LA CENERENTOLA di Gioacchino Rossini – Trama, Libretto, Opera completa e Personaggi–
LA CENERENTOLA di Gioacchino Rossini
La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo è un’opera lirica in due Atti di Gioachino Rossini su libretto di Jacopo Ferretti.Come suggerisce il nome, il soggetto dell’Opera è tratto dalla celebre fiaba di Charles Perrault; in realta, più ancora che alla favola, il testo del romano Jacopo Ferretti si rifà ad altri due libretti d’opera: “Cendrillon” di Charles Guillaume Etienne per Nicolò Isouard (1810) e “Agatina, o la virtù premiata” di Stefano Pavesi per Francesco Fiorini (1814).
Il riferimento principale però è quello alla favola di Charles perrault, soprattutto per ragioni morali: a differenza di alcune versioni più aspre e violente del racconto, lo scrittore francese enfatizzò nella sua favola gli elementi del perdono e della virtù. Valori molto vicini alla sensibilità del tempo e certamente graditi al vaglio Pontificio.
Sullo sfondo della vicenda, però, fa capolino una società degradata, calata a pennello nell’atmosfera romana di quegli anni, pervasa dalla corruzione, da una nobiltà decadente e scialacquante, da gravi disagi tra i ceti sociali più poveri.
Sotto le spoglie di un buonismo (obbligato dalla pesante censura pontificia), si intravede la lettura sarcastica di una fiaba amara più che zuccherosa.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro Valle di Roma. Il contralto Geltrude Righetti Giorgi (già la prima Rosina del Barbiere di Siviglia), interpretò il ruolo di Cenerentola.
Il debutto, pur non provocando uno scandalo paragonabile a quello del Barbiere di Siviglia, fu un insuccesso.
Solo dopo alcune recite, l’opera incontrò il favore del pubblico, diventando molto popolare, sia in Italia che all’estero.
Don Ramiro, principe di Salerno – tenore
Dandini, suo cameriere – baritono
Don Magnifico, barone di Montefiascone, padre di Clorinda e Tisbe – basso buffo
Clorinda, figlia di Don Magnifico – soprano
Tisbe, figlia di Don Magnifico – soprano
Angelina, sotto il nome di Cenerentola, figliastra di Don Magnifico – mezzosoprano
Alidoro, filosofo, maestro di Don Ramiro – basso
Dame che non parlano – comparse
Coro di cortigiani del Principe
LA CENERENTOLA di Gioacchino Rossini
ATTO I In un salone del decadente castello di don Magnifico
Le due figlie di don Magnifico, Clorinda e Tisbe, si pavoneggiano alla specchio. La figliastra di don Magnifico, Angelica (Cenerentola), da par suo canta lamentando la sua situazione. Le sorellastre la zittiscono proprio mentre entra in scena Alidoro (precettore del principe don Ramiro), sotto le false spoglie di mendicante. Il suo scopo è spiare le tre fanciulle e riferire al principe i loro comportamenti, Il principe è infatti in cerca di una moglie alla sua altezza.
Il falso mendicante viene maltrattato da Clorinda e Tisbe; solo Angelica lo aiuta, dandogli di nascosto un po’ di caffè. Mentre Alidoro se ne va, alcuni cavalieri segnalano l’arrivo a castello del principe. Le fanciulle vanno prontamente a svegliare don Magnifico; egli raccomanda alle fanciulle di fare una buona impressione sul principe.
A seguire entra il principe don Ramiro, vestito da paggio; egli ha infatti scambiato le vesti con il servo Dandini, per spiare di nascosto le fanciulle.
Tra il principe in incognito e la giovane Cenerentola scocca subito l’amore.
Entra in scena Dandini, insieme ala famiglia reale, in pompa magna. Nessuno dei presenti si accorge dello scambio di persona attuato dai due. Dandini mantiene la messa in scana, lusingando le sorelle con fare civettuolo. Cenerentola chiede al padre il permesso di andare alla festa organizzata dal principe a cui tutti si stanno recando, ma egli le nega con sdegno il permesso.
Alidoro comprende l’animo gentile della giovane Cenerentola e decide di aiutarla.
Nel palazzo reale, donRamiro e Dandini (ancora con le vesti scambiate), parlano con le figlie di don Magnifico e decidono di metterle alla prova: Dandini (vestito da principe) informa che una ragazza sarà sua sposa, mentre la sorella andrà a don Ramiro. Nessuna delle due giovani accetta il corteggiamento del finto servo.
Una strana ragazza, vestita elegamentemente e con il volto celato, giunge a castello: si tratta di Cenerentola, vestita per l’occasione dal fido Alidoro.
Don Magnifico e le figlie, per un attimo, colgono una somiglianza tra la giovane misteriosa e Cenerentola; i loro dubbi vengono però subito smentiti.
Dandini intanto richiama gli invitati a tavola.
LA CENERENTOLA di Gioacchino Rossini
ATTO II
Don Magnifico riconosce senza ombra di dubbio Cenerentola nella giovane donna con il volto celato, ma è sicuro che il principe sceglierà o Clorinda o Tisbe. L’anziano barone confida anche alle due ragazze che ha potuto farle vivere nella ricchezza, appropriandosi e sperperando il patrimonio di Angelina.
Cenerentol dal canto suo, rifiuta infastidita le proposte di Dandini, dicendogli di essere innamorata del suo “paggio”; queste parole riempiono di gioa don Ramiro, il quale riceve un braccialetto da Cenerentola, dicendogli che se veramente vuole amarla, dovrà cercarla e restituirglielo. La giovane ragazza fugge, mentre Ramiro è più che mai deciso a ritrovarla.
Dandini rivela a don Magnifico di essere in realtà il servo del principe; don Magnifico, adirato e indignato, se ne va. Nel frattempo Cenerentola, tornata a casa, ripensa alla magia di quella sera alla festa. I suoi pensieri vengono interrotti dal ritorno a casa di don Magnifico e le sorellastre, irati per la rivelazione.
Inatnto un violento temporale (e il provvidenziale aiuto di Alidoro), fanno in modo che la carrozza del principe si rompa proprio davanti il palazzo di don Magnifico.
Don Magnifico non demorde, è ancora intenzionato a far sposare al principe una delle sue figlie; chiede quindi a Cenerentola di porgere una sedia al regale ospite. Cenerentola porge una sedia a Dandini, ma il barone le svela lo scambio di abiti, rivelando la vera identità di don Ramiro. I due giovani si riconoscono immediatamente, mentre i parenti sfogano la loro ira contro Cenerentola.
Dandini e don Ramiro la difendono, reclamando vendetta verso la famiglia di lei. L’animo nobile e gentile di Cenerentola la spinge a chiedere la grazia al principe per la sua famiglia, nonostante le tante angherie subite, rendendo il perdono la sua unica vendetta.
Mentre i due promessi sposi si riuniscono, arriva anche Alidoro, tutto contento per la sorte capitata alla giovane Angelina.
Divenuta ormai principessa, Cenerentola concede il perdono ai suoi familiari, i quali sottolineano la sua nobiltà d’animo affermando che nessun trono sia veramente degno di lei.
Poesie di Antonio Porta- Poeta e scrittore vicentino –
Antonio Porta- Poeta vicentino
Versi e biografia di Antonio Porta (Vicenza, 1935 – Roma, 1989).Scrittore, poeta ed accademico, oltre che manager delle case editrici Rusconi, Bompiani e Feltrinelli ed autore-conduttore di programmi di Radio Rai, l’autore veneto è stato precursore e protagonista della Poesia sperimentale degli anni ’60.
“Non mi sono mai appagato di una forma, ho sempre cercato di provocarne molte” diceva a proposito della sua ricerca creativa.
Spiega il critico Leonardo Bizzarri: “Porta era uno dei più celebri rappresentanti di quel gruppo di poeti che furono definiti Novissimi (tra gli altri c’erano Edoardo Sanguineti, Elio Pagliarani e Nanni Balestini) e che contribuirono non poco al rinnovamento del linguaggio poetico, rivoluzionandolo completamente e, come avvenne nel caso dei futuristi, lasciando spesso sconcertato il pubblico della poesia, per via di arditezze e sperimentazioni inimmaginabili. Il suo debutto letterario non fu però affatto caratterizzato da tentativi o da esperimenti poetici atti a stravolgere la base del fare poetico tradizionale”.
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BUIO CONTRO BUIO
(Antonio Porta, pseudonimo di Leo Paolazzi)
Buio contro buio
la scrittura come un lume lontano
o invece si apre al presente
e respiro di nuovo
e ho voglia di anticanto
poesia dell’antimateria.
I PUNTI DI SOSPENSIONE
Vedere solo si vede quello che si vuole
una foto sbiadisce poco a poco
e un volto, poi la figura intera scompaiono.
Dov’erano tracce di felicità, attimi
ora un grigio sbiadisce e se resiste
qualcosa, un sorriso molto tirato,
stupisce chi lo osserva
e la memoria rifiuta di saltare l’ostacolo.
Ma per capire fino in fondo che cosa
significa una cancellazione occorre
sentirsi cancellati, quando un’ombra
non è più un’ombra, un fiato, un vapore,
nel trionfo dei punti di sospensione…
QUELLO CHE È RIMASTO
Quello che è rimasto,
quello che resiste,
là sotto, tu lo vedi,
airone, sotto le montagne di macerie,
dentro i crateri delle bombe,
sotto le colline d’immondizia,
lí dove resiste, continua,
rinasce la semplice vita,
ultima, dimenticata, dileggiata
rimossa, ridotta a poltiglia
nella mente degli uomini,
la semplice vita,
il nascere e morire
rinascere e volare via,
aprirsi, amare,
quello che è vivo, amore,
sotto la semina dell’odio.
[Da I rapporti (1958-1964)]
Aprire
1.
Dietro la porta nulla, dietro la tenda,
l’impronta impressa sulla parete, sotto,
l’auto, la finestra, si ferma, dietro la tenda,
un vento che la scuote, sul soffitto nero
una macchia più scura, impronta della mano,
alzandosi si è appoggiato, nulla, premendo,
un fazzoletto di seta, il lampadario oscilla,
un nodo, la luce, macchia d’inchiostro,
sul pavimento, sopra la tenda, la paglietta che raschia,
sul pavimento, sopra la tenda, la paglietta che raschia,
sul pavimento gocce di sudore, alzandosi,
la macchia non scompare, dietro la tenda,
la seta nera del fazzoletto, luccica sul soffitto,
la mano si appoggia, il fuoco della mano,
sulla poltrona un nodo di seta, luccica,
ferita dal chiodo, il sangue sulla parete,
la seta del fazzoletto agita una mano.
***
Rapporti umani
XI
“Della mia vita, in un certo giorno,
non seppi più nulla, soltanto quello
che rivelò il barbiere domandando dei
miei figli e m’accorsi di non averne mai
saputo, guardandomi bene negli occhi sopra
la schiuma e i riflessi del rasoio.
Uscii e impolverai le scarpe tra le
pietre, e proseguii, le stringhe
slacciate, sulla via di casa, il
gocciolìo del sudore: entrando qualcosa
accadde, non ricordo; dietro il portone,
immobile tra i cristalli, l’ostilità di
mia moglie e mi chiesi chi era.
Per togliere la polvere, chinato, si recidevano
le stringhe, la fronte mi sanguinava, tra i
cristalli spezzati, le stringhe tra i capelli,
e premevo, frugando tra le schegge, scrivendo
nella polvere, la lingua mi si tagliava,
lambendo, il sangue colava dagli occhi, sulle tempie,
i figli non sanno nulla…”
***
[Da Week-end]
Utopia del nomade, Movimenti (2)
ricchezza prima sono mani e intelligenza
la seconda ricchezza avvicina l’altro da sé
può ritornare in luoghi uguali transumante
mutare itinerario ripetere il giro della terra
torna verso la fine in un luogo stabilito al principio
***
Utopia del nomade, Movimenti (6)
la città si chiama Immagine non ha limiti
né centri può specchiarsi in sé stessa
luogo dove incontrarsi non è dunque
una città ma punto di protezione
porticati o tende luogo vegetale e animale
luogo di acque e coltivazioni uomini
vi s’incontrano o lasciano come vogliono si manifesta
il pensiero linguaggio che va preso alla lettera
sistema di piani e curve per scendere e salire
dietro a donne dietro a figli e animali
non esiste proprietà del suolo
***
i piedi affondano nella terra molle
i piedi si dimenticano dentro la terra molle
smemorato si allontana con le stampelle di legno
le gambe cedono a una svolta del sottobosco
qui il suolo rifiorisce tutto a tappeto
c’è una testa appoggiata al davanzale
una lingua si sporge per sete
stracolmo di inganni
paese di Primavera
ricordate
***
[Da Invasioni]
è l’uragano della primavera
fischi di uccelli e schiocchi di foglie
travolge la dimensione del tempo
è uno specchio che s’infrange dentro un altro specchio
in quel buco l’uragano passa
soffia sempre più forte
occhi incantati lo guardano
ancora un guizzo nel regno dei pesci
e nuotiamo in un silenzio d’acquario.
Ne hai dunque paura? Oh no,
amico mio, pieno di gioia
vuoto di spiegazioni
colmo di ira
io sono
***
Per caso mentre tu dormi
per un involontario movimento delle dita
ti faccio il solletico e tu ridi
ridi senza svegliarti
così soddisfatta del tuo corpo ridi
approvi la vita anche nel sonno
come quel giorno che mi hai detto:
lasciami dormire, devo finire un sogno
***
[Da Il giardiniere contro il becchino]
Airone (frammento da)
quando il mio essere si fa opaco lo distendo
ai tuoi piedi, airone
io disteso come prateria
invasa dalle acque dai semi
opposto ai buchi luminosi dello stellato
come in attesa di essere ancora luce
all’alba quando il conflitto si placa e si racchiude
in un uovo minuscolo
dove già pulsa il cuore di un usignolo
dove batte il minuscolo mio cuore neonato
come milioni di altri muscoli nascosti
potenti macchine da guerra che avanzano
che scuotono la cintura della terra
e misurano ogni altro respiro.
***
[da Yellow]
Buio contro buio
la scrittura come un lume lontano
o invece si apre al presente
e respiro di nuovo
e ho voglia di anticanto
poesia dell’antimateria.
Antonio Porta- Poeta vicentino
Le poesie di Antonio Porta-Scritto Roberto Nespola-Settembre 5, 2018
: le vie del canto sono (in)finite
Il neutro non seduce, non attira: in ciò sta la vertigine della sua seduzione a cui non si sfugge. E scrivere significa mettere in gioco questa seduzione senza seduzione, esporvi il linguaggio e liberarlo con un atto di violenza che lo abbandona di nuovo ad essa fino alla parola frammentaria: sofferenza della vuota frammentazione.
