Giuseppe Muraca, “L’integrità intellettuale. Scritti su Franco Fortini”.
Giuseppe Muraca, “L’integrità intellettuale. Scritti su Franco Fortini”. Edito da Ombre Corte, 12 euro.
Si tratta di una raccolta di scritti sull’intellettuale fiorentino composto da 5 capitoli: 1. I dieci inverni. 2. Fortini e Pasolini. 3. Fortini dalla crisi del ’56 alla contestazione. 4. Attilio Mangano, Franco Fortini e la nuova sinistra. 5. Note di lettura.
Una panoramica ricca di contenuti e di spunti per eventuali approfondimenti per chi, come me, ha una conoscenza superficiale della vasta produzione intellettuale fortiniana. Come scrive Muraca, risulta centrale negli scritti di Fortini “la riflessione sul ruolo degli intellettuali e dello scrittore nella società del 900 e il loro impegno per la costruzione di una nuova società, di una società socialista. Per molti la sua colpa è stata quella di essere stato un marxista critico ed eterodosso e un comunista eretico; ma per me deriva proprio da questo aspetto la sua singolarità e la sua esemplarità. E persino negli ultimi anni, quando oramai la storia aveva preso una direzione diversa da quella sperata, egli si è mantenuto fedele, con grande coerenza e integrità morale, a questa scelta radicale”.
In un estratto riportato da Muraca da una lettera del 1958 Fortini scrive: “Quando tutti parlano d’amore, di lealtà, di collaborazione, di “progresso”, di buonumore, di “denuncia” dei mali e di fiducia nella “scienza”, bisogna insegnare l’odio, l’ipocrisia, la divisione, il “regresso”, la negazione, la sfiducia nella “scienza”: il primato dell’azione, anche apparentemente minima, purché compiuta da un gruppo di persuasi è situata in una prospettiva corretta”.
Francesco Cardelli Romarcord Divagazioni su Roma tra nostalgia e amnesia
Il libro
Una vita raccontata attraverso i cambiamenti di una città amatissima, o meglio: una città raccontata attraverso il pretesto di un’autobiografia, quella di Francesco Cardelli, nato allo scoppio della Seconda guerra mondiale e cresciuto in una Roma che poteva essere allo stesso tempo aristocratica e popolare, cinica e bonaria, obbediente alla Chiesa eppure già aperta alla controcultura di sinistra. Da una parte la «scola de preti», i riti familiari, il Circolo della Caccia, le udienze papali, gli scout, i rosari serali; dall’altra il Folkstudio, i primi cinema d’essai, il teatro delle cantine: luoghi trasgressivi, eccitanti per i figli di quella Roma ancora provinciale e bigotta che andavano così scoprendo il blues, il cinema d’autore, le avanguardie. I dettagli, soprattutto linguistici, sono registrati perché resti una traccia della città che non c’è più: i richiami degli ambulanti, i menù delle osterie, i giochi dei bevitori, i proverbi, le tante parole di un romanesco che nessuno parla più (la fojetta per versare il vino, la giannetta che soffia da nord), i cibi dimenticati (le fusaje, i mostaccioli), le filastrocche. E così le tradizioni dimenticate: gli zampognari con le «cioce» ai piedi, la «Befana del vigile», le corse dei cavalli «barberi» in via del Corso, la banda musicale al Pincio; e i mestieri scomparsi, come il bottijaro, il robbivecchi, l’ombrellaro o l’«uomo del sacco». Poi c’è la piccola storia: le rare memorabili nevicate, Mister Okay che si tuffa nel Tevere, le Olimpiadi del ’60 con gli atleti a zonzo per via del Corso, Bob Dylan al Folkstudio, Sartre e Beauvoir alla birreria Santi Apostoli, Liz Taylor intravista nel pubblico al concorso ippico di piazza di Siena. E ovviamente ci sono le strade, i cui nomi evocano «una piccola città da libro di fiabe», i quartieri, i negozi ormai chiusi, i mercati, tutta una topografia che tiene insieme, nel lutto dei tanti irreversibili cambiamenti, passato e presente.
