Alba de Céspedes – Portale Antenati e Dal registro alla Storia –
Alba de Céspedes (lba Carla Laurita de Céspedes )-nacque a Roma l’11 marzo 1911, da Laura Bertini Alessandrini, romana, e Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, ambasciatore per Cuba in Italia.
Suo nonno era Carlos Manuel de Céspedes, un rivoluzionario che dal 1869 al 1873 fu presidente della Repubblica cubana e fautore dell’abolizione della schiavitù. A soli 15 anni, nel 1926, Alba sposò il conte romano Giuseppe Antamoro, per poi separarsene nel 1931.
Il contesto agiato e colto in cui crebbe le favorì un’educazione d’eccellenza, alimentando la sua vocazione per la scrittura e l’interesse per la politica, d’orientamento antifascista.
Sebbene fosse perfettamente bilingue in italiano e spagnolo, e conoscesse diverse altre lingue europee, per la sua produzione letteraria scelse l’italiano come lingua prevalente. Esordì nel 1935 con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, L’anima degli altri, favorita anche dalla solida amicizia con Arnoldo Mondadori. Nel 1938, invece, pubblicò il suo primo romanzo, Nessuno torna indietro, con il quale vinse il Premio Viareggio l’anno successivo, che tuttavia le fu revocato per volere di Mussolini, a causa della sua militanza antifascista, che le era costata anche alcuni giorni di carcere.
I suoi scritti erano animati da un’attenta cura stilistica, tesa a una letteratura di qualità, in cui la forma era sempre accompagnata da uno spessore dei contenuti e una riflessione profonda su questioni etiche e sociali.
Durante la Seconda guerra mondiale, fu parte attiva della Resistenza partigiana operando con il nome di battaglia “Clorinda”.
A partire dal 1944, fondò e diresse la rivista Mercurio, che divenne un importante punto di riferimento per l’intellettualità italiana durante gli anni del dopoguerra, grazie anche alla collaborazione di penne di gran pregio. La rivista chiuse quattro anni più tardi, nel 1948. Da quel momento in poi, de Céspedes cominciò a collaborare con varie testate, come Epoca e La stampa di Torino.
Negli anni successivi, tra Roma, Cuba e Parigi, si dedicò intensamente alla scrittura, pubblicando numerosi romanzi, spesso ricchi di elementi autobiografici: l’insoddisfazione sentimentale, l’educazione femminile e la lotta per l’identificazione personale e collettiva. Tra i tanti titoli, si ricordano: Dalla parte di lei (1949), Quaderno proibito (1952), Prima e dopo (1955) e Il rimorso (1962).
L’ultimo suo lavoro, rimasto incompiuto, è un racconto autobiografico scritto tra gli anni Ottanta e Novanta, dedicato a Fidel Castro e alla Rivoluzione cubana, pubblicato postumo nel 2011 da Mondadori in occasione del centenario della sua nascita.
Alba de Céspedes morì a Parigi il 14 novembre 1997 dopo una lunga malattia.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1911
Il suo archivio personale (1876 – 1997), che consta 136 buste, circa 2100 fotografie e 4122 tra libri e opuscoli, è conservato presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Fonte-Direzione generale Archivi – Ministero della Cultura
Descrizione del libro “Il resto è silenzio”. di Chiara Ingrao-La guerra. La guerra che dopo il 24 febbraio 2022 pare rimbombare ovunque, nelle televisioni e sui giornali e sui social, e qualche mese dopo invece scompare, inghiottita dall’assuefazione e menzionata quasi solo come minaccia alle nostre bollette del gas. La guerra in Europa, che potrebbe farsi totale e travolgerci tutti ma rimane lo stesso guerra degli altri, come tutte le altre in ogni parte del mondo: non sono mai nostre, le carni che morde e la sofferenza di chi fugge. Anche se ci sfidano nel profondo dell’anima, come racconta Raffaella Chiodo Karpinsky nella Postfazione a questo volume. La guerra. Cosa succede, quando una degli «altri» scappa, e ce la troviamo accanto ogni giorno? Trent’anni fa, sfidando i commenti sarcastici di sua sorella, Sara ha ospitato in casa Musnida, fuggita da una guerra ai nostri confini. Anche Musnida, come Sara, aveva una sorella ingombrante: un’eroina, uccisa mentre tentava di recuperare il corpo di un fratello nemico. L’Antigone di Sarajevo, come nell’antico mito tebano i cui echi risuonano sulle pagine con la voce dolente di Ismene, la sorella opaca. Nell’alternarsi di banalità quotidiane e tragedia, fra queste tre coppie di sorelle (a Roma, a Sarajevo e a Tebe) rimbalzano come in un gioco di specchi gli interrogativi dell’oggi: i conflitti, le barriere che frantumano la verità e la vita, la paura dell’Altro che fa da scudo alla paura di ascoltare noi stessi.
Baldini + Castoldi srl
Via Stefano Jacini 6, 20121 Milano
Tra il 1980 e il 1983, Chiara Ingrao collabora in RAI alla redazione e alla regia dei programmi radiofonici: Noi Voi Loro Donna e Ora D[1]. Successivamente si impegna nei movimenti per la pace European Nuclear Disarmament, 10 marzo (di cui è una delle fondatrici), 1990: Time for Peace e come portavoce dell’ Associazione per la pace. Nel 1990 è una dei sei pacifisti italiani in missione di pace a Baghdad per il rilascio – concluso positivamente – di 70 ostaggi italiani[1]; contribuisce alle prime iniziative comuni fra pacifisti israeliani e palestinesi, e al movimento contro la guerra in Iraq. In seguito, raccoglie tali esperienze nel libro Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti.
Nel 2003, dopo la morte della madre, Laura Lombardo Radice, ne raccoglie gli scritti e ne racconta la vicenda personale nel libro: Soltanto una vita. Nel 2008 esordisce nel genere narrativo, con il romanzo Il resto è silenzio, ambientato nella Bosnia-Erzegovina degli anni novanta. Nel 2014 è uscito il suo primo libro per ragazzi, il romanzo Habiba la Magica, seguito nel 2018 dalla raccolta di filastrocche Mal di paura. Successivamente è impegnata soprattutto nelle scuole e come animatrice culturale.
Opere principali
Chiara Ingrao, Lidia Menapace (a cura di), Né indifesa né in divisa, Roma, Gruppo misto-Sinistra indipendente Regione Lazio, 1988.
Chiara Ingrao, Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti, Roma, Datanews, 1993.
Chiara Ingrao, Cristiana Scoppa (a cura di), Donne 2000: a cinque anni dalla conferenza mondiale di Pechino. Le cose fatte, gli ostacoli incontrati, le cose da fare, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità, 2001.
Chiara Ingrao, Cristiana Scoppa (a cura di), Diritti e rovesci – I diritti umani dal punto di vista delle donne, Roma, AIDOS, 2001.
Laura Lombardo Radice, Chiara Ingrao, Soltanto una vita, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005.
Chiara Ingrao, Il resto è silenzio, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
Chiara Ingrao, Dita di dama, Milano, La Tartaruga, 2009.
Chiara Ingrao, Habiba la magica, Coccole Books, 2014
Chiara Ingrao, ‘Mal di paura’, Edizioni corsare, 2018.
Chiara Ingrao, Migrante per sempre, Milano, Baldini + Castoldi, 2019.
Roma- Cyrano De Bergerac -Nella sua versione originale in versi al Teatro Cometa Off
Roma- Va in scena al Teatro Cometa Off- Cyrano De Bergerac- stronomo, filosofo eccellente. Musico, spadaccino, rimatore, Del ciel viaggiatore, Gran mastro di tic-tac, Amante — non per sè — molto eloquente Qui riposa Cirano Ercole Saviniano Signor di Bergerac, Che in vita sua fu tutto e non fu niente!” Edmond Rostand
Dopo il successo delle scorse stagioni con più di 2000 spettatori e un unanime riscontro di critica, Cyrano De Bergerac con la regia di Matteo Fasanella, torna in scena dal 13 al 17 Novembre 2024 al Teatro Cometa Off di Roma.
Nella sua versione originale in versi, il dramma di Edmond Rostand torna nella storica sala di Roma, che accoglierà l’immortale storia d’amore ispirata alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac, uno dei più estrosi scrittori del seicento francese.
A proporre il lavoro, partendo dalla versione originale, senza alterarne i versi ma apportando solo qualche taglio, è la DarkSide LabTheatre Company diretta da Matteo Fasanella, già definita dalla stampa “una fucina di giovani talenti”.
A farla da padrone, ovviamente – forte della poetica narrazione in versi – è una delle storie d’amore più belle che la letteratura abbia mai creato: l’amore, il genio, le virtù, l’uomo. La lucidità del personaggio maschile, viene ingannata dall’amore, che mette a nudo le fragilità di un uomo quasi perfetto, aldilà delle sue famigerate carenze fisiche. «Chi la vide sorridere conobbe l’ideale»: un ideale che porta Cyrano alla consapevolezza della sconfitta, ed egli affida il suo genio a un uomo che è in grado di soddisfare tutti i suoi sogni. «Se mi par che vi sia di speranza un’ombra, un’ombra sola»: la speranza, meravigliosa e vana, induce Cyrano a rendere questo amore, forse unico, palpitante. Egli utilizza tutte le sue virtù senza però mai slegarsi dalla maschera che lo protegge. Ne rimane talmente vincolato che, anche quando la verità viene a galla, preferisce immolarsi e concedersi alla sua vera musa ispiratrice: la libertà. Come può l’amore indurre a rinunciare al proprio volto? Come può l’amore portare un uomo a spalleggiare il proprio “nemico” nella conquista del proprio sogno? Interrogativi universali per un’opera altrettanto immortale!
Cyrano De Bergerac di Edmond Rostand – Con: Matteo Fasanella, Virna Zorzna, Alessio Giusto Lorenzo Martinelli e Nicolò Berti – Adattamento e Regia: Matteo Fasanella – Scene: Maurizio Marchini – Costumi: DarkSide e.t.s. – Aiuto Regia: Virna Zorzan – Foto: Christian Sicuro – Smm e Grafica: Agnese Carinci
La Città Futura-Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare nell’ultimo Brecht la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera.
Articolo di Renato Caputo-Per comprendere più in profondità che cosa leghi l’elemento ingenuo a quello dialettico, centrali nella riflessione estetica dell’ultimo Bertolt Brecht, bisogna considerarli dal punto di vista della teoria della conoscenza. A questo scopo sarebbe necessario poter risalire alle fonti di cui Brecht si è servito per mettere a fuoco degli elementi così importanti per la sua opera. Anche se forse non è possibile allo stadio attuale della ricerca individuare con certezza le fonti utilizzate da Brecht, una breve analisi storica del concetto di naïf può fornirci degli elementi utili per azzardare quantomeno un’ipotesi plausibile su di esse.
Charles Batteux è stato il primo pensatore a distinguere nettamente il concetto estetico di naïf da quello psicologico, individuandovi la componente essenziale di uno stile bello. Egli lo impiegava, infatti, per indicare, in polemica con il barocco, la semplicità dei classici, che utilizzavano nell’opera solo le parti necessarie allo sviluppo del pensiero, eliminando del tutto il superfluo. Questo termine è stato ripreso dall’illuminismo tedesco che se ne è servito per indicare una semplicità (Einfalt) strettamente connessa con la nobiltà (edel) dello stile. Esso era, quindi, considerato una componente essenziale per giudicare un’opera come pienamente compiuta dal punto di vista artistico. Come ha osservato Detlev Schöttker [1] la storia seguente della categoria del naïf è stata segnata dalla perdita progressiva del significato strutturale a favore di quello concettuale. Questa tendenza ha il suo compimento nell’utilizzo del concetto nell’opera di Friedrich Schiller Sulla poesia ingenua [naive] e sentimentale. Che l’importanza assegnata da Brecht al concetto di naïf potesse venire intesa come un implicito riferimento all’opera di Schiller è risultato evidente a tutti gli studiosi che si sono occupati di questa parte della sua produzione. Tuttavia diversi critici, preoccupati di mantenere ben evidenti le differenze tra Brecht critico del classicismo e i due “dioscuri” di Weimar, hanno mirato a evidenziare le differenze tra il concetto di naïf utilizzato da Brecht e quello di cui si è servito Schiller. Così, ad esempio, Hans Mayer in Brecht e la tradizione si è sforzato di dimostrare che il concetto di cui Brecht si era servito era incommensurabile con quello utilizzato da Schiller per indicare uno “stadio presentimentale”. Schiller, infatti, aveva contraddistinto la poesia moderna con il concetto di sentimentale per differenziarla dall’immediatezza implicita nel concetto di ingenuità che utilizzava per contraddistinguere la poesia degli antichi. Per Schiller, questa concezione ingenua della poesia sarebbe da ritenere oggi del tutto inadeguata a caratterizzare una società come la nostra, segnata da un’intima scissione.