Maurice Blanchot, La conversazione infinita
Un canto dell’anti-lirico, quello del Porta de “I rapporti” – un contrappunto che fluisce silente da una trama polifonica sottesa, dalla giustapposizione di segmenti iconici ed icastici slegati solo sintatticamente, come isolati in uno sguardo al microscopio. Una vivisezione di momenti come i fotogrammi di cui parla Bergman: “Nessuna altra arte è come il cinema. Va direttamente ai nostri sentimenti, allo spazio crepuscolare nel profondo della nostra anima, sfiorando soltanto la nostra coscienza diurna. Un nulla del nostro nervo ottico, uno shock, ventiquattro quadratini illuminati al secondo e tra di essi il buio”. E proprio di cinesi si tratta, e di buio, anche se scleroticamente frammentata: un (som)movimento drammatico, drammatico in quanto profondamente dialettico, che scandisce l’ansimare dell’esserci, dello stare-al-mondo. E tale canto si muove, in controluce, profilato ed intrecciato da questi spazi di buio; un canto fatto di corpo e sangue. Un canto affatto etereo o anodino.
Anche il gioco furiosamente modulare del Porta successivo, poi, quello delle raccolte più sperimentali (Cara, Metropolis, Week-end), a differenza di ciò che accade invece nei testi omologhi di Balestrini, non esautora affatto l’espressività del testo, non taglia il cordone ombelicale tra significazione ed espressività: l’oggettivo a tutti i costi e il discontinuo feroce sono solo mezzi per aprire delle crepe nel linguaggio abusato dai media e dall’uso quotidiano, per aprire delle brecce da cui far fuoriuscire il secretum oscuro e contraddittorio dell’espressione. Per non dire ambiguo.
Successivamente, in “Passi passaggi” le immagini cominciano e dilatarsi e a disciogliersi, a disorientarsi nel labirinto dell’atto vocale. Che sia in forma di lettera, voce differita, o del consueto diario, voce interiore, o ancora di teatro smesso di scena, la vocalità in cerca di concrezione è il trait d’union di questi testi. Il canto diventa voce: documento dell’indocumentabile.
È come se, per Porta, nel profondo nodo del reale, esperire ed esperienza fossero due vuoti, uno specchio contro specchio; come se l’esperienza fosse un fare il vuoto nella propria esistenza (un vuoto che ci appare falsamente come pienezza) e questo vuoto diventasse poi la cassa di risonanza di tutte le sensazioni dell’esistere, il luogo dove farle risuonare.
Snudare il linguaggio, metterne alla berlina i nervi scoperti, per riconquistare il canto, taglio dopo taglio, goccia di sangue dopo goccia di sangue. Un canto che, però, non potrà mai essere pieno, estasi, purezza, un oltre: un canto vuoto, anzi, sempre nuovamente dilaniato. È questo ciò che l’immagine dell’Airone, la sua ultima immagine, attesta, svettando in un’unione di cielo e terra.
Dall’ottobre 1936 ha vissuto a Milano, dove ha compiuto studi regolari. Giocatore di tennis, ha vinto la Coppa Lambertenghi nel 1950. Nel novembre 1960 si è laureato in lettere moderne all’Università Cattolica, con una tesi intitolata La poesia di D’Annunzio verso il 900. Rapporti con alcuni poeti, relatore Mario Apollonio (110/110).
Dal 1956 al 1967 ha lavorato per la casa editrice Rusconi e Paolazzi s.p.a., Milano, nel settore periodici (Gioia, Gente, Rakam) e nel settore libri (per le edizioni de Il Verri) con compiti di coordinamento anche per quel che riguarda la produzione industriale. Sempre per lo stesso gruppo editoriale si è occupato in prima persona della gestione del quotidiano sportivo romano Corriere dello Sport – Stadio per circa tre anni. Nel 1968 è stato assunto dalla casa editrice Bompiani, Milano, in qualità di direttore amministrativo e assistente di Valentino Bompiani. Nel 1972 è nominato direttore generale delle case editrici Bompiani, Sonzogno, Etas libri, per assumere poi la direzione editoriale della sola Bompiani. Nel 1977 è passato alla casa editrice Feltrinelli in qualità di dirigente, a fianco del consigliere delegato e direttore generale.
Ha lasciato la carica di dirigente nel 1981 per dedicarsi soprattutto al lavoro di scrittore, pur continuando a svolgere lavoro di tipo culturale presso la Cooperativa Intrapresa e la Cooperativa Alfabeta, nel cui ambito ha partecipato all’ideazione e organizzazione dei convegni: “Il senso della letteratura”, Palermo, novembre 1984, “Stabat Nuda Aestas. D’Annunzio e la poesia oggi”, Viareggio, ottobre 1985, “Ricercatori & Co.”, Viareggio, febbraio 1987 e le manifestazioni di “Milanopoesia” 1984, 1985, 1986 e 1988.
Antonio Porta è stato tra i fondatori e collaboratori delle riviste Tabula, rivista trimestrale di letteratura, primo numero 1979, ultima data di uscita 1981, Cavallo di Troia, trimestrale della Cooperativa scrittori e Lettori, primo numero inverno 1981. Era il direttore responsabile e attivo redattore della rivista Alfabeta, mensile di cultura edito a Milano in cooperativa, fondato nel 1979 e La Gola, rivista del cibo e delle tecniche di vita materiale, fondato nel 1982, co-direttore insieme ad Alberto Capatti.
È stato critico letterario de Il Giorno dal 1972 al 1978 e dal 1979 in poi al Corriere della Sera; ha collaborato con Tuttolibri, Panorama, e L’Europeo, “L’Unità” e un breve periodo al Il Sole 24 Ore; dal 1988 con scritti civili e di opinione ha collaborato regolarmente con Sette (supplemento del sabato del Corriere della Sera). Con scritti teorici sulla pubblicità ha collaborato a Target, Comunicare e Strategia, poi raccolti in volume e pubblicati da Lupetti Editore nel 2003.
Ha lavorato per la RAI nel gennaio-marzo 1987 e nell’ottobre-dicembre dello stesso anno come autore e conduttore del settimanale “Settantaminuti” in onda il sabato mattina su Radiodue. Nel 1988 ha curato la presentazione del settimanale Prima di cena, tra speranza e nostalgia, in onda su Radiodue.
È stato membro del consiglio di amministrazione della Fonit Cetra S.p.A. dal 23 luglio 1985. È stato poi confermato consigliere per la Nuova Fonit Cetra S.p.A. il 27 luglio 1987.
L’8 dicembre 1989 il Comune di Milano gli ha conferito l’Ambrogino d’oro alla memoria con la seguente motivazione:
«Il suo vero nome è quello di Leo Paolazzi, ma con quello d’arte di Antonio Porta aveva raggiunto statura internazionale di poeta. La sua origine lombarda si è presto rivelata nella forte tensione espressionistica dello stile e nell’apertura a interessi che ne hanno fatto un fautore tenace del coinvolgimento politico e civile. Appartato e schivo, ha instancabilmente operato per dare lustro alla cultura della sua città e immetterla sempre di più in un flusso internazionale di cultura.»
Dal 1963 al 1967 prende parte attiva alla redazione della rivista di punta della nuova avanguardia Malebolge a Reggio Emilia. In quegli stessi anni Porta si dedica alla poesia visiva, partecipando ad alcune mostre a Padova, Milano, Roma, Londra. La sua opera più strettamente legata a questa esperienza è Zero, pubblicata in edizione numerata nel 1963. È stato fondatore e collaboratore della rivista Quindici, giornale di cultura del Gruppo ’63. Primo numero ottobre 1966, pubblicato fino a tutto il 1969.
Nel 1968 è andato in scena a Roma nel Teatro del Porcospino Non sono poi tanto bestie. Ha tradotto La Marge (Il Margine) di André Pieyre de Mandiargues, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1968; Journal Particulier (Settore Privato) di Paul Léautaud (la prima parte), con lo pseudonimo Emilio Liviano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1968; in collaborazione con Marcelo Ravoni ha tradotto i Poeti Ispanoamericani contemporanei, dalle prime avanguardie ai poeti d’oggi (Universale Economica Feltrinelli, Milano 1970), Premio Argentario; Le Voleur (Il ladro di talento) di Pierre Reverdy, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1972.
Nel 1977 ha raccolto il proprio lavoro poetico edito (La palpebra rovesciata, I Rapporti, Cara, Metropolis (finalista Premio Viareggio), Week-end) e inedito dal 1958 al 1975, nel volume Quanto ho da dirvi (Feltrinelli, Milano). Ha inoltre pubblicato due romanzi, Partita (Feltrinelli, Milano 1967 e poi Garzanti, Milano 1978) e l’apocalitticoIl re del magazzino (Mondadori, Milano 1978, poi San Marco dei Giustiniani, Genova 2003 e Lampi di Stampa, Milano 2008), e un testo teatrale La presa di potere di Ivan lo sciocco (Einaudi, Torino 1974) messo in scena dal Teatro Artigiano di Cantù il 12 febbraio 1974 a Milano, Teatro Uomo, con la regia di Sergio e Marzio Porro. Testo ripreso da altre compagnie in varie parti d’Italia. Ha curato con Giovanni Raboni, l’antologia Pin Pidin, poeti d’oggi per i bambini, (Feltrinelli, Milano, 1978) e Poesia degli anni settanta Antologia di poesia italiana dal 1968 al 1979, con introduzione e note critiche (Feltrinelli, Milano 1979, quattro edizioni). Nel 1980 ha pubblicato Passi passaggi (Mondadori, Milano), poesie 1976-1979. Nel 1981 una serie di racconti Se fosse tutto un tradimento (Guanda, Milano). Nel 1982 ha raccolto le poesie della serie “brevi lettere”, 1976-1981, con il titolo L’aria della fine (Lunarionuovo, Catania, Premio Gandovere – Franciacorte, poi San Marco dei Giustiniani, Genova 2004 con allegato CD audio Bande sonore). Sempre nel 1982 ha pubblicato Emilio, poemetto per fanciulli, (Emme, Milano, poi con nuovo testo inedito scritto a partire dalle illustrazioni di Altan della prima edizione, Nuages, 2002). Lo stesso anno è tornato al teatro con la messa in scena a Milano di Fuochi incrociati (a cura e con Paolo Bessegato e Caterina Mattea). Per la RAI, terza rete, con la regia di Gianni Jannelli ha contribuito alla realizzazione del film per la TV, La poesia che dice no, unico attore Paolo Bessegato. Nel 1984 è uscito Invasioni (Mondadori, Milano), poesie 1980-1983, che ha avuto il premio Viareggio e il premio Città di Latina. Nel 1985 esce Nel fare poesia (Sansoni, Firenze), una antologia personale dal 1958 al 1985, con una sezione di inediti (Essenze), accompagnata da scritti di metodo sul proprio lavoro. Nel gennaio del 1985 debutta al Teatro Ridotto di Venezia “Penultimi sogni di secolo”, un suo testo di drammaturgia poetica curato insieme con Carmelo Pistillo, attore protagonista Luigi Pistillo. Si occupa ancora di teatro (nel 1985 Michele Perriera ha messo in scena a Palermo l’atto unico Pigmei, piccoli giganti d’Africa) e nell’ottobre dello stesso anno è andato in scena a Milano, con la Compagnia Stabile del Teatro Filodrammatici La stangata persiana, da Persa di Plauto, con la regia di Alberto e Gianni Buscaglia. Ha completato la stesura di una nuova opera: La festa del cavallo, poema per teatro, uscita nelle Edizioni Corpo 10, Milano. Nell’autunno 1987 è uscita da Mondadori la traduzione di Edgar Lee Masters Spoon River Anthology e presso Crocetti Editore Melusina, una ballata e diario. Nel marzo 1988, sempre da Mondadori, è uscito Il giardiniere contro il becchino (poesia), che ha ottenuto il Premio Carducci, Premio Acireale, Premio Stefanile, Premio Arcangeli.
Nel 1990 è andato in scena La festa del cavallo al Teatro Verdi di Milano, con la regia di Alberto e Gianni Buscaglia. Nel luglio 1994 nell’ambito degli “Incontri con il Teatro Classico”, curata dall’Associazione teatrale Campania grandi classici, a Salerno è andata in scena l’elaborazione drammaturgica dal poemetto Salomè, poi dal 15 al 27 febbraio 2000 al Teatro dell’Arsenale, Milano. Dal 1990 sono stati pubblicati Partorire in Chiesa, racconto, Libri Scheiwiller, Milano, 1990; Il Progetto Infinito a cura di Giovanni Raboni, Quaderni Pier Paolo Pasolini, Roma, 1991 che raccoglie una scelta di testi critici sulla letteratura; Los(t) angeles, romanzo inedito, Vallecchi Editore, Firenze, 1996; Poesie 1956-1988, antologia a cura di Niva Lorenzini, Oscar Mondadori, 1998; Poemetto con la madre e altri versi, copertina di Emilio Tadini, Book Editore, 2000; Yellow, poesie inedite a cura di Niva Lorenzini e con note di Fabrizio Lombardo, Mondadori, Milano, 2002. La traduzione di Amelia Rosselli, Sonno-Sleep (1953-1966) con in appendice la corrispondenza tra i due poeti, San Marco dei Giustiniani, Genova, 2003. Tutti gli scritti sulla pubblicità sono stati raccolti nel volume Lo specchio della seduzione, Lupetti, Milano, 2003. Nel marzo 2009 le raccolte di poesia edite in vita sono state pubblicate in un unico volume col titolo Tutte le poesie, Garzanti Libri, Milano. A settembre 2010 Manni Editori, Lecce ha raccolto tutti i racconti nel volume La scomparsa del corpo.
Poesie di Antonio Porta sono presenti in tutte le principali antologie della poesia italiana del ‘900, a partire da quella di Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento, Einaudi Editore, 1969, per arrivare a quella di Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del novecento, edita da Mondadori nel 1978. Nell’archivio sono conservate numerose opere terminate da Antonio Porta e ancora oggi inedite in volume: poesie, teatro, racconti, traduzione di poesie di Trakl e molti altri materiali che sono costantemente rese disponibili agli studiosi.
