Roberto Pecchioli-George Soros e la Open Society –
ARIANNA EDITRICE
Il miliardario speculatore finanziario regista della corruzione filantropica e dei colpi di stato
Il fine dell’azione di Soros, dei sedicenti filantropi e del capitalismo globalista, è omologare le varie civiltà, e la nostra, in nome di una pretesa superiorità della “società aperta”, il rullo compressore che cancella ogni diversità, tradizione, comunità come retaggio della “società chiusa”.
La loro presunta generosità “umanitaria” ha creato un mondo in cui i miliardari esercitano più potere che mai.
Le grandi ONG e le fondazioni filantropiche sono diventate uno dei comitati d’affari della cupola tecno capitalistica, lo strato di vernice “benevolo” dedicato a catturare – comprandolo – il consenso di massa per neutralizzare il conflitto sociale e culturale imponendo il dominio tecno-scientifico, un lucroso investimento che capovolge la dimensione pubblica del potere, della partecipazione, della sovranità, della decisione politica a favore delle oligarchie private, i signori del denaro.
George Soros è un protagonista del nostro tempo e l’Open society, la Società Aperta, è un’utopia che diventa incubo. Soros ha speso decine di miliardi di dollari per realizzare il suo sogno messianico; chi lo apprezza lo chiama filan-tropo, chi lo odia è convinto che sia una specie di incarnazione del male. Di certo rappresenta il potere del denaro che vuol farsi dominio sulle coscienze attraverso una visione del mondo il cui simbolo è il nome della creatura che gli sopravvivrà: la Fondazione per la Società Aperta.
Protagonista in molteplici scenari di congiuntura e difficoltà economica e sociale, per George Soros ogni situazione di turbolenza equivale a una possibilità di intervento, diffusione e proselitismo della sua visione del mondo. Tutti sappiamo che la correlazione non è giustificazione, ma la straordinaria ricchezza, il retroterra culturale, i legami politici e la sua esperienza nel trarre profitto dalle crisi connaturate al sistema mondo capitalistico, fa sì che questo finanziere spregiudicato sia certamente un catalizzatore di molte delle turbolenze geopolitiche e delle contraddizioni insite al potere di cui è un protagonista indiscusso.
Questo libro ripercorre la storia dell’uomo, della sua creatura politica e delle sue avventure finanziarie.
Al di là del giudizio morale sulla sua figura,nessuno può credere che il mondo sia un’oasi abitata da miliardari filantropi e che il bene dell’umanitàsia l’obiettivo di quest’immenso dispositivo di potere privato.
Bompiani Editore novità sugli scaffali nel mese di settembre 2022-
In evidenza
Cominciamo subito con annunciare che a metà settembre arriverà sugli scaffali l’attesissimo terzo capitolo della saga che Antonio Scurati ha dedicato al Fascismo: M. Gli ultimi giorni dell’Europa. In questo nuovo pannello del suo grande progetto letterario e civile, Scurati inquadra il fatale triennio 1938-40, culmine dell’autoinganno dell’Italia fascista, che si piega all’infamia delle leggi razziali e dell’alleanza con la Germania nazista, e ripercorre gli ultimi giorni di un’Europa squassata da atti di barbara prevaricazione e incapace di sottrarsi al maleficio dei totalitarismi. Siamo nel maggio del 1938, e Mussolini insieme a Vittorio Emanuele III e al ministro degli esteri Ciano attende il convoglio con il quale Hitler e i suoi gerarchi scendono in Italia per una visita che toccherà Roma, Napoli e Firenze. Da poche settimane Hitler ha proclamato l’Anschluss dell’Austria e Mussolini, dopo aver deciso l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, si appresta a promulgare una legislazione razziale di inaudita durezza. Eppure sono ancora molti a sperare che il delirio di potenza dei due capi di Stato possa fermarsi: tra loro Ranuccio Bianchi Bandinelli, l’archeologo incaricato di guidare il Führer tra le rovine della città eterna; Renzo Ravenna, decorato nella Grande guerra, fascista zelante e podestà di Ferrara, che al pari di migliaia di altri ebrei italiani non si dà pace per i provvedimenti che lo pongono ai margini della vita civile; Margherita Sarfatti, che sino all’ultimo spera in uno spostamento degli equilibri verso l’asse anglofrancese ma deve cedere il passo alla giovane Claretta Petacci e fuggire; e lo stesso Ciano, distratto da tresche sentimentali e politiche insensate come il piano di conquista dell’Albania, che solo un anno dopo, nel maggio 1939, si trova a siglare insieme a Ribbentrop il Patto d’Acciaio.