È difficile dubitare che il concetto utilizzato da Brecht abbia un significato ben diverso da quest’ultimo. Tuttavia, benché Mayer non sembri accorgersene, il termine naïf era utilizzato da Schiller anche in un’altra accezione. Con quest’ultima Schiller intendeva caratterizzare la produzione di Johann Wolfgang von Goethe, di un autore cioè che, all’interno del mondo moderno, aveva cercato di riconquistare l’ingenuità caratteristica dell’arte antica. A tal fine non era stato possibile nemmeno per Goethe cancellare la scissione del mondo contemporaneo e della sua espressione artistica, ma era stato piuttosto necessario prendere l’avvio proprio da questa. Goethe, secondo la definizione che ne dà Schiller, sarebbe, dunque, uno spirito greco condannato a vivere in un mondo nordico, che può riconquistare la sua patria originaria solo attraverso “rationalen Wege”. Solo così egli poteva appropriarsi dell’ingenuità degli antichi, ingenuità che, tuttavia, aveva perduto per sempre il carattere di immediatezza che la aveva contrassegnata. Si trattava, infatti, di una Naivität di secondo grado, che doveva portare necessariamente in sé il momento della riflessione. È, quindi, con questa seconda accezione del termine che può essere paragonato il concetto usato da Brecht. Questi come Goethe utilizzerebbe, allora, la categoria di naïf nel senso originario di Batteux, cioè come recupero della semplicità classica. Si tratta, però, di una semplicità artificialmente riconquistata, che deve essere considerata di natura dialettica.
Quindi, sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera [2].
La tendenza inequivocabile del tardo Brecht a una classica essenzialità e immediatezza non significa, in nessun caso, una fuga di fronte alle contraddizioni laceranti della sua epoca in un’unitaria, ma astorica sfera dell’estetico, capace di ricucire la spaccatura tra essere e dover essere [3]. L’imperfezione e l’intima contraddittorietà della realtà devono costituire, al contrario, la premessa indispensabile per l’opera d’arte, la condizione di possibilità del suo carattere necessariamente riflessivo. Non solo perché l’opera non può più sottrarsi al compito di dar conto della crescente complessità del “reale”, ma soprattutto perché la frammentarietà dell’extra estetico e della sua indagine deve avere un riscontro puntuale al livello della struttura formale. A mutare negli ultimi anni, rispetto al precedente periodo avanguardistico, è l’atteggiamento di fronte alla frammentarietà del mondo e di ogni sua possibile analisi. Tensione al classicismo significa essenzialmente per Brecht virile negazione di ogni rassicurante arrendevolezza all’ineluttabilità della frammentarietà, alla metafisica del nichilismo. Il carattere di continuità e infondatezza della ricerca di una possibile e provvisoria soluzione deve restare, infatti, l’imprescindibile correlato etico di ogni esperienza estetica.
L’aspetto mimetico dell’opera, l’unico in grado di preservarne il carattere veritativo, non potendo più ingenuamente giustificarsi come copia – dato che tutti i “prototipi sono sprofondati” – deve conservare la tensione a un’organizzazione totalizzante del suo materiale, che non tema più di manifestare il suo carattere di autonomia e “sentimentalità” [4].
Note:
[1] Cfr. Detlev Schöttker, Bertolt Brechts Ästhetik des Naiven, J.B. Metzler Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 1989, p. 15.
[2] La nostra ipotesi interpretativa della concezione brechtiana dell’arte mira a mettere in evidenza quelli che ci sembrano essere i due aspetti fondamentali che la hanno da sempre caratterizzata: il lato espressionistico, demoniaco, “romantico”, e quello lineare, “scientifico”, “classico”. Questa commistione di “apollineo” e “dionisiaco” ci sembra, infatti, il tratto maggiormente in grado di caratterizzare l’intera opera di questo autore, e non solo, come troppo spesso si è scritto, la sua fase più matura. Una tale interpretazione dovrebbe consentirci di azzardare un’ipotesi di soluzione all’annosa questione della tradizione culturale a cui dovrebbe essere ricondotta l’opera brechtiana. Il “Wiesengrund” della sua produzione artistica potrebbe, infatti, venire indicato nella “viva” dialettica in essa presente, tra la tradizione dei classici e una tradizione anticlassica, ironico-popolaresca, che fa proprio della stilizzazione satiricheggiante della tradizione classica il suo elemento di forza. Il nostro compito consiste, allora, nell’illustrare la complessità e la disomogeneità della riflessione brechtiana sull’arte moderna, considerandola come luogo d’incontro di una tradizione legata a una concezione classica dell’arte avente i suoi referenti principali in Aristotele, Hegel e Goethe e una concezione che ha le sue origini nel romanticismo di Friedrich Schlegel e di Hölderlin e che giunge a Brecht attraverso Nietzsche, il giovane Lukács e Benjamin. Una concezione, cioè, che considera la possibilità stessa di un’opera d’arte moderna indissociabile dal momento della differenza, della rottura, dell’ironia.
[3] Nel teatro “borghese” moderno la progressiva perdita della funzione sociale del dramma – ben definita non solo nel teatro antico, ma anche nel medievale – aveva aperto la possibilità, gravida di nuovi sviluppi, ma allo stesso tempo estremamente pericolosa, di fare della rappresentazione scenica uno scopo in sé. Il teatro, rompendo del tutto i ponti con le sue origini rituali e perdendo i solidi legami con un’universale visione del mondo, rischiava di veder drasticamente ridotte le sue funzioni. In primo luogo, era messa a repentaglio la sua valenza pedagogica, la sua capacità di mediare elementi conoscitivi ed etici. In secondo luogo, si era venuta a creare una crescente spaccatura tra la scena ed il suo pubblico, che tendeva ad assumere un atteggiamento sempre più passivo di fronte a una rappresentazione che aveva perso progressivamente ogni contatto con la vita activa. In terzo luogo, si era sviluppata una profonda opposizione tra testo drammatico e azione scenica, tanto che un rafforzamento del primo sembrava mettere a repentaglio necessariamente la seconda.
[4] Lo scrittore realista, per rendere comprensibile la realtà al suo pubblico, non può limitarsi a trasmettergli delle impressioni sensoriali. Il suo ruolo, infatti, deve essere attivo per poter essere attivizzante. Egli deve intervenire sulla realtà, deve prestargli le sue forme e, con l’aiuto di tutte le tecniche letterarie e conoscitive a sua disposizione, deve rappresentare, per quanto è possibile, il suo conformarsi a leggi. Solo così si può trasmettere esemplarmente al proprio pubblico quell’atteggiamento critico che permette di intervenire sulla vita stessa, di trasformarla conoscendola. Proprio per questo motivo la drammaturgia non-aristotelica non si limita a presentare al proprio pubblico un’azione scenica, ma gli comunica un atteggiamento. In altri termini, la dialettica su cui si fonda l’opera è data proprio dalla tensione a rappresentare la realtà così com’è, ma solo per suggerire al pubblico che potrebbe essere diversamente, che è necessario interrogarsi sul come dovrebbe essere. E’ possibile rappresentare la realtà, infatti, unicamente nella sua infinita molteplicità, nella sua irriducibile distinzione di livelli, nel suo perpetuo movimento trasformativo, nella sua insopprimibile contraddittorietà. Presupposto indispensabile della rappresentazione è, allora, la lotta perpetua contro ogni forma di ideologia, di schematismo, di determinismo e di pregiudizio.
Tradotto da: Agnese Grieco e Vittorio Lingiardi- Neri Pozza Editore
Descrizione del libro di Joseph Campbell-Le pagine che seguono costituiscono il puntuale resoconto di una lunga conversazione tra Bill Moyers, una delle grandi firme del giornalismo americano, e Joseph Campbell. Parte della conversazione ebbe luogo allo Skywalker Ranch di George Lucas, il celebre regista e produttore che ha pubblicamente riconosciuto l’enorme influenza degli studi mitologici di Campbell sul suo cinema. «Perché abbiamo bisogno della mitologia?»: questa domanda ricorre in varie forme nel testo e ne rappresenta, in un certo senso, il filo conduttore. Campbell non si sottrae al compito di offrire al lettore una risposta chiara ed esauriente. I miti, per lui, non sono soltanto i «resti» del mondo antico che coprono le pareti del nostro sistema interiore di credenze, come i cocci del vasellame rotto in un sito archeologico. I miti, e i rituali che li evocano, riaffiorano puntualmente in molte delle cose della vita di oggi, dalla religione alla guerra, dall’amore alla morte, poiché riposano sulla «continua necessità della psiche umana di trovare un centro fatto di principi profondi». La mitologia, perciò, non è una mera disciplina di studio dei popoli e delle civiltà antiche, ma «il canto dell’universo», «la musica delle sfere», musica al cui ritmo danziamo anche quando non possiamo dare un nome al motivo, e di cui udiamo i ritornelli «ogni volta che ascoltiamo con distaccato divertimento il farneticante rituale di qual che stregone guaritore del Congo o leggiamo con colto rapimento le traduzioni degli idilli di Lao Tzu, o rom piamo qua e là il guscio duro di un’argomentazione di Tommaso d’Aquino, o cogliamo al volo il significato illuminante di una bizzarra fiaba eschimese». Senza cesure e tuttavia senza contrasti, il grande studioso parla liberamente di tradizioni e racconti egizi e greci, ebraici e indiani, islamici e pellerossa, di narrazioni bibliche e chansons de geste, delle tribù dell’Oceania e di Martin Luther King, della cattedrale di Chartres, di John Wayne, Re Artù e Star Wars, accomunandoli nella sua straordinaria affabulazione di impareggiabile cantore del potere del mito.
AUTORE
Breve biografia di Joseph Campbell (New York, 1904-1987) studiò letteratura alla Columbia University, sanscrito e filosofia a Parigi e Monaco. Per trentotto anni fu titolare della cattedra di Mitologia comparata al Sarah Lawrence College circondato dalla fama di maestro e di uomo ricchissimo di umanità. Tra le sue opere principali, L’eroe dei mille volti, Le maschere di Dio. Alla sua morte, Campbell stava lavorando al secondo volume del suo monumentale atlante storico della mitologia mondiale.
RECENSIONI
«Ciò che il grande, sapiente Joseph Campbell ci ha rivelato è che l’umanità comune a ciascuno di noi è, secondo una delle sue più belle e profonde espressioni, la meraviglia e la magia trasformatrice della storia. Leggere Campbell significa aprirsi davvero alla luce e ribadire che la nostra creatività è la sola, autentica voce del nostro destino». Gregory David Roberts, autore di Shantaram
«Joseph Campbell è uno di quei rari, seri intellettuali americani che ha abbracciato la cultura popolare». Newsweek
«Eccezionale e ancora incredibilmente attuale». San Francisco Chronicle
Amleto un eroe moderno –Articolo di Alberto Pellegrino-Shakespeare è il più grande genio teatrale di tutti i tempi, perché, come scrive il drammaturgo August Strindberg, egli “descrive gli uomini in tutti i loro aspetti, incongrui, contraddittori, lacerati, fragili, divisi, incomprensibili proprio come sono gli esseri viventi”. Tra le sue opere la tragedia di Amleto è la più affascinante e misteriosa, complessa e problematica, perché essa appare assolutamente moderna per la vitalità e la polivalenza del protagonista, un intellettuale tormentato dal dubbio che è solito rifugiarsi nello studio e nella riflessione per fuggire da una realtà che lo disgusta.
