Descrizione-poesie di Idea Vilariño «Non so cosa sia per me la poesia. È un modo di essere, del mio essere. Tutto il resto della mia vita è fatto di casualità. La poesia non è stata casuale. La mia poesia sono io.»
«Una celebrazione simultanea dell’ebrezza e della disgrazia, senza compiacimenti, senza vie di mezzo, con una capacità di illuminazione e brivido che probabilmente non si può raggiungere senza rinunciare alla vergogna, e che forse si trova allo stato puro soltanto in alcune forme di canzone popolare, nel bolero e nel tango. È questo il mondo in cui si resta intrappolati come in una tagliola leggendo le poesie di Idea Vilariño» – Antonio Muñoz Molina
Una poesia di vibrante sensualità commista a toni di dolente pessimismo, intima e notturna: sono questi i termini entro i quali si dispiega l’opera poetica di Idea Vilariño. Uruguaiana, fu parte integrante di quel gruppo di intellettuali denominato Generación del 45, assieme a Mario Benedetti, Ida Vitale e Juan Carlos Onetti, una delle principali esperienze letterarie novecentesche dell’America Latina. Molta della sua poesia ha come temi l’amore – in particolare quello tormentato con lo stesso Onetti, probabilmente la più famosa relazione della letteratura sudamericana –, la solitudine e soprattutto la morte, lucidamente contemplati a partire da una disincantata consapevolezza dell’insensatezza del vivere.
Idea Vilariño
Vederti ridere toccarti con le mani
vivere con te un giorno un anno tre settimane
dividere vita seria vita quieta con te
trovarti nel letto
nella stanza che ti vesti
che sai di vino che fumi
d’estate che sudi
o nell’amore quando chiudi
gli occhi assenti.
I
A Manuel Claps
Ciò che provo per te è così difficile.
Non è di rose che si aprono nell’aria,
è di rose che si aprono nell’acqua.
Ciò che provo per te. Che prende slancio
o si spezza con tanti tuoi gesti
o con le tue parole fatte a pezzi
e che poi riprendi in un gesto
e mi invade nelle ore gialle
e mi lascia una sete dolce e domata.
Ciò che provo per te, così doloroso
come la povera luce delle stelle
che ci arriva dolorante, affaticata.
Ciò che provo per te, che a volte tuttavia
fa tanta strada senza poi sfiorarti.
1942
—
L’OBLIO
Quando una dolce bocca bacia una bocca addormentata
come se ne morisse,
a volte, quando giunge oltre le labbra
e le palpebre si chiudono colme di desiderio
silenziosamente quanto lo permette l’aria,
la pelle col suo tepore setoso chiede notti
e anche la bocca baciata
nel suo indicibile piacere chiede notti.
Ah, notti silenziose, di lune dolci e oscure,
notti lunghe, sontuose, attraversate da colombe,
in un’aria che si fa mani, amore, tenerezza data,
notti come navi…
È allora, nella passione profonda, quando colui che bacia
sa ah, troppo, senza tregua, e vede che ormai
il mondo diventa per un lui un lontano miracolo,
che le labbra gli aprono ancora più fonde estati,
che la sua coscienza abdica,
e infine anche di se stesso si dimentica nel bacio
e un vento appassionato gli denuda le tempie,
è allora, nel bacio, che le palpebre si chiudono,
e trema l’aria con un sapore di vita
e insieme trema
tutto ciò che non è aria, il fascio ardente dei capelli,
il velluto ora della voce, e, a volte,
l’illusione già piena di morti in sospeso.
1944
—
Idea Vilariño-Foto de familia de la Generación del 45, a la que Idea Vilariño perteneció, con motivo de la visita de Juan Ramón Jiménez a Montevideo. Idea Vilariño aparece a la izquierda del poeta español- AB
TORNARE
Vorrei essere a casa
con i miei libri
la mia aria le mie pareti le mie finestre
i miei vecchi tappeti
le mie tende mezze rotte
mangiare sul tavolinetto di bronzo
ascoltare la radio
dormire tra le mie lenzuola.
Vorrei stare addormentata nella terra
no non addormentata
morta e senza parole
no non morta
non essere
ecco cosa vorrei
ancor più che arrivare a casa.
Ancor più che arrivare a casa
e vedere la mia lampada
e il mio letto e la mia sedia e il mio armadio
con l’odore dei miei vestiti
e dormire sotto il peso familiare
delle mie vecchie coperte.
Più che arrivare a casa uno di questi giorni
e dormire nel mio letto.
1954
—
Idea Vilariño
DI NUOVO
Di nuovo la morte
mi gira intorno e come prima
scrupolosamente
mi toglie ogni sostegno
mi vuole fedele e libera
mi separa dagli altri
mi segna
mi definisce
per cancellarmi meglio.
1950
—
Idea Vilariño
POVERO MONDO
Lo distruggeranno
salterà in aria
alla fine scoppierà come una bolla
o esploderà glorioso
come una santabarbara
o più semplicemente
verrà cancellato come
se una spugna bagnata
cancellasse il suo posto nello spazio.
Forse non ci riusciranno
forse lo ripuliranno.
Gli cadrà la vita di dosso come i capelli
e continuerà a girare
come una sfera pura
sterile e mortale
o meno bellamente
vagherà per i cieli
marcendo lentamente
tutto una ferita
come un morto.
Las Toscas, 1962
Idea Vilariño
EPPURE
*
Prendo il tuo amore
eppure
ti do il mio amore
eppure
avremo sere notti
ebbrezze
estati
tutto il piacere
la felicità
la tenerezza.
Eppure.
Ci mancherà sempre
l’infinita bugia
il sempre.
1961
[Traduzione di Laura Pugno]
Idea Vilariño
Breve Biografia di Idea Vilariñonacque a Montevideo nel 1920, dove morì nel 2009. Proveniente da una colta famiglia borghese, cominciò a scrivere poesie prima dei vent’anni, esordendo nel 1945. Professoressa di letteratura fino al colpo di stato del 1973 e poi di nuovo a partire dal 1985, fu anche apprezzata traduttrice. Figura centrale del panorama letterario sudamericano, ricevette nel 1987 il Premio Municipal de Literatura, il più prestigioso riconoscimento del suo paese, e nel 2004 il Premio Konex mercosur a las Letras dell’argentina Konex Foundation.
Idea VilariñoIdea VilariñoIdea VilariñoIdea VilariñoIdea Vilariño
Romana Bogliaccino-Scuola negata-Le leggi razziali 1938-Come e perché nel 1938 anche nel migliore liceo della Capitale 58 studenti e un’insegnante furono espulsi solo perché ebreiIl caso del liceo “Ennio Quirino Visconti” di Roma assume caratteristiche paradigmatiche nel quadro generale dell’impatto delle “leggi razziali” sulla scuola italiana. Frequentato fin dalla sua fondazione nel 1870 da molti ebrei della comunità romana, finalmente emancipati, il liceo registrò nel 1938 un numero molto elevato di studenti espulsi, ben 58, oltre a una docente. Il libro ricostruisce tutto ciò, attraverso uno studio approfondito di numerosi archivi, per primo quello del liceo “Visconti”, intrecciato con le testimonianze delle famiglie, con le storie degli espulsi, e permette di capire, nel vero senso della parola, cosa sia stato il fascismo e cosa sia stata la persecuzione degli ebrei a Roma dal 1938 al 1944. Perché al di là dei numeri, delle statistiche, dei meri dati, sono le vite delle persone che raccontano la storia, la vera storia del fascismo e delle sue vittime.
Romana Bogliaccino ha insegnato Storia e Filosofia presso il Liceo Classico Statale “Ennio Quirino Visconti” di Roma per più di vent’anni. Impegnata in studi e iniziative didattiche sulla memoria della Shoah, ha ideato e diretto dal 2013 il progetto L’Archivio del Visconti e la Storia, nell’ambito del quale ha promosso la Rete Scuola e Memoria – Gli Archivi scolastici italiani. Ha conseguito il Master Internazionale in Didattica della Shoah presso l’Università Roma Tre ed è tra i soci fondatori dell’associazione ETNHOS (European Teachers Network on Holocaust Studies).