L’autore
Francesco Cardelli
Francesco Cardelli è nato accidentalmente a Lugano, nel 1940, ma è sempre vissuto a Roma. Questa è la sua prima pubblicazione
Francesco Cardelli
Romarcord
Divagazioni su Roma tra nostalgia e amnesia
ISBN 9788822906274 2021, pp. 192 145×210, brossura € 14,00 € 13,30 (prezzo online -5%)
Recensioni / Tuffo nella Roma Anni ’60 ritratto di tutta l’Italia-Giacomo Giossi da «L’Eco di Bergamo»
Roma è quasi sempre sinonimo di passato: passato artistico e culturale, passato geopolitico e imperiale così come cinematografico come quando Roma veniva definita la Hollywood sul Tevere e la dolce vita era uno stile di vita famoso nel mondo. Questa idea di un passato quale riferimento ideale e assoluto è chiaramente un limite allo sviluppo e all’idea stessa di città ed è in parte anche la causa dei tanti limiti soprattutto strutturali – che oggi rendono complicata la vita ai suoi cittadini e visitatori. Tuttavia il rapporto vivo e continuo di Roma con il passato la rende anche uno dei pochi luoghi al mondo in cui il passato riesce ad avere un ruolo attivo potenzialmente virtuoso e in cui la memoria può intrecciarsi con la contemporaneità regalando visioni e possibilità uniche. Il romanzo di Francesco Cardelli, Romarcord, centra fortemente questo punto perché costruisce un vivido racconto autobiografico che prende il via dai primi anni del secondo dopoguerra e descrive Roma attraverso un lessico famigliare. La Roma di Cardelli è quella composta da strade e quartieri che fanno da sfondo ad una quotidianità anni Sessanta che tuttavia pulsa ancora oggi viva nella memoria nazionale: la prima auto, la prima coca cola, la cena in pizzeria, il cinema e la scuola. Cardelli assembla i propri ricordi intrecciandoli con quelli di un Paese che esce poverissimo dalla Seconda guerra mondiale e conosce la prima ricchezza (e le prime contraddizioni) con il boom economico. Romarcord è un ricordo affettuoso e malinconico di un tempo finito e concluso, ma anche della forza e della presenza assoluta di quel tempo nelle strade e nei palazzi di Roma. Una memoria dunque non antica, ma che riguarda il passato possibile nel tempo breve di un’esistenza. Ed è in questo lasso di tempo, di un Novecento complicato ed oggi esaurito, che si palesa anche la forma di una città che altro non potrebbe essere che la capitale d’Italia. Un titolo e un ruolo che veste a pennello non tanto per la centralità del potere (che è pure effettiva) o per la maestosità dei suoi palazzi e delle sue opere d’arte, ma per quella capacità minima se si vuole di rappresentare in ogni suo borgo un qualunque altro possibile borgo italiano. Un tempo si diceva che a Roma si diventava dopo pochi giorni tutti romani, e lo si diceva come nota di demerito. La verità è che quella romanità attraversa come un fiume carsico tutto il Paese rappresentando la nostra storia tra vizi e virtù, e soprattutto chi potremo essere in futuro.
Francesco Cardelli
Romarcord
Divagazioni su Roma tra nostalgia e amnesia
ISBN 9788822906274 2021, pp. 192 145×210, brossura € 14,00 € 13,30 (prezzo online -5%)
Lorna Cook La piccola città dei meravigliosi tramonti
Una storia d’amore e dedizione, perfetta per i fan di Pam Jenoff e Dinah Jefferies
1943. Il mondo è in guerra e il governo inglese ha chiesto agli abitanti del piccolo villaggio di Tyneham un sacrificio immane: abbandonare le loro case e lasciare che l’esercito britannico occupi il territorio. Alla vigilia della partenza però, accade un fatto terribile destinato a stravolgere per sempre il corso degli eventi. 2018. Melissa sperava di riuscire a ricucire il suo rapporto in crisi con una vacanza sulla costa del Dorset, nel sud dell’Inghilterra. Ma nonostante gli scenari idilliaci e i panorami mozzafiato, Liam sembra sempre più distante. E così, per distrarsi, Melissa decide di approfondire la storia di una donna ritratta in una vecchia fotografia. Nell’immagine si vede il paesino, ora disabitato, di Tyneham. Ma il passato nasconde segreti terribili e la ricerca della verità potrebbe cambiare per sempre la vita di Melissa…
Un tuffo nel passato e un segreto destinato a cambiare la vita di chi lo scoprirà…
Uno straordinario esordio
«Appassionante, ricco di dettagli e vivido nell’immaginazione.» Nikola Scott, autrice del bestseller Le rose di Elizabeth
«Un mistero che cattura il lettore.» Gill Paul, autrice del bestseller La moglie segreta
«Due storie intrecciate, ambientate in un villaggio fantasma: sin dalla premessa questo libro ti intriga e la lettura ti rapisce.» Kate Riordan
Lucia Tancredi-Jacopa dei Settesoli (la ricca amica di Francesco)
Edizioni Città Nuova, 2022
Nell’ottavo centenario del Primo Presepe di Greccio e della Regola dei Frati Minori ben si inserisce il nuovo lavoro di Lucia Tancredi, Jacopa dei Settesoli. la ricca amica di Francesco, per le edizioni Città Nuova.
Non una biografia in senso stretto, è, diversamente, l’abile e sapiente tessitura di un racconto, testimonianza letteraria e culturale, su Jacopa, Francesco d’Assisi e sul tempo che li attraversò.
