Descrizione del libro di Robert Capa-“Leggermente fuori fuoco” è il leggendario volume di Robert Capa che racconta le vicende del suo autore nell’Europa della Seconda guerra mondiale. L’edizione italiana di Slightly out of focus, uscito per la prima volta nel 1947, e già pubblicata nella collana Dixit da Contrasto anni fa, e ora presente nella collana “In parole” nell’edizione a cura di Valentina De Rossi, torna in libreria nel formato brossura. “Leggermente fuori fuoco” è il diario delle memorie di guerra di Robert Capa “con foto dell’autore”, come amava che si scrivesse. Il libro mutua il titolo dalle didascalie che su Life accompagnavano le sue foto dello sbarco in Normandia, rovinate da un tecnico di laboratorio in fase di sviluppo. Preceduto da una nota del fratello Cornell Capa e dall’introduzione di Richard Whelan, biografo di Capa, il volume alterna le vicende del fotoreporter con una storia d’amore travagliata, trasformando l’autobiografia in un romanzo celeberrimo in cui il fotografo mantiene la freschezza dello sguardo, la passione, l’ironia, lo spirito d’avventura di un grande testimone del nostro tempo.
ContrastoBooks
Roberto Koch Editore srl
Corso d’Italia 83 00198
Roma
Italia
Traduzione di Monica Pareschi- titolo originale: The Mountain Lion
-In copertina-Jean Stafford ritratta allo zoo del Bronx. Fotografia di Jean Speiser apparsa su «Life» nel giugno 1947-
Descrizione del libro di Jean Stafford-Qualcosa di morboso e strisciante, che è del paesaggio, delle presenze che lo animano, degli interni di case occasionalmente trasformate in camere ardenti, accoglie il lettore di questo paradossale romanzo di formazione, in cui all’impossibilità di abbandonare l’infanzia si accompagna quella di rimanere bambini. Ralph e Molly, fratelli malaticci e simbiotici, alleati contro l’universo stereotipato degli adulti – l’ottusa routine scolastica e quotidiana, una madre perbenista e due affettate sorelle maggiori, il fronte compatto delle autorità –, dividono il loro tempo tra la casa di famiglia nei sobborghi di Los Angeles e un ranch in Colorado appartenente al fratellastro della madre. Qui ogni estate i piccoli vengono in contatto con un mondo selvaggio e brutale, che contrasta con l’inautentico ordine della vita suburbana. Ma se dapprima la rudezza e la libertà dell’Ovest affascinano entrambi, poi è solo Ralph a entrare nell’orbita in cui lo attirano lo zio e la sua cerchia, e ad accettare i riti di passaggio necessari a trasformarlo in giovane uomo. E mentre il fratello si sposta sempre più verso un immaginario virile fatto di battute di caccia e di grandi bevute, e vive di pari passo l’inevitabile risveglio della sessualità, Molly, bambina puntuta e sarcastica che anticipa alcuni personaggi di Shirley Jackson, si aggrappa disperatamente al mondo surreale dell’infanzia. L’apparizione nei dintorni del ranch di un puma femmina – animale elusivo e archetipico, nel segno della tradizione letteraria americana – sancirà la scissione definitiva del legame fraterno, precipitando la storia verso un impensabile epilogo.
CAPITOLO PRIMO
Ralph aveva dieci anni e Molly ne aveva otto quando si ammalarono di scarlattina. La malattia aveva lasciato a entrambi una specie di disfunzione ghiandolare che, pur non essendo maligna, provocava in loro uno stato di intossicazione quasi perenne, dando spesso origine a e- pistassi così copiose che dovevano mandarli a casa da scuola. In genere succedeva a tutti e due contemporanea mente. Ralph si precipitava nel corridoio sanguinando a profusione dal naso e trovava Molly che usciva proprio in quel momento dalla terza, con un fazzoletto appallot- tolato e fradicio premuto sulla faccia. La madre non sop- portava la vista del sangue e la sua angoscia, nel vederli arrivare l’uno dopo l’altra sul vialetto d’accesso, non si attenuò mai, nemmeno quando quei ritorni a casa nel bel mezzo della giornata diventarono una consuetudi- ne. Ogni volta li implorava di telefonarle in modo da po- ter mandare Miguel, il factotum, a prenderli con la mac- china. Ma loro non lo facevano mai, perché si divertiva- no a tornare a casa a piedi, e per tutto il tragitto provava- no un piacevole senso di rivalsa nei confronti delle sorel- le, Leah e Rachel, ancora rinchiuse a scuola senz’altro da fare che masticare paraf$na di nascosto.
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Nel settembre successivo alla malattia, il giorno in cui era previsto l’arrivo del nonno Kenyon, il patrigno della madre, per la sua visita annuale, si ritrovarono fuori dal- l’aula di educazione artistica con il sangue che usciva a $otti dal naso, e vedendo oltre la porta socchiusa
la signorina Holihan alle prese con la taglierina e un fascio di carta manila, si misero a camminare in punta di piedi soffocando le risate $nché, giunti alle scale, comincia- rono a correre. Una volta fuori, nel cortile deserto, si congratularono l’uno con l’altra: Molly non sarebbe sta- ta costretta a disegnare una mela sul foglio della signori- na Holihan e Ralph si sarebbe risparmiato non solo cal- ligra$a, ma anche canto. In realtà non ci avrebbero gua- dagnato niente a rientrare qualche ora prima del pul- mino della scuola, visto che il nonno non sarebbe arri- vato alla stazione di Los Angeles prima di metà pome- riggio e Miguel ci avrebbe messo un’altra ora a portarlo a casa con la Willys-Knight. E così cincischiarono più del solito, per nulla sicuri che a casa avrebbero trovato qual- cosa di interessante da fare, ma sicurissimi, d’altra par- te, che la madre, oltre ad agitarsi e a non star zitta un momento come faceva ogni volta che aspettava visite, vedendoli sarebbe montata su tutte le furie.
Era una strada di campagna stretta e tortuosa quella che facevano per tornare. Su entrambi i lati correva un piccolo fosso d’acqua limpida, che biascicava come una bocca. Di tanto in tanto si fermavano a tuffarci i fazzolet- ti e si ripulivano il sangue dalle mani e dalle braccia. Sulla destra c’era un aranceto da cui, in ogni stagione dell’anno, arrivava un profumo opprimente, e dove qualche volta vedevano stormi di uccelli così strani e va- riopinti che dovevano arrivare dai mari del Sud o dal Giappone. Alcuni degli alberelli piramidali erano sem- pre $oriti e altri erano sempre carichi di frutti. Quel giorno nell’aranceto c’era un uomo arrampicato su una scala, che si girò sentendoli arrivare. Si levò il cappello asciugandosi la fronte con la manica della camicia nera e gridò: « Ciao, ragazzi », ma dato che era messicano lo-
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ro non risposero e anzi allungarono il passo, atterriti, $nché non sentirono più la sua risata di scherno.
Poi passarono davanti al grande casei$cio immacola- to del signor Vogelman. Il signor Vogelman era un tede- sco grasso che indossava una tuta bianca e che una volta era stato preso a sassate da un gruppo di scolari di se- conda quando avevano saputo cosa avevano fatto i cruc- chi ai belgi. Le madri, nel timore che potesse vendicarsi esponendo il latte ai bacilli della tubercolosi, gli aveva- no scritto per scusarsi, ma visto che l’episodio era suc- cesso a Halloween, il signor Vogelman aveva frainteso tutto senza capire il senso di quella lettera. Allevava mucche di razza Guernsey col manto che al sole emana- va un luccichio metallico, non proprio giallo banana e nemmeno della sfumatura azzurrina del latte, ma una via di mezzo. Quel giorno vicino alla staccionata c’era un vitello appena nato e, quando vide i piccoli umani che lo $ssavano, il suo muso di cerbiatto prese un’e- spressione di malinconico stupore. La madre muggì stizzita, con le enormi froge nere dilatate, e loro corsero via perché avevano paura delle mucche, anche se non si sarebbero mai sognati di ammetterlo. Conoscevano una barzelletta su un vitello che avevano letto su « The Amer- ican Boy » e, quando furono a distanza di sicurezza dal pascolo, la recitarono come se fosse un dialogo:
ralph: Sono di vitello le tue scarpe| molly: Come no, è pelle conciata. ralph: Lo conciano male|
molly: Per le feste! Col pugnale!
