«Laggiù, in una bella casa di campagna tra Porto San Giorgio e Fermo, vive una donna formidabile, saggia e generosa, ricchissima di pensieri, intuizioni, toni, bellezza, forza, argomenti, intelligenza. La mia Joyce, la mia sibilla.»
Lungo tutto il secolo breve, una donna bellissima e fortissima pensa, scrive, agisce, lotta. Viaggia prima per studio, poi attraversando fronti e frontiere dell’Europa occupata dai nazifascismi: Parigi, Lisbona, Londra, Marsiglia, Roma, il Sud dell’Italia dove sono arrivati gli Alleati. Documenti falsi, missioni segrete, diplomazia clandestina. Joyce, insieme al marito Emilio Lussu e ai compagni di Giustizia e Libertà, sostenuta nelle sue scelte dalla sua famiglia di origine, è in prima linea nella Resistenza. Poetessa, traduttrice, scrittrice, ha sempre coniugato pensiero (prefigurante, modernissimo) e azione. Azione che prosegue nel dopoguerra con la ricerca di poeti da tradurre per far conoscere le lotte di liberazione degli altri paesi, in particolare dell’Africa e del Curdistan. Nazim Hikmet, Agostinho Neto, i guerriglieri di Amílcar Cabral che compongono canti di lotta durante le marce, sono alcuni degli autori che Joyce ‘scopre’ e propone attraverso traduzioni rivoluzionarie. Rievocando le scelte, gli incontri, le occasioni, ripercorriamo l’esistenza di questa donna straordinaria (laica, cosmopolita, ‘anglo-marchigiana’) e il suo essere, da sempre, riferimento per molte donne e molti giovani.
Edizione: 2022, II rist. 2022 Pagine: 248 Collana: i Robinson / Letture ISBN carta: 9788858147535 ISBN digitale: 9788858150399 Argomenti: Storia contemporanea, Biografie, autobiografie
Scheda dell’Autrice-Silvia Ballestra
Silvia Ballestra, marchigiana, vive e lavora a Milano. È autrice di romanzi, raccolte di racconti e saggi pubblicati per i maggiori editori italiani. Tra i suoi libri, tradotti in varie lingue: Compleanno dell’iguana; Gli Orsi; Nina; I giorni della Rotonda; Joyce L. Una vita contro; Amiche mie; Vicini alla terra. Storie di animali e di uomini che non li dimenticano quando tutto trema; La nuova stagione. Dal suo La guerra degli Antò è stato tratto l’omonimo film diretto da Riccardo Milani. Per Laterza ha pubblicato Christine e la città delle dame.
La vita di Vincenzo Bellini sembra fatta su misura per impersonare grandezze e sciagure dell’artista romantico: la vocazione alla musica, gli studi a Napoli e il successo ottenuto al debutto con Adelson e Salvini, l’amore con una giovane partenopea impedito dai genitori della giovane, i successi alla Scala fra gli intrighi dei rivali, la confusione della vita teatrale e il turbinio della vita mondana. Ma non basta: Bellini, oltre ai trionfi, conosce i fiaschi di Zaira e Norma, l’acclamazione del pubblico londinese, l’amore negato di Maria Malibran e, infine, l’agognato debutto parigino sotto l’ala di Rossini, con quei Puritani che saranno il suo canto del cigno: il musicista muore, neppure trentaquattrenne, nei sobborghi della capitale francese. Il libro di Agapito Bucci, in equilibrio costante fra rievocazione narrativa e approfondimento saggistico, ricostruisce la vita del catanese attraverso un ampio ricorso ai suoi epistolari, specialmente quello con l’amico Florimo, senza che mai venga meno la piacevolezza di lettura: un libro apparentemente romanzato, in realtà rigorosissimo. Nomi mitici, come quelli della Pasta, della Grisi, di Rubini, di Donzelli e della Malibran, nelle pagine del libro di Bucci acquistano consistenza umana, quasi teatrale, e scolpiscono in maniera plastica l’ambiente in cui Bellini visse, fornendo inoltre uno spaccato vivissimo della società del primo Ottocento. Un ricco apparato di note, che attingono a storici e musicologi antichi e contemporanei, completano un volume davvero singolare ed irrinunciabile.
