Piero Rattalino-CHOPIN: I VALORI TRADITI E RICONQUISTATI-
Prefazione di Domenico De Masi- ZECCHINI Editore Varese
Descrizione del libro di Piero Rattalino con protagonista Chopin -Gli otto saggi qui riuniti risalgono tutti, tranne uno, al 2021 e ai primi mesi del 2022. I tre testi per booklet, la recensione di un disco e una ipotesi didattica che appaiono nella Appendice sono da intendere come esempi, non modelli, di diversi tipi di divulgazione.
Tutti questi scritti affrontano direttamente o indirettamente un tema molto scottante: quale funzione sarà o potrà essere svolta dalla musica dal vivo quando, archiviata la pandemia, si dovranno affrontare i problemi che emergeranno in anni nei quali gli stati, che per proteggere le loro popolazioni hanno contratto enormi debiti, dovranno destinare alla estinzione degli stessi una parte cospicua delle loro risorse. Come se questo non bastasse, alla pandemia si è aggiunto, a complicare ulteriormente i problemi che dovranno essere affrontati, un nuovo conflitto.
La tesi sostenuta dall’Autore è che si dovrà rinunciare alla tradizionale, blanda promozione, e che si dovrà passare a una intensa divulgazione, non soltanto recuperando i vuoti provocati nel pubblico dalla pandemia ma prodigandosi per andare oltre, e cioè per aumentare sensibilmente la platea dei fruitori della musica dal vivo, che in Italia arriva a una bassissima percentuale della popolazione e che in altri paesi presenta un quadro migliore ma non sufficiente per giustificare socialmente il sostegno economico riservato a un settore della cultura che assorbe risorse come elargizioni a fondo perduto invece che aiuti per investimenti.
Questi sono i temi che vengono direttamente o indirettamente dibattuti con analisi di tipo sia teorico che storico che sociologico e scientifico, e con proposte che postulano, senza entrare nel merito, una profonda riorganizzazione di tutto il settore.-
Piero Rattalino-CHOPIN: I VALORI TRADITI E RICONQUISTATI-Prefazione di Domenico De Masi- ZECCHINI Editore Varese-pp. XXVIII+200 – formato cm. 15×21 – Euro 25,00
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Traduzione di Saleh Zaghloul-Disegno di Alex Albadree
Saramago:”Mahmud Darwish è il più grande poeta palestinese”
LE POESIE – Solo una minima parte della sua produzione è stata, fino ad ora, tradotta in italiano (segnaliamo, ad esempio, Una trilogia palestinese, tradotta da R.Ciucani per Feltrinelli). Vi offriamo alcune delle sue poesie.
Mahmud Darwish – Poeta palestinese-Disegno di Alex Albadree
“Passanti tra le parole che passano”
Oh, voi, passanti tra le parole che passano: Prendete i vostri nomi e andatevene. Ritirate le vostre ore dal nostro tempo e andatevene. Prendete pure quanto volete dell’azzurro del mare e della sabbia della memoria. Portate via tutte le foto che volete, per sapere che non riuscirete mai a capire come possa una pietra della nostra terra reggere la volta del cielo.
Oh, voi, passanti tra le parole che passano:
Da voi la spada, e da noi il nostro sangue.
Da voi acciaio e fuoco, da noi la nostra carne.
Da voi un altro carro armato, da noi una pietra.
Da voi bombe a gas e da noi la pioggia.
Sopra di noi c’è lo stesso cielo e la stessa aria sopra di voi. Portate via la vostra parte del nostro sangue e andatevene.
Partecipate pure alla cena di gala e poi però andate via. Sta a noi vigilare sulle rose dei martiri, sta a noi vivere come vogliamo.
Oh, voi, passanti tra le parole che passano:
Come polvere amara passate dove volete ma non passate tra di noi come insetti volanti, perché noi abbiamo da fare in terra nostra, abbiamo il grano da coltivare e da innaffiare con la rugiada dei nostri corpi. E abbiamo qui per voi ciò che non vi piace: una pietra o la vostra vergogna. Portate pure il passato al mercato dell’antiquariato se volete. Ricomponete, se volete, lo scheletro all’upupa su un piatto di porcellana, noi abbiamo per voi ciò che non vi piace: abbiamo il futuro e abbiamo da fare in terra nostra.
Oh, voi, passanti tra le parole che passano:
Seppellite dentro una fossa abbandonata le vostre illusioni e andatevene.
Riportate le lancette del tempo alla legittimità del vitello d’oro o all’ora della musica di una pistola, noi abbiamo qui per voi ciò che non vi piace, andatevene dunque.
E abbiamo ciò che voi non avete: una patria che sanguina e un popolo che sanguina,
una patria adatta all’oblio o alla memoria.
Oh, voi, passanti tra le parole che passano.
È arrivato il tempo che ve ne andiate,
che dimoriate dove volete ma non da noi.
È tempo che ve ne andiate, che moriate dove volete ma non qui da noi, perché noi abbiamo da fare qui, in terra nostra.
E abbiamo il nostro passato qui e la voce iniziale della vita e abbiamo il presente e il presente e il futuro.
E abbiamo qui la vita e l’aldilà, andate dunque via dalla nostra terra, dalla nostra terraferma, e dal nostro mare, dal nostro grano, dal nostro sale e dalle nostre ferite.
Andate via da ogni cosa, e andate via dai vocaboli della memoria, oh, voi, passanti tra le parole che passano.
Mahmud Darwish – Poeta palestinese-
PENSA AGLI ALTRI
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri, non dimenticare il cibo delle colombe. Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri, non dimenticare coloro che chiedono la pace. Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri, coloro che mungono le nuvole. Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri, non dimenticare i popoli delle tende. Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri, coloro che non trovano un posto dove dormire. Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, coloro che hanno perso il diritto di esprimersi. Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso, e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
CARTA D’IDENTITA’
Ricordate! Sono un arabo E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila Ho otto bambini E il nono arriverà dopo l’estate. V’irriterete?
Ricordate! Sono un arabo, impiegato con gli operai nella cava Ho otto bambini Dalle rocce Ricavo il pane, I vestiti e I libri. Non chiedo la carità alle vostre porte Né mi umilio ai gradini della vostra camera Perciò, sarete irritati?
Ricordate! Sono un arabo, Ho un nome senza titoli E resto paziente nella terra La cui gente è irritata. Le mie radici furono usurpate prima della nascita del tempo prima dell’apertura delle ere prima dei pini, e degli alberi d’olivo E prima che crescesse l’erba. Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro, Non da un ceto privilegiato e mio nonno, era un contadino né ben cresciuto, né ben nato! Mi ha insegnato l’orgoglio del sole Prima di insegnarmi a leggere, e la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante fatta di vimini e paglia: siete soddisfatti del mio stato? Ho un nome senza titolo!
Ricordate! Sono un arabo. E voi avete rubato gli orti dei miei antenati E la terra che coltivavo Insieme ai miei figli, Senza lasciarci nulla se non queste rocce, E lo Stato prenderà anche queste, Come si mormora.
Perciò! Segnatelo in cima alla vostra prima pagina: Non odio la gente Né ho mai abusato di alcuno ma se divento affamato La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo. Prestate attenzione! Prestate attenzione! Alla mia collera Ed alla mia fame!
PROFUGO
Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: “Assassino!”,
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: “Ladro!”,
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: “Profugo!”.
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte è effimera,
né gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perché i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.
Brevissima Biografia di Mahmoud Darwish
Mahmud Darwish – Poeta palestinese-
POETA STRANIERO IN TERRA PROPRIA – Mahmoud Darwish, scrittore palestinese considerato tra i maggiori poeti del mondo arabo, ha raccontato l’orrore della guerra, dell’oppressione, dell’esilio (al-Birwa, suo villaggio natale, è stato distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba e ora non esiste più, né fisicamente né sulle cartine geografiche). Fuggito in Libano con la famiglia, per scampare alle persecuzioni sioniste, tornò in patria (divenuta terra dello Stato d’Israele) da clandestino, non potendo fare altrimenti. La sua condizione di “alieno” e di “ospite illegale” nel suo stesso paese rappresenterà uno dei capisaldi della sua produzione artistica.
ARRESTI ED ESILIO – Arrestato svariate volte per la sua condizione di illegalità e per aver recitato poesie in pubblico, Mahmoud – che esercitò anche la professione di giornalista – vagò a lungo, non avendo il permesso di vivere nella propria patria: Unione Sovietica, Egitto, Libano, Giordania, Cipro, Francia furono le principali nazioni dove il poeta, esule dalla sua terra, visse e lavorò.
Eletto membro del parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, poté visitare i suoi parenti solo nel 1996, anno in cui – dopo 26 anni di esilio – ottenne un permesso da Israele. Il poeta si spense a Houston (Texas) il 9 agosto 2008 in seguito a complicazioni post-operatorie. Mahmoud aveva infatti subito diversi interventi al cuore, l’ultimo dei quali gli fu fatale.
