Mostra collettiva che affianca artisti emergenti ad altri già affermati-
Roma Capitale-Galerie Nathalie Obadia per Rhinoceros Gallery propone una mostra collettiva che affianca artisti emergenti ad altri già affermati, mettendo in comunicazione ricerche che creano nuove interferenze artistiche.
Nelle sale progettate da Jean Nouvel espongono insieme Seydou Keïta fotografo e ritrattista attivo in Mali dal 1948, testimone della vivacità e della modernità presenti nella società africana post coloniale e Laure Prouvost, che propone un corpus di opere – tra le quali arazzi dalle imponenti dimensioni – che creano un archivio di visioni e catturano il flusso di immagini e testi dal quale quotidianamente siamo investiti.
Romana Londi presenta opere del 2024 nelle quali si riflette il suo approccio alla pittura basato sulla sperimentazione che esplora l’immediatezza della vita, fondendo realtà contrastanti in opere ibride.
Antoine Renard con le sue sculture sintetizza una ricerca legata al corpo, alla giovinezza e alla tradizione culturale – il suo David cita apertamente l’opera di Donatello – insieme a esplorazioni della sfera olfattiva e sensoriale.
Andres Serrano si rifà all’estetica classica e attraverso la struttura e la colorazione trasforma i soggetti delle sue fotografie in elementi monumentali. Qui l’effetto è amplificato dalla scelta di alcuni soggetti legati all’Italia, come il michelangiolesco Mosè di San Pietro in Vincoli, proprio a Roma.
Di Joris Van De Moortel, musicista e performer, oltre che pittore e scultore, sono visibili a rhinoceros gallery tele di grandi dimensioni, acquerelli e tempere, densi di riferimenti letterari che spaziano da William Blake a L’arbre des batailles, trattato di diritto militare scritto alla fine del XIV secolo per il giovane re di Francia Carlo VI.
Le opere di Agnès Varda sono quasi un ritorno alle origini. Alle sue celebri regie la cineasta anticipatrice della Nouvelle Vague ha sempre accompagnato, sin da giovanissima, l’attività di fotografa. Sono presenti in mostra undici immagini della serie Patates Coeurs, soggetto che l’artista affronta a più riprese considerandolo “simbolo di una vita che si rinnova costantemente”.
Breve biografia di Nicole Brossard-Poetessa, narratrice e saggista del Québec, Nicole Brossard è nata a Montréal nel 1943. A partire dal 1965 ha elaborato un’opera – nei vari campi della scrittura – tra le più importanti del periodo contemporaneo, riuscendo ad immergersi in modo dirompente nel tumulto della modernità. L’autrice ha infatti rinnovato, in modo radicale, con rigore e lucidità, il campo letterario precedentemente esistente, diventando “l’emblema stesso della nuova scrittura quebecchese” (Pierre Nepveu, ndr). Non meno importante l’attività di divulgatrice e teorica della letteratura del Québec.
La voce di Nicole Brossard, definita in un primo tempo “femminista”, è quella sontuosa e mai scontata di una cittadina del pianeta che naviga al di sopra della questione dei generi, nei mari aperti della parola piena e consapevole. È colei che osa dire: “ascolto ancora / al confine delle lingue / il rumore degli incendi / le domande, l’arte”. Sa benissimo che l’inferno è qui “sul bordo rovesciato di vivere”, ma continua per la sua strada avendo davanti a sé l’infinito da esplorare, per quel desiderio inarrestabile di “spargere baci tra i continenti” e forse per l’utopia di lenire il dolore del mondo.
Va detto, in conclusione, che Nicole Brossard non si compiace nei propri sogni, va oltre, tuffandosi “nel gran vivaio dei mormorii” (non a caso nella sua poesia appaiono Joyce e Svevo) per donare una parola d’eclissi e di riflessi capace di fondare le relazioni tra le cose, tra gli esseri.
Nicole Brossard ha pubblicato una trentina di libri tra i quali Le Centre blanc, La lettre aérienne, Le désert mauve, Hier, Cahier de roses et de civilisation. I più recenti sono: Je m’en vais à Trieste (2003) e L’horizon du fragment (2004). Le è stato conferito due volte il Prix du Gouverneur Général (1974, 1984) per la poesia. Ha cofondato nel 1965 la rivista letteraria “La Barre du Jour” e, nel 1976, il giornale femminista “Les Têtes de Pioche”. Ha corealizzato il film Some American Feminists (1976). Nel 1991, ha pubblicato insieme a Lisette Girouard Anthologie de la poésie des femmes au Québec (Des origines à nos jours), e nel 2002 l’antologia Poèmes à dire la francophonie. Nel 1991, le è stato conferito il Prix Athanase-David, la più alta onorificenza letteraria del Québec, e nel 1994 è entrata a far parte della Académie des Lettres du Québec. Nel 1999, ha ricevuto per la seconda volta il Grand Prix du Festival International de la Poésie de Trois-Rivières per le raccolte poetiche Musée de l’os et de l’eau e Au présent des veines. Premio W.O. Mitchell (2003). Inoltre: Prix Molson del Conseil des Arts du Canada (2006) e il titolo di Chevalier de l’Ordre de la Pléiade e Membre de la Société Royale du Canada.
L’insieme della sua opera, tradotta in molte lingue, fa di Nicole Brossard una scrittrice di livello internazionale.
ogni sete è una conca di luce
nel dolore ancestrale
nel grande casellario dei pronomi
dimmi se la mia morte va veloce dall’uno
all’altro secolo se con gli anni dovrò dimenticare
l’orchidea, aggiornare il delirio
dimmi se questa fame che ho dell’alba
si aggirerà tra i campi
tremante come un’ossessione, un orizzonte
*
non sarà facile dire io
se tutto questo gira male, valanga
o eternità e malinconia
so che abbiamo toccato
troppi orizzonti
l’infinito nelle nostre bocche
tradotto con pazienza
*
non ho ancora parlato di scomparsa
qualche detrito a monte di tutti i pronomi
la vita prende delle decisioni
e sotto la pelle ci prepara
ruote della fortuna e rompicapi
futuro e funerali
adesso ecco i ghiacciai
qualche materiale
di alba e sofferenza
*
essere là tutta una vita nella specie flessibile
con questo riflesso che persiste a volere
rappresentare tutto dell’ebbrezza e dei gesti
i morsi, le camere con le loro nicchie
di ombra soffice, le fronti preoccupate
nostra fragilità
e certo siamo senza risposta
ad ogni bacio!
