Barbara O’Brien–Operatori e Cose-Confessioni di una schizofrenica-
-ADELPHI EDIZIONI-
Con una Postfazione di Michael Maccoby Traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini
Descrizine del libro di Barbara O’Brien-Immaginate di svegliarvi una mattina come le altre e vedere ai piedi del vostro letto tre figure spettrali, ma terribilmente vere – un ragazzino con un sorriso stampato sul volto, un uomo anziano dall’aria autorevole, che ispira fiducia, uno strano individuo con lunghi capelli dritti e neri, lineamenti femminei e un’espressione arrogante. E immaginate, da quel giorno in poi, di non poter più pensare liberamente, di diventare le cavie di un oscuro esperimento e non poter fare altro che eseguire i loro ordini. È quello che è accaduto a Barbara O’Brien, pseudonimo di una giovane donna che alla fine degli anni Cinquanta ha pubblicato questo libro: una delle più straordinarie testimonianze dall’interno di un delirio schizofrenico durato sei mesi, da cui miracolosamente, e con le sue sole forze, è riuscita a liberarsi. Ma chi sono quelle figure che ha visto materializzarsi nella sua stanza, e cosa vogliono da lei? Sono gli «Operatori», occhiuti guardiani che nel suo universo paranoide studiano, sorvegliano, escogitano sempre nuovi modi per esercitare potere sulle loro vittime, le «Cose», a cui non resta che guardare e aspettare. Eppure, usciti insieme a lei dalla cronaca del suo delirio, ci sembra di avvertire una strana affinità fra l’operare di quelle feroci e persecutorie presenze e la struttura stessa su cui si regge il mondo chiamato «normale».
Barbara O’Brien
Operatori e Cose
Confessioni di una schizofrenica
In copertina
Michaël Borremans, Gli allievi (2001). Fotografia di Peter Cox. courtesy zeno x gallery, antwerp
Con una Postfazione di Michael Maccoby, Traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini, Fabula, 374 2021, pp. 251 isbn: 9788845936173 Temi: Letteratura nordamericana
ADELPHI EDIZIONI S.p.A
Via S. Giovanni sul Muro, 14 20121 – Milano Tel. +39 02.725731 (r.a.) Fax +39 02.89010337
Il richiamo del giubileo per una nuova e fraterna giustizia-
GABRIELLI EDITORI- San Pietro in Cariano (Verona)
Prefazione di Paolo Farinella – Postfazione di Riccardo Milano
Descrizione-Il libro dell’editore Emilio Gabrielli –La Terra è del futuro –non è nato a tavolino né nella sola ricerca speculativa, ma nel silenzioso ascolto delle parole dei tanti autori e dei loro libri che sono stati accolti dalla casa editrice. Il punto di partenza dell’utopia dell’Autore è la sinagoga di Nazaret in Galilea, con l’inizio dell’attività pubblica del giovane rabbi, Yòshua bar Josèph – Gesù figlio di Giuseppe – inserendosi nel solco di una tradizione profetica e culturale che coinvolge il culto, la vita, le scelte di ogni giorno. Partire da Nazaret, quindi, e precisamente dal passo del profeta Isaia che Gesù assunse in prima persona (Lc 4,16-19; cfr. Is 58,6-61,1) e che giunge a noi come progetto di vita integrale. Emilio Gabrielli, come rispondendo al suono dello jobel, si domanda come sia possibile tradurre quel progetto giubilare in pratiche concrete. Cogliendo l’urgenza di portare ad armonia tutti i temi correlati che egli elenca con puntiglio come tappe della sua vita, Gabrielli approda all’ultimo passo, quello economico e politico, che è e resta il banco di prova di ogni scelta. Se oggi siamo alle prese ancora con la proposta di un giubileo, ed Emilio Gabrielli ne descrive un’esigenza ineludibile e improcrastinabile, è segno che i tempi sono maturi. Lo sono anche i cristiani? I laici, credenti e non credenti? Occorre una grande intelligenza per vedere, con gli occhi dell’immaginazione, l’arcobaleno che dal dopo diluvio di Noè si estende alle generazioni future, fino a noi per impegnarci nella costruzione della “Casa comune” di cui non siamo mai proprietari, ma usufruttuari temporanei, col compito entusiasmante di consegnarla ai figli e ai figli dei figli… dei figli, ai quali dovremmo offrirla migliore di quanto l’abbiamo ricevuta. (Dalla Prefazione del biblista Paolo Farinella)
“Occorre, ci ha detto Gabrielli, che re-impariamo a pregare, a pensare e ad agire per il bene comune, per l’umanità, per una fraternità e sororità comune, come ci ha anche suggerito Papa Francesco nella sua ultima enciclica Fratelli tutti. L’augurio è che il lettore possa accogliere questo invito, ossia accetti il “suo proprio” cammino di essere umano e di cristiano. Emilio Gabrielli, con la sua maestria di insegnante, ci offre le motivazioni del perché farlo, del perché occorre comunque provarci e ci fa capire che se questo non avvenisse saremmo noi tutti sempre meno capaci di sognare e di operare per il bene.” (Dalla Postfazione dell’economista Riccardo Milano)
IL SEGNO DEI GABRIELLI EDITORI 2022
via Cengia, 67 – 37029San Pietro in Cariano (Verona) tel: +39 045 7725543
Mentre ci prepariamo a Fara in Sabina a salutare l’estate, ci apprestiamo ad accogliere la magia e il fascino dell’autunno. A Fara in Sabina questa stagione è infatti perfetta per godersi il relax e soprattutto la bellezza del turismo lento. Viaggiare lentamente significa rinunciare alla frenesia e fare esperienze locali più autentiche, entrando in contatto con i luoghi e le persone che si incontrano durante il percorso. Niente di meglio allora di andare alla scoperta di un borgo incantevole, come quello medievale di Fara in Sabina, immerso in pittoreschi paesaggi. Questo borgo sorge su Colle Buzio, tra la verde e rigogliosa natura della Sabina e la valle del Tevere, in provincia di Rieti.