Lucia Tancredi non è nuova in questo specifico operare, ha già pubblicato un paio di libri su donne e mistica e sul sacro femminile, argomenti di non semplice trattazione ma con i quali sembra trovarsi in grande agio, con passo lieve e poetico: il primo su Monica, la madre di Agostino, e l’altro su Ildegarda di Bingen, monaca benedettina, mistica medievale e molto altro, intellettuale a tutto campo, consigliera di pontefici e imperatori. Anche questo volume, dunque, ci consegna una lettura del femminile e al femminile acuta, originale e ricca di suggestioni per l’oggi.
Su Jacopa dei Settesoli, poiché le fonti sono ristrette e i documenti originali scarsi e in parte controversi, la scommessa di Lucia Tancredi è stata quella di lavorare su una tenue traccia storica intrecciandola al verosimile letterario e a stimolanti suggestioni culturali; un molto immaginato ma non falso che “riscrittura e invenzione” avvolgono in una trama fascinosa e avvolgente. La sua scrittura alterna e attorciglia le invenzioni letterarie ad inserimenti culturali precisi e a puntate aneddotiche sul tempo di Francesco e delle donne che lo seguirono, restituendoci una visione a tutto tondo, non scontata, di quelle vicende.
Un inquadramento culturale che rende ben comprensibile l’operare e il vivere dei protagonisti, espressione e prodotto di quella educazione “cortese” di derivazione francese che molti rampolli aristocratici e ricchi del tempo ricevevano in famiglia. Anche le donne di alto lignaggio, infatti, pur con differenze con l’educazione maschile, erano educate agli insegnamenti propri della Courtoisie e ai suoi stili di vita, al Fin Amor cantato dai troubadour, al culto cavalleresco della donna, tramite per arrivare a Dio.
La Francia, in particolare la terra di Provenza, era stato il focolare di questa cultura ‘alla moda’ e anche Francesco, ricco di famiglia, non era sfuggito a questa consuetudine. Del resto sua madre, Pica, era probabilmente di origine francese e suo padre Bernardone, al ritorno da un viaggio in quei territori, decise di chiamare il figlio non Giovanni, il vero nome, ma Francesco, Francese, a conferma del tipo di educazione che andava per la maggiore in certi ambienti.
Ed è perciò molto interessante osservare in questo territorio del centro-Italia vicende storico-sociali molto irrituali che riguardarono in particolare donne straordinarie, in un ambito privato e pubblico non facile per il sesso femminile. Non solo di Jacopa, dunque, racconta questo libro, ma anche di Chiara e delle sue consorelle, le future clarisse, e di Francesco naturalmente.
Alcuni mesi fa è uscito nelle sale il film di Susanna Nicchiarelli, Chiara che riporta i momenti salienti della sua vita e ne evidenzia il coraggio estremo nel perseguire gli ideali di povertà e castità indicati da Francesco. Il film è molto interessante, anche rispetto a questo volume perché anch’esso nel focalizzare aspetti importanti della questione femminile si aggancia ai temi e ai modi prediletti da Lucia Tancredi, in qualche modo ulteriormente arricchendoli, utilizzando, per esempio, la dimensione musicale, con canti e musiche in scena, laddove Tancredi usa le visioni e gli incanti poetici.
Nel caso di Chiara, è la scelta consapevole di una vita incerta e grama di povertà e di testimonianza cristiana, per la quale abbandonò provenienze nobiliari, ricchezze e sicurezza e si espose a vendette e violenze familiari. La condizione della donna (ricca) nel Medioevo non consentiva scelte di autonomia e di libertà di vita ma due alternative, il matrimonio o la vita claustrale, nel cui caso era consentito trasferire in convento gli agi propri della provenienza nobiliare. Era comunque una condizione privilegiata perché per il resto delle donne, quelle di condizione umile, non c’erano altre possibilità che seguire il solco di fatica, povertà e malattie della propria classe e condizione sociale.
Nel caso di Jacopa, personaggio centrale nella vita di Francesco d’Assisi e importante figura femminile nella Roma di quello scorcio del Duecento, lo strappo sarà solo apparentemente meno lacerante di quello di Chiara ma non meno leggero. Per entrambe furono scelte estreme e molto coraggiose, rese conseguenti anche dall’aver ricevuto in famiglia una educazione colta e aperta ad influssi sovralocali, insomma dall’aver raggiunto una consapevolezza di sé e delle proprie strade che solo una dimensione culturale molto avanzata e aperta poteva assicurare.
Il racconto su Jacopa si sviluppa come un continuum leggero e poetico, intonato alla sensibilità del tempo per linguaggio e tocco descrittivo. Ma la sua vicenda terrena e il rapporto con Francesco prendono corpo anche con riferimenti talvolta pungenti al vero storico, alle difficoltà che il Santo incontrò già durante la vita e ancor più dopo la morte, evidenziati plasticamente nei contrasti tra assisiati e perugini nel contendersi l’appropriazione del luogo della sua dipartita – “Perché Francesco vale più morto che vivo” – e molto presto per le voci dissonanti che si inserirono e in parte tentarono di addomesticare l’originario ideale francescano.
Madre, che cercava quel fratello?
