Lontane dal disastro di questi giorni, le fotografie di Tano D’Amico dalla Palestina
ci raccontano la quotidianità e la bellezza di un territorio martoriato.
DESCRIZIONE
Demonizzati, “diversi” perché espatriati, rinchiusi in lembi di terra martoriata. Agli occhi degli occidentali i palestinesi sono sempre apparsi nel tumulto degli eventi, in una dimensione di lotta, di resistenza attiva, se non di vera e propria guerra.Questo movimento convulso, però, si quieta nelle fotografie di Tano D’Amico che ne ritrae l’esistenza di tutti i giorni. Mentre da fuori incalza rabbiosa la storia, si ha l’impressione che i momenti di vita, catturati dagli scatti di Tano, possano durare l’attimo di un sospiro. Accompagnate da poesie di autori palestinesi, le foto che qui vengono proposte ci parlano della quotidianità, della bellezza e del dolore di un territorio senza pace.
L’Autore
Tano D’Amico, è uno dei più grandi fotografi italiani viventi.Ha realizzato, tra gli altri, reportage in Palestina, Grecia, Irlanda, Germania, Svizzera, Spagna e Portogallo. Con Mimesis ha pubblicato Fotografia e destino (2020), Misericordia e tradimento (2021), Orfani del vento (2022).“Lo strazio della Palestina è la cicatrice impresentabile che unisce i due secoli. Una cicatrice che ci attraversa, che ci chiede conto, che chiama la stessa sete di giustizia di quando eravamo bambini.”
“La Palestina oggi non ha più immagini che la difendano perché ha vinto in ogni ambito l’immagine senza vita, senza astrattezza, senza musica, senza voce. L’immagine morta; l’immagine cosa. Che si può usare a piacimento, che si può riassemblare come si vuole.”
“Un premio Nobel per la letteratura, vero padre nobile del muro che ruba ai palestinesi ancora più terra, ancora più acqua, ancora più vita, ancora più dignità, ancora più felicità, sostiene che le parole in Palestina sono pericolose perché hanno molti significati.
Bisogna stare attenti a pronunciarle; sono di parte. Anche la parola pace è di parte, mi spiegava la direttrice di una delle più grandi agenzie giornalistiche del mondo. È di parte perché con la pace uno dei due popoli ha tutto da guadagnare; l’altro tutto da perdere.”
Marco De Paolis e Paolo Pezzino- La difficile giustizia-
-I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013-
Viella Libreria Editrice Roma
SINOSSI
Al termine del secondo conflitto mondiale, l’individuazione degli autori dei gravi crimini commessi durante l’occupazione tedesca in Italia contro le popolazioni civili rimase circoscritta a pochi casi eclatanti: gli Alleati abbandonarono il progetto di punire i massimi responsabili delle forze armate tedesche in Italia, e gli italiani, a parte poche condanne (Kappler per le Fosse Ardeatine, Reder per Marzabotto e altri eccidi), ben presto posero fine a quella stagione processuale. Una nuova se ne aprì invece dopo la scoperta, nel 1994, di quello che una felice intuizione giornalistica definì l’“armadio della vergogna”: in realtà una stanza di Palazzo Cesi, a Roma, sede della Procura generale militare, in cui erano conservati centinaia di fascicoli giudiziari sui crimini di guerra commessi sulla popolazione italiana tra il 1943 e il 1945, illegalmente archiviati dal procuratore generale militare nel 1960.
Ragion di Stato, protezione dei criminali di guerra italiani, culture militari poco sensibili al tema della difesa dei civili in guerra, e attente a proteggere in ogni caso l’immunità dei combattenti in divisa: queste alcune delle cause di una giustizia limitata, tardiva e quindi negata.