Risero tanto che dovettero sedersi per terra e tenersi la pancia; per via delle risate il sangue usciva molto più in fretta, e allora, torcendosi dal dolore, si tamponavano disperatamente il naso, urlando: «Ahi! Ahi!». In$ne, quando si furono un po’ calmati, Ralph disse: « Mi sa che questa la racconto al nonno» e Molly disse: «Anch’io». Negli ultimi tempi, lei ogni tanto gli dava sui nervi: spes-
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so, quando Ralph aveva $nito di raccontare una barzel- letta o una storia, lei immediatamente la ripeteva pari pari, senza dare agli altri il tempo di scoppiare a ridere o di rimanere sorpresi. Non solo, innumerevoli volte aveva raccontato i sogni del fratello $ngendo che fossero i suoi. Ralph non voleva che la barzelletta sul vitello si rive- lasse un $asco e così, dopo un attimo di tentennamento, accettò di recitarla insieme alla sorella come avevano ap- pena fatto. Non era lunga come una di quelle storielle sui negri che raccontavano Leah e Rachel, ma era molto più divertente, ed erano sicuri che il nonno non avrebbe potuto fare a meno di scoppiare in quella sua risatona fragorosa, dandosi una manata sul ginocchio mentre e- sclamava: « Perbacco, buona questa! ».
Proseguirono pensando al nonno, strascicando alle- gramente i piedi nella polvere della strada $no a im- biancarsi completamente le scarpe, stringhe comprese. Vicino al casei$cio c’era un arroyo profondo e del tutto prosciugato, che da quelle parti chiamavano « Rio ». Era il risultato di un’inondazione che aveva avuto luogo nel- la primavera in cui Leah aveva tre anni, ma Ralph e Mol- ly avevano sentito raccontare così spesso i particolari del- la catastrofe da esser certi che le loro impressioni derivas- sero dal ricordo, e non dai discorsi della madre e dei suoi amici quando non avevano niente di nuovo da dire ed e- rano costretti a rintuzzare le emozioni del passato. Du- rante l’alluvione il signor Fawcett aveva attraversato un torrente in piena su un cavallo di nome Babe, ormai mor- to da tempo, per soccorrere un’anziana la cui casa era stata spazzata via subito dopo. Si era caricato la donna in sella come un sacco di mangime e le aveva fatto la respira- zione arti$ciale sul pavimento della cucina. Dalla pioggia scrosciante erano sbucati migliaia e migliaia di fringuelli, che si erano posati sulla veranda; erano così tanti che sembrava di essere in una riserva, aveva detto il papà; Fus chia stava preparando una crostata di ciliegie e lui le ave- va chiesto se per caso non voleva aggiungerci anche due dozzine di fringuelli. Dal vialetto d’accesso era arrivato
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galleggiando un albero di pompelmo, con le radici e tut- to, e il papà l’aveva piantato in giardino accanto al collet- tore solare. Ogni anno dava un unico frutto, più piccolo di una pallina da golf e quasi altrettanto duro.
Sul letto del Rio Ralph e Molly trovavano sassi colora- ti, rosa, verdi, gialli e azzurri. A volte, nelle pozze che si formavano dopo un acquazzone, si vedeva luccicare l’o- ro degli stolti. Le sponde ripide erano tutte ricoperte di strani $ori ispidi dalle radici poco profonde e da mac- chie di malva che stillava un latte amaro. C’era un punto in cui il fango si seccava sbriciolandosi come pastafrolla e da piccola Molly era convinta che con quello si prepa- rassero i biscotti del gelato. Tutto ciò che di misterioso e malvagio c’era al mondo veniva dal Rio. Quei sassi lisci e colorati erano in realtà gioielli rubati e il ladro era uno Skalawag nero come il carbone che di giorno dormiva nel deposito del mais del signor Vogelman, ma la notte rimaneva sveglio. Ralph e Molly non si azzardavano a scendere nel Rio col naso sanguinante, perché lo Skala- wag sentiva l’odore del sangue a qualunque distanza e di sicuro avrebbe dato loro la caccia. E così passavano veloci, guardando il Rio con la coda dell’occhio. L’au- tunno precedente, quando ci avevano portato il nonno Kenyon, lui aveva detto: « Ah, ecco, così si ragiona. C’è troppo verde in quest’accidente di California, per la mi- seria. Ma quel $umiciattolo secco lì, quello sì che è un posto come Dio comanda ». Aveva fatto correre gli oc- chi neri sul paesaggio respirando appena, come se la fragranza dei $ori d’arancio lo offendesse, e aveva det- to: «Ma pensa tu, neanche l’inverno avete, da queste parti! Diamine, meglio andarsene in carretta all’inferno che perdersi i primi $occhi di neve che cade ». I bambi- ni erano un po’ indignati e un po’ intimiditi; rendendo- sene conto, lui aveva spiegato – anche se loro non ci ave- vano capito niente – che lì la natura non rappresentava nessuna s$da per l’uomo. « Prendete il mio ranch nel Panhandle. Non c’è posto al mondo dove la natura sia bizzosa come da quelle parti, ma ogni volta che si arrab-
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bia è uno schianto di ragazza, eh! ». Quando aveva com- prato il terreno, su ventimila ettari non c’era una sola goccia d’acqua, nemmeno un ruscello, uno stagno. Da- vanti alla sua intenzione di acquistarlo, gli avevano dato tutti del babbeo. Ma lui era andato avanti per la sua stra- da e l’aveva comprato lo stesso, poi aveva preso una ver- ghetta biforcuta di agrifoglio e aveva scelto un punto su un’altura subito a ovest di dove intendeva costruire la casa. Era rimasto fermo lì con la sua bacchetta di agrifo- glio, tenendo la forcella con entrambe le mani. Dopo un po’, la verga si era piegata verso il basso: nella dire- zione indicata c’era una sorgente profonda di acqua po- tabile che non si era mai prosciugata.
Da quel momento il Rio aveva assunto un nuovo signi$cato per Ralph e Molly, e si erano convinti che lo Skalawag fosse così circospetto perché temeva che potes- se arrivare qualcuno con una bacchetta divinatoria, e a quel punto l’acqua avrebbe trascinato via tutti i suoi gio- ielli. Anche adesso, ogni volta che passavano davanti all’arroyo, pensavano al ranch del nonno nel Panhandle e Ralph, sospirando, diceva: « Accipicchia, come mi pia- cerebbe andare nell’Ovest ». Perché credeva al nonno Kenyon quando gli diceva che la California non era l’O- vest ma una cosa a sé, come la Florida o Washington D.C.
Per esempio, nell’Ovest non si trovavano mica tutte quelle carabattole che piacevano tanto alla signorina Runyon. La signorina Runyon abitava vicino al Rio in una casetta bianca con le persiane verdi e begonie a tut- te le $nestre, che a Molly piaceva tanto prima che il non- no la de$nisse « una roba che non sta né in cielo né in terra ». Il giardino arrivava $no alla strada e tra le aiuole di phlox, $ordalisi e acetosella c’erano strane creature d’ogni sorta: una rana verde gigante, tre nanetti, una papera con quattro paperette, due uccellini azzurri grossi come gatti, un’olandesina con la sua cuf$etta e un palo totemico. Sulla porta di casa c’era un’insegna che diceva « Locanda Passapure ». Accanto alla casa c’e- ra la cuccia del cane, costruita esattamente come la lo-
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canda Passapure, e sopra l’apertura c’era scritto « Il rifu- gio del pastorello », perché la signorina Runyon aveva un pastore tedesco di nome Rover. Sotto la grondaia, sulla veranda, c’era una casetta per gli uccelli costruita come le altre due, ma il nome era meno evocativo: si chiamava semplicemente « Casa degli scriccioli ».
La signorina Runyon era la direttrice dell’uf$cio po- stale e a detta di tutti era proprio un personaggio. Gui- dava da sola un’automobile che chiamava «Mac», ab- breviazione di « macchina », anche se lei per ridere l’a- veva soprannominata « Macchiappa ». Non mangiava né carne né spezie, perché era una seguace del dottor Kel- logg. Di tanto in tanto invitava i Fawcett a un picnic sera- le nel suo giardino e serviva hamburger fatti con i cerea- li della colazione tenuti insieme da una $nta gelatina di piedini di vitello. La domenica pomeriggio andava sem- pre a casa loro a leggere il giornale e non faceva mistero del fatto che, come a tutti i bambini, le piacesse la pagi- na dei fumetti. Li leggeva con la stessa serietà e la stessa concentrazione di Ralph, Molly, Leah e Rachel. Una volta aveva detto che era stufa marcia di Elmer Tuggle e del suo eterno guantone da baseball; il suo preferito era Happy Hooligan. A dispetto di quell’aggressiva bono- mia, era molto paurosa e non se la sentiva di dormire in casa da sola, perciò aveva invitato a stare da lei una don- nina giapponese, la signora Haisan. Se per caso la signo- ra Haisan doveva assentarsi, andavano a dormire da lei Leah e Rachel, che tuttavia lo facevano malvolentieri perché, la prima volta che si erano fermate a casa sua, lei nel bel mezzo della serata aveva alzato improvvisa- mente gli occhi dalla rivista femminile che stava leggen- do e aveva detto in tono nervoso: « Avete sentito| Qual- cuno ha inghiottito qualcosa! ». Secondo Ralph e Molly era stato lo Skalawag, e le cose che poteva aver inghiotti- to erano così numerose e terri$canti che bastava la sola parola a farli tremare come foglie.
