Sinossi del libro di Palmiro Togliatti è stato uno dei più acuti interpreti del fascismo. I suoi scritti principali sul tema, A proposito del fascismo del 1928 e Lezioni sul fascismo del 1935, rappresentano secondo Renzo De Felice, rispettivamente, «l’analisi più compiuta e più matura del fascismo italiano elaborata fra le due guerre mondiali da un autorevole esponente comunista» e «un modello metodologico che può benissimo essere applicato anche ad una ricerca di tipo storiografico e non solo ad una analisi politico-pratica». Giuseppe Vacca -con un’ampia introduzione- inquadra storicamente gli scritti di Togliatti nello svolgimento degli avvenimenti e nel dibattito internazionale sul fascismo, sviluppando un confronto con i testi di Gramsci.
AUTORE
Palmiro Togliatti- Uomo politico italiano (Genova 1893 – Jalta 1964). Animatore con A. Gramsci del giornale l’Ordine nuovo, aderì al Partito comunista d’Italia (1921); dopo l’arresto di Gramsci divenne segretario del partito (1927) e tale rimase sino alla morte. Trasferitosi nel 1934 a Mosca, dove divenne membro del Comintern, rientrò in Italia nel 1944 e promosse la collaborazione delle forze antifasciste, abbandonando temporaneamente la pregiudiziale antimonarchica (cd. svolta di Salerno). Vicepresidente del Consiglio (1944-45), come ministro della Giustizia (1945-46) varò l’amnistia per gli ex fascisti. Fu membro della Costituente e dal 1948 deputato. Teorizzò la cd. via italiana al socialismo, ma rimase sempre profondamente legato all’Unione Sovietica. *
Il volume e la mostra omonima di Sabine Weiss (Venezia, Casa dei Tre Oci, 11 marzo-23 ottobre 2022) offrono la più ricca retrospettiva mai realizzata sul lavoro di Sabine Weiss, unica fotografa donna del dopoguerra ad aver esercitato questa professione così a lungo e in tutti i campi della fotografia.
«Non mi piacciono le cose sensazionali. Vorrei incorporare tutto in un istante, in modo che la condizione umana sia espressa nella sua sostanza minimale.» Sabine Weiss
Il volume ripercorre l’intera carriera della fotografa, dai reportage per le riviste più importanti e popolari dell’epoca, quali The New York Times Magazine, Life, Newsweek, Vogue, Paris Match, Esquire, ai ritratti di artisti, dalla moda agli scatti di strada con particolare attenzione ai volti dei bambini, fino ai numerosi viaggi per il mondo. Il saggio della curatrice Virginie Chardin ripercorre la vita e il lavoro di Weiss, mentre il testo del direttore artistico della Casa dei Tre Oci, Denis Curti, analizza l’esperienza di Weiss alla luce di un confronto tra la fotografia umanista francese e il neorealismo italiano. Il catalogo propone, inoltre, un’interessante appendice, che racchiude la biografia aggiornata della fotografa, accompagnata da illustrazioni di documenti storici e riviste, insieme a una selezione di mostre personali e collettive e un’accurata bibliografia dell’artista.
Breve biografia di Sabine Weiss-(Saint-Gingolph, 23 luglio 1924 – Parigi, 28 dicembre 2021) è stata una fotografa svizzera naturalizzata francese e una delle più importanti rappresentanti del movimento fotografico umanista francese, insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Édouard Boubat e Izis.
Luce, gesto, sguardo, movimento, silenzio, tensione, riposo, rigore, distensione. Vorrei includere tutto in questo istante perché sia espresso con il minimo dei mezzi l’essenziale dell’essere umano
Sabine Weis
Sabine Weiss (1924-2021) è una delle principali rappresentanti della corrente del dopoguerra che in Francia viene abitualmente definita “la fotografia umanista” e di cui fanno parte fotografi come Robert Doisneau, Willy Ronis o Edouard Boubat.
Reportage, illustrazione, moda, pubblicità, ritratto d’artista, lavoro personale: Sabine Weiss ha approcciato tutti gli ambiti della fotografia come una sfida, un pretesto d’incontro e di viaggio, un modo di vivere e di espressione di sé. Questa retrospettiva a cui l’autrice ha dato il proprio contributo fino al suo ultimo respiro, testimonia la passione di una vita e mette in luce le dominanti di un’opera in empatia costante con l’essere umano.
L’artista, attraverso stampe originali, documenti d’archivio e estratti di film, delinea il ritratto di una fotografia ispirata da un’insaziabile curiosità per l’altro, sia in Francia, dove si stabilisce nel 1946, come in quasi tutti i paesi europei (tra cui Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Germania, Austria, Inghilterra, Danimarca, Malta, Ungheria), negli Stati Uniti e in Asia, dove continua a viaggiare fino al termine della sua vita.
