Biografia- La Corale Città di Nettuno nasce nel 1975 per il tenace impegno di appassionati del bel canto, dalla sua fondazione ha svolto una intensa attività concertistica, sotto la guida di valenti direttori, ricevendo numerosi apprezzamenti. Il coro si compone di circa 40 elementi misti con un repertorio che spazia dalla musica lirica fino a giungere al canto popolare e folcloristico, da quella sacra a quella profana, dalla polifonia medioevale a quella rinascimentale, dalla musica di colonne sonore da film a quella contemporanea. Nel corso degli anni la corale Città di Nettuno ha svolto la propria attività concertistica in varie Città italiane ed estere, si è esibita nelle più importanti Basiliche di Roma quali San Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, Santa Maria in Trastevere, Santa Prassede, Sant’Ignazio con l’accompagnamento della Banda della Polizia di Stato. Ha preso parte anche a Rassegne promosse dall’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Degni di nota gli eventi a Palazzo Barberini di Roma ed alla Chiesa dell’Aracoeli in occasione della Festa della Famiglia, quest’ultimo ripreso dalla TV RaiUno. Il Coro ha partecipato a importanti Rassegne ed eseguito concerti presso l’Università di Camerino, a Norcia, Cortona, Merano, Città della Pieve, Avellino, Chieti, Cecina a Venezia nella Rassegna “Venezia in Coro “, Assisi, Abbazia di Fossanova, Avellino, Terni, etc.
Corale Città di Nettuno
Il Coro ha tenuto concerti particolarmente in Germania dove ha eseguito, tra l’altro, i “Carmina Burana” di Orff con il Sangerchor di Traunreut e la “Cecilien Messe” di Gounod presente anche il Coro francese di Lucè, riunendo oltre 100 coristi. La Corale partecipa alle più significative solennità della Basilica Pontificia Madonna delle Grazie e Santa Maria Goretti in Nettuno. Ha animato le Sante Messe celebrate da Sua Santità Giovanni Paolo II° ed altre di eminenti Cardinali – Ruini, Sodano, Comastri, Poupard, Ravasi ecc. Numerosi anche gli appuntamenti tenuti insieme a Gruppi orchestrali di Roma quali: “Roma sinfonia”, “L’Orchestra giovanile del Lazio”, “L’Orchestra Oberon”, “L’Orchestra filarmonica Orpheus”, ecc. Nel 2013 la Corale ha solennizzato l’anno dedicato a Wagner e Verdi con un eccezionale concerto insieme al gruppo “il Coro” di Monaco di Baviera. La Corale organizza ogni anno concerti ed eventi impegnativi accompagnati da qualificati gruppi strumentali. Da sottolineare i tradizionali appuntamenti: “ESTATE AL FORTE”, “CONCERTO D’AUTUNNO” e i “CONCERTI DI NATALE”. In occasione della festa di Santa Maria Goretti, la Corale programma una Rassegna delle Corali Polifoniche, giunta alla sua 37^ edizione. Al prestigioso appuntamento che si svolge nella Basilica Pontificia Madonna delle Grazie e Santa Maria Goretti prendono parte importanti gruppi corali provenienti da tante città italiane ed estere con la presenza di non meno di 300 coristi. Il Coro Città di Nettuno è iscritto dal 16 novembre 2018 alla FEDERAZIONE CORI ITALIANI CHORUS INSIDE – APS Ente Terzo Settore. Dirige il Coro la Maestra Park Eun Jung
Maestra Park Eun Jung Direttore della Corale Città di Nettuno
Presidente
Antonio Simeoni
Codice socio
FCI097/18
Sede
Nettuno (RM),
Italy
Tipologia di coro
voci miste
Repertorio
Musica lirica, sacra e popolare
Sito / Email
info@coraledinettuno.it
FEDERCORI
Federazione Cori Italiani Chorus Inside
APS Ente Terzo Settore-Via Giuseppe Verdi n. 15 – 66100 Chieti
AA.VV. Incontri con Robert Schumann. Percorsi pianistici e critici
Contenuto e Descrizione del libro Robert Schumann ,Janina Klassen, «What were you thinking when you composed it?». Aspects of Musical Communication between Clara Wieck Schumann and Robert Schumann
Incontri con Robert Schumann
Thomas Synofzik, Composing for Jenny Lind. New Documents relating to Schumann’s Song Compositions of Early 1850
Kilian Sprau, Schumann M.M. Relazioni temporali come strumento per la costruzione formale ciclica nei Lenau-Lieder op. 90 di Robert Schumann
Maurizio Giani, Schumann e un altro Wagner. Vicende di una citazione
Cesare Fertonani, Schumann, Schubert e il romanzesco nella sinfonia
Maria Teresa Arfini, «Innere Stimmen». Slittamenti e rifrazioni della polifonia nella musica di Schumann
Nicoletta Lagna, «Nissuna mai penna basta, per dipingere parte il soavissimo, parte lo spiacevole del viaggiar in Italia». Ovvero del rapporto tra Schumann e l’Italia
A cura di Maurizio Giani
Concepito come omaggio a Robert Schumann, e insieme dedicato alla memoria di Antonio Rostagno, uno dei nostri maggiori studiosi del compositore di Zwickau, il presente volume raccoglie sette contributi di studiosi tedeschi e italiani, cui è stata lasciata piena libertà nella scelta del tema, dall’analisi di singole opere alla produzione critico-letteraria.
Janina Klassen lumeggia la comunicazione musical-compositiva tra Clara Wieck e Robert Schumann, Thomas Synofzik delinea aspetti della sua produzione liederistica con documenti inediti, Kilian Sprau le relazioni temporali nei Lenau-Lieder. Cesare Fertonani individua aspetti narratologici nella recensione della Sinfonia “Grande” di Schubert, Maria Teresa Arfini le complessità polifoniche nelle opere pianistiche, Nicoletta Lagna sul soggiorno di Schumann in Italia. Chi scrive ha infine riesaminato la recensione della Sinfonia fantastica di Berlioz, soffermandosi su una criptica citazione di Ernst Wagner che vi compare.
