DESCRIZIONE-Il mondo interiore di Marcel Proust – la sua sensibilità, le sue passioni e le sue idiosincrasie – è ben noto; meno note sono invece le tematiche che fanno della Recherche anche un’opera di sociologia, di geografia e di storia. Spesso descritto a torto come il nostalgico cantore di un mondo ormai tramontato, nelle pagine di questo libro, a firma di uno dei massimi studiosi dello scrittore francese, Proust si rivela un uomo immerso nella sua epoca. Osservatore attento dell’attualità, interviene senza esitazione nei principali dibattiti – il genocidio armeno, l’affaire Dreyfus, la separazione tra Stato e Chiesa – e dimostra grande interesse per i progressi tecnici. D’altro canto, la vita di Proust ha coinciso con il periodo d’oro della Terza Repubblica – la cosiddetta Belle Époque – e con le scaturigini del mondo contemporaneo, consentendogli di assistere al passaggio da una società di corte a una dominata dalle élite, mentre sullo sfondo rimaneva perlopiù immutato un popolo, quello francese, carico di una storia millenaria. Proprio come sulla facciata gotica della chiesa immaginaria di Saint-André-des-Champs sono raffigurate tutte le classi sociali del Medioevo, nella Recherche ci viene offerto uno spaccato della società francese a cavallo tra Otto e Novecento, osservata con le lenti del sociologo e trasfigurata con gli occhi del poeta.
L’Autore Jean-Yves Tadié-Professore emerito di Letteratura francese alla Sorbona, ha diretto la nuova edizione critica della Recherche per la “Bibliothèque de la Pléiade” (Gallimard, 1987-89). A Proust ha dedicato un’importante biografia (Gallimard, 1996; trad. it. Mondadori, 2° ed. 2022) e numerosi saggi.
Chiara Colombini-Storia passionale della guerra partigiana-
Editori Laterza-Bari
DESCRIZIONE del libro di Chiara Colombini -Storia passionale della guerra partigiana-A partire dall’8 settembre 1943 fino all’aprile del 1945 migliaia di giovani e meno giovani abbandonarono la loro vita abituale, presero le armi e si gettarono in un’avventura che stravolte la loro esistenza.
Perché lo fecero? Quali furono i sentimenti e le passioni che li spinsero ad un passo del genere e li sostennero in quei venti mesi?
Amore e odio, speranza e vendetta, dolore e felicità: osservare le passioni della resistenza ‘in diretta’ significa avvicinarsi a quella esperienza in modo quasi viscerale ed eliminare le distorsioni prospettiche che inducono a giudicare le scelte di allora con il metro del nostro presente.
Amore e odio, speranza e vendetta, dolore e felicità: osservare le passioni della Resistenza ‘in diretta’ significa avvicinarsi a quella esperienza in modo quasi viscerale ed eliminare le distorsioni prodotte dal passare del tempo.
Le passioni e i sentimenti, lo sappiamo, hanno un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Ci fanno compiere scelte improvvise, ci fanno gioire e soffrire. Alimentano un fuoco che non può essere spento. Passioni e sentimenti certamente mossero le donne e gli uomini che scelsero la strada della ribellione e della Resistenza durante la guerra. Possiamo comprenderle davvero noi che viviamo un altro tempo e un’altra storia? È quanto prova a fare Chiara Colombini, cogliendo, attraverso diari, lettere e carteggi, queste passioni ‘in diretta’, nel loro erompere durante quei venti mesi, tenendo sullo sfondo ciò che solo lo svolgersi della storia ha permesso di razionalizzare. In un tempo condizionato dall’eccezionalità che deriva dall’intreccio tra guerra totale, occupazione e guerra civile, i partigiani si innamorano, coltivano ambizioni, si accendono di entusiasmo o si arrovellano nell’insoddisfazione. Una condizione in cui, oltre alla vita, è in gioco ciò che si è scelto di essere. E, a quasi ottant’anni di distanza, emerge intatto il fascino di quell’esperienza così centrale per la storia di questo paese, la sua dimensione di profonda umanità, il prezzo pagato da uomini e donne direttamente nelle loro esistenze, il loro lascito.
L’Autrice
Chiara Colombini, storica, è ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”.Ha curato, tra l’altro, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con Aldo Agosti, Edizioni SEB27 2012) e gli Scritti politici. Tra giellismo e azionismo (1932-1947) di Vittorio Foa (con Andrea Ricciardi, Bollati Boringhieri 2010) ed è autrice di Giustizia e Libertà in Langa. La Resistenza della III e della X Divisione GL (Eataly Editore 2015).
Fazi Editore –Elizabeth Jane Howard autrice di «La ragazza giusta»
È da oggi nelle librerie «La ragazza giusta» di Elizabeth Jane Howard, un romanzo finora inedito in Italia che delizierà tutti i lettori affezionati all’autrice della saga dei Cazalet. Traduzione dall’inglese di Manuela Francescon.
