Rita Pacilio-Poesie e Recensione “Così l’anima invoca un soffio di poesia”
dalla Rivista L’Altrove-
Recensione di Rosa Pacillo-La cifra poetica di Rita Pacilio contiene una collezione privata e suggestiva dell’essenzialità sensibile, consolida la capacità di decantare la qualità introspettiva dei versi nella sorgente creativa di un linguaggio spontaneo, colto nell’immediatezza emblematica dell’indirizzo intuitivo dell’anima. Rita Pacilio orienta la direzione dell’intensità nel sublime itinerario intorno al riflesso umano, concentrando in accordo con il silenzioso contatto con la caducità, la disposizione interiore dei pensieri, la vocazione a fronteggiare la provvisorietà attraverso la percezione consolatoria della natura, nell’innata emozione dell’arrendevole sguardo verso una realtà che elargisce il dono di distinguere l’infinito, oltre il confine delimitato della ricerca umana. Amplia il registro scrupoloso e inesorabile dell’inclinazione generatrice delle cose, riconosce la predisposizione contrastante delle persone catalogando la motivazione del paradosso umano nell’evoluzione speculativa tra le tendenze incompatibili di indifferenza e desiderio, nella determinazione ponderata di dipendenza emotiva e libertà, nella volontà di razionalità e impulso affettivo, nell’interpretazione di spirito e materia.
La poesia di Rita Pacilio è in divenire, nel flusso perenne della sostanza poetica, esposta alla vulnerabilità del tempo e alle sue suscettibili trasformazioni, ammette la scrittura elegiaca come confessione lirica nel valore universale dell’urgenza espressiva in grado di illuminare la vita e gli azzardi del mondo. Le poesie scelte racchiudono la consistenza di una coscienza sconfinata, rinnovata in una vertiginosa catarsi tra l’incessante avvertimento delle assenze e l’autenticità compassionevole della memoria, custodiscono la profonda attrazione sovrumana nella trascendenza delle intonazioni significanti, nel legame strutturale ed evocativo tra segno linguistico ed elemento concettuale, esplorano la regione segreta e contemplativa dell’inconoscibile. Sperimentano l’estensione della poesia come intesa corrispondente alla selezione stilistica e letteraria, annotano la responsabilità delle inquietudini morali lacerate, illustrano l’inaugurazione sensibile alla meraviglia della bellezza, il filamento impercettibile e inafferrabile della spiritualità. Il soffio della poesia muove il passaggio esistenziale di una voce impalpabile ed esitante che sussurra il tremolio appassionante delle parole e modella i versi nella corrente dell’invisibile, nell’alito di vento sfiorato dalla purificazione del vissuto.
Rita Pacilio pone l’accento sull’accuratezza del dolore e sulla rivelazione confortante delle confidenze, annota la gravità dell’abisso nei dettagli obliqui della contemporaneità, supplica la presenza fedele dei ricordi, codifica la cadenza visionaria del linguaggio, la sua inattesa possibilità di mutamento, consacra forma e contenuto nella funzione esegetica dell’immaginazione, adottando una comunicazione elegante e saggia, nell’identificazione di un’appartenenza, nel discernimento dal varco impenetrabile di ogni orizzonte.
A cura di Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Alcuni testi selezionati per voi dalla raccolta:
Io l’ho amata ogni mattina nell’eternità celeste questa terra travestita a festa e silenzio. L’ho amata di felicità sull’isola come fossi io stessa stesa sull’acqua nel canto libero di chi crede ancora che amarsi è tutto questo coprirsi di baci.
Benedirò con ogni benedizione le betulle di mio padre i cristallini riflessi sulla pioggia soleggiata la speranza in continua trasformazione tra il bianco latte del tronco e la libertà. Benedirò le voci che passano nelle nuvole per ricordare che non potrai tornare indietro nemmeno nei legni intagliati, saperti a piedi uniti e con le spalle appoggiate.
Così hai imparato la misura dello spazio hai aperto la cerniera del vento come fa l’abisso baciato la pupilla osando il perdono di te stesso davanti a tutte le finestre che danno sul retro lì hai sentito la magnificenza nello stesso momento in cui metti a confronto le lettere maiuscole e minuscole.
Hai mai pensato di svegliarti presto passeggiare l’occhio fresco e la guancia nella neve nuova frugare a lungo con il naso gli invisibili segreti voci profetiche sospese intorno ai lampioni, alla fontana padrona della piazza. La luce fa così quando scuote il fuoco di dicembre e si sparge sopra i tetti, sugli specchi impolverati, sul monte. Un rito silenzioso e astuto testimone di chi scrive da lontano e aspetta il giorno crescere lievito o anima.
L’assenza ha una forma quieta dischiusa, indecifrabile, bianchissima un tumulto di cellule nella gravità delle spalle fino a riaprire un rumore spezzettato
fermato nell’ansietà del chiarore tra due costole nello stesso istante piegate alla redenzione mansueta. Sembra possibile la partecipazione la prima appartenenza fuori da queste cose
in cui metto le mani, un bicchiere, un rosario, un libro, tante voci e mai la tua.
Mille volte i canti delle magnolie ritornano nell’imbrunire al mio respiro. Non temono l’intreccio dei venti né linee curve nel seno delle nuvole. Indugiano solo quando l’eco disperata le insegue.
L’AUTRICE –Rita Pacilio è poeta, scrittrice, collaboratore editoriale, Sociologo e Mediatore familiare, nata a Benevento nel 1963. Si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro e di vocal jazz.
Rivista L’Altrove
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
progetta di diventare il più grande museo italiano di arti e culture asiatiche
Il Museo delle Civiltà di Roma ha presentato EUR_Asia, il nuovo percorso temporaneo dedicato alle Collezioni di arti e culture asiatiche. Distribuita su cinque sezioni, tra il piano terra e il primo piano del Palazzo delle Scienze, l’esposizione riunisce circa 200 opere, tra manufatti, documenti d’archivio, resoconti di indagini diagnostiche e nuove produzioni artistiche. Il percorso museografico vuole esplorare sia la lunga storia che gli sviluppi futuri delle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche del Museo delle Civiltà.
La mostra include anche A Recollection Returns with a Soft Touch, un intervento audiovisivo dell’artista multidisciplinare Gala Porras-Kim, che ricopre il ruolo di Research Fellow al Museo delle Civiltà ed è Artist in Residence presso il MAO-Museo d’Arte Orientale di Torino, istituzione partner del progetto.
EUR_Asia segna l’inizio di un progetto più ampio che ha come obiettivo la realizzazione del più grande museo italiano di arti e culture asiatiche. Entro il 2026, le collezioni archeologiche e artistiche dell’ex Museo Nazionale d’Arte Orientale e quelle etnografiche di provenienza asiatica dell’ex Museo Nazionale Preistorico Etnografico saranno riunite al piano terra del Palazzo delle Scienze all’EUR, creando un nuovo spazio espositivo completamente rinnovato.
EUR_Asia intende essere, in questo senso, un ulteriore e importante passo verso la realizzazione di un museo che, grazie all’aggiornamento degli allestimenti e a un impianto metodologico elaborato in costante dialogo con le comunità di provenienza delle collezioni e le ricerche artistiche e scientifiche contemporanee più avanzate, sia sempre più accessibile, inclusivo, plurale, operando in linea e in attuazione anche degli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per contribuire a porre al centro di tutta l’attività istituzionale e della sua programmazione l’accessibilità museale in termini fisici, cognitivi, multisensoriali e culturali.
Nell’allestimento di EUR_Asia di ciascuna opera, proveniente da aree ed epoche diverse, sarà analizzata la relazione molteplice fra materialità e funzionalità, superando così il concetto di riferimento o limite geografico per approfondire porosità e dinamismo dei soggetti culturali, delle matrici storiche e delle tematiche storico – artistiche. Pur rimanendo esposti nelle vetrine museali, gli oggetti si confrontano fra loro e con la storia stessa dell’istituzione museale, oltrepassando non solo i confini ma anche i millenni. Si configura così un percorso aperto e libero, sia nello spazio sia nel tempo, che permette di riflettere anche sul concetto di “museo d’arte orientale” e, quindi, sul concetto stesso di “Oriente” , consolidatosi in Europa durante il XIX secolo. Al di là di questa opposizione storica e delle narrazioni anche esotizzanti che ne sono derivate, il percorso di EUR_Asia rintraccia invece le connessioni tra manufatti, coordinate spaziali, epoche temporali, saperi e credenze, tradizioni culturali o tecniche artigianali e materie naturali, configurandosi quindi come la mappa – fatta di incontri e confronti, scambi e negoziazioni – delle storie, plurime e composite, di queste collezioni
Andrea Viliani, direttore del Museo delle Civiltà, e Loretta Paderni, referente dei fondi Grande Progetto Beni Culturali assegnati al Museo delle Civiltà, hanno sottolineato che la progettualità in corso costituisce una premessa indispensabile delle ambiziose opere di adeguamento edile, impiantistico e di allestimento finanziate con circa 10 milioni di euro dal piano strategico del Ministero della Cultura denominato Grandi Progetti Beni Culturali. La progettazione è stata affidata su gara europea all’RTP (Raggruppamento Temporaneo di Professionisti) formato da ISOLARCHITETTI, MILAN INGEGNERIA, PRISMA ENGINEERING, NADIA FRULLO, BRH+, AURORA MECCANICA, ed è stata espletata da Invitalia la gara per l’affidamento dei lavori relativi all’operatore economico VINCENZO MODUGNO SRL. L’inizio dei lavori è previsto nel 2024 e la conclusione entro il 2026.