Oggetto di migliaia di analisi e interpretazioni, Amleto è uno dei grandi miti moderni per aver segnato il passaggio dell’Inghilterra dal medioevo all’età rinascimentale, per avere un protagonista che rappresenta il nuovo intellettuale borghese, l’uomo di Copernico e della Riforma, l’uomo con i caratteri tratteggiati da Machiavelli, Montagne e Cartesio, l’intellettuale che ha conosciuto l’Orlando furioso di Ariosto, il Don Chisciotte della Mancia di Cervantes ma soprattutto l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. In quest’ultima opera si parla di una “razionale” forma di pazzia che serve ad affrontare i ciarlatani, i parassiti, i mestatori, la stessa gente che affolla la reggia di Danimarca, la stessa follia che suggerisce al principe Amleto di assumere la maschera del pazzo, di recitare la parte del fool, una mitica figura del folklore popolare che è un buffone stravagante e un manipolatore di parole abile nel saper mescolare furbizia e follia. La figura di Amleto è ancora affascinante, perché riflette l’ambiguità, l’introspezione, lo smarrimento dell’uomo contemporaneo impegnato a cercare l’essenza della vita, ma sempre più solo di fronte alla propria coscienza e alla propria ragione.
Nella grande stagione del teatro elisabettiano gode di grande popolarità la tragedia di vendetta, fondata su alcuni elementi ricorrenti: l’apparizione di un fantasma che chiede di essere vendicato, il giuramento di chi ha questo compito, l’uso della pazzia come maschera per difendersi, l’occasione per vendicarsi offerta dallo stesso nemico, la corruzione del protagonista che, nel portare avanti il suo piano, scende allo stesso livello morale del nemico. La tragedia scespiriana, nonostante presenti delle analogie, si allontana da quel genere teatrale, perché contiene una visione innovativa della vendetta, non privilegiando l’azione ma il percorso interiore che conduce all’attuazione della vendetta stessa. Dalle società primitive fino alla società rinascimentale il principio “occhio per occhio, dente pe dente” era un dovere che spettava ai parenti prossimi dell’ucciso e in particolare al figlio maggiore ma quest’obbligo morale risulta estraneo ad Amleto che è tormentato dal dubbio, dal bisogno di arrivare alla conoscenza della verità, dal peso di problematiche morali che provocano un rapporto conflittuale con la sua coscienza.
La Danimarca è uno Stato nato dalla forza militare della nobiltà e fondato sulla violenza, governato da un re che è un guerriero sanguinario, anche se valoroso, il quale incarna la politica di conquista e di potere di una società dove vige la legge della vendetta e della ritorsione sanguinaria. Amleto esalta la figura del padre paragonandolo a un dio, nonostante stia scontando in Purgatorio i crimini politici e gli altri peccati che ha commesso.
In questo mondo vecchio e corrotto Amleto porta una ventata di novità, perché è un uomo di spada ma anche un intellettuale che ha studiato nell’Università di Wittenberg, centro della riforma, del razionalismo, del progresso moderno, dell’erudizione umanistica. Dotato di una grande sensibilità morale e di alti valori spirituali, egli rimane gravemente colpito e disgustato dall’assassinio del padre, dall’usurpazione del trono, dalla scoperta della condotta immorale della madre, tanto da avvertire una nausea che lo spinge fino alle soglie del suicidio rifiutato solo per la paura verso il mistero dell’aldilà (“Così questa troppo solida carne potesse fondersi e disciogliersi in rugiada: o che l’Eterno non avesse stabilito la sua legge contro l’uccisione di sé!…Come sono tediosi, vieti, insipidi e non profittevoli sembrano a me tutti gli usi di questo mondo! Come l’ho a schifo!”).
Amleto condanna il comportamento della madre che ha scambiato un essere perfetto con un uomo ignobile, vile, ipocrita e fratricida come Claudio, il quale governa uno Stato in preda alla corruzione, all’ipocrisia, alla repressione. Il nuovo re, che nutre dei sospetti verso Amleto, guida tutti gli intrighi di corte; condanna il principe all’esilio in Inghilterra e ordina di ucciderlo appena giunto a terra; ordisce il complotto finale, coinvolgendo un Laerte assetato di vendetta per la morte del padre e della sorella Ofelia. Al fianco del re opera il primo ministro Polonio che incarna una politica fondata sulla macchinazione, la manipolazione, lo spionaggio: è lui a proporre di sorvegliare Amleto, perché la follia dei grandi non può rimanere senza controllo; a usare la figlia per circuire Amleto e strappargli la verità; a spiare l’incontro-scontro tra madre e figlio, stando nascosto dietro una tenda e pagando con la vita questa sua predisposizione all’intrigo.
Amleto, con la sua anima ferita e tormentata, s’interroga sul comportamento più giusto da seguire per assolvere il dovere della vendetta, sul confine tra il bene e il male, sulle ragioni per vivere il presente e per comprendere il destino ultimo dell’uomo. Senza più le certezze religiose e politiche del medioevo, egli avverte l’obbligo di sperimentare, sondare e capire le motivazioni del suo agire.
Nonostante le sue incertezze, egli trova il coraggio di avventurarsi in un mondo ingannevole di cui non conosce i confini, di accettare una sfida che lo carica di nuove responsabilità, di rinunciare al suo mondo giovanile, agli studi, agli amici, all’amore, al trono. I suoi dubbi lo spingono ad avere dei comportamenti contraddittori: a volte è un sognatore erudito e indolente, incapace di portare a termine un atto di vendetta; a volte è un assassino impulsivo e brutale; in alcune occasioni è tenero, amorevole, sensibile, raffinato, in altre è spietato, beffardo e perfino volgare.
Erving Goffman, nella sua opera La vita come rappresentazione, ci aiuta a capire questi modi di operare, quando dice che ogni individuo agisce trasmettendo il proprio io particolare per mezzo di comportamenti esteriori e di parole come fa un attore chiamato sulla scena a interpretare un ruolo. Noi siamo quello che recitiamo, perché comunichiamo attraverso la rappresentazione e l’interpretazione di una vasta gamma di ruoli che cambiano a seconda dell’uditorio e che richiedono delle capacità drammatiche per entrare pienamente nella parte che s’interpreta. Amleto, che è un profondo conoscitore dell’arte drammatica, si trova al centro di uno spettacolo che riflette la concezione scespiriana del teatro, che deve essere considerato lo specchio della natura, lo specchio della società, lo specchio del tempo con lo scopo di conferire un volto alle virtù e ai vizi dell’umanità. Con i materiali drammatici che ha a disposizione, egli riesce a trovare una parte da interpretare ogni volta che sale sul palcoscenico della vita, passando attraverso una successione di ruoli che gli consentono di apparire agli altri recitanti come un diverso, un estraneo, un pazzo, anche se, dietro i suoi vaneggiamenti, s’intravede un disegno razionale regolato da un preciso schema mentale finalizzato alla ricerca della verità.
In questo percorso verso la catarsi finale, troviamo al fianco di Amleto due donne che interpretano un ruolo importante: Gertrude e Ofelia. La regina Gertrude è la madre alla quale il figlio non perdona di essere passata con troppa rapidità da un letto all’altro, spinta dalla lussuria e vittima di una libidine che “si abbuffa vorace di sudiciume”. Amleto, rivolgendosi alla donna con il furore di un amante geloso e di un figlio tradito, le ordina di praticare l’astinenza sessuale, perché il suo non può essere un nobile sentimento amoroso; la prega di non rivelare a nessuno la sua finta follia e di riferire al re che suo figlio è veramente impazzito. La regina crede in questa finzione o in una reale follia? Difende e protegge suo figlio? In ogni caso asseconda i suoi piani e si riscatta salvandogli la vita, quando nel duello finale impedisce ad Amleto di bere il vino avvelenato che lei ha già bevuto.
Ofelia è una fanciulla innocente e sinceramente innamorata del principe e, quando lui entra nella sua stanza indossando la maschera del folle, la giovane sente vacillare il suo amore, respinge le sue lettere e le sue profferte amorose, corre dal padre per dirgli che Amleto è vittima di una follia che Polonio scambia per la pazzia propria di un innamorato respinto. A sua volta Polonio, dopo avergli ordinato di non cedere alle lusinghe del principe che, per gli obblighi del suo rango, non potrà mai essere il suo sposo, la manipola e la strumentalizza, inviandola a sondare lo stato mentale del principe. Amleto, pur amandola, vede in Ofelia una femmina soggetta a peccare e a generare altri peccatori, per cui sfoga su di lei la propria misoginia in una scena di brutale violenza: “Dio vi ha dato una faccia e voi vene fate un’altra. Ancheggiate, ondeggiate, bisbigliate. date nomignoli alle creature di Dio e spacciate la vostra impudenza per candore. Via non ne voglio più sapere. Mi ha reso pazzo. Dico che i matrimoni non s’hanno più da fare. Quelli che si sono sposati – tranne uno – vivranno. Gli altri resteranno come sono. Va, chiuditi in convento”.
Ofelia, sconvolta per la morte del padre e per l’abbandono dell’uomo che ama, si trova avvolta da una tragica solitudine che finisce per farla impazzire e farla morire affogata in un fiume, vittima innocente e sacrificale di una società violenta e crudele, specchio di un mondo marcio dove nessuno prega, nessuno si pente, nessuno perdona, dove a pagare sono gli esseri più deboli e indifesi, dove l’amore è una variabile che il teatro della vita non prevede e non comprende. Questa tragedia finisce praticamente di fronte alla tomba di Ofelia, quando Amleto confessa pubblicamente il suo amore e afferma il primato del suo dolore rispetto al fratello che lo accusa di aver fatto impazzire e spinto al suicidio la giovane.
La follia di Amleto realtà o finzione?
“Il tema della follia occupa in Shakespeare una posizione estrema nel senso che essa è senza rimedio. Niente la riporta mai alla verità e alla ragione: la follia, nei suoi vani ragionamenti, non è vanità; il vuoto che la riempie è un male molto aldilà della mia scienza, come dice il medico a proposito di Lady Macbeth; è già la pienezza della morte: una follia che non ha bisogno di medico” (Michel Foucault).
La pazzia di Amleto è vera o falsa? Amleto è folle o si finge folle? In ogni caso il principe, per mezzo della follia, si ritaglia uno spazio di libertà per arrivare attraverso la menzogna a scoprire la verità. La sua è una follia ambigua, simulata per trarne un vantaggio quando è solo o con gli amici è lucido e consapevole, è capace di profonde riflessioni; quando finge di essere folle assume il ruolo del vendicatore. In questo vortice di ragione e pazzia, Amleto è costretto a distinguere che cosa è reale e che cosa è apparenza, anche se le sue barriere psicologiche cominciano a vacillare, tanto da apparire gioioso e triste, comico e violento, un uomo dagli alti ideali che ama e odia la vita, una persona sensibile ma con una debole volontà. Dotato di una coscienza iperattiva, egli cade facilmente nella recriminazione e nell’autoflagellazione, soppesa e valuta ogni suo pensiero, non giustifica nessuna azione, per cui il suo percorso verso la verità arriverà a trovare una soluzione solo alla fine della storia. Sulla base di questi elementi si può avanzare l’ipotesi che Amleto soffra di una voluptas dolendi non patologica, ma derivante dalla sua condizione di figlio chiamato ad assolvere un compito che non sente come un dovere, di persona costretta a esplorare le radici più profonde della fragilità umana, a saldare il conto con il proprio destino.
Il tema della follia ha fatto nascere diverse teorie psicoanalitiche che possono sembrare persino eccessive, tenuto conto che siamo di fronte a un personaggio nato dalla fantasia di un autore. Tuttavia, dopo la scoperta fatta nel 1896 dallo storico inglese Brandes, per il quale questa tragedia sarebbe stata scritta da Shakespeare agli inizi del Seicento, poco dopo la morte del padre, molti autori, compreso Freud, ritengono che dietro il personaggio di Amleto si celi la persona del suo creatore e che l’opera rappresenti una catarsi psicologica destinata a risolvere i problemi esistenziali del drammaturgo. Del resto è incontestabile che la tragedia, alla quale Shakespeare ha lavorato dal 1589 al 1601, rappresenti una svolta fondamentale nella sua vita e nella sua opera, perché appare completamente diversa dai precedenti drammi storici inglesi e ha pochi punti di contatto con i sedici grandi drammi scritti successivamente.