Il secondo titolo che vogliamo raccontare è invece Il libro della speranza. Manuale di sopravvivenza per un pianeta in pericolo di Jane Goodall. La leggendaria etologa ci ricorda in questa pagine che la speranza non è mai stata così necessaria: in decenni spesi a combattere per la natura ha assistito alle peggiori devastazioni dell’uomo sull’ambiente; eppure conserva ancora la fiducia in una nuova alleanza tra gli esseri umani e il pianeta, e la ripone in una ritrovata armonia tra l’intelletto degli uomini e il loro spirito indomito, e nel potere delle nuove generazioni. Attraverso il dialogo con Douglas Abrams, Goodall intreccia la sua storia – l’infanzia in Inghilterra, la ricerca pionieristica sugli scimpanzé a Gombe, in Tanzania, il ruolo di Messaggera di Pace delle Nazioni Unite – con un appello urgente perché ognuno di noi trovi le proprie ragioni per sperare e di conseguenza agire.
Infine Nove vite e dieci bluesè l’autobiografia di uno dei protagonisti del panorama musicale italiano, Mauro Pagani, che vaga tra i ricordi ripercorrendo l’infanzia e l’adolescenza a Chiari, l’amore per il violino e la musica classica, e poi la folgorazione per il rock e il blues; gli anni fondamentali con la Premiata Forneria Marconi, dai dancing di provincia alle vette delle classifiche internazionali, in giro per il mondo a suonare e a incontrare l’olimpo del rock; poi il congedo dalla rockstar e una nuova vita a voce bassa e passo lieve, dentro la musica del mondo – il Canzoniere del Lazio, gli Area, Demetrio Stratos, Carnascialia – e dentro l’universo speciale di Fabrizio De André, principe libero, a scrivere capolavori come Creuza de mä e Le nuvole; e ancora, la nascita delle Officine Meccaniche, fabbrica di canzoni, di colonne sonore e di sogni, le direzioni artistiche, i festival.
Narrativa straniera
Passiamo alla narrativa straniera e cominciamo subito con Matrix, nuovo libro di un’autrice molto amata anche in Italia, Lauren Groff. Siamo in Inghilterra nel dodicesimo secolo. Marie, bandita dalla corte della regina Eleonora d’Aquitania, che ama di un amore ardente, è una ragazza sola, figlia illegittima di re, inutilmente colta, inutilmente appassionata, destinata com’è a una vita di clausura in un’abbazia che ha conosciuto giorni migliori, abitata da un piccolo popolo di donne inacidite dalla segregazione, dispettose, anche solo vecchissime. Però Marie riconosce in quell’enclave isolata, così importante per l’economia del contado, una possibilità di crescita, di potere, anche. E così prende le redini di un’impresa tutta da costruire che la porterà a scivolare in silenzio fuori dal raggio autoritario del clero locale, verso un’indipendenza di spirito e di azione destinata a trasformare l’abbazia in un cuore pulsante di energie, fervido di progetti, illuminato, vivo, in cui ogni donna ha il suo posto e la sua occasione di brillare. Ma da fuori premono l’invidia, le chiacchiere, la curiosità morbosa per quell’Utopia prima del tempo.
Restiamo in Inghilterra, più precisamente nel Northumberland, anche con Sacrificio di Sarah Moss: Silvie ha diciassette anni e sta passando le vacanze nell’Età del Ferro perché suo padre, appassionato di storia, per due settimane ha deciso di trascinare moglie e figlia in una zona remota per partecipare a un seminario estivo del professor Slade: insieme ad alcuni studenti vivranno come gli Antichi Britanni, di caccia e raccolta, senza contatti con altre persone o con qualsiasi forma di modernità, imparando a intrecciare cesti, ricreando la vita di una comunità del tempo. La vita in tutta la sua purezza, a contatto con la natura, come la natura spietata. Silvie sa fin troppo bene che la violenza è ovunque, persino tra le persone che dovrebbero amarla e proteggerla. L’esperimento funziona, e induce gli uomini del gruppo, ormai presi dalla finzione che hanno innescato loro stessi, ad accanirsi sulla preda più indifesa. Proprio come nella preistoria.