Preparatevi dunque per una fuga autunnale indimenticabile, dove il turismo lento sarà la chiave per cogliere appieno la bellezza di questo suggestivo borgo medievale.
Il fascino del foliage: uno dei protagonisti indiscussi dell’autunno nel borgo di Fara in Sabina è il foliage. Le foglie degli alberi si tingono di giallo, arancione e rosso, creando uno spettacolo naturale mozzafiato. Passeggiare ad esempio nella pineta o lungo i sentieri del Parco della Rimembranza è un’esperienza rigenerante per corpo e mente.
Il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina, sito in piazza Duomo a Fara in Sabina: questo affascinante museo, ospitato all’interno del rinascimentale Palazzo Brancaleoni, espone i reperti che hanno consentito di ricostruire componenti importanti della vita e della cultura del popolo sabino. Da non perdere: la sala della Scrittura, interamente dedicata al cippo inscritto ritrovato nel greto del vicino fiume Farfa, la sala dedicata alla Tomba XXXVI di Colle del Forno e l’ultima esposizione che sarà allestita fino alla fine del mese di settembre. Si tratta di antichi resti di eccezionale importanza, che gettano nuova luce sulla storia di Fara in Sabina e i suoi dintorni: durante un intervento di bonifica dagli ordigni bellici, nei pressi della stazione di Passo Corese, è stata infatti incredibilmente rinvenuta una necropoli romana, ovvero ben 42 sepolture datate dal I al III secolo d.C. L’esposizione dunque include gli scheletri di una comunità vissuta qui oltre 1800 anni fa.
Esplorare il borgo medievale: il borgo medievale di Fara in Sabina, con le sue stradine acciottolate, le case in pietra e gli antichi palazzi nobiliari (Palazzo Orsini, Palazzo Manfredi, Palazzo Martini), sprigiona un fascino particolare in autunno.
Sapori d’autunno: la Sabina, in generale, è una terra ricca di storia, cultura e tradizioni. Ma è anche un paradiso per gli amanti degli agriturismi e dei prodotti genuini. Questa zona, immersa nel verde, offre infatti una vasta scelta di strutture dove potersi rilassare e soprattutto dove poter gustare i sapori di stagione della cucina locale. Tra gli agriturismi più caratteristici ci sono Agriturismo Santo Pietro, La Raja e Agriturismo Borghetto d’Arci.
Immersione tra gli ulivi: la Sabina è una terra fortemente votata alla produzione dell’olio extravergine di oliva. Tutto il territorio comunale è infatti circondato da una natura rigogliosa. È possibile fare una passeggiata tra distese verdi di uliveti e vigneti che si alternano a boschi e radure. Inoltre, a Canneto Sabino (una piccola frazione del Comune di Fara) è possibile incontrare “L’Ulivone”, un ulivo millenario (considerato uno dei più antichi d’Italia) che rappresenta un vero e proprio monumento naturale. Viene anche chiamato “di Numa Pompilio”, perché la tradizione vuole che sia stato proprio il secondo Re di Roma, tra il 715 e il 673 a.C., a piantare questo esemplare.
Tradizioni e folklore: l’autunno in questo territorio è ricco di feste di paese e tradizioni. Tra le diverse manifestazioni in programma, si può ad esempio partecipare al Festival dei prodotti biologici oppure al Festival della Famiglia. Per informazioni e prenotazioni contattare l’Ufficio Turistico Comunale in piazza Duomo, 2: 0765/277321 (gio. ven. sab. dome e festivi), 380/2838920 (WhatsApp), visitafarainsabina@gmail.com
Pausa romantica sulla terrazza Belvedere: questa maestosa terrazza, situata a pochi passi da piazza Duomo, è quasi un’opera d’arte. È infatti il luogo ideale per una pausa romantica e rilassante o per un aperitivo al tramonto. Da qui si può ammirare l’inconfondibile profilo del Monte Soratte e la valle del Tevere fino a Roma. Si racconta inoltre che da Fara in Sabina si possano contare fino a 92 campanili: Fara è infatti l’unico borgo della Sabina ad avere un panorama a 360°.
Scoprire il crocifisso di pelle umana: Fara in Sabina non è solo un gioiello architettonico, è anche un luogo avvolto nel mistero. Uno dei misteri più affascinanti del borgo riguarda il Duomo (Chiesa di Sant’Antonino Martire) che sobrio, ma affascinante, rappresenta un luogo intriso di eleganza, storia e leggende: sorge nel cuore del centro storico, in piazza Duomo, e si erge sui resti di una chiesa preesistente (oggi sotterranea) della prima metà del ‘300. Nasce tecnicamente come “Collegiata” tra il 1501 e il 1506, ossia come sede di residenza di un “collegio” di canonici. Al suo interno, tra pregevoli opere, si trova anche un crocifisso di inizio ‘600 polimaterico in cuoio, paglia e altre fibre vegetali: la tradizione però narra che la sua pregiata e dettagliata fattura sia data da un rivestimento in pelle umana.