In una Londra di fine anni Settanta trascina i suoi giorni il giovane Gavin, un timido e sensibile parrucchiere di modesta estrazione. Il suo mestiere lo porta a essere il confidente di molte donne: con loro Gavin è brillante e prodigo di consigli, mentre è assai goffo con le ragazze che gli piacciono. Ha anche un caro amico, un ragazzo omosessuale di nome Harry. È proprio lui a rimescolare le carte della vita del giovane aprendogli le porte della mondanità e portandolo a una festa presso una casa aristocratica. La padrona di casa, Joan, è una donna adulta molto carismatica, colta, capace di sfidarlo intellettualmente, e Gavin ne è subito irretito. Quella sera, però, conosce anche la giovanissima Minerva: ricca e infelice, cresciuta in un ambiente indifferente e anaffettivo, ha un disperato bisogno di attenzioni. Dopo aver sperimentato, non senza scottarsi, i due opposti modelli femminili, Gavin sembra finalmente accorgersi dell’esistenza di una ragazza che gli è sempre stata molto vicina…
Elizabeth Jane Howard confeziona una frizzante commedia punteggiata di ironia – all’epoca dell’uscita al terzo posto nelle classifiche inglesi dopo Frederick Forsyth e Wilbur Smith –, da cui fu tratto un film girato da Randal Kleiser, il regista di Grease, con Lynn Redgrave e Helena Bonham Carter.
«Che romanzo fantastico: divertente, commovente e molto intelligente. Molte, molte congratulazioni».
Angus Wilson
«Ciò che affascina Howard sono le bugie e le verità che ci raccontiamo… Il suo tocco abile si sente ancora una volta».
«The Telegraph»
«Elizabeth Jane Howard è una scrittrice che dimostra attraverso il proprio lavoro a cosa serve un romanzo. Ci aiuta a fare quello che è necessario: aprire occhi e cuore».
Quando crolla lo Stato: Studi sull’Italia preunitaria
a cura di Paolo Macry
Descrizione del libro di Paolo Macry, quando crolla lo Stato: Studi sull’Italia preunitaria-Gli storici analizzano le scienze sociali hanno prestato grande attenzione al fenomeno delle discontinuità politiche e statuali. Quelle fratture, tuttavia, sono state analizzate per lo più sul versante dei vincitori: la Francia della sovranità popolare, la Russia bolscevica, la Cina di Mao, l’Europa post-comunista. Questo volume, dedicato alla crisi italiana del 1848-1861, sposta l’ottica analitica dalla rivoluzione al crollo, dai regimi emergenti ai regimi che muoiono, dal «nuovo» al «vecchio». Il che restituisce legittimità storiografica a Stati e sistemi politici talvolta letti nell’ottica teleologica di una sconfitta poco meno che fatale, avvolti in una sorta di leggenda nera, sottovalutati. Ma non soltanto. Mettendo l’accento sul breve momento, ovvero sui processi repentini che, nel giro di settimane, liquidano formazioni statuali potenti e antiche, il volume riflette l’ipotesi che la fase terminale dello Stato sia una finestra interpretativa di speciale rilevanza. Niente più di quelle settimane cruciali sembra capace di svelare nel profondo, oltre che le ragioni della morte, le ragioni d’essere di uno Stato. Come un’autopsia.
Ha fatto parte della direzione di “Quaderni Storici“, dell’Editorial Board del “Journal of Modern Italian Studies”, del direttivo dell’Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali (IMES), del direttivo della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO), del comitato editoriale per la storia della casa editrice Il Mulino. Ha tenuto conferenze, seminari e corsi presso numerose istituzioni, fra le quali: Accademia Nazionale dei Lincei, Roma; Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma; McGill University, Montreal; Center for European Studies, Harvard; Columbia University, New York; Eighteenth-Century Studies Association, Berkeley.
I suoi interessi di ricerca si sono rivolti prevalentemente alla storia economica e sociale nella tarda età moderna e in età contemporanea. In questa cornice vanno collocati gli studi sul mercato nel XVIII secolo, sulle borghesie e le culture urbane ottocentesche, sulle pratiche ereditarie e patrimoniali delle famiglie nel XIX secolo. In seguito, coniugando storia sociale e storia politica, ha analizzato i fenomeni di discontinuità istituzionale – il “crollo dello stato” – nel caso dell’Italia del 1860 e nel quadro della storia europea del XX secolo. Ha lavorato sui metodi e le interpretazioni della storiografia nel secondo Novecento.
Dal 1997 ha collaborato assiduamente alle pagine politiche e culturali del “Corriere della Sera”, del “Corriere del Mezzogiorno”, del “Riformista” e del “Mattino”.
Opere principali
Mercato e società nel Regno di Napoli. Commercio del grano e politica economica del Settecento, Guida, Napoli 1974
Ottocento. Famiglia, élites e patrimoni a Napoli, Einaudi, Torino 1988 (Il Mulino, Bologna 2002)
La società contemporanea, Il Mulino, Bologna 1989 (Ariel, Barcelona 1997)
Giocare la vita. Storia del lotto a Napoli tra Sette e Ottocento, Donzelli, Roma 1997
Gli ultimi giorni. Stati che crollano nell’Europa del Novecento, Il Mulino, Bologna 2009
Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi, Il Mulino, Bologna 2012
Napoli. Nostalgia di domani, Il Mulino, Bologna 2018
Storie di fuoco. Patrioti, militanti, terroristi, Il Mulino, Bologna 2021
Rosalia Gambatesa –Ormai è sicuro, il mondo non esiste
La poesia di Patrizia Cavalli. 1974-1992-Editore Progedit Bari
In questa prima monografia dedicata a Patrizia Cavalli, Rosalia Gambatesa esplora con appassionata sapienza filologica due opere cruciali dell’unica poeta ad aver ricevuto il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei e tra le più importanti viventi. Il suo intenso corpo a corpo con la lingua oscura e lucente di Poesie (1974-1992) e di Tre risvegli, libretto d’opera di vent’anni successivo, si misura col teatrino ciclico di un soggetto sospeso “a metà strada tra grazia e disgrazia”. Sotto la lente della studiosa appare lo stralunato andirivieni tra casa e città di un io proteiforme, mosso meccanicamente, di scena in scena, dai soprassalti dei cicli naturali. Il rigore del lavoro critico non scalfisce la meraviglia di uno spazio linguistico che espone il mistero dell’esistenza della poesia e introduce il lettore nell’enigma del farsi e del disfarsi del pensiero, espressione di una modernissima forma di resistenza al moderno.