Traduttore Tiziana Lo Porto-GIUNTI Editore -Firenze
Patti Smith-
Descrizione-Un viaggio in diciotto stazioni a bordo del treno della mente di un’artista leggendaria come Patti Smith. M Train parte dal Café ’Ino, il minuscolo caffè del Greenwich Village dove ogni mattina Patti Smith ordina una tazza di caffè nero, pane integrale tostato e un piattino di olio d’oliva. Seduta al solito tavolo d’angolo riflette sul mondo com’è e come è stato e ne scrive sul taccuino. Tra sogno e realtà, tra passato e presente, la sua prosa visionaria ci porta in Messico sulle tracce di Frida Kahlo, a Berlino, alla conferenza di una società di esploratori dell’Artide, a Rockaway Beach, dove Patti Smith compra una casa abbandonata in riva al mare, fino alle tombe di Genet, Plath, Rimbaud e Mishima. Fotografie scattate con l’inseparabile Polaroid scandiscono il cammino e si intrecciano con le riflessioni sul mestiere dell’artista, i ricordi degli anni in Michigan e della perdita del marito, il musicista Fred Sonic Smith. Un libro potente e toccante, fatto di storie vere, viaggi, memorie, meditazioni sulle ossessioni letterarie più profonde, la passione per il caffè e quella per i telefilm, che ci conduce dritto al cuore di un’artista unica, in una nuova edizione arricchita da una postfazione dell’autrice e fotografie inedite.
Patti Smith-
Patti Smith-È scrittrice, performer e visual artist. Ha raggiunto la fama negli anni settanta per il suo modo rivoluzionario di fondere rock e poesia. Ha pubblicato dodici album, tra cui Horses, classificato da Rolling Stone tra i cento album migliori di tutti i tempi. Nel 2007 il suo nome è entrato nella Rock and Roll Hall of Fame e nel 2010 il ministro della cultura francese l’ha insignita del titolo di Commendatore dell’Ordine delle Arti e delle Lettere. Il suo memoir Just Kids ha vinto nel 2010 il National Book Award per la sezione non fiction. Di Patti Smith Bompiani ha pubblicato Mar dei Coralli (1996), I tessitori di sogni (2013), M Train (2016) Devotion (2018) e L’anno della scimmia (2020).
Originaria di Chicago, ma cresciuta a Pitman (New Jersey), Patricia Lee Smith approda a New York nel 1967. È già ragazza madre e scrive le sue prime poesie. Vive anche con cinque dollari al giorno, dormendo in metropolitana o sulle scale esterne degli edifici. Con il fotografo Robert Mapplethorpe ha un’intensa storia d’amore e di amicizia, di cui resteranno indelebili immagini in bianco e nero: i due vivono insieme, tra passioni, arte e droghe, fino al 1972, quando Mapplethorpe lascia la camera al Chelsea Hotel per andare a vivere con il gallerista Sam Wagstaff di cui si è innamorato. Attratta fin da adolescente dai grandi spiriti maledetti del rock, da Jim Morrison a Lou Reed, da Janis Joplin a Bob Dylan, Patti incontra quest’ultimo, in camerino, dopo un concerto all’Other End. E fa la spaccona. “Ci sono poeti da queste parti?”, chiede Dylan. “Non mi piace più la poesia, la poesia fa schifo”, lo gela la Smith. Ma il giorno dopo la copertina del “Village Voice” li ritrae abbracciati. E da quel giorno Patti troverà in Dylan un amico, oltre che un maestro. Per almeno otto anni, in ogni caso, è costretta a barcamenarsi come commessa in un negozio di libri, critica di una rivista musicale, drammaturga. Quindi riesce a entrare nel giro dell’intellighenzia newyorkese, conoscendo personaggi influenti come Andy Warhol e Sam Shepard e Lou Reed, oltre allo stesso Dylan. La Grande Mela la stregherà per sempre, tanto da indurla a tornarvi anche dopo la lunga parentesi di Detroit seguita al ritiro dalle scene nel 1980. “New York mi affascina – racconterà – con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei parchi, nelle strade, e nessuno mi ha mai fatto del male. Vivere lì è come stare in una grande comunità”.
E a New York Patti Smith fa la sua prima apparizione in pubblico nel 1969 (nei panni di un uomo) nella commedia “Femme fatale”. Poi, scrive testi per i Blue Oyster Cult del suo compagno Allen Lanier, ha una relazione con Tom Verlaine dei Television di cui si invaghisce follemente (il rapporto “a tre” con Lanier e Verlaine sarà descritto nel 1979 nel brano “We Three”) e compone le musiche per le proprie recitazioni libere, una tradizione di New York che in lei trova un’interprete suggestiva, sostenuta dalle chitarre inquietanti di Lanny Kaye. Ed è nei leggendari templi underground newyorkesi, come Cbgb’s e Other End, che Patti Smith spopola insieme ai futuri compagni di strada: Television, Talking Heads, Ramones, Blondie. Il suo primo singolo, “Hey Joe/ Piss factory”, segna l’anno zero della new wave americana. Sarà Lou Reed in persona a metterla in contatto con Clive Davis, presidente dell’Arista, che diventerà la sua etichetta storica.
Città del Vaticano-Giubileo 2025, una quattro giorni dedicata agli artisti e alla cultura –
Città del Vaticano-Giubileo 2025-Si è svolta stamattina, 12 febbraio, presso la Sala Stampa della Santa Sede, nella cornice del Giubileo della Speranza 2025, la presentazione del Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura che si terrà dal 15 al 18 febbraio. Il palinsesto ufficiale dell’evento, rivolto non solo agli artisti ma anche a quanti operano nelle istituzioni culturali e museali, si configura, nelle parole del cardinale José Tolentino de Mendonça, nonché prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, come «un grande incontro veramente mondiale, dal momento che riunisce più di 10mila partecipanti iscritti, provenienti da oltre 100 nazioni dei cinque continenti». Oltre al cardinale, hanno preso parte alla conferenza Lucia Borgonzoni, sottosegretario di Stato al Ministero della Cultura, Lina Di Domenico, capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia della Repubblica Italiana, Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani Cristiana Perrella, curatrice dello spazio Conciliazione 5 per l’Anno Santo 2025, Raffaella Perna, curatrice della mostra «Global Visual Poetry: traiettorie transnazionali nella Poesia Visiva», e Umberto Vattani, curatore del progetto «Bill Fontana. Gli echi muti di una grande scultura sonora».
De Mendonça ha esordito citando le parole del Santo Padre nella Bolla d’indizione del Giubileo: «Tutti sperano. Questa frase programmatica, che è alla base delle diverse iniziative che promuoveremo, da un lato rafforza la coscienza che la speranza è un’esperienza antropologica globale, che pulsa al cuore di ogni cultura, e dall’altro ci pone la sfida concreta di dare vita a occasione creative che consentano a tutti e a ciascuno di rianimare la speranza. Ci interrogheremo su come l’arte contemporanea possa veicolare questo sentimento».
Il programma dell’appuntamento giubilare seguirà il seguente calendario: sabato 15, a partire dalle ore 10, i Musei Vaticani ospiteranno l’incontro internazionale «Sharing hope-Horizons for Cultural Heritage», dove i responsabili dei grandi musei e delle istituzioni culturali, sempre nelle parole del cardinale «immagineranno forme di impegno comune». Come ha precisato Barbara Jatta, «abbiamo voluto celebrare non solo il Giubileo degli artisti, ma anche di tutti gli operatori del mondo dell’arte, storici, direttori, curatori. Con loro sottoscriveremo un Manifesto educativo sulla trasmissione del codice culturale delle religioni, un impegno che ci prendiamo in nome della speranza». Alle ore 18 si terrà l’inaugurazione dello spazio espositivo Conciliazione 5, «una galleria su strada, ha spiegato il de Mendonça, su via della Conciliazione, destinata a rimanere aperta anche oltre il Giubileo. La mostra inaugurale è un progetto del maestro Yan Pei-Ming, curato da Cristiana Perrella, che mette al centro affettivo e visivo dell’attenzione la comunità del Regina Coeli, il carcere “a km zero” da San Pietro. I ritratti di detenuti, detenute e operatori del carcere, saranno esposti presso lo spazio Conciliazione 5, e proiettati sulla facciata dello stesso Istituto penitenziario». Il progetto di Yan Pei-Ming, come ha illustrato Perrella «consiste in un polittico dal titolo “Oltre il muro. Regina Coeli Roma”, composto da 27 ritratti ad acquerello, di grande formato, realizzati dall’artista nel suo studio di Shangai in venti giorni, sulla base di fotografie scattate nel carcere da Daniele Molajoli. Conciliazione 5 è uno spazio di piccole dimensioni, grande poco più di 30 metri ma che ha grandi intenzioni, e uno scopo altrettanto forte».
Domenica 16 le iniziative si concentreranno in San Pietro, dove papa Francesco presiederà la celebrazione dell’Eucarestia, aperta a tutti e in particolare a quanti operano nelle arti e nella cultura. Dalle ore 20 si svolgerà, sempre a San Pietro, la Notte Bianca. Sotto il portico della basilica, i pellegrini saranno accolti dall’installazione sonora «Gli echi muti di una grande scultura sonora-Il Campanone di San Pietro», dell’artista Bill Fontana, curata da Umberto Vattani e Valentino Catricalà. Seguirà la visita alla basilica che avverrà, sempre secondo le parole del cardinale, «secondo una sorprendente coreografia spirituale».
Lunedì 17, alle ore 10, si terrà la prima visita di un pontefice a Cinecittà. Il papa incontrerà una delegazione di artisti e protagonisti del mondo della cultura, e sarà accolto da un coro molto speciale, quello degli Amici della Nave, composto da detenuti, ex-detenuti e volontari del carcere San Vittore di Milano. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il Ministero della Cultura della Repubblica Italiana e Cinecittà SpA.
