Antonio Gramsci- Antologia a cura di Antonio A Santucci-
-Editori Riuniti- Roma
Antonio Gramsci. Antologia –La questione delle antologie gramsciane non è né recente, né di facile soluzione. È sempre stato ritenuto necessario «antologizzare Gramsci», ma è anche vero che «antologizzare Gramsci» è sempre stato un problema.
Si tratta infatti di un lascito letterario vasto, alla morte dell’autore rimasto inedito o non pubblicato in volume: articoli di giornale o di rivista, relazioni o documenti politici, gli appunti carcerari raccolti nei celebri «quaderni», lettere scritte in libertà o in prigionia, nulla di tutto ciò è stato approntato da Gramsci per la pubblicazione in volume.
Iniziare a leggere Gramsci dunque non è facile. Come scegliere fra le centinaia di scritti, dal 1913 al 1937, saggi, annotazioni, squarci di costume, documenti politici, cronache teatrali, elzeviri di terza pagina, lettere, tutti raccolti in parecchi volumi, molti dei quali non più reperibili in libreria? Per questo oggi, mentre permane la necessità – per chi voglia davvero studiare e approfondire Gramsci – di non assumerlo «in pillole», di rifarsi cioè all’intero corpus dei suoi scritti, contestualizzandoli con l’aiuto di libri di critica gramsciana e di libri di storia del movimento comunista e del marxismo, permane anche il problema di mettere a punto strumenti antologici che, cercando di non tradire la complessità di pensiero del comunista sardo, aiutino la sua «divulgazione», cioè vengano incontro al lettore meno esperto e lo incoraggino a muovere i primi passi nell’universo di questo grande autore, letto e studiato in tutto il mondo.
Le antologie gramsciane sono state fin qui soprattutto di due specie: tematiche (sulla questione cattolica o meridionale, sul fascismo, sul Risorgimento, su Croce, e così via); e complessive, a volte anche con un taglio interpretativo determinato, oppure circoscritte al vasto territorio dei Quaderni, ma comunque tese a presentare il pensiero gramsciano complessivamente inteso. Le prime sono le più obsolete, perché isolano un aspetto, un tema appunto, di un pensiero in cui davvero «tutto si tiene», organizzato cioè intorno a un nucleo di domande fortemente legate le une alle altre: queste raccolterischiano così di restituire l’immagine del Gramsci «specialista» di tanti specialismi (storico, critico letterario, fi losofo, ecc.), che fu uno dei grandi limiti della prima edizione tematica dei Quaderni del carcere curata tra il 1948 e il 1951 da Felice Platone e Palmiro Togliatti.
L’antologia curata da Antonio A. Santucci per gli Editori Riuniti nel 1997 con il titolo Le opere, che oggi opportunamente torna disponibile per i tipi della Editori Riuniti University Press, di fatto è stata per molti anni l’unica antologia «generalista» effettivamente in libreria, costituendo dunque un supporto particolarmente utile per la didattica universitaria e per chiunque volesse avere un primo approccio non minimalista (cioè mediante antologie di pochissime pagine) al pensiero di Gramsci.
(dalla prefazione di Guido Liguori)
INDICE
Prefazione p. 9
Avvertenze 13
LE OPERE
I
Neutralità attiva e operante 17
La luce che si è spenta 22
Pietà per la scienza del Prof. Loria 25
Socialismo e cultura 27
Tre principii, tre ordini 31
Indifferenti 38
Margini 41
La morale e il costume 46
Liolà di Pirandello 50
Note sulla Rivoluzione Russa 53
I massimalisti russi 57
L’orologiaio 60
La rivoluzione contro il «capitale» 63
Il nostro Marx 67
Utopia 71
II
La taglia della storia 79
Democrazia operaia 84
La conquista dello stato 88
Ai commissari di reparto delle officine Fiat centro e brevetti 94
Socialisti e anarchici 98
Per un rinnovamento del partito socialista 102
La forza della rivoluzione 110
Il Consiglio di fabbrica 113
Sindacati e consigli 118
Il programma dell’ordine nuovo 123
Il partito comunista 132
Franche parole ad un borghese 143
III
Bergsoniano! 147
Il Congresso di Livorno 149
I comunisti e le elezioni 153
Socialisti e fascisti 156
Sovversivismo reazionario 158
I due fascismi 161
Una lettera a Trockij sul futurismo italiano 164
Capo 167
Contro il pessimismo 172
Problemi di oggi e di domani 177
Necessità di una preparazione ideologica di massa 185
Lettera al comitato centrale del partito comunista sovietico 192
Lettera a Palmiro Togliatti 203
IV
Alcuni temi della quistione meridionale 209
V
Quaderni del carcere 235
Primo quaderno 235
Terzo quaderno 245
Quarto quaderno 261
Quinto quaderno 263
Sesto quaderno 265
Settimo quaderno 282
Ottavo quaderno 289
Nono quaderno 297
Decimo quaderno 304
Undicesimo quaderno 337
Dodicesimo quaderno 377
Tredicesimo quaderno 389
Quattordicesimo quaderno 423
Quindicesimo quaderno 429
Sedicesimo quaderno 437
Diciassettesimo quaderno 441
Diciannovesimo quaderno 442
Ventunesimo quaderno 445
Ventiduesimo quaderno 451
Ventisettesimo quaderno 469
Ventottesimo quaderno 472
Indice dei nomi 481
Antonio Gramsci. Antologia
Autore: Antonio Gramsci
ISBN13: 9788864730738
€23.75€25.00
Editori Riuniti, Via di Fioranello n.56, 00134, Roma (RM)-
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Descrizione del libro edito da Orthotes Editrice-Trattare della legge naturale significa prendere in esame un concetto che ha una lunga storia: esso trova le proprie radici nel pensiero greco, conosce un importante sviluppo nella speculazione medievale ed è oggetto della riflessione sia moderna sia contemporanea. Il presente studio si concentra su uno dei momenti cardine di questa lunga storia: la proposta di Tommaso d’Aquino.
Nel fare ciò, esso intende valorizzare due imprescindibili acquisizioni tommasiane. Anzitutto, il nesso fra la legge naturale e la natura – cioè la struttura propria – dell’essere umano, mostrando come ciò non comporti la restituzione di un’immagine deterministica dell’uomo a scapito della sua costitutiva libertà, bensì consenta di chiedersi che cosa tuteli e promuova l’autentico dispiegarsi dell’attività libera umana. In secondo luogo, lo studio dà il dovuto rilievo al legame fra la legge naturale e il bene senza limiti che l’uomo, per propria costituzione, desidera: in quest’ottica, la dottrina della legge naturale si configura come ciò che custodisce l’essere umano nella sua identità di animale “fatto per l’infinito”.
Una legge nel conflitto, una legge per il conflitto- “La legge naturale, nella sua lunga storia, è stata sempre vista come un fattore di unità, al di là del variare delle forme storiche del vivere e del concepire l’umano: una simile funzione non le è stata attribuita dall’esterno, bensí germoglia dalla radicalità della sua stessa pretesa, che è quella di dare voce alla costituzione dell’essere umano nei suoi strutturali orientamenti, quale che sia il particolare orizzonte culturale, sapienziale o religioso che questi inabita. La composizione di universale e particolare, pertanto, è stata una sfida che mai ha abbandonato i teorici della legge naturale e che oggi li interpella in maniera ancora piú acuta: se in epoche precedenti, infatti, il riconoscersi in un’eticità era fenomeno ordinario e il rendere conto di situazioni eccentriche esulava dall’esperienza quotidiana, ai nostri giorni si registra l’esatto opposto, soprattutto per quelle che MacIntyre definisce le “società dell’avanzata Modernità occidentale”. Pertanto, un discorso intorno alla legge naturale che non intenda presentarsi nei termini di un «residuo ideologico, utile in un passato non piú ripetibile alla detenzione del potere sulle coscienze e alla volontà di controllo del costume» deve oltremodo fare i conti con la pluralità dei punti di vista morali, non di rado fra di essi in conflitto. Si tratta di un compito cui MacIntyre non si sottrae: in parte già lo si è osservato nel precedente capitolo, laddove si è visto come la legge naturale e – di riflesso – alcuni impegni agatologici, lungi dall’essere incompatibili con il differire delle posizioni, costituiscano l’anima di questo stesso differire, se il differire è un differire veramente razionale.”
