Dylan Thomas-Visione e preghiera-e altre poesie scelte .
Testo originale a fronte a cura di Tommaso Di Dio-Editore- Giometti & Antonello-Macerata
Descrizione -La poesia di Dylan Thomas, a distanza di settant’anni dalla morte, non smette di ossessionare poeti, lettori e appassionati di tutto il mondo. La potenza visionaria della sua scrittura, che sembra imbrigliare – in una lingua fra le più virtuosistiche e musicali che l’inglese abbia mai conosciuto – le forze telluriche della natura e quelle psichiche, i movimenti dello zodiaco e i desideri più intimi del corpo, torna ora in una nuova traduzione in lingua italiana, con una selezione di testi disposti in ordine cronologico, così da permettere al lettore di seguire il cammino evolutivo dello stile di Thomas, in una sorta di diario che si svolge poesia dopo poesia. Il volume presenta il percorso dell’autore fin dai testi della giovinezza, scritti poco dopo i vent’anni sui suoi preziosissimi taccuini, passando attraverso i primi capolavori come And death shall have no dominion e le poesie che testimoniano la tragedia dei bombardamenti su Londra (come Ceremony after a fire raid o il celebre poemetto visivo di dolore e rinascita Vision and prayer), per approdare ai capolavori sinfonici e pastorali della maturità, come Fern Hill e Author’s prologue. Ogni poesia di Thomas è abitata dal desiderio inesausto di una vita più intensa, in cui morte e vita, tenebra e luce si stringono in un circuito senza fine: «La mia arca canta nel sole/ alla velocità di Dio alla fine di un’estate/ E il diluvio, ora, fiorisce».
Quarta
Una volta era il colore del dire il più brutto lato della collina inzuppava il mio tavolo con un campo rovesciato dove immobile stava una scuola e un bianco e nero rattoppo di ragazze cresceva giocando.Io devo disfare l’amabile scivolo marino del dire affinché tutti gli annegati per incanto risorgano per far cantare il gallo e uccidere. Quando marinando la scuola fischiettavo con i ragazzi nel parco dove di notte lapidavamo i freddi e gli stupidi amanti nello sporco dei loro letti di foglie, l’ombra dei loro alberi era una parola di molte ombre e per il povero, nel buio, era una lampada di fulmini. Adesso il mio dire sarà il mio disfacimento e ogni pietra sarà srotolata come un mulinello.
Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977), ormai riconosciuta come una delle voci poetiche più alte del novecento, è stata straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura europea.
Devota come un ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime lamine
in bianca maglia di ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…(in Passo d’addio, Scheiwiller – All’insegna del pesce d’oro, Milano 1956)
Cristina Campo
Biglietto di Natale a M.L.S.(*)
Maria Luisa quante volte
raccoglieremo questa nostra vita
nella pietà di un verso, come i Santi
nel loro palmo le città turrite?
La primavera quante volte
turbinerà i miei grani di tristezza
dentro le piogge, fino alle tue orme
sconsolate – a Saint Cloud, sulla Giudecca?
Non basterà tutto un Natale
a scambiarci le favole più miti:
le tuniche d’ortica, i sette mari,
la danza sulle spade.
“Mirabilmente il tempo si dispiega…”
ricondurrà nel tempo questo minimo
corso, una donna, un àtomo di fuoco:
noi che viviamo senza fine.
Immagine: da “La tigre assenza”, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991. Dettaglio di copertina
Devota come un ramo
Devota come un ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime lamine
in bianca maglia di ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…
(in Passo d’addio, Scheiwiller – All’insegna del pesce d’oro, Milano 1956)
Cristina Campo
Biglietto di Natale a M.L.S.(*)
Maria Luisa quante volte
raccoglieremo questa nostra vita
nella pietà di un verso, come i Santi
nel loro palmo le città turrite?
La primavera quante volte
turbinerà i miei grani di tristezza
dentro le piogge, fino alle tue orme
sconsolate – a Saint Cloud, sulla Giudecca?
Non basterà tutto un Natale
a scambiarci le favole più miti:
le tuniche d’ortica, i sette mari,
la danza sulle spade.
“Mirabilmente il tempo si dispiega…”
ricondurrà nel tempo questo minimo
corso, una donna, un àtomo di fuoco:
noi che viviamo senza fine.
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(*) Maria Luisa Spaziani. Cristina Campo scrisse questa poesia a Firenze e vi appose la data “Ognissanti 1954″
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
Ora tu passi lontano, lungo le croci del labirinto
Ora tu passi lontano, lungo le croci del labirinto,
lungo le notti piovose che io m’accendo
nel buio delle pupille,
tu, senza più fanciulla che disperda le voci…
Strade che l’innocenza vuole ignorare e brucia
di offrire, chiusa e nuda senza palpebre o labbra!
Poiché dove tu passi è Samarcanda,
e sciolgono i silenzi tappeti di respiri,
consumano i grani dell’ansiae attento:
fra pietra e pietra corre un filo di sangue,
là dove giunge il tuo piede.
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
La tigre assenza pro patre et matre
Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
Il Maestro d’arco
a B.B.
Tu, Assente che bisogna amare …
termine che ci sfuggi e che ci insegui
come ombra d’uccello sul sentiero:
io non ti voglio più cercare.
Vibrerò senza quasi mirare la mia freccia,
se la corda del cuore non sia tesa:
il maestro d’arco zen così m’insegna
che da tremila anni Ti vede.
(Giardino Bonaccossi, ottobre ’54, a B.B.)
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
Cristina Campo
Biografia di Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977), ormai riconosciuta come una delle voci poetiche più alte del novecento, è stata straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura europea.
Appassionata studiosa di Hofmannsthal, rivisitò il mondo misterioso delle fiabe svelandone le trascendenti simbologie. Fu traduttrice e critica di originale metodologia, enucleando dalle opere letterarie l’idea del destino e il dominio della legge di necessità sulle vicende umane che l’arte esprime in una aurea di bellezza. Appartenne al ristretto nucleo di intellettuali che avviarono l’introduzione di Simone Weil in Italia.
Negli anni cinquanta maturò la sua prima formazione nella Firenze dei grandi poeti del tempo ove conobbe Gianfranco Draghi che la indusse a pubblicare i suoi primi saggi su “ La Posta Letteraria del Corriere dell’Adda e del Ticino”.Dal ’56 si trasferì per sempre a Roma.