L’autunno è un invito a rallentare, a godersi i piccoli piaceri della vita e a riscoprire la bellezza della natura. Concedersi una gita fuori porta a Fara in Sabina in questa stagione vuol dire quindi farsi conquistare dalla magia di questo borgo e dei suoi tesori tanto culturali quanto naturali.
Jack Kerouac,Scrittore e poeta, nato giovedì 12 marzo 1922 a Lowell, Massachusetts (USA – Stati Uniti d’America), morto martedì 21 ottobre 1969 a St. Petersburg, Florida (USA – Stati Uniti d’America)
Jack Kerouac, E’ uno dei padri della beat generation, l’autore di Sulla strada (1957), lo scrittore che seppe intercettare in anticipo lo spirito di un Paese che stava cambiando, l’interprete di un desiderio di libertà e di profondità spirituale che erano nell’aria, prima degli hippy, di una ribellione contro la civiltà occidentale. I grandi spazi dell’America da attraversare coincidevano con quelli della coscienza. Ha ispirato molti, come Bob Dylan, come i movimenti pacifisti, con le sue idee e con il suo stile immediato, la prosa spontanea, rapsodica e jazz; e continua a ricorrere ancora oggi, nella nostra cultura, ad essere evocato, attraverso quel suo concetto geniale di vivere “on the road”. Jack Kerouac è nato cento anni fa, il 12 marzo 1922, a Lowell (Massachusetts), ed è morto giovane, a 47 anni nel 1969, per una emorragia addominale causata dall’alcolismo.
Poesie di Jack Kerouac
DULUOZ
Nome tratto da fonti
di primo mattino
Nella sede di un giornale
Tanti Anni Fa a Lowell Mass
Mentre gli uccelli cacavano
Sul canale
E Sperma galleggiava
Tra i Muri di Mattone
Di un Albeggiar di Fumo
Che usciva da un Camino
di Chtistian Hill
Ah Sire, Duluoz,
Re dei miei Pensieri,
Salve a te!
(Caccia un’altra lattina di birra)
QUALUNQUE MOMENTO
Qualunque momento hai voglia
Di scrivere una cazzuta poesia
Apri ‘sto libro
& Strilla nient’ altro
Che Crema
Strilla
Non ti scomare
Scorri
Scortica
Scrosta i bordi di Scrono
AllitteRa le Rane
Bekkek! Bekkek!
Koax! Koax!
Carra Quax!
Carra qualquus
Kerouacainius!
PERSINO JOYCE
Persino lui, Joyce,
ha avuto l’amore
Persino i poeti ciechi.
IL POETA
Quante volte da quando
Ho visto il poeta
di Greenwich Village
Scorciare al lavoro nell’ alba grigia
Con la gavetta &
il taglio di capelli fuori moda
Occhi allo Hudson
Narici alla strada
All’inverno, al lavoro, alla carità,
Ai pasti, cibo di follia
Tante volte da quando
Ho visto il poeta
Che scriveva ritmi & rime
Incazzato tra Minetta’s
E Minetta Lane
Affrettarsi al Lavoro
Sessosico, sessitico, psico
analizzato?
Al lavoro nell’alba impoetica
Le mattine dopo essermi sbronzato
con Lucien & Allen
& gli Angeli Alleati
Nella Vasta Pesciaia
di Manhattan
O America!
O canti!
Poesie!
o Sax Alti! o Tenori!
Suonate!
(il Poeta è Morto).
TUONO
Il tuono fa un frastuono
di rumore come finestre
Chiuse in silenzio
istericamente
Perciò Papi è caduto dalle scale
del tempo
Malgrado l’acquasanta
E tutti i vs. beveroni
nell’
Eternità.
LA ROSA
«Ah, Rosa»ho gridato,
«Risplendi nella Fosforescente
Notte.»
L’INSETTO
E al piccolo insetto che io sono
ho detto
«Insetto, detto, vetta, tetta del tempo,
Prova, prendi, prendi, spremi, vola,
L’amore traversa i t.i zigomi
Sulla fosforescente trasparente
ala
Del Metamorfosato Insetto
Kafkiano divora formaggio»
L’ORRORE
Quindi ho visto l’orrore,
E ho gridato,
«Toglitimi di do sso».
L’errorrore mi ha messo osso
Per osso in un sacco di terra,
Poi mi ha arrostito in forno
D’infernocielo nell’alluminio
Di Diavolo Dio Gesù ,
Cioè la Vs. Santa Trinità.
I SORRISI
I sorrisi scostano la pelle delle guance
Da perle d’osso
E mostrano a chi guarda
Tremolare la crema
In occhi di pietra.
SULLE LACRIME
Lacrime è la mia fronte che si rompe,
Il lunato agitato
sedersi
In bui cimiteri di treni
Quando per vedere il volto di mia madre
Che richiamava dalla sua visione
Piansi alla comprensione
Della trappola mortalità
E del sangue personale della terra
Che mi aspettavano
Padre padre
Perché mi hai abbandonato?
Mortalità & repulsione
Scorrazzano per questa città
Infelicità è il mio secondo nome
Voglio essere salvato,
Affondato-non può essere
Non vuole essere
Mai fu fatta per essere
Così da vomitare!
