coltelli e le falci.
Tu insegni il fischio ai merli
ed hai l’erba che sana
il morso della vipera.
Paolo Volponi
Domani è già marzo Domani è già marzo e la strada
scopre tra i frutteti il petto della contrada.
A marzo il contadino
riordina gli attrezzi e libera i confini.
A marzo i contadini
scendono verso i paesi;
si fermano nelle piazze mercatali
davanti alle osterie, ai forni, ai falegnami
che odorano sotto i portali di pietra fiorita,
davanti ai negozi di ferramenta,
davanti a tutti gli spacci
con un sentore d’acqua muffita.
I vecchi si fermano alle porte;
i giovani salgono le vie cittadine.
Ormai li mischia aprile,
mese senza paura,
e salgono insieme i mezzadri e i garzoni,
i mietitori, i braccianti, i legnaioli,
i muratori di campagna, gli innestatori,
gli scavatori di pozzi e di vigna,
i cercatori d’acqua e i cacciatori.
Il giorno nella città non ha paura,
stretto tra le mura è sempre luminoso,
e sempre vive di qualche cosa, ora per ora;
preso alla mattina presto nei mercati,
nella profonda luce che rispecchiano
le facciate nobiliari o i porticati;
guidato per le vie al suono del selciati
sino ai vertici gentili dei rioni;
alzato a mezzogiorno in fronte alle chiese
su tutte le piazze, una sopra l’altra,
di mattone o di pietra,
non è vinto dalla foglia incerta,
non morto nella morte degli insetti;
non arato, seminato, sarchiato,
faticato ora per ora,
dalla mattina alla sera.
Il giorno gira nella città il suo dolce sole,
muove il ventaglio alto delle nubi,
e chiama dal mare l’amorosa luce serale
che si stende su tutte le terrazze,
sui giardini pensili, sull’arcate
dalle quali soffia l’Appennino.
Si congiunge alla notte per le strade,
quando vicino s’odono risate di ragazze
verso i torrioni e voci da tutti i portoni.
Porgimi, amore Porgimi, amore
il tuo ramo fiorito
la mente mattutina
nel cui cespo chiaro
ai venti incerti di ottobre
ripara l’allodola ferita,
l’azzurro ginepro degli altipiani
prossimi alla marina.
O la tua pietra
in bilico sul fiume,
la perduta foglia di salice
sull’acqua,
l’alga tenebrosa
dove un invisibile pesce respira.
Amore, amore,
porgimi del tuo albero
il frutto più alto
così la tua uva nascosta
e il piccolo orto
dal pettirosso fedele;
il tuo cavallino
dalla coda leggera,
la vipera che ti beve
il latte nel seno,
l’amoroso gallo
che ti sveglia
e la civetta compagna
alle tue notti di luna.
Porgimi, amore,
il tuo mutabile tempo
giovanile,
l’immobile sole
e il quarto di luna
della tua esatta stagione.
Paolo Volponi
Mia quaglia Della chiarissima quaglia
che nasce sulla spiaggia
agli approdi dei templi,
nell’ora che la luna di marea
rotola sabbia
e pesci luminosi,
tu hai lo smarrimento
e l’attonito canto.
Conosci il canneto
dove l’insetto sorpreso
annega nelle gocce,
il campo spiumato
alle piogge meridiane del grano.
Sul tuo collo
è giugno
stagioni delle falci
dal tenero filo,
luglio sulle spalle
con steli d’avena,
agosto sulla schiena
dorme come un cacciatore.
La vergine I sassi bianchi
sono le tue spalle
gli alberi la tua statura;
è la tua gola che batte
se una rosa si muove
non vista nel giardino.
Dì pure al vento
di perdere il tuo canto
nella voce dei fossi,
al rosmarino
di chiudere i sentieri.
L’innocente starna
si leva alta sul bosco
e m’indica il tuo cammino.
Poesia di Marijan Grakalić tradotta da Božidar Stanišić
è un commiato per Dubravka Ugrešić
Fonte -East Journal-
Pubblichiamo una poesia di Marijan Grakalić, apparsa su Radio Gornij Grad e tradotta per noi dal celebre scrittore bosniaco Božidar Stanišić. La poesia, sincera e antiretorica, è un commiato per Dubravka Ugrešić, scrittrice croata morta lo scorso 17 marzo, e a cui East Journal ha dedicato un paio di articoli in ricordo del suo formidabile contributo letterario. Con lei se ne va un altro pezzo di quella generazione di scrittori e intellettuali che seppero descrivere – vivendolo sulla propria pelle – la disgregazione jugoslava, il rimontare del nazionalismo – non solo nei Balcani – e la riflessione sul ruolo della letteratura nella società. Alcuni dei suoi libri sono tradotti in italiano.
Con partenza di Dubravka U.
Di nuovo nella notte il freddo bagliore del tempo che è passato
bussa alla porta, non si preoccupa degli ideali di mente, di salute
o sforzi di fortuna, tiene la sua campana
nascosta nel campanile costruito di ricordi e monumenti
di pietra. Scappo da loro, lì più che altrove
si può sentire la morte, e anche la tua morte. Allora pubblicherà
qualcuno, chiunque, la propria foto con te
sulla facciata di qualche palazzo, sul muro del castello descritto in
qualche vecchio libro. Lo farà per il desiderio
che anche lui sia nell’aura della gloria oltremondana, che si distingua
come custode della memoria propria o altrui, che
si presta attenzione a come è per lui la tua partenza
la stessa perdita, non importa quale, ma assolutamente
già allontanata dalle fauci della vita all’ombra, in un luogo
dove la luce si ritira prima dell’oscurità, da qualche parte
dove finiscono tutti i saluti dal buio. L’unica cosa in cui credo
ora son le parole che salgono dritte al mio
cuore, esse non immortaleranno niente e nessuno, nemmeno
te, saranno solo oneste e piene della loro stessa stanchezza,
della stanchezza del mondo che scompare con noi nelle strade deserte
delle città. Non è rimasto quasi nulla, in primavera
si dimentica ancora di più che in inverno, e presto forse
non ci sarà proprio nessuno a sentire il freddo bagliore del tempo,
la vibrazione della mano intorpidita e delle labbra gettate lungo la strada.