Martedì 18, infine, sarà inaugurata, negli spazi del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, la mostra «Global Visual Poetry», curata da Raffaella Perna, in collaborazione con Frittelli Arte Contemporanea. «Si tratta di una mostra, spiega Perna, che raccoglie 267 opere realizzate da 87 artisti (fra gli anni Cinquanta e Settanta) operanti in varie regioni del mondo. Una caratteristica della poesia visiva è proprio la sua capacità di superare steccati geografici, identitari e barriere ideologiche, creando una comunanza di ricerca artistica e scientifica sulla parola. Altra peculiarità di questa corrente è la sua istanza pacifista, quanto mai attuale. Proprio per questo abbiamo scelto, come immagine guida della mostra, l’opera di Lucia Marcucci “Pax”, un valore in cui tutti possiamo riconoscerci».
Gli appuntamenti del Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura sono realizzati in collaborazione e con il supporto di: Ministero della Cultura della Repubblica Italiana; Ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria; Musei Vaticani; Cinecittà SpA; Enel SpA.; Società Italiana degli Autori ed Editori (Siae); St. Simon Parish, Los Altos (California); Montalvo Arts Centre, Saratoga (California).
Dai canti antichi allo splendore della poesia di corte (VIII-XII secolo)-cura di Edoardo Gerlini-MARSILIO Editori-
-DESCRIZIONE-del’Antologia della Poesia giapponese – a cura di Edoardo Gerlini-Marsilio Editori–Fin dai primi contatti con l’Occidente la poesia giapponese non ha smesso di colpire l’immaginazione degli europei per via delle sue peculiari caratteristiche come la brevità dei componimenti, il costante riferimento agli elementi naturali, la particolare importanza data alla calligrafia, la sostanziale assenza di rima compensata dalla scelta di strutture ritmiche e prosodiche estremamente durature: caratteristiche queste spesso fraintese o deformate da una visione tipicamente orientalista ed eurocentrica di stampo novecentesco. Questo inedito progetto editoriale in tre volumi, corrispondenti al periodo antico (fino al 1185), periodo medievale (fino al 1868) e periodo moderno (fino alla fine del secolo scorso), si propone di selezionare e presentare sotto una nuova luce versi, canti e liriche prodotti in Giappone nell’arco di più di diciotto secoli. Un ricco apparato critico e il testo a fronte rendono questa antologia un prezioso strumento di studio e riferimento sia per l’esperto di culture dell’Asia orientale che per il semplice appassionato di poesia e letteratura mondiale.
Il primo volume dell’Antologia, Dai canti antichi allo splendore della poesia di corte (VIII-XII secolo), raccoglie più di trecento componimenti scaturiti dal pennello di circa un centinaio tra i più rappresentativi poeti dei periodi Nara (710-794) e Heian (794-1185). Le venti sezioni che compongono il volume corrispondono alle più importanti raccolte e antologie compilate nei primi secoli della storia della letteratura giapponese, come il Man’yōshū, il Kokinshū, il Kaifūsō, ma anche opere mai tradotte in italiano come il Kudai waka o lo Honch ō monzui. Canti religiosi, struggenti poesie d’amore, elaborati giochi di parole e artifici retorici che diventeranno modello imprescindibile per tutta la successiva storia letteraria dell’arcipelago. Un’attenzione particolare è stata inoltre dedicata alla poesia in cinese composta da giapponesi, che rappresenta l’altra faccia di questa tradizione poetica, spesso sconosciuta al lettore europeo.
Edoardo Gerlini
Edoardo Gerlini -Ricercatore-Università Ca’ Foscari di Venezia
SSD-LINGUE E LETTERATURE DEL GIAPPONE E DELLA COREA [L-OR/22]
Struttura-Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea Sito web struttura: https://www.unive.it/dsaam Sede: Palazzo Vendramin-Research Institute for Digital and Cultural Heritage
-L’antica poesia giapponese ci parla quasi in italiano –
Antologia della poesia giapponese
Articolo di Daniele Abbiati
FONTE Articolo-IL GIORNALE ON LINE S.R.L.
Una lingua profondamente diversa dalla nostra ma in cui ritroviamo Petrarca, Leopardi, Merini…
Articolo di Daniele Abbiati–La lingua giapponese non è soltanto figlia della lingua cinese, ne è anche allieva. Un’allieva fedele, solerte e molto, molto paziente, perché cominciò a studiare un secolo prima della nascita di Cristo e finì (anche se, come sappiamo, non si finisce mai di imparare…) al termine del XIX secolo, quando si poté dire che i giapponesi parlavano e scrivevano secondo un autentico (e autoctono e autonomo) «canone giapponese». Anche noi, qui in Europa, abbiamo dovuto sudare per costruirci l’italiano, il francese, lo spagnolo e via, appunto, discorrendo. Ma il nostro corso di studi è stato molto più accelerato, decisamente più breve di una laurea breve, in confronto a quello dei giapponesi. Per due motivi. Da un lato i maestri latini avevano già acquisito, in centinaia e centinaia di anni, il patrimonio culturale di altri maestri, quelli greci, cucinandolo da par loro. Dall’altro… ma a questo punto è meglio cedere la parola a chi ha facoltà di parlare: «mentre con un alfabeto fonetico come quello latino siamo teoricamente in grado, una volta apprese le convenzioni ortografiche e fonetiche basilari, di pronunciare correttamente anche parole di una lingua che non conosciamo, con i sinogrammi è praticamente impossibile conoscere con totale certezza la pronuncia di un carattere che non abbiamo mai visto, ed è di conseguenza molto difficile risalire esattamente al tipo di pronuncia legata a un determinato carattere in una certa area o contesto storico». Lo spiega Edoardo Gerlini, docente di Lingua giapponese classica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Insomma, a noi studenti europei l’alfabeto fonetico latino ha dato una grossissima mano, mentre dall’altra parte del mondo i nostri omologhi giapponesi hanno dovuto vedersela con quella sorta di rebus spaccameningi dei sinogrammi.
Gerlini ha curato per Marsilio il primo volume di un progetto editoriale inedito (e non soltanto perché contiene anche testi giapponesi mai tradotti in italiano): Antologia della poesia giapponese. I. Dai canti antichi allo splendore della poesia di corte (VIII-XII secolo). Nell’Introduzione al volume, cui ne seguiranno due, fino a giungere ai nostri giorni, Gerlini dice molte cose che noi occidentali mediamente acculturati non potremmo immaginarci, portandoci oltre le porte di Tannhäuser (guarda caso, ecco un altro poeta, per quanto tedesco) che si aprono su un lontanissimo universo linguistico. Per esempio si dice che in Giappone il bilinguismo paritetico è proseguito fino agli inizi del Novecento; che i giapponesi lentamente si affrancarono dalla dittatura dei sinogrammi dotandosi dell’alfabeto fonetico dei katakana, molto più semplice da leggere e quindi da diffondere; che fu la scrittura onnade, cioè «per mano di donna», divergendo da quella otokode, cioè «per mano di uomo», a emancipare le lettere giapponesi. Così, seguendo la lezione del prof Gerlini, il lettore/studente completamente digiuno di sinologia e rimasto fermo alla fascinazione fluttuante di qualche haiku, quindi al XVII secolo, quando la lingua giapponese già si reggeva sulle proprie gambe, un po’ si preoccupa, aspettandosi una materia oscura e impenetrabile.
E sbaglia, perché fin dalle prime pagine dell’antologia che presenta i testi in giapponese e in italiano, scopre (vale a dire: ricorda) che, al netto degli artifici retorici, pur importantissimi e caratterizzanti ogni lingua, l’anima della Poesia distillata dai traduttori parla un solo idioma in tutto il mondo. Per tutte le poesie vale la definizione che di quella giapponese diede, fra IX e X secolo, il poeta e funzionario di corte Ki no Tsurayuki: «ha come seme il cuore dell’uomo, che si tramuta, ecco, in innumerevoli foglie di parola». Prendiamo ad esempio un canto shintoista: «Dai remoti tempi/ delle auguste divinità,/ le foglie di bambù nano/ prendendo in mano, dicono,/ si cantava e si danzava». Ma questo è Platone, quando nel Fedone riporta il detto dei preposti ai Misteri: «i portatori di ferule sono molti, ma i Bacchi sono pochi»… E prendiamo questi versi di Kasa no Iratsume dal Man’yoshu, la più antica antologia di poesia giapponese: «Come candida rugiada/ sull’erbe all’ombra della sera/ nella mia dimora/ che sembra svanire, vano/ è forse il mio rimembrarti». Non sentiamo un’aria petrarchesca, in quel «rimembrarti»? Eccola qui, Sonetto CCXXXI. «E ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora». E Mansei che scrive: «Il mondo umano/ a che cosa compararlo?/ A una nave che vogando/ lascia il porto all’alba/ senza tracce dietro di sé…» ci suona vicino al giovane e senile Leopardi come in questo Pensiero XXXIX: «Però parmi che i vecchi sieno alla condizion di quelli che partendosi dal porto tengon gli occhi in terra, e par loro che la nave stia ferma e la riva si parta». E ancora qui, in queste sinestesie: «Freddo il suono delle foglie che cadono…», oppure «La fredda voce del grillo, soffiata qui dal vento…», echeggia Foscolo: «mentr’io sentia dai crin d’oro commosse/ spirar d’ambrosia l’aure innamorate». L’amore, certo, e per giunta proprio quello cortese, sbocciato dalle parti dell’imperatore di turno, l’amore che trabocca per Minamoto no Yoshi: «Un corso d’acqua montana/ tra gli alberi/ freme nascosto, impetuoso/ il mio amore,/ e più non riesco oramai ad arginarlo», parallelo a quello di Alda Merini: «Ruscello vivo è l’amore che corre/ nei giardini dei poeti/ e genera rose, e genera pioggia e pianto».