Nulla, senza Francesco siamo tutti barche che urtano sui becchi delle rocce.
La nobildonna, da lui chiamata Frate Jacopa per indicare il rapporto speciale che a lei lo avvolgeva, fu legata al Santo da profonda e fraterna amicizia, un rapporto tra un uomo e una donna inusuale per il tempo, reso possibile solo per il fatto che Jacopa non era vincolata al voto religioso e alla clausura ma era autonoma per la sua condizione nobile e ricca.
Secondo alcune fonti il primo incontro avvenne a Roma nel 1209 [1] dove Francesco si era recato per ottenere l’approvazione delle Regole del suo ordine monastico da Innocenzo III e dove Jacopa viveva.
Quando qualcuno mi chiede quale Frangipane sono, dico: quella del Settizonio. Quella dei Settesoli.
E mi fanno una riverenza come a una castellana.
Sto intronata in una torre dentro la conca del cielo, a due passi dal sole.
Jacopa divenne da quel momento uno degli amici influenti e altolocati che lo sostennero sempre anche contro l’ostilità di parte della Curia.
Me l’avevano detto e non volevo crederci: c’è un matto che predica agli uccelli.
A Roma di matti che predicano ce n’è per tutti i gusti e le misure. Ma questo predica agli uccelli come uno stregone di campagna. E allora, qual è la novità?
Che gli uccelli lo stanno a sentire.
La prima sede romana dei francescani fu l’ospedale San Biagio, fondato secondo la tradizione da Jacopa, in seguito trasformato nel convento di San Francesco a Ripa, a Trastevere, dominio dei conti normanni, famiglia di appartenenza di Jacopa, e dei conti Anguillara.
Jacopa, di nobili origini normanne (le trecce bionde dipinte da Giotto negli affreschi ad Assisi ne sono il segno), alta educazione e cultura, era di famiglia aristocratica e compassionevole – sposa giovanissima secondo il costume del tempo ad un suo pari, il nobile Graziano Frangipane de’Settesoli [3],
Sono sette i soli che fanno il sigillo di famiglia. Non uno, sette soli in processione, nel cielo delle stelle fisse della nobilissima schiatta dei Frangipane.
e altrettanto giovane presto vedova per la morte precoce del marito – decise, nonostante le pressioni ricevute anche nel contesto papale nel quale viveva e agiva, di non risposarsi, restando libera e padrona della sua vita, e di amministrare le vaste e ricche proprietà (le terre e i castelli sparsi a Roma e nella Campagna Romana fino ad Astura e Cisterna) mantenendo una scelta di vita di povertà e testimonianza francescane, trasmettendola come ideale anche ai figli.
Chiudo gli occhi. Lui è di fronte, con la sua ombra.
Io sono ricca – gli dico – E lui:
Non importa, ama a continua a camminare.
La loro amicizia perseverò e si rinsaldò fino alla morte di Francesco nel 1226, alla quale Jacopa fu presente, da lui chiamata, con amore ed estrema cura, preparando fin da Roma il panno per la tonaca che lui le aveva richiesto, panno grezzo color cenere, nel tipo di quello tessuto dai monaci circestensi nei paesi d’oltremare, una coperta di lana d’agnello, da lei filata con il vello di un piccolo di pecora che Francesco le aveva regalato tempo addietro, un cuscino ricamato, la cera per la sepoltura e gli amati biscotti romani di farina, mandorle e uova tanto da lui apprezzati – forse i mostaccioli?
Alcuni ulteriori spiragli su Jacopa ci sono forniti nel ciclo di affreschi delle storie di San Francesco di Giotto della Basilica superiore di Assisi: nella scena relativa all’ultimo saluto di Chiara e delle compagne alla salma di Francesco, viene raffigurata una figura femminile di spalle, vestita di rosso, colore del sacro femminile, con lunghe trecce bionde, che verosimilmente viene indicata come Jacopa dei Settesoli. E l’autrice ci ricorda anche che Giotto prima di dipingere gli affreschi si era peritato di ascoltare le testimonianze dirette di chi lo aveva conosciuto, non dando ascolto soltanto alle “voci del tempo” che già iniziavano a diffondere versioni rivedute della stessa biografia di Francesco, in particolare per l’azione di Bonaventura da Bagnoregio che, nominato Generale del francescani nel 1266, scrisse la Legenda di Francesco, una versione revisionata della sua vita, sottacendo ed eliminando momenti importanti, compresi quelli che riguardavano Jacopa e il suo ruolo.
Ma Jacopa, che non era già più su questa terra da alcuni anni – morì nel 1239 – non ne soffrì.
“Ora sapevo che Francesco era testimone della luce, del giorno nuovo. Se il nome è già destino, prima di essere Francesco lui era stato Giovanni.”