Opere
Calendario, Schwarz, Milano, 1956, firmata come Leo Paolazzi
La palpebra rovesciata, Azimuth, Milano, 1960
I novissimi, Edizioni de il verri, Milano, 1961
Zero, edizione numerata, in proprio, Milano, 1963
Aprire, poesie, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano, 1964
I rapporti, poesie, Feltrinelli Editore, Milano, 1966
Partorire in chiesa, racconto, Libri Scheiwiller, Milano, 1990
La mia versione del canto V dell’inferno dantesco, a cura di Daniele Oppi, Raccolto Ed., cascina del Guado, 1991. Con una litoserigrafia di Gianfranco Baruchello – 230 copie numerate e firmate
Il Progetto Infinito, a cura di Giovanni Raboni, Quaderni Pier Paolo Pasolini, Roma, 1991 (distribuito da Garzanti)
Los(t) angeles, romanzo inedito, Vallecchi Editore, Firenze, 1996
Poesie 1956-1988 a cura di Niva Lorenzini, Oscar Mondadori, Milano, 1998
Emilio, poemetto per tutti, nuovo testo scritto a partire dalle illustrazioni di Altan, Nuages Edizioni, Milano, 2002
Yellow, poesie inedite, a cura di Niva Lorenzini, Mondadori, Milano, 2002
Lo specchio della seduzione. L’arte della pubblicità, raccolta degli scritti sulla pubblicità e tre sceneggiature pubblicitarie, organizzato da Rosemary Liedl Porta, Lupetti, Milano, 2003
Il re del magazzino. Romanzo, introduzione di Stefano Verdino, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2003
L’aria della fine. Brevi lettere 1976, 1978, 1980, 1981, prefazione di Niva Lorenzini, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2004
Tutte le poesie (1956-1989), a cura di Niva Lorenzini, Garzanti, Milano, 2009
La scomparsa del corpo, tutti i racconti, Manni Editori, Lecce, 2010
Piercing the Page: Selected Poems 1958-1989, Edited with an introduction by Gian Maria Annovi and an essay by Umberto Eco, Otis – Seismicity, Los Angeles, 2012
Poesie in forma di cosa, poesie visive di Leo Paolazzi/Antonio Porta, a cura di Rosemary Liedl P. con un testo di Mario Bertoni, Edizioni del Foglio Clandestino, Sesto San Giovanni, 2012
Abbiamo da tirar fuori la vita. Scritti per “Sette” e per il “Corriere della Sera” (1988-1989), a cura di Daniele Bernardi, Edizioni Cenobio, Lugano 2013
Perché tu mi dici: poeta? (per un teatro di poesia), a cura di Carmelo Pistillo, Antonio Porta e Fabio Jermini, La Vita Felice, Milano, 2015
Una poesia, con un frammento di cartografia di Veronica Azzinari, Officina del giorno dopo, Monte Sant’Angelo, 2020.
Note
^Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. URL consultato il 9 agosto 2019 (archiviato dall’url originale il 18 febbraio 2015).
Laura Conti- Madre dell’ecologia italiana è stata partigiana, medico, politica Deputata PCI, scrittrice-
Nata a Udine il 31 marzo 1921, Laura Conti è stata partigiana, medico, politica, scrittrice e ambientalista che, attraverso il suo lavoro rivolto su più fronti, ha inciso un solco nel Novecento italiano, contribuendo allo sviluppo dell’etica ambientale in Italia e alla nascita delle narrazioni ecologiche. A causa dell’impegno antifascista della famiglia, è costretta più volte a cambiare dimora, fino a stabilirsi a Milano, e dopo aver terminato le scuole superiori si iscrive alla facoltà di medicina. Nel 1944, però, sente il bisogno di partecipare alla Resistenza entrando nel “Fronte della gioventù” con un incarico di propaganda presso le caserme: un attivismo che le costa l’arresto e la deportazione nel Campo di transito di Bolzano, un’esperienza dalla quale, qualche decennio più tardi, nascerà La condizione sperimentale (1965), opera nella quale ripercorrerà quei momenti; mentre la sua prima opera narrativa, Cecilia e le streghe, uscirà nel 1963. Rientrata a Milano, si laurea in Medicina e si specializza in Ortopedia, ma fin da subito continua nella sua attività politica, prima nel Psi e poi nel Pci, riuscendo, tra il 1960 e il 1970, a diventare consigliera alla Provincia di Milano, poi alla Regione Lombardia, e infine ad essere eletta alla Camera dei Deputati. Durante il suo impegno politico si occupa di tematiche femministe e ambientali, svolgendo un ruolo importante nella gestione della catastrofe ambientale che colpì Seveso nel 1976, trattata anche attraverso la pubblicazione di un saggio, Visto da Seveso (1977), e di un romanzo come Una lepre con la faccia di bambina (1978): la sua idea di politica ambientale la porta a elaborare un metodo di lavoro che l’accomuna ad una ricercatrice, convinta dell’importanza di sostenere le decisioni politiche che possano poggiarsi su solide basi scientifiche. Nella notte del 25 maggio 1993 muore a Milano per un malore improvviso.
(a cura di Andrea Pardi)
Laura Conti
Nata a Udine il 31 marzo 1921, ha vissuto a Trieste dove la famiglia aveva un’azienda commerciale che persero, a seguito del loro impegno antifascista. Si trasferirono prima a Verona e poi a Milano.
Non sono una scienziata, ma una studiosa dei problemi ecologici. Pur trovando affascinante lo studio, penso che sia importante anche agire ed operare. Per questo motivo ho deciso di fare politica: non basta studiare, bisogna anche darsi da fare.
Laura Conti, madre del movimento ecologista italiano, è stata partigiana, medica, ambientalista, scrittrice, politica eco-femminista. Ha fondato Lega per l’Ambiente, poi diventata Legambiente.
Ha scritto ventisei libri e una sterminata quantità di articoli e saggi per riviste e giornali, soprattutto per L’Unità.
Dotata di una grande potenza di scrittura, ha da sempre avuto un’attenzione particolare per i problemi dell’inquinamento ambientale.
Il suo pensiero contiene un dettagliato programma politico, mai attuato da nessuno, al cui centro risiede la tutela dei patrimoni genetici delle specie viventi.
Appassionata di natura e biologia sin da bambina, venne folgorata dalla lettura della biografia di Marie Curie che ne ispirò le scelte di studio.
Frequentava la facoltà di Medicina quando, nel 1944, è entrata a far parte del Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà. Giovane partigiana, col rischioso compito di fare propaganda nelle caserme, venne presto arrestata e detenuta, prima a San Vittore e poi rinchiusa nel Campo di transito di Bolzano, da cui riuscì miracolosamente a tornare. È l’unico caso che si ricordi in cui un’internata sia riuscita a far avere al giornale l’Avanti (che allora usciva clandestino) un articolo di denuncia sui campi di sterminio, ripreso poi anche da Radio Londra.
Quella forte esperienza fece spostare il suo interesse sull’impatto dell’ambiente sul corpo umano, soprattutto quello delle donne che le fece continuare la lotta politica e avvicinarsi al femminismo.
Dopo essersi laureata in medicina ha svolto servizio all’Inps, attività che le ha permesso di osservare gli strani effetti di certi ambienti industriali sulla salute di operai e operaie.
Ha militato nelle file del Partito Socialista e, dal 1951, in quello Comunista. Ha ricoperto l’incarico di consigliera della provincia di Milano per dieci anni e per altri dieci della regione Lombardia.
Segretaria della Casa della Cultura, ha fondato e diretto l’Associazione Gramsci. Nel 1980, ha partecipato alla fondazione della Lega per l’ambiente la famosa associazione ecologista che promuove attività concrete per la salvaguardia della natura e i suoi abitanti, di cui è stata presidente del Comitato scientifico.
Il suo primo libro è stato Cecilia e le streghe, con cui nel 1963 ha vinto il premio Pozzale. Romanzo che prende le mosse da un misterioso incontro fra due donne, nelle strade deserte di Milano in una sera di mezz’agosto e in cui affronta con toni poetici i temi della malattia, della morte, del dolore, della fede e dell’eutanasia, affrontando pienamente le pieghe del rapporto fra medico e paziente.
Sempre sull’esperienza nel lager, nel 1965, ha scritto il romanzo La condizione sperimentale.
È salita alla ribalta nazionale con la catastrofe di Seveso del 1976, provocata dalla fuoriuscita di una nube tossica contenente diossina da un’industria chimica. Per il suo ruolo di consigliera regionale, si era recata immediatamente sul luogo del disastro per seguire da vicino gli abitanti e, in particolare, le donne incinte a cui, per il rischio di malformazione dei neonati, venne eccezionalmente concessa la possibilità di abortire. Diritto raggiunto da tutte le donne soltanto due anni dopo.
Con le pubblicazioni Visto da Seveso e Una lepre con la faccia di bambina la sua popolarità ha varcato i confini nazionali e i suoi studi hanno ispirato, nel 1982, la direttiva sui rischi di incidenti connessi con determinate attività industriali della Comunità Europea, chiamata Direttiva Seveso.
Tra i libri che ha scritto ci sono anche Che cos’è l’ecologia,Questo pianeta e La fotosintesi e la sua storia capolavoro scientifico scritto per le scuole superiori, il cui tema centrale è l’aria e la storia della formazione dell’ossigeno.
Dopo aver ricevuto il Premio Minerva per il suo percorso scientifico e culturale, nel 1987 è stata eletta alla Camera dei deputati col partito dei Verdi.
È morta il 25 maggio 1993 a Milano.
Il suo archivio è stato lasciato alla Fondazione Micheletti di Brescia.
In sua memoria sono state compiute varie iniziative pubbliche, il Comune di Milano l’ha riconosciuta come Cittadina benemerita e le ha intitolato un giardino pubblico, Bolzano, invece, le ha dedicato una strada e sono stati scritti vari libri sulla sua vita e il suo importante contributo.
Laura Conti ha mostrato quanto possa incidere l’ambiente di lavoro sulla salute e quanto sia importante occuparsi di ecologia applicata nelle fabbriche e nelle periferie urbane.
La sua attività di divulgatrice è stata una vera missione politica.
Una donna che abbiamo il dovere di non dimenticare.
Fonte- una donna al giorno
Valeria Fieramonte-La via di Laura Conti
Ecologia, politica e cultura a servizio della democrazia
Valeria Fieramonte-La via di Laura Conti
Una biografia di Laura Conti che racconta la sua storia di impegno politico, che la vide giovane partigiana durante la Resistenza, prigioniera nel campo di concentramento di Bolzano e poi attiva nelle battaglie per i diritti umani, che percorre la passione e la dedizione alla scienza, alla medicina, alla biologia, all’ecologia, che dà conto del suo lavoro intenso di scrittrice e divulgatrice con 26 libri pubblicati e una sterminata quantità di articoli e saggi per riviste e giornali.
Laura Conti ha vissuto intensamente il proprio tempo, la sua storia individuale si è scontrata e intrecciata con gli eventi della Storia di tutti: la guerra, la resistenza, la ricostruzione, le speranze e l’impegno per edificare una società migliore per tutte e tutti, ma ha anche visto molto più lontano, individuando, grazie alla sua peculiare genialità sui temi ambientali, a un pensiero lucido, originale, limpido, alcuni temi che sarebbero diventati di grande importanza molti anni dopo, e che sono rilevantissimi per noi oggi. Come il grande tema dell’ambiente (celebri i suoi reportage e le sue battaglie a seguito del disastro ambientale di Seveso del 1976, quattro leggi della Comunità Europea in questo ambito sono ispirate da lei), della responsabilità del genere umano nei confronti del pianeta Terra, dello sviluppo sostenibile, o come il tema dell’educazione delle giovani generazioni, della
necessità della formazione di un’umanità più consapevole e libera.
Valeria Fieramonte scrive questo racconto in modo partecipe e appassionato tanto da riuscire a restituire quel senso della inestricabiltà della vita concreta di ciascuno: le scelte di vita, la politica, gli studi, i romanzi, i saggi, le esperienze più difficili, i successi e i riconoscimenti, le relazioni si susseguono in questo testo in un unico e coinvolgente flusso, come se quella vicenda umana del passato diventasse parte del nostro vivere di oggi. Alla fine questo notevole personaggio del Novecento ci sembra che potrebbe esserci vicina come una amica cara che conosciamo bene e di cui andiamo orgogliose.
Laura Conti riposa ora nel Famedio tra i milanesi e le milanesi illustri. La sua storia personale e il suo pensiero illuminato costituiscono un patrimonio prezioso che questo libro vuole contribuire a restituire a tutti e tutte.
Valeria Fieramonte, giornalista freelance in campo scientifico, laureata in filosofia all’Università Statale di Milano, ha lavorato in numerose testate, tra cui il «Corriere della Sera» («Corriere Salute»), «Le Scienze» e «Salve». Ha scritto con Giovanna Gabetta Sesso, amore e gerarchia. Pensieri liberi su differenze di genere e potere, 1998 e curato, in Lo snodo dell’origine, il saggio sul pensiero di Lynn Margulis. È membro dell’Ugis (Unione giornalisti scientifici italiani) e dell’Eusja (Associazione dei giornalisti scientifici europei). Nel dicembre 2015 è stata corrispondente per «La nuova ecologia» dal Congresso COP 21 di Parigi. Questo libro su Laura Conti, un tempo sua amica, è frutto di lunghi anni di studio sulla sua vita e sul suo pensiero.
I nostri libri sono distribuiti nelle librerie di tutta Italia da Messaggerie Libri.
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<<Tutti coloro che conobbero Katherine Mansfield negli anni della sua breve vita, ebbero l’impressione di scorgere una creatura più delicata degli altri esseri umani: una ceramica d’Oriente, che le onde dell’oceano avevano trascinato sulle rive dei nostri mari.>>Fonte-Maledetti Poeti
Katherine Mansfield
*Elegiaco profilo della scrittrice e poetessa Katherine Mansfield (Wellington, 1888 – Fontainebleau, 1923) tracciato da Pietro Citati nel romanzo biografico edito da Rizzoli nel 1980, ‘Vita breve di Katherine Mansfield’.
Figura chiave del movimento modernista, l’autrice neozelandese interpretò in modo autentico l’esortazione avanguardista di Ezra Pound a rinnovare la narrativa e la poesia, modulando la sua voce originale soprattutto nei racconti brevi.
Spiega la traduttrice Franca Cavagnoli, che ha curato per Mondadori nel 2006 la sua opera omnia in prosa: “Katherine Mansfield scrive con mani lievi: accenna, allude, sceglie con grazia gli aggettivi. È volutamente vaga -uno degli aggettivi prediletti della scrittrice neozelandese- perché preferisce che il significato rimanga sospeso, per così dire, aleggi impalpabile sulle cose”.
