Dina Ferri: la giovane “poetessa-pastora” ora riscoperta
DINA FERRI
Dina Ferri nacque ad Anqua di Radicondoli (SI) il 29 settembre 1908. Pochi anni dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono in un podere a Ciciano nel comune di Chiusdino. La piccola Dina fu mandata presto dietro il gregge delle pecore; dopo i 9 anni frequentò le prime classi elementari della scuola del paese, ma dopo tre anni i genitori le fecero interrompere gli studi.Muore nel 1930 a soli ventidue anni, a Siena. Aveva un istinto naturale per la poesia e ci ha lasciato tutto nel suo “Quaderno del nulla”
Al pascolo
Mugghiano ai venti bianchi buoi pascenti lungo i declivi, tra i sonanti rivi. E vanno lenti ne’ chiaror silenti de’ tramonti d’oro. Sognan di lavoro.
Dicembre
Sotto vel di bianca brina dorme squallida natura non ha verde la collina non ha messi la pianura. Acqua, vento, neve, gelo, densa nube copre il cielo.
Non più nidi tra le fronde; non si perdono nel vento, non echeggiano gioconde le canzoni a cento a cento. Acqua, vento, neve, gelo, densa nube copre ‘l cielo.
Vorrei
Vorrei fuggire nella notte nera, vorrei fuggire per ignota via, per ascoltare il vento e la bufera, per ricantare la canzone mia.
Vorrei mirare nella cupa volta fise le stelle nella notte scura; vorrei tremare ancor come una volta, tremar vorrei, di freddo e di paura.
Vorrei passar l’incognito sentiero, fuggir per valli, riposarmi a sera, mentre ritorni, o giovinetto fiero, chiamando i greggi, e piange la bufera.
Alla rondine
Dimmi di mare rondine bruna, dimmi di mare, tu che lo sai; quando ne’ cieli sale la luna, cosa le stelle dicono mai?
Cosa ti dice l’onda turchina quando la notte veglia sui mari? Forse nel cuore di pellegrina sogni la gronda de’ casolari?
Pace
Udivo nel piccolo fosso sommesso gracchiare di rane; passava tra i rami di bosso sussurro di preci lontane.
Rideva nel cielo profondo pensosa la pallida luna; veniva, da lungi, giocondo un cantico lieve di cuna.
L’ombra
Chiesi un giorno a le nubi lontane quando l’ombra finisce quaggiù; mi rispose vicino una voce, una voce che disse: Mai più!
Alle stelle del cielo turchino, a la notte vestita di nero, io richiedo con timida voce, come allora, lo stesso mistero.
Io richiedo ne l’ombra la via e risogno la luce che fu; ma risento la solita voce; quella voce che dice: Mai più!
Partì
E’ spenta la querula voce
e c’è questa povera croce.
Partì per un lungo viaggio,
partì con le rose di maggio.
Fuggì nel silenzio, lontano,
e chiuse la piccola mano.
Non linda di crine la cucina;
ma pesa la terra, ma bruna.
DINA FERRI
Breve Biografia –Dina Ferri nacque ad Anqua di Radicondoli (SI) il 29 settembre 1908.Pochi anni dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono in un podere a Ciciano nel comune di Chiusdino. La piccola Dina fu mandata presto dietro il gregge delle pecore; dopo i 9 anni frequentò le prime classi elementari della scuola del paese, ma dopo tre anni i genitori le fecero interrompere gli studi. Prese qualche lezione di nascosto da una compagna di classe. Senza conoscere la metrica, iniziò a scrivere le sue impressioni poetiche che la bellezza della natura le produceva nell’animo. L’11 gennaio 1924 si tagliò tre dita della mano destra con il trinciafieno; per lenirne il dolore, i genitori la mandarono di nuovo alla scuola elementare, per frequentare la quale fece a piedi tutti i giorni circa dieci chilometri di strada. Notando il suo talento, l’ispettore scolastico persuase i genitori a inviare la bambina all’Istituto Magistrale e ottenne per lei un sussidio annuo dal Monte dei Paschi. Nel 1927 iniziò i corsi nell’Istituto di Santa Caterina di Siena, tornando a casa per le vacanze natalizie ed estive ed aiutando i genitori nella cura del gregge. A Siena, nonostante la rigida vita di Collegio, conobbe i più bei monumenti e l’arte della città e il 1º aprile 1928 assisté con commozione per la prima volta nella sua vita ad un concerto di Arthur Rubinstein che volle conoscerla. Il suo talento fu scoperto dal critico Aldo Lusini che pubblicò su La Diana un saggio delle poesie da lei composte e che ebbero subito una larga diffusione. La notorietà non la distolse dagli studi. Nel 1929 fu promossa alle Magistrali superiori. Un grave attacco d’influenza nell’inverno scosse la sua salute; in dicembre si allettò definitivamente e a febbraio fu portata all’Ospedale di Siena dove rimase in agonia per quattro mesi. Morì il 18 giugno 1930 a soli 22 anni. Dina Ferri teneva sempre un piccolo libro con sé, sul quale scriveva i suoi pensieri e le poesie. L’aveva intitolato Quaderno del nulla. Fu pubblicato nel 1931 dall’editore Treves e in ristampa nel 1999.Edizione Effigi copia anastatica a cura di Idiulio Dell’Era 2016.
Langston Hughes, “Queer Negro Blues” Marco Saya Edizioni,
Descrizione-Le « chansons vulgaires » di Langston Hughes-Nota a cura di Luca Cenacchi, introduzione al testo e traduzione di Alessandro Brusa-Rivista«Atelier»-Queer Negro Blues (Marco Saya Edizioni, 2023) raccoglie le prime due raccolte pubblicate dal poeta: The Weary Blues (1926) e Fine Clothes to the Jew (1927). Alessandro Brusa, curatore del libro, decide di tradurre quella parte dell’opera di Hughes talvolta lasciata a piè di pagina e in un’articolata quanto ben documentata introduzione argomenta le ragioni dell’audace titolo, il quale ben contestualizza i testi di questa antologia all’interno del panorama culturale dell’Harlem Renaissance. Hughes interseca nelle sue chansons vulgaires il concetto di New Negro, il blues il jazz e rappresentazioni queer. In questo articolo ci si occuperà principalmente della rappresentazione dei night club di Harlem e in che modo essa possa essere letta come una vera e propria “eterotopia blues e queer”. Per chiarezza espositiva si riporteranno le traduzioni delle poesie citate nei paragrafi e in calce all’articolo il testo in lingua.
Regolamentazione della vita notturna durante l’Harlem Renaissance
Le rappresentazioni queer presenti in questa antologia dei night club di Harlem differiscono notevolmente dall’immaginario odierno: i testi stessi, infatti, non descrivono apertamente la queerness dell’autore, ma al contrario tendono a dissimularla lasciando il tutto, o quasi, all’interpretazione. Pertanto non ci sono elementi probanti sull’orientamento effettivo di Hughes e questo è ancora territorio di speculazione. Tale elemento però, come rimarca Brusa stesso, è irrilevante poiché lo statuto di queer di questi luoghi ha una motivazione prima di tutto storica: infatti i night clubs coinvolgono un bacino di utenza estremamente diversificata per orientamenti sessuali, costumi ecc… e proprio per questa loro eterogeneità sono luoghi che hanno visto una severa regolamentazione e soventemente subivano incursioni della polizia.