[2] Il complesso del Septizodium di Settimio Severo già in rovina, alla fine dell’VIII secolo divenne una fortezza baronale i cui ruderi entrarono nei possessi dei Frangipane. La tradizione riporta che al Circo Massimo nella Torre della Moletta Jacopa ospitò l’amico Francesco. Cfr. https://www.capitolivm.it/meraviglie-di-roma/il-septizodium-di-settimio-severo/
[3] Cfr. Omaggio a “Frate Jacopa”, cit. Il cognome Frangipane sarebbe legato all’uso di famiglia di distribuire il pane ai poveri, “frangere panem”.
Lucia Tancredi-Jacopa dei Settesoli (la ricca amica di Francesco)
Nella ricostruzione, tra vero storico e verosimile letterario, di un Medioevo cortese, devoto al servizio d’amore come itinerario per giungere a Dio, Jacopa dei Settesoli non è solo l’amica e la protettrice di Francesco, ma una delle declinazioni del femminile sacro. La giovane matrona romana dalle trecce bionde, ricchissima e padrona del suo destino, stabilisce con Francesco un’intesa in cui l’amore è accettazione e valorizzazione della reciproca alterità come complemento e bene spirituale. La coralità dei Fratelli e delle Sorelle, un Oriente molto prossimo nei suoi scontri e nei suoi incanti, la difficile e controversa eredità di Francesco sono il contesto in cui si individua e si riscatta la figura di Jacopa, nella luminosa e coraggiosa fedeltà a se stessa, pur nell’esperienza di una vicenda d’amore straordinaria e assoluta.
Poesia d’amore indiana- a cura di Giuliano Boccali traduzione di Daniela Rossella-
Marsilio Editori- Venezia
Nuvolo messaggero, Centuria d’amore, Le stanze dell’amor furtivo
DESCRIZIONE-
Per la prima volta in una lingua occidentale sono riuniti in questo volume i tre capolavori della poesia d’amore indiana classica, non meno coinvolgenti e raffinati delle coppie di amanti divini che abitano i templi dell’India: Nuvolo messaggero di Ka¯lida¯sa, lungo canto di struggente nostalgia. Il canto dell’esule sopraffatto dalla solitudine che osa affidare a una nube il messaggio per la sposa irraggiungibile e adorata. Centuria d’amore di Amaruka, raccolta di strofe indipendenti e con protagonisti diversi, dove la sensibilità squisita del poeta è rivolta soprattutto alle emozioni dei personaggi femminili. Le stanze dell’amor furtivo attribuite a Bilhan.a e indissolubilmente legate a una felice leggenda. In segreto, il poeta ama ricambiato la figlia del re, ma è scoperto e condannato a morte. Prima dell’esecuzione gli è concesso parlare: improvvisa allora le «stanze» che gli salvano la vita e gli valgono le nozze con la principessa amata. E questo è forse il messaggio che, con toni diversi, unisce le tre opere: amare, e rievocare poeticamente il proprio amore, è l’unica via che permette di «salvarsi» la vita e di realizzare interamente il proprio destino.
“Oggi ancora, lei, sciolti i nodi della chioma intrecciata, ricaduta la ghirlanda, le labbra dolci d’un riso celeste…nel segreto, eccitati gli sguardi, ricordo”
John Ronald Reuel Tolkien- Il libro dei racconti perduti
– Bompiani- Giunti Editore-
DESCRIZIONE-
John Ronald Reuel Tolkien ha scritto nel corso della vita molti racconti e versi che arricchiscono la mitologia e le storie della Terra di Mezzo. Dopo la sua scomparsa il figlio Christopher per volontà del padre ha seguito con cura la pubblicazione di questo tesoro, portando alla luce nuovi personaggi, episodi epici e luoghi incantati. Il libro dei racconti perduti – seconda parte segna il ritorno di alcuni personaggi e vicende incontrati nel primo volume della Storia della Terra di Mezzo ma anche la comparsa di creature, episodi e leggende nuovi raccontati con tutta la forza creativa e il genio di J.R.R. Tolkien. Tra le narrazioni che costituiscono i pilastri su cui si regge la storia di Arda si trova la storia d’amore tra Beren e Lúthien, le avventure di Túrin Turambar e lo spaventoso confronto con il drago Glorund, ma anche la strenua resistenza dei signori elfici contro l’esercito di Morgoth e la creazione della collana dei Nani, la splendente Nauglafring. Le sei storie qui raccolte sono arricchite dai commenti e dalle note di Christopher Tolkien, che indica ai lettori riferimenti e percorsi per continuare ad esplorare la vastità e la profondità della fantasia ma anche della competenza storica e linguistica del padre. E il viaggio non è che all’inizio…
Breve biografia di John Ronald Reuel Tolkiennacque il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, in Sudafrica, da genitori inglesi. Insegnò Lingua e letteratura anglosassone a Oxford, e poi Lingua e letteratura inglese. Morì a Bournemouth, nello Hampshire, il 2 settembre 1973. Tra le sue opere, tutte pubblicate da Bompiani, ricordiamo Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e I figli di Húrin. Sempre per Bompiani è in corso di pubblicazione il ciclo di volumi La storia della Terra di Mezzo, curato da Christopher Tolkien.