Il percorso temporaneo EUR_Asia, realizzato in occasione dei 130 anni dalla nascita e dei 40 anni dalla scomparsa di Giuseppe Tucci, è stato pensato per coinvolgere il pubblico in questo processo di trasformazione, attraverso collaborazioni con autrici e autori che ne modificheranno e aggiorneranno periodicamente l’allestimento. Inoltre, dall’autunno 2024 saranno presentati eventi e programmi di approfondimento organizzati in collaborazione con una pluralità di soggetti istituzionali, università, centri di ricerca ed enti del terzo settore, che verranno annunciati prossimamente, tra cui Asiatic Collections Netkork-Europe.
Il museo è nato nel 2016 in seguito a tre decreti del ministro per i beni e le attività culturali e per il turismoDario Franceschini. Il nuovo istituto ha così riunito entro un’unica amministrazione, dotata di autonomia speciale, le collezioni di quattro musei nazionali fino ad allora separati, tre dei quali erano comunque già collocati nelle rispettive sedi in piazza Guglielmo Marconi,[1] ovvero:
Inizialmente il Museo delle civiltà si era proposto soprattutto come un “museo di musei”,[8] mantenendo una distinzione formale tra i sei istituti e intitolandoli ai rispettivi fondatori o comunque a figure significative per l’ambito di competenza (rispettivamente Luigi Pigorini, Lamberto Loria, Alessandra Vaccaro, Giuseppe Tucci, Ilaria Alpi e Quintino Sella).
Questi criteri, tuttavia, sono stati superati nel 2022, sotto la direzione di Andrea Viliani (entrato in carica ad inizio anno), il quale ha proposto un approccio diverso promuovendo l’integrazione delle collezioni in un’ottica interdisciplinare e di creazione di un moderno museo antropologico.[9][10]
Sede e collezioni
Il museo è ospitato in due edifici in stile razionalista, collegati tra loro da un imponente colonnato e progettati – come l’intero quartiere EUR – per tenervi l’Esposizione Universale del 1942, che non ebbe mai luogo a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.[11]
Il Museo delle arti e tradizioni popolari è collocato nel Palazzo delle tradizioni popolari, appositamente concepito per accoglierne i reperti: essi avrebbero dovuto infatti costituire la Mostra delle arti e tradizioni popolari durante EUR42. Il museo aprì però solo nel 1956.[4]
Il Museo preistorico etnografico e il Museo dell’Alto Medioevo sono invece collocati sin dal 1967 nel coevo Palazzo delle scienze, originariamente progettato e costruito per accogliere la Mostra della scienza universale durante EUR42.[2][3][5]
Presso il medesimo edificio sono state poi collocate le collezioni degli altri musei confluiti nel Museo delle Civiltà:
l’ex Museo coloniale (disciolto Museo africano), che esponeva reperti legati al colonialismo italiano, per i quali è attualmente in corso un allestimento critico e de-coloniale;[6]
infine, a seguito di un accordo tra l’ISPRA e il Museo delle Civiltà,[12] sono qui confluite anche le collezioni di geo-paleontologia e di lito-mineralogia dell’ex Museo geologico nazionale (in precedenza a Palazzo Canevari nel rione Sallustiano). Un primo allestimento delle collezioni ISPRA è stato presentato nel dicembre 2022[13] e la loro musealizzazione sarà completata entro la fine del 2024.[7]
Direttori
Dalla sua fondazione, il museo è stato diretto da:
Leandro Ventura (1 settembre 2016 – 9 aprile 2017)
Filippo Maria Gambari (10 aprile 2017 – 19 novembre 2020)[14]
Loretta Paderni (ad interim)
Andrea Viliani (dal 26 gennaio 2022)
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Orari
da martedì a domenica ore 8.00 – 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30) LUNEDÌ CHIUSO
APERTURE FESTIVE
Ognissanti: venerdì 1 novembre
Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate: lunedì 4 novembre
Immacolata Concezione: domenica 8 dicembre
Santo Stefano: giovedì 26 dicembre
INFORMAZIONI
Per informazioni su orari, biglietti ed eventi, è disponibile il servizio URP del Museo delle Civiltà ai seguenti contatti:
+39 335 731 0064 / + 39 335 732 4233 attivi martedì, mercoledì e giovedì, dalle ore 9:30 alle 11:30.
e-mail: mu-civ.info@cultura.gov.it
Biglietti e visite guidate
Biglietti
È disponibile per il Museo Delle Civiltà il nuovo servizio di e-ticketing di Musei Italiani. È possibile acquistare i biglietti onlinecliccando qui, attraverso l’app (disponibile su Play Store e App Store) e sul portale web museitaliani.it. Qualora necessario è inoltre possibile modificare il nominativo e l’orario di prenotazione del biglietto online.
Biglietto intero: € 10
Biglietto agevolato: € 2 Ingresso gratuito ogni prima domenica del mese
Biglietto gratuito ai cittadini dell’Unione Europea sotto i 18 anni, per gli Abbonati e per gli aventi diritto
Abilitata con pagamento POS. Il biglietto acquistato non è rimborsabile
Roma- Le Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi a Palazzo Poli-
Roma-Vivi la potenza evocativa ed emozionante delle “Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi nella magnifica Sala Dante, sala dall’esclusivo affaccio sulla Fontana di Trevi. L’opera più celebre e rivoluzionaria di Vivaldi, l’esempio più alto di musica barocca italiana, eseguita dall’ensemble di Opera e Lirica, con quintetto d’archi e clavicembalo.
Primo violino: Elvin Dhimitri.
Inizio concerto ore 20:30. Fine ore 22:00.
Indirizzo: Sala Dante di Palazzo Poli – Via Poli, 54 – Roma.
Come arrivare: Linee Pullman: 150F, 492, 51, 71, 80.
Immergiti nella magia della musica barocca e intraprendi un viaggio sensoriale attraverso le stagioni. Vivaldi, con la sua maestria, dipinge con note i colori vivaci della primavera, la furia dei temporali estivi, la malinconia dell’autunno e la quiete dell’inverno. Un capolavoro assoluto che ha ispirato generazioni di musicisti e continua a emozionare il pubblico di tutto il mondo. Lasciati trasportare dalle sue indimenticabili melodie eseguite dal talentuoso ensemble di Opera e Lirica, guidato dal primo violino Elvin Dhimitri, dalla maturata esperienza in campo nazionale ed internazionale, in una location unica ed esclusiva: la splendida Sala Dante di Palazzo Poli, nota per le sue dimensioni e per il suo imperdibile affaccio sulla Fontana di Trevi. Essa inoltre ha ospitato nel corso dei secoli importanti eventi musicali, diventando un punto di riferimento per la cultura musicale romana, e per questo frequentata da personalità di spicco quali Gabriele D’Annunzio, Pietro Mascagni e Giacomo Puccini.
Il primo violino, Elvin Dhimitri, porterà la sua nota passionale nell’interpretazione nella magnifica atmosfera del Palazzo Poli, risultato di un’intensa edilizia che si è protratta per secoli. Le sue origini risalgono infatti al XVI secolo. Solo nel 1732, sulla facciata posteriore del palazzo venne eretta la celebre Fontana di Trevi, opera del maestro Nicola Salvi. Nel corso dell’Ottocento, Palazzo Poli divenne un importante centro culturale, ospitando illustri personaggi del mondo dell’arte e della letteratura. Oggi, l’edificio è sede dell’Istituto Centrale per la Grafica e continua a essere un luogo di grande fascino e interesse storico.