Dunque, fra raccolte imperiali, sillogi personali, collezioni che escono dalla comfort zone dei palazzi nobiliari per scendere fino a sfiorare i sentimenti del volgo, questa antologia dell’antica poesia giapponese ci conforta. Mostrandoci un’altra, eccelsa interpretazione di uno spartito che è anche il nostro.
Descrizione del libro di Giuseppe Berto- Il brigante -Nel 1951, l’anno in cui pubblica Il brigante, Berto è già uno scrittore affermato. I due libri precedenti, Il cielo è rosso e Le opere di Dio, composti nell’isolamento del campo di prigionia di Hereford e apparsi tra il 1947 e il 1948, erano stati accolti favorevolmente in Italia e all’estero, dove la stampa non aveva mancato di accostare lo scrittore ai maestri del neorealismo cinematografico italiano. Con Il brigante, Berto decide dunque di rendere aperto omaggio al romanzo al cui centro vi siano scottanti problemi sociali – dirà successivamente di aver scritto un libro «marxista» –, alla maniera dei narratori che, come mostra Gabriele Pedullà nello scritto che accompagna questa edizione, orbitano, in quella stagione letteraria, «attorno a Elio Vittorini e si riconoscono genericamente in un movimento neorealista dalle molte facce diverse». Traendo ispirazione da un fatto di cronaca, Berto narra la vicenda di Michele Renda, giovane reduce di guerra che, tornato nel villaggio natio tra i monti della Calabria, ingiustamente accusato di omicidio, si dà alla macchia e diventa un brigante. Una storia che consente all’autore del Cielo è rosso di porre in risalto «il conflitto assoluto di Bene e di Male, lo scandalo della virtú perseguitata, la riscossa delle vittime innocenti» (Gabriele Pedullà), e di comporre pagine particolarmente felici sulla vita delle campagne calabresi in un momento di radicale trasformazione. Come, tuttavia, Berto farà notare nella prefazione all’edizione del 1974, Il brigante non è un romanzo interamente ascrivibile al neorealismo, al movimento culturale, cioè, che mirava alla «rigenerazione morale del paese» e al «raggiungimento d’una decente giustizia sociale». Michele Renda, il suo protagonista, è un «sorpassato», un uomo «indissolubilmente legato al mondo arcaico dell’odio, del tradimento, della vendetta» e la comunità in cui si muove, animata da dicerie, è quanto di piú lontano dal grande mito della «comunità organica». In realtà, gli elementi psicologici propri della scrittura di Berto, quelli che troveranno la loro massima espressione nel Male oscuro, sono già presenti in questo romanzo in cui un eroe, estraneo e irriducibile al suo mondo, è mosso da un universo interiore nel quale bene e male sono divisi soltanto da un esile filo. Nel 1961, Renato Castellani trasse dal Brigante un film giudicato da Berto il migliore di tutti i film tratti dai suoi romanzi, e dalla critica odierna un capolavoro della cinematografia italiana.
Giuseppe Berto
RECENSIONI
«Uno dei piú belli e tragici romanzi che siano apparsi da anni, veramente un piccolo capolavoro». Time Magazine
«Volgendosi “in presa diretta” alla Calabria piú povera e afflitta, Il brigante ripete il gesto compiuto da Berto nei primi due romanzi, dove campeggiano le distruzioni della guerra, ma il senso dell’operazione è diverso perché questa volta Berto ambisce consapevolmente a iscriversi nella letteratura impegnata del periodo». Gabriele Pedullà
Giuseppe Berto
Breve biografia di Giuseppe Berto nasce a Mogliano Veneto il 27 dicembre 1914. Nel 1947 pubblica presso Longanesi Il cielo è rosso, su segnalazione di Giovanni Comisso. Tra il 1955 e il 1978, anno in cui si spegne a Roma, dà alle stampe, oltre al Male oscuro (Neri Pozza, 2016), Guerra in camicia nera e Oh Serafina!. Con Neri Pozza sono stati ripubblicati La gloria (2017) e Anonimo veneziano (2018), per restituire all’apprezzamento dei lettori e della critica odierna l’opera di uno dei grandi autori del nostro Novecento.
Castelnuovo di Farfa- Il Murales della Memoria- di Franco Leggeri
Castelnuovo di Farfa
Castelnuovo di Farfa- 6 dicembre 2021-Il Murales della Memoria di Franco Leggeri-Biblioteca DEA SABINA-Un vecchio proverbio castelnuovese dice testualmente: “’U giornale (ora anche il web) è come u somaru, quillu che jhi carichi porta…”. Assistiamo , leggiamo, a Castelnuovo di Farfa a “Lezioni di Memoria e Appartenenza”. Grande lezione impartita a noi “vecchi ignoranti castelnuovesi” che, appunto, di Storia castelnuovese , non avendola vissuta, abbiamo un “disperato” bisogno di abbeverarci alla fonte “Ornischi” o “Bollica”. Noi vecchi castelnuovesi stiamo apprendendo cosa significa essere ignoranti. Se ben ricordo , in teoria, l’ignorante è chi dice <non so>, ma in realtà , a mio avviso, dopo aver letto vari articoli relativi alla “Memoria e Appartenenza” credo che, in verità oggi, a Castelnuovo è colui che <non sa e non conosce la Storia castelnuovese > ma la vuole spiegare ed illustrare ai protagonisti cioè a noi VERI CASTELNUOVESI. Il proverbio castelnuovese citato all’inizio è vero:” L’ignoranza della Storia castelnuovese? Grazie al web è diventata “saccenza”.A Castelnuovo assistiamo, in fatto di Storia ,a una sorta di: “liberi tutti”… di sparare idiozie storiche che sono così eclatanti nella “semplicistica e ingenua” ricostruzione nella fase cronologica, date, e nei personaggi . Mnemosune (memoria) ) la madre di tutte le Muse, i greci la identificavano con la capacità di tenere a mente, rammentare, quindi con un’abilità della ragione, della testa, in prima istanza. Il “potere” castelnuovese è complice di questo “ANNO ZERO” della “nuova storia castelnuovese”.Noi castelnuovesi quello che abbiamo vissuto, è entrato in circolo nel nostro sangue, è parte di noi.Noi vecchi castelnuovesi , allontanati e isolati dal “potere arrogante dell’ignoranza” che nome dobbiamo dare a chi offende la nostra intelligenza? Qual è il nome corrispondente? Rabbia? O piuttosto delusione, sconforto, fastidio? A Castelnuovo l’ignoranza della vera storia castelnuovese è alla base della situazione attuale. L’inflazione d’informazione, in continua crescita ed evoluzione, fa perdere il senso di continuità del tempo, il valore della memoria, in un perpetuo “attimo presente” che cancella percorsi storici lenti, difficili, conquistati a fatica, tra passi in avanti e dolorosi ritorni al passato.Questa “ dittatura dell’informazione castelnuovese” è la causa dell’indifferenza con cui si accettano decisioni che hanno e avranno conseguenze pesanti per la società e la democrazia del nostro amato Castelnuovo.È pericoloso per il “potere castelnuove”che la gente abbia conoscenza, anzi coscienza, dei fatti storici che, in bene e in male, sono all’origine della situazione attuale. Noi castelnuovesi, quelli dell’Orgoglio castelnuovese, dobbiamo aver presente che la memoria storica non è “automatica”, deve essere tenuta viva, non “mummificata” e resa “sterile” , attualizzata , cosa ben diversa “dal racconto diverso”. La Storia , la nostra storia castelnuovese, viene “messa a tacere” per, a mio avviso, non dare ai giovani la capacità di analisi, critica, denuncia , discussione del presente alla luce del passato al fine di non far conoscere i “percorsi” in cui si sono perse conquiste e spesso anche i valori. La VERA storia di Castelnuovo ci permette, a noi tutti , di crearci una coscienza critica indispensabile per comprendere il tempo di oggi e per intervenire nella società castelnuovese con libertà, obiettività, apertura, forza intellettuale e morale. Ripeto da anni che sono pronto per un pubblico dibattito con le autorità e gli “storici castelnuovesi”.
Castelnuovo e i colori della rabbia.
Noi che abbiamo la parola interdetta
aspettiamo le stelle del cielo
per vedere ,da questo ponte della Storia,
l’ultima acqua silenziosa del nostro passato.
In questo spazio infinito dei ricordi
possiamo solo gettare i nostri sassi della rabbia.
Noi non abbiamo voce
perché oscurati e dimenticati
e il nostro respiro è nascosto al sole.
Ora l’ombra del silenzio scivola
e trascina a valle la voce dell’oblio.
A noi Castelnuovesi non resta che imparare
la trama dei racconti
nasconderli nel libro dell’anima
e custodirli nei cassetti della memoria.
Scriveremo e racconteremo
lo “schiaffo della resa”
che le sirene del potere ,
beffandosi del nostro dolore
e il non essere capaci di rifiutare le “monetine“ dell’umiliazione,
ogni giorno, ogni ora ci porgono
sul piatto della negazione.
Franco Leggeri, Castelnuovese.