La signora Follansbee, la moglie del pastore, aveva a- vanzato scherzosamente l’ipotesi che la signorina Run-
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yon avesse messo gli occhi sul signor Kenyon, e in parte la supposizione si basava sul fatto che i loro cognomi fa- cevano rima; è vero che in diverse occasioni, durante le visite del nonno, lei li aveva invitati ad andare a casa sua «accontentandosi di quel che passa il convento», ma loro non ci erano mai andati, perché, come disse la si- gnora Fawcett nel segreto familiare, « non oso pensare a cosa farebbe una buona forchetta come il signor Ken- yon se gli servissero cereali per cena, per quanto abil- mente camuffati ».
Ralph pensò che forse avrebbe potuto raccontare al nonno una storiella sulla signorina Runyon, una storia inventata ma usando il suo nome, e rimase lì a ponzare appoggiato alla palizzata, lasciando gocciolare il naso sulle assi, $nché due non assunsero l’aspetto di lance andate a segno. O forse avrebbe potuto raccontarne una sulla signora Haisan. La signora Haisan aveva due $gli più o meno della stessa età sua e di Molly, e i bambini vivevano con la zia Hana, un donnino minuscolo che la- vorava dalla signora Fawcett come lavandaia. Si chiama- vano Maisol e Maisako e uno era nato il 4 luglio, l’altro il 1° aprile. C’era stato un episodio terribile quando erano venuti a casa loro con Hana e avevano costretto Ralph e Molly a seguirli nel campo di cocomeri, e non solo aveva- no tagliato un cocomero acerbo con una spatola per lo stucco, ma avevano detto e insinuato cose così orribili che Ralph e Molly erano stati costretti a picchiarli. Natu- ralmente avevano vinto in quattro e quattr’otto, perché i musi gialli erano molto meno robusti di loro.
Ralph non riuscì a farsi venire in mente nessun’altra storiella a parte la barzelletta sul vitello. Allora, facendo marameo alla casa della signorina Runyon, cantilenò: « Postina beduina babbuina truffaldina, non mi fai nien- te, faccia di serpente, non mi fai male, faccia di maia- le!». E poi, prendendo per mano la sorella, si mise a correre veloce come il vento perché la signora Haisan e Rover erano comparsi simultaneamente sulla porta dei rispettivi alloggi e, sebbene Rover fosse innocuo come
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una coccinella e con ogni probabilità la signora Haisan volesse solo offrire loro un kumquat candito, era più di- vertente pensare che fossero inferociti come lo Skala- wag. Appena la casa non fu più visibile, Ralph si inginoc- chiò a terra, accostò l’orecchio alla strada e balzò in pie- di esclamando: «Ehi! Arrivano!». A quel punto, non smisero più di correre $nché non ebbero imboccato la via di casa.
Dopo un centinaio di passi videro le palme che deli- mitavano la loro proprietà. In quell’ultimo tratto, per un motivo o per l’altro, Molly pensava sempre a Redon- do Beach, dove avevano trascorso qualche settimana alla $ne dell’estate. Alzando gli occhi verso il cielo az- zurro e vuoto, aveva ancora la sensazione di essere a pie- di nudi nella sabbia rovente, a caccia di stelle marine e ricci, e di sentire le urla terrorizzate delle madri e quel- le petulanti dei $gli che, avanzando nell’acqua, rispon- devano che le onde non erano poi così alte. Pensare al- la spiaggia la rendeva irrequieta e nostalgica, e di tanto in tanto le strappava un gemito sommesso, perché ogni volta le tornava in mente lo strano fremito d’orrore mi- sto a piacere provato quando un gabbiano le aveva striz- zato l’occhio e lei si era accorta che muoveva solo la pal- pebra inferiore, mentre l’altra rimaneva immobile. Quel giorno però non pianse: Ralph era troppo allegro – lo sapeva – per consolarla, e quando Molly piangeva l’uni- co piacere era proprio farsi abbracciare da lui, inalare il suo odore pungente di serge e bretelle di cuoio, e senti- re, rabbrividendo, le sue mani piene di verruche che le s$oravano la faccia. Molly poteva sempre imporsi di pensare con tristezza non al mare bensì a suo padre, che era morto; di lui non aveva ricordi, ma sapeva che era in cielo con Gesù e l’avrebbe miracolosamente rico- nosciuta quando lei lo avesse raggiunto, anche se al mo- mento della sua morte non era ancora nata. Era il pen- siero più elettrizzante che avesse mai avuto in vita sua, e la mandava in visibilio dal giorno in cui lei e Ralph ave- vano concordato di non morire $nché lui non avesse a-
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vuto novantanove anni e lei novantasette: in quel modo al loro arrivo in cielo sarebbero apparsi molto più vec- chi del padre, che invece era morto all’età di trentasei anni.
Appena imboccarono il vialetto d’accesso, Ralph attac- cò con le tabelline: « Sei per tre| ». « Diciotto » rispose Mol- ly. E Ralph: «Asino cotto». Continuarono: «Otto per ot- to|». «Sessantaquattro». «A Sophia è morto il gatto». «Due per dieci|». «Venti». «Ho perso tutti i denti», e a quel punto Molly strillò, sbellicandosi dalle risa: « Mam- maaa! Ralph ha perso tutti i denti! ». Ma la mamma non era seduta sulla veranda come al solito, e Ralph e Molly rimasero a guardarsi come due ebeti, pieni di imbarazzo.
Avrebbero dovuto saperlo che era in cucina, indaffa- rata con i preparativi per l’arrivo del nonno. La sentiro- no accorrere alla porta nelle sue pantofoline col tacco, gridando, in previsione della scena che si sarebbe trova- ta davanti: « Oh, non ditemi che è successo di nuovo! ». Poi si fermò al di là della zanzariera, le mani sui $anchi, il vitino da vespa nella gonna grigio perla, incerta se ar- rabbiarsi o preoccuparsi, per un attimo troppo sconvol- ta anche solo per aprire bocca. I bambini rimasero in attesa sul primo gradino come cani perfettamente adde- strati e la madre, vedendoli così umiliati, decise di angu- stiarsi e corse loro incontro, abbracciandoli ma allo stes- so tempo facendo attenzione a non macchiarsi la cami- cetta bianca. Profumava di giaggiolo e pan di zenzero, e i bambini, annusandola, ebbero la netta sensazione che l’ospite sarebbe arrivato di lì a poco, una sensazione an- cor più netta di quella che avevano provato al mattino, quando avevano visto Miguel uscire in macchina per an- dare alla stazione. Era partito presto per acquistare ogni sorta di prelibatezze ai mercati di Los Angeles: tra le al- tre cose, avrebbero mangiato amarene e lokum.
«Oh, poveri pulcini!» esclamò la signora Fawcett, e gli occhi azzurri le si riempirono prontamente di lacri- me. « Oh, cari, perché non avete telefonato| Perché dovete sempre far arrabbiare la mamma| ».
“I Concerti Brandeburghesi” di Bach 30 ottobre alle ore 20.30
per l’inaugurazione,Dall’Ongaro introduce “La rondine” di Puccini-il 27 ottobre
Roma-I prossimi appuntamenti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: il 27 ottobre -Nell’anno del 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini (Lucca 1858-Bruxelles 1924) Michele dall’Ongaro, Presidente-Sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, compositore, musicologo, conduttore radiofonico e televisivo, guiderà il pubblico all’ascolto dell’integrale delle opere pucciniane con incontri ricchi di esempi musicali, filmati e documenti. Gli incontri avranno luogo alle ore 11.30 all’Auditorium Parco della Musica e ripercorreranno, con numerosi riferimenti al testo del libretto e ai momenti chiave delle vicende, le note, le parole, le polemiche e i segreti di titoli tra i più amati e presenti nei cartelloni di tutto il mondo.
L’incontro di domenica 27 ottobre alle ore 11.30 in Sala Coro è dedicato a La Rondine, commedia lirica in quattro atti su libretto di Giuseppe Adami, eseguita per la prima volta al Théâtre de l’Opéra il 17 marzo del 1917. Biglietti Intero € 10; Ridotto (abbonati e under 35) € 9.
