Cenni biografici Evelyn Scott (Clarksville, Tennessee, 1893 – New York 1963) era una scrittrice, drammaturga e poetessa americana. Scrittore modernista e sperimentale, Scott “era una figura letteraria significativa negli anni ’20 e ’30, ma alla fine cadde nell’oblio della critica”.
DESCRIZIONE – RECENZIONI
“Avuta, giovanissima, l’intrepida avventura di una fuga dal Brasile con un uomo povero e marito di un’altra, ha lasciato un libro autobiografico… Uno stile duro, freddo, sempre amaro d’istinto, che rimarrà un esempio di ardita forza” (Elio Vittorini, Americana)
“Evelyn Scott scriveva piuttosto bene, per essere una donna” (William Faulkner)
Nel 1913 una ragazza minorenne, incinta, fugge in Brasile con un uomo che potrebbe essere suo padre, suscitando uno scandalo di cui si impadronisce la stampa. Rimane in Sud America sei anni, in una zona remota, affrontando prove durissime, miseria, sofferenza, disprezzo. E’ la storia di una sfida: una delle molte sostenute da questa giovane nata nel 1893 nel Tennessee, che si è lasciata alle spalle una casa in stile Via col vento, un’adolescenza di “ardente femminista” e persino il suo nome vero, per chiamarsi Evelyn Scott, consapevole, forse, che la sua vita somiglierà a quella di un’eroina romanzesca degli anni Venti.
Tornata in America, Evelyn Scott diventa improvvisamente una stella del firmamento letterario di New York: la sua carriera di scrittrice è vertiginosa. Quando pubblica le sue prime poesie, William Carlos Williams le scrive: “Lei è – oltre a H.D. – l’unica donna che possa far poesia oggi”.
E Sinclair Lewis, dopo aver letto il suo primo romanzo, The Narrow House: “Salutiamo Evelyn Scott. E’ una di noi; una che sa; un’artista autentica. Il suo libro è un avvenimento”. Escapade (In fuga), il diario del suo periodo brasiliano, s’impone nel 1923 come storia di uno scandalo e di una ribellione ai codici sociali. Ma Evelyn sembra avere anche il dono della divinazione critica: scrive il suo primo lungo saggio americano su Joyce, Un contemporaneo del futuro, e “lancia” Willian Faulkner, allora agli esordi, convincendo il proprio editore a pubblicare L’urlo e il furore. Quando però Faulkner riceve il Nobel nel 1950 Evelyn non pubblica più da tempo; morirà nel 1963, dimenticata, lasciando dietro di sé poche tracce e molti enigmi.
Elio Vittorini, nell’Americana, scopriva Evelyn Scott tra i “piccoli scrittori irrequieti” degli anni Venti – Robert McAlmon, Waldo Franck, Ben Hecht – e pubblicava alcune pagine di Escapade nella traduzione di Eugenio Montale. “Non le ho più dimenticate” scrive Marisa Bulgheroni nel commento alla prima edizione italiana (1988). “Il libro brasiliano di Evelyn si colloca sullo scaffale di quei rari testi autobiografici (Walden di Thoreau, La mia Africa di Karen Blixen) che usano la prima persona singolare come un appostamento, un osservatorio tramite il quale rivelarci un mondo mai fino allora immaginato – si tratti di un lago tra i boschi,di un continente o dello spazio psichico”.
Editori Riuniti, Via di Fioranello n.56, 00134, Roma (RM)
Poesie di Stig Dagerman -Breve è la vita di tutto quel che arde
Traduzione di: Fulvio Ferrari-IPERBOREA casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani
DESCRIZIONE-Per la prima volta tradotta in italiano, un’antologia che dà conto di circa dieci anni di attività poetica di Stig Dagerman.
«Un giorno all’anno si dovrebbe immaginare / la morte chiusa in una scatoletta bianca. / A nessuna illusione si dovrebbe rinunciare, / nessuno morrebbe per quattro dollari in banca. // (…) Nessuno vien bruciato all’improvviso / e nessuno per strada ha da crepare. / Certo, è menzogna, son del vostro avviso. / Dico soltanto: Possiamo immaginare.» Stig Dagerman espresse anche in versi la vicinanza agli ultimi e l’umanesimo dolente che in una continua tensione tra speranza e disincanto attraversano la sua multiforme opera in prosa. Negli anni 1944-47 e 1950-54, fino al giorno prima di morire, scrisse per il giornale anarchico Arbetaren oltre 1300 dagsedlar, poesie satiriche a commento della cronaca politica e sociale che con il loro tono diretto contribuirono a fare di Dagerman un riferimento identitario per i giovani libertari della sua generazione. Il metro è per lo più tradizionale, quasi da filastrocca, ma la giocosità della rima e del ritmo potenzia per contrasto la durezza dei contenuti: gli accordi della «democratica» Svezia con la Spagna di Franco, i senzatetto di Stoccolma lasciati al freddo, i bambini armati per combattere le guerre dei grandi. Ai brevi componimenti di denuncia, questo volume affianca una scelta di versi in cui la forma irregolare insieme alla riflessione sulla condizione umana, pur sempre intrecciata all’impegno politico, avvicina l’autore alle avanguardie internazionali e ben accoglie simboli e metafore della sua narrativa. Una lettura toccante che aggiunge un tassello significativo al ritratto di uno sperimentatore instancabile al quale ancora oggi s’ispirano scrittori, giornalisti e musicisti di tutta Europa.