Bompiani è un marchio Giunti Editore Sede operativa Via Bolognese 165, 50139 Firenze
Traduzione, introduzione e note di Gian Domenico Giagni
Guanda Editore-Parma 1960
Jacques Prévert (1900 – 1977) è stato un poeta e sceneggiatore francese. La poesia di Prévert è una poesia scritta per essere detta e quindi più parlata che scritta, fatta per entrare a far parte della nostra vita. Ciò che esce con prepotenza è il concetto di amore come unica salvezza del mondo, un amore implorato, sofferto, tradito, ma alla fine sempre ricercato. Le poesie di Prévert o meglio le sue ‘tranches de vie’ si offrono facilmente ad una interpretazione musicale perché non si allontanano molto dallo schema tradizionale delle chanson tipicamente francesi senza far sì che questo ne diminuisca il valore soprattutto se si pensa che nei tabarins e nelle strade di Parigi hanno raccolto consensi Le Dormeur du Val di Arthur Rimbaud, Le pont Mirabeau e Les saltimbanques di Guillaume Apollinaire, Si tu t’imagines di Queneau. Opera di Jacques Prévert prima edizione italiana per “ Collezione Felic”e diretta da Attilio Bertolucci.
Nacque a Bologna nel 1900 e a soli 12 anni, nel 1912, esordì con la sua prima raccolta di poesie dal titolo Ginestra in fiore, seguita, dopo tre anni, da Piccola Fiamma.
Ma oltre alla poesia, la Viganò si dedicò anche alla prosa e raggiunse l’apice del suo successo con L’Agnese va a morire, pubblicato da Einaudi nel 1949, un romanzo neorealistico ispirato alla Resistenza che ottenne il Premio Viareggio. La scrittrice partecipò, infatti, alla lotta partigiana collaborando come infermiera e scrivendo per la stampa clandestina.
Vogliamo ricordarla con voi pubblicando alcune sue poesie:
Cantata di una giovane mondina-
Mondine, mondine,
cuore della risaia.
Mio caro padre, mia cara madre,
io sono quaggiù per trenta giorni.
Appena arrivata mi sento già stanca;
chi sa come sarò al ritorno.
Si mangia poco, si beve a stento,
l’acqua fresca la troviamo di rado.
Eppure, mamma, son tanto contenta
d’esser venuta per questa strada.
Mondine, mondine,
amore della risaia.
Con le gambe sempre nell’acqua,
non so perché, vien sete in bocca.
Sono, al tramonto, una bestia stracca,
che si butta dove te tocca.
Paglia nuda e fitti respiri
nel camerone con tante zanzare.
Se per stanchezza non possiamo dormire,
qualche volta ci mettiamo a cantare.
Mondine, mondine,
fiore della risaia.
È bello, mamma, mondare il riso,
chè il riso è bianco e i padroni son neri.
Essi hanno in terra il paradiso,
noi camminiamo per bruschi sentieri.
Ma i nostri sentieri ci portano avanti,
e andiamo incontro a più dolce stagione.
Essi son pochi e noi siamo tanti,
e poco giova sentirsi padroni.
Mondine, mondine,
dolore della risaia.
Di sera guardo sulla pianura
quando si aprono in alto le stelle.
Non è il lavoro che fa paura,
chè, di questo, son figlia e sorella.
Mio caro padre, mia cara madre,
io vi ringrazio di essere forte.
Andiamo insieme su un’unica strada,
e la bandiera la portano i morti.
Mondine, mondine,
onore della risaia.
L’usignolo-
L’usignolo solo
canta triste fra i rami,
e pare che richiami
un sogno già svanito
un sogno già sfiorito.
Canta pian l’usignolo.
La ginestra-
Nasce sul brullo monte,
fra i roveti ed i sassi,
fragile come un bimbo
che muove i primi passi.
La sua fragil corolla
rallegra il senteruolo,
rallegra il pastorello
colle caprette, solo.
Oh! Ginestra ignorata
è breve la sua vita,
ella nasce in estate,
d’autunno è già sfiorita.
E uno strano contrasto
lo stelo col fior fa;
quello forte, robusto,
questo fragilità.
Renata Viganò si appassionò fin da piccola alla letteratura e coltivava un sogno: fare da grande il medico. Tuttavia le difficoltà economiche subentrate in famiglia la indussero ad interrompere il liceo e, con senso del sacrificio e una maturazione affrettata e non voluta, ad entrare nel mondo del lavoro come inserviente e poi infermiera negli ospedali bolognesi.
Questo suo impegno al servizio dei bisognosi non le impedì di scrivere per quotidianie periodici, elzeviri, poesie, racconti sino all’8 settembre 1943.
Con la firma dell’armistizio la sua vita ebbe una svolta esistenziale: assieme al marito Antonio Meluschi e il figlio, l’infermiera-scrittrice partecipò alla lotta partigianacome staffetta, infermiera e collaborando alla stampa clandestina.