*
idee di caduta e labirinto
come se al fondo delle nostre braccia
tutto quello che esiste fosse
fatto nell’attesa di spostare l’alba
scoprire il velo sopra il regno animale
allora io resto sveglia
tra temperini e cenere
*
non ci sarà ritratto
di mia madre né un’acquaforte o un gesto
né frase memorabile
o resisterà una scena ancora in piedi
nella città e nel vento
un fruscio di sciami che l’alba
avrà rapito veloce e intenso
*
e se l’angoscia se ciò che anima
le tue notti di letture e sogni
if dust on you fingers vibrates
avvolgiti nell’ombra
in un posto con del blu e del vuoto
ci sarà certo dell’acqua nei tuoi occhi
modernità e paura nei tuoi vestiti
*
stringiti al silenzio
all’alba il verbo essere pulsa più veloce
dentro le vene, fila una cometa
come dopo l’amore o un granello di sale
sulla lingua di mattina, gusto d’immensità
che ci riporta
dentro la primigenia umidità
abbracciami
l’acqua può fare di noi due
lo stesso luogo
Lawrence Ferlinghetti a Praga – Articolo di Dario Bellini- il manifesto-Alias-Il viaggio. Primavera 1998, passeggiate, osterie e incontri nella Città d’oro-
«Poeti, uscite dai vostri gabinetti…»
È il motto sulla terza pagina di un libro comprato su una bancarella di libri usati in un parco di Praga dedicato al soggiorno praghese di Lawrence Ferlinghetti nel 1998. Sfogliando il libro al centro della pubblicazione spunta tra le pagine, in giallo smagliante su carta più spessa, un foglio con la poesia Rivers of Light. Una poesia pubblicata solo su questo libro edito da Meander nel ’99. L’unica traccia della poesia è sulla fotografia della CTK, in questi giorni su un articolo del Washington Post, Ferlinghetti la sta sventolando alla conferenza stampa presso il Centro Franz Kafka di Praga. Il libro in questione racconta nei dettagli il viaggio di Ferlinghetti a Praga e lui descrive la sua poesia così: «L’ho scritta ieri notte, quando mi sono svegliato da un sogno. Quando la leggerete saprete riconoscerne il senso… In ogni caso se qualcuno la vuole stampare lo può fare tranquillamente. È una poesia di questo momento ed è pubblica, chiunque è autorizzato a farlo. Questa è una liberatoria un po’ anarchica, vero? Gli anarchici non credono nel diritto d’autore».
L’arrivo a Praga in treno da Parigi-
L’idea di invitare Ferlinghetti a Praga era nell’aria da più di dieci anni, già dagli anni 80 durante il periodo di repressioni e carcerazioni, quando in Cecoslovacchia la normalizzazione arrestava intellettuali e musicisti jazz. È probabilmente così che iniziano le amicizie e le affinità dell’underground ceco di allora con Ferlinghetti e altre personalità mondiali che facevano petizioni per la liberazione degli arrestati a Praga. Ferlinghetti di sicuro si sentiva dalla loro parte e qualche esperienza di ingiustizia ce l’aveva anche lui. Nel ’57 era stato arrestato e processato per aver pubblicato l’Urlo di Allen Ginsberg, nel ’68 era stato arrestato e condannato a 17 giorni di carcere per una manifestazione contro la guerra in Vietnam e perfino in Italia nel 2005 era stato fermato una notte dalla polizia a Brescia, arrestato come un clandestino beatnik che scattava fotografie e suonava ai campanelli in una via della città vecchia dove avevano abitato i suoi genitori. Anche un altro grande scrittore verso la fine degli anni ’80 a Praga aveva avuto problemi con la polizia, tutte le settimane veniva convocato per tremendi interrogatori nella casa piastrellata dove c’era la centrale della polizia segreta. Era Bohumil Hrabal che invitato in direzione opposta, da est verso ovest, da Aprilina Clifford per una serie di incontri culturali e conferenze nell’anno della rivoluzione di velluto, durante l’Uragano di Novembre si affacciava alle vetrine della City Lights di Lawrence Ferlinghetti a San Francisco. Viaggi attraverso gli oceani e le culture che, specialmente dopo la caduta dei muri, ma prima delle loro ricostruzioni, si alternavano con visite reciproche di artisti e scrittori tra i due continenti. Incontri tra culture in via di liberazione e finalmente nel ’97 quando un nutrito gruppo di librai, traduttori, poeti e fotografi, era partito da Praga per invitare Ferlinghetti che promise la sua partecipazione dicendo agli organizzatori «non accetto però soldi dal governo Usa, dovete trovare i finanziamenti da qualche altra parte».
In quel periodo il presidente del Festival degli Scrittori era il poeta americano Michael March che viveva a Praga. Karel Srp rilanciava la famosa Sezione Jazz Artforum e così l’edizione del festival del 1998 è diventata anche una Beat Generation Fest. La più volte rimandata visita di Ferlinghetti si è concretizzata una sera del 16 Aprile con il suo arrivo alla stazione di Hlavni Nadrazi. Un suo desiderio era quello di non essere ospitato ufficialmente in un hotel, così già dalla prima sera a Praga Lorenzo si è ritrovato come a casa ospite di Iva e Mirek Vodrazkovy nella città vecchia in via del Tempio, in una casa che prima era stata una chiesa e secondo la leggenda un luogo di incontro dei cavalieri templari.
Ferlinghetti era molto stupito dell’affetto con il quale era stato accolto, diceva continuamente che lui non era importante come Ginsberg (che era stato a Praga quattro volte dal ’65, espulso per droga e ubriachezza dalla Cecoslovacchia tornò nel 96 nella Repubblica Ceca insieme a Philiph Glass) lui si aspettava un tranquillo festival casalingo, ma già dalla prima mattina in città era su tutte le prime pagine dei giornali e anche per strada in molti lo riconoscevano, praghesi e anche turisti di passaggio. Molti gli incontri e le iniziative che erano state organizzate e fitta di eventi la pianificazione del soggiorno di Ferlinghetti a Praga, tra istituzioni, scuole, gallerie d’arte, teatri, vari centri di cultura ma anche molte birrerie e vinerie. Dalle foto che lo ritraggono in quei giorni si vede bene che Lorenzo si deve essere molto divertito nei suoi attraversamenti culturali, tra storia e attualità, passeggiando sui ponti tra la città nuova e la città vecchia, sulle rive della Moldava e sopra i castelli.
Questi sono i miei fiumi-
Il 18 Aprile era previsto il primo evento pubblico e la conferenza stampa al Centro Franz Kafka era molto affollata. C’era Maya Cain la curatrice di Prague Projekt, accanto a Ferlinghetti c’era Dante Marinacci, poeta e traduttore in Italia delle poesie di Ferlinghetti e direttore del centro di cultura italiano di Praga e c’erano Michael March e Karel Srp. Tra il pubblico, oltre ai giornalisti, molti artisti, poeti e ammiratori dello scrittore italoamericano. Subito la sorpresa di una poesia scritta proprio quella notte, istantaneamente stampata in giallo da Mirek in cento copie e distribuita ai presenti, in un’atmosfera di amicizia e grande disponibilità. C’era da mettersi d’accordo sulla lingua. L’inglese lo parlavano tutti, anche un po’ l’italiano che Ferlinghetti di origini bresciane parlava (aveva tradotto anche alcuni poeti), ma il ceco per lui era «come una lingua sulla luna».