Castelnuovo di Farfa descrizione
Castelnuovo di Farfa risulta frequentato già a partire dal Neolitico. In epoca protostorica il sito più importante è sicuramente la Grotta Scura, al termine di Via Cornazzano, a poca distanza dal fiume Farfa. I primi ritrovamenti risalgono agli anni 1987-88, quando il Gruppo Speleologico “F. Orofino” rinvenne alcuni frammenti ceramici protostorici, risalenti all’età del Bronzo medio (XV-XIV secolo a.C.). La grotta è costituita da un’ampia sala in roccia calcarea, a cui si accede attraverso una stretta apertura, dove venne recuperato il materiale. Secondo la descrizione del Guidi “dalla sala un lungo corridoio porta ad una serie di piccoli ambienti dove sono stati individuati resti di focolari, ossa animali e vasi integri, gli unici materiali in giacitura sicuramente primaria”[4]. Alcuni frammenti con decorazione “appenninica” hanno permesso una datazione per tutta la durata della media età del Bronzo (XV-XIV secolo a.C.). La grotta presenta un ramo, lungo più di 200 metri, periodicamente occupato dalle acque, dove sono stati rinvenuti insieme oggetti ceramici sia di epoca protostorica che di epoca romana (lucerne in terracotta e monete). La presenza di vasi integri in ambienti difficilmente accessibili della grotta dimostra che una parte della cavità fosse riservata alla deposizione di offerte. Inoltre le tracce di focolari, riferibili a cerimonie rituali, sembrano attestare un utilizzo della grotta sia a fini abitativi che cultuali. La grotta è costituita da un ramo attivo e da due rami fossili, posti a livelli diversi e raggiungibili tramite cunicoli. La presenza di acque sorgive deve aver comportato la destinazione cultuale della grotta. Questo luogo di culto in grotta, tra i più antichi di tutta la Sabina, è stato identificato recentemente nel “santuario di Marte”[5], riportato da Dionigi di Alicarnasso presso Suna (oggi Toffia), antica città degli Aborigeni (mitologia)[6].
Medioevo
Nel VI secolo è riferito in zona l’arrivo di San Lorenzo di Siria, fondatore dell’Abbazia di Farfa, il quale avrebbe svolto opera di evangelizzazione cristiana anche nei territori limitrofi. Una chiesa dedicata a San Donato è riportata già in un documento dell’877, per cui si può tranquillamente fissare la nascita del primitivo insediamento rurale all’Alto Medioevo. In questo documento la chiesa viene ceduta dal vescovo di Arezzo, Giovanni, al monastero di Farfa, in cambio di altri beni, tra cui San Donato ed annesse “terre, case, chiese, selve, molini” ecc…, una elencazione che spiega il livello di organizzazione che si era formato attorno alla prima chiesa[7]. Questa chiesa divenne anche il centro catalizzatore del territorio, elemento di aggregazione sociale, antesignano del castrum. Il primo insediamento fortificato e protetto da mura, il Castellum Sancti Donati, è citato in un documento del 1046, che ne attesta la cessione al vicino monastero di Farfa, e risulta decaduto già nel 1104.
Il Castrum Novum risale al Duecento. A partire dal 1288 nacque una disputa a riguardo di chi appartenesse il colle in cui sorgeva questo castrum medievale: secondo i castellani apparteneva alla comunità, secondo i monaci all’Abbazia di Farfa. La lunga contesa fu lontana dall’essere risolta. Nel 1477 i cippi confinari, rimossi dagli abitanti, vennero riportati al loro posto dall’abate commendatario[8]. Il castello medievale è difeso da una cinta muraria con ben nove torri, presidiate nel Rinascimento da “guardie civiche” e comandate da un “capitano”. Nel 1592 una delibera del Consiglio ordinò l’acquisto di 50 “archibusci” (fucili) e 4 “archibuscioni” (cannoncini). Lungo le mura si aprono due porte, Porta Castello e Porta Cisterna. Il borgo è caratterizzato da strette vie lastricate e da edifici civili, tra cui quelli appartenuti, ad esempio, alle famiglie Cherubini e Simonetti. Nel nucleo del paese sorge la chiesa di San Nicola di Bari ed una bella fontana seicentesca “a parete”, con arco centrale.
Castelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCASTELNUOVO DI FARFA La FONTANELLA della PIAZZETTACASTELNUOVO DI FARFA La bottega del Fabbro GIUVANNINU U FERRARUCASTELNUOVO di FARFA DEGRADO E ABBANDONO AFFRESCHI EX-CHIESA DI SANTA MARIA Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di Farfa -40simoPremio letterario “LA TORRE D’ARGENTO”-1982-2022Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa -40simoPremio letterario “LA TORRE D’ARGENTO”-1982-2022Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti) Monumento ai Caduti delle due guerre mondialiCastelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est- foto inizio ‘900Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Programma festa Madonna del Rosario anno 10 ottobre 1933Castelnuovo di Farfa (Rieti) la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) Foto del 1889Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma EstCastelnuovo di Farfa (Rieti) – La Piazza ComunaleCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Il GonfaloneCastelnuovo di Farfa (Rieti) – La Piazza ComunaleCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Campo Profughi FARFA SABINA- Loc. Granica-foto anni 1950Castelnuovo di Farfa (Rieti) –Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Municipio-Aula ConsiliareCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma Ovest-Bar StellaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Porta Castello, Torre dell’OrologioCASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-
CASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-CASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-CASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-Antonio GramsciCASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-
Descrizione del libro di Ranuccio Bianchi Bandinelli -L’arte etrusca– Editori Riuniti-Biblioteca DEA SABINA-Gli scritti etruscologici di Ranuccio Bianchi Bandinelli coprono l’intero arco dei cinquant’anni della sua attività di studioso: dal 1925, quando venne pubblicata la sua tesi di laurea su Chiusi, fino al 1973, quando apparve l’ultima sua monumentale opera “Etruschi e Italici prima del dominio di Roma”. I saggi raccolti in questo volume sono disposti cronologicamente e servono a documentare il percorso critico e intellettuale di Bianchi Bandinelli, caratterizzato da un lato da una costante continuità di interesse per il fenomeno artistico etrusco-italico, dall’altro da un fondamentale e profondo rinnovamento delle sue posizioni negli anni successivi al 1960.
Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) è stato uno dei maggiori archeologi e intellettuali italiani del Novecento. Alla attività di studio, come autore di ricerche specialistiche e come docente universitario, ha sempre associato un diretto impegno civile e militante, nell’Amministrazione dei beni culturali e nella diretta partecipazione politica come esponente di spicco del partito comunista. Ha svolto opera di informazione presso il largo pubblico attraverso la direzione di enciclopedie e volumi a grande diffusione.
Ranuccio Bianchi Bandinelli
INDICE
Premessa
Nota del curatore
Parte prima. Storia e problemi dell’arte etrusca
Arte etrusca
La città etrusca
La casa etrusca
La posizione dell’Etruria nell’arte dell’Italia antica
“Illusionismo” nel bassorilievo italico
Datazione e motivi dell’arte tardoetrusca
Parte seconda. Topografia
Questioni generali di topografia etrusca
Riassunto storico e delimitazione del territorio chiusino
Roselle
L’esplorazione di Roselle
Parte terza. Pittura
Necropoli di Vulci
Un “pocolom” anepigrafie del museo di Tarquinia
Le tombe tarquiniesi delle Leonesse e dei Vasi dipinti
Le pitture delle tombe arcaiche
La mostra di pittura etrusca a Firenze
Parte quarta. Scultura
I caratteri della scultura etrusca a Chiusi
Il “Bruto” capitolino scultura etrusca
Il putto cortonese del museo di Leida
Marmora Etruriae
La kourotrophos Maffei del museo di Volterra
Qualche osservazione sulle statue acroteriali di Poggio Civitate (Murlo)
Ranuccio Bianchi Bandinelli
Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) è stato uno dei maggiori archeologi e intellettuali italiani del Novecento. Alla attività di studio, come autore di ricerche specialistiche e come docente universitario, ha sempre associato un diretto impegno civile e militante, nell’Amministrazione dei beni culturali e nella diretta partecipazione politica come esponente di spicco del partito comunista. Ha svolto opera di informazione presso il largo pubblico attraverso la direzione di enciclopedie e volumi a grande diffusione.
Giulio Carlo Argan-Vi parlo di un nostro maestro. La milizia intellettuale di Ranuccio Bianchi Bandinelli [1]
in «Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan», n. 17, Graffiti editore, Roma 2005, pp. 121-124.
Intitolando la sua rivista «Dialoghi di Archeologia» Bianchi Bandinelli pensava sicuramente ai suoi allievi, perché nella sua scuola tutto era dialogo, nulla sapere impartito. Amava molto la scuola, la lasciò quando si persuase che, per salvare la scuola, bisognava lasciare l’università. La lasciò, anche, per dedicarsi interamente ad una grande impresa scientifica, l’Enciclopedia dell’Antichità. Il dialogo seguitava, un’enciclopedia è un lavoro di gruppo: convoca gli studiosi da ogni parte del mondo per fare il punto dello stato di avanzamento di una disciplina, ma anche per inquadrarla in una cultura generale. Aveva il senso profondo dell’etica del lavoro scientifico; amava la ricerca, ma non ricusava i doveri che ne discendevano. La prima forma dell’intelligenza, per lui, era la generosità e quindi l’impegno, anche politico. Subito dopo la guerra accettò di fare il Direttore generale delle Belle Arti: sapeva benissimo ch’era un arido lavoro burocratico in condizioni, poi, particolarmente difficili. Ma era un dovere, verso la cultura e verso il Paese. L’Italia era ancora in rovine, molte opere d’arte italiane rubate dai nazisti erano ancora in Germania (e molte ci sono ancora) dove Siviero si dava da fare a recuperarle. Io ero alle sue dipendenze dirette e quel lavoro comune per me fu una scuola.