ARTISTI
Primo violino: Elvin Dhimitri
Quartetto d’archi Opera e Lirica
Clavicembalo
Elvin Dhimitri, primo violino di Opera e Lirica, è stato riconosciuto come artista che riesce a fondere un’energia appassionata e un’intensa capacità comunicativa. Nel 1992 ha ricevuto l’incarico di primo violino della Bilkent Youth International Symphony Orchestra. Si è esibito all’interno dell’Orchestra Sinfonica dell’Ente Luglio Musicale Trapanese, la Nuova Orchestra Sinfonica Scarlatti di Napoli e la Filarmonica Toscanini di Parma, tra le altre. Nel 1997 è stato nominato primo violino dell’Orchestra Filarmonica di Roma e, a partire dallo stesso anno, è un membro dell’Orchestra Sinfonica di Roma e del Lazio.
PROGRAMMA
Concerto F XI No.4 in A Major
Allegro non molto / Largo / Allegro
1: Concerto N.1 in Mi Maggiore, RV 269, “PRIMAVERA”
Allegro / Largo / Allegro
2: Concerto N.2 in Sol Minore, RV 315, “ESTATE”
Allegro non molto – Allegro / Adagio – Presto – Adagio / Presto
3: Concerto N.3 in Fa Maggiore, RV 293, “AUTUNNO”
Allegro / Adagio molto / Allegro
4: Concerto N.4 in Fa Minore, RV 297, “INVERNO”
Allegro non molto / Largo / Allegro
Roma-In Arte, Maddalena in scena al Festival Dance Screen in the Land,
Mandala Dance Company, in scena sino al 10 ottobre 2024-
Roma-In prima nazionale al Festival Dance Screen in the Land, Mandala Dance Company, compagnia diretta da Paola Sorressa, presenta dall’1 al 10 ottobre alle ore 19:30, presso l’Antica Fornace di Antonio Canova di Roma, In Arte, Maddalena, uno spettacolo di danza contemporanea e proiezioni video: un racconto avvolgente messo in scena da sette performer e ispirato alla enigmatica figura della Maddalena, alla iconografia della carnalità e del pentimento rappresentata nell’arte durante i secoli, che nella danza trova una forma liberatoria.
In Arte Maddalena è il terzo “capitolo” di una trilogia ideata e diretta da Fiorenza D’Alessandro e Laura Fusco, e in questo spettacolo si insiste sul numero sette nel suo valore alchemico e simbolico: sette corpi che si muovono nello spazio interpretando i sette stigma che marchiano la donna: i “demoni” dai quali la libera Gesù ma che stigmatizzano, appunto, il femminile, e le “virtù” salvifiche che si rivelano essere altre gabbie. E qui le sette danzatrici (Sofia Andretto, Virginia Andretto, Maria Concetta Borgese, Ginevra Campanelli, Ilaria Maciocci, Doris Quehaja, Paola Sorressa, Alessia Stocchi, Martina Valente) rendono visibile il racconto con il corpo e con le immagini in sette coreografie coordinate da Paola Sorressa, sette ambientazioni diverse sia naturali che digitali (il disegno delle luci è di Luca Bevilacqua e Alessandro Turella, visual designer Paul Harden, la scenografia interna di Franz Prati), sette i ritratti ispirati ad altrettante opere d’arte dei grandi Maestri che hanno rappresentato la Maddalena e che qui trovano una forma contemporanea, in un passaggio di testimone con la storia.
Lo spettacolo è quindi un percorso liberatorio, attraverso la danza, la visione e la musica originale di Francesco Ziello, per riconnettere arte e vita, l’esistenza della donna e l’energia creativa che si espande oltre la scena. Figura enigmatica, e più volte travisata nelle varie epoche, Maddalena è stata emblema di carnalità e pentimento, di fedeltà e di sofferenza, di sapienza e santità. In Arte, Maddalena unisce idealmente luoghi distanti nel tempo e nello spazio, tra realtà e fantasia, per tracciare una mappa della complessità del mondo femminile in cui ciascuna Maddalena, presentata insieme al suo corredo iconografico, esoterico e simbolico, rappresenta uno stigma/stereotipo e anche il suo superamento: sette diversi racconti che traggono ispirazione dalle rappresentazioni della Maddalena nell’arte di tutti i tempi, ma anche da tutti quei personaggi della storia, della letteratura, della mitologia e della favolistica che si offrono all’immaginazione quali ritratti emblematici dell’universo femminile. Il numero sette, carico di spiritualità e di misticismo, legato alla ricerca della verità e alla comprensione del reale, ispira tutto il progetto: sette sono le Opere d’Arte a cui si ispirano le sette coreografie; sette gli stigma (i “demoni” e le “virtù”) narrati dalle interpreti; sette le ambientazioni, tra naturali e digitali, in cui saranno realizzate le performance; sette i ritratti che al termine si sostituiranno alle opere dei Maestri per traghettare le Maddalene nella contemporaneità, costruendo un ponte ideale con la storia, una sorta di passaggio di testimone.
I Vangeli di Ostromir -custoditi a San Pietroburgo
I Vangeli di Ostromir sono stati inclusi nel Registro internazionale dell’Unesco custoditi a San Pietroburgo . I Vangeli di Ostromir sono uno dei piu’ antichi documenti scritti nella versione russa dell’antico slavo. L’opera risale al 1057 e fu commissionata dal podesta’ di Novgorod, Ostromir, per la Cattedrale di Santa Sofia. Viene considerato il primo libro russo benche’ “I salmi di Novgorod”, scoperti nel 2000 su quattro tavolette cerate, abbiano probabilmente una eta’ superiore, forse di alcuni decenni.
Dal XI secolo e’ pervenuto fino a noi in 294 fogli di pergamena scritti in carattere onciale, con miniature e inserti decorativi. Attualmente i Vangeli vengono custoditi nella Biblioteca nazionale di San Pietroburgo.
Materiale fornito da Olga V. Petukhova.
I Vangeli di Ostromir in russo Остромирово Евангелие?, Ostromirovo Evangelie sono una delle opere più antiche scritte in lingua slava orientale. Furono composti dal diacono Gregorio per il PosadnikOstromir di Novgorod, nel 1056 o 1057, forse come dono per un monastero. Un gran numero di manoscritti russi si sono conservati a Novgorod poiché, a differenza degli altri centri, quest’ultima non fu mai occupata dai Mongoli[1].
Il libro è un manoscritto miniato, lezionario dei Vangeli, contenente unicamente letture per i giorni festivi e le domeniche. È scritto in una larga grafia onciale, in due colonne, su 294 fogli di pergamena della dimensione di 20 x 24 cm. Ogni pagina contiene 18 linee. L’opera è conclusa da una nota del redattore riguardante le circostanze della sua creazione. Al proprio interno si possono rinvenire i ritratti di tre evangelisti, dipinti da due differenti artisti, nonché numerosi elementi decorativi. La stretta rassomiglianza tra tale libro e il Lezionario di Mstislav ha suggerito agli storici la circostanza che entrambe le opere furono create seguendo il medesimo prototipo, ora perduto. I due artisti che hanno creato i ritratti degli evangelisti furono profondamente influenzati dagli analoghi modelli bizantini, ma le pagine raffiguranti Marco e Luca sembrerebbero derivare da piastre smaltate bizantine piuttosto che da manoscritti.
Storia recente
Si pensa che il libro sia stato trasferito da uno dei monasteri di Novgorod al Cremlino moscovita, dove è registrato per la prima volta nel 1701. Pietro il Grande diede ordine fosse trasportato a San Pietroburgo dove non fu fatta più menzione dello stesso fino al 1805, quando lo si rinvenne in una stanza di Caterina II.
I Vangeli furono quindi conservati alla Biblioteca Imperiale della capitale, dove sono ad oggi presenti. Aleksandr Vostokov fu il primo a studiarli a fondo, dimostrando che lo slavo ecclesiastico del manoscritto rifletteva il retroterra linguistico, l’antico slavo orientale, del suo compositore. La prima copia fu pubblicata sotto la supervisione del medesimo Vostokov nel 1843.
Nel 1932 la copertina tempestata di gemme, indusse un ladro a rompere la custodia ove era contenuta l’opera e a rimuoverne la copertina danneggiando la rilegatura delle pergamene.
Descrizione -Prima, donna. Margaret Bourke-White, il volume che ripercorre le vicende e il lavoro di una delle figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo internazionale. Una donna che, con le sue immagini, le sue parole e tutta la sua vita, è stata in grado di creare un personaggio forte e invidiabile costruendo il mito attraente di se stessa.
Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune e Life; dalle cronache visive del secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin prima e poi di Gandhi (conosciuto durante il reportage sulla nascita della nuova India e ritratto poco prima della sua morte); dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano. E a un certo punto sarà Margaret Bourke-White stessa che accetta di porsi davanti e non dietro all’obiettivo, diventando a sua volta il soggetto di un reportage in cui il collega Alfred Eisenstadt documenta la lotta della fotografa contro il morbo di Parkinson, malattia che la porterà alla morte. Una battaglia in cui non avrà paura di mostrarsi debole e invecchiata, nonostante un’eleganza e un buon gusto a cui non rinuncerà mai, confermandosi ancora una volta la prima in tutto.
“Se ti trovi a trecento metri di altezza, fingi che siano solo tre, rilassati e lavora con calma”, era il motto di Margaret Bourke-White. Il libro pubblicato da Contrasto ne ripercorre i molti primati, raccontati lungo un doppio binario. Attraverso undici capitoli, che corrispondono ad altrettante fasi della vita della fotografa, la potenza delle immagini si accosta a quella della forte voce di Margaret Bourke-White. È infatti lei che, in prima persona, scrive e racconta il suo lavoro, le avventure vissute, le sfide vinte. Una scrittura visiva, che completa e arricchisce la storia di ogni sua memorabile fotografia.
Ecco gli 11 capitoli tematici:
– L’incanto delle acciaierie mostra i primi lavori industriali di Margaret, da quando nel 1928 apre un suo studio fotografico a Cleveland;
– La sezione Conca di polvere documenta invece il lavoro sociale realizzato dalla fotografa negli anni della Grande Depressione nel Sud degli USA;
– LIFE si concentra invece sulla lunga collaborazione di Bourke-White con la leggendaria rivista americana. Per LIFE Bourke-White realizzerà la copertina e i reportage del primo numero e tanti altri ancora lungo tutta la sua vita;
– Sguardi sulla Russia inquadra il periodo in cui Margaret Bourke-White documentò le fasi del piano quinquennale in Unione Sovetica fino ad arrivare a realizzare anni dopo – quando già era scoppiata la Seconda guerra mondiale – il ritratto di Stalin in esclusiva per LIFE;
– La sezione Sul fronte dimenticato documenta gli anni della guerra, quando per lei fu disegnata la prima divisa militare per una donna corrispondente di guerra. Sono gli anni in cui Bourke-White, al seguito dell’esercito USA sarà in Nord Africa, Italia e Germania;
– La sezione Nei Campi testimonia l’orrore al momento della liberazione del Campo di concentramento di Buchenwald( 1945) quando, come ha dichiarato la fotografa, “per lavorare dovevo coprire la mia anima con un velo”;
–L’India raccoglie il lungo reportage compiuto dalla fotografa al momento dell’indipendenza dell’India e della sua separazione con il Pakistan. Tra le altre immagini, in mostra anche il celebre ritratto del Mahatma intento a filare all’arcolaio;
– Sud Africa è la documentazione del grande paese africano durante l’Apartheid;
– Voci del Sud bianco è il lavoro a colori del 1956 dedicato al tema del segregazionismo del Sud degli USA in un paese in trasformazione;
– In alto e a casa raccoglie alcune tra le più significative immagini aeree realizzate dalla fotografa nel corso della sua vita;
– Il percorso termina con La mia misteriosa malattia, una serie di immagini che documentano la sua ultima, strenua lotta, quello contro il morbo di Parkinson di cui manifesta i primi sintomi nel 1952 e contro cui combatterà con determinazione. In questo caso, è lei il soggetto del reportage, realizzato dal collega Alfred Eisenstaedt che ne testimonia la forza, la determinazione ma anche la fragilità.
A conclusione di questo percorso biografico, accanto al testo della curatrice del volume Alessandra Mauro, chiude il libro un monologo di Concita De Gregorio. Attraverso esso, come in un lungo flusso di coscienza, è sempre la voce di Margaret Bourke-White che mette il punto sulla propria storia per raccontare la sua ricerca della “misura del fuoco”, mostrando quella capacità visionaria e insieme narrativa in grado di comporre le “storie” fotografiche dense e folgoranti che sono arrivate fino a noi.
I fotografi vivono tutto molto velocemente; l’esperienza ci insegna ad affinare il più possibile la nostra abilità, ad afferrare al volo i tratti salienti, i punti forti di una situazione. Quel momento perfetto e denso di significato, essenziale da catturare, spesso è il più effimero e le possibilità di approfondimento sono rare. Scrivere un libro è il mio modo di digerire le esperienze che vivo.
Margaret Bourke-White
Kit di 8 cartoline di Margaret Bourke-White Dimensioni: 12x17cm-
Soggetti: Ritratto Margaret Bourke-White Montana 1936 Diga Fort Peck Gandhi con l’arcolaio In volo su Manhattan La fila per il pane Il funerale di Gandhi New York
Soggetti: Ritratto Margaret Bourke-White Montana 1936 Diga Fort Peck Gandhi con l’arcolaio In volo su Manhattan La fila per il pane Il funerale di Gandhi New York
Il tempo che ci vuole – La recensione dell’ultimo film di Francesca Comencini –
Articolo di Peter Ciaccio -4 ottobre 2024- È nelle sale Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini, che racconta la relazione tra lei e il padre Luigi, dall’infanzia alla totale emancipazione della donna adulta. Il film è stato presentato fuori concorso a Venezia, dove è stato, a ragione, molto apprezzato.
La regista riesce a mettere in scena una storia che, sulla carta, presentava non poche difficoltà, perché è tante cose insieme. Anzitutto è un film di formazione. Vediamo la protagonista crescere da bambina a giovane donna fino al debutto professionale. Secondo elemento, la pellicola racconta del rapporto tra figlia e padre. Terzo, è un film autobiografico: quella bambina e donna è la regista stessa. Quarto, la figlia fa lo stesso mestiere del padre. Quinto, il padre è uno dei più importanti registi dell’epoca d’oro del cinema italiano. Sesto, è un film che necessariamente è “cinema sul cinema”, con un forte rischio di autoreferenzialità, mentre il cinema deve creare una relazione tra l’opera e il pubblico, la cosiddetta “gente comune”.
Il risultato è un’opera fluida, poetica, intensa e coinvolgente, in una parola sola: matura.
La chiave narrativa scelta dalla regista, chiave che fa funzionare tutto, è quella di offrire in maniera radicale il punto di vista della protagonista, che, a posteriori, è ciò che il cinema fa sin dalla sua invenzione. Potremmo dire, allora, nulla di nuovo. Sì e no: da una parte è così, dall’altra non c’è difficoltà maggiore per un artista del trovare una perfetta e originale espressione attenendosi al “canone”.
Il punto di vista di Francesca è quello di una figlia che non ha occhi che per il padre. Pertanto il resto della famiglia non è presente in alcun modo, né la madre Giulia Grifeo di Partanna né le sorelle Cristina, Eleonora e Paola. Non c’è alcuna esclusione, ma “solo” una scelta narrativa e stilistica radicale. Tra l’altro, la sorella Paola è la scenografa del film.
Il film inizia mostrandoci le riprese di Pinocchio (1972) e una Francesca 10-11enne che “vive” tra le riprese e che coglie un’arrabbiatura del padre nei confronti dei suoi collaboratori, colpevoli di non rispettare gli abitanti del borgo scelto come location. «Prima la vita, poi il cinema!», urla l’irato Luigi. In questa frase si racchiude l’eredità del padre alla figlia. Quando, poi, Francesca cresce e vive una crisi autodistruttiva, Luigi molla il cinema per dedicarsi del tutto a lei: il cinema viene dopo, il lavoro viene dopo, prima viene la vita. «Per quanto tempo?», chiede lei; «Il tempo che ci vuole», risponde con serenità lui.
Parlare di Luigi come padre restituisce la grandezza del Luigi regista. Lo spettatore evangelico, poi, non avrà difficoltà a cogliere la profonda consapevolezza del Luigi fratello, valdese, pur non esplicitata nel film. Infatti, la forte etica del lavoro e il rispetto dei principi d’indipendenza e autodeterminazione non rendono Luigi cieco rispetto alle esigenze della “vita” (parola che i protestanti italiani dovrebbero recuperare, perché sequestrata oggi da mortifere ideologie). Anzi.
È un film denso e profondo ma mai pesante. Fa riflettere sull’essere figlia e sull’essere padre, sul rapporto tra arte/lavoro e vita, tra la paura e il coraggio di vivere, sulla rappresentazione della realtà tra neorealismo e surrealismo. Ed è magistralmente retto dai due interpreti principali: Fabrizio Gifuni, quasi un Laurence Olivier italiano, in grado di incarnare con efficace naturalezza qualsiasi personaggio, e Romana Maggiore Vergano, già apprezzata in C’è ancora domani, che qui raggiunge l’intensità delle attrici bergmaniane.