(Dubravka Ugrešić, 1949-2023)
di Marijan Grakalić Traduzione dal croato: Božidar Stanišić
—
Marijan Grakalić (1957) è uno scrittore, poeta, storico e pubblicista croato. È direttore del portale di cultura e letteratura Radio Gornji Grad, uno dei più letti dell’ex Jugoslavia, al quale collaborano numerosi autori della regione; è il fondatore del Festival della Cultura di Gornji Grad, che si tiene ogni anno a Zagabria. Negli anni Ottanta e Novanta è stato direttore della nota casa editrice Azur, poi direttore della casa editrice Mladost.
—
Di Dubravka Ugrešić sono usciti in lingua italiana:
Il museo della resa incondizionata, traduzione di Lara Cerruti, Milano, RCS Libri Bompiani, 2002
Vietato leggere, traduzione di Milena Djoković, Roma, Nottetempo, 2006
Il ministero del dolore, traduzione di Lara Cerruti, Milano, Garzanti, 2007
Baba Jaga ha fatto l’uovo, traduzione di Milena Djokovic, Roma, Nottetempo, 2011
Cultura karaoke, traduzione di Olja Perišić Arsić e Silvia Minetti, Roma, Nottetempo, 2014
Europa in Seppia, traduzione di Olja Perišić-Arsić e Silvia Minetti, Roma, Nottetempo 2016
Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Editore TASCHEN
Descrizione del libro di Charlotte Cotton-Mert Alas and Marcus Piggott-Mert Alas, born in Turkey, and Marcus Piggott, born in Wales, met in 1994, at a party on a pier in Hastings, England. Piggott asked Alas for a light, the pair got talking, and rapidly discovered they had plenty in common, not least a love of fashion. Three years later, the duo now known as Mert and Marcus had moved into a derelict loft in East London, converted it into a studio, and had their first collaborative photographic work published in Dazed & Confused.
These days, Mert and Marcus shape the global image of such renowned brands as Giorgio Armani, Roberto Cavalli, Fendi, Miu Miu, Gucci, Yves Saint Laurent, Givenchy, and Lancôme, and public figures including Lady Gaga, Madonna, Jennifer Lopez, Linda Evangelista, Gisele Bündchen, Björk, Angelina Jolie, and Rihanna. Their photographs encompass a wide range of styles and influences but are renowned particularly for their use of digitized augmentation of images, and a fascination for strong, sexually charged, confident female subjects: “powerful women, women with a meaning, a you-don’t-have-to-talk-or-move-too-much-to-tell-who-you-are kind of woman.”
Bringing our best-selling Collector’s Edition to an affordable, compact format, this collection explores the unique vision of a creative partnership that has defined and redefined standards for glamour, fashion, and luxury. Approximately 300 images from the megawatt Mert and Marcus portfolio are accompanied by an introduction by Charlotte Cotton.
First published as a TASCHEN Collector’s Edition, now available as an affordable, compact edition
Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·
Cotton has curated a number of exhibitions on contemporary photography, and her publications include The Photograph as Contemporary Art, Imperfect Beauty, Then Things Went Quiet, Guy Bourdin, and Photography is Magic. She is also the founder of wordswithoutpictures.org (2008–9) and EitherAnd.org (2012). Words Without Pictures was published by Aperture in 2010.[2]
Cotton was curator of photographs at the Victoria and Albert Museum from 1993 to 2004. She started working as an intern there in 1992.[4] She curated many exhibitions of historical and contemporary photography at the museum including: Imperfect Beauty: the making of contemporary fashion photographs (2000), Out of Japan (2002), Stepping In and Out: contemporary documentary photography (2003) and Guy Bourdin (2003).
Cotton was Curator and Head of the Wallis Annenberg Department of Photography at Los Angeles County Museum of Art (LACMA) from 2007 to 2009.
“Charlotte’s career bridges the traditional and the contemporary. That is her real strength,” said LACMA Director Michael Govan. “At the Victoria & Albert, she dealt with a collection of some 300,000 photographs that has great 19th century and early 20th century material, so she had a real grounding in a big museum collection and historic work. Then she gave it up to experiment and learn more about photography in the contemporary world. She has had huge experience, and she has taken risks. That’s a good combination.”[5]
Cotton has been a visiting critic and scholar at numerous universities and schools in the US and the UK including: NYU Tisch, New York; CCA, San Francisco; Parsons and SVA, New York; Yale University, New Haven; UPenn, Philadelphia; and UCLA, USC, UC Irvine, Los Angeles; Farnham College, Surrey Institute of Design, UK.[citation needed]
The first edition of The Photograph as Contemporary Art was published in 2004. The third was published in 2014 and has a new introduction and extended final chapter.
The Photograph as Contemporary Art is published in nine languages.
Photography is Magic
Photography is Magic is a critical book that surveys the work of over eighty artists, all of whom have experimental approaches to photographic ideas, set within the contemporary image environment, framed by Web 2.0.[9]Photography is Magic surveys over eighty artists whose practices are shaping the possibilities of the contemporary photographic landscape. The contributors include Elad Lassry, Sara VanDerBeek and Kate Steciw.
Curated projects
Exhibitions organized and co-organized by Cotton:
Fashion on Paper & Contemporary Fashion Photography, Victoria and Albert Museum, London, 1997
Information Units: A digital programme exploring the V&A’s Photography Collection. Devised and launched between April and November 1998
Silver & Syrup: a selected history of photography, Victoria and Albert Museum, London, 1998/99
Guy Bourdin, Victoria and Albert Museum, London (2003); National Gallery Victoria (2003); Centre Nationale de la Photographie Paris (2004); Foam Amsterdam (2004)
Stories from Russia: Melanie Manchot & David King, The Photographers’ Gallery, London, 2005
Art + Commerce Festival of Emerging Photographers, The Tobacco Warehouse, Brooklyn, 2005; MOC Gallery, Tokyo (2006); Fendi Gallery, Milan (2006); Matadero Madrid (2006, PHotoEspaña); Center for Photography, Stockholm (2006, XpoSweden)
Philip-Lorca diCorcia, LACMA, Los Angeles, 2008[11]
The Marjorie and Leonard Vernon Collection, LACMA, Los Angeles, 2008/09[12]
Daegu Photo Biennale: Photography Is Magic!, Daegu Arts and Culture Centre, Daegu, 2012[18]
Photoespaña 2014: P2P, Teatro Fernan Gomez, Madrid, 2014[19]
This Place, DOX Centre for Contemporary Art, Prague, 2014/15; Tel Aviv Museum, 2015; Norton Museum, Palm Beach, 2015; Brooklyn Museum, Brooklyn, 2016[20]
Close Enough: New Perspectives from 12 Women Photographers of Magnum, International Center of Photography, New York, 29 September 2022 – 9 January 2023[24]
Publications
Books that Cotton has authored and edited:
Cotton, Charlotte (2000). ‘Imperfect Beauty: The Making of Contemporary Fashion Photographs. V&A. ISBN1851773207.