Dalla Gran Bretagna ci spostiamo in Bretagna, con Alla linea di Joseph Ponthus, romanzo-poesia e caso editoriale in Francia, che racconta di un operaio interinale che lavora prima nella conservazione del pesce e poi in un mattatoio. Giorno dopo giorno elenca con precisione i gesti del lavoro alla catena di montaggio, il fragore, la stanchezza immensa, i sogni inghiottiti dalla ripetizione di riti sfinenti, la sofferenza del corpo e l’annullamento dell’anima. A salvarlo è il fatto di avere una vita parallela, interiore, animata dai grandi autori latini, dalle canzoni di Trenet, dai romanzi di Dumas. È la sua vittoria precaria sull’alienazione del lavoro ripetitivo, una vittoria nutrita anche dalla gioia delle domeniche, dall’affetto per un cane, dall’amore per una donna, dall’odore del mare.
A chi possiamo, a chi dobbiamo credere quando ci tuffiamo nelle acque insondabili della memoria familiare? È la domanda cui tenta di rispondere L’acqua più profonda di Katya Apekina, la storia di Edie e Mae, sedici e quattordici anni, che sono costrette a lasciare la casa dove sono cresciute in Louisiana per andare a vivere a New York con il padre Dennis, dopo che la madre, Marianne, viene ricoverata contro la sua volontà in un ospedale psichiatrico. All’inizio le ragazze non si fidano di lui, ma il legame fra loro comincia a sgretolarsi quando Edie sceglie di rimanere fedele a Marianne, convinta che Dennis sia il vero responsabile del suo crollo, mentre Mae si avvicina sempre più al padre.
Restiamo a New York anche in Fake accounts di Lauren Oyler, che prende il via nel momento in cui la protagonista, una giovane donna con opinioni molto decise sulla Rete, di cui pure fa uso nella vita privata e su cui si fonda il suo mestiere, sbircia il cellulare del suo ragazzo, Felix, e scopre che è un celebre complottista anonimo. Questo spiega in parte il suo distacco e la sua elusività, ed è quasi un sollievo, perché le offre una buona ragione per lasciarlo, come già stava pensando di fare. Ma poi un incidente fa precipitare la situazione, e lei decide di lasciare New York e tornare a Berlino, dove lei e Felix si sono conosciuti. Qui si immerge in un mondo di expat, che sembrano dotati di identità evanescenti e si guardano bene dal mettere radici, tutti sospesi in una sorta di acquario, in attesa di non meglio precisate certezze. Chiaro che di gente così non ci si può fidare, come del resto di Felix. E di lei ci possiamo fidare, noi che leggiamo la sua storia e ascoltiamo divertiti e sconcertati la sua versione dei fatti?
Overlook, illustrati e poesia
Passiamo alla saggistica e alla nostra collana Overlook, cominciando da Parla bene, pensa bene. Piccolo dizionario delle identità di Beatrice Cristalli. Le parole sono importanti, vanno scelte con cura. E questo è tanto più vero quando parliamo delle identità che ci abitano, un discorso che si impone con urgenza in una società che ambisce ad abbracciare la complessità e però manca di una base condivisa per capirla e per descriverla: le parole, appunto. Ma come si può comprendere la conversazione se non si possiedono le parole? Come si può intervenire in modo responsabile nel dibattito se non si hanno gli strumenti primi per decifrarlo? Ecco allora un piccolo dizionario che raccoglie e prova a spiegare le parole – da binarismo di genere a gender mainstreaming, da identità a transizione, solo per dirne alcune – che ci servono per parlare bene di sesso, orientamento sessuale, orientamento romantico, identità, espressione e ruoli di genere. Parlando bene potremo pensare meglio noi stessi e gli altri, perché tutto ciò che siamo passa attraverso le parole che usiamo.