Era già comunista, un’altra ragione per essere intransigente quando si tratta del pubblico interesse. Lasciò la direzione generale perché non poteva fare tutto ciò che la coscienza gli imponeva: magari denunciare per collaborazionismo e truffa qualche gran signore che vendeva quadri antichi a Goering ma, conoscendone i gusti più autentici, vi aggiungeva in regalo il vino e i salumi dei suoi poderi.
Ranuccio Bianchi Bandinelli- L’arte etrusca-
Lo ammirai soprattutto perché, davanti al disastro e senza soldi in cassa, riusciva a trovarne abbastanza per finanziare qualche scavo. Pensava che soprattutto era importante mantenere vivo lo spirito della ricerca: per conservare le cose bisogna conservare la mentalità che vuole conservate le cose. L’importante era non rompere l’unità teorico-pragmatica della scienza. Il teorico deve sapere discendere alle cose se vuole che poi dalle cose si possa risalire al grande disegno storico e alla teoresi, magari alla filosofia dell’arte. Mi sovvenni di Lui e del suo impegno pratico, e della serenità e dello spirito con cui lo adempiva, quando imprevedutamente fui fatto sindaco di Roma e mi trovai travolto in una valanga di cure che non avevano niente a che fare con i miei studi. Mi accorsi che non erano poi tanto estranee, forse niente è estraneo alla cultura: cercare di tenere pulita Roma (invano, purtroppo) è come nettare un’opera d’arte imbrattata.
Oggi rifletto a molte strane coincidenze del mio destino col suo e naturalmente anche alla comune scelta politica. Nulla di casuale: tutt’e due ci eravamo formati nella tradizione della scuola viennese di storia dell’arte, dove si partiva dalla scheda per arrivare al trattato, ma senza mai perdere di vista la cosa artistica, il suo essere un manufatto soggetto ai guasti del tempo. Studiare la storia dell’arte era lo stesso che prender cura delle cose, besorgen.
Fin da quando, giovanissimo ancora, esordì brillantemente con gli studi sulla cultura etrusca di Roselle e Sovana lo tormentava il dilemma che non l’abbandonò mai più: archeologia o storia dell’arte? È il nodo di tutto il suo lavoro. Come tutti gli studiosi della sua e poi della mia generazione è stato idealista e crociano: solo al tempo della guerra, credo, ebbe l’illuminazione di Gramsci. Il disgusto della rettorica, che per la verità il Croce ha sempre alimentato negli intellettuali, portava ad una critica radicale dell’archeologia italiana: per la ritardata mentalità antiquariale, anzitutto, ma anche per l’asservimento alla megalomania fascista, per gli scempi che autorizzava a cominciare da Roma, per lo scarso rigore nella ricerca e nel restauro dei monumenti, per l’abuso di falsi concetti come quello di «romanità». Indubbiamente l’idealismo lo avviò a scelte di gusto molto severe, ma del tutto spregiudicate.
Oggi è di moda dire che il criterio di qualità implica una valutazione soggettiva, che una scienza rigorosa non ammette; e in fondo è giusto che i mediocri difendano i mediocri. Eppure è proprio con le sue scelte qualitative che Bianchi Bandinelli ha rovesciato il quadro della storia dell’arte classica. Quando uscì laStoricità dell’arte classica fu come ci cadessero le bende dagli occhi. Non era una questione di arte o non- arte. La storia dell’arte classica che ci avevano insegnato gli archeologi era in realtà la storia di una cultura figurativa aulica o ufficiale e dunque non storia dell’arte, ma storia del potere vista attraverso l’arte. Benché assai più complesso, il punto di vista di Bianchi Bandinelli riportava ai primi storici romantici come il Fauriel, che preferiva la civiltà dei conquistati a quella dei conquistatori: Bianchi Bandinelli accantonava gli artisti di palazzo, parlava di provincia invece che di metropoli, di artigiani pieni di genio o di spirito invece che di artisti laureati. E non era una veduta populista: l’analisi, come nell’ammiratissimo Riegl, era sempre scrupolosamente condotta sulle forme.
Come sempre Bianchi Bandinelli, pur così bravo nel disegnare grandiose sintesi di epoche intere, ha dedotto dalla sua teoria tutte le conseguenze d’ordine pratico: al punto che proprio da quella generale premessa critica è disceso un nuovo modo di concepire e condurre lo scavo: non più per trovare tesori o documenti sensazionali, ma il modesto tessuto di una cultura, gli strumenti della vita quotidiana, le testimonianze delle attività quotidiane. In una parola, la trama di quella che oggi chiamiamo cultura materiale e che, in verità, ci porge una quantità d’informazioni infinitamente maggiore che quelle che può dare un imponente monumento, espressione delle grandi istituzioni del tempo.
Da questa prima formulazione, almeno in Italia, di una metodologia fondamentalmente marxista degli studi di archeologia uscì anche, e fu portata avanti dai discepoli, una nuova modalità della progettazione, dell’attuazione, dell’interpretazione dello scavo: non più concepito come caccia al tesoro, ma come ricostruzione organica del tessuto della cultura. Ciò che doveva, o almeno avrebbe dovuto, essere il principio di un mutamento radicale della politica della tutela del patrimonio culturale: ancora fatta di divieti e di limiti sempre meno rispettati invece che di interventi diretti, in positivo, nello sviluppo della politica della città e del territorio. Era una prospettiva culturale e politica estremamente promettente, quella ch’egli aprì in Italia dopo la Liberazione; ma fu precipitosamente richiusa da quel provincialismo culturale che Bianchi Bandinelli odiava e che ancora non soltanto prospera, ma viene coltivato con sollecito zelo nei patrii giardini.
Forse il dialogo che questa rivista, con il suo nuovo corso, dovrà coraggiosamente portare avanti non è precisamente un dialogo tra maestri ed allievi, ma un dialogo più aperto tra civiltà antiche e civiltà moderna. Bianchi Bandinelli volle chiarire, vivendolo in proprio in tutte le sue contraddizioni, anche drammatiche, che cosa sia la civiltà moderna, ardentemente desiderando che il suo confronto con l’antico fosse il confronto tra due momenti della storia e non tra una storia e una cronaca, talvolta nera. Nessuno può vedere realizzato tutto ciò che spera. Ma certo tutto ciò che poteva essere fatto, nella sua disciplina e nella sua pratica esistenza, affinché l’epoca moderna fosse un’epoca storica, Bianchi Bandinelli lo ha fatto con un’intelligenza, un coraggio, una fermezza e una serenità da rimanere, per gli intellettuali di tutto il mondo, esemplari.
[1] L’articolo, uscito su «L’Unità» del 1° novembre 1979, è il testo dell’intervento di Argan alla cerimonia dedicata a Bianchi Bandinelli tenutasi in Campidoglio il 31 ottobre 1979 in occasione della pubblicazione della nuova serie dei «Dialoghi di Archeologia».
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Poesie di William Butler Yeats ,Poeta irlandese-Premio Nobel 1923-
William Butler Yeats-Poeta irlandese (Sandymount, Dublino, 1865 – Roquebrune-Cap Martin 1939), fratello di Jack Butler. È stato uno dei grandi protagonisti della poesia tra Ottocento e Novecento. Attratto dalle leggende irlandesi (Thewanderings of Oisin and other poems,1889) e dalle scienze occulte (Countess Cathleen, 1892), Y. elaborò un complesso simbolismo, misto di elementi celtici e teosofici. La sua produzione teatrale e quella poetica volsero, nella fase più matura, verso accenti maggiormente legati alla realtà. Fu insignito del premio Nobel per la letteratura (1923).
Sogni infranti
Fra i tuoi capelli è qualche filo bianco. E i giovani ormai più quando tu passi d’improvviso non soffoca il respiro. Ma qualche vecchio forse mormorando ti benedice, ché una tua preghiera l’ha scampato sul letto della morte. Per te che sai del cuore ogni tormento e ogni tormento hai inflitto all’altrui cuore, di gracile fanciulla germogliando la tua bellezza grave – per te sola il cielo ha cancellato la sentenza, tanta parte gli serbi in quella pace, se cammini soltanto in una stanza.
La tua bellezza può tra noi lasciare solo ricordi, pallidi ricordi. E un giorno a un vecchio un giovane dirà: “Diteci dunque di quella signora che un poeta ostinato ci esaltava quando l’età gli ebbe gelato il cuore.”
Vaghi ricordi, pallidi ricordi che nella tomba tutti rivivranno. La certezza che un giorno la signora vedrò giacere o ritta o camminare nella bellezza sua prima di donna col fervore degli occhi giovanili m’ha fatto come folle delirare.
E tu sei bella più d’ogni altra donna, ma una macchia offuscava il tuo bel corpo: non erano le tue piccole mani belle, e temo che tu forse non corra e remi fino al polso in quell’arcano lago sempre ricolmo dove quelli che hanno adempito alle divine leggi remano e sono ormai perfetti. Lascia immutate le mani ch’io baciavo per amore di un’amicizia antica.
L’ultimo tocco della mezzanotte muore; l’intero giorno ho allineato di sogno in sogno e poi di verso in verso divagando con un fantasma d’aria: solo ricordi, pallidi ricordi.
Trad. di Leone Traverso
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Quando sarai vecchia
Quando tu sarai vecchia e grigia, col capo tentennante ed accanto al fuoco starai assonnata, prenderai questo libro. E lentamente lo leggerai, ricorderai sognando dello sguardo che i tuoi occhi ebbero allora, delle loro profonde ombre. Di quanti amarono la grazia felice di quei tuoi momenti e, d’amore falso o a volte sincero, amarono la tua bellezza. Ma uno solo di te amò l’anima irrequieta, uno solo allora amò le pene del volto tuo che muta. E tu, chinandoti verso le braci, sarai un poco triste, in un mormorio d’Amore dirai, di come se ne volò via… passò volando oltre il confine di questi alti monti e per sempre poi il suo volto nascose in una folla di stelle.