Agapito Bucci-BELLINI. Romanzo di una vita breve-ZECCHINI Editore-Varese
IV+220, ill., f.to cm. 17×24 – Euro 25,00
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Il trattato dal titolo “David Maria Turoldo, il Resistente”, a cura di Guerino Dalola, in collaborazione con Donatella Rocco, Antonio Santini, Mino Facchetti, Pierino Massetti, Gian Franco Campodonico e di ANPI Franciacorta, consiste in un importante saggio autoprodotto con il patrocinio di vari enti e associazioni, tra cui la Città di Chiari, il Comune di Coccaglio, il Comune di Cologne, i Servi di Maria – provincia di Lombardia e Veneto e l’associazione Gervasio Pagani.
Padre David Maria Turoldo è un frate morto nel 1992. Su padre David Maria Turoldo, che fu poeta, filosofo, sacerdote, autore, traduttore, fondatore di riviste e giornali, sono stati pubblicati centinaia di libri e documenti, ma senza dare ampia notizia sulla sua partecipazione alla Resistenza del 1943-45 contro il nazifascismo. Padre David Maria Turoldo è stato un grande Resistente a Milano, ma era in contatto anche con la Resistenza bresciana, soprattutto nella zona della Franciacorta.
Secondo Turoldo la figura del Partigiano riveste certamente una eccezionale e fondamentale importanza, ma in uno specifico momento e in una determinata situazione. Invece, sempre secondo Turoldo, essere Resistente è una scelta di vita che non può verificarsi solo in un determinato tempo e in uno spazio contingente. La Resistenza, i Resistenti attuano un impegno quotidiano, da realizzarsi nel percorso di ogni giorno, senza distrazioni, nel corso di una intera esistenza. La liberazione autentica dell’umanità, oltre che dal nazifascismo e dalle dittature, richiede una militanza, una acribia nel tempo, un impegno molto più profondo sul piano culturale, relazionale, politico, sociale, familiare. L’impegno del Resistente non ha fine e scadenze, perché la libertà non si rinnova da sola, ma deve essere sempre riconquistata con l’impegno di ognuno di noi. Infatti la Resistenza non è mai finita.
Turoldo non ha mai voluto schierarsi con nessun partito politico, perché, lui stesso spiegherà, la libertà, la costruzione di un mondo migliore, i diritti delle persone, la solidarietà, il progresso alternativo che non è tale se non è per tutti, il soccorso a chi vive nell’indigenza, a chi vive nelle difficoltà, a chi vive nel bisogno, il rispetto di tutte le fedi politiche e religiose, non sono istanze appartenenti all’uno o all’altro schieramento partitico, ma sono valori appartenenti alla nostra comune umanità.
Per il Resistente il vero campo di lotta è la normalità, la testimonianza, non solo con le parole, ma con esempi di vita. Il Resistente non è solo antifascista. La vera scelta del Resistente è un’alternativa totale, a favore di una società, di un contesto sociale, completamente diversi, per una nuova presente e futura umanità, perché la pace non è solo mancanza di guerra, ma è nonviolenza, è costruzione di convivenza solidale e fraterna.
Le esperienze di Turoldo furono molteplici come Partigiano in una delle vicende più importanti della sua vita: la Resistenza. Ma le fonti storiche non danno ricostruzione storiografica editata di ampio respiro di padre Turoldo per la sua attività nella lotta di Liberazione nazionale e per il contributo notevole che ha offerto nella ricostruzione morale e materiale del nostro Paese. “Una lacuna nella storia del pensiero democratico e antifascista di impronta cattolica alla quale bisognerebbe pensare di porre rimedio”, così scrive Aldo Aniasi, comandante partigiano, assessore e sindaco di Milano, deputato e ministro socialista e presidente della FIAP federazione italiana associazioni partigiane. Scrive sempre Aldo Aniasi, che come uomo della Resistenza padre Turoldo privilegiò sempre una scelta unitaria, lo spirito unitario della Resistenza, lo spirito dell’unità antifascista. Intrattenne rapporti con comunisti, socialisti, azionisti e incontrava personaggi come Eugenio Curiel, Rossana Rossanda e altri importanti dirigenti della sinistra.