Fu una conversazione molto internazionale e la conferenza fitta di domande specialmente sulla situazione politica, il ruolo degli intellettuali e la poesia. È vero che è venuto in treno? «Sì ho viaggiato per 15 ore, in treno vedo il mondo mentre in aereo sembra tutto uguale».
Conosce la poesia di Giuseppe Ungaretti?
«Questi sono i miei fiumi…ho ripassato le epoche della mia vita… c’è molta affinità, la luce non è un’idea, è ambiente e atmosfera. Sì la citazione di Ungaretti l’ho usata per una mia raccolta di poesie che ho pubblicato prima negli Stati Uniti e poi in Italia». Ha incontrato recentemente Gregory Corso? «Certamente Gregory Corso è il più grande poeta della beat generation dopo Allen Ginsberg. È un poeta geniale. Ha un suo modo di parlare americano molto originale, una lingo americana, come la tradurreste? No non è un dialetto, è qualcosa di diverso. Lui è veramente molto originale, non è mai influenzato da altre fonti letterarie. La mia poesia è invece molto influenzata da molti scrittori e poeti come Ungaretti, T.S. Eliot, Dylan Thomas, Walt Whitman, invece Gregory Corso ha una sua anima poetica pulita come a suo modo aveva solo Shelley». Sapete dov’è Gregory adesso? «Chi lo sa… forse a New York, forse a Campo de’ Fiori a Roma, forse da qualche altra parte. Magari entrerà da questa porta, lui è sempre con Shelley». Che ne pensate dei poeti cechi e di Kafka? «Kafka non esiste, è come un marchio… Sul Lunapark avevo in testa la poesia di Kafka del Castello. Ho anche letto Havel, i suoi drammi La Tentazione e Largo Desolato sono molto vicini a Ionesco e Samuel Beckett, ma la mia conoscenza della letteratura ceca è molto limitata»
Come dovrebbe funzionare un mondo ideale? Cosa pensa dell’anarchia? «L’anarchia non è mai stata un’ideologia, è stato un anarchismo ideale. I media hanno degradato l’anarchia a dei bombaroli che buttano sempre qualcosa in aria. Quando ovviamente tornate all’idea di anarchia come filosofia, indietro a Bakunin e agli altri scrittori anarchici come l’anglicano Herbert Reed oppure il canadese George Woodkock, scoprite che la filosofia anarchica è realmente libertaria, di individui per la libertà contro gli stati totalitaristi, che limitano la libertà degli individui. Arriva all’ideale che afferma che l’uomo è capace di governarsi da solo, senza uccidere i propri simili. In altre parole l’anarchia è una fede e dice che le persone sono fondamentalmente buone. Si può dire che anche la beat generation è stata una fede, un modo di relazionarsi con il mondo e sono convinto del bisogno che c’è di questo, nel mondo di oggi assorbito da una ingordigia materialistica insaziabile».
Poeti, intellettuali e chaos-
E poi inizia a parlare di tutto, così come in diverse altre occasioni del suo soggiorno a Praga in una non stop di 72 ore di letture e giornate di passeggiate, di incontri nelle osterie e di altre iniziative più o meno organizzate, come per i ragazzi di una scuola d’arte che gli hanno fatto dei ritratti, con i fotografi che gli hanno scattato fotografie in continuazione o al teatro Lucerna dove ha partecipato con City Lights alla Fiera internazionale del libro in corso in quei giorni. Quasi dieci giorni di soggiorno a Praga che sono evidentemente volati tra la musica del Club Rokoko, del jazz nella chiesa di San Salvatore, a teatro con il regista Lumir Tucek e le sue rappresentazioni dei Giochi di amnesia e Le tremila formiche rosse, la visita al Castello, le dissertazioni sull’anarchia buddista di Gary Snyder che anche lui a fine anno sarebbe stato invitato a Praga, Brno e Olomouc per delle letture.
Parla volentieri di tutto, come del superamento di apparteneza nazionale: «La tecnologia informatica ormai ignora completamente le frontiere e i governi non riescono a padroneggiare il cambiamento. Come mi ha detto Gunther Grass forse nel ventunesimo secolo non esisteranno più gli stati così come li conosciamo adesso ma ci saranno solo orde migratorie, quando le etnie individuali vagheranno alla ricerca di cibo e alloggio. Io però questa visione così nera non ce l’ho. In tutto questo gli artisti ballano ai confini del mondo e cercano di cambiarne il destino. Nel campo della poesia darei la precedenza ad un’altra parola, oggi un poeta deve essere qualcosa di più di un semplice poeta, deve essere un intellettuale. Ci sono stati molti grandi poeti pazzi e burrascosi da Villon a Rimbaud e Dino Campana fino a Gregory Corso che sono degli enormi compositori lirici ci pazzoidi e non c’è niente che li possa sostituire, sono i poeti più grandi. Un’eccezione era Allen Ginsberg con il suo modo di pensare geniale era capace di ragionare ad ogni livello su ogni tema, come un grande poeta e non solo come un lirico geniale e pazzoide. Vaclav Havel è un’altra eccezione, è allo stesso tempo un intellettuale e un politico che sa parlare alla gente. In America non è così, i politici sono ad un così basso livello che spesso non sono creduti, leggono discorsi scritti da qualcun’altro.
Il bevitore di assenzio-
Così è intitolato il grande quadro appeso ad una parete della grande Kavarna Slavia, un luogo da sempre molto frequentato da tutti, famiglie, studenti, intellettuali, artisti, giovani e anziani. Lì proprio a fianco del quadro c’è una porticina secondaria, comunicante con la famosa Accademia di Cinema, Musica e Teatro, FAMU, AMU e DAMU dalla quale gli studenti entrano da sempre indisturbati. Le grandi vetrate danno sulla Narodny Trida dove c’è il Teatro Nazionale e di fronte sulla Vltava c’è il ponte dove transitano incessantemente i puntualissimi tram di Praga, in vista del Castello presidenziale di Hradcany. Poco più in là l’originale architettura del palazzo danzante con a fianco il portoncino del piccolo appartamento all’ultimo piano dove per un bel po’ Vaclav Havel si è ostinato ad abitare prima di trasferirsi al Castello.
La famosa Caffetteria Slavia ad un certo punto è stata acquistata da un grande gruppo immobiliare americano, è stata chiusa per tempo, si diceva addirittura che ci avrebbero aperto un Mc Donald ma naturalmente tutti si sono opposti. Quando finalmente il caffè è stato riaperto, bello come prima, era però sparito il quadro del bevitore di assenzio, stava per essere venduto all’asta ma poi è stato restituito. Proprio lì sotto quel ritratto impressionista di un autore senza nome, quasi in un appuntamento giornaliero, Lorenzo si incontrava con gli amici di Praga che lo hanno iniziato all’assenzio, lui diceva di non averlo mai bevuto ma il cameriere gli ha detto che era solo al 72 per cento e quindi innocuo. Lui per provare ne ha messo qualche goccia in un bicchierino di acqua che però non si è tinta di giallo come il pernod, poi con un dito intinto della sostanza ne ha esaminato il lavaggio del colore sul suo taccuino e dicendo quanto era piacevole quel posto che non ce n’era uno così in America e neanche a San Francisco, se lo è bevuto in un sorso alla salute dei bevitori di assenzio praghesi.