Una scultura ambientale di Paolo Icaro arriva alla Pinacoteca Civica
Fabriano-In occasione della XX Giornata del Contemporaneo, inaugura oggi “Artificio naturale”, scultura ambientale di Paolo Icaro acquisita nella collezione della Pinacoteca Civica Bruno Molajoli di Fabriano
Il progetto-In occasione della XX Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI, inaugura oggi “Artificio naturale“, scultura ambientale di Paolo Icaro acquisita nella collezione della Pinacoteca Civica Bruno Molajoli di Fabriano.
Il progetto, a cura di Marcello Smarrelli, promosso dal Comune di Fabriano e ideato in collaborazione con la Fondazione Ermanno Casoli, è sostenuto dal PAC2022-2023 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura
Nota Biografica di Paolo Icaro
Nato a Torino (1936), Paolo Icaro è protagonista assoluto delle ricerche artistiche degli anni Sessanta. Vicino all’esperienza dell’Arte Povera, sin dagli esordi sperimenta il divenire dell’azione scultorea in relazione alla forma e allo spazio, utilizzando materiali elementari e duttili come cemento, argilla, carta, legno e gesso.
Forma, spazio, equilibrio–Artificio naturale, realizzata nel 2011, riflette perfettamente questa continua ricerca e sperimentazione. L’installazione è composta da cinque massi in pietra, semplicemente adagiati a terra. Lo scultore ha inizialmente modellato in argilla una pietra “ideale”, levigandola fino a farla sembrare un sasso perfetto, come se fosse stato plasmato dall’acqua di un torrente. Da questa forma originale sono stati creati cinque esemplari in gesso, poi in cemento, e infine, grazie a una scansione 3D, sono stati scolpiti in pietra di Matraia. Pur avendo la stessa forma, i cinque massi appaiono diversi in quanto posti in cinque posizioni differenti, le uniche in cui stanno in equilibrio.
Il progetto è accompagnato da un programma di incontri pubblici, laboratori didattici per bambini e da una pubblicazione, edita da Chimera Editore, con testi di Marcello Smarrelli e Simone Ciglia.
INFORMAZIONI-Artificio Naturale Dove: Pinacoteca Civica Bruno Molajoli, Fabriano, piazza Papa Giovanni Paolo II Quando: 12 ottobre 2024 Orari: ore 11, inaugurazione dell’opera e presentazione con l’artista
dalle ore 10.00 alle ore 18.00, Open day a ingresso gratuito con visite guidate ogni ora alla collezione storica e contemporanea Orari apertura pinacoteca: dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00
Breve biografia di Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso nel 2021. Ha pubblicato le raccolte di poesia: La porta murata (prefazione di Franco Scataglini, Residenza, 1982), Il viale d’inverno (l’Obliquo, 1989), Il prato bianco (l’Obliquo, 1997), Il cancello 1980-1999 (peQuod, 2001), L’esperienza della neve (Donzelli, 2003), Il segreto (l’Obliquo, 2007), Frammenti dei dodici mesi (con foto di Giorgio Cutini, l’Obliquo, 2010), L’ora felice (Donzelli, 2010), Nevicata (con acqueforti di Nicola Montanari, Liberilibri, 2013), Con ogni mio saper e diligentia – Stanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri, 2013), Il prato bianco (Einaudi, 2017) e traduzioni da Machado e García Lorca: Non domandarmi nulla (Marcos y Marcos, 2015).
Biglietto di settembre Questa pioggia che senti
giovane lungo i muri
picchia, se fai silenzio,
ai nostri vetri,
bagna inferriate e foglie,
crolla dalle grondaie,
allaga il buio,
cancella ponti e polvere
e scompare.
Prologo Sanguina a me di fianco l’ora bianca,
ospita un altro inverno, non capisce
come ancora si ostini, in tanta neve,
a rassegnarsi al mondo, al suo crudele
volgere in niente il niente, dileguando
oltre il vuoto dei giorni, in un addio
di bisbigli caduti nella luce.
2 Della perduta vita non so niente,
ché sempre se ne va per chissà dove,
resa o voltata a un angolo del giorno,
mesi che può la notte cancellare
sulla soglia gelata del mattino.
Non c’è altro che adesso e adesso ancora:
se appena lo pronunci si dissolve
in un adesso che non è più niente.
Siamo quest’oggi chiaro che si spegne,
luce che lascia gli occhi con dolcezza,
uomini che di spalle vanno piano,
seguito della storia, sogno, nube,
ombre che di ogni età fanno silenzio,
onde che si cancellano nel mare.
Luci distanti Il muschio è quell’odore che non muta
la sua antica infantile identità,
come se fosse sempre ovunque Ortona,
nel silenzio notturno che qui scende,
camera d’un albergo di provincia,
luci distanti che dai vetri vedo,
se appena un po’ m’accosto dopo cena.
Cadrà sempre la neve in ogni tempo,
sarà bianca com’era, fresca e intatta,
nasceranno bambini dai suoi fiocchi
come piccoli uomini che vanno
al paese incantato inesistente
che ciascuno conosce, se rammenta
l’albero dai bei doni illuminato.