Insieme alla cantautrice Diana Tejera realizzò nel 2012 il libro/disco Al cuore fa bene far le scale edito da Voland/Bideri. Con Tejera e Chiara Civello scrisse il brano E se (Premio Betocchi – Città di Firenze 2017).
Morì nel giugno del 2022 a Roma, all’età di 75 anni, dopo una lunga malattia.[9]
Stile letterario
La poesia di Patrizia Cavalli è caratterizzata da una complessa tecnica poetica. Le misure metriche che utilizza sono classiche, ma il lessico e la sintassi sono quelli della lingua contemporanea; sono assenti poeticismi e manierismi e il linguaggio è quello quotidiano e familiare, senza perdere profondità di analisi e con una grande sensibilità per i dolori e le gioie della vita. Intervistata dichiarò la propria omosessualità e sottolineò il ruolo di forti sensazioni emotive e somatiche (‘qualche forma estatica di adorazione, o disdegno, o odio; qualche cosa di corporale che prende possesso di me – il desiderio o un mal di testa’) quale principale spinta alla radice della sua poesia.[10]
Opere
Poesia
Le mie poesie non cambieranno il mondo, Einaudi, Torino, 1974.
Il cielo, Einaudi, Torino, 1981.
L’io singolare proprio mio, Einaudi, Torino, 1992.
Poesie (1974-1992), Einaudi, Torino, 1992 (raccolta che assomma le tre precedenti).
Sempre aperto teatro, Einaudi, Torino, 1999.
La guardiana, nottetempo, Roma, 2005.
Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, Torino, 2006 (contiene La guardiana).
La patria, nottetempo, Roma, 2011.
Al cuore fa bene far le scale (con Diana Tejera), Voland, Roma, 2012.
Datura, Einaudi, Torino, 2013 (contiene La patria).
Flighty matters, Quodlibet, Macerata, 2017.
Vita meravigliosa, Einaudi, Torino, 2020.
Breve biografia di Rosalia Gambatesa
Rosalia Gambatesa, dottore di ricerca in Langues, Littératures et Civilisation, ha insegnato dal 1987 al ginnasio e dal 2020 è lettrice d’italiano all’Università di Teheran. Ha pubblicato, tra l’altro, I tempi di Annina con Rossana Ingellis (Bari 2015), percorso formativo sui Versi livornesi di Caproni, e Drames des sentiments et drames des molécules dans «Tre risvegli» de Patrizia Cavalli-
La prima monografia dedicata a Patrizia Cavalli.-
Editore Progedit Bari
Introduzione di Laura Toppan
Prefazione di: Elsa Chaarani Lesourd
Collana: Incroci e percorsi di lingue e letterature
MILANO (ITALPRESS) – Descrizione del libro di Roberto Fiorentini –“I dimenticati”- Nel Maggio 1940. Ai circa 25 mila italiani residenti in Libia, tra Tripoli, Bengasi e la Cirenaica, è notificata una circolare delle autorità locali. Invita le famiglie, con figli dai 5 ai 10 anni, a inviarli in Italia dove sarebbero stati accolti, per tutto il periodo estivo, nelle colonie marine costruite del Regime Fascista. Il 3 giugno 3000 bambini, partono così dal porto di Tripoli, a bordo della nave ‘Augustus’ Il giorno successivo per il porto di Napoli. Trasferiti nelle colonie del regime chi sul mar Adriatico, chi sulla riviera ligure di Ponente, chi in zone montane. Non torneranno mai più nelle loro famiglie.
Racconta tutta questa incredibile odissea il nuovo libro del giornalista Roberto Fiorentini dal titolo ‘I dimenticatì (Ronca Editore). Lo fa con la voce di una delle sopravvissute: Silvia Napoletano, ora 92enne e che vive nel piacentino. Una storia oscura e drammatica del regime fascista quasi mai raccontata e rimasta solo nella memoria personale dei pochi sopravvissuti.
La narrazione parte proprio dalle terre libiche e da quel terribile viaggio in nave dove 3000 bambini erano stati ammassati ‘come pecorè (così racconta Silvia) per raggiungere il porto di Napoli, sempre controllati dalle ‘educatricì e dalle ‘camice nerè. La voce della protagonista narra la sua odissea. Prima nelle colonie estive della Romagna; poi in quelle in collina sull’appennino tosco romagnolo. Vita da caserma per quei bimbi e quelle bimbe.