INDICE
Paolo Pezzino, La punizione dei crimini di guerra commessi in Italia dai tedeschi (anni Quaranta e Cinquanta)
Marco De Paolis, L’indagine penale sui crimini di guerra in Italia e all’estero dopo il 1994
Documenti
1. Lettera della Procura generale militare di trasmissione dei fascicoli rinvenuti (1994)
2. Circolare della Procura generale militare sui fascicoli crimini di guerra (1966)
3. Articoli di legge
4. Sedi e circoscrizioni dei Tribunali militari territoriali
5. Scheda riassuntiva dei procedimenti e processi su crimini di guerra in Italia
6. Interrogazione parlamentare 2 ottobre 2015 (De Maria e altri)
Indice dei nomi
AUTORI
Marco De Paolis
Marco De Paolis ha diretto la Procura militare della Repubblica di La Spezia dal 2002 al 2008, e qui ha istruito oltre 450 procedimenti per crimini di guerra durante il secondo conflitto mondiale. È stato pubblico ministero, tra gli altri, nei processi per le stragi nazifasciste di Sant’Anna di Stazzema, Civitella Val di Chiana, Monte Sole-Marzabotto, e per l’eccidio di Cefalonia. Attualmente dirige la Procura militare della Repubblica di Roma.
Paolo Pezzino
Paolo Pezzino ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Pisa ed è stato consulente tecnico della Procura militare di La Spezia nelle indagini sulle stragi nazifasciste in Italia. Coordina il Comitato scientifico del progetto per un Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, promosso dall’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia e dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia.
Questo volume fa parte delle iniziative dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia per il settantesimo anniversario della Resistenza ed è stato realizzato con il contributo della Regione Toscana.
Gianluca Scroccu-PIERO GOBETTI NELLA STORIA D’ITALIA-Una biografia politica e culturale-
Editore Le Monnier
DESCRIZIONE
Piero Gobetti (1901-1926) è stato un protagonista nella storia politica e culturale dell’Italia della prima metà del Novecento. La sua figura di oppositore intransigente del regime fascista e di formidabile organizzatore culturale ha destato un interesse costante nella storiografia italiana e anche internazionale. Il volume, che vuole essere il primo tentativo di sistematizzare in un profilo biografico le nuove tendenze interpretative emerse negli ultimi venti anni, analizzando nel capitolo finale anche la fortuna di Gobetti nella politica in età repubblicana sino al 2022, intende ricostruire la sua biografia umana e politica dalla iniziale esperienza di contestazione radicale della scena pubblica italiana post Prima guerra mondiale con la prima rivista «Energie Nove», sino a quelle più mature, elaborate insieme alla sua importante rete di collaboratori, di «La Rivoluzione Liberale» e de «Il Baretti», culminate con la coraggiosa quanto sfortunata opposizione al fascismo sino all’esilio e alla morte in Francia.
Indice
Introduzione; 1. La rigenerazione giovanile: l’esperimento di «Energie Nove»; 2. Il fascismo come autobiografia della nazione. La battaglia della «Rivoluzione Liberale»; 3. Tra politica e cultura: «Il Baretti», la casa editrice e la morte a Parigi; 4. Gobetti oltre Gobetti: il lascito e la fortuna in epoca repubblicana; Note; Bibliografia; Indice dei nomi. pp. VIII-160 isbn: 9788800863940
L’autore
Gianluca Scroccu è professore associato di Storia contemporanea all’Università di Cagliaridove insegna storia contemporanea nel corso di laurea in filosofia, storia dell’Italia repubblicana e storia dell’integrazione europea nel corso di laurea in Storia e società. È autore di numerosi saggi sulla storia del socialismo italiano, sulle figure di Antonio Giolitti, Sandro Pertini, Piero Gobetti, sulla storia della Sardegna contemporanea e sul rapporto fra la religione civile e i presidenti americani. Tra le sue monografie: La sinistra credibile. Antonio Giolitti tra socialismo, riformismo ed europeismo (1964-2010) (Carocci, 2016, premio Fiuggi storia 2016 e premio Matteotti – Presidenza del Consiglio dei Ministri 2017).