Approfondimento
«Abbattete i poveri». E Dagerman si spense
Data: 1 Dicembre 2022
Recensione di Angelo Ferracuti a «Breve è la vita di tutto quel che arde» di Stig Dagerman, apparsa su La Lettura il 6 novembre 2022
Tutta la letteratura di Stig Dagerman è fortemente permeata di esistenzialismo politico e coerenza tematica, ma anche da un contrasto molto forte tra io e mondo, istinto di libertà, desiderio di giustizia sociale contrapposti alla brutalità del potere. Come la sua cristallina postura di autore è segnata da una combattività angosciata e a volte disperata, che pendolareggia tra sogno utopico e disincanto, speranza e disillusione, e da una militanza totale nel movimento libertario svedese vissuta a microfono aperto nella sua breve vita, iniziata nel 1923 e finita a soli 31 anni nel 1954 quando morì suicida al culmine del successo editoriale.
In poche stagioni ci ha lasciato alcuni libri di rara forza espressiva, valore letterario e trasporto emotivo, la passione e la purezza delle raccolte di racconti, romanzi come «Bambino bruciato», «I giochi della notte», «Il serpente», l’esordio del «1945», il lancinante «Il nostro bisogno di consolazione», un breve ma intensissimo monologo filosofico sulla tensione dell’uomo verso la felicità, il bisogno di libertà e lo schiacciante sistema di dominio sociale, che può reputarsi il suo testamento intellettuale; i reportage lirici di «Autunno tedesco», quando fu inviato da l’«Expressen» nel 1946 in Germania fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, a raccontare il Paese sconfitto, tutti libri fedelmente editi da Iperborea.
Un’altra componente di Dagerman e della sua letteratura è la ricerca ossessiva della coerenza visionaria attraverso quella che ha definito «La politica dell’impossibile», nella letteratura e nella vita, titolo di un libro di saggi, avversa a quella «Realpolitik», la politica concreta, pragmatica, dello status quo, dei compromessi e della rinuncia al cambiamento, schiacciata dal giogo economico.
Adesso esce il libro delle sue poesie politiche, «Breve è la vita di tutto quel che arde» (Iperborea) tradotto e curato con rigore e passione da Fulvio Ferrari, professore ordinario di Filologia germanica all’università di Trento, ma soprattutto grande conoscitore e divulgatore delle letterature scandinave. Si tratta di una scelta del suo corpus poetico che mette insieme testi sparsi ai «dagsedlar», dispacci quotidiani spesso scritti in rima affidati al giornale anarchico «Arbetaren» («L’operaio»), di cui era redattore, che però nel linguaggio corrente significa anche «ceffoni» per la loro immediatezza e vicinanza ai fatti di cronaca.
Insieme agli accadimenti storici c’è anche la vena esistenzialistica e romantica dello scrittore svedese: l’incrocio di questi due elementi è la sua cifra, il suo conio profondo che percorre tutta la sua opera, dentro quell’angoscia e paura prodotte dalla Seconda guerra mondiale che ne è il tellurico fondale storico.
Nel libro si alternano differenti stili compositivi, riflessioni intimistiche sulla condizione umana e il senso della vita, così come testi di impegno sociale come l’intenso «No pasarán» dove commemora l’epica tragica della guerra di Spagna con tutta la sua verve antifranchista, un inno alla lotta, alla resistenza.
La poesia di Dagerman ha una urgenza politica, ma soprattutto esistenziale, stilistica, la forma è il suo fuoco, la forma che incrocia gli ideali dei «Cuori ardenti» di cui parla in un saggio, anche per questo lo sentiamo contemporaneo e fratello, la sua letteratura è viva. I «dagsedlar», scritti con caustica ironia, hanno spesso l’andamento di una filastrocca, un gusto agrodolce, nel senso che ibridano lo stile cantilenante del verso con contenuti di dura crudezza, spietati, del palcoscenico impazzito del mondo, e nascono sempre da una notizia di cronaca.
I temi sono l’antimilitarismo, la bomba atomica, la condizione umana degli ultimi, la violenza sui bambini, un argomento molto caro a Dagerman, siano essi i senzatetto svedesi o gli africani dannati della Terra, i neri americani condannati a morte e portati al patibolo, come in «Due volte morto»: «Tutti quanti abbiamo da imparare,/ ci si allena ore e ore per fare il boia./ Che importa come un negro può campare,/ Quello che conta è che un negro muoia».
L’anarchico ribelle, quello che dice di voler opporre il potere delle sue parole «a quello del mondo, perché chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà», è anche al fianco dei lavoratori insorti in Germania dell’Est contro il regime comunista: «Quante volte il popolo avete chiamato./ Ora rispondiamo: Siam qui, siamo arrivati./ Fatevi avanti, popolari signori/ – e se vi è possibile, disarmati!».
L’ultima poesia scritta da Dagerman si intitola «Attenti al cane!», pubblicata il 5 novembre 1954, e nasce dopo avere letto la dichiarazione di un responsabile della Previdenza sociale di Värmland, una contea che si trova nella parte occidentale del Paese: «Certo è deplorevole che gente che vive di sussidi tenga poi un cane» fu l’affermazione indignata di una persona probabilmente appartenente alla ricca borghesia svedese.
Stig Dagerman il ribelle, lo scrittore nato nel cuore del proletariato e figlio di un operaio artificiere poverissimo e di una telefonista, quello posseduto dal radicalismo che giovanissimo diresse «Storm», il giornale della gioventù anarchica, reagisce a queste parole scrivendo versi venati di ironica indignazione, descrive la gente dei bassifondi come quelli che «stanno in stanzette strette e fosche/ con i loro bastardi costosi», poi la denuncia arriva con un’invettiva provocatoriamente sarcastica: «Ora è il momento di esser risoluti:/ Abbattere i cani! Non è buona cosa?/ E siano poi anche i poveri abbattuti,/ così il Comune risparmia qualcosa».
La poesia fu pubblicata il giorno dopo la sua morte, l’aveva scritta ventiquattr’ore prima di uccidersi con il gas di scarico della sua automobile.