Scomparsa a soli 34 anni a causa della tubercolosi, la sfortunata narratrice trascorse gran parte della sua breve esistenza in Inghilterra, dove si trasferì all’età di 14 anni. Qui entrò in contatto con gli artisti che orbitavano nel Bloomsbury Group, divenendo amica tra gli altri di D. H. Lawrence e Virginia Woolf.
A Londra ebbe anche relazioni affettive anticonformiste per la società puritana dell’epoca, a causa delle quali fu diseredata dalla madre: si legò sentimentalmente ad almeno due donne e, nel 1909, sposò il maestro di canto George Bowden, da cui divorziò prestissimo.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita in varie nazioni, alla vana ricerca di una cura per la sua malattia, componendo un bellissimo epistolario per comunicare a distanza con i suoi conoscenti.
Tra le lettere, spicca l’accorata missiva indirizzata nel luglio 1919 alla pittrice Dorothy Brett, in cui confidava: “O Vita, misteriosa vita, che cosa sei tu? Forster dice: un gioco. Io sento ad un tratto come se da tutti quei libri venisse un clamore di voci. Sì, i libri parlano, specialmente i poeti. Come sono belli i salici, come sono belli, come piove il sole su di essi, le minuscole foglie si muovono come pesciolini. Oh sole, risplendi per sempre! Mi sento un po’ ebbra, mi sento come un insetto caduto nel cuore d’una magnolia.”
SOLITUDINE
(Kathleen Mansfield Beauchamp, nota come Katherine Mansfield)
Ora è la Solitudine, e non il Sonno,
che viene la notte a sedersi vicino al mio letto.
Distesa come una bimba stanca attendo il suo passo,
e la guardo spegnere la luce con un soffio lieve.
Salendo immobile, non si volge né a destra né a sinistra,
ma stanca, stanca abbassa il capo.
Anche lei è vecchia, anche lei ha combattuto tanto
da meritare la corona d’alloro.
Nella triste oscurità lenta rifluisce la marea
e s’infrange sull’arido lido, inappagata.
Soffia un vento insolito: poi il silenzio.
Sono pronta ad abbracciare la Solitudine,
a prenderle la mano, ad aggrapparmi a lei,
aspettando che l’arida terra si imbeva
della terribile monotonia della pioggia.
VOCI NELL’ARIA
Infine arriva, il raro istante,
quando, senza alcun motivo,
le flebili voci dell’aria
suonano sopra il mare e il vento.
Il mare e il vento obbediscono
e sospirano, si lamentano in doppia nota
di contrabbasso, si accontentano di ideare
un accordo per quelle piccole gole –
Le piccole gole cantano e si ergono
verso la luce con disarmante disinvoltura
e una specie di magico, dolce stupore
le intontisce mentre si ascoltano –
Eccole, le piccole voci: l’ape, la mosca,
la foglia che fa tip tap, il baccello che si
spacca, la brezza che piega gli aghi d’erba,
lo squillo ripido e acuto dell’insetto.
Le poesie della grande scrittrice anglo-neozelandese Katherine Mansfield (1888-1923) sono ora per la prima volta riunite ed ordinate insieme alle prose liriche a cura e nella traduzione di Maura Del Serra. Questi testi poetici formano l’intenso e multiforme “discanto”, l’officina autobiografica della sua opera, affidata alla rara e precoce perfezione dei celebri racconti brevi, invidiati dall’amica-rivale Virginia Woolf e capisaldi del modernismo europeo. Di Katherine Mansfield si possono leggere anche Tutti i racconti editi da Newton Compton (Roma, 2012, 2a edizione), sempre per la cura e la traduzione di Maura Del Serra.
Le quattro liriche che riproduciamo qui sono tratte dall’ottimo volume Katherine Mansfiled,
Poesie e prose liriche, a cura di Maura Del Serra, Pistoia, Petite Plaisance, 2013.
SLEEPING TOGETHER
Sleeping together … how tired you were! …
How warm our room … how the firelight spread
On walls and ceiling and great white bed!
We spoke in whispers as children do,
And now it was I – end then it was you
Slept a moment, to wake – “My dear,
l’m not at all sleepy”; one of us said …
Was it a thousand years ago?
I woke in your arms -you were sound asleep –
And heard the pattering sound of sheep.
Softly I slipped to the floor and crept
To the curtained window, then, while you slept,
I watched the sheep pass by in the snow.
O flock of thoughts with their shepherd Fear
Shivering, desolate, out in the cold.
That entered into my heart to fold!
A thousand years … was it yesterday
When we, two children of far away,
Clinging close in the darkness, lay
Sleeping together? … How tired you were! …
DORMENDO INSIEME
Dormendo insieme … com’eri stanco!
Com’era calda la stanza … e come si spargeva
La fiamma del camino su pareti e soffitto
E sul gran letto bianco!
Come i bimbi, a bisbigli parlavamo,
E a vicenda, svegliandoci da un attimo di sonno –
Uno di noi diceva: “Caro, proprio non dormo”…
Era mille anni fa? Io mi svegliai
Fra le tue braccia – dormivi profondo –
E udii lo zampettare di un gregge. Scivolai
Giù dal letto e raggiunsi la finestra e le tende,
E, mentre tu dormivi, guardai il gregge passare
[nella neve svanendo.
O gregge di pensieri col pastore Spavento,
Che in desolato brivido dal gelo di fuori
Mi entrasti in cuore per avvilupparlo!
Mille anni … ma non era ieri quando noi, due
Bimbi stranieri, stretti nel buio giacevamo
Dormendo insieme? … Com’eri stanco! …
********************
SEA SONG
I will think no more of the sea!
Of the big green waves
And the hollowed shore,
Of the brown rock caves
No more, no more
Of the swell and the weed
And the bubbling foam.
Memory dwells in my far away home,
She has nothing to do with me.
She is old and bent
With a pack
On her back.
Her tears all spent,
Her voice, just a crack.
With an old thorn stick
She hobbles along,
And a crazy song
Now slow, now quick
Wheezes in her throat.
And every day
While there’s light on the shore
She searches for something,
Her withered claw
Tumbles the seaweed;
She pokes in each shell
Groping and mumbling
Until the night
Deepens and darkens,
And covers her quite,
And bids her be silent,
And bids her be still.
The ghostly feet
Of the whispery feet
Tiptoe beside her.
They follow, follow
To the rocky caves
In the white beach hollow…
She hugs her hands,
She sobs, she shrills,
And the echoes shriek
In the rocky hills.
She moans; it is lost!
Let it be! Let it be!
I am old. I’m too cold
I am frightened … the sea
Is too loud … it is lost,
It is gone … Memory
Wails in my far away home.
CANTO DEL MARE
Non voglio più pensare al mare!
Alle grandi onde verdi
E alla concava spiaggia,
Alle grotte di roccia bianca –
Non più, non più pensare
Al flutto e all’alga,
Al ribollir di schiuma.
Vive nella mia casa lontana la Memoria,
Non ha niente a che fare con me.
È vecchia e curva,
Ha un fagotto
Sulle spalle.
Sparse tutte le lacrime,
La voce, un roco schiocco.
Con un vecchio bastone
Spinoso avanza zoppicando,
E una pazza canzone
Ora lenta, or veloce
Le ansima in gola.
Ed ogni giorno
Finché la spiaggia è in luce
Cerca qualcosa,
Il suo artiglio appassito
Fruga le alghe marine;
Fruga in ogni conchiglia,
Brancolando borbotta
Finché la notte
Cala oscura all’intorno
E tutta la ricopre
E le impone silenzio
Ed immobilità.
I piedi fantasmatici
Delle onde mormoranti
Le camminano accanto sulle punte.
La seguono, la seguono
Nelle grotte rocciose
Della concava spiaggia
Bianca … Stringe le mani,
Singhiozza, stride via,
E gli echi urlano erranti
Per i colli rocciosi.
Si lamenta: tutto è perso!
Sia come sia! Sia come sia!
Sono vecchia, agghiacciata,
E spaventata … Il mare
Rimbomba troppo … è perso,
Scomparso … La Memoria
Là geme, nella mia casa lontana.
**********************
SANARY
Her little hot room looked over the bay
Through a stiff palisade of glinting palms
And there she would lie in the heat of the day
Her dark head resting upon her arms
So quiet so still she did not seem
To think to feel or even to dream.
The shimmering blinding web of sea
Hung from the sky and the spider sun
With busy frightening cruelty
Crawled over the sky and spun and spun
She could see it still when she shut her eyes
And the little boats caught in the web like flies.
Down below at this idle hour
Nobody walked in the dusty street
A scent of dying mimosa flower
Lay on the air but sweet – too sweet.
SANARY
La sua calda stanzetta guardava sulla baia
Oltre una palizzata erta di palme lucenti,
Là nell’afa del giorno lei si andava a sdraiare,
La testa bruna tutta reclina sulle braccia,
Così immobile e quieta che neppure sembrava
Pensare né sentire, e nemmeno sognare.
La ragnatela accecante del mare
Giù pendula dal cielo brillava, e il ragno-sole
Con spaventosa crudeltà affannata
Strisciava sopra il cielo e filava e filava-
Lei lo vedeva anche ad occhi serrati
Con le barchette-mosche prese dentro la rete.
E giù, nell’indolenza di quest’ora,
Nessuno nella strada polverosa passava,
Un profumo morente di fiore di mimosa
Ma dolce, troppo dolce, fermo in aria alitava.
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ET APRÈS
When her last breath was taken
And the old miser death had shaken
The last, last glim from her eyes
He retired
And to the world’s surprise
Wrote these inspired, passion-fired
Poems of Sacrifice!
The world said:
If she had not been dead
(And buried)
He’d never have written these.
She was hard to please.
They’re better apart
Now the stone
Has rolled away from his heart
Now he’s come into his own
Alone.
ET APRÈS
Quando il respiro estremo ebbe esalato
E la vecchia rapace morte ebbe predato
L’ultima luce dagli occhi di lei,
Lui si appartò
E con sorpresa del mondo
Queste Poesie del Sacrificio scrisse
Ispirate, roventi di passione!
Se lei non fosse morta
(E seppellita), il mondo disse,
Lui non le avrebbe mai scritte.
Lei era ostica, stanno
Meglio divisi –
Ora il masso
Gli è rotolato via dal petto
Ora è padrone di se stesso,
Solo.
Biografia di Katherine Mansfield scritta da Elena Petrassi- Fonte Enciclopedia delle donne
Kathleen Mansfield
Per diventare Katherine Mansfield la piccola Beauchamp impiegò tutta la sua breve e intensa vita, continuando a usare una miriade di nomi, ognuno dei quali legato a uno stato d’animo, a una relazione, a una percezione dell’essere. Così in Katherine convivevano Kass, Katie, K.M., Mansfield, Katherine, Julian Mark, Katherine Schönfeld, Matilda Berry, Katharina, Katiushka, Kissienka, Elizabeth Stanley e infine Tig, la tigre sposata con John Middleton Murry.
Nata in una famiglia dell’alta borghesia di Wellington – genitori, un fratello, tre sorelle, una zia e una nonna – visse un’infanzia agiata e colma di meraviglia che diventerà forse l’unico centro della sua vita e la fonte stessa dell’ispirazione artistica. L’infanzia sarà trasfigurata, mai declinata al passato, ma sempre raccontata in un eterno presente. Le piccole protagoniste Lottie e Kenzia di Preludio ogni giorno traslocano nella nuova casa, il sole della baia di Crescent sorge in eterno e Bertha Young in Felicità, continua a scintillare all’unisono con il suo piccolo, perfetto mondo, simboleggiato da un pero fiorito che, alla fine, sarà anche il simbolo della finzione e delle maschere dietro cui la vita vera si nasconde.
Ma come fu la vita di Katherine? Di certo una vita dolorosa, solitaria, audace e anti-conformista, segnata dall’esilio e dalla malattia e da un desiderio mai esaudito di un focolare domestico, di una vita da donna come tutte le altre; una vita segnata dalla contraddizione, poliedrica e febbricitante. «Ho sempre avuto una furia isterica di vivere, l’isteria è una grande ispiratrice. Detesto le ore grigie, amo i giorni che passano all’orizzonte come nubi di tempesta». Fu una scrittrice perseguitata dalle furie, come scrive una delle sue biografe Claire Tomalin. E fu anche «Un essere segreto fino in fondo a me stessa» come scriveva all’amica di tutta la vita Ida Baker.
Lasciò la Nuova Zelanda una prima volta nel 1903 per andare a Londra a completare gli studi.
Scrisse nel suo diario durante il viaggio «Indipendenza, risolutezza, uno scopo fermo, il dono della discriminazione, chiarezza mentale. Ecco le doti indispensabili». Ma le furie non le permisero altro che il dono della chiarezza e la costrinsero a non potersi fermare in nessun luogo. Completati gli studi al Queen’s College fece ritorno in Nuova Zelanda solo per scoprire che non poteva più vivere nella terra natale.
Proprio in quella fase della sua vita scoprì la sua vocazione di scrittrice. Il ritorno a Londra nel 1908 fu l’inizio della sua vita bohémienne. Una relazione amorosa appassionata la legò al giovane musicista Garnet Trowell, ma venne osteggiata dalla famiglia di lui. Troncata questa storia d’amore, in maniera precipitosa, e anche misteriosa, si unì in matrimonio con il maestro di canto George Bowden, maggiore di lei di undici anni. Il matrimonio durò soltanto un giorno e subito dopo la madre di Katherine, Annie Beauchamp, la condusse in Baviera anche con la speranza di interrompere la relazione amorosa con Ida Baker. I racconti della raccolta In a German Pension, nascono da quel soggiorno ma anche dall’incontro con i libri di Anton Cechov, l’unico scrittore con il quale forse si confrontò per tutta la vita. La pubblicazione del primo libro la fece entrare in contatto con la rivista letteraria «Rhythm» dove incontrò l’uomo più importante, il futuro marito, biografo e curatore letterario, il critico e scrittore John Middleton Murry. La loro relazione attraversò fasi altalenanti, fu costellata di grandi distacchi durante i quali l’amore ardeva più forte e i progetti per il futuro comune si moltiplicavano. Quando lei iniziò a soggiornare in Costa Azzurra a causa dei problemi polmonari, scriveva a John di Villa Pauline a Bandol dove risiedeva: «Se tu verrai, ho trovato per noi, una minuscola villa che mi pare, a suo modo, quasi perfetta. È isolata, in un piccolo giardino a terrazze, è esposta a mezzogiorno e prende il sole da mattina a sera. Ha una veranda di pietra e una piccola tavola rotonda dove possiamo sederci per mangiare e lavorare. Una graziosa piccola cucina con pentole e padelle e un grande bricco per il caffè».