Uno dei risultati più significativi dell’intero lavoro di confronto e dialogo realizzato nel convento di San Carlo a Milano per iniziativa di padre Turoldo e padre De Piaz è la nascita e la diffusione – soprattutto da parte di Teresio Olivelli, Claudio Sartori ed altri collaboratori bresciani – del giornale clandestino antifascista “Il ribelle”. Anche la predicazione in Duomo su incarico del Cardinale Schuster diventa espressione della Resistenza di padre Turoldo. Appena dopo la Liberazione del 25 Aprile 1945, saranno ventinove i Lager visitati da padre Turoldo alla ricerca di sopravvissuti e riuscirà a riportare in salvo a casa circa duecento prigionieri. Scrive Turoldo “Una sola possibilità affinché non si ripeta quanto è avvenuto: ricordare e capire, far ricordare e far capire… Così ho visto la sola Europa possibile, quella della solidarietà dei sopravvissuti”. Scrive Ernesto Balducci “Il grande dono di David è di essere nato povero, in mezzo ai poveri, agli ultimi… David è rimasto un povero. I poveri sono fuori del perimetro della storia”. In occasione degli appositi referendum, padre Turoldo vota contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto, perché i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va spiegata e proposta, mai imposta con una legge. Nella primavera del 1978, padre Turoldo, insieme al confratello De Piaz, avvia una trattativa con le Brigate Rosse, per la liberazione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. L’iniziativa a cui partecipa anche il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, viene bloccata dall’opposizione delle autorità ecclesiastiche.
La Corsia dei Servi e Nomadelfia furono le iniziative più care sia a Turoldo sia a padre De Piaz, basate su concetti di primaria importanza: tanto la fede che le scelte politiche diventano operative e efficaci solo nell’ambito di una cultura che permetta di uscire dall’inerzia di una fede accolta solo per tradizione e pregiudizio, per tentare invece una rigenerazione dalla vera cultura con maggior impulso possibile.
Invitato a un congresso sul disarmo nel febbraio 1978, Turoldo ebbe l’occasione di incontrare Carlo Cassola, che lo invitò al convegno nazionale della LDU- Lega per il Disarmo Unilaterale. Gli aderenti attuali della Lega per il Disarmo Unilaterale sotto la sigla “Disarmisti Esigenti” stanno lavorando all’interno della campagna ICAN – International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e con molte altre associazioni del panorama italiano affiliate a ICAN, tra cui anche PeaceLink- Telematica per la Pace, alla ratifica del trattato ONU, il TPAN, per la proibizione delle armi nucleari, varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata in ICAN. ICAN grazie alla costituzione del trattato Onu per l’abolizione delle armi nucleari è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017. E poi ricordiamo la Salmodia della Speranza che attraversa la drammatica esperienza dell’Europa prima e durante la Seconda Guerra Mondiale: il trionfo dei dittatori, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i grandi massacri, i Lager, Hiroshima e Nagasaki, la Resistenza. Per una Chiesa che accoglie i diversi, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, le vittime di cui tutti siamo parte nel contesto sociale, comunitario, culturale e nel mondo, nel terribile deserto della sopraffazione e della violenza dove tante voci chiedono libertà, giustizia e verità per tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire.
Laura Tussi – PeaceLink, Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” Fabrizio Cracolici – ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)
Biografia di David Maria Turoldo nasce il 22 novembre del 1916 a Coderno, in Friuli, nono di dieci fratelli. Nato come Giuseppe Turoldo, a tredici anni entra nel convento di Santa Maria al Cengio per far parte dei Servi di Maria, a Isola Vicentina, là dove si trova la sede del Triveneto della Casa di Formazione dell’Ordine Servita. È qui che trascorre l’anno di noviziato; dopo avere assunto il nome di fra’ David Maria, emette la professione religiosa il 2 agosto del 1935. Nell’ottobre del 1938 pronuncia i voti solenni a Vicenza.
Gli studi accademici
Intrapresi gli studi di teologia e di filosofia a Venezia, nell’estate del 1940 Turoldo viene ordinato presbitero nel santuario della Madonna di Monte Berico dall’arcivescovo di Vicenza ,monsignor Ferdinando Rodolfi. Nello stesso anno viene inviato a Milano, al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso.