Romanticismo musicale e Robert Schumann sono diventati un binomio indissolubile. Il grande compositore tedesco, che visse i decenni centrali dell’Ottocento, espresse – soprattutto attraverso il pianoforte – una dirompente carica musicale e ideale, e raggiunse altissimi vertici poetici
Tra letteratura e musica
Robert Schumann, il rappresentante più emblematico del romanticismo musicale, nacque in Sassonia, a Zwickau, nel 1810, quinto figlio di un colto libraio ed editore. In lui, durante l’adolescenza, coabitarono due vocazioni distinte ma di uguale intensità, quella musicale e quella poetico-letteraria, che prevalse per qualche tempo sull’altra.
A metà degli anni Venti, pur proseguendo lo studio del pianoforte, che sarebbe poi diventato la sua ‘voce’ prevalente, Schumann scrisse alcune poesie e un romanzo, e si dedicò alla lettura di poeti e scrittori romantici, come Friedrich Schiller , Johann Paul Friedrich Richter.
Intorno agli anni Trenta la vocazione musicale prese deciso sopravvento: Schumann abbandonò il corso universitario di giurisprudenza e si dedicò con intensa assiduità allo studio della composizione e del pianoforte a Lipsia sotto la guida di Friedrick Wieck, padre di una pianista eccellente, Clara, destinata a diventare sua moglie malgrado la tenace contrarietà del professor Wieck. Nel giro di sei anni, dal 1830 al 1836, compose una serie di importanti brani pianistici: Papillons, Sei intermezzi, Carnaval, Sonata in fa diesis minore, Studi sinfonici e il primo straordinario vertice, la Fantasia in do maggiore.
Il critico e il virtuoso
I titoli dei suoi componimenti rivelavano, già di per sé stessi, un compositore fuori dalle consuetudini tradizionali di generi e forme. Siamo di fronte a una personalità in cui si intrecciano intenzioni professionali, interessi culturali e passioni esecutive profondamente legati al pianoforte, strumento di cui Schumann voleva innanzi tutto impossessarsi come concertista – anzi, secondo il costume del tempo, come virtuoso – dopo che a nove anni aveva ascoltato a Karlsbad il prodigioso pianista Ignaz Moscheles.
Schumann era un artista dotato anche di febbrile attività intellettuale, culturale e critica. Si legò in grande amicizia con Felix Mendelssohn-Bartholdy, quando questi, nel 1835, venne nominato a capo del Gewandhaus, la famosa istituzione orchestrale di Lipsia. Sempre a Lipsia, nel 1833, fondò un periodico di critica, la Nuova rivista musicale, che aveva l’intento di debellare le più pigre consuetudini dei consumatori di musica tradizionale. Schumann definì costoro «folla di filistei» e nella sua polemica usò l’espediente molto romantico di presentare i suoi sentimenti, concetti, idee, aspirazioni firmando gli articoli con diversi pseudonimi che, sotto forma di personaggi di fantasia, simboleggiavano i vari moti dell’animo e dell’invenzione: Florestan il caloroso, Eusebio il sognante, Raro il saggio meditativo. Agli stessi simboli s’ispiravano e s’identificavano temi musicali o interi componimenti.
Il romanticismo schumanniano
Il romanticismo di Schumann era di una forte tempra, costituzionalmente ben diversa dall’uso banalizzato in cui il termine romantico è caduto nel linguaggio corrente. Quando decise definitivamente di volgere la propria vocazione creativa alla musica, Schumann affidò da subito al pianoforte le sue ‘voci’ più intime e personali. Queste voci erano intrise della matrice poetica del suo pensiero, delle sue inclinazioni intellettuali e mentali, come emerge già dalla scelta dei primi titoli, ispirati dall’immaginario naturalistico o da personaggi derivati dalla narrativa e dalla favolistica scenico-teatrale: per esempio Carnaval o la splendida Kreisleriana (1838), desunta da un racconto di un altro artista romantico per eccellenza, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann.
A questa stessa personalità di romantico estremo vanno ascritti certi tratti depressivi patologici, che afflissero Schumann a partire dagli anni Trenta.
Il pianoforte
L’attività creativa di Schumann fu controbilanciata per qualche tempo da quella concertistica, spesso in coppia con la moglie Clara, sposata nel 1840.
Questa attività gli assicurò maggiore notorietà di quella di compositore, ma fu presto condizionata dalle disturbate condizioni fisiche e neuropsichiche, con crisi sempre più persistenti.
A sua volta, l’attività compositiva fu contrassegnata da un’intensa produzione, concentrata ora su un materiale sonoro, per esempio il pianoforte; ora su combinazioni strumentali, per esempio quartetti d’archi o quintetti con pianoforte; ora sul confronto, sempre necessario, con la grande tradizione sinfonica; ora sull’inevitabile terreno, romantico e germanico per eccellenza, del Lied con pianoforte (anche nelle versioni corali).
Restano legati allo strumento del pianoforte tutti quei lati della personalità del compositore che sono emblema del suo romanticismo, consegnati per esempio al Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, composto fra il 1841 (il primo movimento) e il 1845 (gli altri due), e a moltissimi dei suoi duecentocinquanta Lieder, soprattutto ai due cicli Amore e vita di donna (di otto canti) e Vita di poeta (di sedici canti) su poesie di Heine, entrambi composti nel 1840. L’essenza della poeticità del suono schumanniano si coglie talvolta alla fine di alcuni di questi Lieder, in cui tace la voce e resta protagonista il pianoforte a elevare al massimo la parola lirica.