Traduttore Marco Bellini- Sellerio Editore-Palermo
DESCRIZIONE
A venti anni dalla sua prima pubblicazione Sellerio ripropone Le rondini di Kabul, il romanzo più amato di Yasmina Khadra che lo ha consacrato come una delle voci più importanti del mondo arabo. Ambientato nella Kabul del 1998 occupata dai talebani, una storia straordinaria che oggi rivela la sua drammatica attualità.
curatore Giovanni Tesio – Interlinea Editore Novara-
DESCRIZIONE
«Il tema delle donne in Pavese è più che mai vivo. La spesso convocata misoginia di Pavese non è altro che la maschera di una solitudine bisognosa di essere colmata, di una ricerca spasmodica di completezza, di una unità mancante, di una amorosa compensazione», come scrive Giovanni Tesio in questa nuova antologia dei testi più belli dedicati all’amore e anche alla morte fin dal più celebre verso: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». Un’occasione per ritrovare l’energia poetica di Pavese, «la sua ricchezza: la nostra salvezza, la sua dannazione».
titolo
Donne appassionate
sottotitolo
Poesie d’amore e morte
autore
Cesare Pavese
curatore
Giovanni Tesio
Argomento
Letteratura (narrativa, poesia, saggistica…) Poesia italiana
Secondo romanzo dedicato alla Prima Guerra Mondiale, venne pubblicato a puntate sul quotidiano tedesco Vossische Zeitung tra il dicembre del 1930 e il gennaio del 1931. Successivamente venne pubblicato nell’aprile del 1931. Soggetto alla censura nazista, racconta del ritorno a casa di alcuni soldati dopo la tragica esperienza della Prima Guerra Mondiale. Da giovani perbene e pieni di ideali quali erano quando erano partiti per il fronte tornano uomini che hanno visto e provato sulla loro pelle l’inimmaginabile. Credono, illusoriamente, di trovare un accoglienza festosa e di reinserirsi nel contesto sociale. Ma tutto è cambiato anche lontano dal fronte. Le madri, i padri, i vicini di casa non sono più gli stessi o induriti dalle privazioni o testardi nel negare che nulla sia cambiato.Se Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale mi aveva scombussolato la mente e il cuore, La Via del Ritorno mi ha trovato in lacrime nel finale.
Per orientarci all’interno della raccolta di poesia di Rahma Nur Il sussurro e il grido occorre individuare e seguire le briciole che l’autrice dissemina sin dal titolo, le contrapposizioni, i contrasti, i paradossi, il sussurrato e il gridato. Nella sua sapiente prefazione (di cui consiglio vivamente la lettura) pur non trascurando gli elementi ‘sussurrati’ della poesia, Mackda Ghebremariam Tesfaù ci offre molti spunti che riguardano il ‘gridato’ della raccolta, cioè gli elementi palesemente politici, relativi a potere, identità, razzismo, nerezza, critica dell’abilismo, individuazione degli elementi di intersezionalità nell’opera dell’autrice, ma in queste brevi note vorrei soffermarmi maggiormente sugli elementi di poetica più filosofici ed intimi.
Parto dalle considerazioni della prefattrice che individua il nucleo centrale della funzione della poesia per Rahma Nur:
[…] In questo testo emerge potente una voce che rifiuta ogni incasellamento e silenziamento. Una voce che dipinge un mondo complesso, dove sia la gioia che il dolore trovano spazio di riconoscimento, e dove entrambi possono essere sussurrati e gridati.
[…] Ma la poesia è anche lo spazio in cui Rahma può aspettare sua figlia, pregare per il suo arrivo e immaginarne l’incontro. Si tratta dunque di un universo fertile, generativo, di gestazione, che le permette di divenire madre ancora prima di conoscere la figlia. La poesia è il luogo in cui può salutare le primavera, in cui può nascondere la sua felicità, che è “meglio” stia al sicuro, nascosta da chi la potrebbe sciupare. Soprattutto: la poesia è grande a sufficienza per farci stare perfino l’Africa, per farci stare, in equilibrio, fuga e desiderio, gioia e disperazione.
La complessità a cui allude Ghebremariam Tesfau’ si manifesta non solo come complicazione e ricchezza di fili (bellissima a proposito la poesia “Fili linguistici” contenuta nella raccolta), ma anche come ‘inciampamento’, una conoscenza intima di un procedere difficoltoso, vacillante, che ti obbliga a pause di riflessione, che suscita negli aspiranti all’armonia reazioni che si alternano tra stupore e disprezzo. Sin dalla poesia “Centri concentrici” Rahma Nur registra l’incedere forzato e misterioso della nascita, illustrato con dovizia di particolari in “Vuoto amniotico” (Nuoto. / Mi agito… / mi sento risucchiare / questa spinta che mi porta fuori /). Dalla descrizione fisica della nascita si passa a un’associazione metaforica a quello stesso movimento nella vita in senso lato (la vita / la precedeva veloce / impaziente, sardonica / impertinente. / Lei le arrancava dietro/ seguiva titubante /le impronte /sul terreno fangoso / Riusciva ancora, con fatica, a starle dietro. / Ci riusciva ancora.)