Il provvedimento più importante a danno di questi spazi è la normativa statunitense??? del 1907 che interdiceva l’attività dei night club oltre un orario specifico. Infatti l’after-hours notturno ad Harlem poteva essere il lasso temporale in cui si espandevano i limiti della socialità tradizionale e pertanto divenivano centri di tolleranza per la cultura LGBTQI+, la quale si mescolava ad altre realtà come quella criminale. Come riporta Shane Vogel, a molti di questi locali veniva revocata la licenza a causa di una sorta di oltraggio alla decenza: «In una lettera al commissario di polizia, in cui lo informava del cambio legislativo, il sindaco dichiarò: “Le persone che frequentano questi luoghi dopo l’orario di chiusura non sono di norma persone rispettabili. Sono volgari, rozzi e spesso apertamente immodesti. Si ubriacano, si comportano in modo chiassoso e si abbandonano a balli lascivi in sale dedicate a tale uso. È ora di porre fine a tutte queste orge volgari. Ho revocato tutte queste licenze a partire dal 1° aprile prossimo”. L’una di notte divenne nota come “ora di Gaynor”; di frequente si sentivano storie di gestori e avventori che sfidavano la polizia e che venivano allontanati con la forza.»[1]
Questa specifica direttiva storiografica aiuta quindi a mettere in prospettiva i vari elementi disseminati da Hughes all’interno di alcune poesie presenti all’interno di questa antologia e a comprendere come l‘autore unisse l’ondata New Negro alla queerness dei locali di Harlem rappresentando pertanto all’interno delle proprie chansons vulgaires (canzoni volgari) un’eterotipia blues e queer.
Le “canzoni volgari” di Hughes: l’eterotipia dei night clubs
Il night club delle poesie di Hughes, quindi, non è solo l’ambiente in cui la socialità queer emerge, ma essa è inserita in un ampio “ecosistema” notturno dalle complesse dinamiche. Questo rende i locali di Harlem una vera e propria eterotipia di deviazione secondo la definizione foucaultiana dell’omonimo saggio: spazi differenti […], luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo. Queer Negro Blues, per l’eterogeneità intrinseca di questi ambienti, è un insieme di “canzoni volgari”, come le definisce l’autore, di grande eterogeneità. Infatti la figuralità naturalistica – quasi da egloga – tipica di alcune poesie per descrivere le spogliarelliste (Nude Young Dancer) viene affiancata da altri componimenti dal tono cronachistico, i quali descrivono la drammaticità della vita delle sex workers africane del primo Novecento (Young Prostitute).
Giovane ballerina nuda
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Notturna anima danzante nell’ora più confusa?
Quale immensa foresta ha steso il proprio profumo
Che come dolce velo sul tuo giaciglio riposa?
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Tu nera come la notte e dalle anche vivaci?
Quale livida luna ti è stata madre?
A quale candido ragazzo hai offerto i tuoi baci?
*
Giovane prostituta
Quella sua faccia scura
È come un fiore appassito
Su di uno stelo spezzato.
Quelle così vengono via a poco ad Harlem
O almeno così si dice.
L’eterogeneità, tuttavia, non è il solo risultato dell’unione dei molteplici tasselli con cui Hughes fornisce un’immagine di Harlem, ma, coerentemente con il saggio foucaultiano precedentemente citato, il night club è anche il luogo in cui le barriere della società diurna vanno a cadere, permettendo l’interazione di molteplici tipi sociali. Pertanto, oltre al loro intrinseco statuto contestativo, questi luoghi raccontano – anche attraverso personaggi – la vita del tempo senza censure, o quasi. Questo dettaglio acquisisce ulteriore rilevanza se si pensa che le leggi Jim Crow (1870-1964), che prevedevano la segregazione razziale nei servizi pubblici e passate alla storia col motto separate but equal [separati ma uguali], erano ancora in vigore.
Ballerini Negri
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Luci soffuse sui tavoli,
Musica allegra
Delinquenti dalla pelle scura
In un cabaret.
Amici bianchi, ridete!
Amici bianchi, pregate!
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Raccontare la vita senza barriere, però, significa anche farne emergere la complessità e soprattutto la contraddittorietà; per questo, in Queer Negro Blues, immagini ricorrenti come la notte e il rapporto tra l’autore e gli altri afro-americani è spesso ancipite, come ad esempio in Mulatto (o High Yellow, nella versione inglese).
Il night club, quindi, anche in relazione al contesto storico-politico del tempo, si impone come spazio altro non normato, in cui le divisioni della vita diurna venivano totalmente ristrutturate.
Alcune osservazioni sulla queerness dell’antologia: la wilderness marittima
Come si anticipava inizialmente, la queerness dell’autore è stata ampiamente dibattuta e le aperte rappresentazioni letterarie che egli ne dà (poesie come Café: 3 a.m. o la descrizione del ballo in drag nella sua autobiografia oppure il racconto Blessed Assurance sul rapporto tra un ragazzo omosessuale e suo padre) sono successive ai testi riportati in questa antologia. Come il traduttore, però, fa notare: «Nei testi di Hughes, così come in quelli di McKay, di Cullen e ovviamente di Nugent, il desiderio omosessuale è spesso nascosto o mistificato.»[2]. Questo era dovuto alla persistente omofobia della comunità nera tutt’ora perdurante, come testimonia Michael L. Cobb che: «non esita a dare la colpa alla forte omofobia presente, ora come allora, nella comunità artistica, e non solo di colore; si veda, ad esempio, ancora ai giorni nostri, l’omofobia presente nei testi di numerosi artisti neri». Brusa, pertanto, osserva come Hughes ed altri, soprattutto nei primi lavori, avrebbero tutti ereditato il topos whitmaniano dei loving comrades per celare la propria queerness. È interessante notare che molte delle poesie in questione (Long-trip, Boy, Water-Front Trips Port Town ecc…) connotino il mare come utopia (Water-Front Streets) oppure come luogo selvaggio/incontaminato connesso ad una pulsionalità vitale, giocando sulla polisemia di wilderness e sull’ambiguità intrinseca di verbi come dip, dive, rise e roll all’interno del componimento, che rendono le descrizioni metafora tanto dell’amplesso quanto della burrasca, per non parlare dei verbi hide/hidden che sono la prova più ovvia della dissimulazione di cui parlava Brusa. Se il night club era il luogo in cui inedite interazioni sociali emergevano, il mare è territorio liminale in cui l’umano viene lasciato a piè di pagina e di conseguenza ogni rapporto di forza viene realmente a cadere: la wilderness pertanto non è uno spazio cronachistico, ma eminentemente lirico. Infatti le miserie dei personaggi, la lotta razziale, la scansione della giornata e infine l’alternanza stessa di genere si dissolvono.