Studiosa di spessore leopardiano, stabilì intensi sodalizi umani e spirituali e innumerevoli frequentazioni di grandissimo rilievo, basti menzionare: Luzi, Traverso, Turoldo, Bigongiari, Merini, Bemporad, Bazlen, Dalmati, Pound, Montale, Williams, Pieracci Harwell, Malaparte, Silone, Monicelli e Scheiwiller. Tra i filosofi ricordiamo Elémire Zolla, Andrea Emo, Lanzo del Vasto, Maria Zambrano, Danilo Dolci che sostenne nei momenti difficili, ed Ernst Bernhard che le fece conoscere il pensiero di
Jung, di cui era stato allievo. Fu consulente editoriale, scrisse su importantissime riviste e studiò l’esicasmo, la mistica occidentale ed orientale, i grandi classici e i poeti di ogni tempo. La sua “metafisica della bellezza” la indusse a una controversa e profonda riflessione sulla liturgia, ritenendo la sacralità dei riti e la comprensione del valore della trascendenza efficaci difese dalla minaccia della despiritualizzazione del mondo incombente sulla modernità che secondo la Campo, in una certa misura, è disattenta alla bellezza ed esposta alla vanificazione delle intenzioni. L’architettura culturale e spirituale dell’universo campiano si desume anche dai tanti e ricchi epistolari. In particolare dalle “Lettere a Mita” (la scrittrice Margherita Pieracci Harwell), uno degli epistolari più affabulanti di tutta la letteratura italiana, è infatti possibile ricostruire la storia di un’anima che palpita per l’incanto e la tragedia della vita. Vita che per la Campo è teatro della sfida al destino condotta dalla poesia e dal sacro.
Giancarlo Zorzanello e Giorgio Fin-Con le armi in pugno –
-Alle origini della Resistenza armata nel Vicentino. Settembre 1943-aprile 1944
Giancarlo Zorzanello e Giorgio Fin-Con le armi in pugno-Cierre Edizioni-Biblioteca DEA SABINA
Descrizione del libro di Giancarlo Zorzanello e Giorgio Fin-Con le armi in pugno-Tra i giovani (soprattutto militari) che dopo l’8 settembre 1943 vollero sottrarsi all’invio in Germania o all’arruolamento nell’esercito della Rsi, diversi decisero di opporsi a tedeschi e fascisti “con le armi in pugno”. Il volume analizza le convinzioni che li animavano e le organizzazioni e i partiti che li sostenevano; come e dove si riunirono i primi partigiani e in particolare il gruppo di Malga Silvagno; la nascita e lo sviluppo del gruppo di Malga Campetto, che mise in atto la “guerriglia di movimento” contribuendo a diffondere la lotta armata; i rapporti conflittuali tra i partigiani di diversa ispirazione e la formazione del battaglione “Danton” di Giuseppe Marozin; la costituzione, verso la fine di aprile del 1944, delle principali formazioni partigiane del Vicentino, che più tardi estesero la loro azione anche nelle province limitrofe. Più che di strategie e tattiche, si parla di storie di persone e luoghi che evidenziano come la Resistenza armata abbia trovato terreno fertile nei giovani contadini e montanari, nella gente delle contrade, nell’ambiente operaio delle fabbriche, in buona parte del clero e degli intellettuali e persino tra le autorità civili e militari-
Cierre Edizioni
Cierre edizioni, nata nel 1990 e con oltre mille titoli in catalogo, si occupa prevalentemente di territorio. A partire dal Nordest, ma con uno sguardo aperto oltre i confini, perché gli orizzonti più affascinanti sono quelli che si stendono a perdita d’occhio. I nostri volumi indagano il paesaggio, naturale e antropico, fisico o immaginato, attraverso la fotografia, la storia, la memoria e la narrazione. Siamo convinti che la conoscenza sia indispensabile per migliorare la qualità della vita e preservare gli equilibri ambientali con la necessaria consapevolezza che comporta ogni patrimonio comune. E crediamo che l’antica forma del libro sia ancora fra le più adatte a promuoverla, per la cura che è necessaria nel produrli e la riflessione che ne richiede la lettura. Cierre edizioni, con la propria autonomia culturale e progettuale orientata a un’editoria di qualità, coltiva da sempre una feconda rete di relazioni fatta di intensi rapporti di collaborazione con centri accademici e di ricerca, istituti culturali e altri attori del mondo editoriale, di cui sono testimonianza periodici come «Venetica», pubblicata dalla rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea del Veneto e «Terra e storia». Fra gli enti con cui abbiamo collaborato ricordiamo in particolare Unesco, Regione Veneto, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Fondazione Giorgio Cini e numerosi Parchi naturali. Cierre edizioni aderisce a due associazioni di categoria, Associazione Italiana Editori e Associazione Editori Veneti, e in quanto cooperativa è inoltre associata a Legacoop Veneto. Alla storiografia, con incursioni nell’antropologia e nell’analisi linguistica e culturale, è dedicata “Nordest”, ora “Nordest nuova serie”. Una collana di storia a tutto campo ma con un occhio di riguardo alla storia contemporanea, soprattutto per quanto riguarda il regime fascista, l’antifascismo e la Resistenza. Con lo sviluppo dell’interesse verso la storia narrativa, la memorialistica e il resoconto di viaggio sono poi nati i “Percorsi della memoria”, che ospitano il bestseller di Cierre edizioni, Sulla pelle viva di Tina Merlin (1926-1991), il testo più noto sulla tragedia del Vajont. In un ambito di ricerca a cavallo tra culture materiali e immaginario popolare si situa poi la riedizione dei lavori di Dino Coltro (1929-2009), prolifico studioso veronese “sul campo”, di cui Cierre ha pubblicato fra l’altro due grandi opere riccamente illustrate (Mondo contadino e La terra e l’uomo)
Raffaele Boianelli -Il giovane Pertini un eroe italiano.
Sandro PERTINI
Descrizione-L’otto luglio 1978 Sandro Pertini fu eletto a stragrande maggioranza settimo Presidente della Repubblica italiana. Qualche anno dopo, il suo sorriso festante durante la finale dei mondiali di calcio di Spagna ’82 lo immortalò nell’immaginario collettivo e nazional-popolare. Non tutti sanno, però, che dietro quel sorriso gioioso ed energico si celava una giovinezza completamente sacrificata alla causa dell’antifascismo, un dolore strisciante fatto di umiliazioni, privazioni e torture di durata quasi ventennale. Dal delitto Matteotti, punto di svolta della sua parabola di vita personale e politica, passando per le prime aggressioni squadriste che gli impediranno di svolgere la professione di avvocato, fino ad arrivare agli anni dell’esilio vissuti in Francia tra Parigi e Nizza e ai terribili anni passati in carcere e al confino come prigioniero politico “spavaldo e fegatoso”. Questa è la storia di un giovane uomo capace di combattere per un ideale politico e umano “non solo senza paura ma anche senza speranza”.