Questa luce che tocca Questa luce che tocca
ottobre e il mondo
calma scomparirà
da sé in silenzio
nella sera del tempo
e questa nebbia
bianca sulla città
lascerà intatto
tutto il vuoto dell’epoca,
il ritratto di ogni cosa che, ferma,
a voce spenta,
niente saprà di noi
come l’odore
della notte di vento
e pioggia dura
che sui nomi e le case
cade invano.
*
Una lampada
Nelle giornate limpide
non vedi
i vetri delle case
dietro ai quali
brilla ancora
una lampada.
*
L’ombra degli oleandri
Dai vetri di un albergo,
verso sera,
torna soltanto adesso
-superstite d’allora-
l’ombra degli oleandri.
*
Nel fondo
Il poco più di notte
che si attarda
sul manto delle more
non tradisce
quel che di te non dici,
gli anni muti
scivolati nel fondo,
in lontananza.
*
Ci vorrà
Ci vorrà
tutto il tempo necessario
prima che possa anch’io
fare a meno di me
senza voltarmi,
andando,
per lasciare.
*
L’orma leggera
Chi, come te, cortese,
mi sovviene
lascia l’orma leggera
e si allontana,
come fanno le nuvole,
tacendo.
*
Dove cade la pioggia
Dove cade la pioggia,
c’è la luce di ottobre
che finisce.
*
Sesto preludio
Come discreta e intatta
alla quiete d’un mese
a sé m’attrasse
l’ora del pomeriggio
di pietre e vie infinite
e un vento d’aria
a sponda d’ancoraggio
dove il vento finisce,
nell’eterna stagione
d’alba ferma,
immobile sui rami
e sulle cose.
*
Settimo preludio
Tu sola sei venuta
a quel suo stanco
passo di notte bianco,
a quell’estrema luce
d’altra sponda
di chi piano allontana
sé dal nome
e anche se chiamato
non risponde.
*
Sui gradini del mondo
(Un’epigrafe)
Guarda la notte
che non si dirada
sui gradini del mondo,
tu che siedi
dove più forte è il vento
di ogni strada:
questo il presente
della storia, il lutto
reso ai dove del niente,
la contrada
dei passi che si perdono,
il delitto
nel silenzio dei nomi
quando avara
è la virtù del sogno
che condanna
gli uomini al loro nulla,
a una memoria
di volti senza voce,
a un’ombra bianca;
altro non chiedi,
nella luce che tocca
la morte che non vedi
e che ti affianca,
se la pietà, nel freddo,
non ti parla,
se vivere è soltanto
quel che devi.
Partita
2 Essere d’ogni tempo
alla sua soglia,
luce a marzo, d’inverno,
nel cammino
che cancella il pudore
delle impronte.
Non somigliarmi,
non avere, con me, niente in comune,
lascia che sia, ogni volta,
l’imprecisa dolcezza di un saluto
a condurre i tuoi passi
e quel tremore trepido che guarda
il niente per cui è dato consegnarsi.
*
Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.
*
Così dunque si muore
tra bisbigli
che non sai afferrare.
*
E dopo?
Dopo semplicemente,
la vana solitudine del sogno.
*
Viene
l’aria dell’anno
dal giardino:
cosa avrà in serbo
il giovane gennaio
col suo gelo?
Breve biografia di Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso nel 2021. Ha pubblicato le raccolte di poesia: La porta murata (prefazione di Franco Scataglini, Residenza, 1982), Il viale d’inverno (l’Obliquo, 1989), Il prato bianco (l’Obliquo, 1997), Il cancello 1980-1999 (peQuod, 2001), L’esperienza della neve (Donzelli, 2003), Il segreto (l’Obliquo, 2007), Frammenti dei dodici mesi (con foto di Giorgio Cutini, l’Obliquo, 2010), L’ora felice (Donzelli, 2010), Nevicata (con acqueforti di Nicola Montanari, Liberilibri, 2013), Con ogni mio saper e diligentia – Stanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri, 2013), Il prato bianco (Einaudi, 2017) e traduzioni da Machado e García Lorca: Non domandarmi nulla (Marcos y Marcos, 2015).
Fonte Poesie-Il sito www.italian-poetry.org funziona correntemente dal 2000. Era nato l’anno precedente, dopo una serie di incontri e di confronti con la Poetry Society americana, ai cui criteri di severa selezione si ispira, antologizzando la poesia italiana moderna e contemporanea dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, a partire dai poeti nati nei primi anni del XX secolo e attivi nei decenni successivi.
Il comitato fondatore, con i rappresentanti del circuito internazionale della poesia, era composto da Alberto Bevilacqua, Tobias Burghardt, Ernesto Calzavara, Casimiro De Brito, Luciano Erba, Alfredo Giuliani, Giuliano Gramigna, Mario Luzi, Elio Pagliarani, Umberto Piersanti, Giovanni Raboni, Paolo Ruffilli, Edoardo Sanguineti, Mark Strand.