Fronte del Porto
La primavera qui non è così bella,
Ma navi da sogno prendono il mare
Verso luoghi di primavere meravigliose
E la vita è gioia da amare
La primavera qui non è così bella
Ma i ragazzi si avventurano in mare
Portano bellezze nel cuore
E sogni, come anche io so fare.
*
Porto di Mare
Hey, marinaio,
Rientrato dal mare!
Hey, marinaio,
Con me devi venire!
Dai su, bevi un cognac.
O forse vuoi del vino?
Dai su vieni qui, io ti amo.
Vieni qui e non dirmi di no.
Dai su, marinaio,
Uscito dal mare.
Andiamo, dolcezza!
Con me devi venire.
*
Lungo Viaggio
Il mare è desolata distesa d’onde,
Un deserto d’acqua.
Ci tuffiamo e ci immergiamo,
Ci innalziamo e barcolliamo,
Ci nascondiamo e veniamo nascosti
Nel mare.
Giorno, notte,
Notte, giorno,
Il mare è un deserto d’onde,
Una desolata distesa d’acqua.
Testi in inglese
Nude young dancer
What jungle tree have you slept under,
Midnight dancer of the jazzy hour?
What great forest has hung its perfume
Like a sweet veil about your bower?
What jungle tree have you slept under,
Night-dark girl of the swaying hips?
What star-white moon has been your mother?
To what clean boy have you offered your lips?
*
Young prostitute
Her dark brown face
Is like a withered flower
On a broken stem.
Those kind come cheap in Harlem
So they say
*
Negro Dancers
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Soft light on the tables,
Music gay,
Brown-skin steppers
In a cabaret.
White folks, laugh!
White folks, pray!
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
*
Water-Front Streets
The spring is not so beautiful there,-
But dream ships sail away
To where the spring is wondrous rare
And life is gay.
The spring is not so beautiful there,
But lads put out to sea
Who carry beauties in their hearts
And dreams, like me.
*
Port Town
Hello, sailor boy,
In from the sea!
Hello, sailor,
Come with me!
Come on drink cognac.
Rather have wine?
Come here, I love you.
Come and be mine.
Lights, sailor boy,
Warm, white lights.
Solid land, kid.
Wild, white nights.
Come on, sailor,
Out o’ the sea.
Let’s go, sweetie!
Come with me.
*
Long Trip
The sea is a wilderness of waves,
A desert of water.
We dip and dive,
Rise and roll,
Hide and are hidden
On the sea.
Day, night,
Night, day,
The sea is a desert of waves,
A wilderness of water.
Langston Hughes
Alessandro Brusa è nato a Imola nel 1972 e vive a Bologna.Ha pubblicato due romanzi: Il Cobra e la Farfalla (Pendragon 2004) e L’Essenza Stessa (L’Erudita 2019) e tre raccolte di poesia: La Raccolta del Sale (Perrone 2013), In Tagli Ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Perrone 2017) e L’Amore dei Lupi (Perrone 2021). Suoi testi poetici ed in prosa sono apparsi su antologie e riviste, cartacee ed online, sia in Italia sia, in traduzione, negli Stati Uniti, Francia, Belgio, Romania, Spagna ed America Latina. Accompagna il lavoro di scrittura a quello di traduzione dall’inglese con testi pubblicati su riviste online e cartacee (Testo a Fronte, NazioneIndiana, MediumPoesia, InversoPoesia, Le Voci della Luna, PoetarumSilva, La Macchina Sognante). A maggio 2023 esce Queer Negro Blues (Marco Saya 2023) traduzione e curatela di una selezione antologica di testi del poeta americano Langston Hughes.
Luca Cenacchi si occupa principalmente di critica letteraria con particolare interesse verso la poesia queer italiana. Ha collaborato con varie riviste online e cartacee tra cui: Argoonline, Poetarum Silva, Atelier (cartaceo), Niederngasse, FaraPoesia e altri. Ha collaborato con diverse case editrici, per cui ha firmato prefazioni e interventi, tra cui: Oedipus, Atelier, Fara editore e Tempo al Libro. È stato giurato presso vari concorsi letterari tra cui Bologna in Lettere (Dislivelli 2018). Attualmente collabora con il collettivo forlivese Candischi con cui organizza presentazioni di poesia.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
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Descrizione del libro Mille e una Callas-Voci e studi-A cura di Luca Aversano e Jacopo Pellegrini-Quodlibet S.r.l.-Tutti hanno sentito il suo nome, molti hanno udito la sua voce.La parabola spettacolare di un’artista che conobbe un’ascesa scabrosa benché non avara di riconoscimenti, fino a un culmine breve come tutti i culmini, e una prolungata, malinconica discesa verso una brusca morte misteriosa, ha ispirato romanzi, poesie, testi teatrali e musicali, spettacoli di danza, film, programmi radiofonici e televisivi. Crisalide mutatasi in icona di eleganza femminile, la greco-americana si fece italiana, anzi veneta (di Verona) e poi milanese, per finire francese o quasi: l’essenza internazionale del melodramma italiano non poteva essere sancita in forma più apodittica. Il suo canto, ora osannato ora censurato, il suo stile interpretativo paragonato alle grandi voci dell’Ottocento, le sue riconosciute facoltà di attrice hanno riportato prepotentemente l’opera lirica al centro del dibattito intellettuale, hanno aperto nuovi sentieri nel repertorio, hanno contribuito a rafforzare in Italia il ruolo della regìa operistica. Maria Callas (1923-1977) è tutto questo. Per la prima volta, filosofi, storici della letteratura, dell’arte, del teatro, del cinema, della danza, della moda, sociologi della comunicazione indagano gli effetti della sua presenza umana e artistica nella sfera dello spettacolo e del costume sociale. Lo studio del lascito artistico è affidato ai musicologi, impegnati anche a delineare possibili metodologie per un terreno di ricerca ancora poco dissodato – almeno in Italia – quale è l’interpretazione musicale. Dei ricordi parlano testimoni diretti e amici del grande soprano.
ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere, 1948/51: “Basta vivere da uomini, cioè cercare di spiegare a se stessi il perché delle azioni proprie e altrui, tenere gli occhi aperti, curiosi su tutto e tutti, sforzarsi di capire; ogni giorno di più l’organismo di cui siamo parte, penetrare la vita con tutte le nostre forze di consapevolezza, di passione, dì volontà; non addormentarsi, non impigrire mai; dare alla vita il suo giusto valore in modo da essere pronti, secondo le necessità, a difenderla o a sacrificarla. La cultura non ha altro significato”.
Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) la sua vita e le sue opere, dalla fondazione del partito comunista alla prigionia in epoca fascista. Un uomo il cui pensiero politico ha influenzato tutto il Novecento. In questo filmato, tratto dal programma Comunisti d’Italia di Rai Play, il regista Carlo Lizzani racconta la figura dell’uomo politico italiano, filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario, considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo.