Di effetto un po’ lisergico diventavano così anche alcune sue citazioni di astronomia e di teorie del chaos: «Mi piace l’astronomia e l’ho studiata molto. Le teorie più avanzate sono spesso meravigliosamente poetiche come ad esempio il paradosso dell’astronomo tedesco Olbers che osservava che le stelle guardate a distanza ravvicinata erano moltissime, ma più a lungo guardava erano sempre di più, a distanza infinita ci sono grappoli di stelle giganteschi che si vede solo la luce, è il paradosso di Olbers dove l’infinito è solo luce». E qui viene in mente la poesia Proximity di Gregory Corso: A star is as far as the eye can see and near as my eye is to me. Tutti erano sorpresi del buon umore di Ferlinghetti e Iva Vondrackova l’attrice e cantante, che con Mirek lo ha accudito tutto il tempo nella loro casa in Templova Ulice, racconta di una mattina di sole (mattina in ceco si dice rano) in strada Lorenzo ballava e cantava «Rama rama, Rano rano… che bella giornata, di nuovo qualcosa di nuovo, non ho settantanove anni, ma ventuno»
Così che dopo essere stato dappertutto, anche in onore di Hrabal alla birreria del Tigre, U Zlateho Tygra dove insieme a Maja Cain, Brian Patten, Robert Creeley, Gyorgy Petri, Egon Bondi, a un certo punto sono arrivate come onde del Pacifico Brenda Knight insieme al suo fidanzato pittore Paul Blake, Ruth Weiss e Carolin Cassady, portavano il libro di Brenda sulle donne della beat generation.
Quando qualcuno ha poi chiesto a Ferlinghetti che cosa gli era piaciuto di più, se l’autogramiada (gli autografi) al teatro Lucerna, le letture di poesia, la serata di improvvisazione jazz o gli anarchici della rivista Konfrontace, Lawrence ha risposto «l’incontro con gli anarchici, sono giovani e si fanno delle domande interessanti. Si prendono cura di quello che succede nel mondo e sul pianeta». In partenza il 25 ci siamo alzati alle 6.30, racconta nel suo diario Iva, un caffè al volo e in fretta alla stazione. Un sorriso e un saluto. Ce ne siamo andati prima che il treno partisse, e lo abbiamo lasciato «on the road».
Articolo di Dario Bellini-
Fonte- il manifesto-Alias- 13 marzo 2021.
Usa, è morto il poeta Lawrence Ferlinghetti Fu esponente chiave della “controcultura” nel panorama statunitense –
23 febbraio 2021 All’età di 101 anni è morto Lawrence Ferlinghetti. Poeta di primo piano, fu a lungo proprietario del City Lights, la libreria e casa editrice di San Francisco che fece da culla alla Beat Generation e contribuì a dare alla città il ruolo di centro letterario e della rivoluzione culturale, destinata a superare i confini degli Usa. Come editore indipendente sconvolse l’America non solo letteraria, pubblicando libri come “Urlo” di Allen Ginsberg, per cui fu processato con l’accusa di aver diffuso oscenità. La morte è avvenuta lunedì nella sua casa di San Francisco. Il figlio Lorenzo ha riferito che a causare il decesso è stata una malattia polmonare. Nato il 24 marzo 1919 a Yonkers, nello Stato di New York, da padre italiano (Carlo Ferlinghetti era originario di Chiari, in provincia di Brescia e morì sei mesi prima della nascita del figlio) e madre franco-portoghese, Lawrence Ferlinghetti trascorse l’infanzia in Francia, a Strasburgo, affidato a una zia dopo il ricovero della madre in manicomio; e si trasferì negli Usa quando la zia fu assunta come governante a New York. Dopo aver intrapreso studi da giornalista (completati alla Columbia University di New York nell’immediato dopoguerra), Ferlinghetti venne arruolato nella Marina statunitense durante la Seconda guerra mondiale prendendo parte alla sbarco in Normandia. Quando vide Nagasaki a pochi giorni dallo sgancio della bomba atomica, decise di diventare un ”pacifista radicale” e di concentrare i suoi studi a Parigi, ottenendo un dottorato alla Sorbona, e dove incontrò il poeta statunitense Kenneth Rexroth, che in seguito lo persuase a recarsi a San Francisco, in California, per sperimentare la nascente scena letteraria della città. Dopo aver sposato Selden Kirby-Smith nel 1951, per un paio di anni, insegnò francese, fu critico letterario e iniziò a dipingere, stabilendosi a San Francisco. Qui nel 1953 fondò City Lights, la prima libreria al mondo a vendere esclusivamente tascabili, che ben presto diventò anche casa editrice, pubblicando fra l’altro nel 1956 uno dei libri di poesie più venduti al mondo, il dirompente ”Howl and other poems” (”Urlo e altri poemi) di Allen Ginsberg, manifesto poetico della Beat Generation (con l’incipit divenuto celeberrimo: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia,/ affamate isteriche nude/, trascinarsi nei quartieri negri all’alba in cerca di un sollievo astioso”). Ferlinghetti finì in prigione per aver pubblicato il volume dopo una condanna per oscenità. City Lights ha avuto un ruolo determinante nella diffusione dell’opera degli scrittori della Beat Generation, conosciuti in Italia principalmente grazie all’americanista e traduttrice Fernanda Pivano, grande amica di Ferlinghetti. Lo stesso Ferlinghetti fra l’altro fu un bestseller con il suo libro “A Coney Island of the Mind” (pubblicato nel 1958 da New Directions) che nel giro di poco tempo superò il milione di copie vendute, con traduzioni in nove lingue. Per i suoi meriti letterari, nel 1998 fu nominato ‘Poeta Laureato’ di San Francisco. L’amicizia e il rapporto intellettuale con Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac, William Burroughs, Diane DiPrima e Peter Orlowsky lo fece sin dall’inizio diventare membro della cosiddetta Beat Generation, di cui è sempre stato l’editore di riferimento. A lui si deve anche il merito di aver pubblicato Charles Bukowski, di cui raccolse in volume gli articoli pubblicati nella sua rubrica settimanale “Diario di un vecchio sporcaccione”. Anche se è essenzialmente un poeta, Ferlinghetti ha scritto due romanzi, “Lei” e “L’amore ai tempi della rabbia”, e due raccolte di testi teatrali, “Routines” e “Unfair Arguments with the Existence”. Quasi tutte le sue raccolte di versi sono pubblicate in Italia da Minimum Fax: “Strade sterrate per posti sperduti”, “Il senso segreto delle cose”, “A Coney Island of the Mind” e il volume “Poesie vecchie e nuove” (che unisce due precedenti raccolte di poesie pensate dall’autore appositamente per Minimum Fax: “Scene italiane” e “Non come Dante”). Negli ultimi vent’anni Ferlinghetti si è dedicato soprattutto alla pittura, esponendo anche in Italia. La mostra antologica “60 anni di pittura” con i suoi dipinti si è tenuta a Roma e Reggio Calabria nel 2010. La sua ultima mostra è stata “A Life: Lawrence Ferlinghetti Beat Generation, ribellione, poesia”, allestita al Museo di Santa Giulia a Brescia dal 7 ottobre 2017 al 14 gennaio 2018, che ha messo in luce l’importanza della figura di Lawrence Ferlinghetti nel panorama letterario degli anni Cinquanta e Sessanta.