Damiano Simoncelli (1991) è attualmente Cultore della materia presso la cattedra di Filosofia morale del Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, docente invitato di materie filosofiche presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale/Sezione del Seminario Arcivescovile di Genova e borsista del Centro Universitario Cattolico. I suoi interessi di ricerca vertono intorno all’etica e all’antropologia di Tommaso d’Aquino. Con l’editrice Orthotes ha pubblicato Natura, ragione e relazione. Una prospettiva sulla legge naturale a partire da Alasdair MacIntyre (2020).
Orthotes Editrice -Nocera Inferiore
Orthotes è distribuita sul territorio nazionale Messaggerie Libri ed è promossa da NW Consulenza e Marketing editoriale. Lettori, Librerie e Biblioteche possono fare riferimento alle relative schede qui in basso. In caso di difficoltà o di ordini urgenti è possibile scrivere una email a:ordini@orthotes.com.
After Images. L’eccidio della famiglia Einstein Mazzetti: risonanze visive-
Fotografie di Eva Krampen Kosloski-Sellerio Editore
Descrizione del libro della Sellerio Editore -Il 3 agosto 1944 nella tenuta Il Focardo di Rignano sull’Arno, circa 15 chilometri a sudest di Firenze, poche ore prima che l’avanguardia delle forze alleate raggiunga la villa, un commando tedesco giustizia Nina Mazzetti e le sue figlie Luce, 27 anni, e Anna Maria, 18. Nina è la moglie di Robert Einstein, ricco commerciante, ebreo apolide, che viveva in Italia da diversi anni. Era il cugino dello scienziato Albert. Robert, che durante la strage era in fuga nei campi, poco dopo il suo ritorno e la scoperta del massacro si suiciderà.
Presenti all’esecuzione sono Lorenza e Paola Mazzetti, cugine di Luce e Anna Maria, che da alcuni anni, di fatto adottate, vivono con la famiglia degli zii. Vengono risparmiate perché non ebree. All’epoca sono poco più che bambine.
Lorenza e Paola diventeranno, ognuna a suo modo, personaggi importanti della stagione culturale del dopoguerra. Lorenza trasferitasi a Londra sarà una delle protagoniste – se non la vera artefice – del Free Cinema inglese, una delle «onde nuove» più trascinanti della cultura europea che vede protagonisti registi del calibro di Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson. Tornata in Italia negli anni Sessanta sarà anche pittrice, giornalista, intellettuale influente. Dei mesi che precedettero quella terribile esperienza scriverà nel libro Il cielo cade, mentre dal mondo cinematografico della Londra del dopoguerra nascerà il Diario londinese (entrambi pubblicati da questa casa editrice).
La sorella Paola sarà scrittrice, illustratrice, artista.
Sua figlia, Eva Krampen Kosloski, fotografa, tornerà nei luoghi dell’infanzia e della tragedia con la madre e la zia e ne documenterà l’atmosfera, la bellezza, la nostalgia. E fotograferà le due sorelle pochi anni prima della loro scomparsa: nella tenuta di Monte Malbe in Umbria, nella villa del Focardo, a Roma…
Queste toccanti immagini, con altre storiche che documentano quell’infanzia dal tragico epilogo, insieme ai documenti che registrano la strage, sono oggetto di un’importante mostra che fino al 25 febbraio 2024 è visitabile in anteprima assoluta presso il Memoriale della Shoah di Milano, e che in seguito sarà portata a New York al Centro Primo Levi.
Edizione bilingue (italiano e inglese) Brossura, formato 17×24 cm Con 74 illustrazioni a colori
La casa editrice Sellerio
Quello che è diventata la casa editrice Sellerio era in un certo modo già presente nel carattere di chi l’ha ispirata come impresa culturale e fondata come impresa economica. Il centro guardato dalla periferia, per scoprire che la periferia è il centro.
La casa editrice Sellerio nasce nel 1969, con un piccolo investimento da parte di Elvira ed Enzo Sellerio celebre fotografo, sulla base di una idea nata parlando assieme a Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta, l’antropologo. I quattro sono amici e sono protagonisti della vita culturale palermitana. Palermo negli anni Sessanta è una strana città. Da mille anni una delle capitali dell’Occidente, da mille anni alla periferia dell’Occidente. Crocevia e crogiuolo di tutti gli elementi fondamentali assorbiti dalla cultura occidentale. Ne è legata e distaccata insieme. In ogni sua stagione di fervore culturale (e gli anni Sessanta sono anni di fervore) produce un tipo di intellettuale, egocentrico e presuntuoso quando è un piccolo intellettuale; originale e creativo quando è un grande intellettuale. È un intellettuale segnato da un particolare movimento dialettico: dal suo cantuccio guarda il centro del mondo. Osserva quanto fragili e piene di eccezioni sono sempre diventate in Sicilia le mode e le verità altrove proclamate di volta in volta infallibili e assolute. Considera tutto questo dapprima con risentimento per esserne escluso, con sufficienza, con desiderio; poi scopre che il suo cantuccio è il mondo. Così, fin dall’inizio Sellerio è una casa editrice periferica e interessata alle periferie. Ma è questo essere una specie di provincia dell’anima che le consente di esprimere una generalità. Di non essere una nicchia, ma un soggetto. Perché il soggetto è inevitabilmente un punto di vista, cioè una provincia che si fa centro.
Il programma all’origine della casa editrice è il ritorno a una cultura che Sciascia definisce «amena», cioè una cultura in cui il cosiddetto impegno è implicito e non esplicito, quindi una cultura della leggerezza, che non rinuncia all’eleganza, una cultura delle idee, sì, ma in forma di cose belle.
La fine degli anni Sessanta segna l’apice del grande impegno ideologico e politico della cultura italiana. Ma come sempre, dall’apice, dalla sommità comincia la discesa. Alla fondazione della casa editrice vi è, volontario o involontario, l’intuito che sta per cominciare quello che allora si chiamerà riflusso. Tutti leggono soltanto di politica. Tutto è politico, in quegli anni, perfino la letteratura, perfino l’arte. Tutto è essenziale, ascetico, importante e ostentatamente povero. Se è colto, è sperimentale. La prima collana Sellerio si chiama invece La civiltà perfezionata. È fatta di carta pregiata, con le pagine intonse. E pubblica testi di «belle lettere»: ricercata letteratura, rarefatta, distante anni luce da ogni tempesta politica. Sono testi caratterizzati da due linee apparentemente parallele, in realtà convergenti: la letteratura siciliana, e la letteratura europea meno nota e più raffinata. Due linee che convergono perché si dipartono da un illuminismo di base: il credere che la cultura non ha bisogno di aggettivi, che è di per sé trasformatrice. I due primi titoli sono infatti Mimi siciliani del nobile letterato Lanza e Lettere sulla Sicilia di Eugène Viollet Le Duc, scrittore francese (nonché architetto) malinconico e di sensibilità autobiografica. Ogni volume è accompagnato da incisioni di grandi illustratori (Mino Maccari, Tono Zancanaro, Bruno Caruso) e da una introduzione che in casa editrice si prende l’abitudine (in parte per il gusto della modestia, in parte per la vanità della modestia) a chiamare Nota. Le Note sono testi che hanno come modello gli scritti occasionali di Sciascia stesso, che non prendono mai di petto il loro oggetto, ma vi alludono alla ricerca di connessioni e suggestioni apparentemente lontane ma che in realtà centrano più di ogni zelante documentazione. Così le Note sono introduzioni ma costituiscono, se si vuole, letture autonome. Lanza, per esempio, è introdotto da Calvino.
La prima svolta: la pubblicazione de L’affaire Moro di Leonardo Sciascia.
Dentro la casa editrice, nei primi anni serpeggia un dissenso. C’è chi vuole conservare una dimensione minima e riservata, un carattere strettamente amatoriale (sull’esempio del milanese Scheiwiller, o dell’editore nisseno Salvatore Sciascia). Altri invece vorrebbero misurarsi col mare aperto, con una presenza editoriale più marcata e pubblica, forse nazionale. Nel 1978, senza che nessuno lo abbia programmato volontariamente, arriva un libro di Sciascia come la spada di Alessandro Magno che taglia il nodo gordiano. L’affaire Moro è un classico libro Sellerio (forse il primo tipico). Pubblicato in una collana per pochi com’è La civiltà perfezionata, vende più di centomila copie. È un libro di denuncia, senza parrocchie, coraggioso, scritto nella prosa magnifica di Sciascia. Non teme di essere un libro di grande responsabilità ideale; ma è fatto per essere letto e goduto. Insomma è nato lo stile di una casa editrice e il suo spazio a livello nazionale.