Nome completo Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, nasce nel 1891 ad Ales, in provincia di Cagliari, quarto di sette fratelli. Si trasferisce nel 1911 a Torino per frequentare la facoltà di Lettere e Filosofia, entra in contatto con il movimento socialista e si iscrive al Partito Socialista. Nel 1919 fonda L’Ordine Nuovo, che dissente col Partito Socialista e con l’Avanti! riguardo ai consigli di fabbrica che stanno occupando le industrie un po’ in tutta Italia. Nel 1921 a Livorno è tra i fondatori del Partito Comunista italiano, nel 1924 viene eletto deputato ed è segretario del partito fino al 1927. Delegato italiano nell’esecutivo dell’Internazionale, in Russia Gramsci studia gli sviluppi della dittatura del proletariato. A Mosca conosce la violinista Giulia Schucht, che diventa sua moglie e dalla quale ha due figli. L’8 novembre del 1926, a causa delle leggi eccezionali contro gli oppositori, è arrestato dalla polizia fascista e condannato a vent’anni di reclusione. In cella Gramsci scrive I Quaderni dal carcere, che saranno in tutto 33 e consistono in uno sviluppo originale ed estremamente approfondito della filosofia marxista. L’aggravarsi delle sue condizioni di salute portano prima al suo ricovero in clinica e poi alla libertà condizionale. Muore per un’emorragia celebrale il 27 aprile del 1937.
Barocco sarà Lei! Ovvero la tirannia dello zotico di Sergio Sozi
Oggi, senza avere la minima idea di cosa storicamente esso sia, si dà del barocco a un testo narrativo per il desiderio di offenderlo, di stroncarlo o denigrarlo, e si parla dei vocaboli poco diffusi (letterari, arcaici, insueti o desueti che siano) in modo pedissequamente negativo, come se, all’interno di un romanzo del 2025, quelle parole fossero pecche o sbagli ortografici, strafalcioni grammaticali, roba che declassa un testo. E non basta. Il dialogo diretto, soprattutto se uscente dalla bocca di un personaggio di giovane età, DEVE rigettare il modo Congiuntivo e la sintassi italiana corretta fino a esprimere una colloquialità totalmente sgrammaticata (che oggi molti in realtà cercano di evitare, ma che INVECE l’autore, secondo la vulgata popolareggiante, DEVE riprodurre nel parlato letterario per non sembrare sofisticato. Ipercorrettismo al contrario: iperscorrettismo; cos’altro se no?).
Barocco
Poi i refusi e gli errori concettuali nessuno li vede, sono stati del tutto sdoganati, ma provate a utilizzare un termine che il lettore non conosce e costui (invece di andarselo a cercare sul dizionario) vi dirà subito che scrivete in maniera incomprensibile, astrusa e inutilmente sofisticata, pleonastica, retorica, artificiale, oppure del tutto classista: letteratura arida ed elitaria prodotta da persona presuntuosa, polverosa, vecchia e con la puzza sotto il naso, nonché destinata alla fruizione di autocompiaciuti e malsani eruditi, tutta una ghenga di gentaccia rimasta con la testa ai tempi in cui Berta filava, Virgilio poetava e Gadda baroccava alla faccia dei perbenisti/conformisti – perché cosa credete che sia l’antiletterarietà del 2025, se non un ennesimo vento di masaniellitudine italiana, un continuo affermare la becera e conformistica convinzione che scrivere sia oggi compito permeato di realismo e insofferenza alle convenzioni borghesi (come se invece le convenzioni demagogiche del Duemila siano migliori, come se lo scrittore attuale, per essere apprezzabile, debba andare incontro al peggio del peggio esistente in Italia, debba marcire nel bassofondo e nella suburra nazionale, debba assimilare e adottare la strafottente ignoranza del non-lettore per poter essere stimato e adottato dal lettore). La solita, per me noiosissima e risaputa, vecchia (questa sì) propensione alla degenerazione, al brutto, al cacofonico e al caotico. E più – già a partire dal titolo – si è americanizzati e globalizzati nello stile e nelle tematiche, più si è psicotici e delinquenziali, violenti ed erotomaniacali, meglio si scrive. L’elogio del tossico e del pessimo: questo si è ridotta a celebrare l’arte del narrare in lingua italiana, oggi.
In verità, dietro all’imperante bruttura che ho descritto (non asserito, descritto, siccome la vedo con i miei occhi intorno a me), si nascondono problemi di persone ultratrentenni o pure più grandi che hanno un’età mentale e una immaturità culturale, letteraria e spesso complessiva da ragazzini delle scuole Elementari degli Anni Sessanta. L’involuzione del cittadino italiano accettato e idoneo alla vita del 2025 è palpabile: egli è REGREDITO in tutti i sensi, in ogni campo. E niente lo farà mai crescere e maturare, nulla gli darà appagamento artistico, piacere nello studio e nello sforzo interpetativo – figuriamoci la lettura: bene voluttuario di un altro evo, forma d’espressione che richiede concentrazione e umiltà, applicazione, riflessione, tutte cose che l’adulto del Duemila non ha, o se le ha le dedica ad altri campi, in primis al lavoro, alla professione che porta soldi. Siamo in un’epoca ottusa e rozza in cui non si cresce, non si migliora, non si ama l’arte per l’arte, si fa solo commercio di tutto il commerciabile e sogni, eleganza, rigore, bellezza e poesia vadano a impiccarsi.
Tutto questo proliferare quotidiano di attacchi alla letteratura colta, elaborata e fine, dunque, direi per chiudere, serve solo, tutto sommato, a giustificare, anzi a coprire la propria crassa ignoranza e pigrizia, il proprio sottosviluppo complessivo: poi, da quando un certo Pennac ha dichiarato i diritti del lettore, ogni difficoltà di comprensione è colpa dello scrivente, mai del lettore. Il lettore del 2025, come il cliente dei negozi, ha sempre ragione. Ricorrere al dizionario o alla grammatica? No, siamo matti! È il testo a dover essere leggibile da tutti, al livello del fruitore. Sempre. Sempre più in basso.
Elena Denisa Alexandru – Poesie Inedite pubblicate dalla Rivista Atelier
Elena Denisa Alexandru ha pubblicato poesie su varie riviste e blog letterari, tra i quali Inverso, Avamposto online e cartaceo (n.1), Margutte, ed Euterpe.
[A f. per i chiari di Luna]
– S. Ivo alla Sapienza
Per terminare la foce della Sapienza
era necessario commuoversi sulle tue
labbra, attendere il basamento nella
tua bocca; la lingua a scavare nei
tuoi occhi verdi. Quasi al mezzo tono
noi due ci amiamo: simili ad illimitati toni,
in fuga dal pentagramma, le lettere noi
sedimentiamo nel pianto. Sulla lanterna
in cima alla Sapienza l’ottava si trapassa,
nella carcassa sospesa, le bocche sfiniscono.
Tu sei nella cariatide arcaica, nel mio fluido
sfoghi il sangue. Non attendere la fine della
Sapienza. Ascolta il canto della mia confessione.