Ricostruiamo la vita pubblica e privata di una delle figure più amate della politica italiana attraverso immagini d’epoca. Alessandro Pertini, per tutti Sandro, nasce a Stella (Savona) il 25 settembre 1896. Dopo avere partecipato alla Prima Guerra Mondiale con la carica di tenente dei mitraglieri, si iscrive nel 1924 al Partito Socialista e due anni dopo, nel 1926, viene condannato dal Regime fascista a cinque anni di confino. Riesce però a fuggire prima a Milano e poi a parigi, dove ottiene asilo politico. Ritorna in Italia nel 1929, viene nuovamente arrestato e condannato. Questa volta viene mandato otto anni al confino e nel 1943 torna libero. Non finiscono qui però le sue vicende giudiziarie, viene infatti arrestato e condannato a morte stavolta dai tedeschi. Riesce a sfuggire alla condanna, scappando dal carcere di Regina Coeli a Roma insieme a Giuseppe Saragat. Abbraccia la lotta partigiana diventando uno dei dirigenti del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Nel Dopoguerra contribuisce alla ricostruzione del Partito Socialista insieme a Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, diventando anche uno dei Padri Costituenti. Tra il 1968 e il 1976 assume la carica di Presidente della Camera e l’8 luglio1978, in seguito alle dimissioni di Giovanni Leone, viene eletto Presidente della Repubblica con una maggioranza senza precedenti. Raccoglie ben 832 voti su 995 a disposizione.
Eugenio Montale e Sergio Solmi – Carteggio 1918-1980
Eugenio Montale Sergio Solmi Carteggio 1918-1980
Descrizione del libro Eugenio Montale e Sergio Solmi-Carteggio1918-1980-Biblioteca DEA SABINA-Con questa edizione viene reso pubblico per la prima volta uno dei carteggi più significativi ed estesi del Novecento: si tratta di 338 lettere, inedite nella quasi totalità, che Eugenio Montale e Sergio Solmi si sono scambiati tra il febbraio del 1918 e il luglio del 1980. Questo scambio epistolare consente di assistere al formarsi dello stile poetico montaliano e di vederlo modellarsi lungo la dima delle indicazioni del suo interlocutore; di scoprire risvolti nuovi circa la genesi della prima e della seconda edizione degli Ossi di seppia (1925, 1928); di seguire da vicino lo sviluppo del pensiero critico solmiano e di constatare l’enorme fascino che esercitava su Montale e sull’ambiente culturale italiano; di ricostruire la rete di relazioni fitte e articolate formatasi via via attorno ai due corrispondenti, e di ripercorrere le vicende cruciali di alcune fra le principali riviste letterarie del secolo trascorso; di rileggere la portata internazionale del lancio dell’opera di Svevo (a Montale vanno riconosciuti i meriti dello scopritore) attraverso il racconto dei protagonisti e l’esplorazione dei legami da loro intrattenuti con alcune figure chiave della cultura europea, come James Joyce, Valery Larbaud, Bobi Bazlen e (non ultimi) T. S. Eliot e Mario Praz. Nello scambio, ricco delle confidenze e degli slanci affettivi permessi da un rapporto di stima incondizionata e di fervida amicizia, si riconosce la testimonianza viva di quasi un secolo di storia, visto con lo sguardo disincantato – ma sempre partecipe – di due personalità d’eccezione. Nelle considerazioni sussurrate a mezza voce tra le righe delle lettere affiorano riferimenti all’assassinio di Matteotti, alla morte di Gobetti, alla revoca della libertà di stampa, all’incontro con Gramsci. Il carteggio è accompagnato da un saggio introduttivo che ricostruisce passo dopo passo la storia del rapporto tra i due interlocutori, da note di commento alle singole lettere, da un ricco sistema di indici. In appendice al volume si presenta un rilevante numero di articoli, recensioni e notiziari pubblicati anonimi o con pseudonimo da Montale e Solmi tra il luglio del 1925 e il dicembre del 1935, mai finora ricondotti ai due autori e individuati grazie alle indicazioni contenute nelle lettere.
Indice
Introduzione, di Francesca D’Alessandro
Nota al testo
Ciò che è nostro non ci sarà tolto mai. Carteggio 1918-1980
Appendice. Prose inedite e ritrovate, a cura di Letizia Rossi
Nota introduttiva
Prose di Eugenio Montale
Prose di Sergio Solmi
Indici
Indice delle opere citate
Indice dei periodici e quotidiani citati
Indice dei nomi
Eugenio MONTALE
Eugenio Montale(Genova 1896 – Milano 1981) è uno dei maggiori poeti europei del Novecento. In piena guerra, nel 1917, presso la Scuola Allievi Ufficiali di Parma, stringe amicizia con Sergio Solmi, che costituirà nell’arco della sua intera esistenza un punto di riferimento umano e letterario imprescindibile. Dopo gli esordi in rivista (particolarmente su «Primo Tempo») pubblica la sua prima raccolta di versi, Ossi di seppia, uscita presso Gobetti nel 1925 e poi (accresciuta) nel 1928, per le edizioni di Mario Gromo. Le sue liriche successive confluiranno in Le occasioni (1939), Finisterre (1943), La bufera e altro (1956), Satura (1971). Nel 1975 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura, e nel 1980 esce nella collana dei «Millenni» Einaudi la prima edizione critica dell’opera in versi di un poeta vivente, curata da Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini.
Sergio Solmi
– Critico e poeta italiano (Rieti 1899 – Milano 1981); fondatore, con G. Debenedetti e altri, della rivista torinese Primo tempo (1922–23); socio corrispondente dei Lincei (1968). La sua notevole produzione saggistica ha spaziato dalla letteratura francese (Il pensiero di Alain, 1930; La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese, 1942; Saggio su Rimbaud, 1974) alla paraletteratura (Della favola, del viaggio e di altre cose. Saggio sul fantastico, 1971), da Leopardi (Studi e nuovi studi leopardiani, 1975) alla letteratura contemporanea, che ha penetrato con fine intelligenza (Scrittori negli anni, 1963). È stato poeta tanto originale quanto radicato nella tradizione italiana (Fine di stagione, 1933; Poesie, 1950; Levania e altre poesie, 1956; Dal balcone, 1968; Poesie complete, 1974), nonché felice traduttore (Versioni poetiche da contemporanei, 1963; Quaderno di traduzioni, 1969; Quaderno di traduzioni II, 1977); da ricordare anche la raccolta di prose poetiche Meditazioni sullo scorpione (1972). L’edizione completa delle Opere di S. S. è stata avviata nel 1983 (il 5°vol. è uscito nel 2000).