Lo psicanalista André Green sostiene che in Amleto sono presenti tre livelli di follia: il primo livello è al servizio dell’astuzia e si basa sulla dissimulazione, che il principe usa per realizzare il suo progetto di vendetta con un gioco destinato a inquietare i suoi nemici che non sanno più chi egli sia; il secondo livello è la passione malinconica che nasce dal lutto per la ferita inferta ai suoi sentimenti filiali, per il crollo dell’immagine idealizzata della madre degradata dal ruolo di madre a quello di prostituta; l’ultimo livello è la follia amorosa che porta Amleto a scaricare la sua misoginia e il suo odio su Ofelia e sulla madre. Amleto ha scoperto che il candore materno nasconde la sfrenatezza del peccato; ha intuito che Ofelia, immagine della purezza e della sincerità, è stata usata come esca per tendergli una trappola e la colpisce verbalmente con estrema violenza, gettando le premesse perché la fanciulla cada vittima di una vera follia.
Nell’analizzare il personaggio di Amleto, Freud ritiene che il suo inconscio desiderio di uccidere il padre e di giacere con la madre sia stato rimosso, facendo così rallentare la sua azione e facendo risvegliare in lui quelle pulsioni e quei desideri sopiti nel confronto con la realtà. “Il mito di re Edipo che uccide il padre e prende in moglie la madre, rivela il desiderio infantile, contro cui interviene più tardi la ripulsa della barriera conto l’incesto. La creazione poetica dell’Amleto di Shakespeare nasce sul medesimo terreno del complesso incestuoso, questa volta meglio mascherato…Nell’Edipo l’infantile fantasia di desiderio, su cui l’opera si accentra, viene evidenziata e portata a compimento come nel sogno; nell’Amleto resta rimossa e la sua presenza c’è rivelata unicamente, come avviene in una nevrosi, dagli effetti inibitori che ne sono la conseguenza. L’effetto prodotto nell’Amleto non esclude il fatto che si possa ignorare del tutto la personalità dell’eroe del dramma, che è costruito sulla sua riluttanza a compiere il gesto di vendetta assegnatogli; l’opera non ci dice il motivo di questa esitazione, né i più disparati tentativi di interpretazione hanno potuto indicarcelo” (Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni).
Secondo Freud, Amleto è un malato d’isteria e questo spiega sia la sua esitazione a uccidere lo zio per vendicare il padre, sia l’indifferenza con cui manda a morire due cortigiani e uccide Laerte: “La sua coscienza è il suo inconscio sentimento di colpa. E non sono forse isterici la sua freddezza sessuale quando parla con Ofelia, la sua reiezione dell’istinto di generare figli, e infine il suo transfert dell’azione da suo padre a Ofelia? E forse che alla fine non riesce, esattamente allo stesso singolare modo con cui lo fanno i miei isterici, ad attirare su di sé la punizione e a subire lo stesso destino del padre, quello di essere avvelenato dallo stesso rivale?” (Lettera a Wilhelm Fliess del 15 ottobre 1897).
Jung sposta l’attenzione dalla pulsione sessuale di Amleto verso la madre alla figura del Padre, sostenendo che l’emersione simbolica della figura paterna nei sogni diventa il veicolo di una normativa sociale (“Nei sogni, è da una figura di padre che provengono decisive persuasioni, proibizioni, consigli”). Jung ritiene che il nostro inconscio si serva di immagini (gli archetipi) che illustrano tutta una serie di tematiche psicologicamente connesse tra di loro. Nel caso di Amleto l’apparizione del fantasma paterno diviene un’apparizione dell’archetipo, una proiezione psichica che attraverso le immagini trova la sua voce, per cui questa irruzione del sovrannaturale nel mondo reale nasce dalle profondità inconsce dell’individuo.
Considerazioni finali su Amleto
Aldilà di tante analisi e valutazioni, possiamo affermare che nessun’altra opera teatrale contiene una così vasta gamma di sentimenti e di azioni, nessuna offre un’immagine così ricca e complessa dell’operare umano, nessuna sa meglio analizzare gli aspetti più segreti dell’anima, perché in questa tragedia sono rappresentate le vicende individuali e dello Stato, le amicizie e gli affetti, gli odi e le uccisioni, i tradimenti e le congiure, le pene d’amore e le perversioni sessuali, la razionalità e la follia dell’uomo. Incapace di dare delle risposte e delle certezze, Amleto rimane solo sul palcoscenico e affida a Orazio il compito di raccontare la sua vera storia, perché tutto “il resto è silenzio”. Perdonare Amleto è come perdonare noi stessi consapevoli che egli ha saputo colmare l’abisso tra il recitaredi esserequalcuno e l’esserequalcuno.
Shakespeare ha teatralizzato i valori della libertà e della responsabilità, ha introdotto l’idea che la volontà umana può essere libera senza essere inquinata dal peccato, perché l’individuo possiede il libero arbitrio senza il quale nessun uomo avrebbe la possibilità di scegliere il proprio destino. Amleto, a differenza di Edipo e di Oreste, non agisce sotto l’imposizione del Fato, ma è il principale artefice di se stesso, non si lascia imprigionare dalle circostanze nemmeno quando le scelte gli vengono imposte dall’alto. La sua è la storia di un giovane che prende coscienza di una malattia spirituale ancora presente in qualsiasi società, perché il “marcio” di Elsinore colpisce non solo la sensibilità del protagonista, ma la nostra attuale sensibilità. In questa sua tragedia Shakespeare ci mostra un eroe che il mondo crocifigge alla croce del tempo, condannandolo a vivere in una società dove essere, rispetto al non essere, richiede uno sforzo tremendo.
Nello stesso tempo l’autore propone una nuova ricchezza di pensieri e di emozioni, un nuovo modo di rappresentare il dolore, chiamando Amleto a decidere tra stoicismo e attivismo, tra la scelta di morire e l’impegno di vivere, tra l’attrazione per l’ignoto e il pensiero che la morte non costituisce la fine di un’esistenza travagliata, ma l’inizio di un nuovo tormento. Nel suo celebre monologo è assente ogni segno di follia, perché esso contiene una profonda saggezza rappresentata da parole che sono la discesa nel più profondo mistero dell’umanità, la più drammatica riflessione sulla vita.
Per leggere la tragedia
William Shakespeare, Amleto, traduzione di Eugenio Montale, Vallecchi, Firenze, 1949, Mondadori, 1977
William Shakespeare, Amleto, traduzione di Cesare Garboli, Einaudi, 2009
Bibliografia essenziale
Giorgio Melchiori, Shakespeare, Laterza, 1994
Isabella Imperiali (a cura di), Shakespeare al cinema, Bulzoni, 2000
Harold Bloom, Shakespeare. L’invenzione dell’uomo, Rizzoli, 2001
Andrew C. Bradley, La tragedia di Shakespeare. Storia, personaggi, analisi, Zizzoli, 2002
Aldo Carotenuto, L’ombra del dubbio. Amleto nostro contemporaneo, Bompiani, 2005
Nadia Fusini, Di vita si muore. Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare, Mondadori, 2010
Film consigliati
Amleto, regia e interpretazione di Laurence Olivier, GB, 1948
Amleto, regia e interpretazione di Carmelo Bene, Italia, 1973
Hamlet, regia e interpretazione di Kenneth Branagh, GB-USA, 1996
LA TRAMA
Nel XVI secolo, nel castello di Elsinore in Danimarca, due sentinelle avvertono Orazio che, nelle ultime notti, è apparso loro a mezzanotte un fantasma. Orazio vede a sua volta lo spettro e rimane colpito dalla somiglianza con il defunto Re Amleto, per cui decide di avvertire il principe Amleto. Intanto è salito al trono Claudio, fratello del re e zio di Amleto, che si è immediatamente sposato con Gertrude, la regina rimasta vedova. Un matrimonio che Amleto non ha accettato, per cui è triste e indignato per la scelta della madre. Dopo avere appreso della comparsa dello spettro, Amleto raggiunge Orazio sugli spalti del castello e il fantasma fa intendere di voler parlare solo con Amleto e gli annuncia la terribile verità: a parlare è lo spirito di Re Amleto, tornato sulla Terra per chiedere al figlio di vendicarlo. La sua morte non è stata casuale: Claudio, approfittando del sonno del re, ha versato nel suo orecchio un veleno mortale, facendo credere a tutti che la morte del re sia stata provocata dal morso di un serpente. In questo modo Claudio si è impossessato del trono e della moglie del defunto sovrano, con la quale già intratteneva una relazione adultera. Lo spettro chiede ora ad Amleto di punire l’assassino. Finito il colloquio con il fantasma, il giovane ordina di mantenere il segreto sulle apparizioni. Preoccupato per la tristezza del nipote, il nuovo sovrano cerca di scoprirne le cause, servendosi di Ofelia, la figlia di Polonio che sta accuratamente evitando Amleto perché diffida dalle sue dichiarazioni d’amore. Mentre il re, la regina e Polonio sono nascosti in un angolo, Ofelia incontra Amleto che, nel frattempo, tra sé e sé sta recitando il monologo “Essere o non essere”. Turbato dalla scoperta dell’assassinio del padre, Amleto le nega il suo amore e le consiglia di entrare in convento. Amleto è particolarmente entusiasta per l’arrivo di una compagnia di attori: il giovane decide di modificare la sceneggiatura del loro spettacolo, aggiungendo delle parti per mettere in scena l’assassinio del padre per osservare le reazioni del Re Claudio e poterlo così smascherare davanti a tutti. Purtroppo il piano di Amleto con la rappresentazione teatrale dell’omicidio del padre va a buon fine: Claudio esce indignato dalla sala e la regina Gertrude decide di avere un colloquio con il figlio per comprendere le ragioni della sua condotta, ma è duramente rimproverata dal figlio. Polonio, che si è nascosto nella camera della regina per riferire tutto al re, è scambiato per Claudio e viene ucciso da Amleto. Sempre più convinto che Amleto sia un pericolo per la corona, il re decide di spedirlo in Gran Bretagna con l’ordine che egli sia ucciso non appena arrivato in terra inglese. Intanto Laerte, fratello di Ofelia, avuta la notizia della morte del padre Polonio, ritorna in Danimarca per vendicarsi. Il re gli propone di sfidare a duello Amleto (che intanto è sfuggito alla morte ed è ritornato a Elsinore), intingendo nel veleno la punta della sua spada e avvelenando la coppa del vincitore in caso Amleto ottenga comunque la vittoria. Ofelia, resa folle dal dolore causatogli dal rifiuto di Amleto e dalla morte del padre, si uccide gettandosi in un fiume. Il duello sarà all’ultimo sangue: Amleto vince il primo assalto e la regina, brindando alla sua salute, beve dalla coppa avvelenata. Intanto i duellanti, nella confusione che segue, si scambiano più volte i fioretti e vengono entrambi colpiti dalla punta imbevuta nel veleno. Morta la regina, Laerte decide di rivelare tutta la verità ad Amleto che, preso dall’ira, si getta sul re e lo trafigge con la spada incriminata, costringendolo poi a bere dalla coppa che ha ucciso la madre. Prossimi alla morte, i duellanti si riconciliano e Orazio è incaricato da Amleto di raccontare la sua vicenda.
–Articolo di Alberto Pellegrino-Fonte-Lettere dalla Facoltà – Bollettino dalla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche
Antifasciste e antifascisti a cura di Gianluca Fulvetti e Andrea Ventura-
-Viella Libreria Editrice- Collana dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri –
Sinossi del libro Antifasciste e antifascisti – Collana: Collana dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri -Da alcuni decenni l’antifascismo pare aver perso la sua rilevanza nel dibattito civile e storiografico. Anche il Centenario della marcia su Roma ha lasciato sullo sfondo le storie di coloro che si opposero al fascismo sin dagli anni dello squadrismo.
Questo libro invece le recupera e le racconta, mettendo al centro il vissuto quotidiano, i percorsi coraggiosi e dolorosi, in nome della libertà, dentro e fuori l’Italia negli anni complicati della guerra civile europea. Si riflette anche sugli antifascismi come ideologie politiche, con saggi che prendono in esame i discorsi e le pratiche delle diverse culture antifasciste e talvolta il loro difficile dialogo. Infine, si aprono alcuni squarci su cosa accade all’antifascismo dopo il 1945, sulle dispute della memoria e sul suo utilizzo nelle battaglie politiche dei primi anni della Repubblica e della Guerra Fredda.