GHIANNIS RITSOS: POETA DELLA RESISTENZA E DELL’IMPEGNO SOCIALE
Poesie da:”Molto tardi nella notte”-
traduzione italiana di Nicola Crocetti, Crocetti, 2020. Selezione a cura di Dario Bertini.
Ghiannis Ritsos
Ghiannis Ritsos, Poeta greco (Monemvasìa 1909 – Atene 1990). La sua vita, segnata da lutti e da miserie, fu animata da un’incrollabile fede negli ideali marxisti, oltre che nelle virtù catartiche della poesia. La sofferta visione decadente caratterizza costantemente la sua poetica, articolandosi di volta in volta su temi quali la memoria, il fascino delle opere e delle cose, la rivoluzione etica e sociale.
Ghiannis Ritsos-dieci poesie
Da Molto tardi nella notte, traduzione italiana di Nicola Crocetti, Crocetti, 2020. Selezione a cura di Dario Bertini.
Insuccesso
Vecchi giornali gettati in cortile. Sempre le stesse cose.
Malversazioni, delitti, guerre. Che cosa leggere?
Cade la sera rugginosa. Luci gialle.
E quelli che un tempo avevano creduto nell’eterno sono invecchiati.
Dalla stanza vicina giunge il vapore del silenzio. Le lumache
salgono sul muro. Scarafaggi zampettano
nelle scatole quadrate di latta dei biscotti.
Si ode il rombo del vuoto. E una grossa mano deforme
tappa la bocca triste e gentile di quell’Uomo
che ancora una volta provava a dire: fiore.
Karlòvasi, 4.VII.87
Senza riscontro
Grandi camion stracarichi, coperti di tele cerate,
attraversano le strade tutta la notte. Il rumore delle acque
luride
si ode nelle fogne oscure, misteriose
sotto il sonno dei prigionieri. Non è venuto nessuno.
Invano aspettammo tanti anni. La strada punteggiata
di stazioni di servizio e alberelli stenti. Nel cortile della prigione
ciotole vuote di yogurt e certe piume di uccelli. La prima
stella
gridò: “Coraggio, Ghiorghis”, poi tacque. E Petros,
irriducibile sempre, disse: “In materia di musica
prendi esempio dalla diligenza delle piccole rondini”.
Karlòvasi, 5.VII.87
All’ospedale
Pomeriggio tranquillo. Una ciminiera, i tetti, la linea del
colle,
una nube minuscola. Con quanto amore
guardi dalla finestra aperta il cielo
come se gli dicessi addio. E anch’esso ti guarda. Davvero,
che cos’hai preso? che cos’hai donato? Non hai tempo di
calcolare.
La tua prima parola e l’ultima
l’hanno detta l’amore e la rivoluzione.
Tutto il tuo silenzio l’ha detto la poesia. Come si spetalano
in fretta
le rose. Perciò partirai anche tu
in compagnia della piccola orsa ritta
che tiene una grande rosa di plastica tra le zampe anteriori.
Karlòvasi, 5.VII.87
Ghiannis Ritsos
Elusione
Parlava. Parlava molto. Non tralasciava niente
senza che la sua voce lo soppesasse. Quante e quante notti
in bianco
ad ascoltare i treni, le navi o le stelle,
a calcolare la materia e il colore di un suono,
a dare nomi a ombre e nubi. Ora,
quest’uomo cordiale e loquace sta in silenzio,
forse perché sul fondo ha intravisto i fanali spenti, e si rifiuta
di articolare la parola unica ed estrema: “nero”.
Karlòvasi, 7.VII.87
Questo solo
È un uomo ostinato. A dispetto del tempo afferma:
“amore, poesia, luce”. Costruisce su un fiammifero
una città con case, alberi, statue, piazze,
con belle vetrine, con balconi, sedie, chitarre,
con abitanti veri e vigili gentili. I treni
arrivano in orario. L’ultimo scarica
tavolini di marmo per un locale in riva al mare
dove rematori sudati con belle ragazze
bevono limonate diacce guardando le navi.
Questo solo ho voluto dire, se non mi credono fa niente.
Karlòvasi, 7.VII.87
Ricerca vana
La bella donna dai capelli malinconici e i braccialetti nascosti
ora dorme nella stanza di sopra. Non conosce
i nostri vecchi sospetti (benché una volta confessati)
né il nostro attuale oblio. Io scenderò nel seminterrato,
accenderò una candela per cercare qualcosa
che mi avevano tenuto nascosto a lungo. Poi
salirò di sopra e cercherò di svegliare la donna,
quella dai capelli malinconici. Non spegnerò la candela.
Karlòvasi, 18.VII.87
Imbarazzo
Uno salì la scala ansimando. L’altro
uscì in corridoio indifferente. Il terzo
non sa come reggere questo fiore. Ha paura
che lo vedano, che gli chiedano spiegazioni. Perciò
se ne sta alla finestra col pretesto di ascoltare le cicale,
butta via il fiore di nascosto e si accende una sigaretta.
Così, nessuno può essermi d’impiccio.
Karlòvasi, 21.VII.87
Ghiannis Ritsos
Lentezza
Mezzanotte passata. Dove vuoi andare a quest’ora?
I bar del porto sono chiusi. I marinai
si sono tolti le divise bianche. Forse dormiranno. Alcune
chiatte,
pesanti come fossero gravide, cariche di legname,
navigano lente sull’acqua scura con i vetri rotti
della povera luna. L’una e mezzo, le due, le tre e un quarto.
Le ore si trascinano,
e l’odore del legno appena tagliato, umido,
non cancella l’enorme ombra che sta in agguato davanti
alla dogana,
là dove, appena ieri, bei giovani pescatori subacquei
sbattevano sugli scogli i robusti polpi
tra un liquido bianco denso come sperma.
Karlòvasi, 16.VIII.87
Si è fatta notte
La festa di stasera rimandata.
E non sapevamo affatto
cosa avrebbero pianto o festeggiato.
A un tratto le luci si accesero e si spensero.
Dalla finestra vedemmo i musicanti;
attraversarono il viale in silenzio
con in spalla
enormi strumenti di rame.
Rimani qui, dunque,
fuma la sigaretta
in questa grande quiete,
in questo miracolo-niente.
Le statue sordomute.
Anche le poesie sordomute. Si è fatta notte.
Atene, 1.I.88
Qualcosa resta
Dopo tanti bombardamenti a tappeto
rimase intatto soltanto un muro della grande chiesa
con l’alta finestra; intatta anche
la bella vetrata della finestra
con colori viola, arancioni, azzurri, rossi
e raffigurazioni di fiori, uccelli e santi.
Perciò confido ancora nella poesia.
Atene, 2.II.88
Ghiannis Ritsos
GHIANNIS RITSOS: POETA DELLA RESISTENZA E DELL’IMPEGNO SOCIALE
Oggi parliamo di uno dei più grandi poeti greci del ’900, impegnato anche politicamente e socialmente.
La sua vita – ricordiamo la sua nascita a Monemvasia nel Peloponneso il 1º maggio 1909 e la sua morte ad Atene nel 1990- ha attraversato tutte le guerre e i drammi del secolo scorso.
Ma non l’ha fatto certamente da “neutrale”: come ricorda la biografia della Treccani “entrato nelle file della sinistra dopo un’infanzia e una prima giovinezza segnate da gravi lutti familiari e dalla malattia, partecipò alla lotta di resistenza contro i nazisti e poi alla guerra civile, e subì le persecuzioni dei governi dittatoriali o reazionari succedutisi in Grecia tra il 1936 e il 1970”.
La Grecia dei colonnelli
In particolare vogliamo ricordare ai più giovani lettori il fatto che, nella Grecia “culla della democrazia”, il 21 aprile del 1967 un gruppo di ufficiali dell’esercito greco guidò un colpo di stato contro il governo greco democraticamente eletto. Nella notte, carri armati e soldati occuparono tutti i luoghi più importanti della capitale Atene, arrestarono il comandante in capo delle forze armate e tutti i più importanti politici del paese; poi costrinsero il re ad appoggiare il golpe e diedero iniziò a un regime brutale che sarebbe durato per gli otto anni successivi.