In conclusione, nel film c’è uno scambio tra Luigi e Francesca, in cui, pur sostenendo la scelta della figlia di diventare regista, il padre le dice esplicitamente che, in linea di principio, non comprende il senso delle opere autobiografiche; pertanto la prega di non chiedergli di vedere film con quel taglio. Il tempo che ci vuole si presenta così come una disubbidienza della figlia emancipata, che al contempo rispetta la richiesta del padre, morto nel 2007. Si tratta di due necessità legittime e opposte, che però riescono a incontrarsi, facendo passare “il tempo che ci vuole”.
Fonte-Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Roma- Moni Ovadia & Romarabeat Orchestra – Concerto per Albert-
Roma- OSTIA_Lunedì 7 ottobre, alle ore 21 presso il Teatro del Lido di Ostia, il concerto di Moni Ovadia & Romarabeat Orchestra a sostegno della famiglia di Albert Florian Mihai musicista fisarmonicista, venuto a mancare a ottobre dell’anno scorso.
Sul palco, una trentina di musicisti provenienti da diversi paesi e riunitisi per la prima volta in assoluto, guidati da Moni Ovadia, per rendere omaggio alla figura e al talento di Mihai, musicista che ha lasciato un vuoto umano e artistico in una comunità musicale che abbraccia tutta l’Europa.
Quello della Romarabeat è, quindi, un organico importante, che vede sul palco Houcine Ataa, Cristina Barzi, Elia Ciricillo, Roxana Ene, Lavinia Mancusi, Moni Ovadia e Ziad Trabelsi alle voci; Ennio D’Alessandro, Massimo Marcer, Federico Mascucci e Paolo Rocca ai fiati; Nelu Stanescu ed Erasmo Treglia ai violini; Ziad Trabelsi all’Oud, Nelut Baicu alla fisarmonica, Fiore Benigni e Rita Tumminia all’organetto; Primiano Di Biase alle tastiere, Luca Pagliani alla chitarra, Marian Serban al cimbalom, Giovanna Famulari al violoncello, Ermanno Dodaro e Petrica Namol al contrabbasso e, infine, Gabriele Gagliarini, Simone Pulvano e Simone Talone alle percussioni.
Nato a Costanza, in Romania, nel 1976 da una famiglia di musicisti Rom. È il padre, fisarmonicista, che a soli 5 anni gli regala una fisarmonica giocattolo con la quale Albert comincia a fare musica “ad orecchio”. A 10 anni guadagna i primi soldi suonando a matrimoni e successivamente nelle più grandi e prestigiose Orchestre Popolari del suo paese. Comincia a viaggiare nei Paesi dell’Europa occidentale per suonare e conoscere altre realtà musicali e altri musicisti: Francia, Germania, Spagna, Olanda e poi l’Italia, prima a Venezia e Napoli, infine a Roma.
In Italia ha esercitato con grande originalità e personalità la sua maestria passando con disinvoltura dai palchi dei principali teatri italiani alla musica di strada eseguendo sempre con uno stile proprio i repertori che sceglieva. Ha lavorato spesso in televisione, sia in Rai che in Mediaset, e poi al fianco di Moni Ovadia per molti anni. Durante tutti questi anni di carriera, ha avuto modo di confrontarsi sul palco anche con Vinicio Capossela, Daniele Sepe, Antonello Salis e Stefano Bollani.
Moni Ovadia & Romarabeat Orchestra “Concerto per Albert”
Lunedì 7 ottobre
Teatro del Lido, Ostia
Via delle Sirene, 22
INGRESSO contributo minimo 20 euro
Articolo di Hilda Girardet -Cinquanta anni fa “Com – Nuovi Tempi”
Articolo di Hilda Girardet-4 ottobre 2024-Confronti celebra in questi giorni i cinquant’anni della fusione dei due settimanali Nuovi Tempi e Com. Il 6 ottobre 1974 il pastore valdese Giorgio Girardet, fondatore nel 1967 e direttore di Nuovi Tempi, e dom Giovanni Franzoni, direttore del cattolico Com – ex abate benedettino della Basilica di San Paolo Fuori Le Mura e sospeso a divinis per le sue posizioni a favore dell’obiezione di coscienza e poi del divorzio – misero a segno una operazione che ha dell’incredibile, rinunciando entrambi al proprio giornale per costituirne uno comune. Una operazione che tra l’altro intercettò un bisogno reale, visto che si passò in breve dai 5/6000 ai 30.000 abbonati!
La decisione della fusione venne presa in pochi mesi, anche se secondo le prassi dell’epoca ebbe diversi passaggi: decine e decine di assemblee dei lettori, consultazioni pubbliche e degli organi proprietari, dibattiti e discussioni anche accese. Lo scopo dichiarato era di far confluire e dare voce al “movimento” che aveva visto la partecipazione di gruppi di protestanti “marginali”, redattori e lettori di Nuovi Tempi, e cattolici di base o “del dissenso” come erano chiamati allora.
Un’operazione ecumenica? In parte lo fu, ma secondo modalità e intenti peculiari. Certo non fu un ecumenismo “istituzionale”: non si trattò di far dialogare due realtà ecclesiali mettendo a confronto questioni dogmatiche e pratiche di fede alla ricerca di un terreno comune. Neppure si trattò da parte evangelica della volontà di far conoscere il protestantesimo a un Paese cattolico, ancora fortemente integrista e confessionale. Se fu ecumenismo lo fu in un senso diverso. Così lo spiegava Nuovi Tempi (19/5/1974): «… il dato confessionale (…) viene fortemente relativizzato perché ciascuno è posto dall’evangelo di fronte alla necessità di superare la propria storia e riconoscere le cose nuove che il Signore prepara per il suo popolo. Non era del resto questo lo spirito originario dell’ecumenismo? … un movimento in cui tutte le chiese riconoscevano di doversi convertire e non le une alle altre ma tutte al Signore».
La creazione di un unico settimanale fu una conseguenza, lo “sbocco naturale” si disse allora, delle esperienze in cui cattolici e evangelici si erano trovati come credenti fianco a fianco a percorrere un cammino comune all’interno delle lotte e in solidarietà con gli oppressi. Ribadendo che lo scopo del giornale è «riconoscere i segni del Signore che viene in mezzo agli eventi contraddittori del presente», Girardet scriveva il 6 ottobre: «Il giornale nasce dunque come un segno di speranza. Quella salvezza o “liberazione” che Gesù ha compiuto nella sua morte e risurrezione e che l’evangelo annuncia, noi la viviamo già oggi, mentre si realizza nella storia (parzialmente, ma in modo reale) nelle lotte che in tutto il mondo i popoli oppressi e le classi sfruttate combattono per costruire una società più umana»”
Il linguaggio, forse desueto, esprimeva la volontà di essere presenti all’interno della società, inseriti nelle sue lotte per la giustizia e i diritti civili e sociali. È difficile per chi non l’ha vissuto rendersi conto di quegli anni, spesso schiacciati nel ricordo dal peso dei successivi anni di piombo… difficile immaginare la tensione ma anche le speranze che mossero alla partecipazione migliaia e migliaia di studenti, operai, insegnanti, donne, intellettuali, artisti, ecc.
Furono anni tumultuosi, ricchi di creatività e novità radicali, immaginazione, discussioni, battaglie ideologiche, scontri ideali, a volte materiali; anni conflittuali che generarono reazioni e controreazioni anche cruente: solo nel 1974 ci furono due tentativi di colpo di stato e due attentati fascisti: a maggio quello di piazza della Loggia e ad agosto l’Italicus. Un decennio, a dalla fine degli anni ’60, che trasformò in profondità la società italiana in tutti i suoi ambiti inclusi quelli ecclesiastici.
Mentre i protestanti, dopo anni di dibattiti sul nodo fede e politica, stavano lavorando alla costituzione della Federazione delle chiese evangeliche (la prima fu quella giovanile, la Fgei), in ambito cattolico la Chiesa di Roma uscita dal Vaticano II registrò sommovimenti profondi e mobilitazioni di grandi entità: già nel ’69-70 con l’Isolotto prendevano vita le prime Comunità di base. Nel ’72, dalla crisi de Il Regno, nasceva il settimanale Com; mentre circa duemila preti davano vita al Movimento del 7 novembre (che terrà la sua prima assemblea nell’Aula Magna della Facoltà valdese di Teologia a Roma). Il 1973 sarà l’anno di una ulteriore diffusione del “dissenso” cattolico, delle sue comunità che si diedero una struttura di collegamento e del coordinamento delle riviste cattoliche e protestanti (Idoc, Testimonianze,Nuovi Tempi,Com, Gioventù Evangelica, ecc.) (https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000085090/2/la-diffusione-comunita-evangeliche-movimento-7-novembre-3.html&).