Prefazione di Giovanni Scirocco
Gianluca Fulvetti, Andrea Ventura, Introduzione
I. Storiografia
Andrea Ventura, L’antifascismo e la società italiana. Una messa a fuoco
Renato Camurri, Crossing Borders: esilio e antifascismo
II. Antifascismi
Marco Manfredi, Violenza politica, forme di lotta armata e cultura popolare fra Prima guerra mondiale e avvento del fascismo
Claudia Baldoli, La “religione antifascista” dell’Aventino: i socialisti unitari tra 1924 e 1925
Patrick Karlsen, Gli antifascismi alla frontiera alto-adriatica dalla transizione post-imperiale alla Seconda guerra mondiale
Emanuela Miniati, La Liguria antifascista in Francia tra internazionalismo e identità nazionale
Daniel Goldstein, Leo Valiani e Mario Montagnana in esilio a Città del Messico (1941-1945)
III. Antifasciste e antifascisti
Enrico Miletto, Maria Bernetič, una comunista di frontiera
Daria De Donno, Stili di antifascismo. Sulle tracce di Giorgia Boscarol
Andrea Montanari, Fortunato Nevicati, un antifascista europeo
Gianluca Fulvetti, Il dolore e la sconfitta. Antifascisti lucchesi nel Casellario politico centrale
Stefano Latino, Antifascisti e antifasciste nelle fabbriche: l’organizzazione clandestina del Partito comunista a Sesto San Giovanni (1925-1939)
Roberta Mira, Antifasciste e sovversive. Profili di donne bolognesi nei casellari di polizia del regime
Massimiliano Bacchiet, I primi comunisti. Per un dizionario biografico della provincia di Pisa (1921-1940)
Giorgio Mangini, L’anagrafe dei sovversivi bergamaschi
Roberta Mori, Sandro Delmastro, appunti per una biografia
Graziella Gaballo, L’antifascismo di Ada Della Torre
IV. Dopo il 1945
Giovanni Brunetti, L’ambiguità costituente. L’antifascismo nel Casellario politico centrale del secondo dopoguerra (1945-1956)
Francesca Picci, «Trattandosi di una donna». Le partigiane vicentine nelle carte del Ricompart
Mirco Carrattieri, Un monumento all’antifascismo. Statue e lapidi per Giacomo Matteotti
Nicola Lamri, Antifascisti e antifasciste italiane di fronte alla guerra di decolonizzazione algerina
Costanza Calabretta, L’antifascismo nelle relazioni fra Italia e Repubblica democratica tedesca fra anni Cinquanta e Sessanta
Luca Zanotta, Franco Antonicelli e l’antifascismo tra generazioni
Indice dei nomi
Autrici e autori
In copertina: I funerali di Carlo e Nello Rosselli (Parigi, 19 giugno 1937). Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”, Archivio Fotografico Originario.
Jack Hirschman nasce il 13 dicembre 1933 a New York nel Bronx, figlio di Stephen Dannemark Hirschman e Nellie Keller. Mentre frequentava ancora il liceo, comincia a scrivere come reporter per il Bronx Times e il Bronx Press-Review. Tra il 1951 e il 1959 completa gli studi al City College di New York e alla Indian University (con una tesi su Joyce).
Lamento d’una mamma napoletana (Alfondo Gatto tradotto da J.H.)
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Mio, il figlio, non era della guerra,
dei padroni che lasciano ch’io pianga
dietro la porta come un cane, mio,
delle mie mani, del mio petto giallo
ove le mamme seccano sul cuore.
Mio, e del mare che ci lava i piedi
tutta la vita, del vestito nero
che m’acceca di polvere se grido.
Mio, il figlio, non era della guerra,
non era della morte e la pietà
che cerco è di svegliare col suo nome
tutta la notte, di fermare i treni
perché non parta, lui, ch’è già partito
e che non tornerà.
Mio, il figlio, e la sua morte mia, la guerra.
I cavalli mi corrano sul petto,
i treni i fiumi ch’egli vide: il fuoco
m’arda i capelli ove la notte sola
alle mie spalle s’accompagna.
Il vento
resti del mondo allucinato, il sale
degli abissi che abbagliano, il lenzuolo
del nostro lutto…
Traduzione: Jack Hirschman
Le tombe le case (Rocco Scotellaro tradotto da J.H.)
Le tombe le case…
cuore cuore
oltre non ti fermare.
Il fumo dei camini
nell’aria bagnata
il passo dei nemici
bussano alla tua porta, proprio.
Cuore cuore
oltre non ti fermare.
Le tombe le case.
novembre è venuto,
la campana: è mezzogiorno
è lo scherzo del tempo.
I morti non possono vedere
la mamma è cieca presso il focolare.
Cuore cuore
oltre non ti fermare.
Le tombe le case,
dirsi addio e rimandare
l’amore ad altra sera.
Come le mosche moribonde ai vetri
scorrono ai cancelli i prigionieri,
è sempre chiuso l’orizzonte.
Quanti non hanno che sperare!
cuore, non ti fermare.
Le tombe le case,
è il dieci di agosto
che abbiamo scasato.
Che fanno dove abitavamo?
Negli alberghi girano le chiavi?
I miseri, i buoni
son dannati ai traslochi?
Le donne ebree gridano sui massi
del tempio rovinato.
Quanti non hanno chi pregare!
cuore, non ti fermare.
Le tombe le case
uomini curvi, donne aggrovigliate
si confessano alle inferriate
della Ricevitoria del lotto.
L’anima mia
è in questo respiro
che mi riempie e mi vuota.
Cosa sarà di me?
Cosa sarà di noi?
Per chi vuol camminare
dalle tombe alle case
dalle case alle tombe
grida nei cantieri
grida ai minatori
cuore, non ti fermare.
La poesia resistente! Napolipoesia, 2010
Traduzione: Jack Hirschman
La felicità
C’è una felicità, una gioia
nell’anima che è stata
sepolta viva in ciascuno di noi
e dimenticata.
Non si tratta di uno scherzo da bar
né di tenero, intimo umorismo
né di amicizia affettuosa
né un grande, brillante gioco di parole.
Sono i superstiti sopravvissuti
a ciò che accadde quando la felicità
fu sepolta viva, quando essa
non guardò più
dagli occhi di oggi, e non si
manifesta neanche quando
uno di noi muore – semplicemente ci allontaniamo
da tutto, soli
con quello che resta di noi,
continuando ad essere esseri umani
senza essere umani,
senza quella felicità.
Traduzione: Raffaella Marzano
L’arcano delle Torri Gemelle
1.
Un lutto tale dal quale
potremmo svegliarci
(essendo stati risvegliati da una tale luce)
per vedere la luce
alla fine:
che noi siamo ora
non più
né meno ma siamo stati più di altri
una terra violenta
nei nostri mercati monetari
nella nostra “legge ed ordine”
nei nostri “Quotidiani” quotidiani
nei nostri letti
una vita violenta
fingendo un’innocenza impenetrabile
e il potere simbolizzato
da quelle gigantesche
Twins.
La loro distruzione:
sogno di Hitler, sognato persino
prima che fossero costruite,
prima che il suo suicidio
cominciasse a combattere al fianco
del fanatismo religioso.
E noi
che avevamo ereditato tanto
della sua violenza ed anti-comunismo,
noi, che infine abbiamo persino
finanziato l’attacco
alla nostra pretesa innocenza
– noi così a nostro agio
con il fascismo (negato, naturalmente)
con la brutalità (rinnegata naturalmente)
con la libertà sentimentalizzata
da un nucleo di vuoto distruttivo,
disperazione,
cinismo in fondo,
figli di un nichilismo
a stelle e strisce (naturalmente negato e rinnegato)
“dalla California
all’isola di New York”
fratelli e sorelle,
i miei
così tristemente colpiti,
così profondamente colpiti.
2.
L’Israeliano dice: “Ora lo sanno”
lui che è stato infestato
dai geni
di una siringa di male indimenticabile
lunga dodici anni.
Probabilmente siamo noi ora a sapere
che cosa significhi essere totalmente detestati
fino all’apocalisse.
Ed è una difesa fascista contro
un attacco fascista che il mondo
sta preparando, perché non c’è altro
che quel nulla
di un pianeta scorpione che si mangia
la coda;
ed è la consapevolezza di questa verità
che raddoppia il lutto
e rende più profonda la paura
della perdita dell’innocenza
che già prima era una bugia.
Questa volta siamo davvero intrappolati
dalla verità e ci addolora
noi che siamo stati così a nostro agio
nella libertà della menzogna.
Questa volta la mobilitazione totale
della consapevolezza della guerra dice:
anche se il pacifismo cresce,
anche se esso impedirà attacchi in risposta,
anche se la non violenza trionfa,
il futuro sarà
come un uomo di colore,
o come l’erotismo,
che pur non più linciato o censurato,
comunque non si sentirà
mai completamente a proprio agio
in questa vita terrena.
Il dominio del nulla
è completo ora.
Dio assassinato da un lato.
Dio suicidato dall’altro.
Il trionfo del fascismo.
Siamo condannati a vivere
le nostre vite non-violente
comprando e vendendo
e pregando la violenza
nostro malgrado
perché non c’è nient’altro,
nulla è cambiato,
è solo più chiaramente rivelato.
3.
Celia,
so che sei corsa verso
non via da,
per aiutare, salvare.
E che hai visto il
secondo aereo svanire
nel muro mentre correvi
in quella direzione.
E che hai visto, per
la prima volta nella tua vita,
esseri umani saltare giù
da finestre altissime.
E le Twins collassare
in un’unica montagna ripiegata
di una morte moltiplicata per mille
e macerie e polvere.
Nulla di ciò che ho visto
su uno schermo televisivo
migliaia di miglia lontano
in un altro continente
può avvicinarsi all’orrore
di ciò che tu hai visto mentre
correvi verso la scena
fin quando non hai più potuto,
nuvole di polvere si espandevano
nelle strade e
quelli che correvano
via dal nucleo per salvarsi
ti dicevano che non potevi
andare oltre, non potevi aiutare,
non potevi salvare, o mia
coraggiosa, coraggiosa figlia.
So che il tuo dolore non viene
da lontano. In vano, in vano
sono morti! gridi e
e la tua disperazione allora forse
ci risparmia, forse addirittura ci salva
dallo shock che
ha trasformato il futuro in un
arcaico scavo archeologico.
4.
La notte che è arrivata, la notte tecnologica, lunga tutto il giorno,
e con essa il lutto,
il digiuno dei veloci,
il gusto amaro
del proprio deserto.
E che non è solo nostro
perché tutti parliamo con bocche di sabbia,
e le dune crescono, a onde con le parole
di un’oscurità abbagliante nel sole
che è infranto in ciascuno di noi.
Per tutta la notte, aeroplani ed elicotteri hanno volato
sui portici terra bruciata di Bologna,
dove mi ritrovo
in lutto.
È diventato lo Stato
dell’Essere.
Una bandiera nera
a mezz’asta.
Sospesa a mezz’aria.
(2001)
Traduzione: Raffaella Marzano
Sentiero
Vai al tuo cuore infranto. Se pensi di non averne uno, procuratelo. Per procurartelo, sii sincero. Impara la sincerità di intenti lasciando entrare la vita, perché non puoi, davvero, fare altrimenti. Anche mentre cerchi di scappare, lascia che ti prenda e ti laceri come una lettera spedita come una sentenza all’interno che hai aspettato per tutta la vita anche se non hai commesso nulla. Lascia che ti spedisca. Lascia che ti infranga, cuore. L’avere il cuore infranto è l’inizio di ogni vera accoglienza. L’orecchio dell’umiltà ascolta oltre i cancelli. Vedi i cancelli che si aprono. Senti le tue mani sui tuoi fianchi, la tua bocca che si apre come un utero dando alla vita la tua voce per la prima volta. Vai cantando volteggiando nella gloria di essere estaticamente semplice. Scrivi la poesia.
Little Kaddish
per mio figlio, David
Sono morto quando sei morto tu, mio caro, piccolo ravanello del grande mondo rosso piccolo kaddish del mio respiro
il mio digiuno è finito il mio attimo è compiuto
Io sono il verme sul fondo del mezcal, io sono il vento parassita che corre inseguendo le tue ceneri
per trattenere il calore in memoria del tuo fuoco, per nutrire il cuore della luce perchè il mio non c’è più.
In memoria di Ernest Hemingway
Sfilze di lampi nella mezzanotte del cielo del Dakota.
Dormivamo nel retro della macchina, i piedi che sporgevano dalla zanzariera.