Per circa un decennio si occupa di tenere la predicazione della domenica in Duomo, su invito dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, mentre insieme con il suo confratello Camillo de Piaz, compagno di studi nell’Ordine dei Servi, si iscrive all’Università Cattolica di Milano. Qui David Maria Turoldo si laurea l’11 novembre del 1946 in filosofia con una tesi intitolata “La fatica della ragione – Contributo per un’ontologia dell’uomo”, con il professor Gustavo Bontadini. Quest’ultimo successivamente gli propone di diventare suo assistente presso la cattedra di Filosofia Teoretica. Anche Carlo Bo gli offre un ruolo come assistente, ma per l’Università di Urbino, cattedra di Letteratura.
Dopo aver collaborato in modo attivo con la resistenza antifascista in occasione dell’occupazione nazista di Milano, David Maria Turoldo dà vita al centro culturale Corsia dei Servi e sostiene il progetto del villaggio Nomadelfia fondato nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini.
David Maria Turoldo negli anni ’50
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta pubblica la raccolta di liriche “Io non ho mani”, con cui si aggiudica il Premio letterario Saint Vincent, e l’opera “Gli occhi miei lo vedranno”, proposta nella collana Lo Specchio di Mondadori.
Nel 1953 Turoldo è costretto a lasciare Milano, e si trasferisce prima in Austria e poi in Baviera, dove soggiorna presso i conventi dei Servi locali. Nel 1955 viene trasferito a Firenze, al convento della Santissima Annunziata, dove ha modo di conoscere il sindaco Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci.
Obbligato ad andare via anche dal capoluogo toscano, dopo un periodo di peregrinazioni lontano dall’Italia torna in patria e viene assegnato a Udine, al convento di Santa Maria delle Grazie. Nel frattempo si dedica alla realizzazione di un film, con la regia di Vito Pandolfi, intitolato “Gli ultimi” e tratto dal suo racconto Io non ero fanciullo. La pellicola, che rappresenta la povertà della vita rurale in Friuli, viene presentata nel 1963 ma non apprezzata dal pubblico locale, che la considera poco rispettosa.
Gli ultimi anni
In seguito Turoldo individua nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella un luogo in cui dare vita a un’esperienza religiosa comunitaria nuova, che coinvolga anche i laici: vi si insedia il 1° novembre del 1964, dopo aver ricevuto il consenso di Clemente Gaddi, il vescovo bergamasco.
Qui fa costruire una casa per l’ospitalità, che prende il nome di Casa di Emmaus in riferimento all’episodio biblico della cena di Emmaus, con Gesù che si manifesta ai discepoli dopo essere risorto.
Alla fine degli anni Ottanta David Maria Turoldo si ammala per un tumore al pancreas: muore all’età di 75 anni il 6 febbraio del 1992 a Milano, nella clinica San Pio X. I funerali vengono celebrati dal cardinale Carlo Maria Martini, che pochi mesi prima aveva assegnato a Turoldo il Premio Giuseppe Lazzati.
Anna Carocci- Stile d’autore-Forme e funzioni del Mambriano-
-Viella Libreria Editrice Roma-
SINOSSI
Il Mambriano del Cieco da Ferrara è il più felice risultato della letteratura cavalleresca del Quattro-Cinquecento dopo i capolavori di Ariosto, Boiardo e Pulci. È un poema capace di una caratterizzazione innovativa di personaggi tradizionalissimi come Orlando, Rinaldo e Bradamante, di una gestione originale della trama e dei meccanismi narrativi, e con un sistema ideologico del tutto sui generis nel panorama cavalleresco coevo. Eppure, al di là di una cerchia piuttosto ristretta di studiosi, è ancora poco conosciuto e spesso anche sottovalutato.
Il libro indaga gli aspetti centrali del Mambriano (dal rapporto con la tradizione alla figura del personaggio-autore) e le pietre di volta della narrazione cavalleresca (l’ottava, la rima, il lessico), in modo da portare alla luce lo stile d’autore del Cieco da Ferrara e le peculiarità del suo poema.