Il golpe fu organizzato da una serie di ufficiali di grado intermedio, anche contro le esitazioni dei comandanti in capo, che anzi furono arrestati nelle prime ore del golpe. Per questa ragione il colpo di stato fu soprannominato “dei colonnelli”, e la giunta militare venne ribattezzata “regime dei colonnelli” (“kathestós ton Syntagmatarchón”).
La resistenza “intellettuale”
Appena insediata, la giunta dichiarò decaduti gli articoli della Costituzione che proteggevano la libertà di espressione e quella personale. Tutti i partiti politici furono sciolti e migliaia di politici, attivisti e intellettuali di sinistra furono arrestati e centinaia furono torturati nelle carceri speciali della polizia militare. L’ideologia del regime era basata sul nazionalismo, su un duro anticomunismo e sull’idea che tutte le forze di sinistra, comprese le più moderate, fossero in realtà sostenitrici di una cospirazione comunista. Tra gli intellettuali arrestati, oltre a Ghiannis Ritsos, ricordiamo anche il compositore Mikis Theodorakis, autore di famose colonne sonore come quella del film Zorba il Greco e Z – L’orgia del potere, di Costa-Gavras, in cui viene raccontata la nascita del regime greco (Theodorakis, anche per pressioni internazionali, fu scarcerato e fuggì dalla Grecia, non ritornando fino al termine della dittatura).
La poesia di Ritsos
Ghiannis Ritsos
Per introdurre i lettori alla poesia di Ghiannis Ritsos utilizzeremo un suo libro – Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Feltrinelli, 1978 -Edizione italiana tradotta e curata da Nicola Crocetti-.
Le poesie furono scritte negli anni ‘68/’69, durante il periodo del suo internamento. Faremo precedere la nostra proposta di lettura da una introduzione preparata, per una successiva ediziona italiana, da Nicola Crocetti, che non fu solo un suo traduttore ed editore, ma anche amico fraterno, tra i pochi cui riuscì di superare le “sbarre” per andarlo a trovare in prigionia.
L’introduzione di Crocetti
Le poesie di Pietre Ripetizioni Sbarre sono state composte tra il 1968 e il 1969, negli anni in cui Ghiannis Ritsos era confinato nei campi di concentramento sulle isole di Ghiaros e Leros, e poi soggetto a domicilio coatto a Karlòvasi, sull’isola di Samo. Nel suo consueto dialogo con il mito e con la storia, Ritsos racconta la memoria che resiste e che parla attraverso le pietre delle statue e delle colonne spezzate, anche quando gli eroi sono ormai “passati di moda”.
Nei gesti che si ripetono da sempre, incessantemente, gli echi del tempo che è stato diventano immagini di un presente fatto di sbarre, di ricerca della libertà vissuta come un’“immensa, estatica orfanezza”. Nella sua solitudine, destino di tutti gli eroi, il poeta conserva integra la sua dignità e la speranza nell’uomo, e afferma la sua fede nella rinascita e nel potere di redenzione della poesia.
Nel 1969 Ritsos riesce a eludere la censura e a inviare il manoscritto di Pietre Ripetizioni Sbarre a Parigi, dove la raccolta viene pubblicata due anni dopo da Gallimard. Nella prefazione, Louis Aragon definisce Ritsos “il più grande poeta vivente di questo tempo che è il nostro”.
Nicola Crocetti
Da “Pietre ripetizioni sbarre”
Ghiannis Ritsos
Dissoluzione
Forme mobili, dissolute; – l’inquietudine molteplice
e la fluidità insidiosa – udire il rumore dell’acqua tutt’intorno
imponderabile, profondo, incontrollabile; e tu stesso incontrollabile,
quasi libero.
Donne stupite giunsero poco dopo
assieme a certi vecchi, con brocche, pentole, bidoni,
attinsero acqua per le necessità domestiche. L’acqua prese forma.
Il fiume tacque come se si fosse svuotato. Faceva notte. Si chiusero le porte.
Solo una donna, senza brocca, rimase fuori, nel giardino,
diafana, liquida al chiar di luna, con un fiore nei capelli.
15 maggio 1968
A posteriori
Da come sono andate le cose, nessuno, secondo noi, ha colpa. Uno è partito
l’altro è stato ucciso; gli altri – ma è inutile rivangare adesso.
Le stagioni si alternano regolarmente. Fioriscono gli oleandri.
L’ombra fa il giro intorno all’albero. La brocca immobile,
rimasta sotto il sole, è asciutta; l’acqua è finita. Eppure
potevamo, dice, spostare più in qua o più in là la brocca
a seconda dell’ora e dell’ombra, intorno all’albero,
girando fino a trovare il ritmo, ballando, dimenticando
la brocca, l’acqua, la sete – senza avere più sete, ballando.
20 maggio 1968
Mezzanotte
Leggera, vestita di nero, – non s’udì affatto il suo passo.
Attraversò la galleria. Il semaforo spento. Mentre saliva
la scala di pietra le gridarono “Alt”. Il suo volto
vaporava bianchissimo nel buio. Sotto il grembiule
teneva nascosto il violino. “Chi va là?”- Non rispose.
Rimase immobile; le mani in alto; tenendo stretto
Il violino tra le ginocchia. Sorrideva.
15 giugno 1968
Notte
Alto eucalipto e ampia luna.
Una stella trasale nell’acqua.
Cielo bianco, argentato.
Pietre, pietre scorticate fino in cima.
Accanto, nel basso fondale, s’udì
il secondo, il terzo salto d’un pesce.
Immensa, estatica orfanezza – libertà.
21 ottobre 1968 Campo dei deportati politici di Partheni, isola di Leros
Rinascita
Da anni più nessuno si è occupato del giardino.
Eppure
quest’anno – maggio, giugno – è rifiorito da solo,
è divampato tutto fino all’inferriata – mille rose,
mille garofani, mille gerani, mille piselli odorosi –
viola, arancione, verde, rosso e giallo,
colori… tanto che la donna uscì
di nuovo
a dare l’acqua col suo vecchio annaffiatoio
di nuovo bella,
serena, con una convinzione indefinibile.
E il giardino
la nascose fino alle spalle, l’abbracciò,
la conquistò tutta;
la sollevò tra le sue braccia. E allora, a mezzogiorno
in punto, vedemmo
il giardino e la donna con l’annaffiatoio
ascendere al cielo
e mentre guardavamo in alto, alcune gocce
dell’annaffiatoio
ci caddero dolcemente sulle guance, sul mento,
sulle labbra.
Fonte –Blog di Antonio Vargiu
Ghiannis Ritsos
Di che colore è l’amore?
Il tuo corpo tagliato da una lama di luce – per metà carne, per metà ricordo.
Illuminazione obliqua, il grande letto intero, il tepore lontano, e la coperta rossa.
Chiudo la porta, chiudo le finestre. Vento con vento. Unione inespugnabile.
Con la bocca piena di un boccone di notte. Ahi, l’amore.
Ghiannis Ritsos, da AA.VV. Nuove poesie d’amore, Crocetti Editore, traduzione di Nicola Crocetti
La poesia qui sotto mi trasmette, ogni volta che la leggo, una dolcezza infinita
(forse più di tre bignè al cioccolato… che dici, sto esagerando?)
Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo mi chiederanno la loro voce un giorno, quando te ne andrai. Ma io non avrò più voce per ridirle, allora. Perché tu eri solita camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul letto, gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi le mani sulle ginocchia, mettendo in mostra provocante i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così – dicevi; ricordarmi così, coi piedi sporchi; coi capelli che mi coprono gli occhi – perché così ti vedo più profondamente. Dunque, come potrò più avere voce. La Poesia non ha mai camminato così sotto i bianchissimi meli in fiore di nessun Paradiso.
Ghiannis Ritsos, da Erotica, Crocetti, 2008, traduzione di Nicola Crocetti
Ghiannis Ritsos
Biografia di Ghiannis Ritsos
(in greco: Γιάννης Ρίτσος; Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990)
Ghiannis Ritsos, Poeta greco (Monemvasìa 1909 – Atene 1990). La sua vita, segnata da lutti e da miserie, fu animata da un’incrollabile fede negli ideali marxisti, oltre che nelle virtù catartiche della poesia. La sofferta visione decadente caratterizza costantemente la sua poetica, articolandosi di volta in volta su temi quali la memoria, il fascino delle opere e delle cose, la rivoluzione etica e sociale.