L’Inaugurazione della nuova Stagione da Camera 2024-2025, in programma mercoledì 30 ottobre alle ore 20.30 nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, è dedicata alla musica di Johann Sebastian Bach, interpretata dal Freiburger Barockorchester, tra gli ensemble più autorevoli di musica antica eseguita con strumenti originali e vincitore di numerosi riconoscimenti della critica. La passione, la gioia di suonare e la loro originalità interpretativa sono tra le caratteristiche di questo gruppo di Friburgo fondato nel 1987, di cui la Süddeutsche Zeitung ha scritto: «Nel suo complesso il suono è favolosamente trasparente, ritmicamente sempre elastico, virtuosisticamente duttile e melodicamente elegante quanto liricamente bello». Sotto la guida dei violinisti Gottfried von der Goltz e Cecilia Bernardini, la Freiburger Barockorchester si esibisce in circa un centinaio di concerti l’anno in diverse formazioni che variano dall’orchestra d’opera all’orchestra da camera.
In occasione dell’apertura della Stagione cameristica la Freiburger Barockorchester, che torna a Santa Cecilia dopo quindici anni, eseguirà uno dei massimi capolavori di Johann Sebastian Bach, i sei Concerti brandeburghesi BWV 1046-1051 del 1721, ognuno scritto per una destinazione strumentale diversa, e che devono il loro nome al dedicatario, Cristiano Ludovico margravio di Brandeburgo. I Concerti rappresentano una sintesi dell’arte di Bach e del suo tempo, e conquistano grazie al loro spirito di ricerca, la creatività, la bellezza dell’invenzione, il virtuosismo, i ritmi di danza, la scrittura contrappuntistica, in una sintesi che ancora oggi lascia stupefatti.
Freiburger Barockorchester
La Freiburger Barockorchester (Orchestra Barocca di Friburgo) è nata con un’idea spontanea e si è sviluppata in una storia di successo musicale unica: un Capodanno di oltre 30 anni fa, gli studenti di musica di Friburgo decisero di fondare un’orchestra dedicata interamente alla pratica esecutiva storicamente informata. Nel 1987 i musicisti hanno tenuto i primi concerti nell’area di Friburgo con il nome di “Freiburger Barockorchester”: oggi l’orchestra è famosa in tutto il mondo. Oltre alla propria stagione di concerti a Friburgo, Stoccarda e Berlino, l’FBO si esibisce nelle più importanti sale da concerto internazionali ed è considerata uno degli ensemble di musica antica più rinomati al mondo. Numerosi solisti di fama collaborano regolarmente con l’ensemble, tra cui Isabelle Faust, Christian Gerhaher, Kristian Bezuidenhout, Sandrine Piau, Pablo Heras-Casado, Jean-Guihen Queyras e René Jacobs, con il quale l’FBO intrattiene un’amicizia arricchente da molti anni. L’FBO stabilisce degli standard non solo nelle performance concertistiche, ma anche nella discografia. In stretta collaborazione con le etichette Deutsche Grammophon e harmonia mundi France, l’ensemble ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti per le sue registrazioni: tre German Record Critics’ Awards, due Gramophone Awards, tre Edison Classical Music Awards, un Classical Brit Award e due nomination ai Grammy. Insieme all’ensemble recherche, l’FBO ha sede presso l’Ensemblehaus Freiburg, un pensatoio musicale in cui la musica antica e quella nuova si ispirano e si completano a vicenda. Le due istituzioni trasmettono ogni anno questa ispirazione a giovani studenti di tutto il mondo nell’ambito della “Ensemble Academy”.
Cecilia Bernardini
L’italo-olandese Cecilia Bernardini è considerata una delle violiniste più versatili della sua generazione, specializzata nella pratica storicamente informata su strumenti d’epoca. Si è esibita in molte delle più prestigiose sale da concerto d’Europa, tra cui la Royal Albert Hall e la Wigmore Hall di Londra, Concertgebouw di Amsterdam, Musikverein di Vienna e Konzerthaus di Berlino, come solista, musicista da camera o direttore artistico. Fino a poco tempo fa Cecilia Bernardini ha guidato il Dunedin Consort, con sede in Scozia, e l’Ensemble Pygmalion, con sede in Francia; nel 2019 è stata nominata leader della Belgian B’Rock Orchestra. Dal 2023 ricopre il ruolo di direttore artistico associato della Freiburger Barockorchester. Ha diretto ensemble di strumenti moderni e d’epoca, tra cui The Netherlands Bachvereniging, Ensemble Zefiro, Arcangelo, Vox Luminis, Tafelmusik Baroque Orchestra, Barokkanerne, The King’s Consort, Holland Baroque Society, Scottish Chamber Orchestra, Camerata Salzburg. Appassionata di musica da camera, è membro del Quartetto Bernardini, del Trio Soldat e forma un duo con la fortepianista Keiko Shichijo.
Gottfried von der Goltz
Gottfried von der Goltz si è affermato sulla scena musicale internazionale come violinista barocco e come uno dei direttori artistici della Freiburger Barockorchester (FBO). Come era consuetudine nel XVIII secolo, dirige la FBO dalla posizione di concertmaster. Il suo repertorio spazia dal primo barocco alla musica contemporanea, illustrato da un’ampia discografia che lo rivela come un musicista estremamente versatile e flessibile, come solista e come direttore d’orchestra. In particolare, Gottfried von der Goltz si è guadagnato la reputazione di specialista della musica del barocco di Dresda, a lungo dimenticata, e dei quattro figli di Bach. Oltre al suo impegno con la FBO, Gottfried von der Goltz si esibisce regolarmente come direttore ospite e solista con i Berliner Barocksolisten, la Württembergisches Kammerorchester Heilbronn, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Francoforte (hr-Sinfonieorchester), la Tafelmusik Baroque Orchestra e altri. Per un paio d’anni ha lavorato a stretto contatto con la Norsk Barokkorchester, di cui è stato direttore artistico. Gottfried von der Goltz si dedica anche all’esecuzione di musica da camera in varie formazioni. Come professore di violino barocco e moderno è un apprezzato insegnante presso l’Università della Musica di Friburgo.
Mercoledì 30 ottobre ore 20.30
Auditorium Parco della Musica – Sala Sinopoli
Freiburger Barockorchester
Gottfried von der Goltz, Cecilia Bernardini violini e concertatori
Vincent Bernhardt clavicembalo
Bach 6 Concerti brandeburghesi BWV 1046-1051
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biglietti da € 30 a € 60
www.santacecilia.it
Roma- Va in scena al Teatro Manzoni-“Donne in pericolo” di Wendy Macleod- Quando una donna di mezza età, reduce da un divorzio difficile, si fidanza e ritrova la passione, è sempre una gran bella notizia!”La vita è in grado di riservare delle sorprese!”, “Non è mai troppo tardi!”, ” A cinquant’anni ho ritrovato la mia femminilità!”, sono tutte frasi iconiche, stampate nell’immaginario collettivo, simbolo di speranza di un’esistenza piena, ricca e soddisfacente.
Tutto bellissimo. Ma come la mettiamo con le amiche?
L’arrivo di un uomo rende tutte felici, anche solo per spirito di solidarietà femminile ma, diciamoci la verità, va anche a compromettere certe abitudini: c’è meno tempo a disposizione, ci si isola un po’ e questo può scatenare qualche forma di invidia o, peggio ancora, di gelosia.
È proprio quello che succede in DONNE IN PERICOLO, una commedia frizzante e irresistibilmente divertente, in cui Mary e Jo sono determinate a recuperare la loro amica, caduta nelle grinfie di un nuovo amore che la sta pericolosamente allontanando da loro. Tra inquietanti serial killer, strambi poliziotti e ragazzi un po’ troppo spregiudicati, si snoda una vera propria avventura fatta di tranelli, sospetti, frecciatine e colpi bassi, in cui la determinazione delle donne e la loro capacità di fare squadra, la fa da padrona.Il messaggio agli uomini è molto chiaro: prima ancora di sedurre la donna che vi piace, conviene conquistare le sue amiche!