Le poesie sapientemente concatenate nelle varie sezioni si ‘dimenano’ alternandosi tra il filosofico, il quotidiano, il sociologico e il lirico (particolarmente nelle poesie dedicate ai suoi vari morti e ai ricordi del passato) per concludersi con una considerazione della poeta sullo spazio fisico che occupa attualmente, l’angolo di casa in cui ‘vacilla’ tra sogno e silenzio, lettura e rinuncia, finendo con la domanda “io, cosa ci faccio qui!”.
A smentire quella che potrebbe sembrare una conclusione statica, l’appendice è dedicata al moto della sua poesia “Fili linguistici” nel mondo, e mette a confronto le traduzioni in inglese di Barbara Ofosu- Somuah, Alta L. Price, e Candice Whitney, restituendo una dimensione dinamica e di varietà alla sua opera e re-immettendola nel ciclo continuo dell’interazione umana intellettuale internazionale.
Dalla sezione Sussurrare
1° luglio
Nel mondo indifferente
donne vestite con i colori più sgargianti,
spalle coperte da garbasar multicolori
teste abbellite da shash variopinti
giovani bellezze dagli sguardi ridenti
donne decorate da rughe definite dagli anni
cantano ed ululano le loro grida allegre
al cielo di Roma,
i loro canti viaggiano dalle gole vibranti
verso la Somalia
le loro braccia sventolano bandiere color del cielo
orgogliose e stanche
dopo anni di fatica e di sogni.
Presenti mai assenti
Ci pensi mai
A quando non sarai più
Ci pensi mai
A quelli che non sono più
Eppure, sono così vividi
E presenti i loro visi
Così forti e chiare
Le loro voci
Così tangibili e intensi
I loro abbracci.
Non si può credere che ora siano solo ossa
Non voglio crederlo, non voglio vederlo.
Fino a che sono nei miei pensieri
Nei miei ricordi
Fino a che li vedo come ora ed allora
Fino a che io sono qui
Fino a che i miei piedi poggiano sul terreno,
Le mie mani si muovono,
Fino a che sono dentro ogni parola,
In ogni istantanea, nella mia mente
Fino ad allora e sempre
Saranno con me.
Presenti mai assenti.
Dalla sezione Gridare
La conchiglia
Non c’era nessuna valigia
Da preparare
Non c’era nessun documento
Da portare
Solo un corpo e
Un’anima smarrita
Mi hai presa per mano
E nella tua ho stretta la mia
Piccola, fragile, magra
Non avevo idea di dove andavamo
Non avevo idea da dove venivamo
Era solo casa
Era solo famiglia
Alla spiaggia
Mi hai stretto ancora più forte la mano
Ti sei chinata
Ho visto i tuoi occhi bagnati
Lacrime lapidarie
Rigare il tuo viso
Hai preso una grande conchiglia
Me l’hai poggiata sull’orecchio
“Ascolta, la musica del mare
Il richiamo del ventre terreno
Non dimenticare mai
Da dove vieni
Non dimenticare mai chi sei
Non dimenticarmi mai!”
Hai posato la conchiglia nella mia mano
E con essa hai lasciato la vita nelle mie mani.
La conchiglia è ancora con me
La vita è ancora con me
Ma tu, dove sei?
Mi vedi?
Vedi
non sono queste quattro ruote
in una sfavillante carrozzina blu cromato
non sono nemmeno quella che ogni tanto
si alza barcollando nelle sue gambette
non sono quella dalla pelle liscia e senza rughe
(che non vedi ma ci sono)
dalla pelle colorata, “oh come vorrei averla anche io!”
Quello che vedi è un corpo:
nero,
zoppo,
storto,
visibile quando lo decidi
invisibile quando lo vuoi
Mi vedi?
Son qui: anima, emozione, desiderio, sogno, debolezza,
forza, coraggio, timore, rabbia, odio, amore e tenerezza.