Innisfree, l’isola sul lago Mi leverò e andrò, ora, andrò a Innisfree, E costruirò una capanna laggiu, fatta d’argilla e canne, Nove filari a fave avrò laggiu, un’arnia 1 per le api da miele, E solo starò nella radura ronzante d’api. E avrò un po’ di pace laggiu, ché la pace discende goccia a goccia , Discende dai velami del mattino fin dove canta il grillo; La mezzanotte laggiu è tutto un luccichio, il meriggio purpurea incandescenza , La sera è piena d’ali di fanello. Mi leverò e andrò, ora, ché sempre notte e giorno Odo l’acqua del lago lambire con lievi suoni la sponda; Stando in mezzo alla strada, sui marciapiedi grigi, La sento nella fonda intimità del cuore.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Il gatto e la luna
Il gatto andava qui e là E la luna girava come trottola, E il parente più stretto della luna, Il gatto strisciante, guardò in su. Il nero Minrialoushe fissava la luna, Perché, per quanto vagasse e gemesse, La luce fredda e limpida nel cielo Turbava il suo sangue animale. Minnaloushe corre fra l’erba Alzando le sue zampe delicate. Vuoi ballare, Minnaloushe, vuoi ballare? Quando s’incontrano due parenti stretti Che c’è di meglio che mettersi a ballare? Forse la luna imparerà, Stanca delle mode di corte, Un nuovo passo di danza. Minnaloushe striscia fra l’erba Di luogo in luogo illuminato dalla luna, La sacra luna sul suo capo È entrata in una nuova fase. Lo sa Minnaloushe che le sue pupille Passeranno di mutamento in mutamento, Che vanno dalla tonda alla lunata, Dalla lunata alla tonda? Minnaloushe striscia, fra l’erba Solo, importante e saggio, E leva alla luna mutevole I suoi occhi mutevoli.
La maschera
Togli quella maschera d’oro ardente Con gli occhi di smeraldo.
“Oh no, mio caro, tu vuoi permetterti Di scoprire se i cuori sian selvaggi o saggi, Benché non freddi.”
“Volevo solo scoprire quel che c’è da scoprire, Amore o inganno.”
“Fu la maschera ad attrarre tua mente E poi a farti battere il cuore, Non quel che c’è dietro.”
“Ma io debbo indagare per sapere Se tu mi sia nemica.”
“Oh no, mio caro, lascia andar tutto questo; Che importa, purché ci sia fuoco In te, in me?”.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Alla memoria di Eva Gore-Booth
La luce della sera, Lissadell, Grandi finestre aperte verso sud, Due ragazze in kimono di seta, Entrambe belle, e una una gazzella.
Ma un delirante autunno strappa i fiori Alla ghirlanda dell’estate; la più grande È condannata a morte, perdonata, E trascina i suoi anni solitari A cospirare fra gli ignoranti.
Io non so cosa sogni la più giovane – Forse una vaga Utopia – e sembra, Ormai avvizzita e scarna come scheletro, Proprio un’immagine di quella politica.
Talvolta penso di andare a cercare L’una o l’altra, e parlare Di quella vecchia casa georgiana, fondere Le immagini della memoria, ricordare Quel tavolo e i discorsi della giovinezza, Due ragazze in kimono di seta, Entrambe belle, e una una gazzella.
Care ombre, ora sapete tutto, Conosco tutta la follia di una lotta Con un torto comune, o una comune ragione.
Per chi è innocente e bello Soltanto il tempo è nemico; Levatevi, e ditemi d’accendere un fiammifero E di accenderne un altro, finché non arda il tempo; E se l’incendio dilaga Correte pure a dirlo a tutti i saggi.
Noi costruimmo il gran gazebo, ed essi Ci riconobbero colpevoli; ditemi D’accendere un fiammifero e soffiare.
Canzone dell’amante
L’uccello sospira per desiderio d’aria, Il pensiero per non so qual luogo, Per il grembo il seme sospira. Ora scende un medesimo riposo Sulla mente, sul nido, Sulle cosce sforzate.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Pena d’amore
Il clamore d’un passero sulle grondaie, La luna brillante e tutto il latteo cielo, E tutta quella famosa armonia di foglie, Avean cancellato l’immagine dell’uomo ed il suo grido.
Una fanciulla sorse che aveva labbra rosse e dolenti E sembrava la grandezza del mondo in lacrime, Condannata come Odisseo e le navi travagliate E orgogliosa come Priamo assassinato con i suoi pari.
Sorse, e sull’istante le grondaie piene di clamore, Una luna che si arrampicava su un vuoto cielo, E tutto quel lamento delle foglie, Potevano soltanto comporre l’immagine dell’uomo e il suo grido.
I due alberi
Adorato, fissa lo sguardo nel tuo proprio cuore, L’albero santo sta crescendo là; Originano dalla gioia i sacri rami, E i tremuli fiori tutti che ne vengono.
I cangianti colori del suo frutto Han dotato le stelle d’un’armonica luce; La certezza della sua occulta radice Ha impiantato quiete nella notte;
L’agitarsi della sua chioma frondosa Ha donato alle onde melodia, E sposato le mie labbra con la musica, Per te mormorando una canzone di mago.
Là i figli di Giove compongono un cerchio, L’ardente cerchio dei giorni che ci appartengono, Rotando, ergendosi su e giù In quelle grandi vie frondose inconsapevoli;
Ricordando la chioma tutta scossa E degli alati sandali il guizzare, I tuoi occhi crescono pieni di tenera cura: Adorato, fissa lo sguardo nel tuo proprio cuore.
Non volger più l’occhio nello specchio amaro Che i demoni, con la loro astuzia sottile. Innalzano di fronte a noi quando essi passano, O solamente per poco tempo fissalo;
Giacché vi cresce un’immagine fatale Che la notte tempestosa accoglie in sé, E radici mezzo nascoste dalle nevi, E rami rotti ed annerite foglie.
Poiché cose malate portano a sterilità Nel fioco specchio che recano i demoni, Specchio della stanchezza esteriore, Fatto allorché Dio dormì nei tempi antichi.
Là, attraverso i rami rotti, vanno I corvi del pensiero senza riposo; Volando, gridando, su e giù, Artiglio crudele e famelica gola,
Oppur si fermano ed annusano il vento, E scuotono le logore ali; ahimè! I tuoi occhi gentili divengono del tutto scortesi: Non volger più l’occhio nello specchio amaro.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Gli amici le portano un albero di Natale
Perdona grande nemica, Senza pensiero irato Abbiam portato l’albero, E qui e lì comprato Per adornare ogni ramo, E lei dal letto rimiri Cose graziose che rallegrino Una fantasiosa mente. Un po’ di grazia donale Anche se un occhio ridente Ha spiato il tuo volto Che muore.
Un campo d’erba
Quadro e libro rimangono, Un campo d’erba verde Per prendere un po’ d’aria, Ora che le forze del corpo se ne vanno; Mezzanotte, una vecchia casa In cui solo un topo si muove.
La mia tentazione è la quiete. Qui al termine della vita Né la sbrigliata immaginazione, Né la macina della mente Che ne consuma cenci e ossa, Riescono a render nota la verità.
Mi sia concessa la frenesia di un vecchio, Devo rifare me stesso Fino ad essere Timone o Lear O quel William Blake Che bussò sul muro Tanto che la Verità rispose al suo richiamo;
Una mente quale la conobbe Michelangelo Tale da penetrare le nuvole, O ispirata dalla frenesia Da scuotere i morti nei sudari; Del resto dimenticata dal genere umano: La mente d’aquila di un vecchio.
Gli uccelli bianchi
Fossimo noi bianchi uccelli, mia amata, sulla spuma del mare! La fiamma della meteora ci stanca prima di appassire e la fiamma dell’azzurra stella bassa nel cielo crepuscolare ci ha ridesta, mia amata, nel cuore una tristezza che non può morire.
Stanchezza esalano questi sognatori grevi di rugiade, la rosa e il giglio; ah non sognare fiamma di meteora vagante, né la fiamma dell’azzurra stella ch’esita mentre la rugiada cade: ma ci muti la sorte in uccelli bianchi a galla sulla spuma errante!
Nostalgia d’isole innumerevoli mi tormenta e di danae prode, dove ci dimentichi il Tempo e l’Affanno non osi calare; lontani saremmo dal giglio e la rosa e la fiamma che rode, solo fossimo noi bianchi uccelli, mia amata, sulla spuma del mare!
Il secondo Avvento Ruotando e roteando nella spirale che sempre più si allarga, Il falco non può udire il falconiere; Le cose si dissociano; il centro non può reggere; E la pura anarchia si rovescia sul mondo, La torbida marea del sangue dilaga, e in ogni dove Annega il rito dell’innocenza; I migliori hanno perso ogni fede, e i peggiori Si gonfiano d’ardore appassionato.
Certo qualche rivelazione è vicina; Certo s’approssima il Secondo Avvento. Il Secondo Avvento! E le parole sono appena dette Che un’immagine immensa sorta dallo Spiritus Mundi Mi turba la vista; in qualche luogo nelle sabbie del deserto Una forma dal corpo di leone e dalla testa d’uomo Con gli occhi vuoti e impietosi come il sole avanza Con le sue lente cosce, mentre attorno Ruotano l’ombre degli sdegnati uccelli del deserto.