Faceva caldo. Il Wy-
oming di mattina era rosso- indiano con montagne dai nasi aguzzi di
Shoshone, strapiombi di sedimenti stratificati che raccontano
di quando le montagne lottarono una contro l’altra e il Big Horn si restringeva con l’argilla e il limo fino
ai marroni e verdi montana. Cervi che saltavano sulle colline, orsi delle regioni selvatiche, un grande albero che spuntava dalla testa di un alce.
Ci dirigevamo verso sud nell’Idaho, evitando le città, prendendo strade secondarie, riempiendo il retro della macchina di ramoscelli e fiori.
Non accendemmo mai la radio. Non leggemmo mai un giornale.
Arrivammo in California. Il giornale diceva, Papà, che eri morto da tre giorni.
Le città e i paesi di nuovo in fila uno dopo l’altro. Il sole diventò accecante. Lei si mise gli occhiali scuri.
Guidai lentamente lungo le strade fino alla fine.
Saidichestoparlando
Quanti figli e figlie di tutte le centinaia di uomini e donne del Congresso stanno combattendo in Irak? Due. Bene, si tratta di un esercito volontario e gli uomini e le donne del Congresso, malgrado i loro impegni e i loro investimenti privati, sono per la maggior parte milionari. Saidichestoparlando I loro figli non hanno bisogno di un lavaggio militare perché sono stati sporcati da calunnie razziste, crivellati dalla paura della galera, perseguitati dalla povertà, come il 20 per cento degli Afro-Americani nelle forze armate (gli Afro-Americani rappresentano solo il 12 per cento della popolazione), o come la forte percentuale di Latini e bianchi poveri, che prendono ordini, lavorando in un paese la cui metà della popolazione sono bambini di 15 anni o più piccoli. Saidichestoparlando E io dovrei sentirmi patriottico ed abbracciare questa spinta verso la minaccia planetaria dalla parte di quella giunta militare di teste-morte che quotidianamente fanno galleggiare le sue infamie morali sui canali della nostra disperazione? La paura nucleare ha riportato indietro Dio dalla morte, e le Guerre Sante si guardano l’un l’altra nelle loro bugie, mentre i bambini qui e i bambini là sono devastati fino alle radici dei loro ancora possibili sorrisi innocenti. Nelle loro piccole teste, nelle loro entrate e letti, si augurano di potere, si augurano che potranno seppellirti, tu nullità assassino, per tutti i bambini che hai ferito, e getteranno sporcizia felice sul tuo cadavere, Mr. President. Saidichestoparlando!
Interludio umano
Lei stava appoggiata
al muro vicino
all’Hotel Tevere con in mano
un biccchiere di plastica
quando iniziò a piovere.
Ho cercato una moneta, le sono
andato vicino
e l’ho fatta cadere nel bicchiere.
Cadde sul fondo
di un’aranciata.
Sono arrossito, ho guardato
i suoi occhi devastati e la pelle
e i capelli diventati prematuramente
grigi, e ho detto che
mi dispiaceva, che avevo pensato
avesse bisogno di soldi.
“Ne ho bisogno”, rispose
e sorrise “Stavo
solo bevendo
qualcosa”.
E restammo così
a ridere assieme
mentre guardavamo le gocce di pioggia cadere
sul lago d’arancia
sopra la moneta che affondava.
Traduzione: Bruno Gullì
Jack Hirschman nasce il 13 dicembre 1933 a New York nel Bronx, figlio di Stephen Dannemark Hirschman e Nellie Keller. Mentre frequentava ancora il liceo, comincia a scrivere come reporter per il Bronx Times e il Bronx Press-Review. Tra il 1951 e il 1959 completa gli studi al City College di New York e alla Indian University (con una tesi su Joyce).
Nel 1953 Hirschman invia alcuni suoi racconti a Ernest Hemingway, che vive a Finca Vija a Cuba. Hemingway gli risponde incoraggiandolo a continuare a scrivere e gli suggerisce di leggere Stephen Crane, Guy de Maupassant, Ambrose Bierce, Gustave Flaubert e il primo Thomas Mann. Anni dopo, in seguito alla morte di Hemingway, la Associated Press diffonde la lettera che viene pubblicata sui giornali di tutto il paese compreso il New York Times, come “Lettera a un giovane scrittore”.
Nel 1954 sposa Ruth Epstein, una compagna di classe del City College, dalla quale ha due figli (David nel 1956 e Celia nel 1958) e dalla quale si separa nel 1972 e divorzia nel 1974.
Professore di inglese alla UCLA di Los Angeles dal 1961 al 1966, ha fra i suoi studenti Gary Gach, Steven Kesslerm, Max Schwartz e Jim Morrison. Fra il 1964 e il 1965 grazie ad una borsa di studio della UCLA fa il suo primo viaggio in Europa visitando Parigi, la Grecia e l’Inghilterra dove Asa Benveniste, della Trigram Press, pubblica Yod. È l’inizio della tendenza cabalistica nel lavoro di Hirschman che riapparirà nelle decadi successive.
Mentre Hirschman è in Europa scoppia la guerra del Vietnam. Tornato negli Stati Uniti riprende l’insegnamento alla UCLA e dà vita ad una serie di proteste e manifestazioni contro la guerra. Fra le altre cose comincia ad attribuire la “A” (corrispondente al voto più alto) a tutti gli studenti passibili di arruolamento per aiutarli a sfuggire alla guerra. Per questa attività definita “contro lo Stato” viene licenziato dalla UCLA nel 1966.
Rimane in California stabilendosi a Venice dal 1967 al 1970 dedicando tutto il suo tempo a scrivere, tradurre e dipingere. Inizia una collaborazione con David Meltzer che pubblica nella rivista Tree diverse sue traduzioni cabalistiche.
Nel 1972 traduce e pubblica Un Arc-en-ciel pour l’Occident chrétien di René Depestre, la cui opera lo conduce definitivamente al marxismo.
Fra il 1972 e il 1980 vive a North Beach, San Francisco, e continua a scrivere e tradurre poesia contemporanea, imparando il russo e – dopo un anno di traduzioni quotidiane – prendendo a scrivere poesie in quella lingua.
Dal 1980 si unisce al Communist Labor Party e lavora come attivista culturale con un gruppo di poeti fra cui Luis Rodriguez, Michael Warr, Kimiko Hahn, Sarah Menefee, Bruno Gullì, fino al volontario scioglimento del gruppo nel 1992.
Dopo un periodo di transizione, nel 1994, diventa membro della League of Revolutionaries for a New America e contribuisce al suo giornale People’s Tribune.
Durante gli anni Ottanta, dirige Compages, una rivista internazionale di traduzione di poesia rivoluzionaria. Poeti di tutto il mondo vengono tradotti in americano da un gruppo di poeti e traduttori, e poeti americani vengono a loro volta tradotti in altre lingue. La rivista viene spedita in 50 paesi a gruppi rivoluzionari e ad organizzazioni culturali. In quel periodo Hirschman pubblica l’unica antologia di poesia albanese degli anni comunisti che sia mai stata pubblicata negli Stati Uniti, Jabishak.
È stato in contatto fin dalla metà degli anni Cinquanta con i poeti della beat-generation (alla quale è stato a volte associato) dai quali però si differenzia subito proprio per le sue posizioni politiche. Pur amico di Allen Ginsberg, Gregory Corso, Bob Kaufman e di tutti gli altri poeti beat, dissente da quella che ritiene una rivoluzione “borghese”, fatta di droghe e misticismo orientale, mentre si sente più vicino politicamente e culturalmente ai movimenti radicali afroamericani (Black Panther Party e tra i poeti Amiri Baraka).
Nel 1972 Hirschman comincia a scrivere i poemi lunghi che chiama Arcanes. Negli ultimi 42 anni ne ha scritti quasi 250 rimasti inediti per molti anni. Alcuni sono stati pubblicati dalla rivista Left Curve edita e diretta da Csaba Polony.
Hirschman descrive gli Arcanes come la trasformazione dialettica materialistica di ciò che è spesso alchemico o mistico. Essi si sforzano di portare avanti il significato spirituale del pensiero e del sentimento dialettico in un senso personale e politico.
Gli Arcanes, anche quando toccano temi personali (come nell’Arcano per suo figlio David, morto a 25 anni per un linfoma nel 1982), hanno sempre relazioni con le trasformazioni politiche e sociali. Negli ultimi anni il suo impegno ci ha dato opere di struttura e coscienza politica e poetica che sono baluardo per l’anima contro l’ondata di caos e fascismo che sta divorando lo spirito umano.
Ha pubblicato più di 100 libri e opuscoli di poesia, e saggi e traduzioni da nove lingue. Fra i suoi libri di poesia più importanti: A Correspondence of Americans (Bloomington, Indiana University, 1960), Black Alephs (Trigram Books, New York/London, 1969), Lyripol (City Lights Books, San Francisco, 1976), The Bottom Line (Curbstone Press, Willimantic, 1988), Endless Threshold (Curbstone Press, Willimantic, 1992), Front Lines (City Lights Books, San Francisco, 2002), I was Born Murdered (Sore Dove Press, San Francisco, 2004).
Nella sua intensa opera di traduttore ha lavorato su autori come Mayakovsky, Roque Dalton, Pier Paolo Pasolini, Rocco Scotellaro, Paul Laraque, Paul Celan, Martin Heidegger, Pablo Neruda, René Char, Stéphane Mallarmé, Alexei Kruchenykh, Ismaël Aït Djafer, Alberto Masala, Ferruccio Brugnaro.
È stato anche curatore e traduttore nel 1965 della prima importante antologia di Antonin Artaud pubblicata negli Stati Uniti da City Lights Books, opera che ha influenzato profondamente molti intellettuali, scrittori e gruppi teatrali (su tutti il Living Theatre). Ha rivelato una sensibilità particolare traducendo e pubblicando diverse poetesse, tra cui Sarah Kirsch (Germania), Natasha Belyaeva (Russia), Anna Lombardo, Lucia Lucchesino e Teodora Mastrototaro (Italia), Katerina Gogou (Grecia), Luisa Pasamanik (Argentina), Ambar Past (Mexico).
Il rapporto di Hirschman con l’Italia inizia alla fine degli anni Cinquanta.
La poesia che dà titolo al suo primo libro, A Correspondence of Americans, fu pubblicata nella rivista Botteghe Oscure a Roma nel 1958, due anni prima della sua pubblicazione negli Stati Uniti. Nel 1980 è in Sicilia per la pubblicazione bilingue della sua traduzione di Yossyph Shyryn del poeta siciliano Santo Calì.
Nel 1990, una versione italiana del suo libro di poesie militanti, The Bottom Line, curata da Bruno Gullì, è pubblicata dall’Editoriale Mongolfiera di Bologna con il titolo Quello Che Conta.
Nel 1992 comincia un tour in Italia, dando origine ad un sodalizio con la Multimedia Edizioni e la Casa della Poesia di Salerno, con il libro Soglia Infinita, tradotto ancora da Bruno Gullì. Questa collaborazione continua nel 2000 con la pubblicazione della prima raccolta di Arcanes, tradotti da Raffaella Marzano (che ha anche revisionato e dato corpo unico ad altre traduzioni di Anna Lombardo e Mariella Setzu) che ha poi continuato a proporre le opere di Jack Hirschman in Italia.
Hirschman è stato tra i primi poeti di livello internazionale ad aderire al progetto di Casa della poesia, di cui è uno dei più assidui collaboratori e frequentatori, partecipando agli Incontri internazionali di poesia che si sono svolti a Salerno, Napoli, Baronissi, Amalfi, Pistoia, Trieste, Reggio Calabria, Sarajevo.
È spesso accompagnato da sua moglie, la poetessa e pittrice anglosvedese Agneta Falk, sposata nel 1999.
Nel 2002 la Before Columbus Foundation attribuisce a Jack Hirschman l’American Book Award for Lifetime Achievement. La motivazione del premio, scritta dal poeta e scrittore David Meltzer, recita tra l’altro: “Jack Hirschman è una figura incredibilmente presente e tuttavia nascosta nella politica culturale e nella vita della poesia americana. Straordinariamente prolifico – ai più alti livelli dell’impegno artistico e del coinvolgimento attivo – il suo lavoro è generoso, aperto, e profondamente critico. La sua critica non è mai banale o inefficace ma ha immensa profondità. La sua opera maggiore – Arcani– si inserisce nella scia dell’epica moderna dei Cantos di Pound, del Paterson di William Carlos Williams, del The Maximum Poems di Charles Olson e delle Letters To An Imaginary Friend di Thomas McGrath. Instancabile lavoratore per la giustizia sociale e la libertà artistica. Noi siamo onorati nel dare riconoscimento alla sua opera e alla sua vita, ed egli onora e sfida la nostra opera e le nostre vite.”