Mi vedi?
Son qui: donna, nera, abile quanto basta, dis-abile quando
vuoi tu,
(lo decidi tu, lo pensi tu, lo verifichi tu, importa a te)
madre, moglie, amante (eh sì!) lavoratrice, pigra, appassionata,
bramosa, incompleta, completa, dipende dai momenti,
compresa, incompresa (troppo spesso) illusa, disillusa,
speranzosa, senza speranze…
Son qui: nella mia intera persona o a pezzi dentro o
scomposta fuori.
Son qui: mi vedi?
Dalla sezione Curare
Ho lasciato la mia casa
Ho lasciato la mia terra
quel suolo che calpestavo con le ginocchia
Ho lasciato visi annebbiati dall’oblio
Ho lasciato lì le mie scarse parole.
Cinque anni e da due non vedevo mia madre
Ho lasciato la mia terra per un nuovo inizio
Verso un viso che non ricordavo
Una parola dimenticata: mamma, Hooyo.
Ho lasciato la mia terra e un futuro incerto.
Ho lasciato la mia terra perché i miei piedi non sapevano calpestarla.
la mia pancia era gonfia di vuoto, il mio cuore silenzioso.
Ho lasciato la mia terra per guarire le gambe
Mi hanno alzata in piedi, insegnato a camminare, insegnato un’altra lingua
Ma ho perso le parole del passato
Non gattono più
Non mi impolvero le gambe di sabbia
e tutto ciò che vorrei è affondare nelle parole perse
nuotare nelle favole perdute, arrampicarmi su acacie rachitiche,
Perdermi negli sguardi che mi riconoscono come una di loro:
Ridere delle storie che non conosco
Ballare e cantare i ritmi che hanno percorso le mie vene
Ripetere gli sheeko sheeko a mia figlia
Tuttavia, le mie parole zoppicano come le mie gambe,
I miei canti stonano e il mio cuore piange un pianto disperato e muto.
Tulipani
Rossi
con striature arancioni
si lanciano verso il sole
come innamorati
in cerca di un abbraccio
protesi verso la luce
attendono con pazienza
che i raggi li accarezzino
L’altro
bianco e candido
si è quasi chiuso in sé
come ad abbracciare
la sua stessa solitudine!
Qui
In questo angolo di casa,
in questo angolo di cielo e di sole,
in questo angolo di alberi sempreverdi,
di erba già bruciata dal sole brillante ed implacabile,
di piogge rare e pigre,
In questo mio angolo
aperto e nascosto,
privato e non isolato,
io, in questo angolo mio,
dove lascio i pensieri immobili,
dove allungo le gambe al sole cocente e mi rivitalizzo:
io, in questo angolo cosa cerco?
Cosa trovo?
Sogno o taccio,
leggo e lascio,
io, cosa ci faccio qui?
Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturaleche per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com
Cercando di pensare
ad una via d’uscita,
le pietre del pensiero
che spostano,
lanciate
in acqua,
molte altre cose.
Così la vita
è acqua, anche l’amore
ha una sostanza
simile.
Mancando
l’acqua una domenica
mattina Dio
non provvederà –
che sia mia moglie,
il suo calore
disteso
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al mio fianco, che sia questo
senso di calda
umidità la condizione
di ogni fioritura?
Lascia cadere
la pietra,
pensa bene, pensa
bene di me.
LA FINESTRA
La posizione esiste
dove la metti, dove si trova,
hai tu, per esempio,
quella grossa cisterna là,
argentata, con la chiesa bianca a fianco,
hai tu spostato tutto questo
e a quale scopo? Com’è pesante
il mondo monotono
con ogni cosa al suo posto.
Un uomo passa, una macchina accanto
nella strada che termina,
una foglia
gialla
sul punto di cadere.
Tutto
cade
al suo posto.
Il mio volto è pesante
a questa vista. Sento
l’occhio che si spezza.
PASSEGGIANDO
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Nella mia testa
passeggio, ma non sono
nella mia testa, dove si
può passeggiare
senza pensarlo, è forse
la strada stessa qualcosa
di più che veduto. Credo
potrebbe essere, sentire
come la sentono i miei piedi,
proseguire e alla fine
raggiungere, adagio,
uno scopo della mia intenzione.