Cotton, Charlotte (2003). Guy Bourdin. V&A. ISBN1851773991.
Cotton, Charlotte (2003). Then Things Went Quiet. MW Projects. ISBN0954631102.
Cotton, Charlotte (2005). Peek: The Art+Commerce Festival of Emerging Photographers. Art+Commerce. ISBN0977313905. (Editor, essay)
Cotton, Charlotte (2009). Paul Graham: A Series of Conversations between the photographer Paul Graham and Charlotte Cotton. Fabrica Madrid. ISBN9788496466760.
Cotton, Charlotte (2009). The Marjorie and Leonard Vernon Collection. LACMA. (Essay, published for LACMA)
Cotton, Charlotte (2009). Words Without Pictures. LACMA. ISBN9780875872032. (Founder of wordswithoutpictures.org, co-editor, essay, published for LACMA)
Cotton, Charlotte (2009). The Sun as Error: Shannon Ebner in Collaboration with Dexter Sinister. LACMA. ISBN9780875872001. (Commissioned and published for LACMA)
Cotton, Charlotte (2009). The Machine Project Field Guide to LACMA. Machine Project Press. ISBN9780061714573. (Essay, co-published for LACMA)
Cotton, Charlotte (2010). Four Over One: Phil Chang. LACMA. ISBN9780875872049. (Commissioned and published for LACMA)
Cotton, Charlotte (2010). Bananas for Moholy Nagy: Patterson Beckwith. LACMA. (Commissioned and published for LACMA)
Cotton, Charlotte (2012). Photography is Magic!. Daegu Photo Biennale. (Exhibition catalogue, essay, artists’ biographies)
Cotton, Charlotte (2014). The Photograph as Contemporary Art (World of Art). Thames & Hudson. ISBN978-0500204184. (Third edition with new introduction and extended final chapter)
Cotton, Charlotte (2014). This Place. Mack. ISBN978-1910164136. (Exhibition catalogue, editor, essay, interviews)
Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·Charlotte Cotton – Mert Alas and Marcus Piggott ·
Andrea Figari -Poesie Inedite pubblicate dal Blog L’Altrove
Andrea Figari è nato a Torino nel 1983 e ha conseguito la Laurea specialistica in Giurisprudenza presso la Facoltà di Torino. È autore fin qui di quattro raccolte, tutte pubblicate con Carta e Penna Editore: “Sentieri d’Esperanza” (2009), “Schegge di Rwanda” (2010), “ChiScac? Ovvero scacchi inVersi” (2013), “POeLITICA, Schegge di Poesia” (2020). Partecipa attivamente ad iniziative, incontri letterari oltre che aver ottenuto riconoscimenti in concorsi. Gestisce il blog: https://scheggedipoesia.wordpress.com/
Intreccio di colori
Vessillo di pace. La sua bandiera, i suoi colori, un intreccio di pensieri, arcobaleno di immagini. Il rosso è il primo scalino, il colore del sangue, quel sangue che scorre nelle vene e fino al cuore, al suo battito giunge. Rosso che si intreccia con l’arancione, il colore della buccia di molti agrumi, frutti di alberi, prezioso cibo per gli inverni freddi. Arancione che si intreccia con il giallo, il colore del grano nei campi da raccogliere e far divenire pane; un raggio di sole a riscaldare il suolo. Giallo che si intreccia con il verde, il colore della speranza, dell’erba e di un albero le sue foglie; un prato su cui correre. Verde che si intreccia con l’azzurro, il colore del cielo limpido, schiarito dopo il passaggio delle nuvole; in una favola il nome di un principe. Azzurro che si intreccia con il blu, il colore del mare, sguardo verso l’orizzonte a scrutare terre lontane. Blu che si intreccia con il viola, il suono dolce di uno strumento musicale, il nome di un fiore, per concludere il percorso.
La grolla dell’amicizia
Si narra una storia tra le case in pietra della Valle d’Aosta. Si tramanda il tempo che fu seduti davanti ad un camino, in una baita di montagna. Occasione preziosa a conclusione di una fredda giornata, al calare della sera, con le impronte di vita lasciate ormai sulla neve. Intorno al fuoco si ripercorrono i momenti, gli attimi trascorsi insieme. Si ripercorrono i ricordi, emozioni che si imprimono dentro. Gli sguardi si incrociano, le mani attendono la presa i legami si rafforzano. Il dolce profumo nell’aria inebria gli animi, riscalda i cuori. Giunge il momento del passaggio. Un grazie, un prego, un tesoro al suo interno, la bevanda è da sorseggiare, il rito, il calore della convivialità, la grolla dell’amicizia.
Sarebbe tempo
Sarebbe tempo di pace, sarebbe il tempo di seminare il grano nei campi d’Ucraina. Sarebbe tempo di pace, sarebbe il tempo di raccogliere il cibo di una terra coltivata. Sarebbe il tempo di dare spazio, alle stagioni, il loro trascorrere, lento e inesorabile. Sarebbe il tempo della natura, scende la neve in inverno, il sole scalda i germogli in primavera. Sarebbe tempo di pace, sarebbe il tempo di non dimenticare, di ricordare. Di costruire, di ricostruire, di risollevare. Sarebbe il tempo di mani, occhi e volti, sguardi che si intrecciano, diritti che si fondono, si infondano in luoghi dove sono ancora negati. Sarebbe il tempo della gente comune, di Russia e Ucraina. Di Iran, di chi ogni giorno è in lotta.