DA VECCHIO
Quando comincerò a invecchiare
E forse sentirò .il braccio sinistro
intorpidirsi
E il cervello resistita speranza,
Siederò addormentato
L’energia soffocata esaurita
nel mio occhio
E l’amore fuggito da me
Quando la peggior notizia
Mi fu portata
Ed esultai di essere solo
Di ormai essere morto
Ho avuto la visione del
santo
Misconosciuto & troppo stanco
per spiegare il perché
E di dolci intenzioni
un altro giorno-
Persino Stanley Gould
andrà in cielo.
LO SO
Lo so che non so scrivere
versi
Ma questo è il mio libro
di righine lattine
Di birra e allora compatiscimi
invisibile
Lettore lasciami pasticciare
anche
Quando ho i postumi & sono senza
idee.
DIO
Seduto sui nostri significati
Egomaniaco Dio,
Solitaria macchia d’olio luccico di pioggia
È solito irritarci per di più
Nel Reale.
SPERANZE
La poesia non lo sa:
Il condizionatore
Disusato d’inverno
È come le mie speranze
Un po’ dentro, un po’ fuori,
Verdi su ruota bianca,
Buone solo a gettare
Un’ombra lunga
Nella livida luce della strada.
55° Chorus
Un giorno o l’altro alzeranno monumenti
costruiti in onore dei folli
quelli che oggi stanno in manicomio
Come primi pionieri del concetto
per il quale se perdi la ragione
attingi al sapere più perfetto
Il quale è immune da predicati
quali «lo sono,. io voglio, io ragiono -»
-immune dal dire: «Lo farò»
– Immune
Immune anche da follia in virtù
del non contatto
Ma per intanto questi medici
deterministi credono davvero
che un matto è matto –
E per questo hanno eretto una religione
da un miliardo di dollari, detta Psico-medicina,
e ah –
Be’ apprenderemo la normalità
dell’Ard Bar
Al mattino, alle volte, da soli
Blues
Parte delle stelle mattutine
La luna e la posta
L’insaziabile X, il dolore delirante,
– la luna Sittle La
Pottle, teh, teh, teh, –
I poeti in vecchie stanze gufose
che scrivono curvi parole
sanno che le parole furono inventate
perché il nulla era nulla
Usando le parole, usate le parole,
le X e gli spazi vuoti
E la pagina bianca dell’Imperatore
E l’ultimo dei Tori
Prima che la primavera si metta in moto
Sono una montagna di nulla
di cui volenti o nolenti disponiamo
Così di notte contratteremo
nel mercato delle parole.
Poesia
Il jazz s’è suicidato
Fate che la poesia non faccia la stessa fine
Non temiate
l’aria fredda della notte
Non date retta alle istituzioni
quando trasformate i manoscritti in
arenaria
non inchinatevi né fate a cazzotti
per i pionieri di Edith Wharton
o per la prosa alla nebraska di ursula major
no, statevene nel vostro giardinetto
& ridete, suonate
il trombone di mollica
& se poi qualcuno vi regala perline
ebree, marocchine, o vattelappesca,
addormentatevi con quella collana al collo
È probabile che facciate sogni più belli
La pioggia non c’è
non ci sono più me
te lo dico io, ragazzo,
affidabile come la merda.
WOLFGANG AMADEUS MOZART- Il 5 dicembre 1791 moriva a 35 anni
–Articolo di Daniela Musini-
Già nell’Autunno del 1791, durante una passeggiata al Prater, il meraviglioso parco di Vienna, Mozart aveva confidato alla moglie Konstanze il timore di essere stato avvelenato con una qualche sostanza a lento rilascio.
Male stava male davvero: da qualche giorno era debolissimo, camminava a fatica e le gambe la sera si gonfiavano a dismisura.
Non che Wolfgang, anzi, Johannes Chrysostomus Wolfgang Theophilus, avesse mai goduto di buona salute! Tutt’altro. Alto poco più di 1 metro e mezzo, il viso butterato dal vaiolo, una deformazione all’orecchio sinistro e una malformazione congenita ad un rene, era anche affetto da un lieve rachitismo e una forte miopia.
Non solo: pare soffrisse anche della “sindrome di Tourette” che gli faceva fare movimenti inconsulti e dire parolacce e frasi irripetibili al limite della blasfemia (di cui peraltro sono piene le sue lettere) e che alimentava il suo essere irridente, impudente e dispettoso come un folletto.
Ma era un Genio. Assoluto. Unico.
Iniziò a scrivere a 6 anni e nella sua breve vita creò 626 composizioni che hanno spaziato in tutti i generi musicali, moltissime delle quali sono assurte a capolavori immortali e, al di là del nitore formale e del perfetto equilibrio architettonico, celano le vertigini dell’incipiente Romanticismo e le abissali profondità dell’animo umano.
Da piccolo lui e la sua talentuosa sorellina Nannerl avevano stupito le Corti di mezza Europa suonando con strabiliante bravura il clavicembalo; a sei anni, di fronte ad una divertita Maria Teresa, Imperatrice d’Austria, disse tutto serio alla piccola figlia di quest’ultima, Maria Antonietta (che di anni ne aveva 5) «da grande ti sposerò.»
Se la cosa si fosse avverata l’esistenza di quella bimba sarebbe stata assai diversa: sarebbe diventata la moglie di un Genio incompreso, povero e strambo e non quella di Luigi XVI di Francia, non avrebbe consigliato al popolo affamato di mangiare brioches (secondo una credenza popolare mai suffragata da prove certe) e la sua testa non sarebbe rotolata sotto la lama della ghigliottina.