Le grandi composizioni
Sporadicamente s’inserirono prove in campi del tutto diversi rispetto a quelli nei quali il musicista si impegnò con intensità appassionata: un oratorio profano per soli, coro e orchestra, Il paradiso e la peri, composto nel 1843; il Requiem per Mignon del 1849, su testi poetici di Goethe tratti dal romanzo Wilhelm Meister; l’opera teatrale Genoveva (1847-50), in quattro atti, dal dramma di Ludwig Tieck (uno dei protagonisti della letteratura romantica tedesca); infine le otto Scene dal Faust di Goethe, per soli, coro e orchestra, lavoro che lo tenne impegnato, sia pure saltuariamente, per dieci anni (dal 1844 al 1853).
Si tratta di lavori di grande entità formale e per ampi organismi esecutivi, nei quali Schumann sa esprimere tutta la sua grandezza artistica.
In seguito, nel corso degli anni Quaranta, il compositore accusò disturbi di salute che si alternavano a sempre più frequenti crisi nervose. Ciò lo indusse a trasferirsi da Lipsia a Dresda. Qui conobbe Wagner senza trarne particolare interesse.
In questo decennio (1841-50) affrontò, con esiti disuguali, tre sinfonie e nella terza, la Renana, raggiunse momenti di più aperta e singolare efficienza formale e stilistica rispetto al modello di Beethoven. La Quarta sinfonia apparve in forma definitiva nel 1851 come rielaborazione di una Fantasia concepita nel 1841.
Schumann e Brahms: due romanticismi a confronto
Nel frattempo Schumann si era trasferito a Düsseldorf in condizioni di salute peggiorate, specialmente riguardo alle facoltà mentali, benché ancora capace di realizzare un affascinante Concerto per violoncello e orchestra (1850) e altre opere cameristiche. In tali frangenti sopravvenne nel 1853 un incontro storico, quello con il ventenne Johannes Brahms, che si trasformò presto in sodalizio d’arte.
Un incontro di due romanticismi complementari: quello di Schumann portato alle estreme conseguenze fino a sconfinare negli sconvolgimenti della follia, e quello di Brahms teso a preservare, fino alla fine, il dono della ineffabilità romantica, come si può ammirare nelle sue ultime pagine pianistiche.
Nel 1854 la follia di Schumann esplose, conducendolo a un tentativo di suicidio nelle acque del Reno. Ricoverato presso Bonn in una clinica per malattie mentali, vi morì due anni dopo, nel 1856, attorniato dalla moglie Clara e da altri amici.
Biografia –Amazing Grace è il titolo di uno dei più antichi e popolari canti gospel della tradizione musicale americana, un inno bellissimo alla grazia concessa da Dio agli uomini liberi.
Roma – Amazing Grace Gospel Choir
Da questa suggestione che racconta della radice spirituale della musica gospel, parte Amazing Grace Gospel Choir, una iniziativa culturale in collaborazione con l’American University of Rome, per la conoscenza, la promozione e la diffusione della tradizione del gospel a Roma e in Italia.
Amazing Grace vuole essere un punto di riferimento per lo studio della cultura, dello stile e del repertorio gospel e il primo passo per la costituzione a Roma di un coro Gospel professionale, permanente, aconfessionale e apolitico.
Il coro è formato da 40 elementi provenienti da diversi Paesi del Mondo, ed è affiancato da vari musicisti. Porta in scena un repertorio di Gospel moderno, non rinunciando a reinterpretare classici della tradizione Afro-Americana.
La direzione artistica e didattica di Amazing Grace Gospel Choir è a cura di Timothy Martin, tenore e performer afro-americano noto sulla scena nazionale ed internazionale, con una pluriennale esperienza nell’insegnamento del canto e da sempre attento alla diffusione e valorizzazione della tradizione gospel in Italia e all’estero. Attualmente è docente di storia della musica presso l’American University of Rome e docente di canto presso la Scuola di Musica Popolare di Testaccio a Roma.
Martin Timothy Presidente-Amazing Grace Gospel Choir
Presidente
Martin Timothy
Codice socio
FCI1192/23
Sede
Roma
Tipologia
voci miste
Repertorio
Gospel
Sito / Email timartino@yahoo.com
FEDERCORI
Federazione Cori Italiani Chorus Inside
APS Ente Terzo Settore–
Via Giuseppe Verdi n. 15 – 66100 Chieti
E-mail: info@federcori.it
“Amazing Grace” is a Christian hymn published in 1779, written in 1772 by English Anglican clergyman and poet John Newton (1725–1807). It is possibly the most sung and most recorded hymn in the world, and especially popular in the United States, where it is used for both religious and secular purposes.[1][2][3]
Newton wrote the words from personal experience; he grew up without any particular religious conviction, but his life’s path was formed by a variety of twists and coincidences that were often put into motion by others’ reactions to what they took as his recalcitrant insubordination. He was pressed into service with the Royal Navy, and after leaving the service, he became involved in the Atlantic slave trade. In 1748, a violent storm battered his vessel off the coast of County Donegal, Ireland, so severely that he called out to God for mercy. While this moment marked his spiritual conversion, he continued slave trading until 1754 or 1755, when he ended his seafaring altogether. Newton began studying Christian theology and later became an abolitionist.
Ordained in the Church of England in 1764, Newton became the curate of Olney, Buckinghamshire, where he began to write hymns with poet William Cowper. “Amazing Grace” was written to illustrate a sermon on New Year’s Day of 1773. It is unknown if there was any music accompanying the verses; it may have been chanted by the congregation. It debuted in print in 1779 in Newton’s and Cowper’s Olney Hymns, but settled into relative obscurity in England. In the United States, “Amazing Grace” became a popular song used by Baptist and Methodist preachers as part of their evangelizing, especially in the American South, during the Second Great Awakening of the early 19th century. It has been associated with more than 20 melodies. In 1835, American composer William Walker set it to the tune known as “New Britain” in a shape note format; this is the version most frequently sung today.