Quello trascorso a Villa Pauline fu il periodo più felice della sua vita, al punto che anni dopo scrive in una lettera a un amico «Quando scrivo mi sento così vicina al mio io-scrittore, al mio “Pauline” io-scrittore…». È proprio in quel primo soggiorno che Katherine scrisse alcune delle sue pagine più belle, tra cui Preludio, il racconto che verrà poi pubblicato dalla Hogarth Press, la casa editrice di Virginia Woolf. È John a sottolineare che Katherine, nel suo continuo scrivere lettere, era una donna innamorata non solo del marito ma di tutti, una donna in profonda connessione con la bellezza e il dolore del mondo, con la disperazione e la speranza che mai veniva meno. Il dolore fu per la Mansfield la strada per giungere a una più chiara visione e una più piena accettazione della vita.
«Bisogna sottomettersi. Non resistere. Accogliere il dolore. Essere come sommersi. Accettarlo pienamente. Farne parte della propria vita… Nella vita, qualunque cosa venga realmente accettata, subisce poi un mutamento.»
Il dolore e l’esilio furono la sua condizione esistenziale, il marito così ne scrisse nel lungo ritratto che le ha dedicato nel suo libro Katherine Mansfield and other literary portraits «Viveva in esilio dal paese natale e questo è un fatto materiale. Ricreò il paese natale e questo è un fatto spirituale. Il paese che lei ha ricreato non è però la Nuova Zelanda, ma un paese universale, la terra dell’innocenza, quella cui tutti gli spiriti aspirano. Cercava una casa: ma quello che non trovò in Nuova Zelanda non riuscì a trovarlo in nessun altro paese al mondo o forse lo ha trovato in tutti. Per lei casa significava la sicurezza dell’amore di “essere in una qualche via per la pace, colma di felicità”».
Negli anni in cui cercava la propria voce di scrittrice, ebbe il privilegio di conoscere e frequentare alcuni tra i più grandi scrittori e pensatori inglesi dell’epoca. Oltre a Elizabeth Von Arnim, sua cugina, fu legata da profondi rapporti di amicizia con D.H. Lawrence, Bertrand Russel, Lady Ottoline Morrel e Virginia Woolf. Nel 1916, all’inizio della loro frequentazione, la Woolf restò scioccata dalla maniere allo stesso tempo dure e ordinarie della Mansfield e la trovò «sgradevole, ma energica e totalmente prIva di scrupoli», come riporta la Tomalin nella biografia di Katherine che invece ne è fatalmente attratta: «L’amo infinitamente… Ho sentito per la prima volta l’estranea, fremente, scintillante qualità del suo spirito – e per la prima volta ho avuto l’impressione di incontrare una di quelle donne di Dostoevski, la cui innocenza è stata ferita» scrive all’amica comune Ottoline. Quando nell’agosto del 1917 Katherine raggiunge Virginia nella residenza di Asheham, le due scrittrici fanno una lunga passeggiata in collina, contemplando i cardi, le farfalle e gli aerei che solcano il cielo… Dopo la visita Katherine scrisse una lunga lettera di ringraziamenti, dove esaltò le qualità della Woolf e sottolineò le ambizioni simili che entrambe nutrivano nei confronti della letteratura e nella loro vita di scrittrici. Nel 1918 durante un soggiorno a Mentone, il ritorno a Villa Pauline è fonte di una tremenda disillusione. Tutto è cambiato, il tempo è tremendo, nessuno la riconosce. La malattia è ormai conclamata e la trascina verso la morte implacabile come “un enorme uccello nero”. Nel maggio dello stesso anno finalmente Katherine e John si sposano e continuano le peregrinazioni da un paese all’altro cercando sia la salute che una maggiore profondità e pienezza della scrittura. Nelle pagine bellissime che le dedica nel suo libro Da una stanza all’altra così scrive Grazia Livi: «La chiave di volta del suo lavoro è l’esperienza. L’esperienza intesa come contatto immediato col reale. Sentita alla stessa maniera dei poeti: non tanto per il contenuto in sé, quanto per la sua indicibile qualità, che è spia folgorante e elusiva della profondità della vita. Anche lei, come Joyce, come la Woolf, aspira ad afferrarla, elaborando un sentimento del momento di essere, o del momento reale. Ma con una differenza. Il momento della Mansfield non ha una tonalità concettuale, né spirituale, ma solo intuitiva, e vuole esprimere solo una sorta di adesione pura, un puro trasferirsi nell’altro e nella situazione, con assoluta sincerità, con assoluta limpidità».
«Senza emozione la scrittura è morta» sentenzia in una recensione nella rivista «Athenaeum» Katherine stessa. Ma cosa significava scrivere per lei? A più riprese annotava nel diario che scrivere significava riportare in vita il fratello morto in guerra, salvare dall’oblio l’infanzia comune, adempiere «a un dovere verso quel tempo felice… quando eravamo vivi tutti e due… adesso desidero scrivere del mio paese fino al completo esaurimento dei miei mezzi… ho bisogno di tenere una specie di diario minuto da pubblicare un giorno. Non romanzi, non racconti a tesi, nulla che non sia semplice e chiaro… Sento il mio lavoro come una passione: è la mia religione, il mio mondo, la mia vita». Il suo scrivere era luminoso, la sua intenzione di cogliere il momento, riuscita. Di certo i suoi racconti risentono dell’influenza di Cechov che lei tradusse lungamente, al punto che una sua traduzione di un racconto inedito venne pubblicata come se fosse un suo racconto originale. Ma la tensione e la concentrazione, la capacità di raccontare con poche immagini un luogo come fosse una persona, uno stato d’animo come un temporale sono solo suoi. La Mansfield aveva un dono originale che anche Virginia Woolf le invidiava: i suoi personaggi sono vivi, i dialoghi brillanti, le descrizioni vivaci. E tutto il suo tessuto narrativo è così personale che anche Pietro Citati nel suo famoso libro Vita breve di Katherine Mansfield, attinge a piene mani dalla sua scrittura per creare il personaggio Mansfield.
I successivi soggiorni in Cornovaglia, a Ospedaletti, a Mentone e poi di nuovo Londra fruttano i nuovi racconti Felicità, La giornata di Reginald Peacock, Istantanee, Je ne parle pas français, Veleno. Nel 1920 esce Felicità, il secondo libro di racconti ma non ne è contenta. A Mentone, Villa Isola Bella, è più rilassata e fiduciosa nei propri mezzi e nella possibilità di una guarigione.
Ancora la Livi sottolinea: «La verità è che la creatività, per affiorare, ha bisogno di un presente privo di tensioni, fatto di maglie lunghe e invarianti».
Nel 1921 è di nuovo in Svizzera con il marito in una realizzazione del suo caldo sogno domestico che Villa Pauline aveva provvisoriamente incarnato. Ma è di nuovo un’illusione, uno stato momentaneo dell’essere. Nel 1922 si recò a Parigi per provare una nuova terapia e lì entrò in contatto con Gurdjeff e fu attratta dalla sua dottrina esoterica. Lo raggiunse a Fontainebleau dove incontrò anche la vedova di Cechov. Lì risiedeva nella stanza piccola e fredda che le era stata destinata e trascorse molte ore nella stalla a respirare l’alito delle mucche che vi erano ricoverate. Non si lamentò, non desiderò null’altro che essere lì a osservare la nuova realtà che la circondava. Tra le ultime parole che scrisse in russo su un taccuino che sempre l’accompagnava leggiamo: carta, cenere, legna. Così come il ciclo della carta che nasce dal legno e finisce in cenere, Katherine Mansfield brillò nelle sue ultime ore e si spense all’improvviso la sera del 9 gennaio 1923. Al suo funerale c’erano solo il marito, le sorelle, Ida e Orage, il suo primo editore.
L’epitaffio sulla sua tomba è una citazione dall’ Enrico IV di Shakespeare: «Ma io vi dico, mio sciocco signore, che da questa ortica, da questo rischio, cogliamo il fiore della sicurezza».
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Katherine Mansfield
Katherine Mansfield, Tutti i racconti, 5 voll., Adelphi 1979
Katherine Mansfield, Epistolario, Il Saggiatore 1971
Grazia Livi, Da una stanza all’altra, Garzanti 1984
Claire Tomalin, Katherine Mansfield, a secret Life, Viking 1987
Pietro Citati, Vita breve di Katherine Mansfield, Rizzoli 1980
Kathleen Jones, Katherine Mansfield: the Storyteller, Penguin 2010
Referenze iconografiche: Kathrine Mansfield nel 1912. Fonte: http://www.katherinemansfield.net/life/briefbio1.htm. Immagine in pubblico dominio.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
2)Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo-
Roma -Murales Ospedale Spallanzani di Roma -Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo-Roma Portuense-Vigna Pia e Dintorni– Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, la scuola di Cinema, la scuola di Musica, le Palestre , il Bistrò ,i Bar ,i Ristoranti, le Pizzerie e ancora i Parrucchieri e gli specialisti per la cura della persona e come non ricordare l’Ottica Vigna Pia .Non mancano gli Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra ragazzi ,oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico. Infine, vedendo il tronco della palma tagliato, ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo
Roma,lungo via Folchi ,con inizio dalla via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri, ma dimenticati su questo muro di cinta . I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta dell’Ospedale “Lazzaro Spallanzani”, lato via Folchi, fa da “sostegno” e “tela” ai murales realizzati in questi 270 metri. L’Opera fu iniziata nel febbraio del 2018 e completata e inaugurata il 3 maggio dello stesso anno. Nei Murales sono immortalati i 13 volti di Scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Il progetto dei Murales, finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, è stato realizzato grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica grave pecca ,ahimè, non vi è immortalata nessuna donna.
Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedia Treccani.on line e Wikipedia
Biografia du Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo
Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo
Biologo italiano (Perugia 1938 – Roma 2012). Introdotto allo studio scientifico dal padre (noto malariologo), ancora liceale ha pubblicato il suo primo contributo sulla resistenza al DDT dei vettori italiani di malaria (1956). Durante la formazione universitaria e post-universitaria in Malariologia, Genetica e Parassitologia ha continuato le ricerche sugli insetti responsabili della trasmissione e negli anni è giunto a riconoscere sei specie gemelle di zanzara Anopheles (arrivando a identificarne l’intero genoma). Nominato professore ordinario di Parassitologia alla Sapienza di Roma (1982, Facoltà di Medicina e Chirurgia), è stato direttore del Centro Collaboratore per l’Epidemiologia e il Controllo della Malaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nel 2008 gli è stato consegnato il BioMalPar Life Award dal gruppo istituito dalla Commissione Europea per la biologia e la patologia del parassita della malaria; nel 2009 C. è diventato membro ordinario dell’Accademia dei Lincei.
Figlio dell’epidemiologo umbro Alberto Coluzzi, e di Anna Wimmer, educatrice tedesca di Passavia, ebbe come sorella l’attrice Francesca Romana Coluzzi. Visse i primi anni con la famiglia in Albania, dove il padre era stato inviato per svolgere attività di ricerca e lotta antimalarica dall’Istituto di MalariologiaEttore Marchiafava, durante il periodo di occupazione italiana. In seguito agli eventi legati all’Armistizio di Cassibile, il 14 ottobre 1943 la famiglia fece ritorno a Perugia, per poi trasferirsi alla fine del 1945 nella Casa delle Palme, una grande casa di campagna sita nella frazione di Monticelli, acquistata dal padre per insediarvi la famiglia, ed affittata dallo Stato Italiano per crearvi congiuntamente un laboratorio sperimentale di indagini malariologiche.
Dopo la laurea in Scienze Biologiche, si è sposato il 14 luglio 1963 con Adriana Sabatini, ricercatrice in Parassitologia all’Istituto Superiore di Sanità di Roma, con la quale ha portato avanti una fruttuosa collaborazione scientifica per anni, e dalla quale ha avuto una figlia, Barbara Coluzzi Bartoccioni, nata a Roma l’8 giugno 1970.[1]
È stato diagnosticato affetto da un Parkinson rigido nel 1994, ed è morto di polmonite ab-ingestio dopo una decina di anni da quando era rimasto immobilizzato in sedia a rotelle a causa della rottura a distanza di poco tempo di un femore dopo l’altro. Nel frattempo la malattia era stata più accuratamente diagnosticata come una paralisi sopra-nucleare progressiva, in base all’esame della RMN.
Contributi scientifici
Iniziato alla ricerca scientifica in giovane età dal padre Alberto (la sua prima pubblicazione risale ai tempi del Liceo classico), è stato autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche. Le ricerche di Mario Coluzzi hanno intanto messo in evidenza gli effetti disastrosi del DDT sull’equilibrio degli ecosistemi (laghetti e simili), quindi anche di medicinali quali la clorochina sull’insorgenza di fenomeni di resistenza del plasmodio responsabile della malaria nella zanzaraAnopheles, vettore della malattia.
Importanti sono i suoi contributi sulla genetica dei vettori malarici, che lo hanno portato al riconoscimento dell’esistenza di sei specie gemelle del genere Anopheles, ciascuna in possesso di diversa capacità di contribuire alla diffusione della malattia, che possono distinguersi solo in base all’esame intanto con microscopio ottico dei cosiddetti “cromosomi giganti”, presenti in particolare nelle ghiandole salivari per permettere la produzione rapida di un’abbondante quantità di saliva (che viene iniettata alla puntura per impedire la coagulazione del sangue, che poi è quella che produce la caratteristica reazione di prurito e nella quale si trovano eventualmente i plasmodi responsabili della malaria). Collegato a questo lavoro è l’ipotesi da lui avanzata negli ultimi anni, su una speciazione tuttora in atto nel complesso Anopheles gambiae, che è stata successivamente confermata da studi di biologia molecolare. Un’altra linea di ricerca originale importante è stata quella sull’origine e diffusione della forma di malaria che può rivelarsi fatale per l’Homo sapiens, dovuta all’opera di diverse specie di Anopheles divenute spiccatamente antropofile circa 6 000 anni fa, in concomitanza con il passaggio dell’Homo sapiens da arboricolo ed allevatore a coltivatore prevalentemente stanziale, dando inizio al processo che avrebbe portato all’espansione e diffusione attuale della malattia nella popolazione umana.