L’AUTORE
Andrea Figari è nato a Torino nel 1983 e ha conseguito la Laurea specialistica in Giurisprudenza presso la Facoltà di Torino. È autore fin qui di quattro raccolte, tutte pubblicate con Carta e Penna Editore: “Sentieri d’Esperanza” (2009), “Schegge di Rwanda” (2010), “ChiScac? Ovvero scacchi inVersi” (2013), “POeLITICA, Schegge di Poesia” (2020). Partecipa attivamente ad iniziative, incontri letterari oltre che aver ottenuto riconoscimenti in concorsi. Gestisce il blog: https://scheggedipoesia.wordpress.com/
L’Altrove -Chi siamo
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Andrea Ricciardi- Ferruccio Parri. Dalla genesi dell’antifascismo alla guida del governo-
Biblion Edizioni-Milano
Descrizione del libro-Andrea Ricciardi- Ferruccio Parri. Dalla genesi dell’antifascismo alla guida del governo-Il volume tratteggia, basandosi anche su carte d’archivio inedite, il percorso politico-culturale e umano di Ferruccio Parri a partire dagli anni Venti. Attivo nel contesto degli ex combattenti della Grande guerra, in seguito al delitto Matteotti Parri prese una posizione radicalmente antifascista che lo condusse in carcere e al confino, anche perché contribuì all’espatrio di Filippo Turati nel 1926. Alla fine degli anni Venti, con la nascita di Giustizia e Libertà fondata dall’amico Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani e Gaetano Salvemini, Parri iniziò la sua militanza attiva nel movimento, lavorando contemporaneamente presso la Edison dal 1933. Sebbene fosse di origine piemontese, Parri, sposato e con un figlio, visse a lungo a Milano. Qui, nel 1942, all’atto della fondazione, aderì al Partito d’Azione divenendone uno dei più prestigiosi dirigenti al fianco di Leo Valiani e Vittorio Foa, oltre che capo del Comitato militare del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). Incarcerato dai nazisti all’inizio del 1944, fu liberato dopo una trattativa con gli Alleati e tornò ad essere protagonista della Resistenza a capo del Corpo Volontari della Libertà (CVL) fino alla sconfitta del nazifascismo e alla fine della Seconda guerra mondiale. Nel giugno 1945 presiedette il primo governo di coalizione dopo la Liberazione: l’esperienza durò meno di sei mesi e si configura come il punto d’arrivo del libro, al quale è direttamente connessa l’appendice documentaria, cui l’autore ha lavorato con Alice Leone. Completa il libro la prefazione di Luca Aniasi, presidente FIAP ‒ Federazione Italiana Associazioni Partigiane.
AUTORE
Andrea Ricciardi, storico contemporaneista, è socio della Fondazione Rossi-Salvemini e Direttore Scientifico della FIAP. Ha collaborato a lungo con l’Università degli Studi di Milano, dove ha conseguito il dottorato di ricerca, è stato assegnista e docente. Si occupa di storia politica e culturale del Novecento, con particolare attenzione per vicende e figure dell’antifascismo e del movimento operaio. Tra le sue pubblicazioni, Leo Valiani. Gli anni della formazione. Tra socialismo, comunismo e rivoluzione democratica (Milano, FrancoAngeli, 2007), Paolo Treves. Biografia di un socialista diffidente (Milano, FrancoAngeli, 2018), Sinistra per l’Alternativa. Storia di una corrente del PSI 1976-1984 (Milano, Biblion, 2021) e, con Claudia Fredella, I saperi essenziali di storia (Milano, Giunti, 2021).
Biblion Edizioni
via Giuseppe Govone, 70 – 20155 Milano
Sara Parcak ha inventato l’archeologia spaziale, utilizzando immagini satellitari per cercare indizi dei luoghi perduti delle civiltà passate, cambiando il modo di studiare le rovine del mondo antico. Dal suo laboratorio in Alabama, sfruttando le mappe dei satelliti, questa trentasettenne ha già scandagliato mille tombe, 17 piramidi, scovato insediamenti di cui si ignorava persino l’esistenza. Il suo lavoro aiuterà ora a ricostruire Palmira, distrutta dall’Isis nella Siria in guerra.
La rivoluzione tecnologica nell’archeologia dai tempi di Indiana Jones
Ammettiamolo, Indiana Jones era un archeologo piuttosto scarso. Distruggeva i suoi siti, usava una frusta al posto di una spatola ed era più probabile che uccidesse i suoi colleghi piuttosto che scrivere insieme a loro resoconti archeologici.
Indipendentemente da ciò, “I predatori dell’arca perduta”, che ha festeggiato il suo 30° anniversario lo scorso 12 giugno, ha reso affascinante lo studio del passato per una intera generazione di scienziati.
Gli archeologi moderni che si sono ispirati ai “predatori” hanno però fortunatamente imparato dagli errori del dottor Jones, e ora utilizzano tecnologie avanzate come le immagini satellitari, la mappatura laser aerea, robot e scanner medici. Niente più fruste scientificamente inutili.
Tali innovazioni hanno permesso agli archeologi di individuare dallo spazio piramidi sepolte, creare mappe 3-D di antiche rovine Maya dal cielo, esplorare i relitti di navi romane e trovare prove di malattie al cuore in mummie di 3.000 anni. La maggior parte di questi strumenti proviene da settori quali biologia, chimica, fisica o ingegneria, così come da gadget commerciali, tra cui GPS, portatili e smartphone.
“Se scaviamo parte di un sito, lo distruggiamo”, dice David Hurst Thomas, curatore di antropologia al Museo americano di storia naturale di New York. “La tecnologia ci permette di scoprire molto di più prima ancora di entrare, come i chirurghi che fanno uso di TAC e risonanza magnetica”.
Gli archeologi hanno sfruttato queste tecnologie per scoprire antichi siti di interesse più facilmente che mai. Si può scavare con maggiore fiducia e meno danni collaterali, applicare le più recenti tecniche di laboratorio su antichi manufatti o resti umani, e datare meglio persone o oggetti.
Sarah Parcak Archeologo-studia-una-delle-immagini-satellitari-university-of-alabama-at-birmingham.
I satelliti indicano il luogo
Una delle rivoluzioni in corso nell’archeologia si basa sui satelliti in orbita sopra la Terra. Sarah Parcak, egittologa presso l’University of Alabama a Birmingham, e un team internazionale hanno recentemente usato immagini satellitari a raggi infrarossi per scrutare fino a 10 metri al di sotto del deserto egiziano. Hanno trovato migliaia di nuovi siti tra cui, credono, 17 piramidi.
Le immagini rivelano inoltre strade sepolte e case dell’antica città egizia di Tanis, un noto sito archeologico presente anche ne “I predatori dell’arca perduta” tre decenni fa. “Ovviamente, non zoommiamo le immagini satellitari per trovare l’Arca dell’Alleanza e il Pozzo delle Anime”, rassicura la Parcak.