DONNE IN PERICOLO
DI WENDY MACLEOD
Con (in ordine alfabetico)
VITTORIA BELVEDERE – BENEDICTA BOCCOLI – DEBORA CAPRIOGLIO
Con ERMENEGILDO MARCIANTE
BEATRICE COPPOLINO e CLAUDIO CAMMISA
Regia di
ENRICO MARIA LAMANNA
Traduzione e adattamento
MARIOLETTA BIDERI – ENRICO MARIA LAMANNA
TEATRO MANZONI
DAL 7 AL 24 NOVEMBRE
Tournée 2024-25
dal 7 al 24 novembre TEATRO MANZONI – ROMA
29 novembre TEATRO BORGATTI – FERRARA
30 novembre BELLUNO
1° dicembre TEATRO SAN DOMENICO – CREMA
13 dicembre AURORA CINEMA E TEATRO – CAMPODARSEGO (PD)
14-15 dicembre TEATRO VILLORESI- MONZA
28-29 dicembre TEATRO TEAM – BARI
9 gennaio TEATRO POLIETAMA- BRA (CN)
10 gennaio TEATRO COMUNALE – CASALMAGGIORE (CR)
11 gennaio TEATRO BELLINI – CASALBUTTANO (CR)
12 gennaio TEATRO GONZAGA ILVA – BAGNOLO IN PIANO (RE)
16 gennaio AUDITORIUM BENEDETTO XII – CAMERINO (MC)
17 gennaio CINE TEATRO LA PERLA -MONTEGRANARO (FM)
Marioletta Bideri per Bis Tremila produzioni presenta
DONNE IN PERICOLO
DI WENDY MACLEOD
Con (in ordine alfabetico)
VITTORIA BELVEDERE – BENEDICTA BOCCOLI – DEBORA CAPRIOGLIO
Con ERMENEGILDO MARCIANTE
BEATRICE COPPOLINO e CLAUDIO CAMMISA
Regia di ENRICO MARIA LAMANNA
Traduzione e adattamento
MARIOLETTA BIDERI – ENRICO MARIA LAMANNA
Roma-Va in scena mercoledì 30 ottobre 2024 ore 21 in Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, “La malattia dell’ostrica“, un monologo di e con Claudio Morici
“Lo spirito creativo dell’artista (…) può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia dell’ostrica: come non si pensa alla malattia dell’ostrica ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale dell’opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita.” Karl Jaspers
Dopo aver studiato decine di biografie per un programma tv sui libri, Claudio Morici ha avuto un’illuminazione: gli scrittori sono tutti matti. Hanno subito guerre mondiali, miseria, traumi infantili, come minimo un paio di tragici amori non corrisposti. È gente che sta malissimo, parliamoci chiaro. Il problema è che Claudio, scrittore anche lui, ha un figlio di quattro anni che manifesta già velleità autoriali. Che fare? Come comportarsi? Da padre non ha dubbi: vietare l’utilizzo della penna! Censurare la poesia! Ma soprattutto contrastare un sistema educativo che obbliga milioni di bambini a studiare la visione della vita di persone che… se la sono tolta! Si parla di Cesare Pavese imbottito di sedativi in una stanzetta d’albergo. Di Emilio Salgari che si è sventrato con un rasoio. Giovanni Pascoli è morto di cirrosi epatica, quanti lo sanno? Perché ci concentriamo sulla bellezza della perla e nascondiamo ai nostri figli (e spesso a noi stessi) la malattia dell’ostrica che sempre la produce? Attraverso incursioni nella vita dei grandi e delle grandi della letteratura, Claudio troverà un modo per accompagnare suo figlio nella tempestosa età adolescenziale. Ma soprattutto compirà un viaggio a ritroso nella propria “età a rischio”, riportando alla memoria come i libri lo abbiano curato. Perché gli scrittori ci salvano la vita.
“La malattia dell’ostrica” di Claudio Morici è anche un libro in libreria dal 18 ottobre e un Podcast coprodotto da Fandango Podcast e Teatro Metastasio di Prato. A differenza dello spettacolo e del libro, il podcast non possiede la linea del racconto di bio-fiction. Ma approfondisce, in 10 puntate, la vita di 10 scrittrici o scrittori “matti”, con relativa intervista a uno psicoterapeuta esperto del loro disturbo psichiatrico.
Biografia di Claudio Morici è laureato in psicologia, oltre ad essere scrittore, attore teatrale e videomaker. Ha pubblicato 6 romanzi tra cui “La terra vista dalla Luna” (Bompiani, 2009), “L’uomo d’argento” (E/O, 2012), “La malattia dell’ostrica” (Fandango, 2024). Come autore e performer ha riempito teatri off romani e girato per tutta Italia. Il suo ultimo spettacolo “La Malattia dell’Ostrica” è prodotto dal Teatro Metastasio di Prato ed è diventato recentemente sia un podcast che un libro. Pochi giorni prima del lockdown era in finale a Italia’s Got Talent, con un pezzo comico in cui recensiva l’elenco telefonico di Roma del 2012. Dal 2020 ha cominciato a girare brevi video satirici, ospitati spesso da Propaganda Live, Internazionale.it, RaiNews, repubblica.it e dall’Unione Buddhisti Italiani. Cura una rubrica video dentro PlayBooks, il programma sui libri di Rai Play
Produzione Lo spettacolo è prodotto dal teatro Metastasio di Prato
Mercoledì 30 ottobre 2024
SALA PETRASSI ORE 21
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA ENNIO MORRICONE
Biglietti da 20 euro
Scritto con Jan Brachmann-Traduzione di Nicola Cattò
Zecchini Editore
Descrizione del libro del grande David Geringas-Spesso le autobiografie di grandi artisti si riassumono in una serie di dati, persone e luoghi di relativa importanza per il lettore: del tutto diverso è quanto si legge nelle “Memorie di un violoncellista” (questo il sottotitolo del volume scritto con Jan Brachmann) del grande David Geringas, l’allievo prediletto di Rostropovič, vincitore del Premio Čajkovskij nel 1970. La sua vita è anche il riflesso della storia, anzi della Grande Storia, fra l’infanzia in Lituania, gli studi nelle Mosca sovietica, l’emigrazione in Germania (con una lunga parentesi verso l’Italia, paese da Geringas amatissimo) e la lunga carriera di violoncellista e insegnante, in un continuo scambio con tutti i compositori più importanti del secondo ’900, che hanno scritto per lui. Nella vita di David Geringas, insomma, c’è la storia musicale e culturale degli ultimi 70 anni: e non è poco.
Richiedete il libro nei migliori negozi o a questo link:
Traduzione di Roberta Scarabelli- Neri Pozza Editore
Un bar nella Vienna degli anni Sessanta: i suoi avventori e le loro storie di vita, speranze, amori e illusioni.
Sinossi del libro di Robert Seethaler-Nell’estate del 1966 Robert Simon ha poco piú di trent’anni e un sogno: aprire un bar. Cresciuto in un istituto per orfani di guerra gestito dalle suore della Carità, per qualche tempo ha lavorato come aiuto cameriere e garzone nei locali all’aperto del Prater, e forse è stato proprio lí – mentre girava fra i tavoli alla luce delle lanterne colorate, alla ricerca di bicchieri vuoti e mozziconi di sigaretta – che si è acceso in lui il desiderio di stare, un giorno, dietro il bancone della propria osteria. Quando il bar all’angolo del mercato chiude i battenti, Robert capisce che la sua occasione è arrivata. Il locale, cupo e fatiscente, si trova in uno dei quartieri piú poveri e sporchi di Vienna, ma da qualche tempo spira un vento nuovo e l’aria è pervasa da uno strano fermento: sui giornali con cui i pescivendoli avvolgono i salmerini e le trote del Danubio si legge di grandi cose a venire, di un futuro radioso pronto a sorgere dal pantano del passato. Infiammato da questi cambiamenti, Robert rimette a nuovo il bar, imbiancando le pareti, verniciando i mobili e lucidando le piastre dei fornelli. Non ha molto da offrire, ma i clienti arrivano comunque, portando storie di passioni, amicizie, abbandoni e lutti. Alcuni sono in cerca di compagnia, altri desiderano ardentemente l’amore, o soltanto un luogo dove sentirsi compresi, e mentre la città diventa sempre piú affollata, anche la vita di Robert si trasforma. Combinando l’incanto di una prosa malinconica a una tenera comicità, Robert Seethaler ha scritto un romanzo animato da personaggi indimenticabili, un caleidoscopio di storie che si fa parabola dell’esistenza umana.
Andreas Heimann:«L’autore traccia un quadro non sentimentale dei suoi personaggi, ma con molta empatia. È un’arte che padroneggia alla perfezione: quella di raccontare grandi storie di piccole persone».
Brigitte:«La narrazione di Robert Seethaler è cosí toccante che si ha voglia di sedersi personalmente in questo “bar senza nome”».
Breve biografia di Robert Seethaler – nato a Vienna nel 1966 e vive tra questa città e Berlino. Autore e sceneggiatore, nel 2007 ha ricevuto il prestigioso premio del Buddenbrookhaus per il suo romanzo d’esordio. Ha ottenuto numerose borse di studio, tra cui la Alfred Döblin dalla Akademie der Künste, e il film tratto dalla sua sceneggiatura (Die zweite Frau) ha ricevuto un importante riconoscimento al Festival del Cinema di Monaco di Baviera nel 2009. Una vita intera (Neri Pozza 2016) è stato selezionato per l’International Booker Prize e diventerà un film diretto da Hans Steinbichler, con Stefan Gorski nei panni di Andreas Egger. Presso Neri Pozza sono apparsi anche Il campo (2019) e L’ultimo movimento (2021). I libri di Seethaler sono tradotti in piú di 40 lingue.