Di questo periodo disagiato ma intriso di sano idealismo esistenziale fu pervasa la susseguente produzione letteraria. L’Agnese va a morire (1949), romanzo tradotto in quattordici lingue, rappresentò il punto più alto; vinse il secondo premio al Viareggio[2]e costituì il soggetto per il film omonimo diretto da Giuliano Montaldo.
Il romanzo racconta vicende partigiane con onesta semplicità da cronista e spirito di sincera adesione agli eventi, e fu considerato negli anni del dopoguerra un esempio, una testimonianza della narrativaneorealista.
Vale la pena di ricordare, tra le opere della Viganò, almeno altri due libri sul tema della Guerra di liberazione: Donne della Resistenza (1955), ventotto affettuosi ritratti di antifasciste bolognesi cadute, e Matrimonio in brigata (1976), una raccolta di efficaci racconti partigiani, uscito proprio l’anno in cui la scrittrice è scomparsa.
Due mesi prima della morte, a Renata Viganò fu assegnato il premio giornalistico Bolognese del mese, per il suo stretto rapporto con la realtà popolare della città.
Opere
Ginestra in fiore. Liriche, Bologna, Beltrami, 1913.
Piccola fiamma. Liriche (1913-1915), Milano, Alfieri & Lacroix, 1916.
Il lume spento, Milano, Quaderni di poesia, 1933.
L’Agnese va a morire, Torino, Einaudi, 1949.
Mondine, Modena, Tip. Modenesi, 1952.
Arriva la cicogna, Roma, Edizioni di Cultura Sociale, 1954.
Donne della Resistenza, Bologna, STEB, 1955. [Ritratti di donne partigiane pubblicato in occasione della Festa dell’Unità di Bologna 1955]
Ho conosciuto Ciro, Bologna, Tecnografica emiliana, 1959.
Una storia di ragazze, Milano, Del Duca, 1962.
Matrimonio in brigata, Milano, Vangelista, 1976.
Rosario. Libera interpretazione dei quindici misteri del rosario scritta da me, non credente, per puro amore di leggenda e poesia, Bologna, A.N.P.I., 1984. [poesie pubblicate dall’ANPI Bologna in 100 copie, con incisioni di Guttuso, Covili].
Sonetti inediti, Bologna, A.N.P.I., 1984.
La bambola brutta. Storia di Eloisa partigiana, illustrazioni Viola Niccolai, a cura di “Brigata Viganò”: Dafne Carletti, Sofia Fiore, Margherita Occhilupo, Marta Selleri, Elena Sofia Tarozzi e Tiziana Roversi, Bologna, Tipografia Negri, 2017. [Nuova edizione del racconto pubblicato la prima volta in “Pioniere”, 1960]
Tradotto da Stefano Bortolussi- Neri Pozza Editore
DESCRIZIONE
Vienna, 1938. Quando riceve la lettera che la porterà a Tyneford House, sulle coste del Dorset, la diciannovenne Elise Landau non sa nulla dell’Inghilterra. Cresciuta negli agi di una famiglia borghese ebraica – la madre, Anna, è una stella dell’Opera di Vienna; il padre, Julian, un noto scrittore – Elise, in fuga dal nazismo, si trova costretta ad abbandonare l’Austria e ad accettare un visto per lavorare come cameriera alle dipendenze di Mr Rivers. Una volta giunta a Tyneford House, una magnifica residenza signorile con il prato che digrada verso il mare e una facciata di arenaria su cui campeggia lo stemma dei Rivers, la giovane donna non può fare a meno di sentirsi sola e sperduta. Lontana dalla sua famiglia e dalla scintillante Vienna, soltanto un filo di perle donatole dalla madre e una viola di palissandro, in cui è gelosamente custodito l’ultimo romanzo di suo padre, le ricordano chi è e da dove viene. In difficoltà con una lingua che non comprende e con cui fatica a esprimersi e a disagio sia con la servitù sia con il padrone, l’affascinante vedovo Christopher Rivers, Elise tenta, giorno dopo giorno, di non abbandonarsi alla nostalgia e alla preoccupazione per i suoi familiari, bloccati in Austria in attesa del visto per fuggire in America. Finché l’arrivo a Tyneford House di Kit, il figlio di Mr Rivers, non le restituisce la speranza di una rinnovata felicità. La guerra, tuttavia, sta per raggiungere l’Inghilterra, pronta a chiedere il suo tributo di sangue e a spazzare via ogni certezza. Il mondo che Elise ha conosciuto è sull’orlo di un epocale cambiamento e lei dovrà decidere se soccombere alle circostanze o abbracciare un’altra vita e un altro destino.
Times:Dopo il grande successo dei Goldbaum, Natasha Solomons torna con una struggente stostoria d’amore, «un’elegia toccante e romantica», sullo sfondo di un’Europa attraversata dalla violenza della Seconda guerra mondiale.