Le cose sarebbero andate diversamente, come sappiamo, anche per il giovane Wolfgang che, innamorato perso della volubile cantante lirica Aloysia Weber, fu da lei illuso e respinto; deluso e affranto, ripiegò sulla di lei sorella Kostanze dalla quale ebbe 4 figli, due dei quali morirono in tenerissima età e con lei condivise un’esistenza che, come spesso accade agli enfants prodiges, da sfavillante divenne opaca e struggente.
Il bimbetto stupefacente era diventato un compositore troppo ardito e innovatore per essere davvero compreso e osannato in vita come avrebbe meritato e la frustrazione, le amarezze e le delusioni costellarono la sua breve esistenza.
Lavorava come un pazzo, Wolfgang, componendo in modo compulsivo, strapazzando il suo fisico gracile che cercava di corroborare con l’immancabile Schwartzpulver, un tonico allora in voga a base di lombrichi e cuore di rana e, soprattutto, con il “liquore di van Swieten” che conteneva un’alta percentuale del tossico mercurio.
Fu questo quindi ad avvelenarlo, e non il pur malevolo e invidioso musicista Antonio Salieri (tesi quest’ultima fantasiosa e affascinante ripresa anche dal regista Milos Forman nel suo capolavoro “Amadeus”).
Povero Wolfgang, con la sua mania dei ricostituenti e le nottate trascorse in bianco ad assecondare il suo disperato furor creativo!
Nell’ultimo anno di Vita la situazione precipitò: non fu solo il suo fisico ad essere minato, ma anche la sua mente, presto abitata dai demoni della depressione.
Una notte, durante un temporale, uno sconosciuto bussò alla sua porta e gli commissionò un Requiem per la morte di un grande personaggio.
Lo sconosciuto altro non era che il servitore del Conte Walseg-Stuppach, un musicista dilettante che in realtà voleva solo appropriarsi della sua musica e farla passare per propria nella cerimonia di commemorazione dell’amata moglie.
Ma nella mente devastata di Wolfgang quel visitatore misterioso divenne un messaggero di morte. Della propria morte. E il magnificente Requiem che si apprestò a comporre, la Musica per la sua dipartita dal mondo.
Non riuscì a completare questo ennesimo capolavoro, Mozart (ci penserà il suo allievo Franz Xaver Sussmayr a farlo) perché nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 1791, dopo aver composto la struggente “Lacrimosa”, spirò tra le braccia della moglie.
Indebitato com’era, al suo povero funerale, avvenuto sotto una tormenta di neve, a seguire il feretro solo la moglie e i due figlioletti.
Fu inumato nel cimitero viennese di San Marco in una tomba senza nome, come allora era d’uso per decreto dell’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena che aveva ordinato che i corpi fossero sepolti senza bara e non imbalsamati.
Quando Kostanze tornò l’indomani per portargli un fiore, complice l’ulteriore copiosa nevicata della notte e la mancanza di qualsiasi segno di riconoscimento, vagò per ore nel cimitero spettrale e non riuscì a rintracciarla.
Il più grande ed incompreso Genio della Musica fu condannato a giacere in un’anonima e sconosciuta tomba.
Ma c’è un mistero che aleggia attorno a lui e che riguarda un teschio, conservato al Mozarteum di Salisburgo e che molti sostengono appartenga al musicista.
Gli indizi a favore sono molti: corrispondono le dimensioni, il difetto dell’orecchio sinistro, la frattura alla testa, che Mozart si era procurato in effetti cadendo (e che negli ultimi mesi gli aveva procurato cefalee lancinanti), e, particolare inquietante, quel laccio di ferro che il sacrestano di San Marco, Joseph Rothmayer, gli aveva messo al collo per conferire a quel povero corpo nudo un seppur sinistro segno di riconoscimento.
Che quel povero teschio appartenga davvero a Wolfgang Mozart non lo sappiamo, ma una cosa è incontrovertibile: egli vivrà per sempre, attraverso la sua eccelsa Musica, nei secoli dei secoli.
Musa medievale-Saggi su temi della poesia di Venanzio Fortunato
-a cura di Donatella Manzoli- Viella Libreria Editrice-Roma
Sinossi-Venanzio Fortunato, poeta latino del VI secolo, ha costituito un ponte tra la cultura antica e quella medievale. Nato a Valdobbiadene e formatosi a Ravenna, estremo fortilizio italico della cultura classica, Venanzio visse nella ferrosa Gallia merovingia, dove poté brillare come poeta grazie al riparo offertogli da Radegonda e Agnese, nobildonne ritiratesi in un monastero con le quali intrecciò un affettuoso legame cantato in versi che sembrano anticipare la lirica cortese. Profondo conoscitore dei classici ma anche ardito sperimentatore, è stato a sua volta considerato un classico e perciò è stato ammirato e imitato da un nutrito stuolo di poeti medievali, Dante compreso, ma qualcosa della sua poesia si rintraccia ancora in Foscolo, Huysmans, Joyce e perfino in Reinhold Messner e anche nella musica di Pierluigi da Palestrina, Giacomo Puccini e, inaspettatamente, di un gruppo tedesco folk metal. Al di là delle riprese puntuali, a Venanzio la tradizione poetica occidentale deve soprattutto lo spudorato rilancio di quel gusto per le scintille di parola che secoli dopo si chiamerà barocco.