Nota introduttiva di Pina Piccolo-Per orientarci all’interno della raccolta di poesia di Rahma Nur Il sussurro e il grido occorre individuare e seguire le briciole che l’autrice dissemina sin dal titolo, le contrapposizioni, i contrasti, i paradossi, il sussurrato e il gridato. Nella sua sapiente prefazione (di cui consiglio vivamente la lettura) pur non trascurando gli elementi ‘sussurrati’ della poesia, Mackda Ghebremariam Tesfaù ci offre molti spunti che riguardano il ‘gridato’ della raccolta, cioè gli elementi palesemente politici, relativi a potere, identità, razzismo, nerezza, critica dell’abilismo, individuazione degli elementi di intersezionalità nell’opera dell’autrice, ma in queste brevi note vorrei soffermarmi maggiormente sugli elementi di poetica più filosofici ed intimi.
Parto dalle considerazioni della prefattrice che individua il nucleo centrale della funzione della poesia per Rahma Nur:
[…] In questo testo emerge potente una voce che rifiuta ogni incasellamento e silenziamento. Una voce che dipinge un mondo complesso, dove sia la gioia che il dolore trovano spazio di riconoscimento, e dove entrambi possono essere sussurrati e gridati.
[…] Ma la poesia è anche lo spazio in cui Rahma può aspettare sua figlia, pregare per il suo arrivo e immaginarne l’incontro. Si tratta dunque di un universo fertile, generativo, di gestazione, che le permette di divenire madre ancora prima di conoscere la figlia. La poesia è il luogo in cui può salutare le primavera, in cui può nascondere la sua felicità, che è “meglio” stia al sicuro, nascosta da chi la potrebbe sciupare. Soprattutto: la poesia è grande a sufficienza per farci stare perfino l’Africa, per farci stare, in equilibrio, fuga e desiderio, gioia e disperazione.
La complessità a cui allude Ghebremariam Tesfau’ si manifesta non solo come complicazione e ricchezza di fili (bellissima a proposito la poesia “Fili linguistici” contenuta nella raccolta), ma anche come ‘inciampamento’, una conoscenza intima di un procedere difficoltoso, vacillante, che ti obbliga a pause di riflessione, che suscita negli aspiranti all’armonia reazioni che si alternano tra stupore e disprezzo. Sin dalla poesia “Centri concentrici” Rahma Nur registra l’incedere forzato e misterioso della nascita, illustrato con dovizia di particolari in “Vuoto amniotico” (Nuoto. / Mi agito… / mi sento risucchiare / questa spinta che mi porta fuori /). Dalla descrizione fisica della nascita si passa a un’associazione metaforica a quello stesso movimento nella vita in senso lato (la vita / la precedeva veloce / impaziente, sardonica / impertinente. / Lei le arrancava dietro/ seguiva titubante /le impronte /sul terreno fangoso / Riusciva ancora, con fatica, a starle dietro. / Ci riusciva ancora.)
Le poesie sapientemente concatenate nelle varie sezioni si ‘dimenano’ alternandosi tra il filosofico, il quotidiano, il sociologico e il lirico (particolarmente nelle poesie dedicate ai suoi vari morti e ai ricordi del passato) per concludersi con una considerazione della poeta sullo spazio fisico che occupa attualmente, l’angolo di casa in cui ‘vacilla’ tra sogno e silenzio, lettura e rinuncia, finendo con la domanda “io, cosa ci faccio qui!”.
A smentire quella che potrebbe sembrare una conclusione statica, l’appendice è dedicata al moto della sua poesia “Fili linguistici” nel mondo, e mette a confronto le traduzioni in inglese di Barbara Ofosu- Somuah, Alta L. Price, e Candice Whitney, restituendo una dimensione dinamica e di varietà alla sua opera e re-immettendola nel ciclo continuo dell’interazione umana intellettuale internazionale.
Dalla sezione Sussurrare
1° luglio
Nel mondo indifferente
donne vestite con i colori più sgargianti,
spalle coperte da garbasar multicolori
teste abbellite da shash variopinti
giovani bellezze dagli sguardi ridenti
donne decorate da rughe definite dagli anni
cantano ed ululano le loro grida allegre
al cielo di Roma,
i loro canti viaggiano dalle gole vibranti
verso la Somalia
le loro braccia sventolano bandiere color del cielo
orgogliose e stanche
dopo anni di fatica e di sogni.
Presenti mai assenti
Ci pensi mai
A quando non sarai più
Ci pensi mai
A quelli che non sono più
Eppure, sono così vividi
E presenti i loro visi
Così forti e chiare
Le loro voci
Così tangibili e intensi
I loro abbracci.
Non si può credere che ora siano solo ossa
Non voglio crederlo, non voglio vederlo.
Fino a che sono nei miei pensieri
Nei miei ricordi
Fino a che li vedo come ora ed allora
Fino a che io sono qui
Fino a che i miei piedi poggiano sul terreno,
Le mie mani si muovono,
Fino a che sono dentro ogni parola,
In ogni istantanea, nella mia mente
Fino ad allora e sempre
Saranno con me.
Presenti mai assenti.
Dalla sezione Gridare
La conchiglia
Non c’era nessuna valigia
Da preparare
Non c’era nessun documento
Da portare
Solo un corpo e
Un’anima smarrita
Mi hai presa per mano
E nella tua ho stretta la mia
Piccola, fragile, magra
Non avevo idea di dove andavamo
Non avevo idea da dove venivamo
Era solo casa
Era solo famiglia
Alla spiaggia
Mi hai stretto ancora più forte la mano
Ti sei chinata
Ho visto i tuoi occhi bagnati
Lacrime lapidarie
Rigare il tuo viso
Hai preso una grande conchiglia
Me l’hai poggiata sull’orecchio
“Ascolta, la musica del mare
Il richiamo del ventre terreno
Non dimenticare mai
Da dove vieni
Non dimenticare mai chi sei
Non dimenticarmi mai!”
Hai posato la conchiglia nella mia mano
E con essa hai lasciato la vita nelle mie mani.