Autrice- Natasha Solomonsè nata nel 1980. È autrice di cinque romanzi, tra cui si segnalano: Un perfetto gentiluomo, La fidanzata inopportuna e La galleria dei mariti scomparsi, pubblicati in Italia da Frassinelli. Il suo lavoro è stato tradotto in diciassette lingue. Vive nel Dorset con il marito, il premiato scrittore per bambini David Solomons, e i loro due figli.
Philip Kwok racconta “I cinesi in Italia durante il fascismo”-
La ricerca di Philip Kwok sulle tracce dei cinesi internati in Abruzzo e Calabria durante la Seconda Guerra Mondiale
Durante la Seconda Guerra Mondiale, oltre duecento cittadini cinesi furono internati in campi di concentramento italiani. I due terzi dei cinesi residenti in Italia in quel periodo. Parla di loro, delle loro vicissitudini e delle loro storie I cinesi in Italia durante il fascismo. Il campo di concentramento di Philip Kwok, pubblicato per la prima volta nel 1984 e riproposto in una nuova edizione a fine 2018 da Phoenix Publishing.
Ricercatore e professore arrivato a Napoli negli anni Settanta del secolo scorso per un dottorato in Storia e Filosofia, Philip Kwok cominciò a dedicarsi alle vicende dei cinesi d’Italia durante il fascismo spinto dall’incontro casuale avuto con il suo connazionale Zheng Qichang, cinese originario del villaggio di Fengling, nella provincia del Zhejiang, che gli raccontò la sua esperienza. Arrivato in Italia nel 1935, cinque anni dopo fu internato nel campo di concentramento di Isola del Gran Sasso in Abruzzo e successivamente fu trasferito in quello di Ferramonti in Calabria.
Una storia che suscitò immediatamente l’interesse di Philip Kwok, che decise di svolgere un’indagine per ricostruire le vicende dei cinesi residenti in Italia allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Lo studioso ricercò luoghi, documenti e persone in grado di fornirgli elementi utili a una ricostruzione storica più dettagliata possibile. E, come scrive nella prefazione al testo il sinologo e ricercatore dell’Università dell’Insubria, Daniele Brigadoi Cologna, che si occupa da tempo di migrazioni cinesi in Italia, Kwok fu il primo a svelare una storia di cui «si sarebbe verosimilmente perduta ogni traccia».
Nel maggio del 1940, il ministero dell’Interno incaricò tutte le prefetture del Regno d’Italia di censire i cittadini stranieri che, con l’entrata in guerra dell’Italia, avrebbero potuto essere considerati sudditi di Paesi nemici. Cinesi compresi. Se ne contarono 431. Si trattò di una sorta di precauzione in vista dell’entrata in guerra dell’Italia e della stipula del Patto Tripartito con Germania e Giappone. Infatti, dopo aver dichiarato guerra a Francia e Gran Bretagna, iniziarono i fermi, che in base a una direttiva del ministero dell’Interno riportata nella prefazione furono però limitati a «quei sudditi cinesi che non hanno stabile occupazione, che non dimostrano chiaramente la fonte dei loro proventi e che sono ritenuti elementi comunque pericolosi».
Philip Kwok seguì le loro tracce ritrovando negli archivi comunali gli elenchi dei cinesi internati in Abruzzo, prima a Tossicia e poi a Isola del Gran Sasso, e in Calabria, a Ferramonti di Tarsia. Non solo ripercorse i loro spostamenti da un campo all’altro, ma cercò di capire come vivevano all’interno dei campi, quali erano le loro condizioni, come venivano trattati dal governo italiano e quale fu il loro rapporto con gli abitanti dei Paesi in cui si trovavano.
Il testo, quindi, ha un grande valore storico e sociale e racconta una vicenda che Daniele Brigadoi Cologna definisce nella prefazione come «una delle tappe fondamentali della formazione di una minoranza cinese d’Italia, la cui storia si sviluppa lungo più di quattro generazioni. Dei circa trecentomila cinesi che oggi risiedono stabilmente nel nostro paese, la maggior parte appartiene ancora ai medesimi lignaggi di coloro che vi approdarono nella seconda metà degli anni Venti del secolo scorso», sottolineando che quei cinesi che «dopo la guerra scelsero di restare in Italia, in gran parte sposarono donne italiane e diedero vita alla prima generazione sino-italiana».
I cinesi in Italia durante il fascismo è, quindi, un interessante punto di partenza per comprendere la storia dei cinesi d’Italia e le origini dei sino-italiani.
Oggi che l’autore di questa ricerca non è più tra noi, sua figlia Luna Cecilia Kwok si impegna a mantenerne viva la memoria e a diffondere i risultati del lavoro di suo padre che «ha dedicato l’intera sua esistenza alla ricerca e allo studio scrupoloso di temi riguardanti i legami tra Cina e Occidente».
Lea Vendramel per Cina in Italia di novembre 2019-
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