Il primo incarico di Massimo Ammaniti al Reparto dei minori irrecuperabili dell’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma durò un giorno. L’orrore dei bambini che lì erano rinchiusi, confinati nelle sorveglianze, spesso seminudi, legati ai letti o ai termosifoni, abbandonati dalle famiglie, fu tale da essere insostenibile. Tornò sei anni dopo, nel 1972, per ridare a quei bambini, considerati irrecuperabili, una vita dignitosa. In due anni intensi e drammatici combatté giorno per giorno, con avveduta caparbietà, per cambiare abitudini, regole, comportamenti, spazi. Per rivestire i bambini, aiutarli a riscoprire il corpo, a riconoscere il loro nome. Per aprire i cancelli e far entrare il mondo. Fu una piccola grande rivoluzione, che si inseriva allora in un movimento più ampio di critica alle istituzioni manicomiali: sono gli anni dell’antipsichiatria, anni di grandi passioni che portarono Ammaniti vicino ai maestri Bollea e Basaglia, e poi su strade nuove e diverse, preferendo all’attivismo la ricerca e la cura. In Passoscuro. I miei anni tra i bambini del padiglione 8 connette l’esperienza professionale alla sua vita personale e familiare, aprendosi al dolore di una ferita – una perdita – che è stata anche il movente dei suoi studi, della sua carriera, di una vita intera spesa ad aiutare i più piccoli.
Passiamo poi agli illustrati, presentandovi le 474 risposte di Giuseppe Penone ad Alain Elkann. Non si tratta dell’ennesima intervista, ma di una conversazione nella quale Penone rievoca il passato di un’infanzia protetta nel borgo di Garessio, nell’alta Val Tanaro, i giochi da ragazzo, la passione precoce per il disegno incoraggiata dalla madre, la rivelazione del legame intimo tra uomo e natura sperimentata nei boschi e nei campi, la seduzione della materia, la scoperta della fluidità dei suoi elementi, il profumo del legno, esperienze che avrebbero segnato il suo essere scultore. Insofferente a un approccio tradizionale all’arte, matura la sua personale inclinazione ricercando materiali e forme espressive non convenzionali che lo accomunano sul finire degli anni sessanta all’Arte Povera delineata da Germano Celant.
Infine la collana CapoVersi si arricchisce di un nuovo titolo, La guerra delle bestie e degli animali, antologia di cinque poemetti, scritti tra il 2015 e il 2020, di Marija Stepanova pensata dall’autrice espressamente per i lettori italiani. Prima del successo internazionale di Memoria della memoria, ingatti, Stepanova era già un’autrice famosa: per vent’anni ha contribuito a plasmare la scena letteraria moscovita e si è fatta un nome come poeta sperimentale e indipendente anche all’estero.
Tascabili ed Echi
In formato tascabile, per la prima volta raccolti in un unico volume, arrivano quattri saggi (Artificio e natura, 1968;, Intervallo perduto,1980; Elogio della disarmonia, 1986, e Horror Pleni, 2008) del grande Gillo Dorfles. Sotto il titolo Estetica dovunquequesti saggi, presentati da Massimo Cacciari, segnano altrettante tappe di una riflessione estetica ricca e dinamica, in evoluzione come materia viva.
Un nuovo inizio è quello che ci vuole per tornare ad amare
A volte la cosa migliore è lasciarsi andare e seguire il proprio cuore…
Quando ha avuto l’occasione di andare a lavorare come ostetrica a Londra, Ella Mehenick si è lasciata alle spalle la cittadina costiera dove è cresciuta senza troppi ripensamenti. Ma ora che la sua vita perfetta è andata in frantumi, non può far altro che tornare nel posto che per tanto tempo ha chiamato casa, sperando in un nuovo inizio. E il villaggio non la delude: le colleghe la accolgono con calore e stringe nuove amicizie, ma deve anche fare i conti con Dan, il suo primo amore e l’uomo che le ha spezzato il cuore… Il rientro a casa e l’aria di mare, insieme ai profumi e alle leccornie della pasticceria di famiglia, convinceranno Ella a dare una seconda chance all’amore?
«Una storia che scalda il cuore. Leggere Jo Bartlett è una gioia.»
Il pane fra sacro e umano il libro di Zefferino CIUFFOLETTI
E’ uscito recentemente il volume di Zeffiro Ciuffoletti “Il pane fra sacro e umano.
Dal Medioevo cristiano al Novecento” (Le Lettere). Ne riportiamo la Prefazione dell’Autore.