*
– S. Maria della Vittoria
L’incenso adesso invoca le gote pallide; la bocca
trabocca di baci, trabocca la brocca di baci. Non
basta attendere un tempo intero per saturarsi, le
cime scivolano sulle fronti, di cento in cento s’
addensano sulle gote, di mille in mille vogliono
sacrificarsi in lacrime, obliare le fonti vuote. I
bianchi nembi celano la tua arcana nudità, senti
come lievemente trafiggo il candido, ti vengo
incontro. Dopo, io e te tenuti per mano io
con te felici insieme fioriamo nella Luna pallida.
*
Martirii ( Sacro cuore di Gesù)
Sono stato in alcuni posti, senza di te
che grattavi la pelle via dal volto.
Di sasso in sasso, non ti giravi più di
spalle per farti mordere, non velavi
più le lacrime sul viso dissetato, le contrazioni
del depressore, dell’orbicolare affrescati
sulla parete. Una volta apertosi il cielo
il ventre si distenderà ad accogliere l’
intradosso, la luce divaricherà i piedritti, la
steppa che ti correva dietro. Sono stato epodico
senza di te. Il Michele era seduto sul trono
in pietra, si infilzava gli occhi verdi
con la punta della spada. Nell’istante passato
a 20 metri mortifichiamo la salsedine, il ferro freddo.
Tra 20 metri guardami: io sarò tornato da te.
*
Dispersioni (S. Maria Immacolata)
Non tutto l’essere può essere presente, ci si
ostina ad attraversare le spoglie tanto da
disperdere l’immagine apparsa di
recente. Ora già rinasciamo coperti dalla
sacra melma secreta dai riposi della Lucia,
ora anche il Danubio si soffre immerso
nell’amniotico. Tu dici portami, resistimi
al guado, io velato d’un zendado. Tu dici
offrimi nell’abside, forami con le trifore,
versami nella tua gola –sulle navate
incise le tue grida, sulle navate sofferti
i rari esametri. Vieni, un giorno siamo
giovani, ci ricordiamo nei salici all’
angolo dei nostri corpi. Il giorno
dopo, la notte si sveste tra la luna
e il fuoco, incide il velo, scopre il capo.
A tratti poi, il tuo sorriso intimorisce
la parola, germogliano i distici miei
tra le tue labbra, vivono nel tuo blando
respirare. Ci si disperde certe volte.
*
Eliotropio (S. Susanna alle Terme)
Sono rimasto sperduto nelle tue spoglie,
mi radico inconsapevole nella città lontana,
quasi tu fossi il mondo. Là uno sguardo
resiste il fondo. Attendo, persisto il confine,
sconfino nel pianto. Nelle lacrime noi
mortifichiamo i vent’anni, sfioriremo
nel perdonarci delicatamente all’una
e mezzo di notte. Saremo Cassandre sole.
Biografia di Elena Denisa Alexandru ha pubblicato poesie su varie riviste e blog letterari, tra i quali Inverso, Avamposto online e cartaceo (n.1), Margutte, ed Euterpe.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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Antonio Nazzaro – Poesie Inedite pubblicate dalla Rivista AtelierRivista Atelier-
Antonio Nazzaro (Torino, Italia, 1963). Giornalista, poeta, traduttore, video artista e mediatore culturale. Fondatore e coordinatore del Centro Cultural Tina Modotti. È direttore di diverse collezioni di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici.
* * *
adesso che non ho più il silenzio
ma un fischio senza fine
sento solo il silenzio degli altri
quello a fare solitudine
la lingua incagliata tra i denti
della parola non detta
quella di un mondo del lavoro
a negare la dignità senza dire
orfano di terra di madre
parlo con te acufene
un ascoltare te
che non ascolti me
*
sono una conchiglia di terra
muovo passi sul mattino alpino
alla finestra lo sguardo
fa il cielo mare piatto
sono una conchiglia
l’orecchio porta nella testa
l’eco degli oceani e dei mari
tutti quelli possibili dell’emigrante
l’acufene seduto sul lobo
canta mille lingue e terre
in un solo fischio
*
sento il canto delle sirene d’Ulisse
il richiamo dell’onda mediterranea
il frangersi della spuma degli oceani
il muoversi lento del lago
il vento a spazzare le strade d’Europa
il ciclone a scuotere le palme caraibiche
il turbinio delle foglie d’autunno
il pizzicare della cetra sull’incendio di Roma
il ritmo del charango sulla povertà dei barrios
il ballo del tango e delle balere di periferia
il suono dell’arte continuo
come Van Gogh lascio
l’orecchio sul comodino
a sentire lo scorrere del Rodano
a passare senza posa come un acufene
*
Antonio Nazzaro
non mi perderò nella nebbia densa di Londra
trafitta dal canto perduto di Trafalgar
né in quella spessa dell’Eridano
a riecheggiare le urla della batracomiomachia
né in quella impigliata alle cime andine
attraversata dal fischiettare del Libertador
né in quella versata da Atena sulle coste d’Itaca
a nascondere lo sguardo d’Ulisse
né in quella dolce addormentata sulle Highlands
tessuta dagli elfi dell’acqua
il fedele acufene destriero dello stridio
dalle nebbie richiama alla terra
e non si può perdere il cammino
solo seguire l’infinito sibilo
*
ho un dio nella testa
sicuramente ortodosso
non scende mai dal pulpito
o dal minareto
la sua chiamata è costante
si è rubato il silenzio
confonde le parole sulla lingua
e gioca a girarmi intorno a farmi girare
è un demiurgo che non smette di battere
uno stakanovista dimenticato in miniera
sbatte come il vento le finestre
e si porta via i pensieri
anche quelli amorosi soffia via
lasciandomi in una solitudine piena
piena di lui ovviamente
e non è neanche bello
sembra un neon impazzito
che non smette di vibrare la luce
tutti mi dicono di non pensarci
ma lui non smette di pensarmi
acufene l’allarme che
un ladro non sa spegnere
Antonio Nazzaro
Biografia di Antonio Nazzaro (Torino, Italia, 1963). Giornalista, poeta, traduttore, video artista e mediatore culturale. Fondatore e coordinatore del Centro Cultural Tina Modotti. È direttore di diverse collezioni di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici. Ha pubblicato le sillogi: Amore migrante e l’ultima sigaretta (RiL Editores, Chile; Arcoiris, Italia, 2018), Corpi Fumanti (Uniediciones, Bogotá, 2019) e Diario amoroso senza date, Fotoromanzo poetico (Edizioni Carpa Koi, Italia, 2021), La dittatura dell’amore (Edizioni Delta 3, collezione Aeclanum, Italia, 2022). Un libro di racconti brevi: Odore a (Edizioni Arcoiris, Italia, 2014) e il libro di cronaca e poesia: Appunti dal Venezuela, 2017, Vivere nelle proteste (Edizioni Arcoiris, Italia, 2017). Suoi testi sono stati pubblicati in differenti lingue su riviste e antologie nazionali e internazionali.