Ghiannis Ritsos
Vita
Entrato nelle file della sinistra dopo un’infanzia e una prima giovinezza segnate da gravi lutti familiari e dalla malattia, partecipò alla lotta di resistenza contro i nazisti e poi alla guerra civile, e subì le persecuzioni dei governi dittatoriali o reazionari succedutisi in Grecia tra il 1936 e il 1970.
Opere
Dopo le prime raccolte (Τρακτέρ “Trattore”, 1934; Πυραμίδες “Piramidi”, 1935), influenzate dal crepuscolarismo di K. Karyotakis, s’ispirò alla tradizione demotica nei decapentasillabi rimati di ῾Επιτάϕιος (“Epitaffio”, 1936), compianto di una madre per il figlio ucciso dalla polizia durante uno sciopero, cui seguì Τὸ τραγούδι τῆς ἀδελϕῆς μου (“La canzone di mia sorella”, 1937), di schietta intonazione elegiaca. Ma già nelle tre poesie pubblicate con lo pseudonimo di K. Eleftheríu sulla rivista Τὰ νέα γράμματα (“Lettere nuove”) nel 1936, si avverte il tentativo di aderire alla lirica pura, mentre un esito delle ricerche precedenti è rappresentato dalla raccolta Δοκιμασία (“Prova”, 1943), che incorse nella censura tedesca. Nel caso di ῾Αγρύπνια (“Veglia, 1954), pubblicata dopo l’esperienza della deportazione nelle isole dell’Egeo, è invece la fiducia nella vita che rinasce ad essere cantata. Le prove poetiche successive, numerosissime, inclinano talvolta all’enfasi e fanno posto a simbolismi non privi di fumosità: fra queste, anche la celebre Σονάτα τοῦ σεληνόϕωτος (“Sonata al chiaro di luna”, 1956), che inaugurò la serie dei monologhi drammatici nella quale figurano alcuni poemetti ispirati a personaggi mitici assunti a prototipo dell’umanità sofferente (Φιλοκτήτης “Filottete”, ῾Ορέστης “Oreste”, ῾Ελένη “Elena”, Χρυσόϑεμις “Crisotemi”, compresi, insieme con altri, nel vol. Τέταρτη διάσταση “Quarta dimensione”, 1985). Più persuasive, sul piano concettuale e stilistico, opere come ᾿Ανυπόταχτη πολιτεία (“Indomabile città”, 1958), Μαρτυρίες (“Testimonianze”, 1963 e 1966), Δεκαοχτὼ λιανοτράγουδα τῆς πικρῆς πατρίδας (“Diciotto canzonette della patria amara”, 1973), Χάρτινα (“Carta”, 1974), ῾Ιταλικὸ τρίπτυχο (“Trittico italiano”, 1982). Traduttore di poeti stranieri, studioso di Majakovskij, R. ha scritto anche opere drammatiche (Μιὰ γυναίκα πλάϊ στὴ ϑάλασσα “Una donna accanto al mare”, 1959), e si è cimentato con la prosa e con il romanzo (il ciclo Εἰκονοστάσιο ᾿Ανωνύμων ῾Αγίων “Iconostasi di Santi Anonimi”, 1982-86; ῎Οχι μονάχα γιὰ σένα “Non soltanto per te”, 1985). La sua opera poetica, riunita in Ποιήματα (“Poesie”, 10 voll., 1961-89), è stata tradotta in italiano e in altre lingue.
Un classico da rileggere : “Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
Non solo memoria, letteratura. Sembra paradossale, eppure la scrittura di Se questo è un uomo ci dice di Primo Levi quanto e più del suo contenuto. Accade perché è una scrittura a togliere, resa scarna dallo sforzo di tenere a bada il dolore, la tentazione dell’astio, per lasciar emergere un racconto nudo, tanto più potente quanto più depurato del giudizio. Uno sforzo, riuscito, il cui prezzo doveva essere inversamente proporzionale alla distanza. Si pensi che i primi appunti erano nati già dentro il lager, che la prima edizione era già pronta nel 1947, neanche due anni dopo la Liberazione. Primo Levi, mentre scriveva il capolavoro, che esce in edicola e in parrocchia con Famiglia Cristiana, in vista della Giornata della memoria, aveva tra i 26 e i 28 anni. Oggi lo diremmo ragazzo.
Abbiamo chiesto a Giovanni Tesio, fino a pochi mesi fa docente di Letteratura italiana all’Università del Piemonte orientale, che ha avuto modo di conoscere a fondo Primo Levi di persona oltreché da studioso dei suoi scritti, di aiutarci a tracciare un bilancio, a trent’anni dalla morte di Levi e a settanta dalla prima edizione, di Se questo è un uomo.
«Un autore imprescindibile, un classico del Novecento, che ha preso quota sia a livello europeo sia nazionale per la consistenza dei contenuti e per la ricchezza, la forza, la precisione del linguaggio. L’esperienza del lager ha fatto di Primo Levi inizialmente un testimone della Shoah, ma la sua testimonianza sulla ferita del nostro Novecento era tanto più forte per la parola che la comunicava. Primo Levi credeva nella chiarezza della scrittura,nella letteratura come comunicazione, capace di rendere accessibile a tutti anche il più tragico dei contenuti».
“Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
Il Levi che ha conosciuto corrispondeva all’idea che ne esce in Se questo è un uomo?
«Nel caso di Primo Levi la maschera è il volto, ma questo non deve sminuirne lo spessore, anzi. Da un lato c’è quasi l’identità tra lo scrittore e l’uomo, dall’altro c’è la complessità: se non ci fosse non ci sarebbero neppure la resistenza di Levi e la sua importanza. D’altro canto, non escluderei che la pretesa che la ragione potesse guidare ogni aspetto interpretativo abbia agito su di lui, un po’ come se la compressione dell’inconscio avesse poi generato una ribellione dell’istinto che lui pure diceva di avere (Primo Levi è morto l’11 aprile 1987 cadendo nella tromba delle scale della sua casa torinese, ancora si discute se sia stato suicidio, ndr)».
Giornata della Memoria Shoah
Trent’anni fa Primo Levi, nel 2016 Elie Wiesel: che cosa perdiamo quando muore un testimone?
«Un pezzo della nostra stessa vita, la parte che ci costringe a fare i conti con il saper fare, con le impurità che la vita comporta. La conoscenza vera non è mai solo intellettuale, implica un mischiarsi con le cose, un sapere delle mani. Al tempo di Internet diventiamo da un lato più ricchi di possibilità, dall’altro rischiamo di essere sempre più dei conoscenti in difetto, privi del dato dell’esperienza».
Nel 1947 Se questo è un uomo uscì per De Silva: come si spiega il rifiuto di Einaudi, che poi ci ripensò nel 1958?
“Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
«Einaudi stava andando in una direzione diversa, per scelte editoriali. Da un lato si era in un momento storico in cui determinate esperienze chiedevano di essere non testimoniate ma in qualche modo tenute a bada, dall’altro non dobbiamo dimenticare che Primo Levi era un esordiente. Oggi potremmo dire che ci sarebbe voluta maggiore tempestività, ma sarebbe ingrato, con il senno di poi, gettare la croce addosso a chi non la merita. Da studioso posso dire che l’edizione Einaudi del 1958, in tempi più maturi, ha consentito a Levi di lavorare ancora a un testo che sentiva urgente ma imperfetto: ha potuto aggiungere il capitolo Iniziazione, fondamentale, e alcuni dei ritratti più commoventi di Se questo è un uomo: la bambina Emilia, l’amico Alberto. Ha anche ripulito il testo dalle tracce dell’offesa recente, dimostrando un desiderio di precisione che è segno di un senso forte della scrittura che si salda con un contenuto che urge, che rugge direi. Credo che anche con questo ruggito controllato dalla scrittura si spieghi la fortuna mondiale di Levi, certo favorita da un editore come Einaudi e dalla traduzione in tedesco di Heinz Riedt, ma aiutata dalla capacità di raccontare senza astio una ferita ancora fresca».