Su un versante più “politico” il 1973 segnò l’infrangersi dell’unità del mondo cattolico incarnato dalla Democrazia cristiana: un colpo decisivo venne dalla vittoria del “no” del referendum sul divorzio del maggio ’74 (vero terreno di esperienze condivise tra protestanti e cattolici), seguito il 21 settembre dalla nascita dei Cristiani per il Socialismo. Quattro mesi dopo nascerà COM Nuovi Tempi!
Certo 50 anni sono tanti, troppe le cose cambiate per rintracciare parallelismi, analogie o somiglianze. Non esiste più il “movimento”, finita la lotta di classe, chiusi gli orizzonti, negata qualsiasi possibilità di alternativa al quadro economico e politico attuale: difficilissimo coltivare la speranza in un mondo più giusto, tanto che perfino riconoscere i “segni dei tempi” appare utopistico. Eppure, anche oggi come allora le vittime delle guerre e delle tante ingiustizie richiedono ascolto, solidarietà, vicinanza e un annuncio che – come recita la Confessione di fedediAccra pronunciata tutti insieme nel culto di apertura del sinodo valdese-metodista di quest’anno – sappia porsi con coraggio a fianco degli oppressi nella prospettiva della giustizia e della pace.
Fonte-Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
nelle incisioni , affreschi , dipinti e foto dal 1500 sino al 1900-
Ricerca e pubblicazione a cura Franco Leggeri per l’Associazione DEA SABINA
Ratto delle Sabine-Autore: Poussin Nicolas (1594-1665)
Descrizione: La stampa rappresenta il momento più drammatico del Ratto delle Sabine. La scena si svolge in un contesto urbano dove, sullo sfondo, fanno da quinta un tempio e diversi edifici cittadini ripresi nella classica prospettiva centrale. A sinistra, su di un piedistallo, davanti a due uomini togati, si trova Romolo, ripreso in una teatrale posa plastica, con la corona che gli cinge il capo e la mano sinistra elevata chiusa a pugno intorno a un lembo del suo mantello. È intento a impartire ordini mentre intorno a lui si concretizza la violenza, con uomini e donne che lottano e fuggono. Nella parte inferiore, al di sotto dell’immagine, si trova un’iscrizione in caratteri capitali e corsivi che funge da didascalia all’immagine stessa.
Notizie storico-critiche: La stampa di traduzione fa parte di una serie di incisioni che illustrano la storia delle origini di Roma sulla base delle fonti storiche di Plutarco (Vite Parallele, Vita di Romolo) e di Tito Livio (Storia di Roma dalla fondazione). In particolare lo storico latino Tito Livio, nato nel 59 a. C. e morto nel 17 d. C. a Padova, dedica tutta la sua vita alla stesura di un’unica colossale opera storiografica “Ab Urbe condita libri”, che inizia dopo il 27 a. C. e viene pubblicata in successione per gruppi di libri; l’ultimo volume esce dopo la morte di Augusto, avvenuta il 14 d.C. L’intenzione dell’autore era quella di coprire l’intera storia di Roma dalle origini fino all’età contemporanea, ma la narrazione si ferma con il libro CXLII, che giunge fino alla morte di Druso (9 a.C.). La data della fondazione di Roma è stata fissata dallo Storico Latino Varrone sulla base dei calcoli effettuati dall’astrologo Lucio Taruzio. Il soggetto della presente stampa è preso da un famoso dipinto di Poussin del 1637/ 1638, oggi conservato al Louvre, che il veneto Angelo Biasioli incide utilizzando la raffinata tecnica dell’acquatinta per restituire i passaggi tonali e chiaroscurali dell’animata scena mitica, nella quale la classicità è esaltata sia nelle architetture che nei costumi. Biasioli lavora soprattutto a Milano per diversi editori; questa tiratura, eseguita proprio a Milano dall’editore Luigi Valeriano Pozzi, è presumibilmente eseguita tra il 1820, quando i rami di buona parte della serie sono già stati tirati dall’editore romano Scudellari (1819), ed il 1824, quando la serie compare sul Giornale di Letteratura, Scienze ed Arti (tomo XXXIV, aprile maggio giugno 1824) come edite dal milanese Pozzi.
Collocazione
Provincia di Cremona
Ente sanitario proprietario: A.S.S.T. di Crema
Compilazione: Casarin, Renata (2009)
Aggiornamento: Uva, Cristina (2012)-
Descrizione
Autore: Poussin Nicolas (1594-1665), inventore; Sala Vitale (1803-1835), disegnatore; Biasioli Angelo (1790-1830), incisore; Pozzi Luigi Valeriano (notizie 1800 ca.-1808), editore
Cronologia: post 1820 – ante 1824
Tipologia: disegno
Materia e tecnica: carta/ acquaforte; carta/ acquatinta
Misure: 565 mm x 480 mm (parte incisa); 66 cm x 58 cm (cornice)
Ratto delle Sabine-Autore: Conti Primo (1900-1988)-Studio per il ratto delle sabine
Descrizione
Identificazione: Studio per il ratto delle sabine
Autore: Conti, Primo (1900-1988)
Cronologia: 1924
Tipologia: disegno
Materia e tecnica: carta/ grafite
Misure: 279 mm x 212 mm
Descrizione: matita di grafite su carta
Notizie storico-critiche:A cavallo tra la fine degli anni Dieci e gli inizi del decennio successivo, nell’opera di Primo Conti si osserva una svolta poetica che condurrà la pittura dell’artista fiorentino lontano dall’aggressione futurista, per assorbire gradualmente, invece, un sintetismo formale di carattere purista, tipico della corrente novecentista, ma scevro da quella retorica compositiva per cui quest’ultima si contraddistingue. Tra le più grandi e articolate composizioni di figure del pittore, il “Ratto delle sabine”, presentato alla “III Esposizione Internazionale di Roma”, si concretizza per una fortissima novità espressiva lontana dagli archetipi novecenteschi. Il dipinto infatti è definito da Enrico Crispolti come un’opera “furiana”, nel quale “la “sospensione” malinconica, la sottile insinuazione di malaise psichico avviene smussando cromaticamente la nettezza del plasticismo purista, introducendo spiazzamenti asimmetrici, e ritmi di profili continuamente ondulati e curvilinei, ma mai in senso d’ispirazione geometrica” (E. Crispoldi, Primo Conti: catalogo retrospettivo per le mostre tenute in occasione dei sessanta anni di lavoro dell’artista, Firenze 1971). In alcune lettera indirizzate all’amico Pavolini, Conti racconta le vicende che hanno contrassegnato la realizzazione dell’opera. Il 29 ottobre 1924, fa sapere, “esporrò a Roma insieme al Trittico e a qualche ritratto, un Ratto delle Sabine del quale non possiedo altro che qualche disegno” e nuovamente allo stesso il 13 novembre scrive “stò ultimando i disegni per il Ratto delle Sabine”, e ancora annuncia la fine del lavoro con una lettera del 14 gennaio 1925 “fra qualche ora, forse, metterò l’ultima pennellata e la firma alle Sabine”, e la stessa sera conclude con una cartolina dicendo “Le Sabine vivono ormai di luce propria” (Calvesi, in Primo Conti 1911-1980, Firenze 1980). Tra i numerosi bozzetti preparatori di cui l’artista parla nelle lettere a Pavolini, due disegni firmati e datati “P. Conti / 1924” sono conservati presso la Fondazione dedicata al pittore a Fiesole, mentre un altro bozzetto, firmato e datato come i precedenti, è custodito presso le Raccolte Civiche del Gabinetto di Disegni del Castello Sforzesco dal 1932, dopo essere stato donato dall’autore stesso alle raccolte pubbliche milanesi. Il disegno raffigurante la parte sinistra del dipinto, così come l’opera a olio o i disegni della fondazione (i quali descrivono invece la parte destra e la parte centrale del quadro, attraverso linee più abbozzate e veloci e senza rifinitura o forti contrasti chiaroscurali) è contraddistinto da una composizione ottenuta mediante il serrato incastro volumetrico dei corpi che si affollano, contorcendosi attraverso un energico dinamismo, inedito fino a questo momento nelle opere del pittore. Confrontando il dipinto con il disegno in questione, si osservano piccole differenze nella raffigurazione dei personaggi e di alcuni particolari. Nel disegno è infatti assente la donna in secondo piano sulla destra tra le quatto figure o i due lembi di panneggio accanto alla donna accovacciato a terra. Ancora, nel disegno il piccolo omino in basso che sembra scappare in primo piano, nel dipinto diventa un carnefice ed è posto stavolta sullo sfondo. Il disegno milanese, probabilmente uno degli ultimi realizzati dall’artista, è caratterizzato da un fitto chiaroscuro eseguito con matita dura tramite linee oblique parallele, le quali invadono tutta la composizione risultando più marcate e fitte tra le giunture dei vari corpi che si accostano tra di loro.