With the message that forgiveness and redemption are possible regardless of sins committed and that the soul can be delivered from despair through the mercy of God, “Amazing Grace” is one of the most recognisable songs in the English-speaking world. American historian Gilbert Chase writes that it is “without a doubt the most famous of all the folk hymns”[4] and Jonathan Aitken, a Newton biographer, estimates that the song is performed about 10 million times annually.[5]
It has had particular influence in folk music, and has become an emblematic black spiritual. Its universal message has been a significant factor in its crossover into secular music. “Amazing Grace” became newly popular during the 1960s revival of American folk music, and it has been recorded thousands of times during and since the 20th century.
Descrizione del libro di Simona Tanzini-Conosci l’estate?-Viola, romana trapiantata a Palermo per un combinarsi di caso e di scelta, è un «volto televisivo», una giornalista tv. Ha un disturbo della percezione (lei preferisce «una particolarità»), la sinestesia: ogni cosa, ogni luogo, ogni persona che guarda si unisce, per lei, a una musica e la musica a un colore; ma non tutti, alcuni non hanno musica e quindi colore, «meglio tenersi lontani». A questo si accompagna una più grave malattia degenerativa, «neuroni bucati» che, senza disabilitarla, determinano il suo modo di muoversi e l’approccio alla realtà. Nel pieno di un’ondata di scirocco è morta strangolata Romina, una ventenne di buona famiglia. È immediatamente sospettato Zefir, un popolarissimo cantautore. Viola vaga per tutti i luoghi coinvolti dal crimine, conducendo la sua vita movimentata, curiosando nelle case e nelle giornate di ogni tipo di gente. Santo, l’ex caporedattore, trincerato dietro tenaci silenzi la mette in contatto con un suo amico, un poliziotto che lei chiama Zelig perché cangiante di colore, il quale sembra sfruttare le sue intuizioni, le sue visioni, l’abilità di profittare del caso. L’inchiesta diventa una storia in una prima persona insolita, né flusso di coscienza né descrizione; un registrare emozioni, eventi e coincidenze lontani, mischiati a pensieri contemporanei su se stessa, sulla città, su fatti e persone, con spirito ironia sarcasmo pena cinismo amore, sentimenti tutti orientati all’obiettivo di rubare la verità a una realtà frammentaria. Conosci l’estate? scandaglia senza trovare fondo il tema della colpa e dell’innocenza. E dietro la vicenda gialla traspare il vero cuore del romanzo: il ritratto commovente, quasi un diario, di una donna che avverte che in lei «si sta allargando il buio», che è lei «quella diversa» e perciò attraversa la vita in modo totale con tristezza e divertimento, malinconia ed entusiasmo, dolore e godimento. Di queste contraddizioni Palermo è il simbolo oltre che il luogo, «città ossimoro»: i suoi odori, la sua compassione e ferocia; e l’Altra Palermo disillusa, «più ipocrita e indifferente di prima». Ma è a Viola che non si può non voler bene.
Marina Cvetaeva nacque a Mosca il 26 settembre (9 ottobre) 1892, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev (1847-1913, filologo e storico dell’arte, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi Museo Puškin) e della sua seconda moglie, Marija Mejn, pianista di talento, polacca per parte di madre.
Ecco ancora una finestra, dove ancora non dormono. Forse – bevono vino, forse – siedono così. O semplicemente – le due mani non staccano. In ogni casa, amico, c’è una finestra così.
Non candele o lampade hanno acceso il buio: ma gli occhi insonni!
Grido di distacchi e d’incontri: tu, finestra nella notte! Forse, centinaia di candele, forse, tre candele… Non c’è, non c’è per la mia mente quiete. Anche nella mia casa è entrata una cosa come questa.
Prega, amico, per la casa insonne, per la finestra con la luce.