Il sito ha totalizzato più di 14 milioni di visualizzazioni nei primi quindici anni di vita ed è indicizzato quale primo risultato di Google per “poesia italiana”.
Il nuovo logo del sito, introdotto nel 2014, all’insegna di Montale, Quasimodo e Ungaretti, rimanda simbolicamente alla grande avventura della poesia italiana contemporanea dal principio del Novecento fino ad oggi.
Rossella Renzi, laureata all’Alma Mater di Bologna con la testi su Eugenio Montale e la poesia del secondo Novecento, è nata Castel San Pietro Terme nel 1977, vive in provincia di Ravenna, insegna materie letterarie negli Istituti superiori. In poesia ha pubblicato: I giorni dell’acqua (L’arcolaio 2009), Il seme del giorno (L’arcolaio 2015), Dare il nome alle cose (Minerva 2018), Disadorna (peQuod 2022); il saggio in E Book Dire fare sbocciare. Laboratori di poesia a scuola (Pordenonelegge 2018). È redattrice di «Argo» e di «Poesia del nostro tempo». Per la casa editrice Argolibri dirige la collana “Territori” per cui ha curato il volume Argo 2020 L’Europa dei poeti. Con altri autori ha curato L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie e numerosi Annuari di poesia. Lavora per approfondire il dialogo tra la poesia e le diverse forme artistiche. Collabora con l’Associazione Independent Poetry attiva nell’organizzazione di eventi sul territorio romagnolo.
Alcuni testi da:Disadorna
Tu che lo sai, dimmi cos’è
essere luce in questo lamento
che arriva da lontano.
Essere luce nel fragore
nel desiderio, nella speranza
quando la vita si schianta.
Dimmi il peccato nella mano tesa,
nella lingua del corpo che si fa canto.
***
Ci scorderemo di tutto
non sapere sarà la nostra verità
mentre l’acqua inizia a tracimare
ripassiamo le nostre iniziali.
***
C’è un punto sul collo
tra cuore e clavicola
dove si raccolgono le lacrime.
Nel solco appena accennato ristagna,
fa male. Se scavi in quel punto, Camille
comprendi una figura di madre
il suo corpo, gli occhi più grandi
il dolore non detto
le mani incrociate sulle ginocchia.
***
Apro gli occhi intorno è buio
crepe sul mio ritratto
polvere sul vetro
una cornice sghemba
siamo chiusi nell’umano rumore.
Uno schianto di stelle questo inizio d’agosto.
***
Eri scintilla o la bestia che fugge
esiliata nel chiaro di bosco
eri fanciulla ferita nel fianco
la madre con due rose sul grembo.
Eri seme, frutto, ramo spezzato
il silenzio nella tana del fuoco.
Eri la parte migliore del giorno
l’ultimo volo possibile.
Articolo di Cinzia Demi
PerMissione Poesia, rubrica di poesia italiana contemporanea, esaminiamo “Disadorna” (peQuod Edizioni) il nuovo libro di Rossella Renzi, che si rinnova nella poetica cercando, questa volta, di liberarsi del “peso” delle parole, ricercandone la radice, la nudità di forma, la verità di fondo nella consapevolezza del supporto che quest’ultima, attraverso la poesia, può dare alla fragilità umana.
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Rossella Renzi, laureata all’Alma Mater di Bologna con la testi su Eugenio Montale e la poesia del secondo Novecento, è nata Castel San Pietro Terme nel 1977, vive in provincia di Ravenna, insegna materie letterarie negli Istituti superiori. In poesia ha pubblicato: I giorni dell’acqua (L’arcolaio 2009), Il seme del giorno (L’arcolaio 2015), Dare il nome alle cose (Minerva 2018), Disadorna (peQuod 2022); il saggio in E Book Dire fare sbocciare. Laboratori di poesia a scuola (Pordenonelegge 2018). È redattrice di «Argo» e di «Poesia del nostro tempo». Per la casa editrice Argolibri dirige la collana “Territori” per cui ha curato il volume Argo 2020 L’Europa dei poeti. Con altri autori ha curato L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie e numerosi Annuari di poesia. Lavora per approfondire il dialogo tra la poesia e le diverse forme artistiche. Collabora con l’Associazione Independent Poetry attiva nell’organizzazione di eventi sul territorio romagnolo.
Per un approfondimento sulla sua poetica vedere anche l’articolo precedente al link: https://altritaliani.net/la-voce-poetica-di-rossella-renzi-il-seme-del-giorno/
Disadorna
Il volo è il leitmotiv di Disadorna, l’ultimo libro di Rossella Renzi, uscito nel 2022 per i tipi di peQuod: sia che si tratti di evocarlo attraverso la presenza di falene o farfalle o comunque piccoli insetti (il primo lepidottero si incontra sei volte nello scorrere dei testi), sia che si parli di ali o di voli o di uccelli sembra davvero che questa sia la dimensione in cui l’autrice vuole calarsi maggiormente, si senta a suo agio, ne ravveda una necessità di narrazione: È il cielo delle falene bianche/solcato da un solo giorno./È la possibilità del gesto/che non è stato/che non ti ha salvato.