INDICE
Premessa di Donatella Manzoli
Paolo Mastandrea, Introduzione
Donatella Manzoli, Venanzio musa medievale
Emanuele Riccardo D’Amanti, Iustitia ed eloquentia dei dignitari laici della corte austrasiana nel VII libro dei Carmina di Venanzio Fortunato
Elena Di Bonaventura, Munus e munificenza nei carmi di Venanzio Fortunato: doni e obblighi di un Italus in terra di Francia
Mariangela Lanza, Due dossier agiografici nei Carmina di Venanzio Fortunato: san Martino e san Germano
Martina Pavoni, Un nuovo ideale di donna. La dulcedo da Venanzio ai poeti della Loira
Francesca Tarquinio, «Omnes una manet sors inreparabilis horae»: il tema della morte nella poesia di Venanzio Fortunato
I grandi maestri abruzzesi in asta a L’Aquila da Gliubich
L’AQUILA – Nel pomeriggio di martedì 24 settembre le sale del secondo piano di Palazzo Cipolloni Cannella, al civico 9 di Corso Vittorio Emanuele II, a L’Aquila, ospiteranno la più grande asta di pittori abruzzesi mai vista. Il martelletto del proprietario Gianluca Gliubich batterà opere di grandi maestri della nostra regione assieme a bellissime statue, porcellane, disegni, mappe, incisioni e mobili di pregio. Un’asta di Antiquariato che è stata denominata “L’Aquila si apre al mondo” ed è stata visitata da centinaia di turisti e curiosi durante i giorni della Perdonanza Celestiniana, ad avvalorare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza strategica della maison aquilana per la città e l’intero Abruzzo, quale volano culturale alle manifestazioni che impreziosiscono la città.
La Casa d’Aste si conferma il punto di riferimento sul mercato per l’acquisto di dipinti di Teofilo Patini: grande attesa per un olio su tela ovale ove è ritratto Beniamino Frasca, padre di Luigi Frasca (1858-1933), sindaco e benefattore del paese di Calascio. Don Luigi Frasca, primo cittadino di un allora florida realtà abitativa, il paese era la capitale armentizia dell’intero Abruzzo, fu il mecenate più importante del pittore di Castel di Sangro. Acquistò, infatti, una serie di opere, tra cui “L’Erede”, per farne una pinacoteca di famiglia sita al secondo piano della sua casa palazziata a Calascio (foto 1). La particolarità, rispetto alle tante opere andate in asta dalla Gliubich, è che il dipinto descritto, già in collezione Frasca-D’Angelo a Pescara, è pubblicato nel Catalogo generale su “Teofilo Patini” a cura di Ferdinando Bologna, Comitato per le celebrazioni patiniane. Un altro legame con L’Aquila è nella dicitura al retro del dipinto attestante la presenza dello stesso (al n. 112) nella Mostra tenuta nel Castello Cinquecentesco della città capoluogo d’Abruzzo.
Tra i dipinti di Francesco Paolo Michetti in asta il 24 spicca un olio su tela con il ritratto di Nunziata Cermignani (foto 2). L’olio, con grande probabilità, risale alla prima metà del 1888, anno nel quale Nunziata, giovane compagna del pittore di Tocco Casauria è incinta di Giorgio, stato visibile nel ritratto ed intuibile dal richiamo simbolico alla bottiglia di vetro panciuta che la stessa stringe al grembo. Il 29 maggio Michetti, trovandosi a Roma per eseguire il ritratto dei sovrani, riceve la notizia della nascita del suo primogenito. La nascita di un figlio prima delle nozze (i due si sposeranno solo il 22 agosto dello stesso anno avendo il vate Gabriele d’Annunzio come testimone di nozze) era considerata, al tempo, uno scandalo. Nunziata, invece, mostra orgogliosa il grembo nel dipinto.
Straordinarie, nella esecuzione pittorica, sono le vesti indossate dalla giovane. Nunziata, che al tempo in cui è ritratta ha circa ventitré anni a fronte dei trentasette del pittore, indossa un abito eclettico ispirato al tradizionale vestito di Francavilla al Mare (Chieti), composto da una camicia ornata di pizzo e un corpetto interlacciato, con bretelle chiuse da un nastro di seta color indaco. Le maniche sono in broccato con motivi fitomorfi e presentano risvolti in velluto nero. La gonna, anch’essa in broccato, è ripiegata e annodata sul retro, lasciando intravedere un ricco guarnello in raso di seta a righe che il Michetti rende con straordinaria maestria, mentre riflette la luce del sole. Sul capo, la donna indossa spilloni decorativi, mentre gli orecchini a boccola con pendente sferico (cd. pompeiane) e un laccio al collo con pendenti e medaglioni decorati con elementi fitomorfi completano l’insieme. La ricercatezza dell’abito stride con la semplicità della fiasca di vetro verde e con lo sfondo agreste sul quale la figura si staglia ma è a richiamare un probabile simbolo di fecondità.
Anche Basilio Cascella e i figli Tommaso e Michele impreziosiscono il catalogo con opere rarissime provenienti da una importante collezione privata (foto 3). Di Basilio e del figlio Tommaso l’opera più iconica: un olio su tavola intitolato “La Sirena rovesciata”, opera che in seguito il padre riprodurrà su un grande piatto, oggi conservato nel Museo di Pescara a lui intitolato. L’opera è firmata in basso a destra “Basilio e Tommaso Cascella 1920”. Reca un’iscrizione sul lato sinistro, scritta metà in italiano e metà in vernacolo pescarese: “la sirena distesa coccia cape na balle”, che tradotta suona “la sirena distesa con la testa rovesciata verso il basso (foto 4). Sempre di Basilio è un’opera del 1906 su carta, dove il maestro restituisce con i pastelli il volto di una giovane donna che si copre il volto, un soggetto ripreso in altri dipinti intitolati “timidezza”.