Zefferino CIUFFOLETTI
Zeffiro Ciuffoletti:“Carlo Levi scrisse che il pane costituisce “la prima prova della civiltà e la più profonda delle sue espressioni”. Questa frase mi colpì molto mentre scrivevo un saggio sulle Origini della dieta mediterranea per il terzo volume della Storia dell’Agricoltura Italiana dell’Accademia dei Georgofili (Firenze, 2002). Da qui il mio interesse per la storia plurisecolare del pane e da qui nasce questo lavoro che si concentra sulla concatenazione fra le carestie, le guerre e le pestilenze che ha caratterizzato la storia dell’Europa dal Medioevo alla prima guerra mondiale. Non si tratta di stabilire una gerarchia, come spesso si è fatto, all’interno di questo “ciclo infernale”, ma di dimostrare che queste disgrazie si presentano sempre intrecciate e che, nonostante le terribili conseguenze sociali e demografiche, non è mai venuta meno la spinta ad andare avanti. Spesso senza fare tesoro dell’esperienza del passato. Le pandemie, ad esempio, hanno sempre accompagnato il processo di espansione della civiltà europea, che tuttavia, nonostante gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e della potenza economica, non è mai riuscita a interrompere il ciclo infernale. Ciclo che, infatti, si è ripresentato con il suo intreccio fino alla “grande guerra”. Il dopo è oggi, ma già la Seconda guerra mondiale, sorta dalle “ideologie del male”, di cui ha parlato nelle sue Memorie Papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, aveva dimostrato che era possibile spezzare il ciclo infernale che dal Medioevo tormentava l’umanità. Nel secondo dopoguerra si sconfisse, anche se mai del tutto, la fame con la “rivoluzione verde” e con lo sviluppo dello stato sociale, ma si combatterono anche le malattie con i sistemi sanitari e con le vaccinazioni, non solo nel mondo occidentale. Oggi siamo davanti alla sfida del coronavirus, una pandemia globale che è una sfida non solo alla ricerca scientifica, ma anche alla nostra coscienza storica. Se, nonostante il ripetersi del ciclo infernale per secoli e secoli nella storia europea, l’umanità e la civiltà è andata avanti, bisognerà riconoscere che la spinta alla vita, la forza vitale ha sempre superato la disperazione e la morte. Il filosofo francese Pierre Teilhard de Chardin, uno dei pensatori più importanti del Novecento, ci ricorda che “il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame, né la peste: è invece quella malattia spirituale – la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli – che è la perdita del gusto di vivere”. Sicuramente grave la perdita della memoria e della consapevolezza storica degli ultimi decenni, quelli delle “magnifiche sorti e progressive “ del mondo globalizzato. A proposito della “spagnola”, che tanto spesso viene evocata in relazione alla pandemia del coronavirus che sta sconvolgendo il mondo intero, Stefan Cunha Ujvari, epidemiologo e storico insigne delle epidemia, già nel 2003 così scriveva: “Chi immagina che la storia dell’influenza spagnola appartenga solo al passato si sbaglia. Una nuova epidemia, mortale tanto quella vissuta nel 1918, è una minaccia costante ancora oggi […]. Non si può sottovalutare il potenziale di insorgenza di nuovo tipo di virus di influenza ad alto tasso di mortalità”. In questo senso la storia può servire”.
ROMA-E’ morto lo scrittore Raffaele La Capria, aveva 99 anni
Raffaele La Capria
(ANSA)-Articolo di Paolo Petroni–Era una delle voci più significative della letteratura italiana del secondo ‘900, Raffaele La Capria, che avrebbe compito 100 anni a ottobre e si è spento questa notte nell’ospedale romano Santo Spirito.
Nato a Napoli nel 1922 e dal 1950 che viveva a Roma.
Nel 1961 aveva vinto il Premio Strega con “Ferito a morte”, ritratto di Napoli e di una generazione seguita con complessi sbalzi temporali lungo l’arco di un decennio. Ha ricevuto per la sua carriera il Premio Campiello (2001), il Premio Chiara (2002), il Premio Alabarda d’oro (2011) e il Premio Brancati (2012). Nel 2005 aveva vinto il Premio Viareggio per la raccolta di scritti memorialistici “L’estro quotidiano”.
Con la sua opera di narratore, La Capria ha raccontato i vizi e le virtù della sua Napoli, dove era nato il 3 ottobre 1922. Oltre che scrittore, è stato giornalista, collaboratore di diverse riviste e quotidiani tra cui “Il Mondo”, “Tempo presente” e il “Corriere della Sera” e dal 1990 era condirettore della rivista letteraria “Nuovi Argomenti”.
Trascorse lunghi periodi in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, per poi stabilirsi a Roma. Ha collaborato con la Rai come autore di radiodrammi e ha scritto per il cinema, co-sceneggiando molti film di Francesco Rosi, tra i quali “Le mani sulla città” (1963) e “Uomini contro” (1970) ed ha collaborato con Lina Wertmüller alla sceneggiatura del film “Ferdinando e Carolina” (1999).