“Alla caduta del regime la vita diventa un vero inferno”, racconta Silvia. Cibo finito. Vestiti spariti. Scarpe inesistenti. Notti da brividi e da paura in mezzo alle sparatorie tra i partigiani, uomini allo sbando del fascismo e truppe tedesche in ritirata. A pranzo e a cena solo l’erba che, di giorno, quelle bambine raccoglievano nei campi a combattimenti sospesi.
Fiorentini traccia anche una vera mappa di questi luoghi soprattutto nell’Italia del Nord che dovevano essere di villeggiatura ma che, con il passare del tempo, si sono trasformati in grandi carceri da cui non potere più uscire. Ricostruisce l’indottrinamento a cui erano sottoposti. Lettere, canzoni, disegni : tutto era utile per far celebrare ai bimbi le ‘progressive sortì del regime.
Un viaggio nell’orrore troppo velocemente dimenticato dalla memoria collettiva del Paese. “Ho voluto dar voce a questi bambini – dice Fiorentini – perchè i bimbi, ieri come oggi, sono le principali vittime di ogni conflitto bellico. I più indifesi. I più deboli. E per questo i più ‘Dimenticatì”.
– Foto: Fiorentini –
(ITALPRESS).
Queste “ombre bianche”, cioè “storie brevi, divertimenti e dialoghi; infine occasioni, satire scritte negli ultimi quindici anni” che Flaiano radunò nel 1972 nella certezza che la realtà avesse ormai superato la satira, raccontano di «un “io” che detesta l’inesattezza ed è stato sopraffatto dalla menzogna». Vi ritroviamo dunque il Flaiano più risentito, impassibile e feroce, capace come pochi di mostrarci le allucinazioni di cui siamo vittime: e mentre legge e sorride è come se uno spiffero gelido investisse d’improvviso il lettore, perché nei mostri messi in scena riconosce, non solo la realtà che lo circonda, ma a tratti, e con raccapriccio, un po’ di se stesso.
Flaiano scrisse all’editor che l’apparente disordine delle parti del libro era voluto, calcolato. Ma così non sembra al lettore.
C’è un fil rouge che è il disincanto, la delusione, l’oppressione della condanna a un’esistenza che, per Flaiano, era diventata una gabbia; quel dolore interno che gli spezzò il cuore insomma.
Ma gli elementi che compongono questo pout-pourri, anche se scritti in un arco di tempo lungo – vent’anni più o meno – hanno in comune il lato lunare del pescarese, la sua famosa malinconia “canina”.
Non mancano guizzo e invenzione linguistica, battute e freddure. Ma prevale lo straniamento: il futuro è impossibile perchè lo sarebbe anche il presente, se non fosse umanizzato dalla parodia. Ed ecco cadere nella pretestuosità la fantasia: si tratti della vita su Marte, della corrispondenza impossibile, della cancellazione degli affetti verso quello che un giorno si immaginava sarebbe stato il mondo futuribile. “Nel duemila (cantava Bruno Martino) noi non mangeremo più le bistecche”, e Flaiano lo scrive e forse lo pensa.
I continui riferimenti erotici appartengono invece al Flaiano cinematografico, mente lucida del Fellini visionario, e gratta gratta anche qui sotto trovi la delusione personale di una vita familiare distrutta.
In sintesi, sembra di leggere il lungo percorso del brillante scrittore che si estingue giorno dopo giorno, non senza lo sberleffo che lo ha reso grande.
Flaiano scriveva col privilegiato disincanto di chi ormai si sente alieno a ogni passione, affrancato da ogni compromesso in una realtà che è riuscita a superare la satira, vittima di una quotidianità dove consumismo, conformismo e utilitarismo ormai non risparmiano nessuno.
Le sue ombre bianche disegnano sul muro i mostri di una commedia tutta italiana, da cui anche il mondo intellettuale ormai non è più esente, prigioniero di ghetti dorati da Basso Impero, lascivo di interminabili feste da Dolce Vita, dove il profumo delle “rose di Eliogabalo” segna il declino di quella grande bellezza, preda di marziani extraterrestri.
Perché è proprio in quel boom, le cui contraddizioni già denunciava Bianciardi nella sua “Vita agra”, che si intravedono i sinistri squarci di un Mondo Nuovo di barbari costruttori, di iene senza scrupoli a caccia di carogne, dove tutto fa notizia, tendenza, basta premere sull’acceleratore per non essere superati.
Non c’è curaro negli elzeviri di Flaiano, giacché anche il veleno è finito, non c’è speranza, si passa in rassegna ogni vizio endemico per enumerazioni, per mistificazioni, per aforismi. Per sconfinata desolazione, in odor di involontaria chiaroveggenza.
Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana.
Editore Einaudi
Descrizione del libro Gli uomini di Mussolini-Al termine della Seconda guerra mondiale molti tra i più alti vertici dell’esercito o degli apparati di forza del fascismo furono accusati di omicidi e torture, ma nessuno venne mai processato o epurato. Nessuno fu mai estradato all’estero o giudicato da un tribunale internazionale. Diversi di loro furono invece coscientemente reintegrati nei loro posti di responsabilità, dando corpo a quella «continuità dello Stato» che rappresentò una pesante ipoteca sull’Italia repubblicana. Attraverso l’analisi di una gran mole di documenti, Conti ricostruisce le vicende personali e i profili militari di alcuni dei principali funzionari del regime di Mussolini e illumina uno dei passaggi più appassionanti e controversi della nostra storia.