Dopo una serie di tentativi di suicidio non riusciti, sprofondato in una cupa depressione, questa volta aveva organizzato tutto, scrivendo persino l’epitaffio per la sua lapide: «Qui riposa/ uno scrittore svedese/ caduto per niente/ sua colpa fu l’innocenza/ dimenticatelo spesso».
PAOLO RUFFILI-LE POESIE DI DAGERMAN- Fonte sito www.italian-poetry.org
Stig Dagerman (1923-1954), svedese, è uno di quei talenti precoci che compiono tutto quello che li riguarda creativamente parlando entro i trent’anni, indipendentemente dal fatto che si sia deliberatamente tolto la vita al compimento dei 31 anni. Del resto aveva tentato di farlo qualche altra volta già prima e, a spiegarne almeno in parte la prospettiva autodistruttiva, c’è la sua vicenda biografica, anche se l’autore più tardi ha descritto l’infanzia come l’epoca forse più felice della sua vita. Ma, in seguito all’abbandono da parte della madre nei primissimi mesi dopo la nascita e per la difficoltà del padre minatore di garantire le condizioni essenziali alla crescita, il piccolo Stig fu ospitato e cresciuto dai nonni paterni. Nei nonni, similmente a quanto accadde allo scrittore austriaco Thomas Bernhard (con il quale c’è più qualche altra somiglianza sul piano della scrittura), trovò delle figure vivaci, rassicuranti ed intellettualmente stimolanti, dunque le prime condizioni per il futuro percorso intellettuale. L’uccisione del nonno nel 1940 da parte di uno squilibrato e, poco tempo dopo, la perdita della nonna colpita da una emorragia cerebrale, portarono Dagerman a commettere il primo di una serie di tentati suicidi. Trasferito a Stoccolma dal padre, a soli tredici anni poté avvicinarsi all’anarchismo e al sindacalismo e iniziò precocemente l’attività di scrittore in seno all’Unione Sindacale Giovanile, per poi diventare redattore del giornale Storm (La tempesta), per passare più avanti ad occuparsi di fatti di cronaca, nel combattivo giornale anarcosindacalista Arbetaren (L’operaio). La sua produzione ebbe un’accelerazione legata a un’energia esplosiva incontenibile: drammi teatrali, racconti, saggi e reportage, scritti satirici, poesie, romanzi. Divenne un originale esponente della letteratura quarantista, capitanata da Karl Vennberg e Erik Lindegren, e resta a tutt’oggi una figura mitica della letteratura svedese. Iperborea, che ha pubblicato romanzi e racconti, manda in libreria di Dagerman, Breve è la vita di tutto quel che arde (traduzione e cura di Fulvio Ferrari), poesie esistenziali, vivide e tormentate nei loro affondi dentro i labirinti della psiche, e poesie satiriche, a commento potente della cronaca politica e sociale del suo tempo. Sono versi sempre intensi, scritti in uno stile che attraverso l’ossessione, l’analisi impietosa, la satira amara, mira a mettere in scacco tutte le maschere di comodo dell’esistenza svelandone la realtà di tragedia e di farsa.
L’Autore
Stig Dagerman –Anarchico lucido e appassionato incapace di accontentarsi di verità ricevute, militante sempre in difesa degli umiliati, degli offesi e dell’inviolabilità dell’individuo, Dagerman appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus e resta nella letteratura svedese una figura culto che non si smette mai di rileggere e riscoprire. Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati. Iperborea ha pubblicato Il nostro bisogno di consolazione, Il viaggiatore, Bambino bruciato, I giochi della notte, Perché i bambini devono ubbidire?, La politica dell’impossibile, Autunno tedesco e Il serpente.
casa editrice Iperborea- Chi siamo
Iperborea è una casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani nel 1987 per far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia.Primi a esplorarla in maniera sistematica, si è potuto farlo con vasta libertà di scelta e una produzione di altissima qualità, che spazia dai classici e premi Nobel, inediti o riproposti in nuove traduzioni, alle voci di punta della narrativa contemporanea.
Oltre ai paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia), Iperborea pubblica letteratura baltica, nederlandese, tedesca, canadese, islandese (incluse le antiche saghe medioevali), una collana di narrativa per l’infanzia (I Miniborei) e una serie dedicata alle strisce dei Mumin di Tove Jansson.
Dal 2018 lancia la serie The Passenger, un libro-magazine che raccoglie inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un paese o una città (non solo del Nord Europa) e dei loro abitanti. Dal 2020 The Passenger è tradotto anche in inglese, pubblicato e distribuito in tutto il mondo in coedizione con Europa Editions.
Nel 2021 è arrivata la serie Cose Spiegate bene, in collaborazione con il Post: ogni numero è dedicato all’approfondimento di un tema, attraverso articoli, infografiche e illustrazioni originali.
Inoltre, dal 2015, Iperborea organizza a Milano e in varie città d’Italia il festival I Boreali, dedicato alla cultura nordica.
Quando è necessario il cambiamento della narrazione per modificare i pensieri della società.
Africa: femminile plurale un libro per comprendere, per conoscere e scoprire.«Bisogna isolare quello scimpanzé, non dovete parlare con lui». Queste parole sconvolgenti sono state pronunciate da un’insegnante di una scuola media di Spoleto. Un avvenimento di ottobre 2020 che ha visto protagonista un bambino di 13 anni di origine marocchina. Il padre del bambino ha reso pubblica, a mesi di distanza, la frase offensiva che è diventata oggetto di un’inchiesta.È davanti all’ennesima notizia di discriminazione razziale che ci si trova costretti a riflettere nuovamente sul lavoro di narrazione nei confronti dei Paesi altri e di chi, da questi, proviene. In una realtà come quella del 2021 in cui nelle classi di tutta Italia i bambini si confrontano con culture e identità variegate e diversissime tra loro, l’episodio avvenuto nella scuola media di Spoleto disarma e fa preoccupare. Parole forti legate a stereotipi e pregiudizi razziali non possono e non devono arrivare dalle figure di riferimento come quelle di adulti, ancora peggio, insegnanti. Colmare la necessità di nuove narrazioni è l’unica via possibile per scardinare le convinzioni di sempre, i bias – i pregiudizi come vengono chiamati nel gergo sempre più frequente e usato proveniente dal mondo dell’attivismo. E così la cultura può e deve essere un mezzo per poter lavorare sul linguaggio e sullo sguardo che ha bisogno di essere educato, cambiato.