Così, se la parola che compone il titolo dell’opera, disadorna, ci fa pensare a qualcosa privo di orpelli, di ornamenti, di fronzoli è ancora più vero che per volare, come per camminare, è necessario spogliarsi di molte cose, di quelle inutili e pesanti cose che diventerebbero solo una zavorra, ponendo un ostacolo tra il voler essere e il voler fare, tra il sentire e il rappresentare, tra le parole scritte e il loro significato, o senso che dir si voglia. Rossella Renzi, come dichiara lei stessa in un’intervista, comincia dunque a liberarsi del “peso” delle parole, ne ricerca la radice, la nudità di forma, la verità di fondo e compone poesie brevi, con pochi ma lampanti flash che illuminano la pagina e la mente. Ed è proprio la ricerca di luce, il restarne fedeli, la consapevolezza del supporto che questa può dare alla fragilità umana, uno degli obiettivi della sua poetica. Del resto già in Dare il nome alle cose (Minerva Edizioni) Renzi accennava alla fragilità dei frammenti, intendendola come una condizione necessaria per porsi in ascolto dell’altro e accoglierlo dentro e fuori di sé, una condizione in cui spesso ci troviamo, volenti o meno, tutti noi. Ed è qui che, ritengo, si possa ritrovare uno dei compiti della poesia, che vivaddio ne ha parecchi – altro che cosa inutile, senza funzione alcuna, come certi affermano -: dalla necessità di raccontare – Sherazade raccontava storie per aver salva la vita, ricordate? – al bisogno di lasciare un segno del proprio cammino in questo mondo, al desiderio di ricercare la verità e quindi la luce a cui accennavo sopra, una luce che per lieve che sia sancisce la possibilità del volo.
All’interno del libro, protagonista del susseguirsi dei versi, si intravede una figura femminile che incarna il concetto di disadorna, ma anche quello di trasformazione e adeguamento alle molteplici dimensioni che la vita stessa presenta, compresa quella del dolore incanalata, come si legge nei testi della prima sezione della raccolta, nei profughi di Lipa, che ripercorrono il tema della migrazione con gli occhi aperti sulle necessità e sui bisogno e al contempo sulle meraviglie dei mondi nuovi, sulla libertà: Siamo l’occhio spalancato sul fuoco/procediamo con passi tremanti/una leggera carezza nelle mani/per turbare la muta limpidezza/per rispondere al saluto dell’acqua. O, ancora, si incarna nella figura di Camille Claudel, nella vitalità emergente della sua scultura, nella passionalità e fragilità delle sue figure e della sua stessa persona quasi fosse in corrispondenza con l’autrice, con la sua poesia, con le forme espresse in entrambe le arti, con la potenzialità del talento divulgato non senza fatica da Camille, complice l’epoca della sua affermazione: Ti bastava lo scrosciare costante/della pioggia il battito regolare/del suo cuore nella tua mano,/tutto era lì in quelle due parole,/l’esistenza, il rumore.
Ma il talento di Renzi si incontra, senz’altro, anche nei riflessi dei suoi maestri, alcuni presenti nelle introduzioni alle sezioni quali María Zambrano, Yves Bonnefoy, Simone Weil, Osip Mandel’štam con i quali stabilisce un dialogo che diventa canzoniere illuminante, meticciato di voci, crocevia di pensieri tutti ritrovabili e rinnovati in Disadorna, opera che si dimostra complessa elaborazione di un intenso percorso di ricerca intorno alla poesia, sfociato in un manufatto dal vasto respiro europeo, con uno stile lirico e di misura, chiaro e volutamente denso di una materia magmatica che introduce a riflessioni memoriali altamente evocative, sentimenti di compassione, desiderio di immedesimazione, conditi da una preziosa familiarità con gli strumenti della poesia, mischiati sapientemente con un’originalità interpretativa che non vanifica il desiderio di formarsi una propria e riconoscibile voce da parte dell’autrice.
Cinzia Demi (Piombino – LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica.E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.
Una biografia di Cesare Pavese curata Franco Vaccaneo e l’allegato cd musicale di Mariano Deidda raccontano uno dei maggiori scrittori del 900
«“Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i cattivi giorni e giungano gli anni nei quali dirai: non ho più alcun piacere, prima che il sole, la luna si oscurino e le nuvole tornino dopo la pioggia”. Tutto ci saremmo aspettati in quel bel pomeriggio d’autunno, salvo che trovare questa citazione dell’Ecclesiaste (12, 3-4) in calce alla bozza di una lettera di Cesare Pavese indirizzata all’editore Carocci», ricordava in un bell’articolo pubblicato nel 2013 su Riforma il pastore valdese Giorgio Bouchard. L’elzeviro letterario prendeva spunto da «un gradevole week-end passato con le chiese di Alessandria e San Marzano», dove Bouchard aveva discusso il libro di Sergio Aquilante Cercando il bene della città – Memorie di un pastore metodista (Claudiana, 2011) e anche meditato durante il culto, sulla singolare figura di Balaam e della sua asina (Numeri, cap. 22). «Mentre stavamo concludendo – si legge –, ci siamo resi conto che San Marzano era a pochi chilometri da Santo Stefano Belbo, la mitica località collinare che è tanto strettamente legata al nome di Cesare Pavese, uno dei maggiori (e migliori) scrittori italiani del Novecento».