Anche le immagini satellitari ordinarie di Google Earth sono utili. Molti dei siti egizi contengono sepolti edifici in mattoni di fango che si sgretolano nel tempo e si mescolano con la sabbia o il limo. Quando piove, i suoli con i mattoni di fango trattengono l’umidità più a lungo e appaiono scoloriti nelle foto satellitari.
“In passato, sarei saltato su una Land Rover e sarei andato a vedere un possibile sito”, dice Tony Pollard, direttore del Centre for Battlefield Archaeology presso l’Università di Glasgow in Scozia. “Ora, prima di fare questo, vado su Google Earth”.
Sara Parcak -Il-georadar-professional-images
Scavando facendo meno danni
Strumenti come il georadar possono anche aiutare gli archeologi a evitare di distruggere dati preziosi quando scavano antichi siti, spiega Thomas. “Molte tribù di nativi americani sono molto interessate nel telerilevamento che non è invasivo né distruttivo, perché a molti non piace l’idea di disturbare i morti o i resti sepolti”.
I magnetometri sono in grado di distinguere tra metalli sepolti, rocce e altri materiali in base alle differenze nel campo magnetico della Terra. I rilevamenti della resistività del terreno trovano invece gli oggetti in base alle variazioni della velocità della corrente elettrica.
Sara Parcak rilevamento-della-resistivita-elettrica-wiki
Dare una spolverata a vecchie ossa
Una volta che gli oggetti o le ossa sono riportati alla luce, gli archeologi possono consegnarli al laboratorio per un’analisi forense che impressionerebbe qualsiasi agente di CSI. Le scansioni con tomografia computerizzata comunemente utilizzate in medicina hanno rivelato arterie bloccate in una principessa egizia che finì mummificata 3.500 anni fa.
Questa tecnica è stata usata per identificare le origini di decine di soldati trovati in una fossa comune di 375 anni in Germania. “Alcuni venivano dalla Finlandia, alcuni dalla Scozia”, dice Pollard.
Sara Parcak -dr-michael-miyamoto-university-of-california
“Quando ero un cattivo ragazzo e andai a fare archeologia invece di medicina, mia
Sara Parcak -caracol-archaeological-project4
madre pensò che avrei speso tutto il mio tempo nel passato”, dice Thomas. “Ciò non potrebbe essere più lontano dalla verità; facciamo tutto il possibile per tenerci al passo con la tecnologia”.
Per il momento la tecnologia non eliminerà il bisogno di scavare, dicono gli archeologi. Ma se quel giorno arrivasse, “l’archeologia diventerebbe molto più noiosa”, afferma Pollard. E non è il solo a pensarlo.
“Va molto bene usare le immagini satellitari, ma fino a quando non vai sul campo sei bloccato in laboratorio”, conclude la Parcak. “È una costante nell’archeologia; devi scavare ed esplorare.”
Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-
Ilario Fiore (Cortiglione, 14 novembre 1925 – Roma, 12 settembre 1998)–E’ stato partigiano a diciotto anni in una brigata Garibaldi del Monferrato. Ha esordito nel giornalismo accompagnando una nave turca che dalla costa ligure trasportava ebrei superstiti dell’olocausto in Palestina. Ha vissuto sette rivoluzioni: Egitto, Argentina, Algeria, Ungheria, Spagna, Portogallo e Cina. Poi l’America di Kennedy e l’Unione Sovietica di Breznev. Ha lavorato per la RAI come inviato, gestendo le sedi di Mosca, di Madrid e di Pechino. Ha filmato venticinque documentari, primo dei quali la versione televisiva di un suo libro, “L’Italiano di Ponte Cayumba”. E’ autore di numerosi libri ricevendo numerosi riconoscimenti, dal premio “Marzotto” 1957, all’”Estense 1981” all’ “Assisi” 1989. Tra le sue opere più famose : “Tien An Men”, “Rapporto da Pechino”, “La croce e il drago”, “Il Kennediano”, “La nave di seta”. Morì nel 1998 mentre stava lavorando ad un libro sul tentato furto da parte dei russi dei progetti per il Concorde. Fu sepolto nel cimitero di Castel di Guido a Roma.Riportiamo qui di seguito due poesie inedite dello scrittore, entrambe le poesie sono dedicate alla madre.
(A una madre)
La leggenda di Angiolina.
Sei piccola ma mi sembravi grande
quando piangevo per venirti in braccio.
Il canto della tortora nel bosco
ti guidava fuori verso la luce
dove volevi che il figlio vivesse
lontano dai lupi di una favola
vera per te, azzannata com’eri
stata sui pascoli di Vallescura.
Sognavo di diventare scrittore
per metterti in un romanzo d’amore;
e pittore per dipingerti donna
di grandezza sovrannaturale,
oppure musicista per comporre
la canzone che potesse suonare
parole e note col tuo nome,
una gloria più lunga della vita.
Dicevi che dopo al Bambinello
veniva il tuo orfano di padre;
e non sapevi che tanto amore
rompeva quelle catene antiche
che non fecero volare uomini
tanto degni da essere tuoi figli.
La leggenda (2)
Dolorosa gloria della tua vita
ogni giorno dentro di me risuona;
ombra calda di estati lontane
nell’aia sotto l’albero di alloro;
e la nebbia della sera dei Morti
e la tua voce sicura accanto al fuoco
col requieterna sconfiggeva.
Restituivi certezze al bambino
che avevi voluto nella pena,
per dare gioia all’uomo che moriva
sulla Croce fatta con le doghe
della sua bottega di falegname.
Due pale di quercia ti lasciava
per farti più forte della spada
che l’aveva trafitto a Caporetto.
Frammento di quercia di quella croce
e filo di ferro di quella spada,
mi mandavi per le strade del mondo
a difendere le cause dei giusti.
Fino ad oggi nessuno ha saputo
che ignota vittoria amara
aveva arricchito di dolcezza
il latte succhiato dal tuo seno.