INDICE
Introduzione. «La cronica fo scritta in Montealbano»
1. Un canone cavalleresco
2. Tra Boiardo e Ariosto: ripresa originale e anticipazione
3. Situazione degli studi e scopo del lavoro
4. Due fili conduttori
1. Trama, tradizione e fortuna del Mambriano
1. La princeps, la dimensione orale e il problema del doppio dedicatario
2. Fortuna e sfortuna
3. La trama del poema
2. L’ombra di Boiardo: il Cieco e i modelli letterari
1. Il Mambriano e l’Inamoramento de Orlando
2. Bradamante versus Bradamante
3. Orlando predicatore di pace
4. Il tempio di Marte tra Stazio e Boccaccio: il Cieco e la guerra
3. La figura del narratore
1. Le maschere del Cieco
2. Turpino personaggio e auctoritas
3. Turpino e Bradamante autori concorrenti
4. Gli autori e l’autore
5. Nel nome di Turpino: l’ottava conclusiva
4. Un entrelacement prudente
1. La cesura del xxxv canto
2. La prima parte del poema
3. La seconda parte del poema
4. Tra Boiardo e Ariosto
5. L’ottava del Cieco
1. Una scansione variata: metro e sintassi
2. Il Mambriano e la rima
3. Gli apporti di altri generi letterari: apertura e frizione
6. «Così parlano insieme»: il dialogo nel Mambriano
1. Il discorso diretto nei poemi cavallereschi tra Quattro e Cinquecento
2. Il discorso diretto nel Mambriano: caratteri costanti
3. Un canto di prova: analisi del canto vi
4. Bradamante e la parola arguta
5. Bradamante e la parola cortese
6. Guerra e parola dialogata
7. Molte parole e poca azione: Astolfo
8. Bradamante e Pinamonte: la parola comica
9. Un bilancio
7. Espressioni popolari e proverbiali
1. La lingua del Cieco: una panoramica
2. Espressioni cavalleresche
3. Espressioni proverbiali
4. Metafore in accumulo e in espansione
5. Espressioni afferenti alla realtà quotidiana
6. Per concludere
Bibliografia
Indice dei nomi
In copertina: Illustrazione del iv canto del Mambriano, in G. Lodico, Storia dei paladini di Francia, Palermo, Gaudiano, 1858-1860, vol. II, p. 30. Palermo, Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino.
Autrice – Professoressa Anna Carocci, italianista, collabora con le Università Sapienza e Roma Tre.Si occupa di letteratura cavalleresca ed editoria popolare del Cinquecento. Tra i suoi lavori: La lezione di Boiardo. Il poema cavalleresco dopo l’Inamoramento de Orlando (1483-1521) (Roma, 2018) e Il poema che cammina. La letteratura cavalleresca nell’opera dei pupi (Palermo, 2019).
Viella Libreria Editrice-Via delle Alpi 32 – 00198 Roma
Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
Ritratti fotografici di uomini e donne combattenti
Introduzione di Cristiano Armati
Red Star Press Cooperativa Editoriale
Descrizione
Questi ultimi anni stanno rivelando — grazie soprattutto ai social network — una diversa narrazione della Resistenza.
Non più la dimensione eroica, non quella strettamente politica.
Non quella dei martiri, dei morti ammazzati e delle rappresaglie. Ma una Resistenza intima, fatta di storie personali.
Figli che raccontano i padri, nipoti che parlano dei nonni. E donne, tante donne, assenti fino a poco tempo fa dalla grande retorica resistenziale.
Il “sorriso dei partigiani” celebra l’idea che la Resistenza sia stata un fenomeno grande come la vita, che non merita di essere racchiusa in polverose celebrazioni, ma di raccontare le vicende umane di chi l’affrontò con coraggio, ma anche con allegria.
Nella tradizionale iconografia partigiana la parte del leone la fanno l’epica, l’onore restaurato, l’austerità.
Sguardi fieri, ruvidi, rocciosi. Di chi ha attraversato la guerra civile, per uscire a riveder le stelle.
Ci è stata negata l’identità di quei protagonisti. Erano immancabilmente stati martirizzati da un plotone delle SS, o caduti in combattimento, o immolatisi per la libertà.