Pavese, da sempre e soprattutto dopo la sua tragica morte, è uno tra gli scrittori italiani più celebrati e ripubblicati. I suoi libri hanno fatto il giro del mondo e le sue traduzioni hanno entusiasmato l’Italia intera, che stava diventando anch’essa in quegli anni un po’ statunitense. Un’edizione dei suoi capolavori letterari è stata da poco proposta al pubblico dalla casa editrice Newton e Compton con la prefazione di Paolo Di Paolo: vi sono contenute ben dieci opere integrali in un unico volume: La luna e i falò; La casa in collina; La spiaggia; Dialoghi con Leucò; Il compagno; La bella estate; Il diavolo sulle colline; Tra donne e sole; Lavorare stanca; Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Per entrare nella vita privata e pubblica di Pavese però è necessario scorrere le pagine di una biografia. L’occasione arriva con una pubblicazione preziosa, piccolo scrigno di parole e note, il libro curato da Franco Vaccaneo*, esperto di studi pavesiani e direttore fino al 2004 del Centro studi “Cesare Pavese”, pubblicato da Priuli & Verlucca, editrice di Scarmagno specializzata in libri di montagna, fotografie, tradizioni e antropologia del Piemonte e delle Alpi. Un libro con il valore aggiunto di un cd musicale che correda l’opera letteraria a cura del compositore, che possiamo definire “cantapoeta”, Mariano Deidda.
Il volume, ben curato e con copertina rigida elegante, è all’interno da un album fotografico con scatti di vita di Pavese, di suoi amici e mentori e impossibili amori, ed è una biografia aggiornata (la terza dedicata a all’uomo e scrittore Pavese, dopo quella di Davide Laiolo, Il vizio assurdo – Minimum fax 2020 e quella ben nota: Cesare Pavese di Lorenzo Mondo, Mursia 1984). Tra le righe si incontrano aspetti inediti, necessari per entrare senza infingimenti o falsi miti nel mondo di Pavese. Un modo per incontrare l’uomo attraverso i suoi scritti, le parole sue e i ricordi di amici, colleghi e famigliari. Un libro capace di far rivivere Pavese, al quale l’autore concede nuova vita, pensieri e parole.
Si ripercorrono le tappe salienti della vita agreste e di quella cittadina, privata e pubblica: ne emerge il ritratto di un uomo irregolare nella sua regolatezza, schivo, fuori dalle consuetudini mondane allora in voga, dalle quali rifuggiva ma a cui forse, avrebbe potuto volentieri cedere. Dall’infanzia nella campagna delle Langhe, si arriva alla morte per suicidio, all’Hotel Roma di Torino la sera del 27 agosto 1950 con l’ormai noto e famoso lapidario messaggio di congedo: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».
Ma con il libro, vi è anche l’offerta musicale. Mariano Deidda, grazie a una solida esperienza interpretativa, offre un lavoro eccezionale, il cd Deidda canta Pavese (disponibile anche in una edizione non allegata al libro). L’ottima registrazione per audiofili, grazie agli arrangiamenti e alle sonorità eseguite da alcuni dei migliori musicisti (anche in ambito jazz) del panorama italiano, declama, sussurra e intona una rinascita dei versi di Pavese. Un viaggio percorso insieme al tocco raffinato al pianoforte di Silvia Cucchi, all’inconfondibile suono di sax e clarinetto di Gianluigi Trovesi, alle corde vocali dell’attore Carlo Simoni ascoltabili nel brano Albergo Roma e che, grazie alla fisarmonica di Luca Zanetti, la Machiavelli Music Publishing, propone con spirito romantico. Deidda e i suoi musicisti rincorrono le emozioni più recondite intrappolate negli interstizi dell’opera di Pavese, consegnandole all’ascoltatore senza filtri.
* F. Vaccaneo, Cesare Pavese. Vita, colline, libri. Scarmagno (To), 2020, pp. 128.
La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese
di Guido Samarani e di Sofia Graziani
Editori Laterza-Bari
Descrizione del libro-Se vogliamo comprendere la Cina contemporanea non possiamo prescindere dalla storia del Partito comunista cinese. Ne ha determinato le sorti e i profondi cambiamenti, trasformando in cento anni un paese rurale nella seconda potenza economica mondiale. Nel luglio del 1921, quando nacque, il Pcc aveva solo una cinquantina di membri ed era un soggetto politico marginale. Oggi conta oltre novanta milioni di iscritti e, dal 1949, è alla guida di un paese immenso e molto complesso. Con questa ambiziosa opera, che si avvale delle fonti più aggiornate, Guido Samarani e Sofia Graziani intrecciano la storia del Pcc alla storia della Repubblica popolare cinese, delineandone l’organizzazione, l’ideologia, la strategia interna e internazionale, i momenti gloriosi quanto gli eventi drammatici. Un’opera unica in Italia.