Fonte-Officinapoesia Nuovi Argomenti
Marina Cvetaeva
Breve biografia di Marina Cvetaeva nacque a Mosca il 26 settembre (9 ottobre) 1892, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev (1847-1913, filologo e storico dell’arte, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi Museo Puškin) e della sua seconda moglie, Marija Mejn, pianista di talento, polacca per parte di madre. Nel 1910 pubblicò Večernij al’bom (Album serale): poesie scritte dai quindici ai diciassette anni. Il volumetto attirò l’attenzione di poeti come Brjusov, Gumilëv, Vološin. Nella dacia di quest’ultimo, a Koktebel’, in Crimea, Marina incontrò per la prima volta (1911) Sergej Jakovlevič Efron, di origini ebraiche. L’anno successivo Marina lo sposò; di lì a poco comparve la sua seconda raccolta Volšebnyj fonar’ (Lanterna magica) e nel 1913 Iz dvuch knig (Da due libri). Intanto, il 5 settembre 1912, era nata la prima figlia, Ariadna (Alja). Agli inizi del 1916, dopo un viaggio a Pietroburgo si rafforzò l’amicizia con Osip Mandel’štam e si ruppe bruscamente il rapporto amoroso che per circa due anni l’aveva legata alla poetessa Sofija Parnok. Dopo l’ottobre 1917 il marito raggiunse l’esercito dei Bianchi, e la Cvetaeva restò bloccata a Mosca dalla guerra civile. Fra terribili privazioni e lutti (nel febbraio 1920 morì di denutrizione Irina, la figlia nata nel 1917), continuò a scrivere e a mantenere rapporti con il mondo letterario e artistico. Dal 1918 al 1919, nel periodo della sua amicizia con gli attori del II studio del Teatro d’Arte di Mosca, lavorò alle pièces del ciclo “romantico” Metel’ (La tormenta), Feniks (La fenice), Priključenie (Un’avventura), Fortuna, Červonnyj valet (Il fante di cuori), Kamennyj angel (L’angelo di pietra). Nel 1920 scrisse il poema-fiaba Car’devica (Lo Zar-fanciulla) e Lebedinyj stan (L’accampamento dei cigni), un ciclo lirico sull’Armata Bianca. Nel luglio 1921 ebbe per la prima volta la notizia che il marito era vivo e aveva trovato asilo in Boemia. Nel maggio dell’anno successivo lasciò con la figlia l’URSS per Berlino (qui ebbe inizio il lungo e intenso legame epistolare con Boris Pasternak); nell’agosto 1922 la famiglia Efron si stabilì in Boemia, dove visse fino al 1925, tra difficoltà finanziarie, separazioni e continui trasferimenti. Intanto la fama della Cvetaeva si era andata consolidando: nel 1922 erano state pubblicate a Mosca la raccolta Verste (1) e la pièce Konec Kazanovy (La fine di Casanova); a Berlino Stichi k Bloku (Poesie per Blok) e Razluka (Separazione); nel 1923, sempre a Berlino, avevano visto la luce le raccolte Remeslo (Mestiere) e Psicheja (Psiche). Nel 1924, anno in cui nacquero gli splendidi Poema della montagna e il Poema della fine, aveva pubblicato Ariadna (Arianna), prima parte di una progettata trilogia di tragedie in versi, e il poema Mólodec (Il prode). Con queste e altre opere (fra l’altro il poema Krysolov, L’accalappiatopi, 1925 e la tragedia Fedra, 1928) la Cvetaeva era divenuta un’assidua collaboratrice delle riviste dell’emigrazione russa, tra Berlino, Praga, Parigi. In quest’ultima città si trasferì nel novembre 1925 con Alja e Georgij, il bambino nato nel febbraio di quell’anno, e lì la raggiunse il marito. Il carattere intransigente e altero della Cvetaeva, aliena dal viscerale antisovietismo della maggioranza degli immigrati, creò gradatamente intorno a lei una pesante atmosfera di ostilità. L’ultima sua raccolta di versi, Posle Rossii (Dopo la Russia) vide la luce a Parigi nel 1928. Negli anni Trenta la Cvetaeva pubblicò quasi esclusivamente prose: saggi critici e critico-memorialistici, racconti “autobiografici” condotti sul doppio filo dell’invenzione e della memoria. All’inizio del 1937 Ariadna, fervente sostenitrice delle idee del padre, nel frattempo entrato in un’associazione che favoriva il ritorno in patria degli esuli russi, partì per l’Unione Sovietica. Nel settembre dello stesso anno Sergej Efron fu coinvolto in un clamoroso caso politico-spionistico: l’assassino di un ufficiale della polizia politica segreta sovietica che all’estero aveva disertato. Poco più tardi Efron scomparve dalla Francia. Sottoposta a un ormai violento ostracismo da parte della colonia russa, sconvolta dalle prime imprese europee del nazismo, sollecitata dalle insistenze del figlio, anche la Cvetaeva lasciò la Francia nel giugno 1939. A Mosca la attendevano nuove e terribili prove (Alja venne arrestata nel novembre ’39: dopo lager e confino, poté tornare a Mosca solo nel ’55; Efron, arrestato quasi contemporaneamente alla figlia, venne fucilato nell’agosto ’41), nuove privazioni, acuite dalle difficoltà del periodo prebellico. Aiutata da pochissimi amici fedeli, sopravvisse grazie a sporadici lavori di traduzione. Seguendo l’ondata dell’evacuazione, il 21 agosto del 1941 la Cvetaeva raggiunse con il figlio Elabuga, capitale della Repubblica autonoma socialista tatara, dove dieci giorni più tardi si sarebbe suicidata.
Biografia di Gioconda Belli (Managua 1948) poetessa nicaraguense di origine italiana. Il bisnonno, un agrimensore della provincia di Biella, lavorava nei cantieri del canale di Panama. Nel 1970 comincia a pubblicare le sue poesie ed entra nel Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Minacciata dagli sgherri di Somoza fugge in Costa Rica nel 1976, ma due anni dopo ritorna in Nicaragua per combattere. Con la vittoria del Fronte entra nel governo e vi resta fino al 1994, quando lascia la politica per divergenze col partito.
Il suo primo romanzo, La donna abitata (1989), a un tempo storico e autobiografico, conosce un successo planetario. Autrice di una ventina di libri – romanzi, poesia, racconti per bambini – riceve innumerevoli riconoscimenti in patria, nelle Americhe e in Europa. La Francia le ha conferito il titolo di Chevalier des Arts et des Lettres.
Dio mi fece donna
E Dio mi fece donna, con capelli lunghi, occhi, naso e bocca di donna. Con curve e pieghe e dolci avvallamenti e mi ha scavato dentro, mi ha reso fabbrica di esseri umani. Ha intessuto delicatamente i miei nervi e bilanciato con cura il numero dei miei ormoni. Ha composto il mio sangue e lo ha iniettato in me perché irrigasse tutto il mio corpo; nacquero così le idee, i sogni, l’istinto Tutto quel che ha creato soavemente a colpi di mantice e di trapano d’amore, le mille e una cosa che mi fanno donna ogni giorno per cui mi alzo orgogliosa tutte le mattine e benedico il mio sesso.