Finalmente nel 2006 la città di San Francisco gli attribuisce il riconoscimento di “Poeta Laureato”, la Multimedia Edizioni pubblica in inglese, in un unico volume di 1000 pagine, l’intero corpus degli Arcani con il titolo The Arcanes e la City Lighs, nel 2008 All that’s left.
Sempre nel 2006 riceve a Reggio Calabria il Premio “Città dello Stretto”.
Il volume The Arcanes viene salutato dalla critica e dagli appassionati come un vero e proprio evento editoriale e culturale.
Nel 2007 riceve a Salerno il Premio Alfonso Gatto (sezione internazionale) ed è ad Haiti per il centenario di Jacques Roumain, invitato dal fratello di Paul Laraque, Franck Laraque. Inoltre, lo stesso anno, è l’organizzatore degli Incontri internazionali di poesia di San Francisco.
Nel 2008, riceve in Italia la cittadinanza onoraria di Baronissi.
Il 2009 è un anno ricco di avvenimenti: al termine del suo incarico come poeta laureato, l’Associazione Amici del Biblioteca di San Francisco gli affidano l’organizzazione dell’International Poetry Festival of San Francisco e delle letture settimanali di giovani poeti negli 11 distretti della città dal titolo Poets 11. Inoltre lo stesso anno, insieme con Sarah Menefee, Cathleen Willams e Bobby Coleman fonda The Revolutionary Poets Brigade, un’organizzazione di poeti politicamente e socialmente impegnati. Questa Brigada oggi ha nuclei di aggregazione anche in altre città quali Los Angeles, Albuquerque, Chicago, Burlington e in Europa a Roma e Parigi.
Negli Stati Uniti pubblica, nel 2010, in collaborazione con Casa della poesia e la Fondazione Alfonso Gatto, il volume Magma che raccoglie le sue traduzioni di poesie di Alfonso Gatto. Nello stesso anno partecipa, insieme ad altri poeti, ad una serie di letture a Basra, come protagonisti della prima apertura internazionale dell’Iraq dall’invasione americana.
Nel 2011 fonda insieme con 35 poeti e con gli organizzatori di vari festival il World Poetry Movement a Medellin, in Colombia, dove era già stato con Agneta Falk nel 2009.
L’anno successivo è in tour in Cina per alcuni reading con Agneta Falk e altri poeti cinesi.
Con la Multimedia Edizioni di Salerno pubblica nel 2014 28 Arcani, sempre tradotto da Raffaella Marzano. Nel 2016 viene pubblicato sempore dalla Multimedia Edizioni il secondo grande volume in lingua originale che raccoglie i suoi Arcanes scritti dal 2007 al 2016. Infine nel 2017 in Italia, sempre la con la traduzione di Raffaella Marzano, viene pubblicato il “libro-miracolo” L’Arcano del Vietnam.
Nel 2018 sono stati ristampati (con la revisione di Raffaella Marzano, in una nuova edizione) i primi due libri di Hirschman pubblicati in Italia “Quello che conta” e “Soglia infinita”.
Nel 2019 viene pubblicato (sempre in lingua originale) il terzo volume “The Arcanes”.
Per fine 2021 è prevista la pubblicazione del quarto volume “The Arcanes”.
Breve Biografia di Ewa Lipska poetessa e pubblicista, è nata a Cracovia l’8 ottobre 1945. Comincia a scrivere versi già negli anni del liceo. Debutta come poetessa nel 1961, pubblicando sul quotidiano Gazeta Krakowska la poesie Krakowska noc (Notte cracoviana), Smutek (Tristezza) e Van Gogh. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Cracovia. Dal 1970 al 1980 lavora presso la prestigiosa casa editrice Wydawnictwo Literackie, dove cura le collane di poesia, continuando la sua attività creativa. Dal 1995 al 1997 direttrice dell’Istituto Polacco di Vienna. Cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “Pismo”. Vicepresidente del PEN Club polacco. Ha ricevuto molti prestigiosi premi nazionali e internazionali per la sua creazione letteraria. Le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in quasi 40 lingue. Autrice di numerose raccolte poetiche, tra le ultime: Ja (Io 2004), Pogłos (Rimbombo 2010), per la quale ha ricevuto il premio “Gdynia”, e Droga pani Schubert… (Cara signora Schubert…, 2012), 20 poesie scelte (CFR 2014), Il lettore di impronte digitali (titolo originale Czytnik linii papilarnych, Donzelli 2017). Ha scritto inoltre diversi testi poetici di canzoni di successo.
Ewa Lipska poesie
Forse
Forse ancora mi resterà sbiadita come inutile verso una fotografia. L’ultima separazione il cielo con la pioggia svolgerà su tamburi. E il giorno verrà il giorno verrà il giorno verrà nel tuo grigio stinto vestito nella fotografia così piccola così concisa che è possibile stringere in una mano. E più non so più non so più non so se tu eri o sei o sarai forse guardi e di rimpianto è il grigiore forse soltanto con noncuranza gioisci forse pensi che la vecchiaia già vecchiaia adesso da me con impeto si affretti. Tu ti sei fermata e aspetti. Io sono in cammino. Tu negli occhi aperti ti sei fermata. Ed io guardare non posso non posso. Perciò guardo mortalmente ostinata.
– Vetri
Che pena guardare quei vetri oblunghi. Donne assonnate si tolgono il trucco dal volto. E accanto cupi passano i viaggiatori. Dietro di loro c‘è il paesaggio. La truppa marcia. Nel paesaggio ci sono i tavoli. Sui tavoli c’è il vino. A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il sorriso. E nel sorriso c’è la tristezza. E tutto è come al cinema in quei vetri oblunghi. Nella ragazza c’è il sorriso.
Fa pena guardare. Donne assonnate. Nelle donne c’è l’amore. Nell’amore c’è la fine. E poi ci sono solo vetri oblunghi e la tristezza. Viaggiatori. Nell’amore c’è la fine.
Nei viaggiatori c’è il treno. Battono in essi le ruote. E nelle ruote c’è l’eternità. Nell’eternità c’è la paura. E nella paura c’è il silenzio. E nel silenzio il più silenzioso. Nei viaggiatori c’è il treno. E il continuo gioco delle ruote.
Che pena guardare. La truppa marcia. Nel soldato c’è la pallottola. E nella pallottola c’è la morte. E nella morte c’è tutto e nulla c’è nella morte. E nel sorriso c’è la tristezza. Nell’amore c’è la fine.
A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il cuore. E nel cuore c’è un soldato. Nel soldato c’è la pallottola. E piange la ragazza. Passano i viaggiatori. La fresca notte si specchia nei vetri oblunghi.
Nessuno
Sono d’accordo su questo paesaggio che non esiste. Mio padre regge nella mano il violino. I bambini leccano il suono. La corrente d’aria investe i petali delle rose. Poi la guerra. Ci perdiamo di vista. A frasi intere si celano le parole. La stanza vuota parcheggiata nell’oscurità dell’edificio. Prego lasciare un biglietto dice nessuno.
Natura morta
La natura morta comincia a guastarsi. Arrugginiscono le viti dei giaggioli. Dalla frutta di Chardin Courbet Cézanne si leva un odore nauseante. La tela perde la vista. Nel bicchiere una pietra di vino. Insopportabile il nero. Profetiche visioni dei dittatori della moda: si approssima l’epoca dei lampi. Piante terrestri anfibi e mammiferi soffierà via il corno. Il tempo accadrà sempre più raramente. Sarà sempre più breve. Sempre di meno. Dunque togli dalla borsetta il nostro amore. E affrettati. Un brandello di oltremare annuncia che faremo in tempo a ridere.
Amore
L’amore è un indovino. Prevede se stesso te e me. E’ del popolo eletto e usa una lingua ad alta tensione. Nella Biblioteca Nazionale macchia perfino i libri poco letti. In una valanga di cori scopre un’eco di euforia e di morte. E quando ti raggiungerà cerca di essere in casa. O qualcosa del genere. Pur di incontrarvi.
Sogno
Il sogno mi dava quindici possibilità. Tre vie d’uscita da una situazione alquanto difficile. In una di esse bisognava usare la chiave che tenevo in mano. Nel sogno proiettavano un film sulla fine del mondo. Nessuno dei presenti in sala ha chiesto: e dopo? Le poesie scritte nel sogno erano molto buone. Quelle non scritte affatto – non erano peggiori. Il tempo era come doveva essere. Bisognava con tutto questo andare verso la veglia. Mi ha sorpassata un gruppo di atleti che correvano oltre il tempo. Una vecchietta ha preso un sonnifero ed è tornata indietro. La veglia è sopraggiunta inattesa. Le ho comunicato soltanto il dolore alla testa posata male sul bianco cuscino.
Mia sorella
Mia sorella ancora non sa che il mondo è condannato all’atlante. E l’atlante è un enorme piatto eternamente affamato. E’ un giornale di paesi-modelli ritagliati. A volte fuori moda. Che all’improvviso tutto è chiaro quando si esce dal cinema. Che le idee aderiscono perfettamente ai manichini. Che non c’è morte che serva di esempio. Che la morte è soltanto di natura. Che volendo guardare il cielo bisogna portarlo prima alla censura. Che il più alto sapere è nella biblioteca dello spazio. Che l’amore è amore. E l’amore è un giardino. Che in questo giardino bisogna sfuggire l’autunno. Che in un giardino non si può sfuggire l’autunno. Che nessuno impedirà più la divisione delle cellule. Che la vita è finita quando comincia. Che Isolda è vecchia. Soffre di reumatismi. Che la storia è una grande pattumiera. Serve a far sparire le date e a spaventare i bambini. Che quando la notte per un attimo gli occhi ci adombra si risvegliano in noi gli uccelli gridando: Terra! Terra! E allora scopriamo un nuovo continente: l’Uomo che sulle palpebre la calda mano ci posa… Ma mia sorella sa già Che A come Ada.
*
Non mi ha salvata l’alluvione benché giacessi già sul fondo. Non mi ha salvata l‘incendio benché bruciassi per molti anni. Non mi hanno salvata le disgrazie benché mi investissero treni e automobili. Non mi hanno salvata gli aerei che sono esplosi con me nell’aria. Si sono abbattute su di me le mura di grandi città. Non mi hanno salvata i funghi velenosi né i precisi tiri dei plotoni d’esecuzione. Non mi ha salvata la fine del mondo perché non ne ha avuto il tempo. Nulla mi ha salvata. VIVO.
Certificato di garanzia
La nostra macchina da matrimonio si è inceppata all’improvviso. E benché continuiamo a pelare i pomodori a tagliare sottilmente l’aglio a infarcire la serata di parole sul sesso e a mangiare ricordo dopo ricordo cerchiamo nervosamente il certificato di garanzia che mantiene la parola.
L’esame
L’esame per il posto di re andò a meraviglia. Si presentarono alcuni re e un apprendista re. Fu scelto re un certo re che doveva essere re. Ottenne punti extra per le origini l’educazione spartana e per il sorriso che prese tutti alla gola. In storia rivelò notevoli capacità di sorvolare. La lingua obbligatoria risultò la sua madrelingua. Quando toccò il tema dell’arte avvinse il cuore della commissione. Uno dei membri della commissione avvinse un po’ troppo forte. Sì quello era davvero un re. Il presidente della commissione corse a chiamare il popolo per consegnarlo solennemente al re. Il popolo era rilegato in pelle.
. A due voci
– Non sarò più tua moglie. – Non sarò più tuo marito. – I bambini non capiranno cos’è accaduto. – Bisogna mandarli al cinema. – I segugi dei miei pensieri hanno fiutato la separazione. – Una grossa cicatrice dopo questo amore resterà. – Lo seppelliremo visto che è giunto così insensato. – Le sentinelle dei ricordi metteremo presso la bara. – Quanto si può tenere un cadavere in casa? – Quanto si può tenere un cadavere nel cuore? – Faremo brevi discorsi. – Gli augureremo ogni bene. – Affinché non ritorni. – Forse ancora una volta… – Non ci troverà in casa. Andiamo in tintoria. – Troppo incauti siamo stati con noi stessi. Prima dell’alluvione fuggivamo verso il fiume. – Prima della siccità fuggivamo verso il sole. Eternamente stanchi abusavamo della farmacia. – Coprivamo le orecchie quando l’orologio ci minacciava sonando l’allarme sonando l’allarme. – Ci separavamo per ulteriori incontri su una funivia. Fissando il baratro sceglievamo l’amore che ci occorreva. – Eravamo atterriti dalla profondità del destino. – Soli come il deserto che non spera più nel cielo. – E soltanto del nostro amore ancora la camicetta di seta. Del nostro amore il pettine. – E le labbra che impediscono l’accesso alla parola. – La sera fa già fresco. Prendiamo i cappotti dei bambini. – E andiamogli incontro. Il cinema è lontano.