Mussolini-Uomo politico (Dovia di Predappio 1883 – Giulino di Mezzegra, Dongo, 1945). Socialista, si andò staccando dal partito, fino a fondare i Fasci da combattimento (1919). Figura emergente nell’ambito del neoformato Partito nazionale fascista, subito dopo la “marcia su Roma” (1922) venne incaricato dal re della formazione del governo, instaurando nel giro di pochi anni un regime dittatoriale. In politica internazionale M. affrontò l’esperienza coloniale in Etiopia, si fece coinvolgere dai buoni rapporti con la Germania di Hitler nella persecuzione degli Ebrei, fino poi alla partecipazione al conflitto mondiale. I pessimi risultati bellici portarono il Gran Consiglio a votare la mozione Grandi presentata contro di lui (1943). Arrestato, fu liberato dai Tedeschi e assunse le cariche di capo dello Stato e del governo nella neonata Repubblica sociale. Alla fine della guerra fu catturato e fucilato dai partigiani per ordine del Comitato di liberazione nazionale. Dominò la storia italiana per oltre un ventennio, divenendo negli anni del suo potere una delle figure centrali della politica mondiale e incarnando uno dei modelli dittatoriali fra le due guerre.
-Stefania Franceschini-FRANCIS POULENC Una biografia-
-Zecchini Editore Varese-
Descrizione del libro di Stefania Franceschini-Questa è la prima biografia in italiano del compositore francese Francis Poulenc (Parigi 1899-1963). La Francia gli ha dedicato molti studi, elogiandolo quasi a guisa di eroe nazionale, ma in Italia c’era un vuoto che, forse, questo studio comincerà a colmare. Poulenc amava molto il nostro paese: la sua arte infatti si concretizza in una propensione naturale verso il melodismo. Oltre a Mozart e Stravinskij – i modelli di riferimento determinanti per la sua vita artistica – il suo sentire musicale si rivolge a Monteverdi, Verdi e Puccini. Proprio a Verdi dedicherà la partitura dell’opera che rappresenta l’apice della sua produzione artistica, Les Dialogues des Carmélites, la cui prima rappresentazione alla Scala di Milano – committente del lavoro – nel 1957, fu un vero trionfo. Le tappe fondamentali della vita privata ed artistica di Francis Poulenc sono raccontate con particolare attenzione ai concerti tenuti in Italia assieme ai suoi partner eterni: Pierre Bernac, Pierre Fournier e Denise Duval; le cronache dell’epoca (di mano di grandi esponenti del mondo musicale e letterario: Malipiero, Pizzetti e Montale) e gli scritti del compositore stesso – lettere, interviste e commenti sulle proprie opere impreziosiscono la narrazione. Un capitolo è dedicato a Venezia: qui Poulenc, nel 1932, presentò il suo Concerto per due pianoforti e orchestra – commissionato dalla Principessa de Polignac – al Festival della Musica Contemporanea della Biennale. In una seconda sezione del libro sono state classificate, per genere, tutte le opere: oltre ad un commento, ove possibile è stata indicata la data della prima esecuzione. L’augurio è che la passione per la musica di Poulenc, che ha spinto alla compilazione di questo volume, possa arrivare al cuore del lettore, proprio come le melodie del compositore, il quale scrisse solo sotto l’impulso della sua sensibilità, per una pura e semplice volontà di dilettare gli ascoltatori, prima, e se stesso, poi.
Stefania Franceschini
FRANCIS POULENC. Una biografia
XVI+320 – f.to cm. 17×24 – illustrato – Euro 23,00-
Sottopongo alla vostra attenzione alcuni versi di Giorgio Piovano (1920-2008) . Mi sembra straordinaria la capacità mostrata dall’autore di trasformare in poesia la vita di milioni di uomini cancellati e dimenticati dalla storia.
Proemio
Questo è il poema degli uomini senza storia
Che alle cerimonie fanno sempre la parte del pubblico
E vengono a galla solo quando si compilano
Le statistiche dei cataclismi :
il poema degli uomini che non hanno mai
avuto una bandiera
e si sono sempre trovati
accodati a quelle degli altri.
Questo è un poema anonimo e materiale
Fatto solo di cose usuali
E di facce senza niente di speciale;
poema cosi povero e rozzo
che per spiegarsi non ha
se non parole di tutti i giorni
e di tutto il campionario
delle gioie e dei dolori
che la Vita mette in vetrina
sa commuoversi solo di quelli
che si possono chiamare
con nome e cognome.
E questo è il suo proemio
messo avanti per avvertire
le schive Anime Nobili
che qui non è aria per loro.
[…]
Ultimo canto
[…]
Io non sono che uno
della mia generazione, uno dei tanti che si credevano i soli
ad avere una storia.
Ma ora so
che un po’ tutti possiamo parlare
della casa della nostra infanzia
dei terrori davanti la porta socchiusa
del corridoio deserto,
del gioco dei pellerosse nei prati
vicino al gasometro, dopo scuola,
delle principesse rapite dai corsari,
di nostro padre che rantolava
nel letto su una montagna di cuscini,
e del vento notturno alle finestre della nostra stanza,
il vento nato sugli altipiani
tremila miglia lontano…
Fummo in molti che lungo le mura
solitarie delle antiche città
erravano viandanti inquieti
tormentandosi per la gloria.