La seconda svolta: la collanina blu della Memoria. Nasce la piccola editoria. Mentre circola lo slogan «piccolo è bello». Tra la casa editrice e l’immaginario dell’italian style si crea un involontario circolo virtuoso.
Fortunato, fortunoso e fortuito – avrebbe detto Sciascia – fu dunque il presentarsi di Sellerio sulla scena nazionale. Ma fu vissuto come una occasione da non mancare. E nell’autunno del 1979 nacque la collana che mancava. Il blu della Memoria. Prima di tutto la grafica. Fu una piccola rivoluzione, nel grigiore metallico delle copertine di quegli anni l’irrompere della macchia blu, della carta vergata, dell’immagine pittorica figurativa al centro della sovraccoperta, dentro una cornicetta colorata che richiamava il colore delle lettere del titolo. Un effetto cromatico accentuato da quella che era allora una originalità audace: i colori delle lettere e della cornice che cambiavano di numero in numero: una volta gialli, una volta celesti, una volta grigi, una volta rossi, quasi mai bianchi. Il libro tornava ad essere anche un oggetto elegante, anche per quel suo formato tendente al quadrato, studiato per essere su misura per la tasca di una giacchetta. Un’unica legge per i contenuti: la curiosità intelligente (intelligente, diceva Sciascia nel senso di intelligenza col lettore «come si dice intelligenza col nemico», cioè intesa rapida, sotterranea, forse complice) che il libro doveva comunicare al lettore, resa con stile letterario. Leggerezza. Una collana amena, appunto. Per quell’accavallarsi di casi fortunati che contornano le buone imprese, La memoria accompagnò – forse incoraggiò, addirittura, si può azzardare, inaugurò – una serie di novità in ciò che allora cominciava a chiamarsi «immagine». Nasceva allora lo stile della piccola editoria. Nasceva dentro l’idea dei prodotti italiani come esempio di cose belle fatte bene e con stile. La memoria, nella sua fortuna di lettori e di critica, sosteneva queste tendenze e ne era sostenuta.
La consacrazione nazionale: il caso Bufalino. Difficilmente un altro editore avrebbe scoperto Diceria dell’untore. Perché quella scoperta fu il frutto dello stile di lavoro di Sellerio.
Un uomo già anziano. Un tipico professore di Liceo siciliano. Coltissimo ma impenetrabilmente schivo. Poco appariscente, sembrava più un erudito che uno scrittore di talento. E poi la sua scrittura barocca, ricercata allo spasimo, figlia, apparentemente, dell’altra metà del secolo. Nel 1981 l’incontro con Bufalino fu casuale e solo il fatto che lo stile di lavoro di Elvira Sellerio (che allora cominciava a occuparsi a tempo pieno, da direttore editoriale, della sua impresa) è poco programmato e molto guidato dalla curiosità, poté produrre quella piccola inchiesta alla fine della quale nel cassetto di Bufalino fu scovato Diceria dell’untore. Una casa editrice più ordinata, un direttore editoriale più tradizionale, uno stile di lavoro più efficiente avrebbe mai trovato Diceria dell’untore? Comunque, quel romanzo che fu la consacrazione di Sellerio tra gli editori nazionali, vinse un meritatissimo Campiello nel 1981 e segnò un cambiamento anche nella cultura italiana. La narrativa italiana girò pagina. E cominciò la stagione dei nuovi scrittori italiani. Almeno per Sellerio.
Saggi legati soprattutto alla storia, alle scienze del linguaggio e a quella che una volta si chiamava varia umanità. Rigore scientifico ma anche il tentativo perenne di rinverdire il vecchio saggio di lettura – che non è la divulgazione o la volgarizzazione ma la capacità di mantenere lo stile, la curiosità e l’innocenza di fronte alle tematiche più teoriche ed erudite.
Nel frattempo nel 1976 erano nate due collane di saggistica. Biblioteca siciliana di storia e letteratura e Prisma. La Biblioteca è la prima collana di storia della Sellerio. Il titolo è vagamente crociano. C’è Croce infatti, forse senza che se ne abbia esplicita intenzione, sotto tutta la storia di Sellerio. Perché non possiamo non dirci crociani? Perché Croce era forse prima di tutto un grande letterato. La storia che cerca di fare Sellerio è storia con la S maiuscola, quella che Les Annales chiamavano storia evenemenziale, dei grandi avvenimenti. (Non che non sia presente anche una storia sociale e materiale, una microstoria: essa è raccolta nella collana Quaderni, fondata nel 1984). Storia di grandi avvenimenti, storia siciliana ma non solo. Ma soprattutto libri di storia fatti, o almeno questo è il tentativo perenne, per essere letti più che studiati (è in questa collana che compare il libro dello storico Francesco Renda Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, la più completa storia della Sicilia postunitaria). Prisma invece è la collana di saggistica più classica e più specialistica: essa è destinata agli studi dei linguaggi e delle letterature intesi nel senso più ampio. Nel corso degli anni a queste prime si aggiunsero altre collane: La diagonale e La nuova diagonale, Fine secolo, destinate rispettivamente a saggi di varia, a lettere diari biografie e memorie di viaggio, alla letteratura dei diritti civili (Fine secolo, fu inventata ed è diretta da Adriano Sofri). Ma la cifra che le unifica tutte quante è sempre quella. Non perdere mai l’innocenza e la curiosità. Non perdere mai di vista che la conoscenza è un orizzonte non un traguardo. Se non è incanto, la conoscenza è tecnicismo per i tecnici. Un esempio è la Sentenza, di Luciano Canfora, che indaga sul caso della esecuzione del filosofo del fascismo Gentile e del coinvolgimento del grecista Marchesi. Canfora è intellettualmente coinvolto, per le sue posizioni politiche di sinistra per il suo antifascismo e per essere grecista; ma questo coinvolgimento non prevale sulla obiettività e dà al libro, semmai, un di più di passione. Canfora dal 1990 dirige la collana La città antica, l’unica collezione di scritti classici con studi critici e testi a fronte diretti al vasto ambito dei lettori non specialisti.
Gli anni Ottanta di Tabucchi, di Consolo, di Adorno, di Maria Messina. Sellerio è in prima fila in quella stagione in cui con un nuovo orgoglio la narrativa italiana scopre (riscopre) un’altra generazione di scrittori.
Dopo Diceria dell’untore il nome della casa Sellerio si salda in qualche modo con la vena dei nuovi scrittori italiani. Sellerio, nel suo piccolo, contribuisce a riprendere l’esportazione della cultura italiana all’estero. Accanto a Bufalino, sono richiestissimi i diritti di traduzione di scrittori che la casa editrice va scoprendo. Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno, sono i nomi più interessanti. Ed è indicativo che non di inediti si tratti. Ma di scrittori caduti nel dimenticatoio, che Sellerio scopre e rilancia. Segno che gli anni Ottanta sono proprio la stagione della piccola editoria che esercita una funzione di svecchiamento, contro la pigrizia e il letargo dei giganti dell’editoria. E di questa stagione, la stagione della nuova generazione di narratori italiani, assieme a un paio di altri, Sellerio è protagonista e traino.
Il risveglio dei giganti. I grandi gruppi editoriali riassorbono i piccoli, con i manager al posto dei vecchi leoni. Fine della piccola editoria. Sellerio resiste, assieme a pochi altri. E lancia un nuovo genere di giallo all’italiana. Un piccolo editore, Sellerio?