Le sue ricerche genetiche hanno poi portato alla pubblicazione dell’intero genoma dell’Anopheles e del Plasmodium. All’attività di Coluzzi si deve poi la creazione di una scuola scientifica, che conta decine di importanti scienziati, e la promozione e direzione di importanti collaborazioni scientifiche internazionali con paesi in via di sviluppo, per la lotta alla malaria, soprattutto in area sub-sahariana, finanziati dal Ministero degli affari esteri e dall’Istituto Pasteur-Fondazione Cenci Bolognetti. In particolare, è stato dedicato alla sua memoria il nome di una specie identificata in seguito nell’Africa sub-sahariana, l’Anopheles coluzzii.
Gli studi di Mario Coluzzi sui siti riproduttivi del vettore malarico Anopheles gambiae, costituiti da piccoli ed effimeri accumuli temporanei di acqua dolce, hanno mostrato come non sia acriticamente estensibile, all’Africa subsahariana, il modello sinergico che vede, nel mondo occidentale, le pratiche e lo sviluppo agricolo quali importanti elementi di contrasto alla riproduzione del vettore. In ambiente subsahariano, al contrario, i fattori di trasformazione ambientale indotti dall’uomo (deforestazione, irrigazione, desalinizzazione delle aree costiere), hanno il solo effetto di moltiplicare i siti e le opportunità riproduttive del vettore, incrementando la trasmissione del parassita.
^ Jeffrey R. Powell, Nora J. Besansky, Alessandra della Torre, Vincenzo Petrarca, Mario Coluzzi (1938–2012), in Malaria Journal, vol. 13, n. 1, 22 gennaio 2014, pp. 10, DOI:10.1186/1475-2875-13-10. URL consultato il 25 febbraio 2024.
Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologol’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street ha realizzato i Murales dell’Ospedale Spallanzani di RomaOspedale Spallanzani di RomaRoma- Ospedale Lazzaro Spallanzani
Augusta Perusia gennaio-febbraio 1907Copertina del primo numero della rivista diretta da Gnoli
Inizia una collaborazione con Trabalza, dedicandosi soprattutto al reperimento di immagini fotografiche[2] e all’impostazione redazionale della rivista che però, a causa degli alti costi, uscirà per soli tre anni[3].
Nel 1909 fonda una propria rivista dal titolo Rassegna d’arte umbra; si avvale del contributo di Dante Viviani, in qualità di garante scientifico, e del sostegno di intellettuali stranieri come Bernard Berenson, di politici come Cesare Fani e di molti esponenti della nobiltà perugina come Vittoria Aganoor (che sostiene economicamente la rivista), Rodolfo Pucci Boncambi, Vincenzo Ansidei e la contessa Margherita Hummel. Anche Rassegna d’arte umbra sarà pubblicata per soli tre anni, con un’interruzione di dieci anni fra la prima serie (1909-1911) e la seconda (1921). Nei primi numeri vengono trattate e valorizzate opere di Niccolò di Liberatore, detto l'”Alunno”, Pietro Vannucci, detto il “Perugino”, e Pietro Lorenzetti. Nel frattempo collabora ripetutamente con la rivista ufficiale del Ministero della pubblica istruzione, il Bollettino d’Arte.
Incarichi e collaborazioni
Sempre nel 1909 viene nominato Ispettore storico dell’arte presso la Soprintendenza ai Monumenti dell’Umbria. Nel 1921 è direttore della Regia Galleria dell’Umbria e soprintendente alle Gallerie, ai musei medievali e moderni e agli oggetti d’arte[4]. Redige un nuovo inventario della Galleria e si adopera per una nuova sistemazione espositiva, ampliando la sede museale ai piani superiori del Palazzo dei Priori. Promuove l’incremento del patrimonio con nuove acquisizioni, acquisti o donazioni. Entrano al museo opere di Arnolfo di Cambio, alcune tele settecentesche, una raccolta di tessuti umbri donata da Mariano Rocchi, un’opera di Francesco di Gentile da Fabriano. Si impegna nel 1923 per la valorizzazione di importanti collezioni ecclesiastiche favorendo l’istituzione del Museo dell’Opera del Duomo di Perugia. Durante l’incarico, durato venti anni (interrotti per partecipare alla prima guerra come tenente di artiglieria), pubblica numerose opere e favorisce la conoscenza in ambito nazionale e internazionale dell’arte umbra, intento condiviso con alcuni colleghi stranieri come Raimond van Marle, Frederick Mason Perkins e Walter Bombe, anche loro residenti a Perugia[5]. Insieme incentivano l’attività di recupero e restauro delle numerose testimonianze artistiche del territorio, contenendone la dispersione.
Si impegna anche per la salvaguardia dell’immenso patrimonio artistico dello Stato italiano, spesso trascurato e dimenticato, lasciato in rovina. Suo principale obiettivo è:
«…render conto di quanto si fa dagli enti e dai privati per la protezione del patrimonio artistico e riassumere quanto in Italia e all’estero si scrive sull’Arte umbra… e illustrare la regione ne’ suoi monumenti, far conoscere le opere inedite o mal note e pubblicare nuovi documenti»
(Umberto Gnoli. Introduzione al primo numero di Rassegna d’arte umbra[6])
Nel 1923 dà alle stampe Pittori e miniatori nell’Umbria con introduzione di Federico Zeri, testo che ancora oggi costituisce un importante strumento di informazione storico-artistica.
Viaggia molto in Italia e in Europa al fine di studiare chiese, musei e monumenti e fare ricerche nelle biblioteche e archivi. Si reca spesso anche negli Stati Uniti perché nominato nel 1927 rappresentante Europeo del Metropolitan Museum di New York, con l’incarico di acquistare opere d’arte in Europa[7]. Inoltre collabora alla rivista Art in America, bimestrale edito a New York da Frederic Fairchild Sherman.
Tra il 1926 e il 1929 per motivi di salute sospende l’attività lavorativa e da Perugia si trasferisce a Roma. Qui riprende gli studi iniziati dal padre circa la toponomastica della città, studi che nel 1939 saranno pubblicati in Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna. Il Ministero dell’Educazione Nazionale non rinnoverà il suo rapporto di lavoro, probabilmente per crescenti incomprensioni con il regime che non vedeva di buon occhio l’attività di consulente da lui svolta negli Stati Uniti anche per antiquari privati[8].
Nel 1908 sposa la contessa Margherita Hummel (1884-1922) con cui ha quattro figli tra il 1909 e il 1921; tre di loro muoiono in tenera età, sopravvive solo Claudine, nata nel 1917. Nel 1922 muore prematuramente anche la moglie[10]. Nel 1927 sposa in seconde nozze la giovane ceramista Annie de Garrou (1900-1994) con cui ha due figli: Domenico, artista di fama internazionale, e Marzia (1934). La famiglia De Garrou possiede una villa a Monteluco di Spoleto, alternano quindi la residenza fra Roma e l’Umbria. Il secondo matrimonio finisce nel 1940; Gnoli si ritira a Campello sul Clitunno restando molto presente nella vita e nell’educazione dei figli.
Muore a Campello sul Clitunno il 15 gennaio 1947.
Pubblicazioni
(Elenco parziale)
Le origini dell’architettura lombarda, Roma, Tip. dell’Unione Cooperativa Editrice, 1908.
I documenti su Pietro Perugino, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1923.
La Pinacoteca di Perugia, Firenze, F.lli Alinari, Soc. An. Idea, 1927.
Giulio Urbini, Disegno storico dell’arte italiana preceduto da un trattatello sulla tecnica delle arti figurative, a cura di Umberto Gnoli, Torino, Paravia, 1931.
Alberghi e osterie di Roma nella rinascenza, Spoleto, C. Moneta, 1935.
Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna, Roma, Staderini, 1939.
Cortigiane romane: note e bibliografia, Arezzo, Edizioni della Rivista Il Vasari, 1941.
Piante di Roma inedite, Istituto di studi romani, 1941.
Raffaello e la Incoronazione di Monteluce, in Bollettino d’Arte, 1917.
Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna: Supplement, ristampa, Foligno, Edizioni dell’Arquata, 1984 [1939].
Note
^ Umberto Gnoli, L’arte romanica nell’Umbria, in Augusta Perusia. Rivista di topografia, arte e costume dell’Umbria, I, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1906, pp. 22-25, 41-43. URL consultato il 7 marzo 2020.
^Una corposa raccolta fotografica di Gnoli è confluita nella fototeca di Federico Zeri. Cfr.: Giulia Alberti, Il fondo fotografico di Umberto Gnoli, su fondazionezeri.unibo.it. URL consultato il 6 marzo 2020.
^ Maria Raffaella Trabalza, Regionalismo nella cultura del primo Novecento: storia di una rivista umbra: Augusta Perusia (1906-1908), Le Monnier, 1981.
Umberto GNOLI-Stufe romane della rinascenza-Umberto GNOLI-Stufe romane della rinascenza-Umberto GNOLI-Stufe romane della rinascenza-Umberto GNOLI-Stufe romane della rinascenza-MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
L’indocile scrittura di Anna Franchi, paladina dei diritti femminili- Articolo di Laura Candiani-
Anna Franchi, paladina dei diritti femminili
Anna Franchi è stata una pioniera del femminismo, attenta e sensibile ai diritti delle donne in un’epoca in cui se ne parlava con prudenza e i soprusi venivano taciuti per ipocrisia e perbenismo. Non solo; è stata anche musicista, scrittrice, traduttrice, giornalista, biografa e critica d’arte; una intellettuale completa, i cui interessi hanno spaziato in molteplici campi. Di tutto ciò ci parla la bella, esauriente biografia dal titolo significativo Anna Franchi: l’indocile scrittura-passione civile e critica d’arte, scritta dalla studiosa toscana Elisabetta De Troja e pubblicata nel 2016 a cura dell’Università di Firenze. Il libro è anche arricchito da una scelta di testi significativi e da un album fotografico. Anna Franchi era nata il 15 gennaio 1867, quando Firenze era capitale del Regno d’Italia, figlia unica di una famiglia livornese benestante; Cesare, il padre, era commerciante, la madre, Iginia Rugani, una casalinga molto riservata. Anna aveva maggiori affinità con il padre e la nonna Ernesta con i quali condivideva gli interessi e l’amore per la letteratura e la musica. Comincia presto ad attingere alla biblioteca paterna e legge avidamente Giusti, Dumas, Guerrazzi, romanzi sentimentali, patriottici e storici. Diventa un’ottima pianista e a soli 16 anni, nel 1883, sposa il suo insegnante, il violinista Ettore Martini. La coppia si trasferisce ad Arezzo e poi a Firenze (1889), città nelle quali il marito è direttore teatrale.
Fra una tournée e l’altra in cui si esibiscono insieme, nascono quattro figli: Cesare, Gino, Folco (che muore bambino) e Ivo; tuttavia il matrimonio è infelice: Ettore contrae debiti, mantiene a fatica il lavoro solo grazie all’impegno della moglie, la tradisce, non sa fare il padre; sarebbe un bravo violinista ma è incostante e instabile, finché parte per l’America con i due figli maggiori (1903). Di fatto il matrimonio è finito da tempo e Anna è stata costretta a vendere la casa di Livorno e a mantenere i figli (pure affidati legalmente al padre). Intanto trova il tempo per migliorarsi studiando con Ettore Janni ed Ernesta Bittanti, allora universitari molto promettenti. Inizia a scrivere e comincia a pubblicare: escono le novelle Dulcia-Tristia (1898) e un libro illustrato per bambini (I viaggi di un soldatino di piombo). Negli anni di fine secolo si impegna nella Lega Femminile (che aderisce alla Camera del Lavoro) e poi nella Lega Toscana; è attiva a fianco delle “trecciaiole” nelle agitazioni del biennio 1896-97 e, pur non essendo iscritta ad alcun partito, è vicina all’ideologia socialista. Nel 1900 è ammessa nell’associazione dei Giornalisti milanesi (seconda donna, dopo Anna Kuliscioff) e scrive su quotidiani e periodici, fra cui il “Corriere dei piccoli” (con lo pseudonimo “nonna Anna”). Con brevi articoli di informazione artistica e corrispondenze (da Venezia e Parigi, ad esempio) collabora a varie testate; risulta essere la prima donna editorialista dei quotidiani “Lombardia” e “La Nazione”. Gli anni 1902-3 rappresentano il periodo in cui più si impegna per una causa che le sta a cuore: il divorzio. Il Codice civile (1865) e l’enciclica Arcanum divinae sapientiae (1880) attraverso il potere dello Stato e della Chiesa ribadiscono la subordinazione femminile all’uomo padrone e signore in famiglia, ma anche nella vita sociale e professionale. Le donne non possono conseguire titoli di studio superiori, né decidere sui propri beni né stipulare contratti; la moglie deve condividere la residenza scelta dal marito e ne deve avere l’autorizzazione se vuole esercitare il commercio o compiere operazioni bancarie. Questa «mostruosa catena» (Sibilla Aleramo) si spezza nell’opera di Anna perché la protagonista del suo romanzo Avanti il divorzio rifiuta le convenzioni e un matrimonio iniziato con un vero e proprio stupro: «La prese brutalmente, violando quella purezza che gli si abbandonava quasi con incoscienza, la prese spudoratamente, nulla attenuando con gentilezza amorevole, senza risparmiarla (…)». Significativi i nomi della coppia: perché il riferimento autobiografico risulti ben chiaro, cambiano solo i cognomi (Mirello lei e Streno lui). Anna Mirello cresce, matura, rischia e cambia grazie a un nuovo amore, ma soprattutto grazie alla propria realizzazione attraverso il lavoro, la letteratura, l’indipendenza economica. La vera nemica della donna infatti è la rassegnazione (come spiegherà la scrittrice nel saggio Il divorzio e la donna). Interessante risulta anche il confronto con la posizione assunta dalla contemporanea Grazia Deledda che, nel medesimo anno 1902, pubblica il romanzo Dopo il divorzio, mentre veniva discussa e respinta la proposta di legge del Governo Zanardelli. Nel 1909 compare il secondo importante romanzo: Un eletto del popolo in cui la protagonista Mariangela viene abbandonata con un figlio da un deputato avido e arido preoccupato dalla carriera. Una vicenda che non può non ricordare quella personale vissuta dalla scrittrice e che rappresenta comunque una vittoria del coraggio e dell’anticonformismo perché la “sora Lange” rifiuta il cognome dell’uomo per il figlio e lo dispensa dall’obbligo del mantenimento. Nel 1910 esce un romanzo in forma di diario: Dalle memorie di un sacerdote, in cui Angelo, curato nella campagna toscana, soffre per le maldicenze dopo aver salvato da morte certa un neonato abbandonato dalla madre disperata sul greto di un fiume. Don Angelo prova pietà, sa capire e perdonare, mentre il Codice penale (art. 369) distingue fra omicidio e infanticidio (“omicidio scusato”), e libera l’uomo (padre/seduttore) da qualsiasi responsabilità. Per di più il Codice civile (art. 340) proibisce la ricerca del padre con ipocrite motivazioni. Oppresso dalla cattiveria dei parrocchiani e dai dubbi sulla propria fede, disgustato dai compromessi e dall’autorità ecclesiastica, don Angelo arriva al suicidio.