Fummo in molti che accanto a una donna
ci affacciammo alle balaustre
dove splende la curva
del pianeta e s’inseguono
per stellari praterie
eternamente giovani
le comete scintillanti.
E fummo in molti a conoscere
la sapienza dei libri
i cieli d’ardesia sulle città
e il sapore acre del cloroformio,
gli andirivieni dei parenti
davanti alle sale d’operazione
e la guerra, il sangue rappreso nei fossi,
il rombo dei quadrimotori
i lampi dell’artiglieria nella notte
e il vecchio abbattuto sotto i ciliegi
che incarogniva nero
nella gramigna tra milioni di mosche
[…].
La mia storia è la storia di tutti
e la vostra è la mia.
Ascoltate come nel mondo
più incalzanti che nel filo
del telegrafo le linee e i punti
brusiscono i pensieri
di miliardi d’uomini.
[…]
Quanto ancora dovrà salire
l’amaro nella gola degli uomini
che contemplano nel riquadro
dell’inferriata le stelle
della loro ultima notte?
[…]
Io non ho che la mia vita
e la sapienza dei libri.
Io non sono che un cieco
sulla riva del mare
investito dall’uragano
che gli mulina intorno, lontane e vicine
le voci dei naufraghi che chiedono aiuto.
Giorgio Piovano, Poema di noi, Effigie edizioni,Milano 2007.
Il “Poema di noi” (premio Viareggio opera prima nel 1950) è stato scritto negli anni Quaranta. Giorgio Piovano si richiamava a quel filone del “realismo socialista” che allora ispirava molta della letteratura di sinistra. Di fronte all’evolversi degli avvenimenti, al modificarsi dello stesso “modo di far politica”, potrebbe apparire anacronistico riproporre oggi – almeno nei termini in cui lo viveva allora l’autore – quel “bisogno di verità e coraggio” di cui ha parlato Davide Lajolo nella prefazione a “Il fuoco e la cenere”. In realtà, esiste un tenace filo conduttore tra le attese di ieri e quelle di oggi, come d’altra parte, senza quelle speranze, appare arduo capire la delusione e il disincanto che oggi sembrano serpeggiare in una parte della sinistra italiana ed europea. Sarebbe tuttavia riduttiva una lettura di questi versi condotta solo in chiave politica e nostalgica. La poesia di Piovano è soprattutto emozione, come scrive nell’introduzione un altro poeta civile, Alberto Bellocchio: “Poesia? Quella di Piovano è qualcosa di più. È spettacolo, è rappresentazione drammatica, è un torrente in piena, un affresco a tinte forti che ci sloggia dalle nostre plastificate certezze e catafratte abitudini e ci trascina in strada”. Se n’era accorto, fra gli altri, Giancarlo Majorino, che aveva incluso alcune liriche di Piovano nell’antologia “Poesie e realtà”, dedicata alla poesia civile italiana del Novecento.
«Ma il mio paese, il paese del mio cuore,
è là nelle piane lombarde, in Lomellina,
il paese delle nebbie e delle placide acque
che per diecimila canali si ritrovano in Po.
Al tempo dei risi, quando le mondine
calano a reggimenti dalle loro tradotte
e scaricano i sacchi e le casse
sui marciapiedi delle stazioni
allora è da vedere la Lomellina
come si canta per le strade a braccetto
piemontesi bresciane e bergamasche
e più brave di tutte, coi baschi rossi, le emiliane!»
(da: Giorgio Piovano, Il fuoco e la cenere, Editrice Edinform, Pavia 1984)
di Luca Ariano
È scomparso nella notte del 1 agosto 2008 all’età di 88 anni. Nato a Torino nel 1920 partecipò alla lotta partigiana prima a Pisa e poi a Lovere; così in un’intervista rilasciata sul web (http://solleviamoci.wordpress.com): “Sono stato avanguardista, come tutti. Odiavo le divise, ma non per politica. È che mi facevano fare brutta figura con le ragazze. A Pisa trovai qualcuno che mi aprì gli occhi: in pochi anni mi trovai antifascista. Nel ’43 entrai nel Partito d’Azione: alla prima manifestazione eravamo in tre. Il giorno dopo facemmo un comizio: a quella data risale la prima di molte denunce. Il discorso patriottico che tenni venne usato contro di me anni dopo, in tribunale, come prova che ero un sovversivo”. Il trasferimento poi a Pavia e la sua attività politica (Senatore del PCI per tre legislature e Presidente della Provincia di Pavia) nel dopoguerra: “Ero professore, cercavo una sede universitaria. Problemi di salute mi tennero lontano dalla guerra: da Pisa, dove ho studiato, mi spostai a Lovere. Poi mi venne offerto di insegnare all’Istituto Bordoni, e a Pavia sono rimasto fino ad oggi: le mie piccole radici sono qui”. Ricordo l’intervista filmata che gli feci con l’amico e poeta Tito Truglia, ricordo la sua schiettezza, la lucidità e la sua forza e voglia di combattere per un mondo migliore, per i giovani (uno dei pochi di quella generazione a capire la piaga del lavoro precario) perché alle sue idee credeva ancora fermamente e non si vergognava certo di essere stato comunista, di aver fatto la Resistenza. Ho scoperto prima il Piovano poeta leggendo estratti delle sue poesie nell’antologia Poesie e realtà 1945-2000Poema di noi (Premio Viareggio opera prima 1950) che amo molto: (Tropea, 2000) curata da Giancarlo Majorino; solo in seguito, dopo averlo conosciuto, ebbi la fortuna di avere in dono la sua opera omnia poetica. Così descriveva il suo rapporto con la poesia: “Era la mia ambizione, che sto rivivendo ora in tarda età.