È stato autore di numerosi romanzi, tra i quali “Un giorno d’impazienza” (1952), “Amore e psiche” (1973), “La neve del Vesuvio” (1988), “L’amorosa inchiesta” (2006); saggi, quali “Letteratura e salti mortali” (1990), “L’occhio di Napoli” (1994), “La mosca nella bottiglia” (1996), “Napolitan Graffiti” (1998), Lo stile dell’anatra (2001) e il saggio-intervista “Me visto da lui stesso. Interviste 1970-2001 sul mestiere di scrivere” (2002).
Ha anche tradotto opere per il teatro di autori come Jean-Paul Sartre, Jean Cocteau, T. S. Eliot, George Orwell.(ANSA)
Biblioteca DEA SABINA-Rivista Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” dll’11 al 28 nov. 2001Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001–Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-
BERLINO-10 maggio 1933 :”L’incendio di libri nella Germania nazista”.
L’incendio di libri nella Germania nazista Berlino 10 maggio1933
Erano passati poco più di quattro mesi da quando Adolf Hitler salì al potere quando, il 10 maggio 1933 , ebbe luogo a Berlino e in altre città tedesche il Bücherverbrennungen, il rogo dei libri .
Il nazionalsocialismo, già in quei primi mesi di governo, aveva gettato le basi per la dittatura e mosse quei primi passi che avrebbero portato alle tragedie degli anni successivi: Hitler ottenne poteri speciali dal Parlamento, aprì il primo campo di concentramento a Dachau e prese iniziò il boicottaggio dei negozi ebraici. Questi primi atti, che cominciarono a influenzare direttamente la vita di uomini che l’ideologia nazista considerava nemici della Germania , furono subito accompagnati dalla loro prima uccisione simbolica, quella dei libri .
I falò sono stati promossi dall’Associazione nazionalsocialista degli studenti tedeschi e il ministro della Propaganda Joseph Goebbels li ha coordinati per darvi il massimo risalto. Nella notte del 10 maggio, decine di migliaia di libri, 25.000 volumi nella sola Berlino, furono dati alle fiamme davanti a politici, professori, studenti e migliaia di altri sostenitori nazisti .
Tra le opere in fiamme c’erano i libri dei più grandi teorici e figure letterarie del socialismo, da Karl Marx a Bertold Brecht, autori stranieri come Ernest Hemingway e Jack London, scrittori tedeschi contrari al nazismo come Thomas Mann, Erich Kästner, Heinrich Mann e Ernst Gläser. Furono bruciate anche Bibbie e pubblicazioni dei Testimoni di Geova , la biblioteca e gli archivi dell’Istituto per la scienza della sessualità, accusato agli occhi dei nazisti per le sue opinioni liberali sull’omosessualità e il transessualismo, e i libri di autori ebrei. Franz Kafka, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig. In quello che è stato il più grande libro in fiamme mai visto nel mondo occidentale,Venne Bruciata Tutta la cultura e nazista considerata anti-tedesca per motivare politici e razziali : la lunga storia del fanatismo aveva raggiunto nella Germania nazista il suo apice.
Negli anni dopo il 1933, in Germania e nei territori occupati dai nazisti durante la guerra, ci furono numerosi altri fuochi di libri, ma fu da quel 10 maggio che fu sancito il principio totalitario per il quale ogni opera scritta doveva conformarsi ‘ Ideologia nazionalsocialista. La battaglia per la distruzione di tutte le diverse espressioni culturali interesserebbe poi anche l’arte e la musica considerate “degenerate” .
Gli incendiari volevano colpire sia chi aveva scritto e letto quei volumi, sia l’unica possibilità di poterli ripensare. I libri Furon Bruciata alter ego in quanto di uomini che quegli quegli volevano EliminaçÃ, e che poi Sarann uccisi nei lager . “Dove bruci libri, finisci per bruciare anche uomini”, aveva avvertito un secolo prima il poeta tedesco Heinrich Heine. Nel 1933 le sue opere furono date alle fiamme anche dagli incendi nazisti.