IL POETA PESCATORE
Invecchiando percepisco
che la vita ha la coda in bocca
e gli altri poeti gli altri pittori
non significano più alcun genere di competizione
È il cielo a lanciare la sfida
il cielo ha bisogno di decifrare
anche se gli astronomi si sforzano di sentirlo
con le loro enormi orecchie elettriche
il cielo che ci sussurra costantemente
gli ultimi segreti dell’universo
il cielo che respira dentro e fuori
come fosse l’interno di una bocca
del cosmo
il cielo che è anche la sponda della terra
e anche quella del mare
il cielo con le sue molte voci e nessun dio
il cielo che racchiude un mare di suoni
e di echi che ci rimanda
come in un’onda contro la parete del mare
Poesie intere dizionari interi
arrotolati in un rombo di tuono
E ogni tramonto un action painting
e ogni nuvola un libro di ombre
attraverso le quali volano selvagge
le vocali degli uccelli che stanno per gridare
E il cielo è chiaro per il pescatore
anche se è coperto
Lo vede per quello che è:
uno specchio del mare sul punto di crollare su di lui
sulla barca di legno al cupo orizzonte
Dobbiamo pensarlo come poeta per sempre faccia a faccia con la vecchia realtà
dove gli uccelli non volano mai prima della tempesta
Shakespeare and Company a Parigi: la libreria più affascinante del mondo
Nel cuore di Parigi, a pochi passi dalla cattedrale di Notre Dame, esiste la libreria storica più famosa del mondo: la Shakespeare and Company.
A Parigi esiste un posto speciale, teatro di incontro di grandi scrittori come Hemingway, Joyce e Fitzgerald: la libreria storica Shakesperare and Company, al civico 37 di Rue de la Bucherie. Entrare in questo magico luogo equivale a fare un salto indietro nel tempo, tra luci soffuse e libri che riempiono gli scaffali.La libreria Shakespeare and Company, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, è stata luogo d’incontro di famosissimi scrittori, come Hemingway e Ezra Pound. La sua storia ebbe infatti inizio nel 1919, quando Sylvia Beachdecise di aprire un luogo dedicato alla cultura al numero 8 di rue Dupuytren.
Nel 1941, la libreria fu costretta a chiudere i battenti a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale ma riaprì un decennio dopo, per volontà di George Whitmanche, tra l’altro, mise a disposizione dei posti letto da offrire a chi aveva necessità, secondo il motto: be not ihospitable to strangers lest they be angels in disguise (non essere ospitale verso gli estranei potrebbero essere angeli sotto mentite spoglie). Egli chiamava i suoi inquilini “trumbleweed”, ossia “rotolacampi” e li ospitava a patto che essi promettessero di leggere un libro ogni giorno e di svolgere qualche piccolo lavoretto, come per esempio spolverare i volumi.
George considerava la sua libreria alla stregua di un’opera letteraria: «Ho creato questa libreria nel modo in cui un uomo scriverebbe un romanzo, costruendo ogni stanza come se fosse un capitolo», raccontò. «Voglio che le persone aprano la porta nello stesso modo in cui aprono un libro; un libro che porta nel mondo magico della loro immaginazione».Oggi come ieri, la libreria Shakesperare and Company è il punto di riferimento di intellettuali e viaggiatori che non possono fare a meno di fare tappa tra i suoi scaffali pieni di libri. C’è ancora posto per i tumbleweed, purché essi accettino di scrivere una piccola autobiografia di una pagina su carta celeste e servendosi di una macchina da scrivere.
La libreria Shakespeare and Companya Parigi si trova al N.37 di Rue de la Bûcherie ed è aperta tutti i giorni dalle 10 del mattino alle 23.00. La libreria si trova proprio nelle vicinanze del Quartiere Latino a Parigi e proprio a pochi passi a piedi dalla fermata Saint-Michel della Linea 4 della metro oppure anche dalla RER: Linea B e C con fermata a Saint-Michel – Notre-Dame da qui sono circa 300 metri a piedi per raggiungere la libreria.
Roma- All’Accademia di Ungheria la mostra i Grandi Maestri della Fotografia Andrè Kertész-“Nella sua opera, l’ungherese André Kertész diede vita ad un universo tutto suo, in cui gettò le basi dell’approccio del linguaggio fotografico moderno. Attraverso le sue fotografie, ci insegna fino alla fine dei tempi la necessità e la gioia elementare di creare immagini nonché i principi fondamentali dello stesso mezzo. “La fotografia è la mia sola lingua”, diceva Kertész, ed in effetti ne aveva una padronanza come nessuno prima di lui.
Nelle sue immagini liriche la soggettività ed il modernismo vanno a braccetto. Le sue fotografie profondamente umaniste e personali, ma allo stesso tempo portatrici anche di messaggi universali parlano a tutti. Includono in se stesse l’esperienza del “vedere”, la gioia dello scatto, la magia della scoperta, ma anche i piccoli miracoli della vita reale. Le sue fotografie sono opere d’arte autonome, naturali, pulite, ma anche potenti e perfette nella loro semplicità. Nelle sue immagini la peculiare unità della forma e del significato rivela come l’estetica non possa esistere senza l’etica.
Fin dalla sua infanzia Kertész si preparò consapevolmente a divenire fotografo e a sperimentare la gioia di creare immagini. Ancor prima di poter prendere in mano una macchina fotografica, aveva già scattato delle foto d’interni, quindi all’epoca delle sue prime fotografie disponeva già delle capacità necessarie di poter produrre delle composizioni. Era un fotografo nato: sapeva cosa voleva ed era consapevole di avere l’approccio giusto tra le mani. La sua macchina fotografica l’aveva adoperata per lunghi decenni a mo’ di diario visivo immortalando tutto ciò che gli destava curiosità: la propria vita, se stesso, la sua compagna, i suoi amici, i suoi spazi personali e il mondo che lo circondava. Gli avvenimenti della sua vita e le sue emozioni si trasformavano organicamente in immagini, catturate con la precisione di un osservatore acuto e sensibile. Kertész operò affinché la sua opera fosse legata a due continenti (Europa e America) e a tre Paesi (Ungheria, Francia e Stati Uniti d’America). Sebbene il meritato successo internazionale sia arrivato troppo tardi, egli divenne tuttavia uno dei fotografi più celebri al mondo, e non solo in ambito professionale; alcune delle sue fotografie iconiche divennero difatti opere emblematiche della cultura contemporanea.