“Africana. Continente al di là degli stereotipi” (Feltrinelli, 2021) è un testo che vuole lavorare proprio sull’Africa; il continente più grande del mondo ma che, nella sua vastità, non si conosce affatto se non per l’istruzione media e limitata che la scuola e le voci ovattate dei telegiornali ci mettono a disposizione. L’Africa che è conosciuta solo come continente di povertà, di migrazioni, di carestie, di conflitti, di scontri religiosi. Invece l’Africa reale dello sviluppo, della tecnologia, di commercio, festival, cultura, tradizioni, eccellenze sparisce sempre. Svanisce fagocitata dai pregiudizi e dall’assenza totale di approfondimento da parte del mondo occidentale. Un’Africa libera da stereotipi, un’Africa scevra da termini limitanti, dalla povertà lessicale e culturale che il cosiddetto primo mondo ha sempre usato per narrarla e renderla concreta.
“Africana” a cura di Igiaba Scego (Roma, 1974) autrice italo-somala autrice di numerosi romanzi tradotti all’estero e Chiara Piaggio studiosa ultradecennale nell’ambito dello sviluppo nell’Africa Sub-sahariana hanno lavorato ad approfondire lo sguardo. L’obiettivo è quello di avere un nuovo strumento per smettere di coniugare l’Africa al singolae ma al plurale. “Uno strumento di difesa contro gli stereotipi” che si concede al lettore tramite le sue letterature e i suoi protagonisti: Adichie, Wainaina, Bulawayo, Selasi, Gazemba e molti scrittori emergenti ancora sconosciuti. Voci, storie, esperienze che tramite la parola trasformano, modellano e ridefiniscono questo continente che ha molto da dare e deve farlo sapere a chiunque.
Africana, V.V.A.A., a cura di Igiaba Scego, Chiara Piaggio, Feltrinelli, 2021, 224 p,19 euro
Descrizione-Gustav Mahler camminava con gli occhi fissi a terra, per non calpestare alcuna creatura vivente. Poteva darsi che in ogni infima creatura stesse imprigionata una grande anima. La sua idea del divenire nasceva da ciò che Johann Peter Eckermann, nelle Conversazioni con Goethe, fa dire al poeta che il Maestro venerò sopra ogni altro: “La convinzione della nostra immortalità nasce, per me, dal concetto dell’attività; poiché se io opero senza posa fino alla mia morte, la natura è obbligata ad assegnarmi un’altra forma di esistenza quando questa mia attuale non può più continuare a contenere il mio spirito”. Di questo perenne operare, Mahler fu profeta e martire. Nacque ebreo, divenne cattolico, ma nel suo intimo rimase sempre un panteista devoto al culto della Natura, sorgente di quella spaventosa, demoniaca e insieme angelica, energia che egli si dannò per trattenere nella propria musica. Senza di essa, sarebbe stato solo un epigono dei Romantici, non un neo-pagano con le radici immerse in un esoterismo così primigenio da esserci, oggi, più che mai inquietante. Questo libro rivela le chiavi per accedere al mondo interiore del più contemporaneo tra i Classici.
Indice sommario:
Avvertenza per il lettore
Capitolo I – Il Wunderklavier del fanciullo
Capitolo II – A Vienna, dove l’antisemitismo si chiama censimento
L’incompiuto Quartetto per pianoforte e archi e i primi Lieder giovanili: un’analisi
Capitolo III – Il viandante e la sua ombra
Das klagende Lied: un’analisi
Capitolo IV – Chi ride tra le pagine di un diario?