Era il tempo di grandi arrabbiature poetiche, della lotta all’ermetismo e agli strascichi dannunziani. Per parafrasare un celebre verso di Montale, questo noi volevamo dire: chi siamo, cosa vogliamo”. Se n’è andato uno degli ultimi comunisti, di quelli che hanno lottato a viso aperto mettendoci la faccia, coraggio, passione ed impegno. Non voglio dilungarmi oltre per non scadere nella retorica o in patinate celebrazioni che so avrebbe odiato, ma voglio ricordarlo qui con una sua poesia tratta da
ULTIMO
Avrei voluto avere il verso lungo e profondo
come il rullo dell’Internazionale
sui tamburi delle divisioni
che sfilano in parata
sotto la porta del Brandemburgo;
avrei voluto potermi fare ascoltare
per amore o per forza come gli altoparlanti
installati tra i reticolati a Madrid
che giorno e notte spiegavano
ai mercenari franchisti
da che parte fosse la Patria vera.
Altro ebbi: come quando le cornamuse
calano dai monti alle città di provincia
accompagnando la fisarmonica
dalla voce sbiadita che tenta
maldestra su povere note
i ballabili più comuni.
Pure molti si fermano ad ascoltare,
il lattaio che gira in bicicletta
col suo bidone, la sposa
appena uscita per la spesa, l’oste
che apre allora… Dalla loggia
del vecchio casamento gentilizio
la fantesca in piedi sul davanzale
a pulire la vetrata, si sporge
col cencio in mano a salutare
i suonatori compaesani.
Poi quando l’allegra nenia è dileguata
oltre i mercati, ancora dura il canto
corale delle lavandaie
lungo la roggia e l’a solo
nei passaggi difficili, della voce
più giovane.
Io non sono che uno
della mia generazione,
uno dei tanti che si credevano i soli
ad avere una storia.
Ma ora so
che un po’ tutti possiamo parlare
della casa della nostra infanzia
dei terrori davanti alla porta socchiusa
del corridoio deserto,
del gioco dei pellirosse nei prati
vicino al gasometro, dopo scuola,
delle principesse rapite dai corsari,
di nostro padre che rantolava
nel letto su una montagna di cuscini,
e del vento notturno alle finestre della nostra stanza,
il vento nato sugli altipiani
tremila miglia lontano…
Fummo in molti che lungo le mura
solitarie delle antiche città
erravamo viandanti inquieti
tormentandoci per la gloria.
Fummo in molti che accanto a una donna
ci affacciammo alle balaustrate
dove splende la curva
del pianeta e s’inseguono
per stellari praterie
eternamente giovani
le comete scintillanti.
E fummo in molti a conoscere
la sapienza dei libri
i cieli d’ardesia sulle città
e il sapore acre del cloroformio,
gli andirivieni dei parenti
davanti alle sale d’operazione
e al guerra, il sangue rappreso nei fossi,
il rombo dei quadrimotori
i lampi dell’artiglieria nella notte
e il vecchio abbattuto sotto i ciliegi
che incarogniva nero
nella gramigna tra milioni di mosche
e dalla veranda del sanatorio
il respiro della risacca e la curva lunghissima
sotto la luna della linea delle spume
a perdita d’occhio nel golfo…
(«Rivedrete le sere che s’incendiano
i cieli, e i monti non hanno più peso
e nel fiume scorrono rivoli d’oro.
Salutatele per me
sperduto nelle valli profonde
donde muovono le ombre
che guidano il carro della Notte»).
La mia storia è la storia di tutti
e la vostra è la mia.
Ascoltate come nel mondo
più incalzanti che nel filo
del telegrafo le linee e i punti
brusiscono i pensieri
di miliardi d’uomini.
Ascoltate l’allarme
delle volontà scatenate
come spari mirati al cuore.
Quando ancora dovrà salire
l’amaro nella gola degli uomini
che contemplano nel riquadro
dell’inferriata le stelle
della loro ultima notte?
Da continente a continente
le radio impazzite
invocano S.O.S.
Io non ho che la mia vita
e la pazienza dei libri.
Io non sono che un cieco
sulla riva del mare
investito dall’uragano
che gli mulina intorno lontane e vicine
le voci dei naufraghi che chiedono aiuto.
Ma milioni come me
fanno il Partito
i vagoni di libri spediti
nei villaggi chirghisi
l’Eurasia fasciata
da una rete di canali
il grano al circolo polare
il razionale Discorso
messo insieme lettera per lettera
pazientemente coscienziosamente
come negli stampi il piombo fuso
sotto il tasto del linotipista:
le parole dei miei fratelli
e con loro le mie
che si danno la mano ed abbracciano
il pianeta col giro dei paralleli!