IL LIMITE
Non posso
andare avanti
o indietro.
Sono preso
nel tempo
come limite.
Quello che pensiamo
pensiamo –
per nessun altro motivo
pensiamo se non per
pensare soltanto –
ciascuno per sé.
IL MECCANISMO
Se dovessimo cadere ora
alle nostre ostinate ginocchia
e sprofondare nel sonno, io
affondato nelle tue, allora
cosa ci terrebbe uniti
se non un peso
senza consistenza. Credi tu
nell’amore, e quanto.
“TENGO PER ME QUESTE MISURE…”
Tengo per me queste misure
che ho care,
di giorno in giorno le pietre
accumulano posizione.
Non esiste niente
se non ciò che il pensiero rende
meno tangibile. La mente,
per quanto veloce, rimane
indietro, vi sostituisce
come pietre semplici lapidi
solo per tornare
fiduciosa là dove
non può più. Tutto
oblia. La mia mente sprofonda.
Tengo tra le mani questo peso
è l’unico modo di descriverlo.
VARIAZIONI
L’amore esiste solo
così com’è l’amore. Questi
sensi ricreano
la loro definizione – una mano
trattiene in sé
ogni ragione. Gli occhi
hanno visto tanta bellezza
che si chiudono.
Ma prosegui. Così la voce
ancora, questi sensi ricreano
lo stato singolare provato
e provato ancora.
Ascolto. Ascolto
la mente che si chiude, la voce
che prosegue oltre,
le mani dischiuse.
Tenaci tengono
così strette soltanto se stesse,
sterili prese
di tale sensazione.
Ascolta, là dove
gli echi sono più
intensi, più luminosi,
sensazioni di suono
che si svelano e si celano
non più soltanto di amore, l’intenzione della mente,
la visione degli occhi, le mani che si stringono –
spezzati in echi, questi sensi ricreano
la loro definizione. Sento che la mente
si chiude.
QUALCHE POSTO
L’ho risolto, ho trovato
nella vita un centro
e me lo sono assicurato.
È la casa,
gli alberi al di là,
una vista limitata la racchiude.
Il tempo
la raggiunge
solo come in forma di vento, un breve
soffocato respiro. E se
la vita non lo raggiungesse?
Quando dovesse accadere
qualcosa, me l’ero assicurata,
proprio io, proprio,
insistendo.
Non c’è nulla che io sia,
nulla che non sia. Un luogo
in mezzo, io esisto. Sono
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più del pensiero, meno
del pensiero. Una casa
con venti ma una distanza
– qualcosa di sciolto al vento,
la sensazione del tempo come di quella esistenza,
sentieri verso le luci che lui ha abbandonato.
PAROLE
Sei sempre
con me,
non esiste
un luogo
separato. Ma se
nel luogo
tormentato
non posso parlare,
non solo indulgenza
o timore
ma una lingua
guasta
da ciò che gusta –
Esiste una memoria
di acqua,
di cibo quando uno ha fame.
Un giorno
e non sarà questo
allora dirò
parole
come chiari, bellissimi
filtri di cenere,
come polvere
da un luogo inesistente.
UNA PREGHIERA
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Benedici
una cosa piccola
ma infinita
e quieta.
Vi sono sensi
che creano un oggetto
col loro semplice sentirlo.
10 poesie di Robert Creeley tratte da “Parole” (dal libro “Per amore”, edizione italiana di Mondadori, 1971, traduzione di Perla Cacciaguerra, introduzione di Agostino Lombardo)
VALENTINA PER TE
*
Da dove, fino dove
il pensiero da fare –
Da dove, per dove
persino i significati ora mentono
Come, dove
queste speranze di riconciliare il cielo –
Anche la strada cambia
senza di te, anche il giorno.
Robert Creeley (Arlington, Massachusetts, 21 maggio 1926 – Odessa, Texas, 2 aprile 2005) Poeta statunitense, tra i maggiori esponenti della lirica postmoderna. Viaggiò in Europa e Asia vivendo per quarant’anni in Giappone, dove apprese la filosofia buddhista e lo zen. È spesso accostato ai poeti della Black Mountain, pur essendone lontano stilisticamente.