I Lieder eines fahrenden Gesellen: un’analisi
I Lieder incunaboli dei Lieder eines fahrenden Gesellen: un’analisi
Il rifacimento dei Drei Pintos di Weber: un’analisi
La Sinfonia n. 1 in Re maggiore: un’analisi
Capitolo V – La musica del disertore
I Lieder da Des Knaben Wunderhorn: un’analisi
Capitolo VI – Della vita felice e di altre catastrofi
La Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione”: un’analisi
La Sinfonia n. 3 in re minore: un’analisi
Capitolo VII – Wiener Blut
“Revelge”: un’analisi
La Sinfonia n. 4 in Sol maggiore: un’analisi
Capitolo VIII – Laddove suonano le belle trombe
“Der Tamboursg’sell”: un’analisi
I Rückert-Lieder: un’analisi
I Kindertotenlieder: un’analisi
La Sinfonia n. 5 in do diesis minore: un’analisi
Capitolo IX – Profilo di manichini su paesaggio montano
La Sinfonia n. 6 in la minore: un’analisi
La Sinfonia n. 7 in mi minore: un’analisi
La Sinfonia n. 8 in Mi bemolle maggiore: un’analisi
Capitolo X – L’amico Hein va a New York
Das Lied von der Erde: un’analisi
La Sinfonia n. 9 in Re maggiore: un’analisi
Capitolo XI – Vers la flamme
Il fantasma della Decima: una catabasi-
Bibliografia. Il Fahrende Geselle dei libri. Un’escursione tra i libri fondamentali dedicati a Mahler (con accenni anche a quelli senza fondamento)
Descrizione del libro di Ann-Helén Laestadius-A nord del circolo polare artico, nella Lapponia svedese, è inverno. Poche ore di luce pallida sono tutto ciò che il sole ha da offrire prima che il paesaggio sia nuovamente avvolto da un buio compatto. In quelle terre estreme la piccola Elsa, nove anni, si allontana sugli sci dal villaggio sami in cui vive per raggiungere la zona di pascolo delle renne di famiglia. Quel giorno segna profondamente la sua infanzia: davanti ai suoi occhi spalancati, un uomo uccide brutalmente un piccolo di renna, il suo Nástegallu, quello che lei ha scelto nel branco e a cui le è stato permesso di incidere l’orecchio, secondo l’usanza della sua comunità. L’uomo e la bambina si guardano, si riconoscono. Poi l’uomo la minaccia, e la bambina decide di tacere. Porterà a lungo con sé quel segreto come un peso oscuro sul cuore. Dieci anni dopo, un tempo costellato di rischi e ulteriori massacri di animali, quando Elsa si ritrova a essere lei stessa il bersaglio di chi, mosso dall’odio, si è macchiato del sangue di Nástegallu, qualcosa si spezza. E il senso di colpa, la paura e la rabbia che ha dentro da allora le piombano addosso come una valanga, portandola a un ultimo, tragico confronto. Romanzo di formazione e canto d’amore per un mondo che sta scomparendo, basato su una storia vera, La ragazza delle renne mette a nudo le tensioni che sorgono quando la modernità si scontra con una cultura tradizionale e con strutture patriarcali profondamente radicate, mentre la xenofobia è in aumento e i cambiamenti climatici mettono a repentaglio la sopravvivenza di un popolo che custodisce una sempre più fragile eredità indigena. E nello splendido scenario di favolosi paesaggi invernali, dove le renne corrono libere su distese infinite e sotto cieli immensi, l’orecchio di un cucciolo segretamente preservato in una scatola diventa il simbolo di tutto ciò che potrebbe andare perduto. Di tutto ciò che, forse, è già andato perduto.
L’Autrice
Ann-Helén Laestadius (1971), scrittrice e giornalista di origine sami, vive con la famiglia a Stoccolma. Dopo una serie di libri per bambini e ragazzi, per i quali ha ricevuto anche il prestigioso Augustpriset, La ragazza delle renne è il suo primo romanzo per adulti. Venduto in ventitré paesi, è diventato un film di successo per Netflix.
Monika Ulrika Ann-Helén Laestadius (born 1971) is a Swedish Sámi journalist and bestselling writer. In 2016, her novelTio över ett (Ten Past One) won the Swedish August Prize as the best submission in the children and young adult category.[1][2] She wrote her first adult novel in 2021 titled Stolen,[3] translated to English in 2023 by Rachel Willson-Broyles and became a number 1 paperback bestseller.[4]Netflix released a film adaptation, Stolen, in 2024.[5]
Biography
Born on 3 December 1971 in Jukkasjärvi in the far north of Sweden, Monika Ulrika Ann-Helén Laestadius is the daughter of the municipal employee Ivar Jan-Erik Laestadius (born 1951) and his wife Ellen Sara Kristina née Marainen (born 1948), a shop assistant.[6] Now living in Solna near Stockholm, she has worked as a journalist since 1990.[7] The About the Author section of her novel Stolen[3] says “she is an author and journalist from Kiruna, Sweden. She is Sámi and of Tornedalian descent, two of Sweden’s national minorities.”[citation needed]
In 2007, she published her first children’s novel, Sms från Soppero (Sms from Soppero). It was followed by five others. Her Tio över ett (Ten Past One) won the August Prize for Swedish children’s literature in 2016.[7][1] The jury commented: “It is about the collective grief of a changing community, about civil society and local politics, and about love and friendship. In energetic prose, Laestadius intertwines place, politics and psychology.”[8] She was also awarded the Norrland Literature Prize (Norrlands litteraturpris) for the same work in 2017.[9]
Sinossi-del libro di Iida Turpeinen-Immaginate la massa d’acqua tra Siberia e Alaska, che nel 1741 da poco si chiama Mare di Bering, e una mappa che, nella parte superiore, aspetta ancora di essere disegnata. Questa storia comincia con la spedizione russa del capitano Vitus Bering nel Grande Nord, attraverso ottomila chilometri di terra siberiana verso il mare ignoto. Dell’equipaggio è parte il naturalista-teologo tedesco Georg Wilhelm Steller che, in seguito al naufragio della nave, approda con un pugno di sopravvissuti su un’isoletta del Pacifico, dove scoprirà specie animali meravigliose, che col suo nome varcheranno i secoli. Come quell’enorme mammifero marino dagli occhi umani, sirena che salirà dagli abissi a salvare con le sue carni morbide i naufraghi dall’inedia. La ritina di Steller. Alaska 1859: in alto sulla mappa ora ci sono le macchie delle isole. Il governatore Furuhjelm deve risanare i conti della Compagnia russo-americana, che ha svuotato le terre alascane dalle foche e dalle volpi per farne pellicce. Ma il governatore vuole anche arricchire la sua collezione zoologica, magari con la mitica creatura descritta da Steller. Anche se della gigantesca sirena pare siano rimaste solo le ossa. 1950, Isole Aspskär, Golfo di Finlandia. Il tassidermista John Grönvall, che di mestiere prepara animali per i musei, ora deve ricostruire lo scheletro di un’impressionante bestia marina, la ritina di Steller, estintasi 27 anni dopo la sua scoperta, un tristissimo primato per la zoologia, un monito per l’umanità tutta. Ne L’ultima sirena, il destino di questa strabiliante creatura, attraverso le vite di collezionisti ossessivi, ambientalisti entusiasti, scienziati inquieti e scienziate mai riconosciute, si fa simbolo dell’irreversibile distruzione della natura, e al tempo stesso celebra magnificamente il miracolo della vita.