Giornata della Memoria Shoah
Ogni volta che parliamo di “zona grigia” citiamo Levi: oltre a citarlo lo abbiamo letto abbastanza?
«Non lo abbiamo letto abbastanza, citiamo spesso per pigrizia. La citazione vera è lettura e rilettura. Primo Levi va riletto come si rileggono i classici. In lui la “zona grigia” era la zona di quel collaborazionismo che mette in guardia dai giudizi inappellabili. È chiaro che il sistema che porta al lager nazista vale la condanna inappellabile, ma dentro questo giudizio ci sono variabili che coinvolgono l’idea stessa di uomo. È l’idea manzoniana che se Renzo commette una violenza è perché qualcuno lo ha indotto a farlo, che non sempre chi commette un gesto nefando è colpevole quanto colui che lo induce a farlo».
Possiamo chiederle di suggerire negli scritti di Levi un percorso utile alla comprensione del nostro mondo scosso dai conflitti, tentato dalle intolleranze, disorientato nel lavoro?
Giornata della Memoria Shoah
«Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati sul tema del lager visto in chiave originale. La chiave a stella, sul tema del lavoro ben fatto, che è tema potenzialmente ambiguo perché anche Stangl, il carnefice di Treblinka, pensava di fare un lavoro ben fatto. Per questo diventa lettura necessaria la storia del montatore Faussone che incarna un’idea morale del lavoro che non è mai disgiunta dalla responsabilità: la chiave dei mestieri che deve agire sulla formazione stessa dell’uomo. Poi non dimenticherei Storie naturali, l’aspetto dell’umorismo di Primo Levi, la dimensione di gioco della sua fantascienza domestica. Escludendolo, dimenticheremmo la personalità multipla di Levi facendone un autore in una sola direzione. Vorrei concludere con La ricerca delle radici, con le righe che premette all’ultimo capitolo, Siamo soli, in cui a me sembra di vedere un invito a sperare».
Auschwitz
Un anno fa lei ha finalmente pubblicato Io che vi parlo, l’esito degli incontri che avrebbero dovuto diventare, se ce ne fosse stato il tempo, una biografia autorizzata di Primo Levi: che cosa le ha lasciato di personale l’incontro con Primo, a parte il libro?
«Un incontro fondamentale, ma non dirò mai che sono stato amico di Primo Levi, semmai ne sono stato un indegno allievo. Era una persona
Auschwitz
controllatissima ma capace di affettività e avevamo messo insieme una consuetudine che andava oltre le mie ricerche. Mi ha lasciato la lezione della parola che non deve mai essere “avventurata” ma sempre pensata. Mi colpiva nel suo parlare l’arrivare direttamente all’esattezza, senza bisogno dei “per così dire” cui ci appoggiamo tutti noi. Poteva farlo anche grazie al bagaglio di odori e di colori in più che gli dava la sua esperienza di chimico».
(comprese le Poesie incompiute mai edite in italiano)
Editore Bompiani è un marchio Giunti Editore
Konstantinos Kavafis
-Poesie e prose-Per la prima volta vengono pubblicate tutte le poesie di Konstantinos Kavafis (comprese le Poesie incompiute, mai edite in italiano) assieme alle sue prose più significative. Un volume – con il testo greco a fronte, corredato di ampi commenti, indici e una sezione iconografica – che permetterà di cogliere i molteplici aspetti di una straordinaria esperienza letteraria. Kavafis non volle mai raccogliere le sue poesie tutte assieme – ora annotate e tradotte da Renata Lavagnini, internazionalmente riconosciuta come una delle più importanti studiose del poeta greco – preferendo diffonderle di volta in volta in fogli volanti, su cui poteva intervenire con correzioni e varianti. Solo dopo la sua morte (quando ormai aveva acquisito, non senza contrasti, fama e riconoscimenti nell’ambiente letterario alessandrino e ad Atene) le 154 poesie edite furono riunite in volume nel 1935. Ma la sua opera è assai più vasta. Se le poesie giovanili, apparse su riviste e almanacchi tra il 1886 e 1898, vennero messe da parte e implicitamente rinnegate (Poesie rifiutate), altre furono portate avanti nel tempo ma abbandonate nel cassetto (Poesie nascoste, 1884-1923). Su altre ancora continuò a lavorare fino alla fine, lasciandole in stato di abbozzo (Poesie incompiute, 1918-1932). Kavafis parla direttamente al lettore di oggi. E anche in quelle poesie in cui sono più presenti i riferimenti colti (specialmente quelli storici, attinti al mondo greco, ellenistico e bizantino al quale consapevolmente apparteneva come epigono) è possibile cogliere messaggi di grande attualità. Nelle sue Prose – finalmente raccolte, per i lettori italiani, con accurata competenza dallo specialista Cristiano Luciani – si delinea una figura di intellettuale ed erudito, sempre in dialogo con gli autori e i temi più presenti del suo tempo: riflessioni che costituiscono la premessa e lo sfondo necessari per comprendere ciò che l’opera poetica lascia spesso solo intuire
Konstantinos Kavafis
Biografia di Konstantinos Kavafis
Konstantinos Kavafis è nato il 29 aprile 1863 ad Alessandria d’Egitto da una famiglia originaria di Costantinopoli. Nel 1872 ultimo di nove figli, dopo la morte del padre, autorevole membro della ricca colonia greca di Alessandria attivo nel commercio del cotone, si trasferisce con la madre in Inghilterra dove riceve la prima formazione in lingua inglese frequentando le scuole a Liverpool e a Londra. Rientrato in Egitto, è allievo, negli anni 1881-1882, del Liceo Ermìs, un liceo commerciale della comunità greca di Alessandria. Tra il luglio 1882 e l’ottobre 1885 il giovane Kavafis con la madre e i fratelli si rifugia a Costantinopoli, presso i nonni materni, per sottrarsi ai bombardamenti inglesi rivolti a sedare la ribellione di ‘Ora¯bı¯ Pascià. A Costantinopoli, allora capitale dell’Impero ottomano, dove ancora erano presenti le memorie del passato bizantino, Kavafis intreccia amicizie ed esordisce in poesia. Tornato nel 1885 ad Alessandria, dopo aver fatto il giornalista e il mediatore in Borsa, dal 1896 è impiegato all’Ufficio delle Irrigazioni presso il Ministero dei Lavori Pubblici. Vi resta fino al 1922, quando va volontariamente in pensione. Pochi i viaggi: nel 1897 a Parigi e Londra con il fratello John; ad Atene nel 1901, 1903, 1905 dove ha contatti con il mondo letterario della capitale greca; un ultimo viaggio, sempre ad Atene, nel 1932, qualche mese prima della morte, avvenuta ad Alessandria il 29 aprile 1933.
Konstantinos Kavafis Poesie e prose – BompianiKonstantinos KavafisKonstantinos Kavafis Poesie e prose – BompianiKonstantinos KavafisKonstantinos Kavafis
Descrizione del libro di Sandor Marai–Dopo quarantun anni, due uomini, che da giovani sono stati inseparabili, tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null’altro contava per loro. Perché? Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare: “una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione”. Tutto converge verso un “duello senza spade” ma ben più crudele. Tra loro, nell’ombra il fantasma di una donna.
Sandor Marai
Breve biografia di Sándor Márai, il patriota malinconico .
Articolo di Gian Paolo GRATTAROLA
Nel tracciare il profilo biografico di quello è stato indubbiamente uno dei più grandi scrittori del Novecento, ci si trova purtroppo a chiedersi chi era mai Sándor Márai. Perché è vero che, meritoriamente, l’editore Adelphi ha pubblicato in Italia tutte le sue principali opere; ma è altrettanto vero che egli rappresenta l’incarnazione di una concezione della letteratura troppo faticosa e impegnativa per essere digerita senza difficoltà dal lettore di oggi.