Nel 1990 esce da Sellerio un librettino. Racconta di un commissario di polizia che indaga su un torbido delitto, nel passaggio dalla repubblica di Salò alla repubblica italiana. Il commissario, De Luca si chiama, è un funzionario del regime fascista onesto e molto scettico, in un’epoca in cui le due qualità – onestà e scetticismo – non possono andare d’accordo. Sembra il primo giallo «revisionista», in quanto presenta il volto umano di un’epoca e un momento storicamente perversi. Ma il suo autore ha abbastanza cultura, talento e onestà intellettuale per far argine a quello che potrebbe essere uno scandaluccio e per farne un caso letterario. Con Carta bianca di Carlo Lucarelli si può dire che nasca un nuovo genere di giallo italiano. Seguirà un profluvio di letteratura poliziesca, para o similpoliziesca, italiana e straniera, di grandissimo interesse e successo. Quasi a conferma di una profezia di un grande scrittore svizzero importato in Italia da Sellerio. Nel 1985 la casa editrice aveva pubblicato il romanzo di uno strano giallista svizzero e irregolare Glauser (Il grafico della febbre, giunto a una decina di ristampe), che diceva: «il racconto poliziesco è il miglior mezzo per diffondere idee ragionevoli». E a questo motto profetico oggi – che sembra più nulla possa dirsi se non in forma di giallo – pare obbedire il giallo Sellerio. All’apice di questa avventura con il poliziesco c’è la scoperta di un vero e proprio genere nuovo. Il poliziesco di scuola siciliana, e due nomi senza commento: Andrea Camilleri e Santo Piazzese. Sono titoli di successo e di grande diffusione. Sull’onda di questi anni Novanta, Sellerio inaugura altre collane, più marginali e divaganti. Come Il castello che viaggia nei grandi libri della letteratura del mondo non globalizzato – dall’Irlanda all’America latina, all’Africa, agli Afroamericani. Come Il divano che butta qui e là sotto gli occhi del lettore le più diverse stranezze, da collezionisti di oggetti inesistenti o da eruditi di cose perdute o da manualistica di pratiche del tutto inutili. Un ventaglio di grande ricchezza intellettuale, di spirito ed eleganza, di suggestioni, che consente a Sellerio di sfuggire a quello che è il grande vento editoriale degli anni Novanta. Il risveglio dei giganti. Le nuove immani concentrazioni editoriali. Le cosiddette sinergie che tolgono i libri dalle mani degli editori, e ne fanno gadget. Sellerio è così ormai un caso più unico che raro di piccola editoria. Un artigiano robusto come una industria. Un gruppo di dilettanti più bravi del miglior professionista. Una follia con dentro il metodo più rigoroso. Ma stiamo parlando ancora di un piccolo editore?
Gli anni del Duemila per Sellerio sono stati gli anni di un’esperienza nuova: i cinque milioni di copie di libri di Camilleri, oggi diventati trenta milioni, prodotti a Palermo e venduti in Italia, più i diritti di traduzione venduti fino al Giappone. Ma non c’è solo questo.
C’è prima di tutto che questa esperienza capace di travolgere e di tramutare non ha travolto e tramutato. E non è solo l’esperienza dei grandi numeri. È ancora una volta, negli anni dei giganti multimediali e multinazionali della comunicazione, l’esperienza di lanciare ovunque nel mondo la cultura in lingua italiana da una provincia siciliana in cui si prende ancora il gelato al gelsomino e si investe ancora il tempo a perdere tempo felicemente. Forse bisogna ancora accorgersi che in questi primi anni del Duemila la Sicilia ha esportato ovunque due cose, due cose sole ma cariche di significato e di speranza: il vino siciliano e i libri blu di Sellerio. E non solo libri. Nell’autunno del Duemila la casa editrice ha cercato una via nel nuovo campo del multimediale. Sellerio ha prodotto, per la prima volta in Italia, un cartone animato interattivo dal Cane di terracotta. Un libro video e gioco interattivo insieme: un’invenzione, premiata con la menzione d’onore al «Bologna New Media Prize». Oltre Camilleri, poi, tornando ai libri, gli anni Duemila sono stati anni di scrittori dal mondo di cui si parla molto e se ne parlerà per molto. La canadese Margaret Doody: aveva pubblicato un libro e poi il suo editore americano si era dimenticato di lei. Ma Margaret aveva creato un nuovo detective nel filosofo Aristotele, un detective deduttivo e realistico, rimandando indietro nel tempo il genere del giallo speculativo. E con questa operazione ironica di proiettarlo nel passato ha tolto ogni anacronismo a un genere, appunto la detection speculativa, che sembrava oggi impossibile: un best seller, il primo libro, seguito da altri due in prima mondiale e venduti in più di centomila copie. Ancora un miracolo editoriale: un’anziana signora inglese, caso letterario europeo degli ultimi anni, Penelope Fitzgerald, che parla delle cose profonde e invisibili e forti della vita, con una grazia colorita di tinte tenui che è stata paragonata alle tele di Turner. Il divertimento triste e trascinante del russo Dovlatov, che parla della sua esperienza di russo a cavallo della caduta del muro, con un umorismo acuto e dissacrante che ha la forza – è stato detto – di Čechov. Bolaño, cileno e giramondo, un Borges dei tempi di Tarantino (è un critico francese a definirlo così nella commemorazione per la sua recente scomparsa), che trae dal passato di ieri delle dittature sudamericane, e dal presente della diaspora della sua generazione di sudamericani, cronache vere, ma che sembrano uscite dalla smorfia dada e surrealista. E le scoperte più recenti. Due giallisti di grande qualità e di grande successo. Gianrico Carofiglio (Testimone inconsapevole e Ad occhi chiusi) l’inventore del «legal thriller» italiano, con un personaggio così vero, l’avvocato Guerrieri, che solo un magistrato di lungo corso com’è lui poteva scolpire. E la spagnola Alicia Giménez-Bartlett: l’ispettrice Petra Delicado e il vice Garzón sono due piedipiatti così indimenticabili, nel loro umorismo dolceamaro, nella loro durezza dal cuore tenero, che il grande critico Cesare Cases parla dell’autrice come «geniale scrittrice mediterranea».
Erik Larson-Il giardino delle bestie Berlino 1934-Neri Pozza Editore
Traduttore Raffaella Vitangeli-Neri Pozza Editore
Descrizione del libro di Erik Larson.Questo libro narra della storia vera di William E. Dodd e di sua figlia Martha, un padre e una giovane donna americani che si ritrovano improvvisamente trapiantati dalla loro accogliente casa di Chicago nel cuore della Berlino nazista del 1934. Sessantaquattro anni, snello, gli occhi grigio-azzurri e i capelli castano chiaro, nel 1933 William E. Dodd è un rispettabile professore di storia all’università di Chicago. Mentre siede alla sua scrivania all’università, Dodd riceve una telefonata da Franklin Delano Roosevelt, il presidente degli Stati Uniti, che gli annuncia la sua intenzione di nominarlo a capo della rappresentanza diplomatica americana a Berlino. Ed è cosi che, al loro arrivo, William e Martha si ritrovano ad attraversare una città addobbata di immensi stendardi rossi, bianchi e neri; a sedere negli stessi caffè all’aperto frequentati dalle SS in uniforme nera; a passare davanti a case con balconi traboccanti di gerani rossi; a fare acquisti nei giganteschi empori della città, a organizzare tè, aspirare le fragranze primaverili del Tiergarten, il parco principale di Berlino; ad avere rapporti sociali con Goebbels e Göring, in compagnia dei quali cenare, danzare e divertirsi allegramente; finché, alla fine del 1934, accade un evento che smaschera la vera natura di Hitler e del potere a Berlino, la grande e nobile città che agli occhi di padre e figlia si svela per la prima volta come un immenso Tiergarten, un giardino delle bestie.
Biografia di Erik Larson-Nato a Brooklyn 1954- Collaboratore di Time, New Yorker, Atlantic Monthly, Harper’s e altre prestigiose riviste americane, ha scritto numerose opere, tra le quali si segnalano Isaac’s Storm (1999) e The Devil in the White City: Murder, Magic and Madness at the Fair That Changed America (2003), libro vincitore dell’Edgar Award in the Best Fact Crime 2004. In Italia sono già stati pubblicati Il giardino delle bestie (Neri Pozza, 2012) e Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen (Neri Pozza, 2014).
Nel 2015 esce Scia di morte. L’ultimo viaggio del Lusitania, ricostruzione dell’affondamento di un transatlantico americano ad opera della marina militare tedesca, avvenuto nel 1915. Nel 2016 pubblica Il diavolo e la città bianca.