Sotto la superficie balenano ombre di trenta piedi di lunghezza. Che bestie incredibili, magnifiche! Contano cinquanta dorsi, e i rematori diventano inquieti. Serrano le mani sui remi, incerti se tentare la fuga. Ma poi l’animale solleva il capo fuori dall’acqua e la loro paura si trasforma in sorpresa: una sirena saluta la barca con occhi miopi e dolci.
«La ricerca di Turpeinen si fonde nella narrazione con naturalezza tale da rendere la lettura un’autentica gioia». Suomen Kuvalehti
«L’ultima sirena è l’incontro perfetto tra un mondo perduto e una letteratura viva. Vi commuoverà. Vi toglierà il fiato». Helsingin Sanomat
Iida Turpeinen è nata nel 1987 e vive a Helsinki. Con un master in letterature comparate, da sempre si interessa dell’incontro fra scienze naturali e letteratura. L’ultima sirena, il suo primo romanzo, è vincitore dello Helsingin Sanomat Literature Prize come opera di debutto, è nella selezione del Finlandia Prize, dell’Adlibris Award e del Torchbearer Award. Si è aggiudicato inoltre il Blogistania Award, riconoscimento dei blogger, bookstagrammer e booktoker finlandesi. È stato venduto in 27 paesi.
La casa editrice Neri Pozza Editore S.p.a.
Via Enrico Fermi, 205
36100 Vicenza
tel. +39 0444 396 323
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Descrizione del libro “Il resto è silenzio”. di Chiara Ingrao-La guerra. La guerra che dopo il 24 febbraio 2022 pare rimbombare ovunque, nelle televisioni e sui giornali e sui social, e qualche mese dopo invece scompare, inghiottita dall’assuefazione e menzionata quasi solo come minaccia alle nostre bollette del gas. La guerra in Europa, che potrebbe farsi totale e travolgerci tutti ma rimane lo stesso guerra degli altri, come tutte le altre in ogni parte del mondo: non sono mai nostre, le carni che morde e la sofferenza di chi fugge. Anche se ci sfidano nel profondo dell’anima, come racconta Raffaella Chiodo Karpinsky nella Postfazione a questo volume. La guerra. Cosa succede, quando una degli «altri» scappa, e ce la troviamo accanto ogni giorno? Trent’anni fa, sfidando i commenti sarcastici di sua sorella, Sara ha ospitato in casa Musnida, fuggita da una guerra ai nostri confini. Anche Musnida, come Sara, aveva una sorella ingombrante: un’eroina, uccisa mentre tentava di recuperare il corpo di un fratello nemico. L’Antigone di Sarajevo, come nell’antico mito tebano i cui echi risuonano sulle pagine con la voce dolente di Ismene, la sorella opaca. Nell’alternarsi di banalità quotidiane e tragedia, fra queste tre coppie di sorelle (a Roma, a Sarajevo e a Tebe) rimbalzano come in un gioco di specchi gli interrogativi dell’oggi: i conflitti, le barriere che frantumano la verità e la vita, la paura dell’Altro che fa da scudo alla paura di ascoltare noi stessi.
Baldini + Castoldi srl
Via Stefano Jacini 6, 20121 Milano
Tra il 1980 e il 1983, Chiara Ingrao collabora in RAI alla redazione e alla regia dei programmi radiofonici: Noi Voi Loro Donna e Ora D[1]. Successivamente si impegna nei movimenti per la pace European Nuclear Disarmament, 10 marzo (di cui è una delle fondatrici), 1990: Time for Peace e come portavoce dell’ Associazione per la pace. Nel 1990 è una dei sei pacifisti italiani in missione di pace a Baghdad per il rilascio – concluso positivamente – di 70 ostaggi italiani[1]; contribuisce alle prime iniziative comuni fra pacifisti israeliani e palestinesi, e al movimento contro la guerra in Iraq. In seguito, raccoglie tali esperienze nel libro Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti.
Nel 2003, dopo la morte della madre, Laura Lombardo Radice, ne raccoglie gli scritti e ne racconta la vicenda personale nel libro: Soltanto una vita. Nel 2008 esordisce nel genere narrativo, con il romanzo Il resto è silenzio, ambientato nella Bosnia-Erzegovina degli anni novanta. Nel 2014 è uscito il suo primo libro per ragazzi, il romanzo Habiba la Magica, seguito nel 2018 dalla raccolta di filastrocche Mal di paura. Successivamente è impegnata soprattutto nelle scuole e come animatrice culturale.
Opere principali
Chiara Ingrao, Lidia Menapace (a cura di), Né indifesa né in divisa, Roma, Gruppo misto-Sinistra indipendente Regione Lazio, 1988.
Chiara Ingrao, Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti, Roma, Datanews, 1993.
Chiara Ingrao, Cristiana Scoppa (a cura di), Donne 2000: a cinque anni dalla conferenza mondiale di Pechino. Le cose fatte, gli ostacoli incontrati, le cose da fare, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità, 2001.
Chiara Ingrao, Cristiana Scoppa (a cura di), Diritti e rovesci – I diritti umani dal punto di vista delle donne, Roma, AIDOS, 2001.
Laura Lombardo Radice, Chiara Ingrao, Soltanto una vita, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005.
Chiara Ingrao, Il resto è silenzio, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
Chiara Ingrao, Dita di dama, Milano, La Tartaruga, 2009.
Chiara Ingrao, Habiba la magica, Coccole Books, 2014
Chiara Ingrao, ‘Mal di paura’, Edizioni corsare, 2018.
Chiara Ingrao, Migrante per sempre, Milano, Baldini + Castoldi, 2019.