Nuovamente la tenebra cade; ma ora so Che venti secoli di un sonno di pietra Furono trasformati in incubo da una culla che dondola. E quale rozza bestia, finalmente giunto al suo tempo avanza Verso Betlemme per esservi incarnata?
Lo Sprone
Ti sembra orribile che lussuria e furia Mi faccian scorta nella mia vecchiaia; Non erano tanto assillanti quand’ero giovane; Che altro mi resta per spronarmi a cantare?
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Egli desidera il tessuto del cielo
Se avessi il drappo ricamato del cielo,
intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri
del giorno e della notte
dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
cammina leggera perché
cammini sopra i miei sogni.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Biografia
William Butler Yeats- Poeta irlandese (Sandymount, Dublino, 1865 – Roquebrune-Cap Martin 1939), fratello di Jack Butler. È stato uno dei grandi protagonisti della poesia tra Ottocento e Novecento. Attratto dalle leggende irlandesi (Thewanderings of Oisin and other poems,1889) e dalle scienze occulte (Countess Cathleen, 1892), Y. elaborò un complesso simbolismo, misto di elementi celtici e teosofici. La sua produzione teatrale e quella poetica volsero, nella fase più matura, verso accenti maggiormente legati alla realtà. Fu insignito del premio Nobel per la letteratura (1923).
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Vita e opere di William Butler Yeats-Il paese d’origine della madre, Sligo, dove si recava da Londra per le vacanze, esercitò grande fascino sul giovane Yeats. Stabilitosi in Irlanda con la famiglia (1880), frequentò per tre anni la scuola d’arte, influenzato dalle idee del padre pittore. Conosciuto G. W. Russell, iniziò con lui gli studi di occultismo e fondò nel 1885 una Hermetic Society. In questi stessi anni si avvicinò al movimento nazionalistico irlandese. Nel 1886 iniziò il poema basato su antiche leggende irlandesi, The wanderings of Oisin and other poems; nel 1887, trasferitosi a Londra, entrò in contatto con gli estetisti decadenti e con i circoli teosofici. Sono di quegli anni Fairy folk tales of the Irish peasantry (1888) e Representative Irish tales (1890). Nel 1891 fondò la Irish literary society a Londra e nel 1892 la National literary society a Dublino. Nello stesso anno pubblicò Countess Cathleen, dramma in cui abbondano preziosismi preraffaelliti ed è palese l’interesse per le scienze occulte. Questo è testimoniato anche dall’edizione delle opere di Blake (1893, in collab. con F. J. Ellis) e dal dramma The land of heart’s desire (1894). L’incontro con Lady Gregory nel 1896 accentuò gli interessi politici di Y. che divenne una delle figure più importanti del rinascimento celtico: nel 1899 inaugurò l’Irish Literary Theatre. In quegli anni attraverso la frequentazione di circoli rosacrociani e la lettura dei simbolisti francesi venne formando il suo complesso simbolismo, misto di elementi celtici e teosofici. Nel 1895 ristampò rivedute le liriche di Oisin e Cathleen col titolo Poems; nel 1899 una nuova raccolta, The wind among the reeds. Intanto la sua produzione teatrale, dopo The shadowy waters (1900) e Cathleen in Houlihan (1902), subì una svolta radicale con i drammi sul mitico eroe irlandese Cuchulain (On Baile’s strand, 1903; Deidre, 1907; The unicorn from the stars, 1908; The green helmet, 1910); Y. appare distaccato dall’esperienza preraffaellita e intento a ricercare un linguaggio più misurato e aderente alla realtà. Lo stesso mutamento si avverte nelle poesie (In the seven woods, 1903). L’amicizia con E. Pound (di cui fu segretario dal 1913 al 1916), l’insurrezione irlandese del 1916, lo scoppio della prima guerra mondiale e il matrimonio sono esperienze che si riflettono nelle opere dell’ultimo periodo. Responsibilities (1914) e la seconda ed. di The wild swans at Coole (1919) segnano tappe importanti nella sua opera. Nel 1922, proclamato lo Stato libero d’Irlanda, fu eletto senatore; nel 1923 l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura lo consacrò tra le grandi voci della poesia del Novecento. Tra gli ultimi scritti si ricordano: Michel Robartes and the dancer (1920); Plays for dancers (1921); Autobiographies (1926); e i due volumi di versi The tower (1928) e The winding stair (1933).
Ilse Aichinger-(Vienna nel 1921- ivi 2016)è stata una delle grandi scrittrici austriache, i cui testi sono ormai considerati classici della letteratura in lingua tedesca. La madre, ebrea, è medico, il padre insegnante. Il romanzo d’esordio La speranza più grande (Die grössere Hoffnung, 1948) – alla cui stesura si dedica interrompendo gli studi di medicina – inaugura la letteratura austriaca del dopoguerra. Nel 1952 ottiene il Premio del Gruppo 47 per il suo racconto Storia allo specchio (Spiegelgeschichte) e conosce lo scrittore e poeta Günter Eich (1907-1972), che sposa l’anno successivo. Da lui avrà due figli, uno dei quali scrittore a propria volta.
Ilse Aichinger- La speranza più grande
* Testi selezionati da Consiglio gratuito (trad. di G. Drago, FinisTerrae, 2021)
Risposta invernale
Il mondo è fatto di materia
che esige attenzione:
niente più occhi
per vedere i prati bianchi
né orecchie per sentire
il fremito degli uccelli fra i rami.
Nonna, dove sono finite le tue labbra
per assaporare l’erba
e chi annuserà per noi il cielo fino in fondo,
quali guance si graffiano ancora
a sangue contro i muri del paese?
Non è un bosco buio
quello in cui siamo capitati?
No, nonna, non è buio,
io lo so, ho abitato a lungo
al margine, là dai bambini,
e poi non è neanche un bosco.
Ilse Aicbhinger
Marianne
Mi consola
che nelle notti d’oro
una bambina dorma.
Che il suo respiro passi accanto alla fucina
e il suo sole
già di buonora
si levi con il gallo e le galline
sull’erba umida.
Ilse Aicbhinger
Sfruttando le ore opache
Lascia la gentaglia
riposare sui campi,
nella foschia che si alza,
perché niente ti fa luce.
Sulle colline i trenini delle fiabe
ora sono chiusi,
le rape da tempo tolte dalla terra,
i bambini spariti.
I tessitori di ghirlande sono gli ultimi
a rimanere ancora,
bruciano olio nelle lucerne,
con loro si può parlare.
Ilse Aicbhinger
Scambio epistolare
Arrivasse la posta di notte
e la luna
spingesse le offese
sotto la porta:
sembrerebbero angeli
nelle loro vesti bianche
e nell’atrio resterebbero in silenzio.
Ilse Aichinger- La speranza più grande
Rauchenberg
Le redini,
corone sul muro,
la nuova impronta delle ombre
mi affida la strada.
Là dove il carro si copre di ruggine
vicino alla legna fradicia,
i miei cari si chinano
più leggeri sul tetto.
Alba d’inverno
Prima che i sogni arrugginiscano e si spezzino,
lascia che gli amati ne discendano,
i grandi e i piccoli,
nei cappotti grigi,
guardate qui, la via chiara, il ghiaccio.
ILSE AICHINGER
L’ultima notte
Che cosa mai doveva venire alla luce
Se non le strie della neve,
spade ai margini dell’infanzia
e contro il bosco
i rami dei meli
che la luna impregnava di nero,
le galline di cui si fa la conta?
Fare da sé
Lascerò i miei villaggi
senza parole
e agiterò
solo la neve
aperta contro i recinti.
Dall’alto dei miei solai
osserverò i giaguari,
sentirò fischiare i lupi.
Il sole saltò via di qui,
ma i bambini
vengono aiutati a raccogliere
i denti di leone,
largo al re!
A me
Volevo riferire del lungo abitare,
dei birilli di legno rosso
sulla terrazza, degli sguardi verso il mondo.
Volevo ripetere le grida degli uomini sul ghiaccio
con precisione, come sbattevano anche i birilli,
i fiori alla finestra volevo descrivere,
come crescevano verso il sole.
Cosa ho fatto?
Prematuro
Tu non deponi per me nessuna pietra
che faccia crescere il nostro vecchio lutto,
non mi doni nessuna luce per spaventarmi
e nessuno spavento perché ci sia più luce,
e nemmeno quello straccio di malinconia
che ogni stella pretende.
Ti dai da fare col tuo trovatello
e io non ho ancora trovato
le ragazze di cera,
che stanno quiete
come Gesù nel presepe,
ancora no.
Ilse Aichinger
Biografia di Ilse Aichinger-(Vienna nel 1921- ivi 2016)è stata una delle grandi scrittrici austriache, i cui testi sono ormai considerati classici della letteratura in lingua tedesca. La madre, ebrea, è medico, il padre insegnante. Il romanzo d’esordio La speranza più grande (Die grössere Hoffnung, 1948) – alla cui stesura si dedica interrompendo gli studi di medicina – inaugura la letteratura austriaca del dopoguerra. Nel 1952 ottiene il Premio del Gruppo 47 per il suo racconto Storia allo specchio (Spiegelgeschichte) e conosce lo scrittore e poeta Günter Eich (1907-1972), che sposa l’anno successivo. Da lui avrà due figli, uno dei quali scrittore a propria volta.
* Testi selezionati da Consiglio gratuito (trad. di G. Drago, FinisTerrae, 2021)
ILSE AICHINGER
-FONTE-
Le Poesie sono pubblicate dalla Rivista di Poesia «Avamposto»è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
Contatti
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
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