Vive a Seattle con la moglie e tre figlie.
“Anima. Una pastorale selvaggia” , pubblicato da Crocetti Editore, è il quarto e ultimo volume che la scrittrice di origini bulgare Kapka Kassabova dedica alle regioni balcaniche meridionali, quelle comprese in particolare tra Macedonia e Bulgaria. Dopo avere riflettuto sul tema dei confini (in Confine), avere raccontato il versante macedone della sua famiglia (ne Il lago) ed esplorato la tradizione erboristica bulgara che ancora sopravvive nella valle formata dal fiume Mesta e racchiusa dal massiccio dei Rodopi con Elisir, qui l’autrice si concentra su un territorio più raccolto, la catena montuosa del Pirin, e su un tema in particolare, ovvero l’antico stile di vita dei pastori che lo abitano, insidiati dal capitalismo e dalla modernità. Kassabova vuole conoscere, approfondire, cercare le radici e le storie dei luoghi e di chi ci vive, perciò condivide per un certo periodo l’esistenza dei pastori e delle greggi e ne segue la transumanza, per poi descrivere l’asprezza, le difficoltà, l’isolamento, il legame quasi simbiotico tra gli uomini e i loro animali. Da tutto questo nasce un racconto profondamente empatico, più diretto e intimo rispetto ai precedenti, che mette al centro la relazione tra l’uomo e la natura, la fondamentale salvaguardia di quest’ultima e, soprattutto, l’importanza di tenere vive, non soltanto attraverso il ricordo, le antiche tradizioni popolari e culturali. In questo gran finale della sua tetralogia balcanica, straordinario ritratto della vita pastorale, Kapka Kassabova penetra più profondamente nello spirito del luogo di quanto non avesse mai fatto prima.
Traduzione: Anna Lovisolo;
Pagine: 448
Prezzo: € 22,00
ISBN: 9788883064340
Data Uscita: 03/09/2024
LA CASA EDITRICE CROCETTI
Fondata nel 1981 dal grecista e traduttore Nicola Crocetti, la casa editrice Crocetti è specializzata nella pubblicazione di opere di poesia e di letteratura neogreca, omaggio alle origini del suo fondatore.
In quasi quarant’anni di attività, la Crocetti ha pubblicato numerose opere di poeti italiani e stranieri, tra cui i Premi Nobel Ghiorgos Seferis, Odisseas Elitis, Saint-John Perse, Derek Walcott e Tomas Tranströmer. Nel catalogo figurano inoltre volumi di Emily Dickinson, Antonio Machado, Walt Whitman, Ghiannis Ritsos, Costantino Kavafis, Louis Aragon, Kahlil Gibran, Rainer Maria Rilke, Edna St. Vincent Millay, Paul Valéry, Simone Weil, Yehuda Amichai, Anne Sexton, Manolis Anaghnostakis, Adrienne Rich, Jaime Saenz, Carol Ann Duffy, Thomas Bernhard. Quasi tutti i volumi sono pubblicati con il testo originale a fronte.
Tra gli autori italiani in catalogo, troviamo Alda Merini, Franco Loi, Antonella Anedda, Giovanni Raboni, Maria Luisa Spaziani, Antonio Porta, Cesare Viviani, Milo De Angelis, Aldo Nove, Giorgio Manganelli, Mariangela Gualtieri, Maria Grazia Calandrone, Pierluigi Cappello.
Oltre alle opere di singoli autori, la Crocetti ha inoltre pubblicati alcuni volumi collettanei, come le antologie della poesia basca, svedese, russa, greca e svizzera di lingua tedesca.
Da alcuni volumi editi dalla Crocetti sono stati tratti spettacoli teatrali interpretati da importanti attori italiani. Ne sono un esempio alcuni monologhi drammatici di Ghiannis Ritsos, portati sul palcoscenico, tra gli altri, da Moni Ovadia, Paolo Rossi, Anna Bonaiuto, Elisabetta Vergani, Isabella Ragonese, Luigi Lo Cascio ed Elisabetta Pozzi.
Nel 1995 alle collane di poesia si è aggiunta la collana di narrativa neogreca “Aristea”, che ha proposto ai lettori alcuni dei romanzi greci più venduti e letterariamente più rilevanti del Ventesimo secolo, finora assolutamente sconosciuti al pubblico italiano.
Nel 2020 la Crocetti è stata acquisita dal gruppo Feltrinelli e ha inaugurato questa nuova fase cominciando a ristampare i titoli che l’hanno resa una delle più prestigiose case editrici italiane.
LA RIVISTA “POESIA”
Nel gennaio 1988 Nicola Crocetti ha fondato “Poesia”, la rivista mensile di cultura poetica più diffusa d’Europa. Fin dal primo numero, le caratteristiche principali di “Poesia” sono state: il taglio internazionale e informativo, la distribuzione capillare nelle edicole e un apparato iconografico che finalmente consentiva ai lettori di conoscere i volti dei poeti.
La distribuzione nelle edicole ha permesso alla rivista di raggiungere un pubblico molto vasto, distribuito su tutto il territorio nazionale. La tiratura di “Poesia” ha raggiunto in passato le 50.000 copie. Molte tra le maggiori Università europee e tra le più prestigiose Università americane sono abbonate alla rivista fin dal primo numero. Nei suoi trentatré anni di vita, “Poesia” ha venduto complessivamente circa tre milioni di copie.
L’alto interesse non solo italiano nei confronti di questa rivista può essere verificato digitando la parola “poesia” sul motore di ricerca Google: su oltre cento milioni di pagine la rivista “Poesia” risulta in prima posizione tra quelle regolarmente visitate.
Del comitato di redazione di “Poesia”, garante del suo alto livello culturale, fanno o hanno fatto parte sei Premi Nobel per la Letteratura (il russo-americano Joseph Brodsky, il caraibico Derek Walcott, l’irlandese Seamus Heaney, il greco Odisseas Elitis, il polacco Czesław Miłosz e lo svedese Tomas Tranströmer), oltre a poeti di fama nazionale e internazionale, come Yves Bonnefoy, Tony Harrison, Charles Wright, Adam Zagajewski, Durs Grünbein, Paul Muldoon, Antonella Anedda, Milo De Angelis, Nicola Gardini, Franco Loi, Vivian Lamarque, Silvio Ramat.
Dopo che per i primi tre anni “Poesia”è stata diretta dai poeti Patrizia Valduga e Maurizio Cucchi, nel 1991 la direzione è stata assunta da Nicola Crocetti, e la rivista si è sempre più caratterizzata per la sua vocazione internazionale. Nei 358 numeri usciti con cadenza mensile fino all’aprile 2020 e nelle sue 30.000 pagine, la rivista ha proposto centinaia di articoli su poeti tradotti per la prima volta in italiano e di nuove traduzioni di poeti ancora sconosciuti in Italia. In totale ha pubblicato quasi 3.500 poeti, tra i maggiori a livello nazionale e internazionale, e oltre 36.000 poesie tradotte da una quarantina di lingue, quasi sempre con il testo originale a fronte.
La casa editrice Crocetti ha organizzato anche diversi festival di poesia. In collaborazione con il Comune di Parma e il Teatro Due, dal 2004 al 2012 ha curato la sezione internazionale del Festival di poesia di Parma, uno dei più prestigiosi appuntamenti culturali di quegli anni, al quale sono intervenuti alcuni dei maggiori poeti del mondo.
Nel 2003 il Ministero dei Beni Culturali ha assegnato a “Poesia”un riconoscimento per la sua attività di diffusione della poesia in Italia, consegnato al direttore della rivista Nicola Crocetti il 12 maggio 2003 al Quirinale dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Con il passaggio al gruppo Feltrinelli, dal maggio 2020 “Poesia” ha cambiato veste grafica, periodicità (da mensile in bimestrale) e canale distributivo (dalle edicole alle librerie). Non è mutata, però, la passione con cui i suoi redattori e i collaboratori raccontano da trentaquattro anni il mondo poetico italiano e internazionale.
Partigiane, vittime di stupro, «amanti del nemico» (1940-45)
Giulio Einaudi editore
Il libro di Michela Ponzani «Avevo combattuto una guerra senza bombe e senza panni militari e ciò che rimaneva di me non si leggeva su uno stato di servizio […]. La guerra aveva risparmiato le nostre vite ma cancellato l’identità, l’anima; quella di prima era sepolta per sempre».