Anna Franchi, paladina dei diritti femminili
Nel periodo fiorentino Anna frequenta assiduamente i Macchiaioli e in particolare lo studio di Telemaco Signorini di cui parla ampiamente nella autobiografia (La mia vita-1940), in biografie specifiche e in saggi (Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi), accompagnati da conferenze molto apprezzate. La sua fama raggiunge la Francia – che frequenta durante le esposizioni internazionali – dove diviene affettuosamente “Franscì” per gli amici intellettuali, fra cui Matisse. Trasferita a Milano prosegue con fervore la sua attività di intermediaria fra i pittori, i galleristi e i collezionisti e scrive la biografia di Fattori (1910) di cui con sapienza mette in luce le doti nel saper rielaborare l’oggetto in modo tutt’altro che fotografico. Negli stessi anni varie testimonianze ricordano l’impegno di Anna sul fronte anticlericale messo in atto con scritti e conferenze; nel 1913 entra nella loggia massonica torinese “Anita Garibaldi” e nel 1914 fonda a Milano la loggia “Foemina superior”, il cui nome indica sia l’intento di «mettere sulla via della verità le giovani menti nelle quali si sviluppa uno spirito di osservazione critica» sia «l’aspirazione della donna verso il miglioramento spirituale». Siamo ormai alla vigilia della Grande guerra e Anna prende posizione da interventista con le opere Città sorelle (1915) e Il figlio della guerra (1917). Le tragiche vicende nazionali e internazionali la colpiscono duramente: il figlio Gino muore al fronte e il suo corpo non verrà mai ritrovato. Anna fonda allora la Lega d’Assistenza per le madri dei caduti, allo scopo di sollecitare la politica a prendere a cuore la situazione delle madri che non possono avere benefici economici nel caso i figli uccisi siano coniugati. Nel dopoguerra con coerenza Anna non entra nelle file del Partito fascista e invece si avvicina ai Valdesi tanto da diventare “direttore responsabile” del loro periodico “L’Appello”. Intanto continua a pubblicare saggi, romanzi, biografie (Caterina de’ Medici– 1932), racconti per bambini (Gingillo-1946) e a impegnarsi in pubbliche conferenze. Durante la Seconda guerra mondiale opera nelle file della Resistenza e, con la pace ritrovata, il 1946 è per lei un momento di grande soddisfazione: finalmente le donne italiane hanno accesso al voto attivo e passivo; si realizzava dunque il sogno di quelle pioniere come Anna Kuliscioff e Anna Maria Mozzoni che tanto a lungo e con tenacia si erano battute. Per l’occasione scrive Cose d’ieri dette alle donne di oggi. Ormai anziana prosegue tuttavia il lavoro e nei primi anni Cinquanta escono ancora sue opere.
Muore a Milano il 4 dicembre 1954, ma il funerale si svolge a Livorno dove è sepolta nella cappella di famiglia. «L’equilibrio dovrebbe nascere da una coscienza morale, da una dignità diversa tanto nel maschio quanto nella femmina (…) uguale al maschio? No. Inferiore? Nemmeno. Diversa ma non meno degna di tutte le considerazioni». (Per le donne, 1913) Le sono state intitolate una via a Olbia, una a Roma e un largo a Livorno.
Laura Candiani
Articolo di Laura Candiani-Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
Rivalutiamo Anna Franchi
scrittrice, giornalista, donna di cultura e di impegno civile per l’emancipazione femminile
Rivalutiamo Anna Franchi
Con questo progetto il Club intende rivalutare Anna Franchi una delle figure più significative del panorama intellettuale livornese e nazionale del primo Novecento per il coraggioso impegno messo nella lotta per la conquista di diritti allora solo maschili.
Cresciuta ed educata in un ambiente familiare ricco di memorie risorgimentali, porterà sempre con sé i valori della democrazia e dell’uguaglianza ricevuti dal padre, dalla nonna e dagli amici di famiglia che frequentavano la casa paterna.
Le sue vicende personali, poi, la spingeranno a battersi per una identità nuova della donna nella società e nel mondo del lavoro con chiari collegamenti agli ideali risorgimentali.
Anna Franchi, sostenitrice delle idee progressiste che fioriscono nella stampa femminista del tempo, si trova a vivere in questa fase di trapasso epocale e decide, a seguito del fallimento matrimoniale e delle difficoltà economiche, di lottare come giornalista affinché possa realizzarsi l’uguaglianza tra uomo e donna.
Anna Franchi nasce a Livorno nel 1867 e ottantasettenne muore in povertà a Milano nel 1954. La salma, rispettando le sue volontà, viene traslata a Livorno al cimitero dei Lupi dove si trova tuttora.
Alla Biblioteca Labronica Guerrazzi la Franchi lascia in dono numerose sue opere, articoli, manoscritti che oggi costituiscono il Fondo Anna Franchi ovvero la testimonianza di vita di una donna semplice, onesta e coraggiosa.
Il progetto prevede le seguenti 3 attività:
allestimento di una mostra delle sue opere artistiche e manoscritti secondo il seguente calendario:
– 28 novembre 2024 inaugurazione della mostra presso la Biblioteca Comunale Guerrazzi con apertura straordinaria domenica 1 dicembre e termine il 7 dicembre
– 6 dicembre 2024 presso la sala degli specchi del Museo Fattori conferenza conclusiva sull’attività letteraria, giornalistica e politica della Franchi
febbraio 2025 apposizione di una lapide commemorativa presso il Famedio del Santuario di Montenero dove a ora sono presenti solamente figure di grandi uomini illustri livornesi, sarebbe la prima donna ad avere questo riconoscimento ( data da definire)
marzo 2025 Intitolazione del plesso secondaria di 1° nel quartiere La Rosa dell’istituto comprensivo Bartolena ( data da definire)
Anna Franchi, la prima e l’ultima macchiaiola
Conferenza del critico d’arte Jacopo Suggi all’interno del Progetto Rivalutiamo Anna Franchi
Rivalutiamo Anna Franchi
Venerdì 6 dicembre, presso il salone degli specchi, all’interno della Villa Mimbelli sede del Museo G.Fattori ha avuto luogo una conferenza del giornalista e critico d’arte Jacopo Suggi dal titolo “Anna Franchi, la prima e l’ultima macchiaiola“.
Anna Franchi, paladina dei diritti femminili
Anna Franchi è stata una personalità eclettica, moderna scrittrice e giornalista d’arte, autrice di oltre sessanta pubblicazioni e innumerevoli saggi, drammaturga, musicista, ma anche attivista, mossa da una complessa coscienza sociale che la portò a combattere per tante cause, in particolare per i diritti delle donne.
Davanti a un pubblico attento e appassionato Jacopo Suggi ha messo in luce un altro aspetto di questa donna eccezionale: la sua passione per l’arte, i contributi dati come critica d’arte e i legami con il movimento dei Macchiaioli. Anna Franchi è stata infatti la prima donna che ha creduto nel movimento macchiaiolo: ne ha scritta la storia, ha conosciuti gli artisti, ha cercato per loro un mercato che ne riconoscesse il valore. Importante l’amicizia con Giovanni Fattori e la corrispondenza con molti pittori: le lettere ricordano non soltanto le loro intenzioni artistiche ma anche gli stati d’animo, le relazioni, i viaggi, i successi e anche i momenti di tristezza che venivano confidati all’amica Anna.
A seguire ha avuto luogo una visita guidata al museo G. Fattori, dove sono allocate le opere dei pittori macchiaioli. In alcune stanze sono state allestite bacheche con documenti e opere che mostravano l’interesse e il legame di Anna con gli artisti di quel movimento pittorico.
Un bel pomeriggio, il finissage della mostra che chiuderà i battenti sabato 7 dicembre, che ha avuto un grande interesse e partecipazione pertanto… è stata chiesta un proroga, speriamo di ottenerla!
Storie di cinque donne che hanno cambiato l’immagine del mondo-·
Editore Mondadori
Descrizione-Di buona famiglia o figlie di emigranti, amate o solitarie, ammirate o emarginate, le cinque donne protagoniste di questo libro, di Elisabetta RASY, hanno tutte un rivoluzionario desiderio: indagare la realtà con il proprio sguardo femminile, abituato a cogliere aspetti della vita ignoti, intimi o trascurati, coltivando un’audace arte dell’indiscrezione che è l’esatto contrario dell’indifferenza. Sono cinque grandi fotografe, diverse per carattere e destino, ma ugualmente animate dalla voglia di cambiare l’immagine del mondo scovando bellezza e dolore là dove non erano mai stati visti, che si tratti di amore, politica, sesso, povertà, guerra o del corpo, soprattutto femminile. Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman hanno poco in comune, per origine e storia personale, ma condividono la stessa voglia di raccontare con l’obiettivo fotografico la realtà a misura della loro esperienza di donne e di ciò che hanno conosciuto, scoperto e amato.
Elisabetta RASY-
Le loro esistenze sono avventurose, spesso difficili. Tina Modotti, operaia in fabbrica a Udine a soli tredici anni, dopo una breve parentesi hollywoodiana vive accese passioni politiche e sentimentali nel Messico degli anni Venti, spalancando i suoi occhi sulla bellezza dei diseredati; Dorothea Lange, in fuga dalla sua famiglia di emigranti, ritrae nel coraggio degli americani rovinati dalla Grande Depressione la propria lotta contro la vergogna della malformazione con cui convive dall’infanzia; l’inquieta Lee Miller, che qualcuno considera la donna più bella del mondo, è pronta a svestirsi degli abiti da modella per denunciare il volto spettrale della guerra; Diane Arbus abbandona gli agi della mondanità newyorkese per puntare il suo obiettivo su ciò che non corrisponde al canone della normalità e raccontare l’imperfezione umana; Francesca Woodman nella sua breve esistenza esplora la figura del corpo femminile, indagandone in crudi ed emotivi autoritratti il lato più misterioso, insieme fragile e potente. Con una scrittura intensa e partecipe, Elisabetta Rasy insegue lungo l’arco del Novecento la vita e l’opera di queste cinque donne straordinarie, animate, ognuna secondo il proprio temperamento, da un’inarrestabile aspirazione alla libertà. Perché proprio l’incontro di talento e libertà è la cifra segreta grazie alla quale hanno saputo farsi strada in un mondo ancora fortemente maschile, diventando protagoniste di un nuovo sguardo sul secolo che hanno attraversato.
Elisabetta RASY-
Editore : Mondadori (11 maggio 2021)
Lingua : Italiano
Copertina rigida : 252 pagine
ISBN-10 : 8804738820
ISBN-13 : 978-8804738824
Elisabetta RASY-
Enciclopedia TRECCANI-Rasy, Elisabetta. – Giornalista e scrittrice italiana (n. Roma 1947). Laureatasi in Storia dell’arte, negli anni Ottanta ha fondato con P.V. Tondelli e A. Elkann la rivista Panda. Ha collaborato con varie testate, tra le quali, La Stampa, L’Espresso, Panorama e Sette del Corriere della Sera. Autrice di numerosi saggi di argomento letterario, molti dei quali dedicati alla scrittura femminile (La lingua della nutrice, 1978; Le donne e la letteratura, 1984), ha esordito nella narrativa nel 1985 con il romanzo La prima estasi. Da allora ha scritto diversi romanzi di successo anche all’estero, che hanno ricevuto vari riconoscimenti come il Premio Campiello con Posillipo nel 1998, spesso di argomento parzialmente autobiografico, tra i quali si ricordano: Tra noi due (2002), La scienza degli addii (2005), L’estranea (2008), Non esistono cose lontane (2014), entrambi nel 2016, Le regole del fuoco (finalista al Premio Campiello) e Senza la guerra (con M. Cacciari, E. Galli della Loggia, L. Caracciolo), Una famiglia in pezzi (2017) e Le disobbedienti. Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte (2019).
-Indagini archeologiche Via Aurelia Antica-Località Malagrotta-(2011-2013)–
Malagrotta-Osteria a sinistra della Via Aurelia Antica, o strada di Civitavecchia, 8 miglia lungi da Roma , posta nel tenimento di Castel di Guido, poco prima del diverticolo di Maccarese. Essa è nella valle del Rio di Galeria, che si traversa sopra un ponte : ivi dappresso è un Casale , un granaio , la chiesa , ed un fontanile fornito di acqua da una sorgente condotta, i cui bottini veggasi a destra della strada. Il nome Malagrotta suol dirsi da una grotta che si vede sul colle a sinistra ; a me sembra però che sia un travolgimento del nome Mola Rupta, che almeno fin dal secolo X. questo fondo portava: dico fin dal secolo X, poiché non voglio fare uso della Carta di donazione di Santa Silvia per le ragioni che furono indicate nell’articolo su Maccarese. Or dunque negli annali de’ i Camaldolesi, ne’ quali si riporta quell’Atto di donazione , si trova pure riportata una Carta genuina pertinente all’anno 995, ( leggasi il tomo I.p.p.126) nella quale si ricorda la cessione e permuta fatta da Costanza nobilissima donna di una metà di un suo Casale denominato Casa Nobula, posto circa l’ottavo miglio fuori della porta San Pietro nella contrada che corrisponde appunto a Malagrotta. E questa contrada si ricorda ancora anche in altre Carte degli stessi annali, come in una dell’anno 1014 nella quale si pone fuori di porta San Pancrazio nella via Aurelia, e si nomina come Casale ,in un’altra carta del 1067 si nomina come affine al Rio Galeria, e nel secolo XIII. Col nome di Castrum Molarupta colle chiese di Santa Maria e di Santa Apollinare si designa nelle bolle di papa Innocenzo IV. Nel 1249 e di Papa Bonifacio VIII. Nel 1299, con le quali furono conferiti i beni di San Gregorio: come pure in due Atti pertinenti all’anno 1280 e 1296, documenti che sono inseriti nell’appendice del tomo V. degli Annali suddetti. Quindi il nome Molarupta rimaneva sul principio del secolo XIV. E quanto a questa denominazione così antica , che rimonta, come si vide , almeno al secolo X. facile è derivarne la etimologia da una mola ivi sul fiume Galeria esistente, la quale rottasi, ne derivò al fondo ed alla contrada il nome do Molarupta.