L’arte scende in strada. “La cultura che straripa”, nelle installazioni dell’artista spagnola Alicia Martin. Per realizzare ognuna delle sue ‘cascate di carta e parole’, Alicia utilizza circa 5000 libri che incolla a strutture metalliche che fungono da scheletro. Risultato: libri che esplodono dalle finestre, libri che manifestano vita, che sembrano dire “leggeteci, chiusi nelle librerie e nelle biblioteche ad ammuffire non ci vogliamo stare”.
“Vi era in Abruzzo qualche antica usanza natalizia di cui non conoscevo l’origine.
Quando, dopo la messa di mezzanotte, si tornava a casa, nostro padre lasciava socchiusa la porta d’ingresso. La mamma ci spiegava che, da mezzanotte, la Santa Famiglia vagava per il mondo per sfuggire ai terribili soldati di Erode che avevano l’ordine di uccidere il Bambin Gesù.
Bisognava dunque che, in caso di pericolo, la Santa Famiglia potesse, senza perdere tempo, rifugiarsi nella casa più vicina. Per questo la porta doveva rimanere aperta, il camino acceso tutta la notte e la tavola apparecchiata, con buone provviste.
La nostra notte di Natale trascorreva di conseguenza nell’insonnia e nell’ascolto più ansioso.
Il minimo rumore ci faceva trasalire. Non era necessaria una grande sensibilità per commuoversi all’idea che Maria e Giuseppe col Neonato stessero per rifugiarsi in casa nostra. Se ne riceveva un’impressione che probabilmente avrebbe lasciato una traccia per tutto il resto della vita.”
di Claudio Cavaliere (Autore), Isabella Bossi Fedrigotti (Prefazione)
Storie di stragi contadine dimenticate, di gente semplice e sconosciuta uccisa perché ha improvvisamente vinto i propri timori smettendo di avere paura. Storie di tante donne calabresi e del loro protagonismo negli accadimenti politici e sociali della Calabria dei primi del ‘900 fino all’avvento del fascismo. Un’altra storia della Calabria, quella che offre il proprio sangue per la dignità e la democrazia. “Sono storie vere e il lettore non può mettersi in salvo rifugiandosi nella convinzione che siano racconti, che siano romanzi, che siano vicende leggendarie.” (dalla prefazione di Isabella Bossi Fredigotti)
Una lama di tenebra – Giustizia per Caravaggio di Vittorio Maria De Bonis
Una tela di Caravaggio sempre ricercata e mai attribuita con certezza, un raffinato e cinico collezionista pronto a tutto pur di possederla, un’arma memorabile forse appartenuta davvero al geniale artista milanese, una catena sconcertante di delitti nel segno di Caravaggio che insanguina la Roma contemporanea dell’antico patriziato e della cultura, fra botteghe antiquarie, salotti alla moda, ribalte mediatiche e nuovi protagonisti del web, gettando nel panico la mondanità capitolina. Anche stavolta il brillante critico d’arte Lorenzo Alderani, diviso fra perizie, comparsate televisive e conferenze, appassionato di Caravaggio e coadiuvato da un inseparabile assistente, irriverente e snob come il suo mentore, si mette alla ricerca della verità fra gallerie di pittura e palazzi aristocratici, prestigiose collezioni patrizie e chiese barocche, turbato da mille tentazioni femminili ma pur sempre devoto all’eterna fidanzata Elena, ironica e sapiente giornalista di moda con la vocazione dell’arte e dell’indagine, in una frenetica caccia al tesoro fra Roma, Malta e Port’Ercole sulle tracce del Maestro della Luce e dell’oscuro Giustiziere che ha deciso di vendicarlo. Un inseguimento fra le tenebre del Peccato e gli splendori della Fede che rivela i luoghi segreti e le tappe inedite della breve stagione di Caravaggio a Roma, in un suggestivo itinerario fra pale d’altare e celeberrime raccolte d’arte, cappelle dipinte e capolavori inaccessibili, fino alla necessaria – e fatalmente imprevedibile – resa dei conti, tra grande arte e ossessione omicida. Nel nome e per conto di Caravaggio.