Queste le parole che Annamaria L. ha voluto scrivere in una giornata di primavera del 1990, ormai rimasta sola e anziana, nella sua casa romana, a ricordare i terribili giorni del secondo conflitto mondiale.
Riannodando i fili della memoria sepolta per anni nell’oblio delle coscienze, il libro ricostruisce le molteplici, eterogenee e compenetranti storie di guerra di quelle donne anonime, non colte, lontane dalla partecipazione attiva nella politica, che subiscono passivamente le sofferenti ricadute della guerra totale, fatta di rastrellamenti, bombardamenti, stragi e stupri di massa.
Le pagine che seguono raccontano anche le motivazioni ideali che stanno dietro alla scelta orgogliosa, per nulla scontata e mai rinnegata, di chi volle resistere: è la «guerra privata» di donne che smettono improvvisamente di sentirsi soltanto madri o figlie, che decidono di lottare non solo contro l’occupante tedesco o i militi fascisti della Repubblica Sociale; la «loro guerra» è anzitutto un conflitto per la liberazione di se stesse, anche dal pregiudizio morale e dalla discriminazione sociale imposta dalla cultura maschile.
***
Per secoli bottino degli eserciti invasori, tra il 1940 e il 1945 le donne si ribellano alla cultura di guerra che usa lo stupro per umiliare il nemico sconfitto. Attraverso le lettere private del fondo Rai – La mia guerra e dell’Archivio della memoria delle donne di Bologna, il libro di Michela Ponzani ricostruisce la resistenza delle donne che vollero combattere la «guerra totale». Dietro la retorica del martire antifascista, la lotta armata al nazismo e al fascismo di Salò è per le partigiane un momento attraversato da tormenti interiori, da incertezze e paure. Ma è anche una guerra privata per l’emancipazione femminile, una sfida ai pregiudizi della società italiana e degli stessi compagni di banda. Oltre questo piccolo esercito che sceglie con coscienza la lotta antifascista, il libro ricostruisce le tattiche di sopravvivenza delle vittime della «guerra ai civili»: sole con i mariti inviati al fronte, dispersi o deportati, le donne rompono il muro del silenzio sugli stupri di massa, commessi dalle truppe occupanti tedesche e dai marocchini nel Basso Lazio. Ma la guerra è fatta anche di «contatti tra nemici»: molte donne s’innamorano del «tedesco invasore », da cui avranno anche dei figli. Considerate nel dopoguerra le «amanti del nemico», la loro storia sarà cancellata dalla memoria nazionale in nome del mito dell’eroina e madre, simbolo della nuova Italia democratica.
Breve biografia di Michela Ponzani –(Roma 1978) insegna Storia contemporanea all’Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Autrice e conduttrice televisiva di programmi culturali per Rai Storia, è stata borsista della Fondazione Luigi Einaudi di Torino e consulente dell’Archivio storico del Senato della Repubblica. Già Visiting Fellow presso il Remarque Institute della New York University, ha fatto parte del gruppo di ricerca della Commissione storica bilaterale italo-tedesca. Fra le sue pubblicazioni: Figli del nemico. Le relazioni d’amore in tempo di guerra 1943-48 (Laterza 2015) e, con Massimiliano Griner, Donne di Roma. La lunga strada dell’emancipazione femminile nella città eterna (Rizzoli 2017). Per Einaudi ha pubblicato, con Rosario Bentivegna, Senza fare di necessità virtú, (2011), Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, «amanti del nemico» (1940-45) (2012 e 2021) e Processo alla Resistenza. L’eredità della guerra partigiana nella Repubblica 1945-2022 (2023).
Verso il 25 aprile: la Resistenza delle donne, di ieri e di oggi, per continuare a essere libere-
Articolo di Michela Ponzani
Michela Ponzani, storica, autrice e conduttrice televisiva, è tornata da pochi giorni in libreria con una nuova edizione di “Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico” (1940-45)”. In questo contributo, scritto per A Parole Nostre, ci spiega perché il coraggio, il sacrificio e la lotta di quelle protagoniste della Seconda guerra siano valori ancor più attuali adesso, soprattutto per le nuove generazioni
Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Bersagli strategici dei nazisti e dei militi della Repubblica sociale, sono le donne a scontare con maggiore crudeltà una strategia terroristica fatta di stragi e rastrellamenti, di incendi a paesi e villaggi; di fucilazioni e torture sui corpi dei prigionieri politici.
Ma nella disperata lotta per la sopravvivenza, le donne decidono di non essere più vittime. E si ribellano a quella cultura di guerra che usa lo stupro come arma per umiliare il nemico sconfitto, riducendo il corpo femminile a bottino e preda degli eserciti (occupanti o liberatori).
Le memorie taciute delle donne raccontano storie di coraggio e di rivolta. E come ho ricordato in Guerra alle donne (Einaudi), ciò vale soprattutto per gli stupri di massa, compiuti dalle truppe marocchine e algerine nella primavera-estate del 1944 e le violenze subite dalle donne costrette a prostituirsi nei campi bordello, costruiti dall’esercito tedesco dietro la linea Gotica. Veri e propri tabù nella memoria nazionale e nel senso comune dell’Italia del dopoguerra.
La lotta partigiana delle donne è quindi una guerra di liberazione anzitutto contro la criminale violenza nazifascista; ma è anche una scelta di libertà. Una guerra privata, combattuta per l’emancipazione dalle discriminazioni e da ogni forma di subalternità sociale e culturale. Per le donne, la Resistenza è un atto di disobbedienza radicale; uno strappo definitivo con la società patriarcale, la liberazione dall’educazione fascista improntata al rispetto delle gerarchie fuori e dentro le mura domestiche, che le condanna ad essere la “pietra fondamentale della casa, la sposa e la madre esemplare”. Che non permette d’iscriversi alle facoltà scientifiche e considera irrazionale la mente femminile, perché “il genio è maschio”.
Ma perché oggi una ragazza dovrebbe appassionarsi a vicende che hanno più 70 anni?
Al di là di discorsi ingessati o retorico-celebrativi, forse la risposta sta nel fatto che quelle storie – con le emozioni, le paure, i tormenti che segnano la scelta partigiana, dolorosa e carica di responsabilità – continuano a parlare al nostro presente.
Perché se oggi il destino delle donne non è più quello di stare a casa e di lasciare tutto il mondo agli uomini, è grazie alle ragazze che hanno combattuto la dittatura fascista, rinunciando alla spensieratezza della gioventù.
E che nel dopoguerra hanno continuato a battersi, affrontando discriminazioni insopportabili.
“Donna partigiana, donna puttana” si sentì dire Carla Capponi, medaglia d’oro al valor militare, durante un dibattito alla Camera da alcuni deputati della destra postfascista, con tanto di inequivocabili gesti osceni. E Marisa Rodano (che ha da poco festeggiato i 100 anni) ha raccontato che “negli anni ’50 le carceri erano piene di adultere”. Il marito poteva spedire la moglie in galera, se questa aveva una relazione con un altro uomo.
Fortissime erano poi le disparità nella sfera domestica e professionale: le donne non potevano divorziare o interrompere una gravidanza, né diventare giudici o poliziotte perché troppo fragili.
Persino ucciderle non era così grave: la legge, concedeva le attenuanti se un uomo, per ragioni di onore, uccideva la moglie, la sorella o la figlia (il delitto d’onore sarà abrogato solo nel 1981). Altre norme permettevano di picchiare la moglie per correggerne il carattere e giustificavano lo stupro se seguito da un matrimonio riparatore (solo nel 1996 diverrà reato contro la persona e non contro la morale). Le ragazze della Resistenza lasciano dunque il testimone alle generazioni future. Non scorderò mai quella studentessa di liceo che trovò il coraggio di parlare delle violenze subite in famiglia, dopo aver letto il diario di una partigiana. Le venne il desiderio di diventare una donna libera (disse proprio così). Grazie al movimento #MeToo, abbiamo squarciato il velo d’ipocrisia sugli abusi e le molestie sessuali (non solo nel mondo dello spettacolo) e abbiamo più coraggio nel denunciare gesti e parole di offesa, urlate o allusive. E possiamo dichiarare, senza il timore di essere considerate pazze o esagerate, di non sopportare più allusioni sessuali non richieste (in ufficio, a un colloquio di lavoro o all’università), o di vederci sminuite nella nostra professione; come quando la dottoressa che ti visita in ospedale viene definita signorina.