La conchiglia è ancora con me
La vita è ancora con me
Ma tu, dove sei?
Mi vedi?
Vedi
non sono queste quattro ruote
in una sfavillante carrozzina blu cromato
non sono nemmeno quella che ogni tanto
si alza barcollando nelle sue gambette
non sono quella dalla pelle liscia e senza rughe
(che non vedi ma ci sono)
dalla pelle colorata, “oh come vorrei averla anche io!”
Quello che vedi è un corpo:
nero,
zoppo,
storto,
visibile quando lo decidi
invisibile quando lo vuoi
Mi vedi?
Son qui: anima, emozione, desiderio, sogno, debolezza,
forza, coraggio, timore, rabbia, odio, amore e tenerezza.
Mi vedi?
Son qui: donna, nera, abile quanto basta, dis-abile quando
vuoi tu,
(lo decidi tu, lo pensi tu, lo verifichi tu, importa a te)
madre, moglie, amante (eh sì!) lavoratrice, pigra, appassionata,
bramosa, incompleta, completa, dipende dai momenti,
compresa, incompresa (troppo spesso) illusa, disillusa,
speranzosa, senza speranze…
Son qui: nella mia intera persona o a pezzi dentro o
scomposta fuori.
Son qui: mi vedi?
Dalla sezione Curare
Ho lasciato la mia casa
Ho lasciato la mia terra
quel suolo che calpestavo con le ginocchia
Ho lasciato visi annebbiati dall’oblio
Ho lasciato lì le mie scarse parole.
Cinque anni e da due non vedevo mia madre
Ho lasciato la mia terra per un nuovo inizio
Verso un viso che non ricordavo
Una parola dimenticata: mamma, Hooyo.
Ho lasciato la mia terra e un futuro incerto.
Ho lasciato la mia terra perché i miei piedi non sapevano calpestarla.
la mia pancia era gonfia di vuoto, il mio cuore silenzioso.
Ho lasciato la mia terra per guarire le gambe
Mi hanno alzata in piedi, insegnato a camminare, insegnato un’altra lingua
Ma ho perso le parole del passato
Non gattono più
Non mi impolvero le gambe di sabbia
e tutto ciò che vorrei è affondare nelle parole perse
nuotare nelle favole perdute, arrampicarmi su acacie rachitiche,
Perdermi negli sguardi che mi riconoscono come una di loro:
Ridere delle storie che non conosco
Ballare e cantare i ritmi che hanno percorso le mie vene
Ripetere gli sheeko sheeko a mia figlia
Tuttavia, le mie parole zoppicano come le mie gambe,
I miei canti stonano e il mio cuore piange un pianto disperato e muto.
Tulipani
Rossi
con striature arancioni
si lanciano verso il sole
come innamorati
in cerca di un abbraccio
protesi verso la luce
attendono con pazienza
che i raggi li accarezzino
L’altro
bianco e candido
si è quasi chiuso in sé
come ad abbracciare
la sua stessa solitudine!
Qui
In questo angolo di casa,
in questo angolo di cielo e di sole,
in questo angolo di alberi sempreverdi,
di erba già bruciata dal sole brillante ed implacabile,
di piogge rare e pigre,
In questo mio angolo
aperto e nascosto,
privato e non isolato,
io, in questo angolo mio,
dove lascio i pensieri immobili,
dove allungo le gambe al sole cocente e mi rivitalizzo:
io, in questo angolo cosa cerco?
Cosa trovo?
Sogno o taccio,
leggo e lascio,
io, cosa ci faccio qui?
Pina Piccolo
Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturaleche per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com
Descrizione del libro di Erich Maria Remarque– Secondo romanzo dedicato alla Prima Guerra Mondiale, venne pubblicato a puntate sul quotidiano tedesco Vossische Zeitung tra il dicembre del 1930 e il gennaio del 1931. Successivamente venne pubblicato nell’aprile del 1931. Soggetto alla censura nazista, racconta del ritorno a casa di alcuni soldati dopo la tragica esperienza della Prima Guerra Mondiale. Da giovani perbene e pieni di ideali quali erano quando erano partiti per il fronte tornano uomini che hanno visto e provato sulla loro pelle l’inimmaginabile. Credono, illusoriamente, di trovare un accoglienza festosa e di reinserirsi nel contesto sociale. Ma tutto è cambiato anche lontano dal fronte. Le madri, i padri, i vicini di casa non sono più gli stessi o induriti dalle privazioni o testardi nel negare che nulla sia cambiato.Se Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale mi aveva scombussolato la mente e il cuore, La Via del Ritorno mi ha trovato in lacrime nel finale.
Eric Maria Remarque
Erich Maria Remarquenacque a Osnabrück nel 1898. Nel 1916, in piena Grande Guerra, fu spinto ad arruolarsi volontariamente e nel 1917 fu spedito sul fronte occidentale, dove rimase gravemente ferito. Il suo primo romanzo pacifista, Niente di nuovo sul fronte occidentale, fu pubblicato nel 1929. Nel 1933 i nazisti bruciarono e misero al bando le sue opere. Riparato in Svizzera, vi risiedette fino al 1939, anno in cui si trasferì negli Stati Uniti. Nel 1948 tornò in Svizzera, dove visse e continuò a scrivere fino alla morte, nel 1970. Neri Pozza ne sta ripubblicando l’opera omnia.
Dina Ferri: la giovane “poetessa-pastora” ora riscoperta
DINA FERRI
Dina Ferri nacque ad Anqua di Radicondoli (SI) il 29 settembre 1908. Pochi anni dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono in un podere a Ciciano nel comune di Chiusdino. La piccola Dina fu mandata presto dietro il gregge delle pecore; dopo i 9 anni frequentò le prime classi elementari della scuola del paese, ma dopo tre anni i genitori le fecero interrompere gli studi.Muore nel 1930 a soli ventidue anni, a Siena. Aveva un istinto naturale per la poesia e ci ha lasciato tutto nel suo “Quaderno del nulla”
Al pascolo
Mugghiano ai venti bianchi buoi pascenti lungo i declivi, tra i sonanti rivi. E vanno lenti ne’ chiaror silenti de’ tramonti d’oro. Sognan di lavoro.
Dicembre
Sotto vel di bianca brina dorme squallida natura non ha verde la collina non ha messi la pianura. Acqua, vento, neve, gelo, densa nube copre il cielo.
Non più nidi tra le fronde; non si perdono nel vento, non echeggiano gioconde le canzoni a cento a cento. Acqua, vento, neve, gelo, densa nube copre ‘l cielo.