La tomba di Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-
Opere
Cose viste in Algeria 1956
Ultimo treno per Budapest 1957
Il Kennediano 1964
La campagna d’Italia fotografata dal pentagono 1965
Passaggio a sud-est 1965
Litaliano di ponte Cayumba 1967
Chi ha ucciso Kennedy 1968
Miss America 1969
Laurenti il terribile 1973
Caviale del Volga 1977
Spia del Cremlino 1977
La Spagna è differente 1980
Mal di Cina 1984
L’espresso di Shanghai 1987
Tien An Men 1989
I ragazzi di Tien An Men 1989
California 1989
Rapporto da Pechino 1990
La Croce e il Drago 1991
La nave di seta 1993
La stanza di Kerenskij 1994
L’uomo di Harbin 1996
Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-
Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-
Adélia Luzia Prado de Freitas, meglio conosciuta come Adélia Prado (Divinópolis, 13 dicembre 1935), è una poetessa, docente e filosofa brasiliana che si rifà al modernismo. Una delle caratteristiche del suo stile è il fatto di parlare del quotidiano con perplessità e incanto, guidato dalla fede cristiana. Nel 1976, invia il manoscritto di Bagagem ad Affonso Romano de Sant’Anna, colonnista di critica letteraria per Jornal do Brasil, il quale rimanendo colpito li invia a Carlos Drummond de Andrade, che spinge la pubblicazione del libro dall’Editora Imago. Da docente insegna per 24 anni, fino a quando si dedica interamente alla scrittura. Una moglie, una madre e una donna di casa, Adélia, grazie al suo ingresso nella letteratura brasiliana, fa sì che la figura della donna acquisti valore come essere pensante.
Adelia Prado
O sonho encheu a noite
Extravasou pro meu dia
Encheu minha vida
E é dele que eu vou viver
Porque sonho não morre.
Adélia Prado
Il sogno ha riempito la notte
Estravaso dalla mia giornata
Mi ha riempito la vita
Ed è lui che vivrò
Perché il sogno non muore.
Adélia Prado
Adélia costuma dizer que o cotidiano é a própria condição da literatura. Morando na pequena Divinópolis, cidade com aproximadamente 200.000 habitantes, estão em sua prosa e em sua poesia temas recorrentes da vida de província, a moça que arruma a cozinha, a missa, um certo cheiro do mato, vizinhos, a gente de lá.
Adelia dice spesso che la quotidianità è la condizione stessa della letteratura. Vivendo nella piccola Divinopolis, città di circa 200.000 abitanti, sono nella sua prosa e nella sua poesia temi ricorrenti della vita di provincia, la signora che sistema la cucina, la messa, un certo odore di cespuglio, vicini di casa, gente di là.
Adélia Prado
BALÉ
– A Imagem Refletida – Balé do Teatro Castro Alves – Salvador – Bahia – Direção Artística de Antônio Carlos Cardoso. Poema escrito por Adélia Prado especialmente para a composição homônima de Gil Jardim.
Vem de antes do sol
A luz que em tua pupila me desenha.
Aceito amar-me assim
Refletida no olhar com que me vês.
Ó ventura beijar-te,
espelho que premido não estilhaça
e mais brilha porque chora
e choro de amor radia.
(Divinópolis, 1998).
Adélia Prado
BALLET
– L’immagine riflessa – Balletto del Teatro Castro Alves – Salvador – Bahia – Direzione artistica di Antonio Carlos Cardoso. Poesia scritta da Adelia Prado appositamente per l’omonima composizione di Gil Garden.
Viene da prima del sole
La luce che nella tua pupilla mi disegna.
Accetto di amarmi così
Riflesso nello sguardo con cui mi vedi.
Oh ventura baciarti,
specchio che premuto non si frantuma
e più brilla perché piange
e piango d’amore radia.
(Divinopolis, 1998).
Dia
As galinhas com susto abrem o bico
e param daquele jeito imóvel
– ia dizer imoral –
as barbelas e as cristas envermelhadas,
só as artérias palpitando no pescoço.
Uma mulher espantada com sexo:
mas gostando muito.
– Adélia Prado
Adélia Prado
Giorno
Le galline spaventate aprono il becco
e si fermano in quel modo immobile
– stavo per dire immorale –
le barbe e le creste rosse,
solo le arterie che palpitano sul collo.
Una donna stupita dal sesso:
ma mi piace molto
– Adélia Prado
Adélia Prado
Testo estratto dal libro “Filandras”, Editore Record – Rio de Janeiro, 2001, pag. 111.
La mia anima è in difficoltà, tentata dalla tristezza e dalla sua raffinatezza. Mio padre morto non lo ripeterà quest’anno: “Niente come un pollo con riso dopo la messa”. Mia sorella piange perché suo marito è legato con i soldi e lei voleva davvero comprare qualche festa, qualche regalino in più, la vita, e lui trova tutto sciocco e vuole solo riempire il frigorifero con mortadella e birra. Forse per questo o perché mi sono trovata troppo vecchia nello specchio del negozio, ho difficoltà ad aiutare Coralia. Vorrei tanto piangere, sto piangendo davvero, alla vigilia della nascita del Signore, io che tremo appena nati. Sto trovando il mondo triste, volendo mamma e papà, anch’io Coralia ha detto: sei così creativa! E lo sono davvero, potrei inventarmi una sofferenza così insopportabile da appassire tutto intorno a me. Ma non voglio. E anche se volessi, per destino, non posso. Questo muschio tra le pietre non consente, è troppo verde E questa sabbia. Sono troppo carini! A mezzanotte arriva il ragazzo, a mezzanotte in punto. Fodero il sonno di paglia. Arriva, le cose lo sanno, perché pulsano, le pecore di gesso, la stella di brillantini, la laguna fatta di specchi. Farò le ghirlande per Coralia adornare il tuo negozio. Le radiazioni della “luce che non ferisce gli occhi” si fanno strada tra le macerie, avanza impercettibile e i ruvidi, anche i ruvidi, bagnati. Sfoco un po’ lo sguardo e c’è l’aureone, la chiarezza attesa, a Coralia, a Giovanna con suo marito e in me, anche in me che scelgo di bere il vino della gioia, perché da questo luogo, dove “il leone mangia la paglia con il bue”, questa certezza mi prende: “uno piccolo ragazzo ci condurrà”.
Presso il Presepe- Adelia Prado
Testo estratto dal libro “Filandras”, Editore Record – Rio de Janeiro, 2001, pag. 111.
Adélia Prado
· ” Dona Doida “
Uma vez, quando eu era menina, choveu grosso
com trovoadas e clarões, exatamente como chove agora.
Quando se pôde abrir as janelas,
as poças tremiam com os últimos pingos.
Minha mãe, como quem sabe que vai escrever um poema,
decidiu inspirada: chuchu novinho, angu, molho de ovos.