Ma l’emergenza Covid-19, che ci ha rintanate in casa, ha visto aumentare i femminicidi. Perché quando si è fragili e abbandonate a una vita di isolamento e degrado, è proprio la famiglia a trasformarsi in un’orrenda prigione. E ci arrivano come macigni le notizie di uomini che odiano e ammazzano le donne: “buoni padri di famiglia” che uccidono per “troppo amore”; uomini “per bene” travolti da un raptus perché “lei voleva lasciarlo”. E allora festeggiamo questo 25 aprile con le parole che Marisa Ombra, staffetta nelle brigate Garibaldi ha dedicato a tutte noi. “Siate partigiane, per essere libere sempre”.
*Storica, autrice e conduttrice televisiva di programmi culturali per Rai Storia, è tornata da pochi giorni in libreria con una nuova edizione di Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico” (1940-45) (Einaudi, pp. 384, € 14,00)
Il nuovo romanzo di Serena McLeen- “IL PESO DELLA VERGOGNA”
Sinossi del libro di Serena McLeen. Dopo la morte dell’amata nonna Angela Bramante, Annabella viene a conoscenza dell’esistenza di Villa dei Conti Bramante, la maestosa e vecchia dimora nella quale, in un piccolo paese della bassa pianura padana, proprio la nonna ha vissuto la sua giovinezza, per poi scappare alcuni anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale lasciandosi quel passato alle spalle per sempre.Annabella dovr&agrvae; accettare quel lascito e ristrutturare la casa, oppure rinunciarvi: ad aiutarla a scegliere cosa fare sarà una lettera che la nonna le ha lasciato. Ma cosa si nasconde tra le righe di quello scritto? Quando Annabella finalmente scioglierà i propri dubbi, imbarcandosi nel compito affidatole dalla nonna, si immergerà fra le pagine del diario e fra i più dolorosi ricordi di quella parte della vita di Angela, a lei sconosciuta e legata agli anni bui del Fascismo e della guerra. In un momento di crisi artistica e professionale, Annabella troverà nuova ispirazione nella ricerca della verità e nell’incontro con Francesco, che gestisce con la madre la locanda di paese, ma allo stesso tempo scoprirà che dell’eredità della nonna fa parte anche l’inconfessabile storia della sua stessa famiglia: un capitolo torbido e pregno di segreti per colpa del quale Angela ha vissuto tutta la vita sotto il peso della vergogna.Una giovane donna in cerca di se stessa, i terribili segreti di un passato sepolto ma non morto: nel contesto storico della Seconda Guerra Mondiale, un romanzo psicologico che rivela le pieghe più oscure dell’animo umano.
Traduzione di Franca Pece, Anna Raffetto A cura di Anna Raffetto-Editore Adelphi
SINOSSI-Il romanzo più perfetto di Vladimir Vladimirovič Nabokov «Fuoco pallido è una scatola magica, una gemma di Fabergé, un giocattolo a orologeria, un problema di scacchi, una macchina infernale, una trappola per i critici, un gioco del gatto col topo, un romanzo fai da te. È costituito da un poema di 999 versi divisi in quattro canti in distici eroici, con tanto di prefazione dell’editore, note, indice e correzioni redazionali. Quando le diverse parti vengono assemblate seguendo le indicazioni dell’artefice, e incastrate con l’aiuto di indizi e riferimenti incrociati che devono essere scovati come in una caccia al tesoro, si rivela un romanzo a più livelli, e questi “livelli” non sono i consueti “livelli di significato” della critica modernista, ma piani in uno spazio fittizio, come quelle stanze della memoria nella mnemotecnica medioevale dove parole, fatti e numeri venivano immagazzinati in varie camere e soffitte fino a che non se ne aveva bisogno, o come le case astrologiche in cui erano divisi i cieli».
Benché universalmente noto per il suo Lolita (1955), scritto in inglese e base per l’omonimo film del 1962 di Stanley Kubrick, Nabokov vanta anche una considerevole produzione in russo; la sua narrativa spazia su varie tematiche, quali la frammentazione sociale, l’ossessione del sesso e la distopia, mentre in ambito saggistico scrisse di entomologia e di scacchi, dei quali era teorico prima ancora che giocatore.
Figlio di Vladimir Dmitrievič Nabokov, noto politico che finì assassinato da Sergey Taboritsky durante un attentato contro Pavel Milyukov, ed Elena Ivanovna Rukavišnikova, nacque da una nobile famiglia russa a San Pietroburgo, dove trascorse l’infanzia e la giovinezza in una casa che ora ospita un museo dedicato allo scrittore. Poiché in famiglia si parlavano correntemente sia il russo sia l’inglese sia il francese, fin dalla sua più tenera età Nabokov fu in grado di comprendere e parlare queste lingue, come narra nella sua autobiografiaParla, ricordo. I Nabokov lasciarono la Russia dopo la rivoluzione del 1917 per recarsi in una tenuta di alcuni amici in Crimea, dove rimasero per un anno e mezzo. A seguito della disfatta dell’Armata Bianca in Crimea, abbandonarono definitivamente la Russia e si trasferirono in Occidente, in Gran Bretagna.
Nel 1922 completò gli studi di slavo e di lingue romanze al Trinity College dell’Università di Cambridge. Si trasferì quindi a Berlino, dove il padre venne assassinato il 28 di marzo, e poi a Parigi, acquistando una sempre maggiore notorietà nell’ambiente dei russi emigrati, grazie ai suoi primi scritti in russo, pubblicati sotto lo pseudonimo di Sirin. Nel 1925 sposò Vera Slonim, dalla quale ebbe nel 1934 un bambino di nome Dmitri. Nabokov era sinestesico, caratteristica di cui descrive i diversi aspetti in molte sue opere. Nella sua raccolta di interviste e saggi Strong Opinions (Intransigenze), egli nota che anche la moglie e il figlio erano sinesteti, poiché associavano colori particolari a determinate lettere.
Nel 1940 si trasferì negli Stati Uniti e nel 1945 prese la cittadinanza statunitense. Da quel momento egli scrisse in inglese e tradusse in questa lingua alcune delle sue opere precedenti. Insegnò letteratura russa per undici anni presso l’Università Cornell di Ithaca, dove tenne anche un corso di scrittura creativa (seguito nel 1959 da Thomas Pynchon) e negli ultimi anni visse in Svizzera, a Montreux, dove alternò la sua attività letteraria con quella delle appassionate ricerche di entomologo. Morì a Montreux in Svizzera nel 1977.
I romanzi di vita statunitense
posa come un pugile, fotografia di Giuseppe Pino per Mondadori (anni 1960), archivio Getty Images
Nel 1955 venne pubblicato con grande successo il romanzo Lolita che fece conoscere Nabokov ad un pubblico mondiale, offrendo una perfetta immagine “interna” degli USA, con i suoi miti e le sue ossessioni, soprattutto il sesso.
Il romanzo ebbe molta influenza sugli stessi narratori statunitensi della nuova generazione e, in modo particolare, su John Barth. Riguardo alla genesi del libro, alle critiche e alle censure intentate al romanzo per il suo tema scabroso, nel 1956 Nabokov scrisse una postfazione intitolandola Note su un libro chiamato Lolita, da allora allegata a ogni edizione del romanzo nella quale spiega la genesi del libro, le vicissitudini occorse per stamparlo; l’autore conclude riferendosi alla propria madrelingua abbandonata nel 1940, quando emigrò negli Stati Uniti. La prima versione in russo fu tradotta dallo stesso Nabokov: apparve da Phaedra a New York nel 1967; l’autore vi inserì un poscritto in cui indaga ulteriormente il rapporto con la lingua russa.