Vorrei
Vorrei fuggire nella notte nera, vorrei fuggire per ignota via, per ascoltare il vento e la bufera, per ricantare la canzone mia.
Vorrei mirare nella cupa volta fise le stelle nella notte scura; vorrei tremare ancor come una volta, tremar vorrei, di freddo e di paura.
Vorrei passar l’incognito sentiero, fuggir per valli, riposarmi a sera, mentre ritorni, o giovinetto fiero, chiamando i greggi, e piange la bufera.
Alla rondine
Dimmi di mare rondine bruna, dimmi di mare, tu che lo sai; quando ne’ cieli sale la luna, cosa le stelle dicono mai?
Cosa ti dice l’onda turchina quando la notte veglia sui mari? Forse nel cuore di pellegrina sogni la gronda de’ casolari?
Pace
Udivo nel piccolo fosso sommesso gracchiare di rane; passava tra i rami di bosso sussurro di preci lontane.
Rideva nel cielo profondo pensosa la pallida luna; veniva, da lungi, giocondo un cantico lieve di cuna.
L’ombra
Chiesi un giorno a le nubi lontane quando l’ombra finisce quaggiù; mi rispose vicino una voce, una voce che disse: Mai più!
Alle stelle del cielo turchino, a la notte vestita di nero, io richiedo con timida voce, come allora, lo stesso mistero.
Io richiedo ne l’ombra la via e risogno la luce che fu; ma risento la solita voce; quella voce che dice: Mai più!
Partì
E’ spenta la querula voce
e c’è questa povera croce.
Partì per un lungo viaggio,
partì con le rose di maggio.
Fuggì nel silenzio, lontano,
e chiuse la piccola mano.
Non linda di crine la cucina;
ma pesa la terra, ma bruna.
DINA FERRI
Breve Biografia –Dina Ferri nacque ad Anqua di Radicondoli (SI) il 29 settembre 1908.Pochi anni dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono in un podere a Ciciano nel comune di Chiusdino. La piccola Dina fu mandata presto dietro il gregge delle pecore; dopo i 9 anni frequentò le prime classi elementari della scuola del paese, ma dopo tre anni i genitori le fecero interrompere gli studi. Prese qualche lezione di nascosto da una compagna di classe. Senza conoscere la metrica, iniziò a scrivere le sue impressioni poetiche che la bellezza della natura le produceva nell’animo. L’11 gennaio 1924 si tagliò tre dita della mano destra con il trinciafieno; per lenirne il dolore, i genitori la mandarono di nuovo alla scuola elementare, per frequentare la quale fece a piedi tutti i giorni circa dieci chilometri di strada. Notando il suo talento, l’ispettore scolastico persuase i genitori a inviare la bambina all’Istituto Magistrale e ottenne per lei un sussidio annuo dal Monte dei Paschi. Nel 1927 iniziò i corsi nell’Istituto di Santa Caterina di Siena, tornando a casa per le vacanze natalizie ed estive ed aiutando i genitori nella cura del gregge. A Siena, nonostante la rigida vita di Collegio, conobbe i più bei monumenti e l’arte della città e il 1º aprile 1928 assisté con commozione per la prima volta nella sua vita ad un concerto di Arthur Rubinstein che volle conoscerla. Il suo talento fu scoperto dal critico Aldo Lusini che pubblicò su La Diana un saggio delle poesie da lei composte e che ebbero subito una larga diffusione. La notorietà non la distolse dagli studi. Nel 1929 fu promossa alle Magistrali superiori. Un grave attacco d’influenza nell’inverno scosse la sua salute; in dicembre si allettò definitivamente e a febbraio fu portata all’Ospedale di Siena dove rimase in agonia per quattro mesi. Morì il 18 giugno 1930 a soli 22 anni. Dina Ferri teneva sempre un piccolo libro con sé, sul quale scriveva i suoi pensieri e le poesie. L’aveva intitolato Quaderno del nulla. Fu pubblicato nel 1931 dall’editore Treves e in ristampa nel 1999.Edizione Effigi copia anastatica a cura di Idiulio Dell’Era 2016.
Langston Hughes, “Queer Negro Blues” Marco Saya Edizioni,
Descrizione-Le « chansons vulgaires » di Langston Hughes-Nota a cura di Luca Cenacchi, introduzione al testo e traduzione di Alessandro Brusa-Rivista«Atelier»-Queer Negro Blues (Marco Saya Edizioni, 2023) raccoglie le prime due raccolte pubblicate dal poeta: The Weary Blues (1926) e Fine Clothes to the Jew (1927). Alessandro Brusa, curatore del libro, decide di tradurre quella parte dell’opera di Hughes talvolta lasciata a piè di pagina e in un’articolata quanto ben documentata introduzione argomenta le ragioni dell’audace titolo, il quale ben contestualizza i testi di questa antologia all’interno del panorama culturale dell’Harlem Renaissance. Hughes interseca nelle sue chansons vulgaires il concetto di New Negro, il blues il jazz e rappresentazioni queer. In questo articolo ci si occuperà principalmente della rappresentazione dei night club di Harlem e in che modo essa possa essere letta come una vera e propria “eterotopia blues e queer”. Per chiarezza espositiva si riporteranno le traduzioni delle poesie citate nei paragrafi e in calce all’articolo il testo in lingua.
Regolamentazione della vita notturna durante l’Harlem Renaissance
Le rappresentazioni queer presenti in questa antologia dei night club di Harlem differiscono notevolmente dall’immaginario odierno: i testi stessi, infatti, non descrivono apertamente la queerness dell’autore, ma al contrario tendono a dissimularla lasciando il tutto, o quasi, all’interpretazione. Pertanto non ci sono elementi probanti sull’orientamento effettivo di Hughes e questo è ancora territorio di speculazione. Tale elemento però, come rimarca Brusa stesso, è irrilevante poiché lo statuto di queer di questi luoghi ha una motivazione prima di tutto storica: infatti i night clubs coinvolgono un bacino di utenza estremamente diversificata per orientamenti sessuali, costumi ecc… e proprio per questa loro eterogeneità sono luoghi che hanno visto una severa regolamentazione e soventemente subivano incursioni della polizia.