Fui buscar os chuchus e estou voltando agora,
trinta anos depois. Não encontrei minha mãe.
A mulher que me abriu a porta, riu de dona tão velha,
com sombrinha infantil e coxas à mostra.
Meus filhos me repudiaram envergonhados,
meu marido ficou triste até a morte,
eu fiquei doida no encalço.
Só melhoro quando chove.
– Adélia Prado
O texto acima foi extraído do livro “Poesia Reunida”, Editora Siciliano – 1991, São Paulo, página 108.
Adélia Prado
“Dona pazza”
Una volta, quando ero bambina, pioveva forte
con temporali e lampi, esattamente come piove ora.
Quando si è potuto aprire le finestre,
le pozzanghere tremavano con le ultime gocce.
Mia madre come chi sa che scriverà una poesia
ha deciso ispirato: nuovissimo chuchu, angu, salsa all’uovo.
Sono andato a prendere i chuchus e sto tornando ora,
trent’anni dopo Non ho trovato mia madre.
La donna che mi ha aperto la porta, ha riso di una donna così vecchia,
con ombrello per bambini e cosce in vista.
I miei figli mi hanno ripudiato in vergogna,
mio marito era triste fino alla morte,
Sono impazzito a cercare
Miglioro solo quando piove
– Adélia Prado
Il testo sopra è stato estratto dal libro “Poesia riunita”, Editore Siciliano – 1991, San Paolo, pagina 108.
·
Texto extraído do livro “Quero minha mãe”, Editora Record – Rio de Janeiro, 2005, pág. 41.
Adélia Prado
Quero minha mãe
Abel e eu estamos precisando de férias. Quando começa a perguntar quem tirou de não sei onde a chave de não sei o quê, quando já de manhã espero não fazer comida à noite, estamos a pique de um estúpido enguiço. Sou uma pessoa grata? Às vezes o que se nomeia gratidão é uma forma de amarra. Entendo amor ao inimigo, mas gratidão o que é? Tenho problemas neste particular. Se aviso: passo na sua casa depois do almoço, acrescento logo se Deus quiser, não sendo grata, temo que me castigue com um infortúnio. Bajulo Deus, esta é a verdade, tenho o rabo preso com Ele, o que me impede de voar. Como posso alçar-me com Ele grudado à cauda? Uma esquizofrenia teológica, eu sei, quando fica tudo confuso assim, meu descanso é recolher-me como um tatu-bola e repetir até passar a crise, Senhor, tem piedade de mim. Até em sonhos repito, Senhor, tem piedade de mim, é perfeito. Sensação de confinamento outra vez, minha pele, minha casa, paredes, muro, tudo me poda, me cerca de arame farpado. Coitada da minha mãe, devia estar nesta angústia no dia em que me atingiu: “trem ordinário” Com certeza não suportava a idéia, o fardo de ter-que-dar-conta-daquela-roupa-de-graxa-do-meu-pai, daquele caldo escuro na bacia, fedendo a sabão preto e ela querendo tempo pra ler, ainda que pela milésima vez, meu manual de escola, o ADOREMUS, a REVISTA DE SANTO-ANTONIO. Mãe, que dura e curta vida a sua. Me interditou um reloginho de pulso, mas não teve meios de me proibir ficar no barranco à tarde, vendo os operários saírem da oficina, sabia que eu saberia o motivo. Duas mulheres, nos comunicávamos. Tá alegre, mãe? A senhora não liga de ficar em casa, não? Posso ir no parque com a Dorita? Vai chamar tia Ceição pra conversar com a senhora? Nem na festa da escola, nem na parada pra ver eu carregar a bandeira ela não foi. Não dava para ir de “mantor” porque era de dia com sol quente, gastei cinqüenta anos pra entender. Teve uma lavadeira, a Tina do Moisés, que ela adorava e tratava como rainha. Sua roupa acostumou comigo, Clotilde, nem que eu queira, não consigo largar. Foi um tempo bom de escutar isto, descansei de vê-la lavando roupa com o olhar perdido em outros sítios, sentindo e querendo, com toda certeza, o que qualquer mulher sente e quer, mesmo tendo lavadeira e empregada. Tenho sonhado com a mãe tomando conta de mim, me protegendo os namoros, me dando carinho, deixando, de cara alegre, meus peitinhos nascerem e até perguntando: está sentindo alguma dor, Olímpia? É normal na sua idade. Com certeza aprendeu, nas prédicas às Senhoras do Apostolado, como as mães cristãs deviam orientar suas filhas púberes. Te explico, Olímpia, porque pode te acontecer na escola, não precisa levar susto, não é sangue de doença. Achei minha mãe bacana, uma palavra ainda nova que só os moleques falavam. Coitadas da Graça e da Joana, que nem isso ganharam dela. Morreu antes de me ensinar a lidar com as incômodas e trabalhosas toalhinhas. mãe, mãezinha, mamãezinha, mamãe, e o reino do céu é um festim, quem escondeu isto de você e de mim?
– Adélia Prado
Texto extraído do livro “Quero minha mãe”, Editora Record – Rio de Janeiro, 2005, pág. 41.