Roma: Malagrotta – via Aurelia-indagini archeologiche finalizzate all’individuazione ed all’apposizione del vincolo di un tratto della via Aurelia antica e della mansio di età imperiale ad essa afferente.Committente:Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (dott.ssa Daniela Rossi)
Scavi a cura della Cooperativa Parsifal – Cooperativa di Archeologia.
Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)
Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)
Roma: Malagrotta – via Aurelia–indagini archeologiche finalizzate all’individuazione ed all’apposizione del vincolo di un tratto della via Aurelia antica e della mansio di età imperiale ad essa afferente.
Committente: Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (dott.ssa Daniela Rossi)
Scavi a cura della Cooperativa Parsifal – Cooperativa di Archeologia.
Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Indagini archeologiche Via Aurelia-Località Malagrotta(2011-2013)Via Aurelia-Località Malagrotta-Rio GaleriaVia Aurelia-Località Malagrotta-Rio GaleriaVia Aurelia-Località Malagrotta-Rio GaleriaVia Aurelia-Località Malagrotta-Rio Galeria
Via Aurelia-Località Malagrotta-Rio GaleriaVia Aurelia-Località Malagrotta-Via Aurelia-Località Malagrotta-Via Aurelia-Località Malagrotta-
NANCY CUNARD, la poetessa dalla vita intensa e spericolata….
LA POETESSA PIÙ BELLA DEL MONDO NANCY CUNARD,EREDITIERA, MUSA DI HUXLEY E MAN RAY, AMANTE DI POUND, ELIOT E ARAGON, VIAGGIATRICE E PASIONARIA, FU LA PRIMA A PUBBLICARE BECKETT CON LA SUA CASA EDITRICE – IMITATISSIMO IL SUO STILE: CILINDRO, ABITI D’ARGENTO, BRACCIALI E CAPELLI CORTI – NON SPOSATA, RIBELLE, FUMAVA, BEVEVA E AMAVA IL SESSO-Articolo scritto da Eleonora Barbieri per “il Giornale”
NANCY CUNARDNANCY CUNARDNANCY CUNARD
Quando nel 1925 scrive Parallax, Nancy Cunard ha in mente due uomini: T.S. Eliot e Ezra Pound. Il primo perché, due anni prima, aveva scritto La terra desolata, che è il modello per il poema lungo della Cunard; le due opere sono pubblicate dalla stessa casa editrice, la piccola e prestigiosa Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf.
Il secondo perché era stato proprio Pound, dopo avere letto le poesie della raccolta Outlaws del 1921, a spingere la Cunard a continuare a scrivere, spiegandole, in una lunga lettera, che doveva riuscire a «rendere il discorso della poesia perfino più vivido di quello della prosa» e ricordandole che «l’arte è lunga».
In quella lettera, Pound le diceva anche quanto desiderasse che Nancy tornasse a Parigi. La loro storia d’amore, lunga cinque anni, era già cominciata. In realtà anche Eliot era stato amante di Nancy Cunard, pur se per una notte soltanto, nell’estate del ’22: anche se la disapprovava, e la considerava una tentatrice (in seguito l’aveva perfino dipinta come una prostituta, sotto le spoglie di Fresca, in una parte della Terra desolata che Pound lo convinse a tagliare), nemmeno lui era riuscito a resisterle, come lei stessa raccontò in una Lettera in versi scritta dopo la morte del poeta nel gennaio del 1965 (lei morì due mesi dopo), e pubblicata ora nei Selected Poems, una raccolta di poesie, in parte inedite, a cura di Sandeep Parmar (Fyfield Books).
Del resto era difficile, quasi impossibile resistere a Nancy Cunard. Nata nel 1896 a Nevill Holt, nel Leicestershire, in una residenza immensa (il salone da solo era più grande della New York Public Library), erede di un impero di costruttori navali baronetti dai tempi della Regina Vittoria, discendente di Benjamin Franklin, figlia di un padre, Bache, interessato soltanto alla caccia e alla campagna inglese e di una madre americana ricchissima, Maud, arrivata in Europa per ottenere un titolo e entrare nell’alta società politica, aristocratica e letteraria di Londra (e Lady Cunard ne fu una regina), Nancy si abitua subito ad alcune cose poco comuni, specialmente per l’epoca: i suoi genitori vivono vite separate;
la madre ha decine di amanti, e non li nasconde affatto; il suo primo amico a quattro anni non è una bambina, bensì il romanziere irlandese George Moore, amante della madre, a cui resta legata per tutta la vita e che le fa da padre insieme a Norman Douglas; viaggia e viene istruita per tutta Europa; ai balli e ai tè organizzati da Lady Cunard arrivano Somerset Maugham, i Balfour, gli Asquits, Pound (che chiede soldi per sostenere James Joyce mentre scrive l’Ulisse), Eliot…
Ereditiera, poetessa, editrice per tre anni, come racconta nel libro, ricchissimo di aneddoti, These were the Hours – Memories of My Hours Press, scrittrice, giornalista in prima fila durante la guerra di Spagna, pasionaria quasi ossessiva per le cause della repubblica in Spagna e per la difesa della cultura e dei diritti dei neri in America (sua è la raccolta Negro, una antologia che è la prima nel suo genere, e che nel ’34, quando esce, è accolta con derisione perfino dalla stampa di sinistra), collezionista di arte «primitiva» dall’Africa all’Oceania e, in particolare, di vistosissimi braccialetti d’avorio che portava a decine fino al gomito, amante di artisti, poeti, scrittori e musicisti celebri, fra cui T.S. Eliot, Samuel Beckett e Pablo Neruda (tutti anni prima del Nobel…) e poi Ezra Pound, Louis Aragon, Tristan Tzara e Aldous Huxley, Nancy Cunard era una donna bellissima e magnetica.
Gli occhi enormi e blu, la figura esile, la voce dolce e acuta insieme, la falcata leggendaria. E poi lo stile, imitatissimo per il resto del secolo, dal cilindro agli abiti d’argento, dai quattrocento bracciali ai capelli corti, una giovane donna non sposata (lo fu per pochissimi anni, con un soldato australiano), ribelle, che fumava e beveva e non si negava nulla.
Così racconta Anthony Thorne nel volume Nancy Cunard. Brave Poet, Indomitable Rebel (1968, a cura di Hugh Ford) che raccoglie i ricordi di amici e ammiratori: «Un giorno una ragazza mi ha detto: Entro in una stanza e in fondo c’è la donna più bella che abbia mai visto. Poi mi avvicino e mi rendo conto che è Nancy Cunard».
Thorne incontra Nancy per la prima volta a Venezia, dove lei versa una flûte di champagne nel Canal Grande in nome di un suo vecchio amore, il jazzista di colore Henry Crowder; poi, dopo una notte insieme, lasciano il palazzo a bordo di una gondola. Undici anni dopo, di nuovo a Venezia, Thorne ritrova lo stesso gondoliere che ricorda esattamente Nancy.
Anche quando è ormai anziana, zoppicante, rovinata dall’alcol, dalle malattie respiratorie e dalla magrezza eccessiva, se entra in un locale, o si presenta a teatro, tutti gli occhi si volgono immediatamente verso di lei, e nel silenzio che si crea si sente solo il tintinnio dei suoi bracciali. Questa è Nancy Cunard, «un corpo come una scultura» a detta di Langston Hughes, che collaborò a Negro.
Non soltanto una avventuriera: lo è stata, nel sesso (si dice che si sia fatta asportare l’utero per avere libertà totale), nelle abitudini quotidiane, nei viaggi per mezzo mondo, nelle cause sposate spesso d’istinto.
Ma è stata una figura letteraria, e non soltanto come musa, anche se ha ispirato Huxley (innamorato perso, l’ha riprodotta in varie sue eroine), il bestseller degli anni Venti Green Hat di Michael Arlen, Aragon (che fu quasi sul punto di sposare), Tzara, Evelyn Waugh, Pound e Neruda, e poi pittori come Oskar Kokoschka e Alvaro Chile Guevara, fotografi come Man Ray e Cecil Beaton, lo scultore Brancusi. Williams Carlos Williams, che giocava a tennis con lei e Hemingway, la definì «uno dei più grandi fenomeni di quel mondo», gli anni Venti.
La prova della sua sensibilità letteraria, oltre che nelle opere di poesia, è soprattutto nella sua attività di editrice e curatrice di raccolte. L’avventura della sua Hours Press comincia nel 1928 e finisce nel 1931. Nasce in Normandia, a Réanville, in una casa di campagna acquistata e arredata da Nancy con grande amore (sua madre riteneva che «solo i banali hanno bisogno di una casa»); poi si sposta a Parigi, in rue Guenégaud, a due passi dalla Galleria Surrealista.
Londra non era la città giusta per Nancy, anche se si era creata una sua «Corrupt Coterie», cenava con Keynes e Lytton Strachey, frequentava i Woolf (poco, perché Virginia era gelosa…). È a Parigi, nei primi anni Venti, che trova il suo mondo: fra i Surrealisti e i Dada, tutti suoi amici e spesso amanti, ospiti fissi nel suo appartamento all’Île Saint-Louis, che era appartenuto a Modigliani.
In nemmeno quattro anni la Hours Press pubblica 23 libri di pregio, con copertine firmate da artisti come Man Ray, John Banting, Yves Tanguy: in catalogo vanta George Moore, l’amico che le garantisce un esordio da «tutto esaurito»; Louis Aragon che traduce l’«intraducibile» Caccia allo Snark di Lewis Carroll; due titoli di Norman Douglas; Mes Souvenirs, saggi scritti apposta per lei da Arthur Symons, il critico letterario che «esportò» Verlaine e i simbolisti Oltremanica; le poesie di Robert Graves e Laura Riding; i versi di Richard Aldington (suo è il bestseller della casa editrice, Last Straws); This Chaos di Harold Acton, per il quale Nancy è stata «la Gioconda degli anni Venti»; i primi trenta Cantos di Pound (A Draft of XXX Cantos); una raccolta di poesie di John Rodker, editore di Eliot e della «più bella edizione dei Cantos» di Pound, secondo la stessa Cunard. Le promette «qualcosa» James Joyce, «il mio visitatore più famoso in rue Guenégaud», dove si reca con insistenza in cerca di una raccomandazione per un suo amico, un cantante irlandese.
Non se ne fa nulla, né per la raccomandazione, né per l’opera da pubblicare. Ma la sua vera «scoperta» è Samuel Beckett. Nel senso che è la prima a pubblicarlo. In These were the Hours (pubblicato postumo nel ’69) la Cunard spiega il suo obiettivo di editrice: «Fare soprattutto poesia contemporanea di genere sperimentale – sempre cose molto moderne, pezzi brevi di grande qualità che, per loro natura, possono avere difficoltà a trovare editori commerciali». Così, a caccia di talenti nuovi, lancia un concorso: dieci sterline in premio all’autore della migliore poesia sul tempo, cento righe al massimo. Fino all’ultimo, Nancy e l’amico Aldington si trovano a leggere roba impubblicabile; ma, la notte della scadenza…
Qualcuno ha lasciato una poesia, si intitola Whoroscope; l’autore è sconosciuto, si chiama Samuel Beckett, è nato a Dublino e già questo lo rende simpatico alla Cunard che ha antenati illustri e ribelli anche in Irlanda, e comunque le basta scorrere i versi per capire che il vincitore del concorso è proprio lui.
E che felicità prova venticinque anni dopo, quando Aspettando Godot va in scena a Parigi e il mondo si accorge del merito che spetta al suo autore. Beckett le rimane sempre amico e affezionato; nel 1956 le scrive: «Ho ancora Negro comodo nella mia libreria, a differenza della maggior parte di ciò che avevo… E perfino qualche Whoroscope».
Le chiede di spedirgli una copia di Parallax, perché vorrebbe rileggerlo. Per l’antologia black Beckett ha tradotto diciotto saggi, fra cui un Manifesto dei Surrealisti francesi e un articolo su Louis Armstrong e il jazz; ha firmato per Henry-Music, versi dedicati alla musica di Henry Crowder, uno dei volumi di maggior pregio della Hours Press. Il loro legame dura per tutta la vita, anche se Beckett la trova sempre più esile e troppo «ossessionata» dalla questione spagnola.
Eppure, anche in questo caso, la Cunard dimostra il suo talento. Nel 1937 rimette in funzione la vecchia pressa Mathieu di Réanville per pubblicare sei pamphlet, o plaquettes, che finiscono sotto il titolo The Poets of the World Defend the Spanish people!. A stampare accanto a lei c’è Pablo Neruda, i versi, in inglese, spagnolo e francese sono di Tzara, Aragon, Hughes, García Lorca e W.H. Auden, di cui appare la controversa Spain.
Dopo le plaquettes è la volta di un questionario agli scrittori, un’idea nuova all’epoca: Nancy spedisce a tutti quelli che conosce (e non) delle domande sulla guerra, per capire da che parte stiano. Il volume che raccoglie le 148 risposte si intitola Authors Take Sides on the Spanish War: non pubblicata quella indimenticabile di George Orwell, che la prega di non scocciarlo più. Lui, in Spagna, si è appena preso una pallottola.
Dopo la guerra, la vita per Nancy non è più la stessa. La sua casa di Réanville è distrutta dai nazisti, il suo mondo è in pezzi. La madre l’ha diseredata da un decennio, al grido di: «Davvero mia figlia conosce un Negro?». Ha ancora degli amanti, sempre più giovani; continua a viaggiare, a bere troppo e a scrivere: nel ’54 e nel ’56 pubblica due biografie di George Moore e Norman Douglas, molto elogiate dalla critica. Rifiuta ogni proposta di scrivere la sua autobiografia (perciò bisogna accontentarsi di due biografie, comunque ricche di dettagli, una del ’79 di Anne Chisholm e una del 2007 di Lois Gordon).
Paga, più che mai, l’esclusione da un mondo per il quale lei è troppo diversa. E che l’ha punita, a modo suo: non potendole impedire la libertà di dire, scrivere e fare, per lo più ha tentato di negarle la patente della serietà intellettuale.
Descrivendo Lucy, l’anti-eroina di Punto contro punto, Huxley parla così (indirettamente) di Nancy: «Era tutto ciò che le persone, per invidia o per disapprovazione, dicevano di lei, eppure era la più squisita e meravigliosa delle creature». Muore sola, a Parigi, pochi giorni dopo avere compiuto 69 anni. Le sue ceneri sono al Père-Lachaise, il cimitero degli immortali.
Fonte Articolo scritto da Eleonora Barbieri per “il Giornale”
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