Fine di un matrimonio comincia con la fine del matrimonio tra Berta e Libero. Berta ha una galleria d’arte e Libero ha un’altra. Berta non ascolta cosa le stia dicendo Libero, non capisce perché quest’altra donna di cui non ha mai sospettato nulla, di cui non conosce il nome, appaia e si mangi il suo futuro. Libero, invece, quella sera – in cui tutto finisce e tutto comincia – esce di casa, e scompare. È vero, diceva sempre di essere stanco del suo lavoro e della sua vita, ma che c’entra un’altra donna? Perché ne aveva bisogno? Berta non lo sa, e nel tentativo di capirlo parla d’altro: di sé, del proprio corpo, di cosa può farne adesso che è sola, ha quasi cinquant’anni e non è né giovane né vecchia, adesso che è esattamente com’era prima di sposarsi. Berta racconta la fine del suo matrimonio per iniziare a raccontare se stessa, perché i romanzi – certi romanzi, e di sicuro questo –, proprio come la vita, non sono solo “fatti”: tra una vicenda e un’altra, tra la fine di un matrimonio e l’inizio di qualcosa di diverso, ci sono pensieri, parole, opere e omissioni. Ci sono rimpianti – è tardi per avere un figlio? e per recuperare il rapporto con la propria madre? –, dubbi e paure. C’è il bisogno disperato di dimostrare a se stessi di essere vivi. Innamorarsi, in fondo, è più semplice che tenere in piedi un matrimonio o una relazione, ricominciare è meno faticoso che provare a riparare: questo racconta, a ogni riga, l’esordio di Mavie Da Ponte. O, forse, mostra che definirsi “innamorati” è troppo facile, e per questo non bisognerebbe mai dirlo. Così Berta, quando scegliere non sembra più una possibilità e le difficoltà dei suoi rapporti paiono insormontabili, capisce che frequentare il salone di bellezza di Sara – la chiama così per semplificare, ma quale sarà il suo nome cinese? – ha più a che fare con il pensiero e l’arte che con le unghie: anzi, le unghie e il corpo certe volte possono essere il pensiero e l’arte.
Un romanzo malinconico e buffo, pieno di tenerezza e di sorpresa, la storia di una donna che si piega e si spezza, e non fa niente: essere interi non è il punto, il punto è provare a essere felici.
Mavie Da Ponte- è nata nel 1987, vicino al mare e in mezzo alle storie. Dopo studi linguistici e un dottorato in letteratura francese contemporanea, oggi si dedica alla scrittura. Fine di un matrimonio è il suo primo romanzo.
Suad Amiry- Sharon e mia suocera: Se questa è vita-
Traduttore-M. Nadotti- Feltrinelli Editore
DESCRIZIONE
Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un ‟diario di guerra”. Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, ‟spara” anche la madre del marito, una suocera proverbiale. In pagine scoppiettanti di humour e di lucidità politica e sentimentale, i colpi bassi di Sharon e del suo governo finiscono per fare tutt’uno con le idiosincrasie della suocera petulante, con la quale l’autrice si trova a trascorrere in un involontario tête à tête il tempo dell’assedio. Ma, come la guerra, neanche l’avventura cominciata con Sharon e mia suocera finisce ed ecco che Suad Amiry con Se questa è vita ci regala una nuova puntata del suo irresistibile diario di guerra e di vita quotidiana dai Territori occupati. Con l’indiavolato humour che la contraddistingue e sfoderando un’ormai piena e affilata sapienza narrativa, ci conduce da una stazione all’altra del calvario palestinese, facendoci piangere, ridere, sdegnare, riflettere, connettere, ricordare. Portandoci, con tono lieve e tragicomico, a scoprire i piccoli e grandi contrattempi del vivere nel devastato scenario mediorientale. Al centro del suo affresco narrativo, come sempre, l’ingombrante e svagata suocera Umm Salim, che resiste alla brutalità dell’occupazione militare con abitudini da tempi di pace, orari, buone maniere. Attorno a lei un balletto indiavolato di vicini di casa, parenti, amici, funzionari israeliani, spie e collaboratori, cani, muri in costruzione, paesaggi splendidi e violati, checkpoint e soldati.
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