Durante l’ incendio di Berlino , avvenuto nella piazza davanti all’Università, Goebbels ha pronunciato un odioso discorso sull ‘”intellettualismo ebraico”, dicendo che gli studenti farebbero bene a “dare fuoco allo spirito malvagio del passato” . Oggi, nella stessa piazza , un’opera d’arte dell’israeliana Micha Ulmann ricorda quanto accaduto . Si tratta di un vero e proprio monumento commemorativo, sotterraneo, ma visibile a tutti attraverso una lastra trasparente posta all’altezza del pavimento: chi la guarda vede una piccola biblioteca, con scaffali vuoti.
Fonte: Scuola e memoria – L’incendio di libri nella Germania nazista
-Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982-
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Jean Paul Sartre moriva a Parigi il 15 aprile del 1980
Jean Paul Sartre
Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre (Parigi, 21 giugno 1905 – Parigi, 15 aprile 1980)è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese. Viene considerato come uno dei scrittori e filosofi più importanti di sempre, sostenitore dell’esistenzialismo e del marxismo, e vincitore del premio Nobel per la letteratura del 1964 anche se rifiutato. Celebre fu la relazione con la filosofa Simone de Beauvoir. La sua opera più conosciuta è la nausea. Il 21 giugno del 1905 nasceva a Parigi, Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre da Anne-Marie Schweitzer cugina di Albert Schweitzer, il padre Jean-Baptiste Sartre morì quando Paul aveva solo un anno. Muore il 15 aprile del 1980 a Parigi.
“Incipit, La Nausea”-La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente l’estensione e la natura di questo cambiamento. Per esempio ecco un astuccio di cartone che contiene la mia bottiglia d’inchiostro. Bisognerebbe provare a dire come la vedevo prima e come adesso la… Ebbene! È un parallelepipedo rettangolo che si distacca su — è idiota. Non c’è nulla da dirne. Ecco quel che si deve evitare, non bisogna mettere dello strano dove non c’è nulla. Credo sia questo il pericolo, quando si tiene un diario: si esagera tutto, si sta in agguato, si forza continuamente la verità. D’altra parte son certo che da un momento all’altro — sia a proposito di questo astuccio che di qualsiasi altro oggetto — io posso ritrovare l’impressione dell’altro ieri. Devo star sempre all’erta altrimenti essa mi scivolerà ancora di tra le dita. Non bisogna… ma notare accuratamente e con i maggiori particolari tutto ciò che succede. “Incipit, La Nausea”
Timbuctù -Abdel Kader Haidara, dopo essersi preso cura della raccolta e del restauro di 350.000 manoscritti di valore incommensurabile, un giorno torna da un viaggio di lavoro e trova la sua città invasa. Così, di nascosto, inizia una silenziosa opera per salvarli dalla furia fondamentalista
Il bibliotecario eroe di Timbuctù
Lo abbiamo visto così tante volte negli ultimi anni che quasi ci siamo abituati: i talebani che abbattono i Buddha di Bamiyan con le cariche esplosive, i miliziani dell’Isis che prendono a martellate le statue nel museo di Mosul, la distruzione del sito archeologico di Palmira e l’uccisione dell’uomo che lì dirigeva gli scavi. E’ la “pulizia culturale” dei fondamentalisti, il tentativo di negare molteplicità e differenze in favore del pensiero unico. E quindi addio a tesori inestimabili e meravigliose testimonianze di un passato in cui i popoli convivevano nella tolleranza.
In questo desolante panorama, alcune storie di coraggio vanno invece raccontate. Come quella di Abdel Kader Haidara, il cui amore per i libri e i manoscritti antichi ha permesso di salvare l’immenso patrimonio culturale del Mali.
Tutto comincia nell’aprile del 2012, quando Abdel, tornato da un viaggio di lavoro in Burkina Faso, trova la sua città, Timbuctù, invasa dai miliziani di una delle affiliate africane ad Al Qaeda. Saccheggi, spari, bandiere nere che sventolano sui palazzi governativi e sui pickup che sollevano nuvole di terra per le strade.
Il bibliotecario eroe di Timbuctù
Abdel di mestiere fa il bibliotecario e il conservatore di manoscritti antichi. Dal XVI secolo, la sua famiglia si è dedicata alla raccolta di volumi centenari e ha fondato l’Ahmed Baba Institute, in cui questi tesori dimorano. Suo padre si è dedicato per anni ai viaggi in tutta l’Africa, raccogliendo centinaia di manoscritti in Chad, in Sudan e in Egitto.