Il provvedimento più importante a danno di questi spazi è la normativa statunitense??? del 1907 che interdiceva l’attività dei night club oltre un orario specifico. Infatti l’after-hours notturno ad Harlem poteva essere il lasso temporale in cui si espandevano i limiti della socialità tradizionale e pertanto divenivano centri di tolleranza per la cultura LGBTQI+, la quale si mescolava ad altre realtà come quella criminale. Come riporta Shane Vogel, a molti di questi locali veniva revocata la licenza a causa di una sorta di oltraggio alla decenza: «In una lettera al commissario di polizia, in cui lo informava del cambio legislativo, il sindaco dichiarò: “Le persone che frequentano questi luoghi dopo l’orario di chiusura non sono di norma persone rispettabili. Sono volgari, rozzi e spesso apertamente immodesti. Si ubriacano, si comportano in modo chiassoso e si abbandonano a balli lascivi in sale dedicate a tale uso. È ora di porre fine a tutte queste orge volgari. Ho revocato tutte queste licenze a partire dal 1° aprile prossimo”. L’una di notte divenne nota come “ora di Gaynor”; di frequente si sentivano storie di gestori e avventori che sfidavano la polizia e che venivano allontanati con la forza.»[1]
Questa specifica direttiva storiografica aiuta quindi a mettere in prospettiva i vari elementi disseminati da Hughes all’interno di alcune poesie presenti all’interno di questa antologia e a comprendere come l‘autore unisse l’ondata New Negro alla queerness dei locali di Harlem rappresentando pertanto all’interno delle proprie chansons vulgaires (canzoni volgari) un’eterotipia blues e queer.
Le “canzoni volgari” di Hughes: l’eterotipia dei night clubs
Il night club delle poesie di Hughes, quindi, non è solo l’ambiente in cui la socialità queer emerge, ma essa è inserita in un ampio “ecosistema” notturno dalle complesse dinamiche. Questo rende i locali di Harlem una vera e propria eterotipia di deviazione secondo la definizione foucaultiana dell’omonimo saggio: spazi differenti […], luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo. Queer Negro Blues, per l’eterogeneità intrinseca di questi ambienti, è un insieme di “canzoni volgari”, come le definisce l’autore, di grande eterogeneità. Infatti la figuralità naturalistica – quasi da egloga – tipica di alcune poesie per descrivere le spogliarelliste (Nude Young Dancer) viene affiancata da altri componimenti dal tono cronachistico, i quali descrivono la drammaticità della vita delle sex workers africane del primo Novecento (Young Prostitute).
Giovane ballerina nuda
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Notturna anima danzante nell’ora più confusa?
Quale immensa foresta ha steso il proprio profumo
Che come dolce velo sul tuo giaciglio riposa?
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Tu nera come la notte e dalle anche vivaci?
Quale livida luna ti è stata madre?
A quale candido ragazzo hai offerto i tuoi baci?
*
Giovane prostituta
Quella sua faccia scura
È come un fiore appassito
Su di uno stelo spezzato.
Quelle così vengono via a poco ad Harlem
O almeno così si dice.
L’eterogeneità, tuttavia, non è il solo risultato dell’unione dei molteplici tasselli con cui Hughes fornisce un’immagine di Harlem, ma, coerentemente con il saggio foucaultiano precedentemente citato, il night club è anche il luogo in cui le barriere della società diurna vanno a cadere, permettendo l’interazione di molteplici tipi sociali. Pertanto, oltre al loro intrinseco statuto contestativo, questi luoghi raccontano – anche attraverso personaggi – la vita del tempo senza censure, o quasi. Questo dettaglio acquisisce ulteriore rilevanza se si pensa che le leggi Jim Crow (1870-1964), che prevedevano la segregazione razziale nei servizi pubblici e passate alla storia col motto separate but equal [separati ma uguali], erano ancora in vigore.
Ballerini Negri
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Luci soffuse sui tavoli,
Musica allegra
Delinquenti dalla pelle scura
In un cabaret.
Amici bianchi, ridete!
Amici bianchi, pregate!
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Raccontare la vita senza barriere, però, significa anche farne emergere la complessità e soprattutto la contraddittorietà; per questo, in Queer Negro Blues, immagini ricorrenti come la notte e il rapporto tra l’autore e gli altri afro-americani è spesso ancipite, come ad esempio in Mulatto (o High Yellow, nella versione inglese).
Il night club, quindi, anche in relazione al contesto storico-politico del tempo, si impone come spazio altro non normato, in cui le divisioni della vita diurna venivano totalmente ristrutturate.
Alcune osservazioni sulla queerness dell’antologia: la wilderness marittima
Come si anticipava inizialmente, la queerness dell’autore è stata ampiamente dibattuta e le aperte rappresentazioni letterarie che egli ne dà (poesie come Café: 3 a.m. o la descrizione del ballo in drag nella sua autobiografia oppure il racconto Blessed Assurance sul rapporto tra un ragazzo omosessuale e suo padre) sono successive ai testi riportati in questa antologia. Come il traduttore, però, fa notare: «Nei testi di Hughes, così come in quelli di McKay, di Cullen e ovviamente di Nugent, il desiderio omosessuale è spesso nascosto o mistificato.»[2]. Questo era dovuto alla persistente omofobia della comunità nera tutt’ora perdurante, come testimonia Michael L. Cobb che: «non esita a dare la colpa alla forte omofobia presente, ora come allora, nella comunità artistica, e non solo di colore; si veda, ad esempio, ancora ai giorni nostri, l’omofobia presente nei testi di numerosi artisti neri». Brusa, pertanto, osserva come Hughes ed altri, soprattutto nei primi lavori, avrebbero tutti ereditato il topos whitmaniano dei loving comrades per celare la propria queerness. È interessante notare che molte delle poesie in questione (Long-trip, Boy, Water-Front Trips Port Town ecc…) connotino il mare come utopia (Water-Front Streets) oppure come luogo selvaggio/incontaminato connesso ad una pulsionalità vitale, giocando sulla polisemia di wilderness e sull’ambiguità intrinseca di verbi come dip, dive, rise e roll all’interno del componimento, che rendono le descrizioni metafora tanto dell’amplesso quanto della burrasca, per non parlare dei verbi hide/hidden che sono la prova più ovvia della dissimulazione di cui parlava Brusa. Se il night club era il luogo in cui inedite interazioni sociali emergevano, il mare è territorio liminale in cui l’umano viene lasciato a piè di pagina e di conseguenza ogni rapporto di forza viene realmente a cadere: la wilderness pertanto non è uno spazio cronachistico, ma eminentemente lirico. Infatti le miserie dei personaggi, la lotta razziale, la scansione della giornata e infine l’alternanza stessa di genere si dissolvono.