Ratto delle Sabine-l’Affresco raffigura un episodio mitico delle origini di Roma
Descrizione
Ambito culturale: Ambito comasco
Cronologia: post 1615 – ante 1630
Tipologia: pertinenze decorative
Materia e tecnica: affresco finito a secco
Misure: 170 cm x 13 cm x 120 cm
Descrizione: L’affresco, realizzato sulla parete destra del salone, è presentato illusionisticamente come un quadro racchiuso in una cornice di legno e fissato alla parete. Raffigura un episodio mitico delle origini di Roma, il cosiddetto Ratto delle Sabine, ordinato da Romolo per supplire alla carenza di donne dei romani. L’anonimo pittore raffigura il rapimento delle mogli e delle figlie dei Sabini, un’antica popolazione del Lazio, messo in atto dai soldati romani che le avevano attirate con l’inganno nella loro città. Una particolarità dell’affresco è costituita dall’ambientazione della scena, che si svolge in una città di Roma trasfigurata dalla fantasia, dove il richiamo all’architettura antica, rappresentata dal tempio circolare a sinistra, più vicino alle architetture rinascimentali di Bramante che agli edifici classici, si affianca a una sfilata di edifici moderni, molto simili a quelli che si potevano vedere nella Como di primo Seicento. Anche il paesaggio d’acque,con barche cariche di merci, più che al fiume Tevere sembra ispirarsi a una veduta marina o, addirittura, al lago di Como su cui si affaccia la villa dei Gallio.
Notizie storico-critiche:L’affresco con il Ratto delle Sabine fa parte della decorazione del salone centrale di villa Gallia, edificata a partire dal 1614. Non conosciamo il nome dell’artista che eseguì questo affresco e la datazione esatta del suo intervento, che molto verosimilmente fu commissionato dall’abate Marco Gallio, cui si deve la costruzione dell’edificio. Come altre scene del salone, anche questa è un omaggio diretto alla storia di Roma, città in cui Marco Gallio aveva vissuto a lungo a fianco del potente zio cardinale Tolomeo, artefice della fortuna della famiglia.
Ratto delle Sabine-disegno probabilmente preparatorio per una scena teatrale-
seconda metà del XVII secolo
Descrizione
Ambito culturale: ambito veneto
Cronologia: ca. 1750 – ca. 1799
Tipologia: disegno
Materia e tecnica: carta/ matita/ penna/ inchiostro/ acquerellatura
Misure: 495 mm. x 397 mm.
Descrizione: Matita, penna, inchiostro nero, acquerello grigio, acquerelli colorati su carta bianca. Filigrana intera: forma di aquila stilizzata che regge due lance e, sotto, in lettere capitali, “LAF”.
Notizie storico-critiche:Il disegno, probabilmente preparatorio per una scena teatrale, non reca alcuna attribuzione: per il tratto leggero, frammentato e luminoso, per l’acquerellatura di delicata policromia, è probabilmente da assegnare ad un artista veneto, attivo nella seconda metà del XVII secolo.
Collezione: Collezione di disegni di Riccardo Lampugnani del Museo Poldi Pezzoli
Ratto delle Sabine-Autore: Ricchi Pietro detto Lucchese (attr.) (1606/ 1675)
Descrizione
Autore: Ricchi Pietro detto Lucchese (attr.) (1606/ 1675)
Cronologia: post 1600 – ante 1699
Tipologia: pittura
Materia e tecnica: olio su tela
Misure: 90,5 cm x 66,8 cm
Descrizione: In primo piano a destra un soldato afferra una giovane donna, mentre dietro di lui un altro sta già sollevando la preda; in secondo piano la scena è stipata di donne e soldati con insegne militari, picche, vessilli.
Collezione: Collezione dei dipinti dal XII al XVI secolo dei Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia
Collocazione-Brescia (BS), Musei Civici di Arte e Storia. Pinacoteca Tosio Martinengo
Compilazione: Basta, C. (1991)
Aggiornamento: Giuffredi, L. (2003)
Ratto delle Sabine-Milano- Museo Martinitt e Stelline
Descrizione
Cronologia: post 1725 – ante 1775
Tipologia: pittura
Materia e tecnica: tela/ pittura a olio
Misure: 228 cm x 177 cm
Collocazione
Milano (MI), Museo Martinitt e Stelline
Compilazione: Amaglio, Silvia (2013)
Ratto delle Sabine-Cremona (CR), Museo Civico Ala Ponzone
Ratto delle Sabine
Descrizione
Ambito culturale: ambito neoclassico
Cronologia: ca. 1800 – ca. 1815
Tipologia: disegno
Materia e tecnica: matita nera su carta bianca
Misure: 288 mm x 204 mm
Collocazione
Cremona (CR), Museo Civico Ala Ponzone
Compilazione: Iato, V. (2001)
Aggiornamento: Bora, G. ()
Ratto delle Sabine-Autore: Pistrucci Filippo (sec. XIX), inventore / incisore-
Misure: 185 mm x 115 mm (parte incisa); 181 mm x 125 mm (parte figurata); 191 mm x 140 mm (Impronta)
Collocazione
Monza (MB), Musei Civici di Monza
Compilazione: Marchesi, Ilaria (2010)
Ratto delle Sabine-Autore: Aquila Pietro (1640/ 1692), incisore
Ratto delle Sabine
Descrizione
Autore: Aquila Pietro (1640/ 1692), incisore / disegnatore; Berrettini Pietro detto Pietro da Cortona (1596/ 1669), inventore
Cronologia: ca. 1670 – ante 1692
Oggetto: stampa smarginata
Soggetto: storia
Materia e tecnica: acquaforte
Misure: 613 mm x 418 mm (parte incisa)
Collezione: Fondo Calcografico Antico e Moderno della Fondazione Biblioteca Morcelli-Pinacoteca Repossi
Collocazione
Chiari (BS), Pinacoteca Repossi
Compilazione: Brambilla, Lia (2003); Scorsetti, Monica (2003)-
Ratto delle Sabine Autore: Biasioli Angelo (1790/ 1830)
Descrizione
Identificazione: Ratto delle Sabine
Autore: Biasioli Angelo (1790/ 1830), incisore
Cronologia: post 1790 – ante 1830
Oggetto: stampa
Soggetto: storia
Materia e tecnica: acquatinta
Misure: 181 mm. x 114 mm. (Parte figurata); 195 mm. x 135 mm. (Parte incisa)
Collocazione
Monza (MB), Musei Civici di Monza
Compilazione: Fumagalli, Monica (2005)
Ratto delle Sabine-Bartoli Pietro Santi; Caldara Polidoro detto Polidoro da Caravaggio
Descrizione
Autore: Bartoli Pietro Santi (1635/ 1700), incisore; Caldara Polidoro detto Polidoro da Caravaggio (1499-1500/ 1543), inventore
Ambito culturale: Scuola romana
Cronologia: post 1650 – ante 1699
Oggetto: stampa
Soggetto: storia
Materia e tecnica: acquaforte
Misure: 386 mm x 122 mm (inciso); 392 mm x 158 mm (foglio)
Collocazione
Brescia (BS), Musei Civici di Arte e Storia. Pinacoteca Tosio Martinengo
Compilazione: Menta, L. (1999)
Aggiornamento: D’Adda, R. (2002)
Scultura – Ratto delle Sabine – Giambologna – Firenze – Loggia dei Lanzi
Descrizione
Autore: Non identificato, fotografo principale
Luogo e data della ripresa: Firenze (FI), Italia, 1890 – 1899
Materia/tecnica: albumina/carta
Misure: 30 x 40
Collocazione: Milano (MI), Regione Lombardia, fondo Scrocchi, SCR_4_STABC_TQ
Classificazione
Genere: foto d’arte
Soggetto: arte
Compilazione: Truzzi, Stefania (2005)
Aggiornamento: Casone, Laura (2006)
Pietro da Cortona – Ratto delle Sabine – Dipinto – Olio su tela – Roma – Palazzo del Campidoglio – Galleria Capitolina – Sala Pietro da Cortona
Pietro da Cortona – Ratto delle Sabine – Dipinto – Olio su tela – Roma – Palazzo del Campidoglio – Galleria Capitolina – Sala Pietro da Cortona
Anderson Domenico
Descrizione
Autore: Anderson Domenico (1854/ 1938), fotografo principale
Luogo e data della ripresa: Roma (RM), 1855-1919
Materia/tecnica: albumina/carta
Misure: n.d.