Le fotografie esposte nell’ambito della mostra Grandi Maestri della Fotografia- André Kertész – sono il frutto di una selezione effettuata dallo stesso artista al tramonto della propria vita, come dono per la città che gli aveva regalato delle esperienze uniche nell’infanzia e gli aveva dedicato il Museo commemorativo André Kertész. La presente retrospettiva, a cura dello stesso artista, comprende non solo le immagini legate a Szigetbecse, bensì anche le fotografie più note dell’opera omnia di Kertész, offrendo agli interessati una panoramica unica dell’operato dell’artista di fama mondiale”. (Gabriella Csizek, curatrice)
L’esposizione che presenta una ricca selezione della collezione del Museo commemorativo André Kertész di Szigetbecse, è stata realizzata in collaborazione con il Robert Capa Contemporary Photography Center di Budapest e l’Accademia d’Ungheria in Roma.
A Roma 15 murales trasformano una via del quartiere Garbatella in una passeggiata artistica-
Articolo di Ludovica Palmieri
Roma-Quartiere Garbatella- Articolo di Ludovica Palmieri-15 murales realizzati sulle saracinesche delle attività commerciali di Via Anton Noli per celebrare i lavoratori e la Costituzione Italiana. Così Serrande d’arte trasforma un’anonima strada del quartiere Garbatella di Roma in una galleria a cielo aperto da visitare rigorosamente durante gli orari di chiusura delle attività. Ed è proprioper il suo essere comune e poco frequentata ma densa di lavoratori onesti e operosi che Simona Gaffi e Daniele Signore, fondatori del collettivo artistico Phzero, hanno scelto proprio Via Antoni Noli come megafono visivo per raccontare la Costituzione Italiana attraverso le storie di chi quotidianamente si impegna nel suo lavoro. Partendo dal principio che l’Italia è una Repubblicademocratica fondata sul lavoro, “il progetto di riqualificazione urbana Serrande d’arte”,hanno affermato gli artisti, “intende dare voce ad un tema che accomuna tutti: il diritto al lavoro, un valore fondamentale per l’intera società, sancito dalla Costituzione”. Phzero, il duo artistico che fonde arte e tecnologia
Il duo artistico, nato nel 2020, fonda la sua pratica sulla fusione tra arte e tecnologie digitali per valorizzare il tessuto urbano e sociale attraverso esperienze artistiche innovative e coinvolgenti. Grazie al digitale, Phzero interpreta la street art in maniera hi-tech, veicolando tematiche sociali attraverso opere interattive e sperimentali, realizzate anche in collaborazione con professionisti di altri settori. Anche per Serrande d’arte il duo ha adottato come medium la stencil art perfezionandola con tecnologie per il controllo numerico.Nell’ottica degli artisti, la stencil art è una metafora del potere della collaborazione e dell’inclusività. “Le opere nella stencil art”,hanno spiegato gli Phzero, “si caratterizzano per essere costituite da più disegni, realizzati con le singole mascherine e uniti dai cosiddetti ‘ponti’. Porzioni di colore che per noi simboleggiano l’unione e il lavoro di squadra necessari per l’integrità di una comunità. Perché, solo collaborando e valorizzando le differenze, si possono superare le sfide e raggiungere obiettivi comuni”.
La Garbatella: per gli Phzero la location ideale per il progetto Serrande d’arte
La Garbatella, immaginata negli Anni Venti dal sindaco Ernesto Nathan come un rifugio per i lavoratori ed edificata secondo il modello inglese delle città giardino, è il quartiere ideale per accogliere Serrande d’arte. I 15 murales degli Phzero, focalizzati sugli articoli della Costituzione dedicati al lavoro, ribadiscono la storica identità del quartiere. Così, dal 27 ottobre 2024, trasformando Via Anton di Noli in una passeggiata artistica, mettono ulteriormente al centro la dignità dei lavoratori come spinta propulsore alla crescita civile e sociale della comunità.
La “Mostra” è visibile negli orari di chiusura. Questo il timing di “Serrande d’Arte”, il progetto ideato dal collettivo artistico Phzero per rendere omaggio ai lavoratori, realizzato, significativamente, in via Anton da Noli, nel cuore della Garbatella-
Ludovica Palmieri
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Pierre Antonetti-La vita quotidiana: A Firenze ai tempi di Dante-
Editore Rizzoli-Articolo di Giovanni Teresi
Descrizione del libro– di Pierre Antonetti –La vita quotidiana: A Firenze ai tempi di Dante -Articolo di Giovanni Teresi:Innanzitutto, non era la Firenze della Cupola del Brunelleschi, di Palazzo Pitti, del Campanile diGiotto o di Palazzo Strozzi. Era una delle città più popolose d’Italia (nel 1280 contava già tra i quarantamila e i cinquantamila abitanti),ma non aveva ancora dei monumenti architettonici imponenti; il centro cittadino era un complesso intrico di viuzze, case addossate le une sulle altre, botteghe, fondaci e botteghe, dominate dall’alto dalle case torri delle famiglie più importanti della città, costruite soprattutto per difendersi dai frequenti attacchi delle famiglie rivali.
La città ovviamente era piena di chiese,che tuttavia non avevano le dimensioni delle successive costruzioni. Tra le tante, ce ne sono tre molto legate a Dante: la prima è ovviamente il Battistero di San Giovanni, la chiesa cittadina per antonomasia, dove Dante era stato battezzato e dove, come racconta lui stesso nella Divina Commedia, aveva salvato un bambino rompendo una fonte battesimale (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, C. XIX,vv. 16-21: “Non mi parean men ampi né maggiori/ che que’ che son nel mio bel San Giovanni,/ fatti per loco d’i battezzatori; / l’un de li quali, ancor non è molt’anni,/ rupp’io per un che dentro v’annegava:/e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni.” ).
La seconda è la Badia fiorentina, una delle chiese più vecchie di Firenze, dove Dante andava spesso a messa, la quale viene citata nel XV Canto del Paradiso da Cacciaguida, l’avo di Dante, come la chiesa vicina alle vecchie mura della città, dal cu campanile si odono ancora i battiti delle ore canoniche ( Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, C. XV,vv. 97-99: “Fiorenza dentro da la cerchia antica,/ ond’ella toglie ancora e terza e nona,/ si stava in pace, sobria e pudica.”).
La terza e ultima chiesa è la chiesa di Santa Margherita,una piccola chiesetta vicino la (presunta) casa di Dante, dove la leggenda vuole che sia la chiesa in cui il Poeta abbia incontrato per la prima volta Beatrice, che andava di solito lì a pregare.