Voglio la mia mamma
Io e Abel abbiamo bisogno di una vacanza Quando inizi a chiedere chi ha preso da non so dove la chiave di non so cosa, quando già al mattino spero di non cucinare la sera, siamo in giro per uno stupido maialino. Sono una persona grata? A volte ciò che si chiama gratitudine è una forma di legatura. Capisco l’amore per il nemico, ma la gratitudine cos’è? Ho dei problemi in questo privato. Vi avverto: passo a casa vostra dopo pranzo, aggiungo subito se Dio vuole, non essendo grato, temo che mi punisca con una sfortuna. Dio lusinghiero, questa è la verità, ho il sedere incastrato con Lui, il che mi impedisce di volare. Come posso stare con Lui attaccato alla coda? Una schizofrenia teologica, lo so, quando tutto si confonde così, il mio riposo è raccogliermi come un tatu-palla e ripeterlo fino alla crisi, Signore, abbi pietà di me. Anche nei sogni ripeto, Signore, abbi pietà di me, è perfetto. Sensazione di reclusione ancora, la mia pelle, la mia casa, i muri, il muro, tutto mi pota, mi circonda di filo spinato. Povera mia madre, dovrei essere in questa angoscia il giorno in cui mi ha colpito: “treno ordinario” Di sicuro non sopportavo l’idea, il peso di dover-dare-conto-di quel-vestito di levasso di mio padre, di quel brodo scuro nella bacinella, puzza di sapone nero e lei che vuole tempo per leggere, anche se per la millesima volta, il mio manuale di scuola, l’ADOREMUS, la RIVISTA DI SANT’ANTONIO Mamma, che dura e breve vita la tua. Mi ha vietato un orologio da polso, ma non ha avuto modo di vietarmi di stare al barcone il pomeriggio a guardare gli operai lasciare l’officina, sapeva che avrei saputo il motivo. Due donne, comunicavamo. Sei felice, mamma? La signora non le importa di stare a casa, vero? Posso andare al parco con Dorita? Chiamerai zia Ceizione per parlare con la signora? Né alla festa della scuola, né alla parata per vedermi portare la bandiera, lei non c’è andata. Non potevo fare il “mantore” perché era giorno con il sole caldo, ho speso cinquant’anni per capire. C’era una lavandaia, la Tina di Mosè, che lei amava e trattava come una regina. Il tuo vestito mi ha abituato, Clotilde, anche se lo voglio, non riesco a lasciarlo andare. È stato un bel momento per ascoltarlo, mi sono riposato nel vederla fare il bucato con lo sguardo perso altrove, sentendo e volendo, sicuramente, quello che ogni donna sente e vuole, anche se ha lavandaia e una cameriera. Ho sognato che mamma si prendesse cura di me, mi proteggeva gli appuntamenti, mi dava affetto, lasciandomi nascere, con un viso allegro, le mie tette e mi chiedevano anche: stai provando dolore, Olimpia? È normale alla tua età. Sicuramente hai imparato, nelle prediche delle signore dell’Apostolato, come le madri cristiane dovrebbero guidare le loro figlie pubere. Te lo spiego Olimpia perché può capitare a scuola, non devi spaventarti, non è sangue di malattia. Ho trovato mia madre figa, una parola ancora giovane che solo i ragazzi parlavano. Povere Grazia e Giovanna, che non l’hanno battuta nemmeno quella. È morto prima di insegnarmi a gestire le fastidiose e le fastidiose salviette. mamma mamma mamma mamma mamma e il regno del cielo è una festa chi l’ha nascosto a me e a te?
– Adelia Prado
Testo estratto dal libro “Voglio mia madre”, Record Editore – Rio de Janeiro, 2005, pag. 41.
Adélia Prado
Com licença poética
Quando nasci um anjo esbelto,
desses que tocam trombeta, anunciou:
vai carregar bandeira.
Cargo muito pesado pra mulher,
esta espécie ainda envergonhada.
Aceito os subterfúgios que me cabem,
sem precisar mentir.
Não sou feia que não possa casar,
acho o Rio de Janeiro uma beleza e
ora sim, ora não, creio em parto sem dor.
Mas o que sinto escrevo. Cumpro a sina.
Inauguro linhagens, fundo reinos
— dor não é amargura.
Minha tristeza não tem pedigree,
já a minha vontade de alegria,
sua raiz vai ao meu mil avô.
Vai ser coxo na vida é maldição pra homem.
Mulher é desdobrável. Eu sou.
Con permesso poetico
Quando sono nato un angelo snello,
di quelli che suonano la tromba, ha annunciato:
vai a portare bandiera.
Un posto molto pesante per una donna,
questa specie ancora vergognata.
Accetto i sotterfugi che mi stanno bene,
senza dover mentire.
Non sono brutta che non posso sposarmi,
Trovo Rio de Janeiro una bellezza e
Bene sì, ora no, credo nel parto senza dolore.
Ma quello che sento lo scrivo. Faccio il destino.
Inauguro le stirpe, i regni di fondo
— il dolore non è amarezza.
La mia tristezza non ha pedigree,
già la mia voglia di gioia,
la tua radice va a mio nonno mille
Sarà zoppo nella vita è una maledizione per gli uomini.
Le donne sono pieghevoli Lo sono.
·
Com licença poética
Quando nasci um anjo esbelto,
desses que tocam trombeta, anunciou:
vai carregar bandeira.
Cargo muito pesado pra mulher,
esta espécie ainda envergonhada.
Aceito os subterfúgios que me cabem,
sem precisar mentir.
Não sou feia que não possa casar,
acho o Rio de Janeiro uma beleza e
ora sim, ora não, creio em parto sem dor.
Mas o que sinto escrevo. Cumpro a sina.
Inauguro linhagens, fundo reinos
— dor não é amargura.
Minha tristeza não tem pedigree,
já a minha vontade de alegria,
sua raiz vai ao meu mil avô.
Vai ser coxo na vida é maldição pra homem.
Mulher é desdobrável. Eu sou.
Con permesso poetico
Quando sono nato un angelo snello,
di quelli che suonano la tromba, ha annunciato:
vai a portare bandiera.
Un posto molto pesante per una donna,
questa specie ancora vergognata.
Accetto i sotterfugi che mi stanno bene,
senza dover mentire.
Non sono brutta che non posso sposarmi,
Trovo Rio de Janeiro una bellezza e
Bene sì, ora no, credo nel parto senza dolore.
Ma quello che sento lo scrivo. Faccio il destino.
Inauguro le stirpe, i regni di fondo
— il dolore non è amarezza.
La mia tristezza non ha pedigree,
già la mia voglia di gioia,
la tua radice va a mio nonno mille
Sarà zoppo nella vita è una maledizione per gli uomini.
Le donne sono pieghevoli Lo sono.
·
Adélia Prado
Adélia Luzia Prado de Freitas, meglio conosciuta come Adélia Prado (Divinópolis, 13 dicembre 1935), è una poetessa, docente e filosofa brasiliana che si rifà al modernismo. Una delle caratteristiche del suo stile è il fatto di parlare del quotidiano con perplessità e incanto, guidato dalla fede cristiana. Nel 1976, invia il manoscritto di Bagagem ad Affonso Romano de Sant’Anna, colonnista di critica letteraria per Jornal do Brasil, il quale rimanendo colpito li invia a Carlos Drummond de Andrade, che spinge la pubblicazione del libro dall’Editora Imago. Da docente insegna per 24 anni, fino a quando si dedica interamente alla scrittura. Una moglie, una madre e una donna di casa, Adélia, grazie al suo ingresso nella letteratura brasiliana, fa sì che la figura della donna acquisti valore come essere pensante.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.