Gli Autori
Guido Samarani
Guido Samarani è stato professore di Storia ed istituzioni dell’Asia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove è attualmente Senior Researcher. Tra le sue pubblicazioni: La Cina di Mao, l’Italia e l’Europa negli anni della Guerra fredda (a cura di, con C. Meneguzzi Rostagni, Il Mulino 2014); La Cina contemporanea. Dalla fine dell’Impero a oggi (Einaudi 2017); La rivoluzione in cammino. La Cina della Lunga Marcia (Edizioni Salerno 2018); La Cina nella storia globale. Percorsi e tendenze (a cura di, Guerini e Associati 2019); Mao. Il grande timoniere e la Cina moderna (la Repubblica 2020). Per Laterza ha pubblicato, insieme a Sofia Graziani, La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese (2023).
Sofia Graziani è docente di Storia e lingua cinese presso l’Università di Trento.Tra le sue pubblicazioni, Il Partito e i giovani. Storia della Lega giovanile comunista in Cina (Cafoscarina 2013) e Roads to Reconciliation: People’s Republic of China, Western Europe and Italy during the Cold War Period (1949-1971) (a cura di, con G. Samarani e C. Meneguzzi Rostagni, Edizioni Ca’ Foscari 2018). Per Laterza ha pubblicato, insieme a Guido Samarani, La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese (2023).
Edizione: 2023 Pagine: 312 Collana: Storia e Società ISBN carta: 9788858150962 ISBN digitale: 9788858152348 Argomenti: Storia contemporanea, Storia dei paesi extraeuropei
Descrizione del libro di Han Kang “La vegetariana”-«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l’ideale di un’estatica dissoluzione nell’indifferenza vegetale. La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell’ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.
Figlia dello scrittore Han Seung-won[2], è nata a Gwangju il 27 novembre 1970. Dopo gli studi all’Università Yonsei di Seul (letteratura coreana)[3], esordisce pubblicando una serie di cinque poesie nella rivista coreana Letteratura e società[4] nel 1993.[5] L’anno successivo esce il suo primo romanzo[6] al quale ne seguiranno altri cinque. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts[7].
Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito intitolato Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson. Così come le altre opere di questa biblioteca anche il libro di Han verrà pubblicato e reso disponibile solo nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.[10]
Il 10 ottobre 2024 viene insignita del Premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione: “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”[11][12], divenendo il primo rappresentante del suo Paese a vincere un Nobel in questa categoria[13].
사랑과, 사랑을 둘러싼 것들 (letteralmente L’amore e le cose che circondano l’amore), 2003.
가만가만 부르는 노래 (letteralmente Una canzone cantata sottovoce), Bichae, 2007. ISBN 9788992036276 Il libro include un CD musicale di 10 brani in veste di autrice e cantante di canzoni.[15]
-Gli ARCHI COMMEMORATIVI E TRIONFALI DELLE COLONIE ROMANE.
Copia anastatica dell’Articolo dalla Rivista EMPORIUM n° mese di maggio 1908
Un arco trionfale, o arco di trionfo, è una costruzione con la forma di una monumentale porta ad arco, solitamente costruita per celebrare una vittoria in guerra, in auge presso le culture antiche. Questa tradizione nasce nell’Antica Roma, e molti archi costruiti in età imperiale possono essere ammirati ancora oggi nella “città eterna“.
Alcuni archi trionfali erano realizzati in pietra, a Roma in marmo o travertino, ed erano dunque destinati ad essere permanenti. In altri casi venivano eretti archi temporanei, costruiti per essere utilizzati durante celebrazioni e parate e poi smontati. In genere solo gli archi eretti a Roma vengono definiti “trionfali” in quanto solo nell’Urbe venivano celebrati i trionfi e onorato l’ingresso del vincitore. Gli archi eretti altrove sono generalmente definiti “onorari” e avevano la funzione di celebrare nuove opere pubbliche. Originariamente gli archi erano semplici e avevano una sola apertura (fòrnice), nell’età tardoimperiale si arricchirono con fòrnici laterali e rilievi scultorei decorativi. Sulla sommità, detta attico, erano poste statue e quadrighe guidate dall’imperatore. L’età augustea inaugurò una tipologia grandiosa dell’arco di trionfo; era arricchito con rilievi in marmo o in bronzo che raccontavano le imprese di guerra dell’imperatore.