Collocazione: Milano (MI), Raccolte storiche dell’Accademia di Brera, fondo Fondo Frizzoni, Fototeca storica – Armadio Frizzoni – FF 302
Classificazione
Compilazione: Lapesa, C. (2008)-
Dipinto – “Ratto delle Sabine”
Fotografia dello Studio Calzolari (studio) (1882/1996)
Dipinto – “Ratto delle Sabine” (?)
Foto Studio Calzolari (studio)
Descrizione
Autore: Studio Calzolari (studio) (1882/1996), fotografo principale
Luogo e data della ripresa: Mantova (MN), Italia, XX
Materia/tecnica: gelatina bromuro d’argento/vetro
Misure: n.d.
Note: Dipinto, olio su tela, raffigurante ratto delle Sabine (?).
Collocazione: Mantova (MN), Archivio di Stato di Mantova, fondo Archivio fotografico Calzolari, ASMn, Archivio Calzolari
Classificazione
Genere: da attribuire
Compilazione: Previti, Serena (2008)
Milano – Stazione Centrale – Atrio biglietti – scalone di accesso alla galleria di testa // persone, fregio “Ratto delle Sabine” Cfr: FM AB 23/a, FM AB 23/b, FM AB 31, FM AB 33/a, FM AB 33/b
Milano – Stazione Centrale – Atrio biglietti – scalone di accesso alla galleria di testa // persone, fregio “Ratto delle Sabine” Cfr: FM AB 23/a, FM AB 23/b, FM AB 31, FM AB 33/a, FM AB 33/b
Paoletti, Antonio
Descrizione
Autore: Paoletti, Antonio (1881/ 1943)
Luogo e data della ripresa: Milano (MI), Italia
Materia/tecnica: gelatina a sviluppo
Misure: n.d.
Note: Milano – Stazione Centrale – Atrio biglietti – scalone di accesso alla galleria di testa // persone, fregio “Ratto delle Sabine” Cfr: FM AB 23/a, FM AB 23/b, FM AB 31, FM AB 33/a, FM AB 33/b
Collocazione: Milano (MI), Raccolte Grafiche e Fotografiche del Castello Sforzesco. Civico Archivio Fotografico, fondo Foto Milano, FM APL 22
Classificazione
Compilazione: Paoli, Silvia (2013)
Firenze – Piazza della Signoria – Scultura – Ratto delle Sabine – Giambologna – Loggia dei Lanzi
Firenze – Piazza della Signoria – Scultura – Ratto delle Sabine – Giambologna – Loggia dei Lanzi
Descrizione
Autore: Non identificato, fotografo principale
Luogo e data della ripresa: Firenze (FI), Italia, 1920 – 1930
Materia/tecnica: gelatina bromuro d’argento/carta
Misure: 18 x 24
Collocazione: Milano (MI), Regione Lombardia, fondo Scrocchi, SCR_82_ST_DV
Classificazione
Genere: architettura
Soggetto: città
Compilazione: Tonti, Stella (2007)
Leggende di Roma – Ratto delle Sabine (in alto) – Caio Muzio pone la mano destra sul braciere davanti a Porsenna (in Basso) – Disegno
Leggende di Roma – Ratto delle Sabine (in alto) – Caio Muzio pone la mano destra sul braciere davanti a Porsenna (in Basso) – Disegno
Fotografo non identificato
Descrizione
Autore: Fotografo non identificato (notizie), fotografo principale
Luogo e data della ripresa: 1855-1919
Materia/tecnica: albumina/carta
Misure: n.d.
Note: La fotografia riprende il foglio sul quale sono riportati i due disegni.
Collocazione: Milano (MI), Raccolte storiche dell’Accademia di Brera, fondo Fondo Frizzoni, Fototeca storica – Armadio Frizzoni – FF 1513
Classificazione
Compilazione: Lapesa, C. (2009)
Gruppo scultoreo – Marmo – Ratto delle Sabine – 1574-1580 – Giambologna – Firenze – Piazza della Signoria – Loggia della Signoria o dei Lanzi
Gruppo scultoreo – Marmo – Ratto delle Sabine – 1574-1580 – Giambologna – Firenze – Piazza della Signoria – Loggia della Signoria o dei Lanzi
Fotografo-Non identificato
Descrizione
Autore: Non identificato, fotografo principale
Luogo e data della ripresa: Firenze (FI), Italia, 1860 – 1880
Materia/tecnica: albumina/carta
Misure: n.d.
Collocazione: Milano (MI), Raccolte Grafiche e Fotografiche del Castello Sforzesco. Civico Archivio Fotografico, fondo Vedute Italia, VI H 218
Classificazione
Genere: foto d’arte
Soggetto: arte
Compilazione: Ossola, Margherita (2016)
Il ratto delle Sabine-Biasioli Angelo
Il ratto delle Sabine- Biasioli Angelo-Descrizione
Identificazione: Ratto delle Sabine
Autore: Biasioli Angelo (1790/ 1830), incisore
Cronologia: post 1790 – ante 1830
Oggetto: stampa smarginata
Soggetto: storia
Materia e tecnica: acquatinta
Misure: 180 mm. x 113 mm. (Parte figurata); 186 mm. x 127 mm. (Parte incisa)
Collocazione
Monza (MB), Musei Civici di Monza
Compilazione: Fumagalli, Monica (2005)
Ratto delle Sabine-Autore: Caraglio Giacomo (1500/ 1570), incisore
Descrizione
Identificazione: Ratto delle Sabine
Autore: Caraglio Giacomo (1500/ 1570), incisore
Cronologia: ca. 1527
Oggetto: stampa smarginata
Soggetto: storia
Materia e tecnica: bulino
Misure: 508 mm x 360 mm (parte incisa)
Notizie storico-critiche:Malgrado questa stampa sia tradizionalmente intitolata “Il ratto delle Sabine”, Archer sottolinea che quello che è stato rappresentato non è il ratto vero e proprio, bensì un episodio successivo raccontato da Livio e da Plutarco, ovvero il tentativo di riscatto dei Sabini che raggiunsero Roma e combatterono nel Foro, mentre le donne Sabine intervennero per chiedere il mantenimento della pace. La figura femminile raffigurata seduta su un asino sarebbe la dea Vesta, presso il cui tempio avvenne la lotta. Questa incisione fu l’ultimo lavoro del Caraglio, che la lasciò incompiuta. Essa venne completata da un incisore anonimo, dallo stile più duro e più largo rispetto al Caraglio. Bartsch testimonia che l’invenzione è da attribuire a Baccio Bandinelli; Vasari invece l’attribuiva a Rosso Fiorentino. Il timbro al verso dell’esemplare qui catalogato indica che questo foglio fece parte della collezione di Heinrich Buttstaedt, pittore, fotografo collezionista e mercante d’arte nato a Gouda e morto a Berlino nel 1876. Entrò a far parte del Fondo Calcografico della Pinacoteca Repossi tramite il legato Cavalli.
Collezione:Fondo Calcografico Antico e Moderno della Fondazione Biblioteca Morcelli-Pinacoteca Repossi
Ratto delle sabine
Caladara Polidoro detto Polidoro da Caravaggio; Alberti Cherubino
Descrizione
Autore: Caladara Polidoro detto Polidoro da Caravaggio (1499-1500/ 1543), inventore; Alberti Cherubino (1553/ 1615), incisore
Cronologia: post 1553 – ante 1615
Oggetto: stampa smarginata
Soggetto: mitologia
Materia e tecnica: bulino
Misure: 200 mm. x 103 mm. (Parte figurata)
Collocazione
Monza (MB), Musei Civici di Monza
Compilazione: Ruiu, Daniela (2004)
Ratto delle Sabine-Polidoro da Caravaggio; Le Blon, Jakob Christof (attribuito)
Descrizione
Autore: Polidoro da Caravaggio (1500 ca.-1543), inventore; Le Blon, Jakob Christof (attribuito) (1667/1670-1741), incisore
Cronologia: post 1667 – ante 1741
Oggetto: stampa tagliata
Soggetto: storia
Materia e tecnica: bulino
Misure: 449 mm x 167 mm (Parte figurata); 449 mm x 167 mm (Parte incisa)
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