“Se mai continga che ‘l poema sacro/
al quale ha posto mano e cielo e terra,/
sì che m’ha fatto per molti anni macro,/
vinca la crudeltà che fuor mi serra/
del bello ovile ov’io dormi’ agnello,/
nimico ai lupi che li danno guerra;/
con altra voce omai, con altro vello/
ritornerò poeta, e in sul fonte/
del mio battesmo prenderò ‘l cappello;
Con questi versi, nei quali il poeta spera un giorno di poter tornare nella sua Firenze e ricevere la corona d’alloro nel suo “bel San Giovanni”, ha inizio il XXV Canto del Paradiso, una delle tre Cantiche della Divina Commedia di Dante Alighieri.
In questo capolavoro della letteratura mondiale, tra i tanti argomenti di cui si tratta, si parla molto spesso di Firenze, la patria ingrata del Poeta, da cui nel 1301, con la falsa accusa di baratteria, venne esiliato a vita.
Nonostante la rabbia di Dante verso quel popolo ingrato che l’aveva ingiustamente cacciato, Dante rammenta spesso la sua città natale, sia rimpiangendola, sia più spesso criticandola, per le sue continue lotte intestine e per la corruzione del governo e del popolo fiorentino, avido, invidioso e lussurioso; basti pensare, per esempio, a tutte le discussioni che Dante ha con i vari fiorentini incontrati durante il viaggio ultraterreno (Farinata degli Uberti, Brunetto Latini, Forese Donati,Ciacco), dove tutte le imperfezioni dei fiorentini vengono chiaramente fuori, e alla celebre invettiva del XXVI Canto dell’Inferno, nel quale il poeta inveisce contro Firenze, diventata famosa anche all’Inferno per la presenza di cinque suoi cittadini nella VII Bolgia del VIII Cerchio,dove sono puniti i ladri (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, C. XXVI,vv. 1-3: “Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,/ che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande!”).
Oltre ai guelfi e ai ghibellini, nelle strade di Firenze c’erano donne che calzavano zoccoli in legno altissimi su strade trafficate e fangose, banchi di cambiatori, sarti, rigattieri, medici, barbieri e ciarlatani che vendevano droghe miracolose. L’autore Pierre Antonetti, nel suo testo, ci racconta diffusamente la tipica giornata del contadino. Si entra nei meccanismi delle magistrature, nei segreti delle corporazioni di artigiani, e si scopre come venivano combinati fidanzamenti e matrimoni. Proprio in questo periodo ha inizio il grande sviluppo artistico di Firenze, che oltre alle rime di Dante si concretizza con gli affreschi di Giotto e i primi disegni per il progetto del Duomo.
Marino Moretti e Cesenatico- Articolo di Giuseppina Giacomazzi
Marino Moretti e Cesenatico- Articolo di Giuseppina Giacomazzi- Negli scrittori crepuscolari i luoghi, fisici o idealizzati, dimore reali o letterarie, costituiscono spesso l’essenza della loro espressione artistica. Il legame con la provincia è una caratteristica comune: nel caso di Marino Moretti, Cesenatico e la Romagna. Nella scelta dei paesaggi, che sono sempre dell’anima, forte è l’influenza dei simbolisti francesi, le cui opere sono pervenute a questi scrittori italiani attraverso riviste quali la “Revue des deux mondes” e “Mercure de France”. Per i simbolisti francesi, come Francis Jammes e Georges Rodenbach, il paesaggio idealizzato è quello della provincia, con i ricordi struggenti e gli oggetti ad essa legati e aventi profonda risonanza interiore: conventi, chiostri, ospedali (luoghi appartati e solitari, in contrapposizione con quelli dei futuristi) e giardini, orti, cimiteri, organetti di Barberia, proiettati in una stagione autunnale e grigia, i vecchi angoli di una città, i mobili di una casa, le fotografie ingiallite, le stampe. Gli oggetti, entrando in colloquio con il poeta, diventano un motivo di sensazioni raffinate e di evasioni, nella trasfigurazione della banalità quotidiana. I personaggi sono spesso malati, beghine, suore o maestre, ma anche signorine di provincia; la terminologia e i toni usati sono perfettamente conformi e coerenti con questa particolare ambientazione. Gli spazi, sia dei luoghi e ambienti natali, sia di quelli lontani, come le Fiandre per Moretti, sono comunque spazi dell’altrove. Egli rifiutò il termine crepuscolare per la sua poesia, non accettò i limiti di tale appartenenza e molto si è dibattuto sulla presenza di elementi crepuscolari nella sua tarda poesia e nella prosa, dove sembrano dominare piuttosto aspetti veristici e naturalistici, ma solo apparentemente, per un continuo coinvolgimento dell’autore, operato attraverso il confronto fra realtà esterna e verità interiore. Non c’è luogo per me che sia lontano, asserisce Moretti (in Andar lontano. Le Poverazze, Milano, Mondadori, 1973) perché ogni luogo, anche il più distante, può essere avvertito come luogo dell’anima. Il paesaggio che fa da sfondo alla sua produzione letteraria non è solo Cesenatico o la Romagna, ma anche Firenze, dove abitò, e le Fiandre, in particolare Bruges, patria di uno dei più significativi suoi modelli di riferimento, Georges Rodenbach. Marabini afferma: separa Moretti dai suoi luoghi una natura contestatrice acutamente critica e sostanzialmente inappagata. […] Si può amare e non amare nello stesso tempo, essere dentro e fuori, essere e non essere borghese, realizzare oggettivamente un mondo ma cercare la verità più gelosa in un altro luogo. Moretti mantiene infatti con l’ambiente che lo circonda indipendenza e capacità polemica, che si esprimono attraverso l’ironia. A differenza di Guido Gozzano guarda più al presente o ad un passato più vicino, anche se i paesaggi e gli oggetti sono idealizzati e trasfigurati in atmosfere che sottolineano uno stato di malinconia, di noia esistenziale e di nostalgia del non vissuto, di malessere, suscitando interrogativi senza risposte. Moretti è consapevole dell’esaurimento di uno stile poetico che nella nuova realtà ha perso ogni funzione di messaggio. La poesia è poesia della non poesia, della sua impossibilità. Cesenatico e la sua casa sul porto canale sono presenti soprattutto nelle prime raccolte poetiche. Luogo privilegiato dell’interiorità è il giardino della sua casa, spazio in cui forte è il richiamo della morte, hortus conclususche chiude lo scorrere del tempo e consente apparizioni, ma anche giardino dell’Eden, frutteto antidannunziano, metafora di poesia. Il giardino dei frutti (Napoli, Ricciardi, 1916) dà il titolo ad una raccolta poetica, e fiori e frutti non sono che i prodotti della sua creatività, del suo impegno letterario. “Ecco: dicon queste cose, / ma non so se vero sia: / che un bel fiore è poesia / e che il frutto è solo prosa”. Il giardino Hortus incultus, hortus animulae, il giardino di casa sua, in Poesie scritte col lapis (Bari, Palomar, 1992) è anche il giardino