Eros è l’acqua
Tra le tue gambe il mare mi mostra strane scogliere coralline
rocce superbe coralli magnifici contro la mia grotta di conchiglie madreperlata
tu mollusco di sale segui la corrente l’acqua scarsa scopre le pinne mare nella notte con lune sommerse il tuo ondeggiare brusco il mio pulsare di spugna i cavalli minuscoli fluttuanti fra i gemiti aggrovigliati in lunghi pistilli di medusa
Amore tra delfini a balzi ti tuffi sul mio fianco leggero ti accolgo in silenzio ti guardo tra bollicine le tue risa cerco con la bocca spuma leggerezza dall’acqua ossigeno dalla tua
vegetazione di clorofilla
dagli occhi argentati fluisce il lungo sguardo finale ed emergiamo da corpo acquatico siamo di nuovo carne una donna e un uomo tra le rocce.
io sono la tua indomita gazzella
io sono la tua indomita gazzella, il tuono che rompe la luce sul tuo petto Io sono il vento sfrenato sulla montagna e il fulgore intenso del fuoco dell’ocote. Io scaldo le tue notti, accendendo vulcani nelle mie mani, bagnandoti gli occhi col fumo dei miei crateri. Io sono arrivata fino a te vestita di pioggia e di ricordi, ridendo la risata immutabile degli anni. Io sono l’inesplorata strada, la chiarezza che rompe la tenebra. Io metto stelle tra la tua pelle e la mia e ti percorro completamente, sentiero dopo sentiero, scalzando il mio amore, denudando la mia paura. Io sono un nome che canta e si innamora dall’altro lato della luna, sono il prolungamento del tuo sorriso e del tuo corpo. Io sono qualcosa che cresce, qualcosa che ride e piange. Io, quella che ti ama
Il tuo ricordo mi avvolge come una coperta
Il tuo ricordo mi avvolge come una coperta proteggendomi dal freddo, splende col mio corpo nel silenzio bagnato di questa sera in cui ti scrivo, nella quale non posso far altro che pensarti e pronunciare il tuo nome in segreto, dentro la mia bocca avvolgendolo nel recinto dei miei denti mordendolo fino a consumarne le lettere, fino a consumarlo tanto il nome tuo che mi ha accompagnato, per tornare a farlo rivivere cullandomi da me con la tua voce e i tuoi occhi, dondolandomi in questo tempo senza ore nel quale ti desidero in cui amo ogni minuto che è rimasto impresso nella mia memoria per sempre.
Io sono un nome che canta e si innamora
Io sono un nome che canta e si innamora dall’altro lato della luna, sono il prolungamento del tuo sorriso e del tuo corpo. Io sono qualcosa che cresce, qualcosa che ride e piange. Io, quella che ti ama.
Pescara-Personale di Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo
Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo
Pescara- 9 dicembre 2024- Personale di Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo-Ha attraversato e reinterpretato le correnti artistiche del Novecento, spaziando dall’impressionismo all’arte astratta: con la personale che sarà inaugurata giovedì prossimo, 12 dicembre, nelle sale del Museo delle Genti d’Abruzzo, Gino Berardi ripercorre il suo percorso creativo costruito attraverso uno studio del colore e un utilizzo della materia in continua evoluzione. Le sue opere si caratterizzano per un forte impatto visivo e una vibrante suggestione cromatica, che catturano l’essenza delle esperienze vissute e la restituiscono come frutto di una interiorità profonda e di una spiccata sensibilità artistica. La mostra “Dall’Impressionismo all’Astratto” rappresenta un’occasione unica per esplorare la crescita e la proiezione stilistica di Berardi. Le sue prime opere, caratterizzate da paesaggi e marine di chiara ispirazione impressionista, si trasformano gradualmente in composizioni astratte ed informali, in cui il colore e la forma si intrecciano in un dialogo continuo. La mostra offre la possibilità di immergersi in un universo visivo ricco di emozioni, in cui il passato e il presente convivono in armonia. Le opere di Berardi, attraverso un linguaggio visivo unico, raccontano di un’artista che non teme di esplorare nuove frontiere, mantenendo sempre una connessione con l’esperienza umana e il mondo che lo circonda. Con la forza del colore riesce a rendere palpabile l’energia e la vitalità del suo tempo, esprimendo una gioia di vivere che si manifesta attraverso ogni pennellata.
Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo
Il curatore della mostra, Gennaro Petrecca, ricorda nella sua presentazione che l’arte di Berardi “sfida le convenzioni e invita a una riflessione profonda su ciò che è visibile e ciò che è suggerito.”
La mostra sarà inaugurata giovedì 12 dicembre alle ore 17 e resterà aperta al pubblico fino al 12 gennaio con orario lunedì – venerdì: 9-13; sabato e domenica 16-20.
Emilia Vetere nasce nel 1997 a Roma e qui trascorre la sua vita. Frequenta il liceo classico, ma sceglie in seguito di approfondire la propria passione per le arti visive diplomandosi come truccatrice e scoprendo così gli effetti speciali. Colline (Ensemble, 2018) è la sua prima pubblicazione.
Binomio
Ci attira sopra ogni cosa
la cosa che più reprimiamo
E, così, l’uomo
divora la donna,
E, così, il popolo
adora il tiranno.
Così vai cercando
l’accento straniero
di quel bel ragazzo
che ti terrorizza,
Ti forzi a far odio
del tuo desiderio;
Ti sembra che io
dica il giusto o il vero?
La tigre e il cervo
La tigre procede a testa alta
nel tropico che la vede padrona
di ogni foglia, di ogni sfumatura.
Non perdona, ma non compie passo falso
di abuso, di violenza verso gli altri,
Nessuna; si compiace, anzi
di essere la sola a poter aiutare.
Non prova amore:
Non ha vera forza
All’infuori del sentirsi superiore.
–
Oltre al confine del tropico
la tigre cercava una preda,
Presa dalla solitudine
di una vittoria ormai invisibile.