Tra i tanti dipinti di Tommaso Cascella (foto 5) quello che di sicuro ha già attirato su di sé l’attenzione dei collezionisti è “Il sogno del pastorello”, un olio su tela che il cui cartiglio al retro tela ricorda la partecipazione dell’opera partecipazione dell’opera alla “Seconda Mostra Biennale Italiana di Arte Sacra” del 1955. Sempre di Tommaso Cascella una straordinaria opera del 1966 dal singolare titolo: “Patini Teofilo non ti arrabbiare” (foto 6). Nella tela l’autore riprende un particolare di “Bestie da soma” del 1886 ove è raffigurata una delle tre modelle di Rocca Pia, Maria D’Orazio, che è la più giovane seduta al centro della composizione patiniana. La dicitura scherzosa è naturalmente rivolta alla memoria del pittore di Castel di Sangro che era venuto meno ben sessant’anni prima a Napoli, il 16 novembre 1906, ed è stata probabilmente apposta per evidenziare allo spettatore dell’opera l’unicità del dipinto del 1886 e del suo autore, al quale Tommaso si rivolge al tempo stesso celiando e con deferenza.
Di Michele Cascella uno scorcio di una via di Ortona (foto 7), un vaso con fiori ed un olio su tela di grandi dimensioni rappresentante un albero di pesco in fiore con vele sullo sfondo. Tra gli artisti abruzzesi a catalogo diverse opere di Pellicciotti, Mariani, Visintini, Bizzoni e Feneziani (foto 8,9,10). Mentre scriviamo, a L’Aquila continua il flusso dei visitatori che salgono la scalinata di Palazzo CipolloniCannella per vedere dal vivo le opere in mostra e chiedere lumi sulla storia di ognuna di esse a Gianluca Gliubich e ai suoi collaboratori. La preview dell’asta, infatti, sarà visitabile fino al 22 settembre dalle 9 alle 17. L’appuntamento è dunque per martedì 24 alle ore 15:00, giorno in cui i singoli pezzi, ben 345, entreranno in sala per essere esitati: un’occasione imperdibile per i collezionisti e gli amanti del bello in genere per portare a casa un’opera d’arte a chilometri zero, sia per visitare L’Aquila, città in piena e splendida rinascita dopo il terremoto del 2009. Le 345 opere sono consultabili sul sito della Casa d’Aste: https://www.gliubich.com.
-Roma, MunicipioXIII: il Castello della Porcareccia-
Roma, Municipio XIII -Franco Leggeri Fotoreportage- : il Castello della Porcareccia – Quartiere Casalotti. Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia, noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello nel corso dei secoli è stato, più volte, rimaneggiato e, rispetto alla costruzione originale, ora si vedono modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”.
Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e, quindi , luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai principi Lancellotti, ora la proprietà del Castello è della Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932.
Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che, alla bisogna, era calata per impedire assalti e irruzioni di nemici . Nel giardino interno del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade di Roma . La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano per il grano, una simile è nel cortile della chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693.
Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare realizzato in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:”l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono, Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare ”la buona ricotta” della via Boccea che Gli veniva offerta dai pastori ; a ricordo di questa visite, all’interno della chiesa, per desiderio della Famiglia Giovenale, il Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Mons. Gino Reali, nel 2004 inaugurò una lapide. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”; Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime.
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri
N.B. Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia e voglio ricordare che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello. L’Intervista con il Sig. Giovenale è di Franco Leggeri- Si chiarisce che l’articolo è solo una piccola sintesi ricavata da un lavoro molto più esaustivo e completo relativo al Medioevo e i sistemi difensivi della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – Monografia e ricerca storica i biblioteca di Franco Leggeri pubblicazione a cura dell’Associazione DEA SABINA.
Premio Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo
Premio Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo: giovedì 12 settembre arriva Tosca. Tosca, una delle voci più raffinate e intense del panorama musicale italiano, grande protagonista della seconda giornata del PIF 2024: uno spettacolo che promette di incantare il pubblico con la sua intensa carica emotiva e la sua straordinaria energia
Castelfidardo 11 settembre 2024 -Dopo Richard Bona, uno dei più talentuosi bassisti del mondo considerato l’erede di Jaco Pastorius, accompagnato dal grande fisarmonicista Luciano Biondini, giovedì 12 alle ore 21.30 al Parco delle Rimembranze è Tosca, artista poliedrica e sempre alla ricerca di nuove forme espressive ad essere la protagonista della 49esima edizione del Premio Internazionale della Fisarmonica, il festival/concorso dedicato allo strumento a mantice di cui Castelfidardo è madrepatria indiscussa.
Tosca, con “La bella estate” farà entrare gli spettatori in un viaggio musicale e un vortice di emozioni attraverso brani già conosciuti e nuove proposte eseguiti insieme a una band di musicisti di altissimo livello. Sarà, infatti, accompagnata sul palco dalla fisarmonica diatonica del Maestro Riccardo Tesida poco insignito del titolo di ambasciatore della fisarmonica dal comune di Castelfidardo, oltre che a Giovanna Famulari al violoncello piano e voce, Massimo De Lorenzi alla chitarra, Luca Scorziello alla batteria e percussioni, Fabia Salvucci alle voci e tamburi a cornice e Arabella Rustico al contrabbasso.