La costruzione degli archi romani assunse man mano, un ruolo pressoché simbolico. Essi infatti si rifanno alle porte monumentali, allineate alle mura della città, ma da esse si differiscono non tanto strutturalmente, ma, appunto, simbolicamente. Essi sono, infatti, dedicati a grandi imprese compiute da imperatori, generali, quali guerre, conquiste o anche alla semplice edificazione di infrastrutture come ponti e strade. Altro elemento di grande importanza, e quindi da sottolineare, è la circostanza che la monumentalità sia data dalla sovrapposizione di due elementi strutturali: la volta ed il trilite (due colonne che sorreggono un architrave). Di questi due, solo la volta è l’elemento portante: il peso dell’intera struttura è scaricato solamente su di esso e non sulla struttura trilitica.
-Alfredo CHIGHINE “Il segno e il senso nelle sue Opere”-
Articolo di Cesare VIVIANI scritto per la Rivista ORIGINI N°37 anno 1999-
Alfredo Chighine – cenni biografici:
Alfredo Chighine nacque a Milano il 9 marzo 1914 da padre sardo e madre lombarda. Giovanissimo entrò in fabbrica a lavorare come operaio mentre, cominciati subito i suoi interessi artistici, frequentava il Corso di Incisione all’Umanitaria. Nel 1941 espose alla III Mostra Provinciale al Palazzo della Permanente un dipinto intitolato “Composizione”. Nel 1945 studiò all’Istituto Superiore d’Arte Decorativa di Monza e finalmente all’Accademia di Brera di Milano, dove seguì il corso di scultura. In questo periodo conobbe Giacomo Manzù e fu suo allievo. Aveva stretti rapporti di amicizia e di lavoro con Franco Francese, più giovane di lui di sei anni. Erano gli anni del dopoguerra: Alfredo Chighine entrò nell’ambiente di Brera, che gravitava intorno al Bar Giamaica. Aveva intanto continuato a dipingere. Ma nel 1948 si presentò alla Biennale di Venezia con due sculture in legno. Era poverissimo, gli mancavano i materiali per lavorare, colori, tele, legno, ecc. La scultura “Maternità” del 1946 è fatta con un acero di un viale di Milano, segato e portato a casa di notte. Aveva studio in via Mac Mahon. Qui lo frequentò, primo dei critici a capirne le qualità, Marco Valsecchi. Fondamentale fu in quel momento l’incontro, tramite Valsecchi, con Gino Ghiringhelli. Ne derivò un rapporto di stima, di amicizia e di lavoro che durò fino alla morte di Ghiringhelli nel 1964, e che fu testimoniato da numerose mostre alla Galleria del Milione. Un eccezionale collezionista, Carlo Frua De Angeli, colse allora il valore di Chighine e acquistò molte delle sue migliori opere degli anni cinquanta e primi sessanta. Nel 1956 lasciò lo studio di via Mac Mahon e si trasferì in uno studio in via Rossini 3, che divise col pittore Giordano. Nel 1957 Alfredo Chighine compì il primo viaggio a Parigi. Dal 1958 cominciò a recarsi nell’estate a Viareggio; qui ebbe studio e vi tornò ogni anno, acquisendo nuovi temi e un senso diverso della luce. In quello stesso anno lasciò lo studio di via Rossini e ne sistemò uno, che fu il definitivo, in Corso Garibaldi. Nel 1959 fece un breve soggiorno a Positano e fu colpito dalla violenza cromatica del Sud. Ormai la sua opera si era imposta e la sua vita non ebbe più vicende che non fossero quelle interiori e del lavoro quotidiano di pittura, di grafica e di incisione. Morì a Pisa il 16 luglio 1974.
Chighine alla Galleria Marini: ALFREDO CHIGHINE Pensare con le mani
– Milano Arte Expo-
Chighine alla Galleria Marini: ALFREDO CHIGHINE Pensare con le mani – mostra consigliata da Milano Arte Expo. Inaugurazione giovedì 11 dicembre 2014 alla Galleria Marini (via Appiani 12 vedi MAPPA) – aperta fino al 28 febbraio 2015. Grande omaggio ad Alfredo Chighine (Milano 1914 – Pisa 1974), tra i protagonisti storici della pittura informale italiana. In espsosizione più di quaranta opere eseguite dal 1953 al 1973 a testimoniare tutto il percorso artistico del maestro. Scrive Elisabetta Longari nella presentazione in catalogo “…Pensare con le mani: non riesco a trovare una formulazione alternativa che dia altrettanto precisamente conto della matrice “immanente e pragmatica” propria del laboratorio creativo dell’artista, tanto nella sua prima fase come scultore quanto nella sua attività di pittore, e dei suoi processi, legati soprattutto all’immediatezza del fare, un fare interamente basato su una sorta di intuito fulmineo della mano e dell’occhio (“come se a vedere fossero le mani”) …”. >
E Cristina Casero osserva “…Per Chighine mi sembra che la stagione informale vada intesa, da un lato come la volontà di avvicinarsi alla realtà per restituirne l’essenza vitale, il ritmo, guardando alla natura naturans più che alla natura naturata, dall’altro come un fondamentale esercizio sul piano della prassi pittorica, della costruzione dell’immagine attraverso il lessico della pittura: segno, colore, luce …”
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