La storia e le voci di poetesse,da Anna Achmatova a Maria Wisława Anna Szymborska, che hanno lasciato il segno nella cultura mondiale con il loro immaginario potente. Sono autrici che dal Medio Oriente all’Est Europa rappresentano mondi poetici caratterizzati da mille culture e da uno sguardo aperto e profondo sulla contemporaneità.La poesia delle donne, una storia da raccontare -Articolo di Lorenzo Pompeo– Con il loro immaginario potente, le voci delle poetesse hanno lasciato il segno nella letteratura mondiale, con una sensibilità aperta a mille culture e uno sguardo sempre attento alla realtà storica e sociale. Pubblichiamo un estratto del libro di Left “La poesia delle donne” di Rosalba De Cesare e Lorenzo Pompeo che il 20 ottobre 2022 è stato presentato a Roma presso la Biblioteca comunale “Goffredo Mameli” via del Pigneto n. 22-
La poesia femminile rappresenta una questione aperta, un quesito al quale la presente antologia vorrebbe offrire solo un modesto contributo. Non vogliamo offrire risposte definitive, semmai porre domande, a partire dalla definizione stessa della categoria: esiste una poesia femminile? Esiste una differenza significativa che la contraddistingue? È utile o necessario creare una categoria a parte?
Partiamo da alcune considerazioni introduttive: se da un lato a partire da Saffo, vissuta presumibilmente tra il 630 e il 570 a. C., la poesia femminile è una realtà testimoniata nella storia da molte altre figure, è pur vero che fino al XIX secolo si è trattato di presenze marginali, casi eccezionali e rari. Le cose cambiano in modo sostanziale con la Rivoluzione industriale e il lento processo di emancipazione femminile. Attraverso l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, si andò affermando nelle società occidentali prima, e poi in tutto il mondo, seppure in modo graduale e parziale, il principio della parità di diritti. Mano a mano che questo processo avanzava nel corso del XIX e del XX secolo, anche nel mondo dell’arte e della poesia la presenza femminile è diventata sempre più importante, in numeri e peso specifico. Ciò malgrado, si tratta pur sempre di una presenza ancora largamente minoritaria. E se consideriamo la questione in una ottica mondiale, anche oggi esistono Paesi e vaste aree geografiche in cui l’accesso all’istruzione è ancora precluso alle donne, oppure ostacolato da circostanze materiali che di fatto impediscono tale accesso. Ciò malgrado, non è raro il caso di bambine nate in seno a famiglie prive di mezzi che grazie alla loro forza di volontà sono riuscite a far sentire la propria voce attraverso i loro versi malgrado mille difficoltà e ostacoli, facendosi spesso portatrici di una visione del mondo nuova e inedita, ribellandosi cioè a quell’atavico silenzio in cui le loro madri, le sorelle e le nonne erano e sono ancora confinate da una tradizione secolare.
Ma questo è solo uno degli aspetti del mondo della poesia femminile del ’900, a cui senza dubbio occorre prestare la massima attenzione (anche perché si tratta di figure spesso marginali o emarginate anche nel mercato editoriale italiano, che solitamente alla poesia presta già ben poca attenzione). Ma la poesia femminile del ’900 non fu solo uno strumento per rivendicare il diritto alla parola delle donne. O meglio, in alcuni casi lo è stato, ma se la prendiamo in esame esclusivamente da questo punto di vista, si finirebbe per attribuirle uno statuto puramente finalistico e, in quanto tale, presumibilmente inferiore, se consideriamo la poesia una forma d’arte. Eccoci quindi di fronte allo scoglio principale: a questo punto forse qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe meglio ignorare completamente la questione di genere (posizione condivisa anche da alcune poetesse, come ad esempio il premio Nobel Wisława Szymborska). Poesia engagé o “arte pura”? – Un antico dilemma, che però può assumere un significato inedito se declinato al maschile e al femminile. Sorgono però a questo punto nuove domande che inevitabilmente chiamano in causa la dimensione pubblica e quella privata della poesia, dei poeti e delle poetesse.
È indubbio che il movimento femminista ha giocato un ruolo importante nello sviluppo della poesia femminile, creando le condizioni necessarie affinché la presenza delle donne nel mondo delle lettere non si limitasse a casi sporadici e isolati. Ma sarebbe limitante ricomprendere tale fenomeno esclusivamente nell’alveo del femminismo. L’arte del ’900 fu prima di tutto sperimentazione e ricerca, rottura di schemi e di immagini preordinate. In questo processo la presenza delle donne è stato un elemento capitale, aspetto forse ancora non del tutto recepito nel canone del secolo appena trascorso….
Il testo è un estratto dal libro di LeftLa poesia delle donne di Rosalba De Cesare e Lorenzo Pompeo.
Premiata con il Nobel per la letteratura nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti, è generalmente considerata la più importante poetessa polacca degli ultimi anni e una delle poetesse più amate dal pubblico di tutto il mondo. In Polonia i suoi libri hanno raggiunto cifre di vendita (500 000 copie vendute, come un bestseller) che rivaleggiano con quelle dei più notevoli autori di prosa, nonostante abbia ironicamente osservato, nella poesia intitolata Ad alcuni piace la poesia (Niektórzy lubią poezję), che la poesia piace a più di due persone su mille.
Mariantonia Crupi: il nuovo romanzo “I limoni e la malvarosa”
– Adhoc Edizioni–
Descrizione del libro Mariantonia Crupi-“I limoni e la malvarosa” è un romanzo al plurale, dominato da un universo di donne che attraversano il tempo nel paese di Acquaro, ai piedi delle Serre calabresi, il paese dell’autrice, narrate attraverso una scrittura evocativa, elegante e intensa, e che esprime, al tempo stesso, i moti dell’anima e gli slanci della natura, il passato e il presente, uniti da una grande casa di pietra, un fiume, una panchina che vive i suoi secoli di vita, declinandoli agli amori, alle passioni, alle perdite, alla speranza.