Nabokov afferma nello scritto del 1956 di aver realizzato il romanzo secondo i canoni dell’arte pura o “arte per l’arte“, uniformando quindi la propria poetica ai canoni dell’estetismo[2]:
«Nessuno scrittore, in un paese libero, dovrebbe essere costretto a preoccuparsi dell’esatta linea di demarcazione tra il sensuale e l’erotico; è una cosa assurda; io posso solo ammirare, ma non emulare, l’occhio di chi mette in posa le belle, giovani mammifere che compaiono sulle riviste, scollate quanto basta per far contento l’intenditore, e accollate quanto basta per non scontentare il censore. Immagino che certi lettori trovino eccitante lo sfoggio di frasi murali di quei romanzi irrimediabilmente banali ed enormi, battuti a macchina con due dita da persone tese e mediocri, e definiti dai pennivendoli “vigorosi” e “incisivi”. Ci sono anime miti che giudicherebbero Lolita insignificante perché non insegna loro nulla. Io non sono né un lettore di narrativa didattica, e, a dispetto delle affermazioni di John Ray[3], Lolita non si porta dietro nessuna morale. Per me un’opera narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estetica, cioè il senso di essere in contatto, in qualche modo, in qualche luogo, con altri stati dell’essere dove l’arte (curiosità, tenerezza, bontà, estasi) è la norma. Gli altri sono pattume d’attualità o ciò che alcuni chiamano la Letteratura delle Idee, la quale consta molto spesso di scempiaggini di circostanza che vengono amorosamente trasmesse di epoca in epoca in grandi blocchi di gesso finché qualcuno non dà una bella martellata a Balzac, a Gorkij, a Mann.»
(Vladimir Nabokov, Postfazione a Lolita, presente nell’edizione Adelphi)
Dopo Pnin del 1957, che esplorava in modo ironico la realtà dei college statunitensi, lo scrittore riprende il tema producendo, nel 1962, una delle sue opere formalmente più mature, Fuoco pallido (Pale fire).
Segue, nel 1969, Ada o ardore (Ada or ardor: A family chronicle) che offre una suggestiva sintesi dell’arte di Nabokov. Ritornano in questo romanzo, stravolti da una scrittura ironica, tutti i temi dello scrittore: l’ambigua duplicità della realtà, la passione del gioco, del puzzle, l’ossessione del sesso.
La sua carriera di entomologo fu altrettanto notevole. Nel 1940 gli fu affidato l’incarico di organizzare la collezione di farfalle al Museo di Zoologia Comparata dell’università di Harvard. I suoi scritti in questo campo sono molto tecnici. Questa tecnicità, combinata al fatto che la sua specializzazione era la tribù dei Polyommatini della famiglia Lycaenidae, relativamente poco attraente, ha comportato che questo lato della sua vita sia rimasto poco esplorato dagli ammiratori delle sue opere letterarie.
Il paleontologo e saggistaStephen Jay Gould ha discusso l’entomologia di Nabokov in un saggio ristampato nel libro I Have Landed. Gould rileva che Nabokov è stato occasionalmente uno scienziato ‘retrogrado’, non accettando mai, ad esempio, che la genetica o il numero di cromosomi potesse essere un valido modo per distinguere le varie specie di insetti. Alcuni ammiratori di Nabokov hanno provato a riconoscere un valore letterario a tali lavori scientifici, rileva ancora Gould. Altri hanno sostenuto che la sua opera scientifica ha dato un contributo fondamentale alla sua opera letteraria. Gould afferma invece che entrambe traggono origine dall’amore di Nabokov per i dettagli, l’osservazione e la simmetria.
Per una storia dell’amicizia tra Baldassarre Castiglione e Raffaello-
Viella Libreria Editrice-ROMA
In copertina: Herman Posthumus, Tempus edax rerum, 1536. Vienna, Museo Liechtenstein.
Sinossi-Nell’anno delle celebrazioni del quinto centenario della morte di Raffaello (1483-1520) le mostre e gli studi hanno ampiamente illustrato anche la rete delle sue relazioni culturali, in particolare negli anni romani. In questo contesto ha assunto grande importanza l’amicizia con Baldassarre Castiglione, sia per il ritratto ora al Louvre che ne è supremo documento, sia per la Lettera a Leone X, che sempre più gli studi storico-artistici tendono ad attribuire a Raffaello.
Questo libro, dopo avere ricostruito tempi e modi del lungo e intenso rapporto di amicizia, nel nome di Urbino, tra il letterato e il pittore, propone una serrata indagine filologica e documentaria, fondata sul primo manoscritto della Lettera, tutto di mano del solo Castiglione. Dimostra che l’autore fu unicamente il letterato, che la elaborò e scrisse, come allora era in uso, “in persona” di Raffaello (cioè, a suo nome e per suo conto), e ovviamente con la sua diretta collaborazione soprattutto per le notizie sugli aspetti propriamente tecnici del grande progetto che il pittore aveva sperimentalmente avviato, interrotto però dalla sua prematura morte: eseguire con nuove procedure e nuovi strumenti il rilievo architettonico delle ruine dei monumenti antichi di Roma.
INDICE-
Premessa
1. Tra amici, un letterato e un pittore
1. Per la storia di un’amicizia
2. Chi è nelle vesti di Zoroastro nella Scuola di Atene?
3. Ancora per la storia di un’amicizia
4. Castiglione, le arti e Raffaello pittore
5. Qualcosa su Giovanni Santi
6. Per conformità culturale: nel nome della grazia
7. Il ritratto di Castiglione dipinto da Raffaello
8. La morte di Raffaello
9. Raffaello nelle lettere di Castiglione
10. Castiglione e
11. Castiglione di nuovo negli affreschi vaticani?
12. Raffaello nel ricordo di Castiglione
2. La Lettera di Castiglione a Leone X
1. I dati di fatto: la Lettera scomparsa (per più di due secoli)
2. La Congettura di Daniele Francesconi
3. I dati di fatto: l’autografo ritrovato
4. I dati di fatto: i testimoni
5. Il testimone interpolante
6. I quattro testimoni in prima collazione
7. Come lavorava Castiglione?
8. Quando è stata scritta la Lettera?
9. Pubblicare la Lettera a Leone X
10. Da chi e come è stata scritta la Lettera?
11. I due amici e le due parti della Lettera
12. In persona di, a nome e per conto di: tipologie epistolari classicistiche
13. Raffaello semicolto, illetterato, o cosa?
14. Roma ai tempi della Lettera a Leone X
3. Un manifesto del Classicismo: la Lettera a Leone X
1. La prima parte: in forma di oratio ed exhortatio a Leone X
2. La prima parte: un compendio di storia delle forme architettoniche
3. La seconda parte: la descriptio di come Raffaello esegue il suo progetto
4. La lettera sulla villa del cardinale Giulio de’ Medici
Premio Nobel Isaac Bashevis Singer- “La famiglia Moskat” : ironia e guerra, morte e religione-
Longanesi Editore
“Alla mia destra è Michele. Alla mia sinistra è Raffaele. Davanti a me è Uriel.
Dietro di me è Gabriele. E sul mio capo la divina presenza di Dio.” Così accompagnata, la famiglia del vecchio patriarca Meshulam Moskat attraversa gli anni che dall’inizio del Novecento scendono fino alla seconda guerra mondiale e alla “soluzione finale” messa in atto dal regime nazista.
Ma il vero protagonista di questo possente romanzo è l’Ostjudentum, la società ebraico-orientale ? e in particolare quella di Varsavia ? con la sua complessa e densa cultura. Nel racconto di Singer le storie della decadenza parallela di una grande famiglia borghese e del suo mondo si tingono e si complicano delle particolarissime caratteristiche che una simile vicenda assume all’interno di una società “diversa”, che assiste al crollo della propria tradizione e della propria identità storica.
Breve biografia di Isaac Bashevis Singer nasce nel 1904 in un paese polacco che la guerra ha cancellato.PFiglio di un rabbino, comincia a scrivere a sedici anni in yiddish, un misto di antico ebraico e di lingue europee, e sempre in yiddish scrive i suoi romanzi, che un gruppo di fedeli collaboratori ha poi tradotto in inglese. Per sfuggire alle persecuzioni contro gli Ebrei, nel 1940 si è trasferito negli Stati Uniti dove muore nel 1991. Ha scritto una quantità di libri per i quali ha ricevuto il premio Nobel, e ha raccontato ai bambini di tutto il mondo le semplici, poetiche e umoristiche storie dei vecchi ghetti, conducendoli in un universo di favolosa saggezza
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