Lei desiderava amare,
davvero,
Una creatura migliore,
Senza mai aver imparato ad amare
sé stessa, ciò
che la rendeva uguale.
Ma nella foresta
di forme diverse,
Di diverse leggi,
diverse realtà,
Volere solo vincere
significava reggere
Un metro diverso
dal braccio di ferro.
Chi si misura solo con la forza
non sa mai cosa l’aspetta.
Chi non ha forza
se non nel confronto
Nasconde la più grande debolezza.
Disarmata, ascoltavo morire
anche il grido
Di una grinta spenta in eterno:
Erano le lacrime di una tigre
di fronte alla grazia del cervo.
Non sapro’ mai più
Non ho mai chiesto più
da certi sogni
che mi lasciassero stare.
Quando la guardia è bassa
e non so interpretarli,
le sale buie e accumuli
di oggetti più che inutili.
Non ho mai chiesto più
dalla mia mente
di non caderci ancora.
Se è più facile perdersi,
ben più che ritrovarsi,
Io non saprò mai più dove mi trovo.
Termini
Definisci i Termini
delle mie notti instabili
E di giornate sature,
svuotate in un flacone.
Non c’è altra direzione che
sappia dare ai miei passi,
Tu, strada, Termini nella stazione.
Ragazze, amici, occupazioni e amore
languono sul filo della spada
Che rende ognuno dei miei sogni inerme,
atrofizzato tra le vie di Termini.
Non amare la tigre
nessuno vuole stare
Con qualcuno di così eccezionale
ed egocentrico.
C’è stato un tempo
in cui morivo ogni giorno
di devozione;
Ora un silenzio
in cui ascoltare
cadere la cenere.
Non amare la tigre
la cui rabbia non ama,
Che non ammira e non ha mire
se non quella di
arrivare prima.
Sotto al suo morso muore
la sfida di ogni creatura;
Non amare la tigre
che o ti ama
o ti divora.
A colori
Però l’uomo ha sempre visto a colori,
e uguale è il grido di ognuno che muore.
A cosa, a chi sentirsi superiori?
A ere passate e culture presenti?
Cose superate, o semplicemente
Rotte sconosciute dei venti.
Invece di far luce
sappiamo nascondere
e, invece di conoscere,
soltanto giudicare.
Invece di esplorare
ogni strada in quanto nuova
sappiamo solo chiuderci
a ogni alternativa.
Emilia Vetere
Nei campi urbani
Le porte automatiche dell’Inverno
fuori dalla stazione; ciò che prima
ha condito la mia vita, vita mia
Non ne hai lasciato nulla.
Sarà più Primavera?
Nei campi urbani della Tiburtina
la gente loda il respiro dell’aria
“Finalmente verde”, e i palazzi
sghignazzano a braccetto, in lontananza.
La vittoria del freddo
incalza, noncurante,
E io che vago, senza più una meta,
Scrivo;
Il blu del buio
mi si addensa addosso.
Sfrigolano le logoranti
frustrazioni altrui
ingoiate dalla città, Roma mia,
che ne ridi.
Poesie tratte dalla raccolta Colline (Ensemble, 2018) di Emilia Vetere
Termini
Definisci i Termini delle mie notti instabili E di giornate sature, svuotate in un flacone. Non c’è altra direzione che sappia dare ai miei passi, Tu, strada, Termini nella stazione.
Ragazze, amici, occupazioni e amore languono sul filo della spada Che rende ognuno dei miei sogni inerme, atrofizzato tra le vie di Termini.
***
Alchimia del terrore
Dimmi
se devo morire
nel nome di una convinzione e
di mazzi di pezzi di carta,
Dimmi se non ti riguarda,
Se la paura negli occhi
non era la tua
e i pianti e i gridi
non chiamavano te.
Non è solo un luogo,
non è solo un giorno
in un punto del mondo.
Dimmi, ancora, quante bocche
stanno sputando sentenze
gelate, volendo ignorare
Che è qualcosa di più grande, un velo
che ci avvolge uno a uno,
sotto lo stesso cielo.
***
In un giorno felice
Non all’altezza di ciò che mi gira in testa: Questo.
Una dei tanti nessuno tra i miei schemi inerti.
Nulla che sia più piacevole, ormai. Non più lo speziato sentore di trasgressione nel divertimento, Non ancora un premio al mio (forse) talento.
Ma in un giorno felice non avrò mai detto questo.
Difficile, no, impossibile, volevo dire, Stabilire – o provarci soltanto l’altalenante andamento dell’alto e l’abisso.
Il fulcro della mia leva, l’ultimo, unico punto che ho fisso È il disequilibrio.
Fossi una fenice, avrei finito presto anche la cenere da cui rinascere;
Ma in un giorno felice, io non avrò mai detto questo.
Roma Municipio XI-Natale 2024 e il “Concerto per Ludo”
Roma Municipio XI-Natale 2024-Sono ormai vari giorni che a Vigna Pia, come in tutta Roma, le luminarie rendono il quartiere colorato e più allegro, soprattutto in questo periodo in cui stare allegri non è sempre facile. Anche quest’anno, come un segnalibro o un inciso sottolineato, ci sarà il Concerto per Ludo che ci accompagnerà verso il Natale. Il Concerto per Ludo vuole essere un ricordo in musica di una ragazza che ora è una dolce Poesia astratta .Il Concerto “Melodie di Natale” con l’esibizione del coro “Lost On Friday” sarà, si spera, un modo di allontanare la polvere dai nostri ricordi più cari. Il concerto è un tassello che contribuisce alla costruzione del “Mosaico collettivo” che si fa “concretezza” in una borsa di studio in memoria di Ludo-
Ludovica Dell’Atti
Borsa di studio in memoria di Ludovica Dell’Atti
I genitori, la sorella, le amiche, gli amici e tutti i cari di Ludovica desiderano ricordare Ludovica Dell’Atti scomparsa prematuramente nel dicembre del 2022, mettendo a disposizione una borsa di studio per un programma scolastico annuale negli USA rivolta a studenti meritevoli iscritti al concorso di Intercultura della provincia di Roma.