Fronte del Porto
La primavera qui non è così bella,
Ma navi da sogno prendono il mare
Verso luoghi di primavere meravigliose
E la vita è gioia da amare
La primavera qui non è così bella
Ma i ragazzi si avventurano in mare
Portano bellezze nel cuore
E sogni, come anche io so fare.
*
Porto di Mare
Hey, marinaio,
Rientrato dal mare!
Hey, marinaio,
Con me devi venire!
Dai su, bevi un cognac.
O forse vuoi del vino?
Dai su vieni qui, io ti amo.
Vieni qui e non dirmi di no.
Dai su, marinaio,
Uscito dal mare.
Andiamo, dolcezza!
Con me devi venire.
*
Lungo Viaggio
Il mare è desolata distesa d’onde,
Un deserto d’acqua.
Ci tuffiamo e ci immergiamo,
Ci innalziamo e barcolliamo,
Ci nascondiamo e veniamo nascosti
Nel mare.
Giorno, notte,
Notte, giorno,
Il mare è un deserto d’onde,
Una desolata distesa d’acqua.
Testi in inglese
Nude young dancer
What jungle tree have you slept under,
Midnight dancer of the jazzy hour?
What great forest has hung its perfume
Like a sweet veil about your bower?
What jungle tree have you slept under,
Night-dark girl of the swaying hips?
What star-white moon has been your mother?
To what clean boy have you offered your lips?
*
Young prostitute
Her dark brown face
Is like a withered flower
On a broken stem.
Those kind come cheap in Harlem
So they say
*
Negro Dancers
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Soft light on the tables,
Music gay,
Brown-skin steppers
In a cabaret.
White folks, laugh!
White folks, pray!
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
*
Water-Front Streets
The spring is not so beautiful there,-
But dream ships sail away
To where the spring is wondrous rare
And life is gay.
The spring is not so beautiful there,
But lads put out to sea
Who carry beauties in their hearts
And dreams, like me.
*
Port Town
Hello, sailor boy,
In from the sea!
Hello, sailor,
Come with me!
Come on drink cognac.
Rather have wine?
Come here, I love you.
Come and be mine.
Lights, sailor boy,
Warm, white lights.
Solid land, kid.
Wild, white nights.
Come on, sailor,
Out o’ the sea.
Let’s go, sweetie!
Come with me.
*
Long Trip
The sea is a wilderness of waves,
A desert of water.
We dip and dive,
Rise and roll,
Hide and are hidden
On the sea.
Day, night,
Night, day,
The sea is a desert of waves,
A wilderness of water.
Langston Hughes
Alessandro Brusa è nato a Imola nel 1972 e vive a Bologna.Ha pubblicato due romanzi: Il Cobra e la Farfalla (Pendragon 2004) e L’Essenza Stessa (L’Erudita 2019) e tre raccolte di poesia: La Raccolta del Sale (Perrone 2013), In Tagli Ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Perrone 2017) e L’Amore dei Lupi (Perrone 2021). Suoi testi poetici ed in prosa sono apparsi su antologie e riviste, cartacee ed online, sia in Italia sia, in traduzione, negli Stati Uniti, Francia, Belgio, Romania, Spagna ed America Latina. Accompagna il lavoro di scrittura a quello di traduzione dall’inglese con testi pubblicati su riviste online e cartacee (Testo a Fronte, NazioneIndiana, MediumPoesia, InversoPoesia, Le Voci della Luna, PoetarumSilva, La Macchina Sognante). A maggio 2023 esce Queer Negro Blues (Marco Saya 2023) traduzione e curatela di una selezione antologica di testi del poeta americano Langston Hughes.
Luca Cenacchi si occupa principalmente di critica letteraria con particolare interesse verso la poesia queer italiana. Ha collaborato con varie riviste online e cartacee tra cui: Argoonline, Poetarum Silva, Atelier (cartaceo), Niederngasse, FaraPoesia e altri. Ha collaborato con diverse case editrici, per cui ha firmato prefazioni e interventi, tra cui: Oedipus, Atelier, Fara editore e Tempo al Libro. È stato giurato presso vari concorsi letterari tra cui Bologna in Lettere (Dislivelli 2018). Attualmente collabora con il collettivo forlivese Candischi con cui organizza presentazioni di poesia.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere, 1948/51: “Basta vivere da uomini, cioè cercare di spiegare a se stessi il perché delle azioni proprie e altrui, tenere gli occhi aperti, curiosi su tutto e tutti, sforzarsi di capire; ogni giorno di più l’organismo di cui siamo parte, penetrare la vita con tutte le nostre forze di consapevolezza, di passione, dì volontà; non addormentarsi, non impigrire mai; dare alla vita il suo giusto valore in modo da essere pronti, secondo le necessità, a difenderla o a sacrificarla. La cultura non ha altro significato”.
Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) la sua vita e le sue opere, dalla fondazione del partito comunista alla prigionia in epoca fascista. Un uomo il cui pensiero politico ha influenzato tutto il Novecento. In questo filmato, tratto dal programma Comunisti d’Italia di Rai Play, il regista Carlo Lizzani racconta la figura dell’uomo politico italiano, filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario, considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo.
Nome completo Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, nasce nel 1891 ad Ales, in provincia di Cagliari, quarto di sette fratelli. Si trasferisce nel 1911 a Torino per frequentare la facoltà di Lettere e Filosofia, entra in contatto con il movimento socialista e si iscrive al Partito Socialista. Nel 1919 fonda L’Ordine Nuovo, che dissente col Partito Socialista e con l’Avanti! riguardo ai consigli di fabbrica che stanno occupando le industrie un po’ in tutta Italia. Nel 1921 a Livorno è tra i fondatori del Partito Comunista italiano, nel 1924 viene eletto deputato ed è segretario del partito fino al 1927. Delegato italiano nell’esecutivo dell’Internazionale, in Russia Gramsci studia gli sviluppi della dittatura del proletariato. A Mosca conosce la violinista Giulia Schucht, che diventa sua moglie e dalla quale ha due figli. L’8 novembre del 1926, a causa delle leggi eccezionali contro gli oppositori, è arrestato dalla polizia fascista e condannato a vent’anni di reclusione. In cella Gramsci scrive I Quaderni dal carcere, che saranno in tutto 33 e consistono in uno sviluppo originale ed estremamente approfondito della filosofia marxista. L’aggravarsi delle sue condizioni di salute portano prima al suo ricovero in clinica e poi alla libertà condizionale. Muore per un’emorragia celebrale il 27 aprile del 1937.
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