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Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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Hermann Hesse-Poesie-Premio Nobel per la letteratura nel 1946-
Hermann Hesse-Scrittore tedesco (Calw, Württemberg, 1877 – Montagnola, presso Lugano, 1962). Autore tra i più significativi della prima metà del Novecento, nelle sue opere esplorò i territori della ricerca spirituale individuale spingendosi oltre ogni convenzione culturale e letteraria. Influenzato di lontano dal pietismo fiorito nella patria sveva, si rivolse al mondo orientale alla ricerca di un’umanità purificata, al di là dei contrasti del mondo moderno; determinante a tale riguardo fu l’incontro con la psicanalisi. Premio Nobel per la letteratura nel 1946, tra le sue opere più importanti occorre citare Demian (1919), Siddhartha (1922) e Der Steppenwolf (1927).
IO TI CHIESI
Io ti chiesi perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.
Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste.
“Tienimi per mano”
Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…
Tienimi per mano…
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano…
nei giorni in cui mi sento disorientato…
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate…
Tienimi la mano,
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te…
Tienimi per mano e non lasciarmi andare…
mai…
Felicità: finché dietro a lei corri
non sei maturo per essere felice,
pur se quanto è più caro tuo si dice.
Finché tu piangi un tuo bene perduto,
e hai mete, e inquieto t’agiti e pugnace,
tu non sai ancora che cos’è la pace.
Solo quando rinunci ad ogni cosa,
né più mete conosci né più brami,
né la felicità più a nome chiami,
allora al cuor non più l’onda affannosa
del tempo arriva, e l’anima tua posa.
CANZONE DI VIAGGIO
Sole, brilla adesso dentro al cuore,
vento, porta via da me fatiche e cure!
Gioia più profonda non conosco sulla terra,
che l’essere per via nell’ampia vastità.
Verso la pianura inizio il mio cammino,
sole mi fiammeggi, acqua mi rinfreschi;
per sentire la vita della nostra terra
apro tutti i sensi in festa.
Hermann Hesse
SCRITTO SULLA SABBIA
Che il bello e l’incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d’artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d’oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
– effimeri-, non raggiungono il fondo dell’anima.
No, il bello più profondo e degno dell’amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d’aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.
Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d’ali d’uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.
SULL’AMORE
Si chiama amore ogni superiorità,
ogni capacità di comprensione,
ogni capacità di sorridere nel dolore.
Amore per noi stessi e per il nostro destino,
affettuosa adesione ciò che l’Imperscrutabile
vuole fare di noi anche quando
non siamo ancora in grado di vederlo
e di comprenderlo –
questo è ciò a cui tendiamo.
Hermann Hesse
PERCHE’ TI AMO
Perché ti amo, di notte son venuto da te
così impetuoso e titubante
e tu non me potrai più dimenticare
l’anima tua son venuto a rubare.
Ora lei e’ mia – del tutto mi appartiene
nel male e nel bene,
dal mio impetuoso e ardito amare
nessun angelo ti potrà salvare.
TI PREGO
Quando mi dai la tua piccola mano
Che tante cose mai dette esprime
Ti ho forse chiesto una sola volta
Se mi vuoi bene?
Non è il tuo amore che voglio
Voglio soltanto saperti vicina
E che muta e silenziosa
Di tanto in tanto, mi tenda la tua mano
IL PRINCIPE
Volevamo costruire assieme
una casa bella e tutta nostra
alta come un castello
per guardare oltre i fiumi e i prati
su boschi silenti.
Tutto volevamo disimparare
ciò che era piccolo e brutto,
volevamo decorare con canti di gioia
vicinanze e lontananze,
le corone di felicità nei capelli.
Ora ho costruito un castello
su un’estrema e silenziosa altura;
la mia nostalgia sta là e guarda
fin alla noia, ed il giorno si fa grigio
– principessa, dove sei rimasta?
Ora affido a tutti i venti
i miei canti arditi.
Loro devono cercarti e trovarti
e svelarti il dolore
di cui soffre il mio cuore.
Devono anche raccontarti
di una seducente infinita felicità,
devono baciarti e tormentarti
e devono rubarti il sonno –
principessa, quando tornerai?
Hermann Hesse
VIENI CON ME
Vieni con me!
Devi affrettarti però –
sette lunghe miglia
io faccio ad ogni passo.
Dietro il bosco ed il colle
aspetta il mio cavallo rosso.
Vieni con me! Afferro le redini –
vieni con me nel mio castello rosso.
Lì crescono alberi blu
con mele d’oro,
là sogniamo sogni d’argento,
che nessun altro può sognare.
Là dormono rari piaceri,
che nessuno finora ha assaggiato,
sotto gli allori baci purpurei –
Vieni con me per boschi e colli!
tieniti forte! Afferro le redini,
e tremando il mio cavallo ti rapisce.
SONO UNA STELLA
Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
che mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell’orgoglio e dall’orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.
ANNIVERSARIO
Nel suo vecchio splendore ardente
ed in tutto lo sfarzo voluttuoso
oggi si alza davanti a te l’intero sogno
di quella notte calda d’estate.
E tremando di passioni trasognate,
premi disperandoti con feroce ardore
le piene, belle, spesso baciate
e rosse labbra sulla mia immagine.
Hermann Hesse
STANCO D’AMORE
Nei rami s’addormenta cullando
il vento stanco. La mia mano
lascia un fiore rosso sangue
morire lacerato sotto un sole rovente.
Ho già visto fiorire e morire
molti fiori;
vengono e vanno gioie e dolori,
e custodirli nessuno può.
Anch’io ho sparso
nella vita il mio sangue;
non so però, se mi dispiace,
so solo, che sono stanco.
Hermann Hesse
ROSA PURPUREA
Ti avevo cantato una canzone.
Tu tacevi. La tua destra tendeva
con dita stanche una grande,
rossa, matura rosa purpurea.
E sopra di noi con estraneo fulgore
si alzò la mite notte d’estate,
aperta nel suo meraviglioso splendore,
la prima notte che noi godemmo.
Salì e piegò il braccio oscuro
intorno a noi ed era così calma e calda.
E dal tuo grembo silenziosa scrollasti
i petali di una rosa purpurea.
COME PESANO
Come pesano queste giornate!
Non c’è fuoco che possa scaldare,
non c’è sole che rida per me,
solo il vuoto c’è,
solo le cose gelide e spietate,
e perfino le chiare
stelle mi guardano sconsolate
da quando ho saputo nel cuore
che anche l’amore muore.