Ludovica aveva compiuto da poco 17 anni e sognava di passare un anno negli USA da quando aveva iniziato il liceo linguistico. Ludovica amava l’inglese e pur non avendo frequentato corsi specifici aveva una buonissima padronanza di linguaggio, adorava mettersi alla prova parlando con dei veri madrelingua.
Attraverso lo spirito del viaggio vorremmo ricordarla ogni anno dedicandole una borsa di studio che permetta ad un ragazzo di viaggiare con lo stesso entusiasmo.
Il tuo contributo potrà aiutare a portare avanti il suo sogno!
Coro Lost on Friday
Notizie- Il Coro Lost on Fridaynasce nel gennaio 2010 dalla volontà dei componenti di riunirsi insieme cantando, sotto la guida del M° Rita Stocchi e con il valido accompagnamento al a. Da allora il coro ha intrapreso un’intensa attività concertistica, con un repertorio principalmente legato al gospel e allo spiritual, e si è esibito per beneficenza in numerose Basiliche romane, registrando un crescente consenso da parte del pubblico. Ha inoltre tenuto concerti presso il Teatro Angerosa del carcere circondariale di Rebibbia a Roma e ha partecipato in diretta, nel febbraio del 2014, al programma televisivo “La canzone di noi” su Tv2000. Il nome Lost on Friday (Persi di venerdì) nasce dal nostro giorno di prove e dal fatto che in quella sera non c’è possibilità di trovarci altrove se non a cantare nelle sale della Parrocchia di Santa Melania Juniore che gentilmente ci ospita. Il nostro logo ci rispecchia: un gruppo di persone unite, pur restando ciascuno con la propria individualità. Il loro numero, 13, riprende quello delle note in un’ottava, ma in realtà noi siamo molti di più: il coro si compone attualmente di una quarantina di persone. Le offerte raccolte durante i concerti sono elargite in opere umanitarie gestite dai responsabili dei siti dove si tengono le esibizioni. Ha al suo attivo negli ultimi anni la partecipazione a molteplici esibizioni a scopo benefico, tra cui ci piace ricordare quello nel 2022 presso la Basilica di Santa Francesca Romana in occasione del concerto organizzato dall’associazione Misioneros del Camino.Il Coro è attualmente diretto dal M° Fabrizio Adriano Neri.
Natale 2024 e il “Concerto per Ludo”
Il Concerto per Ludo “Melodie di Natale”-Coro LostOnFriday- al pianoforte Antonio Cama-Dirige il Maestro Fabrizio Adriano Neri.
Appuntamento venerdì 20 dicembre 2024-Ore 20:30
Parrocchia – Sacra Famiglia al Portuense
via Filippo Tajani, 10-Roma Municipio XI-
Offerta libera e consapevole per la borsa di studio in memoria di Ludovica
Roma al Teatro Ghione va in scena “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello-
Roma-Al Teatro Ghione, dal 6 al 9 febbraio 2025 con Primo Reggiani, Francesca Valtorta, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon e Enrico Ottaviano uno spettacolo tratto da uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello: “Uno, nessuno, centomila”, per la regia di Nicasio Anzelmo.
Ironico, grottesco, e capace di mettere in crisi la società borghese del primo Novecento, la storia segue il viaggio di Vitangelo Moscarda, un personaggio complesso alla ricerca della propria identità. Temi come l’autenticità, la percezione della realtà e il rapporto con le convenzioni sociali emergono in tutta la loro forza per una storia ancora oggi di grandissima attualità.
UNO NESSUNO CENTOMILA-di Luigi Pirandello
Con-Primo Reggiani, Francesca Valtorta, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon, Enrico Ottaviano
Adattamento e Regia-NICASIO ANZELMO
Roma al Teatro Ghione va in scena “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello
Ironico, grottesco, capace di mettere in crisi la società borghese del primo novecento questo è stato ed è tutt’ora la forza di Uno nessuno e centomila. L’ultimo dei romanzi di Pirandello, è denso di enigmi, e secondo lo stesso autore esso è «sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e la sorgente di quello che farò». In una lettera autobiografica, Pirandello lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Il protagonista Vitangelo Moscarda è forse uno dei personaggi più complessi della produzione pirandelliana: “prima impacciato e prigioniero delle opinioni altrui, poi sempre più consapevole e determinato a cercare l’autenticità spirituale dell’esistenza , fino all’affrancamento finale da tutte “le rabbie del mondo”. Un giorno, accorgendosi casualmente che il suo naso pende verso destra, incomincia a percorrere un viaggio scoprendo ogni giorno che passa di non essere, per gli altri, quello che crede di essere. Il protagonista, incontrando e confrontandosi con una miriade di personaggi, cercherà di distruggere le molte immagini che gli altri vedono di lui, fino a diventare aria, vento, puro spirito.
Un lavoro rivoluzionario, soprattutto per i tempi in cui fu scritto, che tocca temi estremamente attuali come il rapporto con la natura, con una spiritualità negata dalla società e dalla convenienza, la ricerca spasmodica di se stessi. Un testo che nella sua modernità sorprende, soprattutto oggi, nell’analisi dell’istituto bancario e dell’impatto che lo stesso ha sul tessuto sociale.
Un impianto scenografico in movimento, un gruppo di cinque straordinari attori e l’umorismo tipico in Pirandello, ci racconteranno questa storia ancora oggi di grandissima attualità.
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