Milioni come me
e le generazioni martellano
nei bronzi della posterità
l’epopea della Classe Operaia
che mugghiava apocalittica
e si ergeva e colpiva
a mazzate di mille tonnellate
nelle grandi ondate dei popoli
che deragliavano la storia!
I nostri pensieri gridati
con gli altoparlanti nei refettori da cinquemila posti
pesati dagli uomini a veglia
nella stalla attorno al lume a petrolio
con lo stoppino abbassato perché durasse di più
le donne macilente e forsennate
a valanga contro i cordoni
le serpi nelle occhiaie
delle case bruciate per rappresaglia
l’offerta del disoccupato alla sottoscrizione
Montanari che sputava sangue nel fazzoletto
e contava i comizi che gli restavano
fino alla fine della campagna elettorale
Daccò che ha smesso di bere
per non essere espulso
la cooperativa di San Salvatore
costruita di notte e di domenica
Brasi fotografo che adesso
scopa la sua bottega
e indosso ha la giacca a vento
di quando comandava una divisione
le croci di legno sotto i larici a Monte Giglio
con la stella rossa e la scritta
NON PIANGETE
e il compagno senza nome che alla festa
rimase a guardia delle biciclette
al posteggio, e neanche si ricordarono
di mandargli un bicchiere di vino
e la musica della moto tra le mia gambe
sugli stradali nei tramonti estivi
nel pieno dello sciopero, e nel vento
della corsa, i colpi di spillo
dei moscerini sul viso
ed anche la faccia paonazza del Vicequestore
quando si accorse che né bonomia né cipiglio
non attaccavano, anche il pretoccolo
velenoso messo nel sacco
in pubblico contradditorio
e anche il pedatone che ruzzolò
dalle scale l’avvocatuccio
che tirava a diventare onorevole
e le bandiere rosse sulle locomotive
e le metropoli dove prima c’erano le paludi
e i congressi coi delegati di sei continenti
i nostri pensieri sul mondo
a stormo
perdio imparate posteri
in questo mondo si può essere giovani
imparate perdio in questo mondo
si può anche morire
a pieno cuore
come al termine di un’ardita giornata
di maggio, combattuta instancabile
a rincorse volanti e agguati
e subitanei parapiglia
lungo i sentieri dei pioppi
nel giallo del ravizzone
quando torniamo alla cascina
cantando – tutti stanati
i crumiri sotto il naso
dei campari con la doppietta imbracciata!
Pedaliamo a festa
nel fortore dei fieni
sotto le prime stelle,
e da lontano ci saluta
agitando il suo fanale
il compagno che batte la risaia
a caccia di rane
nell’acqua fino a mezza gamba.
(tratta da: Il fuoco e la cenere, Prefazione di Davide Lajolo, Pavia: Editrice Edinform, 1984.)
Biografia di Giorgio Piovano (Torino 1920 – Pavia 2008). Nato da famiglia operaia, frequenta, negli anni ’40, la Scuola Normale di Pisa, della quale diventerà in seguito, per un anno, docente di letteratura dantesca. Partecipa alla lotta antifascista a Pisa e a Lovere, militando nel Partito d’Azione. Con l’avvento della Repubblica, lega il suo destino al Partito comunista, del quale è stato componente della Federazione pavese. Nel 1950 vinse il premio “Viareggio” con l’opera “ Poema di noi”, un componimento che parla «degli uomini senza storia, che alle cerimonie fanno sempre la parte del pubblico». Professore e preside. Uomo schietto, lucido, vicino ai giovani, uno dei pochi della vecchia generazione a capire la piaga del lavoro precario.
Biografia-
Giorgio Piovano (Torino, 27 marzo 1920 – Pavia, 31 luglio 2008) è stato un politico, scrittore e partigiano italiano.
Nasce in una famiglia operaia torinese e negli anni quaranta si trasferisce a Pisa dove frequenta la Scuola Normale Superiore. Iscrittosi al Partito d’Azione partecipa alla lotta partigiana nella zona della provincia di Pisa.[1]
Terminato il conflitto si iscrive al Partito Comunista, venendo nominato Presidente della provincia di Pavia, dove si era trasferito in quegli anni, ed eletto sindaco della città di Casteggio.[1]
Nel 1950 vince il Premio Viareggio per la migliore opera prima con Poema di noi.
Senatore della Repubblica Italiana
Legislature
IV, V, VI
Gruppo
parlamentare
comunista
Incarichi parlamentari
IV legislatura
Commissione per la biblioteca: Membro dal 3 marzo 1964 al 4 giugno 1968
6ª Commissione permanente (Istruzione pubblica e belle arti): Membro dal 3 luglio 1963 al 4 luglio 1963, Segretario dal 5 luglio 1963 al 4 giugno 1968
V legislatura
Commissione per la biblioteca: Membro dal 5 giugno 1968 all’11 novembre 1968
6ª Commissione permanente (Istruzione pubblica e belle arti): Membro dal 5 luglio 1968 al 17 luglio 1968, Vicepresidente dal 18 luglio 1968 al 24 maggio 1972
VI legislatura
7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica): Membro dal 4 luglio 1972 al 4 luglio 1976
Commissione parlamentare per il parere al Governo sulle norme delegate in materia di stato giuridico del personale della scuola: Membro dal 13 dicembre 1973 al 19 giugno 1976
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