Descrizione del libro di Anthony Penrose e Lee Miller Fotogiornalista, corrispondente di guerra, modella e musa surrealista, Lee Miller è stata una delle più grandi fotografe del Ventesimo secolo, tra fotogiornalismo, moda, ritratti e pubblicità. Questo libro, pubblicato contemporaneamente all’uscita di un importante film sulla sua vita, raccoglie 100 dei suoi migliori lavori. Anthony Penrose è un fotografo britannico, figlio di Sir Roland Penrose e Lee Miller, e dirige il Lee Miller Archive e la Penrose Collection, con sede nella casa di famiglia, Farley Farm House. La sua biografia Le molte vite di Lee Miller è stata pubblicata in Italia da Contrasto. Kate Winslet, che interpreta Lee Miller nel film, prefaziona il libro.
La sua famiglia di origine era composta dal padre Theodore, ingegnere, inventore e uomo d’affari di origine tedesca, dalla madre Florence Miller, nata MacDonald, di origine canadese, scozzese ed irlandese, dal fratello minore Erik e dal fratello maggiore John. Era la figlia preferita del padre, che si dilettava con la fotografia e che insegnò le tecniche fotografiche ai propri figli quando erano ancora molto piccoli. Lee, oltre ad essere allieva, fin dall’infanzia era stata anche la modella di Theodore, che la ritraeva spesso nelle sue fotografie stereoscopiche.[4]
Nel 1914, all’età di sette anni, subì una violenza sessuale, mentre si trovava a Brooklyn presso amici di famiglia in occasione del ricovero in ospedale della madre; fra le conseguenze ebbe un’infezione di gonorrea. Non venne sporta denuncia e non fu ben chiaro chi fosse l’autore della violenza, che voci contrastanti attribuirono ad un marinaio, ad un parente o addirittura al padre di Lee. Molti anni più tardi tali supposizioni vennero smentite dal figlio di Lee Miller, il quale escluse parimenti l’ipotesi di rapporti incestuosi fra Lee e Theodore, che le foto scattate loro in seguito da Man Ray potevano suggerire.[5] Qualunque fosse la vera identità dello stupratore, in quello stesso anno Theodore iniziò a fotografare la figlia nuda, ritraendola nella neve in una foto intitolata Mattinata di dicembre che si ispirava a Mattinata settembrina, un quadro di Paul Chabas, la cui esposizione a New York nel 1913 era stata causa di scandalo.[6]
Nel 1925 frequentò l’École nationale supérieure des beaux-arts; nel 1926, a 19 anni, si iscrisse alla Art Students League di New York per studiare scenografia e illuminazione di scena.[7][8] Nello stesso anno, mentre camminava per strada a Manhattan, rischiò di essere investita da un’auto che sopraggiungeva, ma fu prontamente trattenuta da un passante che le evitò l’incidente e le salvò la vita.[7][8]
Carriera come modella
Il passante che le salvò la vita si rivelò Condé Nast, editore di Vanity Fair e di Vogue. Nast rimase affascinato dal portamento e dal modo di vestire di Lee, e ne apprezzò anche la conoscenza della lingua francese, al punto da proporle un contratto: iniziò in questo modo la sua carriera di fotomodella.[7][8]
Mentre dimostrava sempre maggiore interesse alle tecniche di chi la fotografava, cresceva la sua ambizione a diventare l’osservatrice anziché l’osservata.[5]
Nel 1928 una foto di Lee Miller scattata da Steichen fu utilizzata per la pubblicità di assorbenti e causò uno scandalo[9] che pose fine alla sua carriera di modella.
Carriera come fotografa
Nel 1929 Lee Miller si recò a Parigi con l’intenzione di fare apprendistato presso l’artista e fotografo surrealista Man Ray. Sebbene all’inizio questi non fosse intenzionato ad avere allievi, Lee presto divenne la sua modella e collaboratrice, e pure la sua compagna e musa.[6]
A Parigi nel 1930 Miller allestì uno studio fotografico proprio, spesso ricevendo commissioni da stiliste affermate quali Elsa Schiaparelli e Coco Chanel.[2] Non di rado sollevò da questo tipo di incarichi Man Ray, che in tal modo poteva concentrarsi sui propri dipinti.[10] Molte fotografie attribuite a Man Ray erano in realtà opera di Miller e nel 1930 non era facile distinguere quale dei due fosse l’autore.[6][10]
Insieme a Ray Lee Miller lavorò a numerosi progetti, ed insieme sperimentarono la tecnica fotografica della solarizzazione.[11]
Nell’intero corso della sua carriera Lee Miller mantenne sempre il punto di vista surrealista, utilizzando porte, specchi, finestre ed altri dettagli atti ad inquadrare e ad isolare il soggetto ritratto.[2]
Delusa sia dalla relazione amorosa che dall’ambiente artistico, nel 1932 lasciò Ray e Parigi per tornare a New York, dove allestì un proprio studio fotografico per ritratti e foto commerciali, con il fratello Erik che la assisteva nella camera oscura. Nello stesso anno espose nella mostra della Moderna fotografia europea presso la galleria Julien Levy di New York, nella quale allestì l’anno successivo l’unica mostra personale di tutta la sua vita.[15]
A New York lavorò con successo come fotografa per due anni, eseguendo numerosi ritratti, come quelli dell’artista Joseph Cornell, delle attrici Lilian Harvey e Gertrude Lawrence, e del cast afroamericano dell’opera lirica Four Saints in Three Acts (1934) di Virgil Thomson e Gertrude Stein. Ritratti come Floating Head (Mary Taylor), del 1933, riflettevano l’influenza surrealista di Man Ray.[2]
Nel 1934 conobbe il facoltoso uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey, che si era recato a New York per acquistare l’attrezzatura per il trasporto ferroviario nazionale del proprio Paese. Nacque una storia d’amore che in pochi mesi venne coronata dal matrimonio, e nel 1935 Lee Miller seguì il marito al Cairo. Qui, impressionata dal paesaggio arido del deserto e dai luoghi abbandonati dei faraoni, fotografò rovine e templi, arrampicandosi con la propria attrezzatura anche sulla piramide di Cheope a Giza. Le foto scattate in Egitto, compresa Portrait of Space, sono considerate fra le sue immagini surrealiste più sorprendenti, nonostante Miller avesse temporaneamente sospeso il lavoro di fotografa professionista.
La storia d’amore con Bey non durò a lungo, e presto Lee si stancò della vita al Cairo. Nel 1937 intraprese un viaggio a Parigi, dove incontrò il pittore surrealista e curatore d’arte britannico Roland Penrose, che si era appena separato dalla moglie Valentine, e che avrebbe sposato qualche anno più tardi. Insieme a Penrose visitò buona parte dell’Europa, scattando foto spettacolari, e trascorse una vacanza nel sud della Francia, a Mougins, dove frequentò Pablo Picasso, Dora Maar, Paul Éluard, Nusch Éluard, Man Ray, Eileen Agar ed altri artisti, che ritrasse in una serie di fotografie fra cui uno studio su Picasso. Questi, a propria volta, dipinse Lee Miller su sei diverse tele.[2][16]
Nel 1939 Miller lasciò definitivamente l’Egitto per trasferirsi a Londra.
Corrispondente di guerra e fotoreporter
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Miller era residente in Hampstead a Londra con Roland Penrose quando iniziò il bombardamento della città. Penrose venne richiamato alle armi, mentre Lee tornò per un breve periodo a New York dove riprese il lavoro di fotografa per Vogue.
Ignorando le richieste degli amici e della famiglia di restare negli Stati Uniti, Miller intraprese la nuova carriera di fotoreporter di guerra per Vogue, e documentò il bombardamento strategico del Regno Unito nel corso della guerra lampo portata avanti dalla Germania nazista. Tra il 1939 ed il 1945 Miller fece parte del London War Correspondents Corp e fu riconosciuta dall’esercito degli Stati Uniti d’America quale corrispondente di guerra per l’editore Condé Nast dal mese di dicembre 1942, incarico all’epoca non frequentemente assegnato ad una donna. Collaborò con il fotografo statunitense David Scherman, corrispondente di Life, con il quale ebbe una relazione. Le furono affidati numerosi incarichi, durante i quali sviluppava le pellicole in una camera oscura improvvisata nella propria stanza d’albergo.