«“I limoni e la malvarosa” è il titolo, malinconico e suggestivo, un po’ gattopardo, un po’ alla ricerca del tempo perduto di un lungo viaggio di sentimenti e di memoria, di gratitudine, amicizia e solidarietà, di partenze, ritorni e solitudini, la Calabria lontana, voluta e sofferta, bella e passionale»,commenta la scrittrice. Sinossi
Lina, figlia di un ricco borghese, muore pochi giorni prima del suo matrimonio con Riccardo.
Riccardo sposa quindi Diamante, la migliore amica di Lina, nobile e non bella.
Vivono, insieme alla madre di lei, nella grande casa di pietra adiacente il fiume.
Per loro lavorano Apollonia, Maruzza e la greca Vasiliki, unite da rapporti di profonda solidarietà, e le loro vicende personali si intrecciano al destino stesso dell’intero paese, tra partenze, perdite, assenze, solitudini, amori impossibili, passioni e tormenti infiniti, sottolineati dal canto d’acqua del fiume, che si assapora, e possiede voci, sensazioni e memorie.
È la giovane Diamante che, al termine di un doloroso percorso di formazione, sa dare voce alle loro esperienze individuali, unendole in una personalissima catarsi, con un ritorno agognato ma sofferto, in una terra non sempre prodiga, mai facile, sempre amata.
Biografia di Mariantonia Crupi è nata ad Acquaro e vive a Pizzo di Calabria.
È stata docente di Lingua e Letteratura Francese presso l’Istituto Tecnico Commerciale di Pizzo e l’Istituto Alberghiero di Vibo Valentia. “I limoni e la malvarosa” è il suo romanzo di esordio.
Antifasciste e antifascisti a cura di Gianluca Fulvetti e Andrea Ventura-
-Viella Libreria Editrice- Collana dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri –
Sinossi del libro Antifasciste e antifascisti – Collana: Collana dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri -Da alcuni decenni l’antifascismo pare aver perso la sua rilevanza nel dibattito civile e storiografico. Anche il Centenario della marcia su Roma ha lasciato sullo sfondo le storie di coloro che si opposero al fascismo sin dagli anni dello squadrismo.
Questo libro invece le recupera e le racconta, mettendo al centro il vissuto quotidiano, i percorsi coraggiosi e dolorosi, in nome della libertà, dentro e fuori l’Italia negli anni complicati della guerra civile europea. Si riflette anche sugli antifascismi come ideologie politiche, con saggi che prendono in esame i discorsi e le pratiche delle diverse culture antifasciste e talvolta il loro difficile dialogo. Infine, si aprono alcuni squarci su cosa accade all’antifascismo dopo il 1945, sulle dispute della memoria e sul suo utilizzo nelle battaglie politiche dei primi anni della Repubblica e della Guerra Fredda.
Prefazione di Giovanni Scirocco
Gianluca Fulvetti, Andrea Ventura, Introduzione
I. Storiografia
Andrea Ventura, L’antifascismo e la società italiana. Una messa a fuoco
Renato Camurri, Crossing Borders: esilio e antifascismo
II. Antifascismi
Marco Manfredi, Violenza politica, forme di lotta armata e cultura popolare fra Prima guerra mondiale e avvento del fascismo
Claudia Baldoli, La “religione antifascista” dell’Aventino: i socialisti unitari tra 1924 e 1925
Patrick Karlsen, Gli antifascismi alla frontiera alto-adriatica dalla transizione post-imperiale alla Seconda guerra mondiale
Emanuela Miniati, La Liguria antifascista in Francia tra internazionalismo e identità nazionale
Daniel Goldstein, Leo Valiani e Mario Montagnana in esilio a Città del Messico (1941-1945)
III. Antifasciste e antifascisti
Enrico Miletto, Maria Bernetič, una comunista di frontiera
Daria De Donno, Stili di antifascismo. Sulle tracce di Giorgia Boscarol
Andrea Montanari, Fortunato Nevicati, un antifascista europeo
Gianluca Fulvetti, Il dolore e la sconfitta. Antifascisti lucchesi nel Casellario politico centrale
Stefano Latino, Antifascisti e antifasciste nelle fabbriche: l’organizzazione clandestina del Partito comunista a Sesto San Giovanni (1925-1939)
Roberta Mira, Antifasciste e sovversive. Profili di donne bolognesi nei casellari di polizia del regime
Massimiliano Bacchiet, I primi comunisti. Per un dizionario biografico della provincia di Pisa (1921-1940)
Giorgio Mangini, L’anagrafe dei sovversivi bergamaschi
Roberta Mori, Sandro Delmastro, appunti per una biografia
Graziella Gaballo, L’antifascismo di Ada Della Torre
IV. Dopo il 1945
Giovanni Brunetti, L’ambiguità costituente. L’antifascismo nel Casellario politico centrale del secondo dopoguerra (1945-1956)
Francesca Picci, «Trattandosi di una donna». Le partigiane vicentine nelle carte del Ricompart
Mirco Carrattieri, Un monumento all’antifascismo. Statue e lapidi per Giacomo Matteotti
Nicola Lamri, Antifascisti e antifasciste italiane di fronte alla guerra di decolonizzazione algerina
Costanza Calabretta, L’antifascismo nelle relazioni fra Italia e Repubblica democratica tedesca fra anni Cinquanta e Sessanta
Luca Zanotta, Franco Antonicelli e l’antifascismo tra generazioni
Indice dei nomi
Autrici e autori
In copertina: I funerali di Carlo e Nello Rosselli (Parigi, 19 giugno 1937). Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”, Archivio Fotografico Originario.
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