Il giorno dei Vivi
Nel giorno dei Vivi i morti giungono alle loro tombe – accendono le luci al neon e piantano i crisantemi delle antenne sui tetti dei multipiani sepolcri a riscaldamento centralizzato. Poi scendono con gli ascensori verso il quotidiano lavoro: la morte.
Poesie tradotte da Paolo Statutiè nato a Roma il 1 giugno 1936. Nel 1963 si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Roma. Nello stesso anno è stato assunto come impiegato dalle Linee Aeree Italiane Alitalia, che ha lasciato nel 1980. Nel 1975, presso la stessa Università romana, ha conseguito la laurea in lingua e letteratura russa ed altre lingue slave (allievo di Angelo Maria Ripellino). Nel 1982 ha debuttato in Polonia come poeta e nel 1985 come prosatore. E’ autore di numerose traduzioni letterarie pubblicate (prosa e poesia) dal russo, ceco e soprattutto dal polacco nella lingua italiana. Ha collaborato con diverse riviste letterarie polacche e italiane. Nel 1987 ha pubblicato in Italia due libri di favole: “Il principe-albero” e “Gocce di fantasia” (Edizioni Effelle di Marino Fabbri). Una scelta di queste favole è uscita anche in Polonia con il titolo “L’albero che era un principe” (”Drzewo, które było księciem”, Ed. Nasza Księgarnia, Warszawa, 1989). Dal 1982 al 1990 ha lavorato presso la Redazione Italiana di Radio Polonia a Varsavia, realizzando molte apprezzate trasmissioni prevalentemente letterarie. Nel 1990 ha ricevuto il premio annuale della Associazione di Cultura Europea – Sezione Polacca, per i meriti conseguiti nella divulgazione della cultura polacca in Italia. Negli anni 1991-1997 ha insegnato la lingua italiana presso il liceo statale “J. Dąbrowski”di Varsavia ed ha preparato l’esame scritto di maturità in questa lingua, a livello nazionale, per conto del Provveditorato Polacco agli Studi. A gennaio del 2012 ha creato un suo blog: musashop.wordpress.com, dedicato a poesia, musica e pittura, dove pubblica in particolare le sue traduzioni di poesia polacca e russa. Recentemente sono uscite in Italia nella sua versione raccolte di poesie di: Małgorzata Hillar, Urszula Kozioł, Ewa Lipska, Halina Poświatowska e sono in corso di stampa: K.I. Gałczyński, Anna Kamieńska e Anna Świrszczyńska. Pratica anche la pittura (olio e pastello) ed ha al suo attivo 9 mostre personali in Polonia, dove risiede da molti anni.
Cenni biografici di Claribel Alegría si laurea a Washington in filosofia e letteratura, poi torna nel suo Paese e aderisce al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, movimento di ispirazione marxista, partecipando alle manifestazioni non violente contro il dittatore Somoza.
Nel frattempo Claribel diviene poetessa e scrittrice, pubblicando opere tra raccolte poetiche, saggi, romanzi e libri per bambini, fino a essere considerata tra le maggiori esponenti della letteratura del Centro America e venendo candidata al premio Nobel nel 2016.
“Sua maestà, la regina della poesia” si spegne a Managua nel 2018.
Testamento-
Ai miei figli
“Vi lascio una scala
traballante
incompiuta
con qualche scalino rotto
alcuni marci
e più di uno
intero.
Riparatela
mettetela in piedi
saliteci sopra
salite
fino a toccare la luce.”
Da Alterità
(traduzione di Daniela Ruggiu)
Otredad
Me gustan los espejos
porque observo
a la otra
que se quita la máscara y me reta.
Alterità
Mi piacciono gli specchi
perché osservo
l’altra
che si toglie la maschera e mi sfida.
Lluvia
Te escucho
lluvia
te escucho
y sé que te escucharé
cuando empapes
mis cenizas
bailando sobre mi tumba.
Pioggia
Ti ascolto
pioggia
ti ascolto
e so che ti ascolterò
quando impregnerai
le mie ceneri
ballando sulla mia tomba.
Da Voci
(traduzione di Zingonia Zingone e Marina Benedetto)
La tortuga
En mi caparazón
llevo cincelado
el universo
me pesa tanto y más
apenas puedo dar
pasos cortitos
y hundo la cabeza
cuando pienso
que no tengo las llaves
para abrirlo
y escaparme lejos
y reírme desnuda
entre la hierba.
La tartaruga
Sul mio guscio
porto cesellato
l’universo
mi pesa così tanto
a stento posso fare
qualche passettino
e nascondo la testa
quando penso
che non ho le chiavi
per aprirlo
e fuggire lontano
e ridere nuda
in mezzo all’erba.
La rosa
No quiero desprenderme
de mi tallo
uno a uno
se me caen los pétalos
pero siempre hay perfume
en los que viven
y yo los desafío
desafío al perfume
a escaparse
a saturar el aire
a columpiarse
a ungir mi cadáver
mientras caigo.
La rosa
Non voglio staccarmi
dal gambo
uno a uno
cadono i miei petali
ma il profumo persiste
in quelli vivi
e io li sfido
sfido il profumo
a fuggire
a saturare l’aria
a volteggiare
a ungere il mio cadavere
mentre cado.
Testamento A mis hijos
Les dejo una escalera
tambaleante
inconclusa
tiene peldaños rotos
otros están podridos
y más de alguno
entero.
Repárenla
elévenla
suban por ella
suban
hasta tocar la luz.
Testamento Ai miei figli
Vi lascio una scala
traballante
incompiuta
con qualche scalino rotto
alcuni marci
e più di uno
intero.
Riparatela
mettetela in piedi
saliteci sopra
salite
fino a toccare la luce.
Claribel Alegría è una delle voci poetiche più vitali, puntuali, chiare e belle del novecento ispanoamericano. Nata in Nicaragua nel 1924 e cresciuta in El Salvador, amava dirsi “salva-guense”, forse per non fare torti né alla madre salvadoregna né al padre nicaraguense. Fin da bambina sognava di diventare una scrittrice e in cuor suo sapeva che un giorno sarebbe stata famosa. Forse per questo, quando ha ricevuto a 93 anni, dalle mani della regina di Spagna, la più importante onorificenza poetica della lingua spagnola – il “Premio Reina Sofía de poesía iberoamericana” – la Alegría, conosciuta in Centro America come “Sua Maestà, la regina della poesia”, sorrideva soddisfatta e raggiante, e si muoveva a perfetto agio nel Palazzo Reale. Quel giorno nei suoi occhi brillava una luce fanciullesca, anche se sapeva già di aver compiuto la sua missione letteraria – con oltre 30 titoli pubblicati tra raccolte poetiche, romanzi, saggi e libri per bambini – e di vita, e che presto sarebbe tornata a casa sua, in Nicaragua, per affrontare il salto verso l’ignoto.
La vita di Claribel è stata sin dall’infanzia segnata da incontri con persone di grande statura intellettuale. La casa dei suoi genitori, nella macondiana cittadina di Santa Ana, era frequentata da personaggi di rilievo come il poeta e sacerdote nicaraguense Azarías H. Pallais e il filosofo messicano José Vasconcelos. Quest’ultimo, avvertendo il potenziale dell’irrequieta Claribel che declamava Darío e citava Rilke, convinse il padre a mandarla a New Orleans a completare gli studi liceali. In seguito, nel 1943 Claribel si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia presso la George Washington University dove si laureò nel 1948. Quello stesso anno, con l’aiuto del suo severissimo mentore, il Premio Nobel spagnolo Juan Ramón Jiménez, uscì la sua prima raccolta di poesie di stampo lirico intitolata Anillo de silencio. Sempre in quel periodo la Alegría conobbe il giornalista e diplomatico americano Darwin Flakoll, detto “Bud”, con il quale si sposò ed ebbe quattro figli. I giovani sposi abitarono in diversi paesi del Sudamerica e strinsero amicizia con i maggiori esponenti del mondo letterario contemporaneo, come ad esempio Julio Cortázar, Mario Benedetti, Juan Rulfo e Mario Vargas Llosa. Insieme, Claribel e Bud, detti “Claribud”, debuttarono come coppia letteraria raccogliendo queste ed altre voci promettenti in un’antologia bilingue che venne pubblicata con il titolo New Voices of Hispanic America (Beacon Press, 1962).
Dopo aver girovagato per l’America Latina, la famiglia si spostò a Parigi, dove Claribel conobbe altri illustri scrittori come Carlos Fuentes, Octavio Paz e Italo Calvino, e in seguito a Mallorca, nel piccolo villaggio bohémien di Deià, residenza dello scrittore britannico Robert Graves del quale divennero vicini di casa. In seguito a questa amicizia, Claribel e Bud tradussero in spagnolo e una raccolta di cento poesie di Graves che venne pubblicata in Spagna.
La maggior parte degli intellettuali latinoamericani che frequentava la Alegría in Europa si trovava in esilio a causa delle dittature nei loro paesi. Questo la spinse ad interessarsi alla situazione cubana e a maturare convinzioni politiche di sinistra. La sua poesia abbandonò il lirismo a favore di uno stile più asciutto e tagliente, dai toni e contenuti engagé. Successivamente, in seguito al trionfo della rivoluzione sandinista in Nicaragua nel 1979, Claribel e Bud decisero di stabilirsi definitivamente in Nicaragua e scrissero di nuovo a quattro mani libri che narravano le tormentose vicende delle dittature centroamericane. Il periodo di lotta pacifica e intenso impegno politico e sociale, andò avanti fino alla morte di Bud, nel 1995. Questo evento scosse immensamente Claribel, la quale, nonostante l’assidua e amorosa presenza dei figli, si sentiva abbandonata e incapace di colmare il terribile vuoto che aveva lasciato il marito. Strinse a sé la poesia come una tavola di salvezza (Cerco / cerco / ricerco / e non so quel che cerco / ma è questo cercare / che mi mantiene viva / e mi sprona) e si tuffò a capofitto nei temi centrali dell’esistenza umana: l’amore, la perdita, il dolore, il desiderio, la morte e la speranza.
Circondata da figli, nipoti, pronipoti e amici, Claribel ha continuato a scrivere fino alla fine dei suoi giorni. Già nel 2015 pensava di aver concluso il suo lavoro con la pubblicazione di Voci (Samuele Editore), che contiene una poesia-testamento diretta ai figli, ma all’improvviso quello stesso anno si è trovata a scrivere un lungo poema dedicato a Bud, Amore senza fine (Fili d’Aquilone, 2018). Con questo libro Claribel si lancia oltre la morte alla ricerca dell’amato tra abissi, spettri e mostri, e nella speranza trionfa l’Amore. Così, il 25 gennaio 2018, Sua Maestà Claribel Alegría si è spenta a Managua, con il sorriso sulle labbra e i figli intorno al letto. Sul suo comodino dei fogli sparsi, forse l’abbozzo di una nuova poesia.
Quando mi ucciderai / Morte / tu / per me / sarai evaporata / per sempre / io / salterò sul mio corpo / e continuerò a vivere. Claribel lascia al mondo un’opera ricca, originale, profonda ed efficace; e il suo spirito ironico e vispo che balza fuori dai versi per ricordarci che la vita va vissuta fino in fondo e con coraggio.
Sono numerosissimi i premi internazionali ottenuti da Claribel Alegría durante la sua lunga carriera poetica. Spiccano, oltre al “Premio Reina Sofía de Poesía Iberoamericana”, il premio “Casa de las Americas” conferitole a Cuba nel 1978 e il “Neustadt International Prize for Literature” del 2006. In Italia si è aggiudicata il “Premio Camaiore Internazionale” nel 2016 ed è stata insignita della commenda dell’Ordine della Stella della Solidarietà nel 2010.
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