Hermann Hesse
Biografia di Hermann Hesse-Scrittore tedesco (Calw, Württemberg, 1877 – Montagnola, presso Lugano, 1962). Autore tra i più significativi della prima metà del Novecento, nelle sue opere esplorò i territori della ricerca spirituale individuale spingendosi oltre ogni convenzione culturale e letteraria. Influenzato di lontano dal pietismo fiorito nella patria sveva, si rivolse al mondo orientale alla ricerca di un’umanità purificata, al di là dei contrasti del mondo moderno; determinante a tale riguardo fu l’incontro con la psicanalisi. Premio Nobel per la letteratura nel 1946, tra le sue opere più importanti occorre citare Demian (1919), Siddhartha (1922) e Der Steppenwolf (1927). Figlio di un missionario protestante e della figlia di un missionario cultore di orientalistica, fu anch’egli avviato a studi teologici, che però non concluse. Dedito stabilmente alla letteratura a partire dal 1904, si trasferì in Svizzera, di lì intraprendendo viaggi fra cui particolarmente importante quello compiuto in India nel 1911. Durante la prima guerra mondiale, cui fu avverso quale pacifista e antinazionalista, si occupò di assistenza ai prigionieri. Divenne cittadino svizzero nel 1923. Fra i molti riconoscimenti che ottenne nella seconda parte della sua lunga vita figura anche il premio Nobel per la letteratura (1946). <em>Esordì con Romantische Lieder (1899), iniziando una maniera che ha fatto parlare di lui come dell'”ultimo paladino del Romanticismo”. Seguirono, sotto pseudonimo, Hinterlassene Schriften und Gedichte von Hermann Lauscher (1901), fogli di diario di un sognatore alla ricerca di una via per uscire dal proprio isolamento. Dopo le due biografie Franz von Assisi e Boccaccio (1904), prima autentica affermazione di H. fu il Peter Camenzind (1904). Autobiografico è il successivo romanzo Unterm Rad (1906). Melanconica ironia si nota nei racconti riuniti in Diesseits (1907), Nachbarn (1908), Umwege (1912) e Schön ist die Jugend (1916). Patetiche vicende di esseri umani infelici per naturale disposizione o per altrui incomprensione presentano i romanzi Gertrud (1910) e Rosshalde (1914), fra i quali cronologicamente si colloca il libro di memorie Aus Indien (1913). Al termine della guerra, pubblicava sotto pseudonimo (Emil Sinclair) il romanzo Demian (1919), contro il mondo fatiscente della borghesia. Sulla medesima traccia, ma con toni ancora più spietati specie in ordine alla critica sociale, si pone qualche anno dopo il romanzo Der Steppenwolf (1927), opera fondamentale nel suo genere, biografia di un individuo scisso in una doppia personalità, personaggio emblematico di una civiltà, come quella borghese postbellica, traversata da flussi di follia. Su un’altra linea è invece Siddhartha (1922), che segue la via che il figlio di un bramino percorre verso la purificazione, cui tenne dietro, sospeso fra sogno e realtà, il romanzo di ambiente medievale Narziss und Goldmund (1930). Il racconto surrealistico Die Morgenlandfahrt (1932) preannuncia il romanzo simbolistico Das Glasperlenspiel (1943), opera dal piano assai ambizioso, con un messaggio per la civiltà del futuro che risulta però di difficile decifrabilità. Ha lasciato inoltre altre numerose opere di saggistica, memorialistica, oltre a una vasta produzione lirica cui attese durante tutto il corso della vita (raccolta pressoché definitivamente nei due volumi di Gedichte del 1942 e 1947).
Franco Leggeri Fotoreportage -Castelnuovo di Farfa (Rieti)-
Castelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est-Le Mura Medievali
Franco Leggeri Fotoreportage e Articolo -Castelnuovo di Farfa-La notte estiva castelnuovese con il suo splendido cielo e le sue stelle simili a margherite ed ecco il miracolo del giallo notturno. I bar sono illuminati da una luce gialla che attira le falene, così irrimediabilmente attratte da essa. Le falene sembrano ripetere il passeggio della gente , alcune si posano sulle sedie accatastate, come essere in attesa del caffè. In questa notte blu che si contrappone al colore giallo dei bar castelnuovesi, se passeggi per la strada, via Roma, sembra di entrare in un dipinto. Diventa lo sguardo un pennello che deposita colori che delimitano i contorni di questa notte castelnuovese . Gli occhi si soffermano, indugiano, su ogni elemento della composizione di questa splendida scenografia castelnuovese.
Castelnuovo di Farfa (Rieti) La Piazza comunale
Sono un ammiratore inguaribile del grande scrittore Ernest Hemingway e vorrei immaginare se anche qui in qui in questa notte e nei bar castelnuovesi , avrebbe lasciata scritto : “My mojito in La Bodeguita, my daiquiri in El Floridita”, credo di si. Nella notte castelnuovese , se la sai vivere, ti riserva , se lo sai individuare, l’angolo “intellettuale”. Un angolo che sarebbe o farebbe la felicità per gli amanti della fotografia, della pittura e dell’architettura del paesaggio, così come l’interpreta e la descrive Goethe. Ai passeggiatori attenti e amanti della notte castlnuovese non può essere sfuggito che la Valle , dominata da Castelnuovo, è una visione, uno stato d’animo, sensibilità per l’astratto e immateriale che solo loro, gli Artisti e i bambini lo sanno individuare e vivere. Parlo di quel particolare momento, durante il crepuscolo, che preannuncia il passaggio dalla luce al buio: la cosiddetta “Ora Blu”. “L’heure bleue”, cara alla poetica , alla contemplazione e ai voli immensi che solo i notturni sottolineati dalle note di Chopin sanno trasformare la realtà in estasi che, poi, si sveglia alle note del Jazz. Ai Bar di castelnuovo potresti ordinare un mojito e se ti allontani per gustarlo , per esempio sulla piazza da qui puoi estasiarti nel vedere la “luce della notte” che illumina la Valle e, se osservi attentamente, scopri che la Valle non è solamente illuminata , ma è baciata, con dolcezza, dal cielo stellato di questo caldo agosto castelnuovese; visioni che solo qui puoi scoprire perché il cielo sopra Castelnuovo è affollato di stelle che disegnano e sottolineano un’architettura dell’immaginario, il suo silenzio, e accende la natura che diventa palcoscenico teatrale o set cinematografico, un ponte tra il reale e il fantastico che, tra un mojito e l’altro, ti consente di compiere incursioni nel fiabesco e nel magico. Sensazioni che solo in queste notti d’estate qui a Castelnuovo,ai tavoli dei Bar di Castelnuovo oppure passeggiando per le sue vie e immergendoti nel silenzio delle case addormentate riesci a scoprirle. Solo “l’ora bleu” di Castelnuovo genera sensazioni, visioni suggestive e sempre originali sino al limite della fantasia. Immaginate se Ernest Hemingway qui seduto nella piazza “all’Here Blue” a gustare il suo rum, chissà, forse, avrebbe scritto: “Il Vecchio e la Valle del Farfa”, o no?Metti una notte estiva a Castelnuovo, immaginate di passeggiare lungo via Roma , io l’ho fatto, sembra di essere in una notte stellata tra i boulevard e i caffè illuminati di Parigi.
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri
Castelnuovo lo ami sempre di più fino a che non si arrende.
Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Guglielmo Marconi-Via Arco Cherubini-Foto di Franco Leggeri
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Vivian Maier-i selfie della “Tata fotografa”-La “bambinaia fotografa” che è diventato un caso clamoroso emerso sulla scena dal nulla--Le strade di New York e Chicago come un palcoscenico, l’autoritratto come via per trovare il proprio posto nel mondo, i dettagli di vita ritracciabili in un volto: è questa la poetica dello scatto che è uscita allo scoperto solo nel 2007, grazie a John Maloof, un giovane statunitense che, cercando del materiale su cui effettuare una ricerca sulla città di Chicago, trovò dentro una scatola acquistata all’asta il grande repertorio di negativi e rullini ancora da sviluppare di Vivian Maier.