Nato nel 1900 a Kassa (oggi Košice), un estremo lembo dell’Impero Austroungarico ormai avviato al tramonto, da una famiglia ricca di passato e priva di avvenire, aveva nel sangue le radici di un’Europa che stava morendo per troppa nobiltà e troppo sapere, come racconterà tra il 1934 e il 1935 nel suo primo romanzo memoriale Le confessioni di un borghese. E ungherese lo resterà per sempre, sia quando si recherà in Germania allo scopo di frequentare la scuola universitaria di giornalismo, sia quando insieme con la moglie Lola sposata nel 1928 si trasferirà a Parigi e Londra in Italia e in Medio oriente come inviato del “Frankfurter Zeitung”. La percezione dolorosa che i cardini morali, che avevano sostenuto la civiltà aristocratica durante la stagione mitteleuropea, stanno per essere spazzati via dall’ansia di affermazione di una società borghese cinica e materialista innervano già le prime opere scritte in patria quali L’isola (1934), Divorzio a Buda (1936), La recita di Bolzano e Sindbad torna a casa (entrambi 1940), La donna giusta (1941) e La sorella (1946).
Quando, dopo essere sopravvissuto agli orrori della guerra e dell’occupazione nazista di cui fu fiero oppositore, assiste alle prime avvisaglie della non meno feroce dittatura sovietica, decide nel 1948 di lasciare l’Ungheria e inizia a girovagare tra Svizzera, Stati Uniti e Italia. Esule di un mondo in cui non riesce tuttavia a riconoscersi, la nuova forma di inquietudine di cui è prigioniero diviene il tratto essenziale e inconfondibile della psicologia dei protagonisti dei suoi più romanzi più importanti. Prima a San Diego, dove prende residenza, e più tardi a Salerno, dove si trasferisce quando il figlio János entra in rotta di collisione con i genitori assumendo la decisione di americanizzare il proprio nome rifiutando la sua discendenza ungherese, Màrai continua a scrivere nella lingua madre. In questo lungo periodo di esilio vedono la luce, tra le molte altre opere i capolavori che usciranno postume e faranno di lui uno dei maggiori romanzieri del secolo scorso: da Liberazione a Le braci, dal secondo romanzo memoriale Terra, Terra!… a L’eredità di Eszter, da Il sangue di San Gennaro a L’ultimo dono.
Romanzi che egli scrive non per comprendere la realtà, ma per fuggire da un presente che detesta e che non ci chiedono di comprendere l’autore, ma di seguirlo attraverso i suoi verbosi e interminabili monologhi, lungo le sue sfavillanti digressioni in cui si sofferma ad analizzare con grande finezza psicologica i personaggi in tutte le loro sfumature, a scrutare ogni increspatura dell’animo umano, a registrare ogni loro parola e ogni loro sospiro. Leggerlo e addirittura non cercar neanche di capirlo. Perché il chiedere risposte è la motivazione meno opportuna per andare a bussare alla porta della sua arte: si correrebbe inutilmente il rischio di non farsi aprire. E allora meglio ricorrere alle cinque dita dei sensi, affidandosi all’odore che si respira nelle abitazioni e per le strade delle sue storie, degustando i sapori delle sue trame, lasciandosi inebriare dalla musica e dall’eleganza di una scrittura sontuosa. Quando al duro fardello sopportato a causa delle sorti avverse della propria patria lontana si aggiunge il dolore della perdita della moglie e del figlio, Sándor Márai decide nel febbraio del 1989 di togliersi la vita. Mancano solo pochi mesi all’agognato crollo dell’impero sovietico e al definitivo affrancamento del popolo ungherese. Ma egli purtroppo non vi potrà assistere.
“La battaglia di Montaperti”, Duccio Balestracci –
Duccio Balestracci- “La battaglia di Montaperti” –
Editori Laterza Bari
Descrizione del libro di Duccio Balestracci-Due città rivali, Siena e Firenze. Due fazioni in lotta, guelfi e ghibellini. Due poteri che si scontrano, Impero e Chiesa. Tutti questi conflitti convergono il 4 settembre 1260 a Montaperti per dare vita a una battaglia che sembrò segnare una svolta nella storia d’Italia. Lo scontro fu durissimo. La sera sul campo rimasero così tanti cadaveri di uomini e cavalli che il sangue, come scrive Dante, «fece l’Arbia colorata in rosso». Verso Siena si incamminavano le migliaia di prigionieri che erano tutto ciò che restava dell’imponente esercito messo insieme da Firenze e dalle sue alleate, sconfitto dai ghibellini e dai cavalieri di Manfredi.
Prof. Duccio Balestracci- ordinario di Storia Medievale a Siena
Duccio Balestracci, professore ordinario di Storia Medievale presso il Dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali di Siena, è autore di numerosi saggi divulgativi di successo. Nel 2016 è stato uno dei protagonisti degli INCONTRI CON GLI AUTORI del Festival del Medioevo.
La battaglia di Montaperti fu combattuta a Montaperti, pochi chilometri a sud-est di Siena, il 4 settembre 1260, tra le truppe ghibelline capeggiate da Siena e quelle guelfe capeggiate da Firenze.
La vittoria dei Senesi e dei loro alleati segnò il dominio della fazione ghibellina sulla Toscana, con ripercussioni anche sui precari equilibri del resto d’Italia e d’Europa, segnando di fatto il ruolo predominante della Repubblica di Siena sullo scenario politico ed economico dell’epoca.
Antefatti
Dopo l’anno 1000, le città di Firenze e di Siena erano cresciute grazie alle attività mercantili e commerciali; i banchieri e i mercanti delle due città attraversavano l’Europa arricchendosi. Firenze era facilitata dalla via d’acqua dell’Arno, Siena dalla sua posizione lungo la via Francigena, percorsa dai numerosi pellegrini diretti a Roma o dai traffici che da questa si dirigevano verso il cuore del Sacro Romano Impero. Era lo sviluppo dell’era mercantile. Ovviamente, gli interessi delle due città erano da tempo in conflitto, sia per questioni economiche che di pura egemonia sul territorio. Nella prima metà del XIII secolo, i confini fiorentini si spingevano a sud fino a pochi chilometri da Siena. La rivalità economica si traduceva in una rivalità politica. A Firenze avevano la supremazia i guelfi, che sostenevano il primato papale, mentre a Siena il partito predominante era quello ghibellino, alleato dell’Imperatore, che in quel periodo era capeggiato dal re di SiciliaManfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II.
Nel 1251 i senesi si erano legati ai ghibellini di Firenze in un patto di reciproca assistenza. Nella guerra del 1255, Siena aveva avuto la peggio ed era stata spinta a sottoscrivere un impegno a non ospitare alcun esiliato dalle città di Firenze, Montepulciano e Montalcino. Il casus belli fu l’accoglienza data nel 1258 da Siena ai ghibellini di Firenze, esiliati dopo una tentata rivolta contro i guelfi al potere. A questo esilio era seguito l’assassinio di Tesauro Beccaria, abate di Vallombrosa, accusato di complottare con i ghibellini allo scopo di farli rientrare a Firenze.
All’inizio della nuova guerra, il teatro delle operazioni fu soprattutto la Maremma, dove i guelfi riuscirono a fomentare rivolte dei comuni di Grosseto, Montiano, Montemassi[1]. Nel 1259 Siena ottenne l’appoggio di re Manfredi, che fornì alcuni squadroni di cavalieri tedeschi comandati dal vicario regio, il conte Giordano d’Agliano, suo stesso cugino; l’offerta di cento cavalieri, inizialmente ritenuta non adeguata dagli ambasciatori senesi, fu poi accettata su consiglio di Farinata degli Uberti. L’idea era che, una volta che le bandiere di re Manfredi fossero state coinvolte nello scontro, questi sarebbe stato costretto a inviare ulteriori rinforzi.