La carriera di Tosca è costellata di successi e riconoscimenti, ed è un perfetto esempio di dedizione e passione. Nel corso degli anni, Tosca ha lavorato al fianco di alcuni dei più grandi nomi della musica italiana e internazionale, tra cui Ivano Fossati, Nicola Piovani, Ennio Morricone, Lucio Dalla, e molti altri. Tra i numerosi premi ricevuti spiccano diverse Targhe Tenco, che testimoniano la sua eccellenza come interprete per la musica.
Un ricco cartellone di eventi scandirà l’intera giornata del 12 settembre.
Si comincia alle 16.00 dove in Piazza della Repubblica si esibisce Diego Trivellini con Solo Concert che rappresenta un’esperienza musicale unica nel suo genere utilizzando una fisarmonica elettronica che riproduce l’effetto di un’intera orchestra sinfonica dedicata per la maggior parte ai brani del maestro Ennio Morricone.
Alle 17.00 al Salone degli Stemmi è il tempo di Accordion d’Elite con RenzoRuggieri alla fisarmonica e Paolo Di Sabatino al pianoforte, due figure di spicco nel panorama musicale italiano, porteranno sul palco un concerto che promette di essere una straordinaria fusione tra jazz e fisarmonica.
Alle 19,00 al Teatro Astra spazio alla musica contemporanea dove l’innovazione e la tradizione si incontrano in un dialogo sonoro unico con due composizioni di spicco, “Jinx” di Christos Farmakis e “Syntropia” di Alfredo Luigi Cornacchia.
Alle 22,30 in Piazza della Repubblica XGiove, band italiana emergente che unisce con maestria sonorità rock e folk, e protagonista dello strumento a mantice e voce è Nicolò Buccioni.
Per tutta la giornata continuerà il programma delle audizioni dei talenti che si contenderanno i Premi di categoria e il Premio finale.
Nello specifico i partecipanti della categoria PREMIO 1 ROUND si sfideranno alle ore 9.00 all’Auditorium San Francesco, la categoria SENIOR VIRTUOSO 2 ROUND alle 10.00 al Salone di Stemmi, gli JUNIOR VIRTUOSO si esibiranno alle 14.30 presso la Scuola Civica Paolo Soprani e, infine, la categoria STUDENT VIRTUOSO alle 15.45 presso la Scuola Civica Paolo Soprani.
Tutti i concerti sono ad ingresso libero ad eccetto dello spettacolo di Tosca “La Bella Estate”.
Cristina Mandosi-I paramenti liturgici dell’Abbazia di Farfa
Libreria Editrice Vaticana
Descrizione-Il Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana ha realizzato nel 2009 un progetto di inventariazione dei paramenti sacri dell’Abbazia di Farfa (sita nel comune di Fara Sabina, in provincia di Rieti), ponendosi l’obiettivo di valorizzare, nell’ambito di uno studio scientifico, un importante patrimonio storico, culturale e religioso.Il volume illustra dunque i paramenti inventariati, facendo cenno all’arte tessile e al linguaggio dei colori liturgici, e fornisce anche una descrizione della Chiesa abbaziale e della storia farfense.Il testo è inoltre corredato dalle foto della Chiesa e di alcuni dei paramenti conservati nell’Abbazia.Uno studio di sicuro interesse per gli appassionati di storia della Chiesa.
Alcuni dei paramenti liturgici sono nei colori liturgici del periodo dell’anno liturgico o della particolare celebrazione.
Il termine “paramento liturgico” è riservato ai particolari tipi di abbigliamento propri della liturgia, benché in essa si adoperino anche altri abiti particolari che usano il clero (diaconi, presbiteri, vescovi) o i religiosi fuori dalla liturgia per sottolineare il loro particolare stato.
Nei secoli VIII e IX incominciò a introdursi una varietà di colori al posto dell’unico colore bianco.
cotta: è di colore bianco e viene indossata sulla veste talare, come abito corale o per azioni liturgiche al di fuori della messa, eventualmente insieme alla stola;
rocchetto: è una sopravveste bianca, solitamente di lino, con maniche strette e lunga fino a mezza gamba; simile alla cotta, è proprio dei prelati;
dalmatica: è del colore liturgico del giorno; è indossata dal diacono come abito proprio e nei pontificali dal vescovo sotto la casula o pianeta ad indicare la pienezza del sacerdozio;
berretta o tricorno, di vari colori e fogge, a seconda del grado gerarchico o famiglia religiosa di appartenenza;
piviale: è del colore liturgico del giorno; è indossato per le celebrazioni diverse dalla Messa (nel rito ambrosiano anche dai lettori in alcune messe solenni);
Alcuni dei paramenti elencati di seguito sono stati aboliti o resi facoltativi o semplicemente caduti in disuso:
tunicella: del colore liturgico del giorno; indossata in passato anche dal suddiacono;
chiroteche: sono particolari guanti, indossati dai vescovi, dai cardinali e dal papa;
falda papale: camice con lunga falda indossato in tempi passati dal papa durante le celebrazioni;
fanone papale: di forma circolare, tessuto in duplice strato, di uso omerale sulla pianeta o casula, cucito di strisce color bianco, oro e rosso, usato dal papa nelle solenni celebrazioni;
manipolo: del colore liturgico del giorno (nella messa tridentina);
Esistono inoltre indumenti ecclesiastici, che vengono utilizzati anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, come l’abito talare e lo zucchetto, mentre altri tipi di abbigliamento ecclesiastico come la greca, il mantello, il tabarro, il ferraiolo ed il ferraiolone, (che sono soprabiti) o il cappello romano (detto anche saturno), che si indossano sopra la veste talare, non sono mai usati nella liturgia.
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