Chi era Vivian Maier? Anche il suo “casuale scopritore” non lo seppe, ma nel corso di una ricerca attenta, Maloof ricostruì tessera dopo tessera la vita della fotografa statunitense classe 1926. Di lei scoprì che lavorò tutta la vita come tata, solo nel tempo libero si dedicava alla sua passione: la fotografia, la street photography. C’è chi addirittura accosta la figura della fotografa a Emily Dickinson, la poetessa che relegò in un cassetto le sue riflessioni e le sue opere, senza ricorrere mai alla pubblicazione.
Vivian Maier
In una foto la sua immagine si riflette da uno specchio all’altro. Quasi all’infinito. Un super selfie ante litteram, verrebbe da dire: lei, la sua Rolleiflex, un orologio e dei pacchi. C’è la sintesi di una vita in questo scatto senza tempo. Una vita che avrebbe dovuto restare segreta. Vissuta e finita lì. Invece il caso si ci è messo di mezzo e ha voluto che venisse fuori. Perché Vivian Maier, nata a New York il primo febbraio del 1926 e morta a Chicago il 21 aprile del 2009, è per l’anagrafe una bambinaia. Una bambinaia mezza francese (la mamma era di un piccolo paese delle Alpi, il papà di origine austro-ungarica lasciò la casa di famiglia quando Vivian aveva 4 anni) per le famiglie benestanti di New York e Chicago. Strana, misteriosa, per certi versi eccentrica, ma fondamentalmente riservata, se non invisibile. E così lei voleva restare.
Invece Vivian Maier è oggi Una fotografa ritrovata, come sintetizza efficacemente il titolo del libro che la celebra da alcuni mesi in Italia (di John Maloof, Contrasto, pagine 285, euro 39,00) e che accompagna – dopo una esposizione al Man di Nuoro – la mostra che apre domani a Milano al Forma Meravigli (fino al 31 gennaio 2016, tutti i giorni dalle 11 alle 20, giovedì dalle 12 alle 23) a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, con 120 fotografie in bianco e nero. Vivian Maier conservava i suoi 150mila scatti, 3mila stampe e filmati super 8 e 16 millimetri all’interno di un box di Chicago, insieme a tantissime cianfrusaglie, oggetti da collezione, pezzi di vita. Un “tesoro nascosto” che dopo anni di affitto non pagati venne stato confiscato, messo all’asta in diversi lotti e quindi “rivelato”. Nel 2007, i ricordi custoditi dalla bambinaia s’incontrarono con l’ansia del racconto e della scoperta di John Ma-loof, un giovane agente immobiliare che stava raccogliendo materiale su Chicago per coltivare il suo vero talento, la scrittura.
Il 26enne acquistò per 38 dollari il contenuto di un baule con trentamila negativi e vari oggetti da collezione, diventando poi il principale curatore del “lascito” della Maier. La curiosità fu forte. Cosa contenevano quelle pellicole? Quali facce avrebbero svelato? Quali luoghi avrebbero mostrato? Maloof ordinò minuziosamente ogni cosa come mostra il film-documentario distribuito in Italia da Feltrinelli Real Cinema – Alla ricerca di Vivian Maierdi Maloof con Charlie Siskel (sarà proiettato al Cinema Apollo a Milano, il 25 novembre alle 21.30) – e si metterà alla ricerca del misterioso autore. «Volevo sapere – racconta – chi si nascondeva dietro quel lavoro, ma avevo solo il nome di Vivian Maier: sarà una giornalista, una fotografa professionista? Così ho cercato su Google e ho trovato solo l’avviso della sua morte, pubblicato giusto qualche giorno prima. Ho recuperato un indirizzo tra le sue cose e dopo aver rintracciato il numero di telefono, ho chiamato e ho detto che ero in possesso dei negativi di Vivian Maier». La risposta fu sorprendente: «Era la mia bambinaia! ». «La sua bambinaia? E perché farebbe tutte queste fotografie? Ciò che quell’uomo mi ha detto di lei mi ha profondamente stupito: era una solitaria, non sapeva nulla della sua vita amorosa, della sua famiglia, dei suoi figli, ma era stata una madre per lui. Tutto questo ha stuzzicato la mia curiosità».
Il giallo si infittì, ma si aprì un mondo. Continuarono le ricerche, i pezzi del puzzle si composero lentamente uno dopo l’altro. E venne fuori la vita di Vivian Maier: una bambinaia, amorevole con i bimbi, con qualche mania, dei segreti, e una passione nascosta e solitaria per la fotografia. Talmente nascosta che mai ha pubblicato una foto e mai ha fatto vedere i suoi lavori a qualcuno. La tata nel suo giorno libero metteva la sua Rollei al collo e girava per le strade. Con uno sguardo curioso, a volte malinconico, altre ironico. Si soffermava sui piccoli dettagli, le scarpe buffe, la mise eccentrica, le imperfezioni; le persone, soprattutto bambini e anziani; i racconti di vita, quella che le scorreva davanti agli occhi per strada, la città e i suoi abitanti in un momento di cambiamento sociale e culturale. Ma c’era soprattutto lei, che spuntava da uno specchio, che si rifletteva su una vetrina, che s’intravedeva in un riflesso. Una donna in continua ricerca di identità, “giocando” con la sua Rolleiflex, una macchina che ha fatto la storia della fotografia mondia-le, con il caratteristico visore per l’inquadratura posto nella parte superiore. «Perfetta per chi vuole restare invisibile», fa notare il grande fotografato americano, Joel Meyerowitz, apprezzando i suoi lavori di street photography. È stata una vita non facile, quella della Maier.
Dopo che il padre lasciò casa, la madre, Maria Jaussaud, si rifugiò da un’amica francese, nel Bronx, una fotografa professionista che probabilmente accese la passione di Vivian sin da piccola. Maria fece poi ritorno in Francia, a Saint-Julien-en-Champsaur, portando con sé Vivian, fra il 1932 e 1938. Qui Vivian tornerà da sola, nel 1950, per reclamare l’eredità di una prozia: userà quel denaro per viaggiare e comprare la sua prima macchina fotografica. Eseguirà tante foto di paesaggi e ritratti degli abitanti della valle. E poi in giro per Cuba, Canada, California. Nel 1956 si trasferì definitivamente a Chicago dove lavorerà per la famiglia Gensburg per 17 anni. Nel bagno allestirà la camera oscura. Ma nei periodi di vacanza sarà sempre con la valigia verso l’Asia, nelle Filippine e India, in Medio Oriente e nell’Europa meridionale. Come se ci fossero due Vivian. La tata e la fotografa globetrotter. «Seppur scattate decenni or sono occhi – scrive lo scrittore e curatore Marvin Heifermann, nella prefazione al catalogo –, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi». La fotografia che ci ha regalato questa bellissima storia, destinata altrimenti a restare in un box di Chicago.Articolo di Giuseppe Matarazzo
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