Nei primi mesi del 1260 le truppe tedesche piegarono la resistenza dei comuni maremmani. Questo suscitò la reazione della lega guelfa, guidata da Firenze, che, nonostante i richiami alla prudenza di alcuni membri importanti come Cece Gherardini (successivamente uno dei dodici capitani dell’esercito a Montaperti), fece muovere un esercito di circa trentacinquemila uomini a difesa dei comuni riconquistati dai ghibellini senesi. L’esercito guelfo si accampò alle porte di Siena, nei pressi di Santa Petronilla, nella zona nord vicina a Porta Camollia, attuando un assedio il 18 maggio. I cavalieri tedeschi e quelli senesi attaccarono l’accampamento nello stesso giorno e le operazioni si protrassero per i successivi due giorni. I cronisti delle due parti descrissero in modo diametralmente opposto l’esito dei combattimenti, a seconda dello schieramento per cui parteggiavano. Il 20 maggio i guelfi interruppero l’assedio e, mentre una piccola parte proseguì il cammino verso la Maremma, il restante dell’esercito fece ritorno a Firenze. Durante le operazioni del 18 maggio, alcuni cavalieri tedeschi furono feriti, ma l’attacco ebbe l’effetto di far togliere il campo ai Fiorentini. Questo spinse re Manfredi ad inviare in luglio ulteriori e più consistenti aiuti a Siena, nel numero di ottocento cavalieri. Altri aiuti arrivarono da Pisa e dagli altri ghibellini toscani. Questo diede ulteriore respiro ai senesi, che riconquistarono Montepulciano e Montalcino, stazione strategica a sud, sulla via Francigena.
Sito della Battaglia di Montaperti“La battaglia di Montaperti”, Duccio Balestracci –Sito della Battaglia di MontapertiSito della Battaglia di MontapertiBattaglia di MontapertiSito della Battaglia di Montaperti“La battaglia di Montaperti”, Duccio Balestracci –Sito della Battaglia di MontapertiSito della Battaglia di Montaperti
“La battaglia di Montaperti”, Duccio Balestracci -La
Descrizione del libro di Takase Junko -È possibile che il cibo, quando è condiviso, abbia un sapore migliore? Davvero mangiare insieme rappresenta un momento di felicità?
Nitani, impiegato ligio e ambizioso in una grande azienda dell’area metropolitana di Tokyo, non ci crede proprio, anzi: l’idea che il suo tempo possa essere in qualche modo condizionato da pranzo e cena gli è insopportabile.
E se bastasse una pillola per nutrirsi, lui sarebbe l’uomo più felice sulla terra.
Tra una pausa a base di noodles istantanei e un corso di aggiornamento, Nitani comincia a sviluppare un’antipatia mista ad attrazione per la graziosa Ashikawa, la collega colpevole ai suoi occhi di fare solo il minimo indispensabile e, allo stesso tempo, in grado di impersonare con la sua fragilità che invoca protezione la figura della moglie perfetta, così come vuole l’educazione con cui è cresciuto.
Oltretutto, per farsi perdonare le frequenti assenze in ufficio, Ashikawa prende l’abitudine di preparare per i colleghi deliziosi ed elaborati dolci fatti in casa.
E in una società che impone ritmi professionali impietosi, la sua diventa una scelta rivoluzionaria, in cui la rivendicazione della cura di sé e degli altri e la ricerca dell’appagamento passano anche attraverso l’amore per il cibo.
Le delizie della signorina Ashikawa mette in scena le contraddizioni di un paese diviso tra regole ed eccessi, tradizionalismo e ribellione, dove è quasi impossibile trovare un equilibrio tra la carriera e il privato; una scissione che si riflette anche nel modo in cui ognuno sceglie di fare la spesa.
Un romanzo gustoso, che intreccia il fascino pop della cucina del Sol Levante a un’ironica satira contemporanea, finendo per rivelare una ricetta per una vita più serena.
Autore
Takase Junko (1988)è stata acclamata come una delle autrici più interessanti della letteratura giapponese contemporanea. Con questo romanzo ha ottenuto il premio Akutagawa, il più importante riconoscimento letterario del suo paese.
Premessa di Gennaro Carastiglia: sono tra coloro che ritengono che il Nobel per la letteratura ad Han Kang si assolutamente meritato. Inutile proseguire la lettura se si è già convinti del contrario.
Han Kang- L’ora di greco
Probabilmente per me questo è il romanzo più bello tra quelli fin qui tradotti in italiano (o inglese). Molto breve ma denso, esplora temi profondi come la perdita, la solitudine, e la ricerca dell’identità. È del 2011 anche se qui da noi è arrivato appena l’anno scorso. Un viaggio introspettivo in cui due persone, apparentemente molto diverse, si incontrano e si comprendono attraverso la condivisione di un dolore nascosto e silenzioso.
Lei, Hanja, dopo aver vissuto un periodo di intensa sofferenza, ha trovato il silenzio come rifugio: non parlare, più che una scelta volontaria, è una reazione istintiva e fisiologica alla sua sofferenza. Le parole per lei si sono trasformate in strumenti di dolore, tanto che la voce stessa le sembra ormai qualcosa di estraneo. Dopo in matrimonio fallito e la perdita di custodia del figlio, persa anche la madre le sembra di aver ormai perso qualsiasi contatto con la propria identità e il mondo che la circonda. Come via di fuga da questo dolore, inizia a seguire lezioni di greco antico, una lingua che per lei diventa una sorta di “nuovo inizio”, poiché le consente di esprimere e riscoprire sé stessa senza le ferite che l’uso della lingua madre le provoca.
È così che la sua vita incrocia il suo insegnante di greco, un uomo non vedente che vive anche lui un’esistenza profondamente segnata dalla perdita. Per lui la cecità ha rappresentato un graduale distacco dal mondo, ma nonostante le difficoltà quotidiane ha imparato a navigare attraverso questo vuoto grazie all’amore per le parole e per la letteratura. Egli usa il greco come strumento per mantenere un legame con il mondo esterno e per dare un senso al proprio passato.
Attraverso questo incontro tra la donna e il suo insegnante, Han Kang esplora l’intimità della comunicazione e del linguaggio come mezzo di guarigione. Entrambi i protagonisti sono segnati da ferite invisibili e trovano nella lingua greca un terreno neutrale in cui potersi esprimere senza il peso delle loro storie personali. Il greco antico diventa simbolo di un viaggio interiore, che permette loro di riconoscere il proprio dolore e, in qualche modo, di riappropriarsi delle proprie vite.
Han Kang utilizza una prosa poetica e riflessiva per approfondire i sentimenti complessi dei protagonisti. La narrazione alterna i punti di vista della donna e dell’insegnante, e attraverso le loro prospettive frammentate il lettore è invitato a riflettere sul significato dell’empatia, della perdita, e della redenzione. I dialoghi sono ridotti al minimo, quasi come se l’autrice volesse rispettare il silenzio che i due protagonisti sembrano cercare.
In sostanza, un romanzo che parla di sopravvivenza emotiva. Attraverso la storia dei protagonisti, Han Kang esplora la possibilità di trovare una via d’uscita dal dolore e dalla perdita senza negare le proprie ferite. La lingua greca diventa metafora del processo di auto-ricostruzione, una lingua che, con le sue radici antiche, permette ai personaggi di esprimere sentimenti che sembravano impossibili da comunicare.
Un delicatissimo racconto di Han Kang, che con la sua scrittura minimalista invita alla riflessione sulla complessità dell’animo umano, sul ruolo del linguaggio, e sulla possibilità di una rinascita anche nei momenti più bui. Leggetelo solo se questi temi vi appassionano. Diversamente state andando incontro a una delusione.
Figlia dello scrittore Han Seung-won[2], è nata a Gwangju il 27 novembre 1970. Dopo gli studi all’Università Yonsei di Seul (letteratura coreana)[3], esordisce pubblicando una serie di cinque poesie nella rivista coreana Letteratura e società[4] nel 1993.[5] L’anno successivo esce il suo primo romanzo[6] al quale ne seguiranno altri cinque. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts[7].
Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito intitolato Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson. Così come le altre opere di questa biblioteca anche il libro di Han verrà pubblicato e reso disponibile solo nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.[10]
Il 10 ottobre 2024 viene insignita del Premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione: “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”[11][12], divenendo il primo rappresentante del suo Paese a vincere un Nobel in questa categoria[13].
사랑과, 사랑을 둘러싼 것들 (letteralmente L’amore e le cose che circondano l’amore), 2003.