Miller si recò in Francia meno di un mese dopo il D-Day e documentò il primo utilizzo del napalm durante l’assedio di Saint-Malo, la liberazione di Parigi, la battaglia dell’Alsazia, l’incontro tra l’esercito statunitense e l’Armata Rossa a Torgau, la conquista del Berghof nell’Obersalzberg presso Berchtesgaden. In particolare, la documentazione dell’orrore dei campi di concentramentonazisti di Buchenwald e di Dachau costituì la prima testimonianza dello sterminio perpetrato nei campi, tanto che dovette essere certificata l’autenticità delle foto per la pubblicazione su Vogue,[17] e lasciò un segno indelebile nella sua mente.[18] Una foto di Scherman, che ritrasse Miller nella vasca da bagno dell’appartamento di Adolf Hitler a Monaco di Baviera dopo la caduta della città nel 1945, costituì una delle immagini più rappresentative della collaborazione fra i due fotografi.[5][19]
Durante la guerra, forse per la prima volta nella vita, Lee venne apprezzata non per il proprio aspetto bensì per ciò che era in grado di fare, realizzando in tal modo il desiderio di “scattare una foto piuttosto che essere ripresa”. Fu sempre determinata a competere con gli uomini ad armi pari, talvolta rischiando guai, come quando infranse il divieto che riguardava le fotografe di avvicinarsi troppo al fronte: infrazione che le costò l’arresto per un breve periodo.[5]
Finita la guerra, Miller iniziò a ritrarre bambini ricoverati in un ospedale di Vienna e la vita dei contadini nell’Ungheria; immortalò anche l’esecuzione del Primo ministro László Bárdossy. Continuò quindi a lavorare per Vogue per due anni, occupandosi di moda e di celebrità.
Nel 1946 fece visita a Man Ray in California insieme a Penrose. Quando si accorse di aspettare un bambino, chiese il divorzio dal marito egiziano e sposò Roland Penrose il 3 maggio 1947. Il suo unico figlio, Antony, nacque nel mese di settembre del 1947.
Mentre Miller continuava occasionalmente a scattare foto per Vogue, era conosciuta soprattutto come Lady Penrose e presto alla camera oscura preferì la cucina,[24] trasformandosi in cuoca apprezzata. Fotografò anche Picasso e Antoni Tàpies per le biografie che Roland scrisse su di loro. Le immagini della guerra, specialmente quelle dei campi di concentramento, continuavano a tormentarla e il suo stato depressivo peggiorò. Il suo peggioramento poteva anche essere in parte attribuito alla lunga relazione extraconiugale del marito con una trapezista.[4]
Lee Miller morì di cancro nel 1977 presso la Farley Farm all’età di 70 anni. Venne cremata e le sue ceneri sparse nel suo giardino.[27]
La fama di Lee Miller
Nel 1955 alcune foto di Miller vennero selezionate per l’esposizione The Family of Man realizzata presso il Museum of Modern Art di New York; nel 1976 Lee fu ospite d’onore ai Rencontres d’Arles.
In generale, Lee Miller non si preoccupò particolarmente di fare pubblicità al proprio lavoro fotografico, noto soprattutto in seguito agli sforzi del figlio Antony che iniziò a studiare, conservare e promuovere l’opera materna fin dall’inizio degli anni ottanta, rendendo accessibili le foto sul sito Lee Miller Archives.[28]
Quando ereditò la Farley Farm, Antony la trasformò in museo in cui, accanto alle stanze abitate dai genitori, espose le opere di loro produzione, come Fallen Giant, Sea Creature e Kneeling Woman, e le collezioni private Miller-Penrose, ossia alcuni fra i loro pezzi d’arte preferiti, comprendenti lavori di Picasso, Man Ray, Max Ernst e Joan Miró.[23]
Nel 1985 Antony Penrose pubblicò la prima biografia della madre, intitolata The Lives of Lee Miller.[3] Da quel momento molti libri, spesso corredati di foto di Lee Miller, vennero scritti dagli storici dell’arte e da scrittori quali Jane Livingston,[20] Richard Calvocoressi,[29] Mark Haworth-Booth.[30] Un’intervista radiofonica del 1946 venne trasformata in audiolibro dal titolo Surrealism Reviewed, pubblicato nel 2002.[31]
Nel 1989 venne organizzata una grande retrospettiva itinerante in buona parte degli Stati Uniti d’America.
Le opere principali di Lee Miller, ossia le foto scattate come corrispondente di guerra, vennero in buona parte raccolte e pubblicate postume sempre a cura di Antony Penrose, con una prefazione di David Scherman.[32] Nel 1993 la biografia romanzata di Lee Miller pubblicata da Marc Lambron vinse il Prix Femina.[33]
Nel 2005 la vita di Lee Miller venne riprodotta in un musical intitolato Six Pictures of Lee Miller, con musiche e parole del compositore britannico Jason Carr,[34] premiato al Chichester Festival Theatre nel Sussex. Nello stesso anno la biografia di Carolyn Burke, Lee Miller, a Life[35][36] venne pubblicata negli Stati Uniti d’America da Alfred A. Knopf e nel Regno Unito da Bloomsbury.
Nel 2007, con la collaborazione dell’Università del Sussex, comparve Echoes from St. Malo[37] all’interno della collana Traces of Lee Miller, un CD interattivo e DVD sull’attività fotografica di Lee Miller a Saint-Malo.
Nel 2012 diverse opere di Miller vennero incluse nella tredicesima edizione della documenta di Kassel.
Nel 2020 esce il libro La Vasca del Führer di Serena Dandini, sulla vita di Lee Miller Penrose.
Nel 2023 viene realizzato il lungometraggio Lee, diretto da Ellen Kuras ed interpretato da Kate Winslet.
Filmografia
(FR) Sylvain Roumette, Lee Miller ou la Traversée du miroir, Production Terra Luna Films, France, 1995, a 0:54:00.
Biografia di Mario Rivosecchi e Poesie in copia anastatica del suo libro edito a Roma nel 1954 da Bardi Editore.Mario Rivosecchi. nasce a Grottammare nel 1894 e qui trascorre i primi 10 anni di vita. Mario Rivosecchi è Conosciuto soprattutto per le sue raccolte di poesie, in cui spesso evoca i paesaggi e i luoghi della sua terra natìa, Il Rivosecchi visse poco a Grottammare, dove sicuramente non avrebbe potuto compiere gli studi formativi che ai suoi tempi si realizzavano soprattutto negli Atenei delle grandi città. Ebbe la fortuna di vivere a Roma , Firenze e Bologna, respirando l’aria dei ferventi moti artistici e letterari dell’epoca. In queste città d’arte, la cui atmosfera è ricca di storia e cultura, si appassiona e si avvicina allo studio dell’arte. Le sue origini sono modeste: il padre, ferroviere, nel 1904 si trasferisce a Bologna e successivamente a Roma e Firenze, dove Mario finisce il Liceo e inizia a frequentare il caffè “Giubbe Rosse”, ritrovo di molti poeti, scrittori e pittori del movimento “Futurista”. Nel 1915 entra nell’esercito e parte per il fronte. Reduce di guerra, nel 1918 si sposa e si laurea in giurisprudenza per poi iscriversi alla facoltà di Filosofia e, una volta laureato, ottiene l’incarico in materie letterarie presso “L’Istituto Tecnico” di Tolentino dove si trasferisce con la famiglia. Uomo dai mille interessi culturali studioso di letteratura e Storia dell’Arte, dimostra una volontà e una passione incrollabile nell’arricchire con nuove esperienze culturali e artistiche la propria cultura. Nel 1925, pubblica la sua prima raccolta di liriche: “MENTASTRO”. Conseguita l’abilitazione all’insegnamento di Storia dell’Arte, si trasferisce a Roma insegnando al Liceo “Visconti” e al Liceo Artistico di via Ripetta; malgrado vivesse da anni a Roma non dimenticò tuttavia il suo paesino d’origine dove, d’estate, ritornava spesso per ritrovare gli amici dell’infanzia, in particolare Vittorio Fazzini, ebanista e scultore, padre di Pericle. Fu proprio Mario a convincere Vittorio ad assecondare il talento artistico del figlio convincendolo a farlo studiare a Roma, aiutandolo ad entrare all’Accademia di Belle Arti e successivamente a vincere una borsa di studio che gli permise di mantenersi a Roma per continuare gli studi. Allievi di Mario Rivosecchi al Liceo “Visconti” furono molti giovani antifascisti: Antonello Trombadori, Bufalini, Giorgio Amendola. Nel 1938, Rivosecchi assume la direzione del Liceo Artistico e dell’Accademia di Belle Arti di Roma, mentre il primogenito, Ivo, viene arrestato per attività antifascista. Al termine della guerra trascorre un periodo difficile, sia per motivi di salute, sia per le ingiuste accuse mosse da alcuni colleghi che lo additarono come “colui che aveva tratto profitto dal fascismo”, solo perché nel 1932 fu costretto a prendere la tessera del partito a pena di esclusione dall’insegnamento. Nel 1954 esce la 1ª edizione di “Pietra e Colore”, una raccolta di liriche arricchita di disegni di Fazzini e Guttuso; quasi tutte le poesie scritte da Rivosecchi nascono durante i soggiorni estivi a Grottammare, dove il luogo preferito per ispirarsi è la “Vedetta Picena”. Nel 1974, vince il premio “SYBARIS” per la poesia. Tra le raccolte di poesie ricordiamo: “Mentastro”, “Fiore di Vento”, “Alberi amici”, “Pietra e colore”, “Ascesi”. Nelle poesie di Rivosecchi vi è un’identità di musica, pittura e poesia con connotati descrittivi ed evocazioni atmosferiche tali da rendere ogni poesia un piccolo “quadretto” contemplativo. Fonte –Sito web del Comune di GROTTAMMARE (Ascoli Piceno)