Alla sua morte, nel 1981, Abdel ha solo 17 anni. Il direttore dell’istituto offre a lui il posto. «Non volevo fare questo – racconta – gli risposi che non ero interessato. Volevo buttarmi nel mondo degli affari e guadagnare un sacco di soldi, non lavorare in una biblioteca». Il direttore però non si arrende. «Mi disse: “Questo è il tuo lavoro, il tuo destino. Hai una grande responsabilità. Sei il custode di una grande tradizione intellettuale”». Dopo mesi d’insistenza, Abdel cede. Studia intensamente e impara in fretta tutto quello che c’è da sapere, dalle tecniche di conservazione a come attribuire un valore economico ai singoli pezzi.
Trent’anni dopo, quando nel 2012 i miliziani invadono la sua città, della collezione fanno parte 350.000 manoscritti raccolti, chiesti in dono o comprati in ogni parte del paese. Molti sono secolari. Tra questi, anche un Corano dalla forma irregolare del XII secolo, scritto su una pergamena fatta con pelli di pesce e rilucente di lettere vergate in blu e oro. E poi testi di astronomia, matematica, scienze occulte e medicine tradizionali. «Molti dei manoscritti mostrano che l’Islam è una religione di tolleranza» racconta.
Ma ovviamente questa visione non è quella dei fondamentalisti. Anzi, gli antichi esempi di disquisizioni intellettuali e analisi del mondo sono proprio ciò che i jihadisti puntano a distruggere. Abdel sa che presto o tardi, i libri saranno in pericolo. Per un po’ fa finta di niente. Cammina per le strade senza guardare negli occhi nessuno e apre la biblioteca come se tutto fosse normale. Ma sa che deve fare qualcosa.
Qualche giorno più tardi, incontra i colleghi all’associazione delle biblioteche, da lui stesso fondata 15 anni prima. «Penso che sia necessario portar via i manoscritti da dove sono – dice loro – e disperderli nelle case qui in città. Non vogliamo che trovino le collezioni e le rubino o le distruggano».
Mesi prima, l’ufficio della Fondazione Ford a Lagos, in Nigeria, gli ha concesso una borsa di studio di 12.000 dollari per studiare inglese a Oxford. I soldi sono stati tenuti da parte in un libretto di risparmio. Abdel scrive alla fondazione e chiede l’autorizzazione per ricollocare i fondi: vuole usarli per proteggere i manoscritti. I soldi arrivano in tre giorni.
Abdel recluta suo nipote e a seguire i bibliotecari, gli archivisti, le segretarie, le guide turistiche di Timbuctù oltre a mezza dozzina di parenti. Il risultato è un colpo degno di “Ocean’s Eleven”.
Comprano casse di metallo o di legno al ritmo di 50 e persino di 80 al giorno, finché nessuno nei dintorni ne ha più. Ma non bastano. Allora incominciano a comprare barili di olio vuoti e li portano da un artigiano in una città vicina perché li batta col martello fino a trasformarli in casse, e identificano le case sicure dove nasconderle, in città o nelle periferie. Organizzano un piccolo esercito di imballatori che lavorano silenziosamente nel buio e organizzano i trasporti a dorso d’asino fino ai nascondigli.
Nel corso di otto mesi, quando neanche le case della città sembrano più sicure, le operazioni finiscono per coinvolgere centinaia di imballatori e corrieri. Contrabbandano i manoscritti fuori da Timbuctù, lungo le strade e i fiumi, oltre i checkpoint dei jihadisti e – dove ancora il governo è al potere – le sospettose truppe del Mali.
Quando i militari francesi arrivano, a gennaio 2013, la maggior parte del tesoro culturale è salvo: i libri andati distrutti nei roghi dei fondamentalisti sono 4000 sui 350.000 originari. «Se non lo avessimo fatto – racconta Abdel – sono sicuro che molti altri sarebbero andati in fumo».
Abdel è particolarmente orgoglioso di aver salvato un manoscritto: un volume che sembra pronto a sbriciolarsi, nel quale si racconta della risoluzione di un conflitto tra i regni di Borno e Sokoto, in quella che è l’attuale Nigeria. E’ l’opera di un intellettuale e sacro guerriero Sufi che governò brevemente Timbuctù nel XIX secolo. Quest’uomo, sostiene Abdel, era un jihadista nel senso originale e migliore della parola: un uomo che conduce una guerra dentro di sé contro le idee malvage, i desideri e la rabbia e li soggioga alla ragione e all’obbedienza ai comandamenti di Dio. «Una bella lezione – commenta Abdel – per chi invece semina il terrore».
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