Dati: 2021, pp. 192, brossura Prezzo: 16 euro
EdiLet – Edilazio Letteraria
Sede: Via Taranto, 184 – 00182 Roma – tel./Fax 06 7020663 06 70392827
L’antologia sulla violenza contro le donne non trova poesie: «Solo 16 in 2 mesi»
Pochi componimenti per il progetto «Dalla stessa parte». Gli abusi sembrano cancellare l’ispirazione
Le violenze degli uomini hanno fatto un’altra vittima. Una inaspettata, ancora di più se si pensa quanto è partecipata la ricerca di una vetrina da parte dei numerosi autori di liriche e versi. L’odio contro le donne ha cancellato l’ispirazione dei poeti (o aspiranti tali) che popolano gli appuntamenti letterari, le pagine web, le caselle di posta delle editrici.
Scrittori in serie di sonetti, poemi o haiku. Appassionati che, pur di farsi notare dal pubblico, sono pronti a esplorare qualsiasi argomento. Tranne uno. Quello scelto per costruire l’antologia intitolata: «Dalla stessa parte. Uomini contro la violenza sulle donne».
«Era da tempo che coltivavo l’idea di un progetto per raccogliere i versi di uomini che hanno a cuore la stigmatizzazione della violenza di genere». Salvatore Sblando, 50 anni, è un poeta e un organizzatore di eventi dedicati a questa arte. Con la sua associazione, che si chiama «Periferia Letteraria», ne ha organizzati in sei anni oltre 150. Rassegne, festival, reading e performance a Torino e fuori città. Due mesi fa, ha lanciato un bando per raccogliere poesie scritte per denunciare i soprusi, spesso taciuti, contro moglie, compagne, madri. L’idea è diffonderle con un libro. «Un modo per andare oltre una doverosa testimonianza di solidarietà — spiega Sblando, che nella vita lavora a Gtt —. Con questa idea in testa, abbiamo ipotizzato un’antologia che potesse diventare una chiamata “alle arti” per tutti quegli uomini contrari a questa forma di odio».
Sblando parla al plurale perché «Dalla stessa parte» è un progetto con più protagonisti. Se l’idea è sua, l’impegno di metterla in piedi è condiviso con Salvatore Contessini, poeta di Roma, e «La vita felice». È una casa editrice specializzata. Negli ultimi mesi, è stata sommersa dai manoscritti di scrittori col sogno di sbarcare in libreria. Una valanga di proposte, tanto che la direzione è stata costretta a sospendere la raccolta lanciata poco tempo prima con un avviso. «Nei giorni scorsi, mi hanno avvisato che, paradossalmente, sul tema che abbiamo deciso di esplorare noi, il risultato è stato l’inverso», aggiunge il curatore dell’antologia. In due mesi, sono stati spediti appena 16 componimenti. «È un po’ il numero che ci si aspettava per un singolo giorno», puntualizza Sblando che, visto l’insuccesso, ha provato a farsi più di una domanda. La prima: il concorso è stato poco pubblicizzato? «No, non penso sia questo il caso. La partecipazione è gratuita e, nei canali dedicati, ha avuto anche un buon riscontro», racconta.
Lunedì, alle 17, il progetto «Dalla stessa parte», a riprova di quanto affermato, sarà presentato con una diretta web organizzato dalla storica libreria milanese Bocca.
E, allora, non resta che provare a guardare altrove per trovare un motivo della mancata attenzione al progetto editoriale. Le antologie come «Dalla stessa parte» sono molto diffuse tra gli appassionati. Libri, anche di 200 pagine e con una buona tiratura, dedicati alla raccolta di versi. Tutti legati a un tema: come l’amore, la primavera, un territorio. Argomenti variegati che non hanno mai scoraggiato una partecipazione «di massa».
Tanto che, tra gli addetti ai lavori, si mormora che in Italia ci siano più poeti che lettori. Ma non questa volta. Sblando sostiene: «La violenza, che non è solo fisica, contro le donne è un problema culturale che, forse nell’inconscio, è giustificata da molti uomini». Compresi i poeti che, per questa spiegazione, non hanno partecipato al progetto. Ma c’è ancora tempo per rimediare. La raccolta di poesia contro i femminicidi prosegue fino a luglio.
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