가만가만 부르는 노래 (letteralmente Una canzone cantata sottovoce), Bichae, 2007. ISBN 9788992036276 Il libro include un CD musicale di 10 brani in veste di autrice e cantante di canzoni.[15]
Jack Kerouac,Scrittore e poeta, nato giovedì 12 marzo 1922 a Lowell, Massachusetts (USA – Stati Uniti d’America), morto martedì 21 ottobre 1969 a St. Petersburg, Florida (USA – Stati Uniti d’America)
Jack Kerouac
Jack Kerouac, E’ uno dei padri della beat generation, l’autore di Sulla strada (1957), lo scrittore che seppe intercettare in anticipo lo spirito di un Paese che stava cambiando, l’interprete di un desiderio di libertà e di profondità spirituale che erano nell’aria, prima degli hippy, di una ribellione contro la civiltà occidentale. I grandi spazi dell’America da attraversare coincidevano con quelli della coscienza. Ha ispirato molti, come Bob Dylan, come i movimenti pacifisti, con le sue idee e con il suo stile immediato, la prosa spontanea, rapsodica e jazz; e continua a ricorrere ancora oggi, nella nostra cultura, ad essere evocato, attraverso quel suo concetto geniale di vivere “on the road”. Jack Kerouac è nato cento anni fa, il 12 marzo 1922, a Lowell (Massachusetts), ed è morto giovane, a 47 anni nel 1969, per una emorragia addominale causata dall’alcolismo.
Jack KEROUAC
Poesie di Jack Kerouac
DULUOZ
Nome tratto da fonti
di primo mattino
Nella sede di un giornale
Tanti Anni Fa a Lowell Mass
Mentre gli uccelli cacavano
Sul canale
E Sperma galleggiava
Tra i Muri di Mattone
Di un Albeggiar di Fumo
Che usciva da un Camino
di Chtistian Hill
Ah Sire, Duluoz,
Re dei miei Pensieri,
Salve a te!
(Caccia un’altra lattina di birra)
QUALUNQUE MOMENTO
Qualunque momento hai voglia
Di scrivere una cazzuta poesia
Apri ‘sto libro
& Strilla nient’ altro
Che Crema
Strilla
Non ti scomare
Scorri
Scortica
Scrosta i bordi di Scrono
AllitteRa le Rane
Bekkek! Bekkek!
Koax! Koax!
Carra Quax!
Carra qualquus
Kerouacainius!
PERSINO JOYCE
Persino lui, Joyce,
ha avuto l’amore
Persino i poeti ciechi.
IL POETA
Quante volte da quando
Ho visto il poeta
di Greenwich Village
Scorciare al lavoro nell’ alba grigia
Con la gavetta &
il taglio di capelli fuori moda
Occhi allo Hudson
Narici alla strada
All’inverno, al lavoro, alla carità,
Ai pasti, cibo di follia
Tante volte da quando
Ho visto il poeta
Che scriveva ritmi & rime
Incazzato tra Minetta’s
E Minetta Lane
Affrettarsi al Lavoro
Sessosico, sessitico, psico
analizzato?
Al lavoro nell’alba impoetica
Le mattine dopo essermi sbronzato
con Lucien & Allen
& gli Angeli Alleati
Nella Vasta Pesciaia
di Manhattan
O America!
O canti!
Poesie!
o Sax Alti! o Tenori!
Suonate!
(il Poeta è Morto).
TUONO
Il tuono fa un frastuono
di rumore come finestre
Chiuse in silenzio
istericamente
Perciò Papi è caduto dalle scale
del tempo
Malgrado l’acquasanta
E tutti i vs. beveroni
nell’
Eternità.
LA ROSA
«Ah, Rosa»ho gridato,
«Risplendi nella Fosforescente
Notte.»
L’INSETTO
E al piccolo insetto che io sono
ho detto
«Insetto, detto, vetta, tetta del tempo,
Prova, prendi, prendi, spremi, vola,
L’amore traversa i t.i zigomi
Sulla fosforescente trasparente
ala
Del Metamorfosato Insetto
Kafkiano divora formaggio»
L’ORRORE
Quindi ho visto l’orrore,
E ho gridato,
«Toglitimi di do sso».
L’errorrore mi ha messo osso
Per osso in un sacco di terra,
Poi mi ha arrostito in forno
D’infernocielo nell’alluminio
Di Diavolo Dio Gesù ,
Cioè la Vs. Santa Trinità.
I SORRISI
I sorrisi scostano la pelle delle guance
Da perle d’osso
E mostrano a chi guarda
Tremolare la crema
In occhi di pietra.
SULLE LACRIME
Lacrime è la mia fronte che si rompe,
Il lunato agitato
sedersi
In bui cimiteri di treni
Quando per vedere il volto di mia madre
Che richiamava dalla sua visione
Piansi alla comprensione
Della trappola mortalità
E del sangue personale della terra
Che mi aspettavano
Padre padre
Perché mi hai abbandonato?
Mortalità & repulsione
Scorrazzano per questa città
Infelicità è il mio secondo nome
Voglio essere salvato,
Affondato-non può essere
Non vuole essere
Mai fu fatta per essere
Così da vomitare!
DA VECCHIO
Quando comincerò a invecchiare
E forse sentirò .il braccio sinistro
intorpidirsi
E il cervello resistita speranza,
Siederò addormentato
L’energia soffocata esaurita
nel mio occhio
E l’amore fuggito da me
Quando la peggior notizia
Mi fu portata
Ed esultai di essere solo
Di ormai essere morto
Ho avuto la visione del
santo
Misconosciuto & troppo stanco
per spiegare il perché
E di dolci intenzioni
un altro giorno-
Persino Stanley Gould
andrà in cielo.
LO SO
Lo so che non so scrivere
versi
Ma questo è il mio libro
di righine lattine
Di birra e allora compatiscimi
invisibile
Lettore lasciami pasticciare
anche
Quando ho i postumi & sono senza
idee.
DIO
Seduto sui nostri significati
Egomaniaco Dio,
Solitaria macchia d’olio luccico di pioggia
È solito irritarci per di più
Nel Reale.
SPERANZE
La poesia non lo sa:
Il condizionatore
Disusato d’inverno
È come le mie speranze
Un po’ dentro, un po’ fuori,
Verdi su ruota bianca,
Buone solo a gettare
Un’ombra lunga
Nella livida luce della strada.
55° Chorus
Un giorno o l’altro alzeranno monumenti
costruiti in onore dei folli
quelli che oggi stanno in manicomio
Come primi pionieri del concetto
per il quale se perdi la ragione
attingi al sapere più perfetto
Il quale è immune da predicati
quali «lo sono,. io voglio, io ragiono -»
-immune dal dire: «Lo farò»
– Immune
Immune anche da follia in virtù
del non contatto
Ma per intanto questi medici
deterministi credono davvero
che un matto è matto –
E per questo hanno eretto una religione
da un miliardo di dollari, detta Psico-medicina,
e ah –
Be’ apprenderemo la normalità
dell’Ard Bar
Al mattino, alle volte, da soli
Blues
Parte delle stelle mattutine
La luna e la posta
L’insaziabile X, il dolore delirante,
– la luna Sittle La
Pottle, teh, teh, teh, –
I poeti in vecchie stanze gufose
che scrivono curvi parole
sanno che le parole furono inventate
perché il nulla era nulla
Usando le parole, usate le parole,
le X e gli spazi vuoti
E la pagina bianca dell’Imperatore
E l’ultimo dei Tori
Prima che la primavera si metta in moto
Sono una montagna di nulla
di cui volenti o nolenti disponiamo
Così di notte contratteremo
nel mercato delle parole.
Poesia
Il jazz s’è suicidato
Fate che la poesia non faccia la stessa fine
Non temiate
l’aria fredda della notte
Non date retta alle istituzioni
quando trasformate i manoscritti in
arenaria
non inchinatevi né fate a cazzotti
per i pionieri di Edith Wharton
o per la prosa alla nebraska di ursula major
no, statevene nel vostro giardinetto
& ridete, suonate
il trombone di mollica
& se poi qualcuno vi regala perline
ebree, marocchine, o vattelappesca,
addormentatevi con quella collana al collo
È probabile che facciate sogni più belli
La pioggia non c’è
non ci sono più me
te lo dico io, ragazzo,
affidabile come la merda.
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