Biografia di Mario Rivosecchi,conosciuto soprattutto per le sue raccolte di poesie, in cui spesso evoca i paesaggi e i luoghi della sua terra natìa, nasce a Grottammare nel 1894 e qui trascorre i primi 10 anni di vita. Il Rivosecchi visse poco a Grottammare, dove sicuramente non avrebbe potuto compiere gli studi formativi che ai suoi tempi si realizzavano soprattutto negli Atenei delle grandi città. Ebbe la fortuna di vivere a Roma , Firenze e Bologna, respirando l’aria dei ferventi moti artistici e letterari dell’epoca. In queste città d’arte, la cui atmosfera è ricca di storia e cultura, si appassiona e si avvicina allo studio dell’arte. Le sue origini sono modeste: il padre, ferroviere, nel 1904 si trasferisce a Bologna e successivamente a Roma e Firenze, dove Mario finisce il Liceo e inizia a frequentare il caffè “Giubbe Rosse”, ritrovo di molti poeti, scrittori e pittori del movimento “Futurista”. Nel 1915 entra nell’esercito e parte per il fronte. Reduce di guerra, nel 1918 si sposa e si laurea in giurisprudenza per poi iscriversi alla facoltà di Filosofia e, una volta laureato, ottiene l’incarico in materie letterarie presso “L’Istituto Tecnico” di Tolentino dove si trasferisce con la famiglia. Uomo dai mille interessi culturali studioso di letteratura e Storia dell’Arte, dimostra una volontà e una passione incrollabile nell’arricchire con nuove esperienze culturali e artistiche la propria cultura. Nel 1925, pubblica la sua prima raccolta di liriche: “MENTASTRO”. Conseguita l’abilitazione all’insegnamento di Storia dell’Arte, si trasferisce a Roma insegnando al Liceo “Visconti” e al Liceo Artistico di via Ripetta; malgrado vivesse da anni a Roma non dimenticò tuttavia il suo paesino d’origine dove, d’estate, ritornava spesso per ritrovare gli amici dell’infanzia, in particolare Vittorio Fazzini, ebanista e scultore, padre di Pericle. Fu proprio Mario a convincere Vittorio ad assecondare il talento artistico del figlio convincendolo a farlo studiare a Roma, aiutandolo ad entrare all’Accademia di Belle Arti e successivamente a vincere una borsa di studio che gli permise di mantenersi a Roma per continuare gli studi. Allievi di Mario Rivosecchi al Liceo “Visconti” furono molti giovani antifascisti: Antonello Trombadori, Bufalini, Giorgio Amendola. Nel 1938, Rivosecchi assume la direzione del Liceo Artistico e dell’Accademia di Belle Arti di Roma, mentre il primogenito, Ivo, viene arrestato per attività antifascista. Al termine della guerra trascorre un periodo difficile, sia per motivi di salute, sia per le ingiuste accuse mosse da alcuni colleghi che lo additarono come “colui che aveva tratto profitto dal fascismo”, solo perché nel 1932 fu costretto a prendere la tessera del partito a pena di esclusione dall’insegnamento. Nel 1954 esce la 1ª edizione di “Pietra e Colore”, una raccolta di liriche arricchita di disegni di Fazzini e Guttuso; quasi tutte le poesie scritte da Rivosecchi nascono durante i soggiorni estivi a Grottammare, dove il luogo preferito per ispirarsi è la “Vedetta Picena”. Nel 1974, vince il premio “SYBARIS” per la poesia. Tra le raccolte di poesie ricordiamo: “Mentastro”, “Fiore di Vento”, “Alberi amici”, “Pietra e colore”, “Ascesi”. Nelle poesie di Rivosecchi vi è un’identità di musica, pittura e poesia con connotati descrittivi ed evocazioni atmosferiche tali da rendere ogni poesia un piccolo “quadretto” contemplativo. Fonte –Sito web del Comune di GROTTAMMARE (Ascoli Piceno)
È stata la capitale d’Israele dal 1948 al dicembre 1949[2][3] ed è ancora sede della maggior parte delle ambasciate straniere presso quello Stato[4], dato che la proclamazione da parte di Israele di Gerusalemme come capitale nel 1980 non è riconosciuta da diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite[5] e un numero limitato di Stati ha l’ambasciata in tale città[4].
La giurisdizione di Tel Aviv è di 50,6 km². La densità di popolazione è di 7.445 persone per km² secondo le stime dell’Ufficio Centrale Israeliano di Statistica, riferite al settembre 2005, quando la popolazione della città ammontava a 876.700, in costante crescita a un tasso annuo dell’1 %. Il 96,1 % dei residenti sono ebrei, mentre il 3,0 % sono arabimusulmani e lo 0,9 % sono arabi cristiani. Secondo alcune stime circa 50.000 lavoratori stranieri non regolarizzati vivono a Tel Aviv[6].
Tel Aviv è il titolo ebraico dell’opera di Theodor HerzlAltneuland, tradotta dalla lingua tedesca da Nahum Sokolow. Sokolow adottò il nome di un luogo sito in Mesopotamia, citato in Ezechiele 3,15: “Giunsi dai deportati di Tel Aviv, che abitano lungo il canale Chebàr, dove hanno preso dimora, e rimasi in mezzo a loro sette giorni”.
Il nome fu scelto nel 1910 fra alcune opzioni, tra le quali “Herzliya“, e fu ritenuto adatto a esprimere l’idea di rinascita dell’antica patria ebraica. Aviv in ebraico vuol dire “primavera” e simboleggia il rinnovamento, mentre Tel indica una “collina” creatasi dalla stratificazione, nel tempo, di vari insediamenti umani e simboleggia il passato storico.
Storia
«Se Tel Aviv fosse in Russia, il mondo esalterebbe il suo piano urbanistico, gli edifici, la sua vita cittadina improntata al sorriso, ‘le sue attività intellettuali, la sensazione di una gioventù al potere. La differenza con la Russia è che invece di essere delle mete per l’avvenire, tutte queste cose sono già realizzate.»
Fondata nel 1909 da un gruppo di residenti della vicina città di Giaffa[7], guidati dal futuro sindaco Meir Dizengoff, il nome della città fa riferimento a un passo della Bibbia: nel Libro di Ezechiele, infatti la “collina della primavera” è proprio il luogo dove – nella visione del profeta – trovano casa gli ebrei in esilio.
Alla fine del 1930 ebbe inizio lo sviluppo dell'”area Yarkon Mouth”, nota come la “Penisola Yarkon River“, prima nell’area circostante l’Aeroporto di Sde Dov, nella zona nord di Yarkon Mouth, e nella zona sud della bocca del fiume Yarkon, in quella che sembra per l’appunto una penisola. La “Tel Aviv International Trade Fair”, nota anche come “Orient Fiera” o “Fiera Levante”, è stata istituita tra il 1932 e il 1936 allo scopo di fare emergere nella città gli stili architettonici che oggi la caratterizzano, in particolare lo Style. Nella parte nord-orientale del campo della fiera internazionale è stato costruito il primo “Maccabiah Stadium“, nel 1932.
Nel 1937, è stato costruito sopra il fiume Yarkon il Wauchope Bridge (in omaggio a Arthur Grenfell Wauchope, Alto Commissario per la Palestina e la Transgiordania tra il 1931 e il 1938), allo scopo di collegare le due sponde della città in occasione della fiera internazionale.
Nel secondo dopoguerra la città si è sviluppata fino a diventare, come conurbazione assieme a città limitrofe, il principale centro israeliano in termini di popolazione ed economia.
Nel settembre 2022, pochi chilometri a sud del Palmahim Beach National Park , è stata scoperta una tomba risalente al regno del faraone Ramses II, tomba ricca di artefatti in ceramica e bronzo che forniscono una panoramica completa dell’arte funeraria della tarda Età del bronzo.[9]
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