della memoria familiare e del ricordo. “Angolo d’hortulus / E’ dolce ricordare! Ogni fil d’erba / dell’orto mio potrebbe ricordare, / ché molto sa […]. Ne Il giardino dei morti, in Poesie scritte col lapis, il cimitero in cui riposa il fratellino, scomparso ad un mese d’età, che Marino non conobbe: “Il piccol camposanto / è un precluso giardino. / Precluso”, perché in esso è il mistero che si schiuderà con la morte. Il giardino della stazione di piccoli luoghi della provincia romagnola, che si scorge dal finestrino del treno, è un luogo dove non ci si ferma quasi mai, perché: “poveri illusi, si va / in cerca di felicità, / verso città sempre nuove, / verso l’ignoto e la sera!” (Il giardino della stazione, in Il giardino dei frutti) e il petalo che cade nella fontana richiama la vita che passa inesorabilmente. Posto privilegiato fra gli spazi familiari occupa la cucina, alla quale viene dedicata una sezione intera della raccolta Il giardino dei frutti; la cucina in cui il poeta desidera sempre vedere sua madre in un ruolo casalingo e rassicurante. Nella poesia La madre risponde, la madre comunica al figlio di amare gli utensili presenti in essa: “[…] e vorrò bene a quella / casseruola di rame, al testo ed al tegame, / al vaglio e alla gretella …” e il sentirli nominare “… / in quell’ora / omai crepuscolare” (Mia madre risponde, in Il giardino dei frutti) tranquillizza Marino, legato ad un ruolo tradizionale della donna all’interno della società e della famiglia. Nelle ultime raccolte, oltre a quelli della sua casa, gli spazi rievocati sono Cesenatico e la Romagna, rivissuta dall’interno. Si tratta sempre di un paese ripercorso e guardato dalle mura domestiche, in una dimensione familiare e locale che lo salva dalla vita assente e dal deserto dell’anima. Moretti volge lo sguardo ai luoghi della quotidianità: la locanda denominata L’albergo della tazza d’oro (in Poesie scritte col lapis), un salone di parrucchiere di provincia, dove i bei conversari ironizzati da Gozzano, diventano pettegolezzi, conversari popolari, rivissuti dal poeta con l’ambiguità dell’odio e del sorriso bonario che nasce dalla comprensione. “Il tedio pio di tutta questa gente / che forse è ancor dei sogni e dei segreti!” (Salone, in Poesie scritte col lapis). Il suo paese è un paese marino, nel quale “il mare è da per tutto”, ma “In cimitero s’ode / Così come alla riva / Lì ci verranno a stare godendo il lido in pace”(Cesenatico vecchia, in Diario senza le date, Milano, Mondadori, 1974). Il paesaggio marino che si presuppone ridente e assolato, spesso si adombra di immagini crepuscolari. Il ponte sul porto canale ricostruito secondo criteri moderni suscita un sentimento di nostalgia, al ricordo di quello antico che il poeta attraversava tornando da scuola. (I due ponti, in Diario senza le date). La spiaggia del suo paese balneare ritorna ad appartenergli allorquando, deserta, mostra “gusci e alcunché d’informe, / tracce del mare infido (Paese balneare, in L’ultima estate, Milano, Mondadori, 1969) quando possono scorgersi rifiuti e meduse morenti sulla battigia. (Battigia, in L’ultima estate). Nella raccolta Le Poverazze, che prende il nome da un onesto mollusco, cibo dei poveri, si ripropongono gli stessi temi della casa protettiva e degli oggetti quotidiani: la cucina-tinello, il giardino, la libreria, gli animali domestici. Anche i versicoli del poeta sono le ultime poverazze, metafora, nella loro umiltà, della scrittura: “Le poverazze: cronache dell’io. / Le poverazze: cronache di pena. / Le poverazze: scelte per la cena. / Le poverazze: scelte per l’addio. Le immagini e il tono, dimessi nella loro semplicità, sono pervasi da malinconia. La poesia crepuscolare è percorsa da una concezione del tempo, quale tempo dell’anima disgiunto da quello storico, spesso inteso come vuoto, noia esistenziale che scandisce la monotonia della vita di provincia, ripetitività e non senso che conducono alla morte. Uno dei temi ricorrenti della poesia di Marino Moretti è quello della Domenica, spazio tempo del grigiore e della noia, nei quali è immersa la provincia. A tale tema è dedicata un’intera sezione delle Poesie scritte col lapis. Fra queste, un posto particolare occupa La Domenica di Bruggia, nella quale Moretti introduce un nuovo luogo dell’anima, quello delle Fiandre che acquisteranno centralità nel romanzo La casa del Santo Sangue.
Biografia della poetessa e scrittrice Hirondina Juliana Francisco Joshua (Maputo, Mozambico, 31 maggio 1987), Conosciuta perlopiù conosciuta come Hirondina Joshua, è una scrittrice mozambicana. Una poetessa di spicco della nuova generazione di autori mozambicani. È membro dell’Associazione degli scrittori Mozambicani (AEMO). Ha partecipato a diverse antologie nazionali ed estere e i suoi testi sono stati pubblicati su giornali e riviste in Mozambico, Portogallo, Angola, Galizia e Brasile.
Ideatrice della colonna “Exercícios da Retina ? literatura moçambicana; Os Dedos da Palanca ?literatura angolana e Letras do Atlântico ? literatura portuguesa e brasileira na plataforma cultural Mbenga Artes & Reflexões”.
Preludio
Come si scrive uno sguardo?
E un sogno vano, lo sai?
Cosa me ne faccio di um cuore? E un’anima che cos’è?
Dimmelo, se conosci il colore del vento.
La passione con cui il mare ci afferra.
Dimmelo, e per favore non poetizzare, né tantomeno filosofare.
Assenza
Mi manca l’universo
Per immaginarne il colore,
L’arteria plurale
Del sangue
Che ridisegna il sogno.
Invenzione
All’improvviso,
il desiderio si versa
sul corpo inventato,
esiste una contemplazione invisibile.
E’ un momento di luce:
Una mano pronuncia la voce dall’interno
E un’altra sottostante vaga
Nell’aria alla ricerca del dono dell’amore.
Hirondina Juliana Francisco Joshua -Inediti (Traduzione di Matteo Pupillo)
Hirondina Juliana Francisco Joshua (Maputo, Mozambico, 31 maggio 1987), perlopiù conosciuta come Hirondina Joshua, è una scrittrice mozambicana. Una poetessa di spicco della nuova generazione di autori mozambicani. È membro dell’Associazione degli scrittori Mozambicani (AEMO). Ha partecipato a diverse antologie nazionali ed estere e i suoi testi sono stati pubblicati su giornali e riviste in Mozambico, Portogallo, Angola, Galizia e Brasile.
Ideatrice della colonna “Exercícios da Retina ? literatura moçambicana; Os Dedos da Palanca ?literatura angolana e Letras do Atlântico ? literatura portuguesa e brasileira na plataforma cultural Mbenga Artes & Reflexões”.
*
Matteo Pupillo (1994), nato e cresciuto in Italia, vive a Lisbona da quattro anni, anche se la sua spola tra i due Paesi è iniziata sette anni fa. È laureato in Lingue per la Comunicazione Interculturale e si è, poi, specializzato in Lingua e Letteratura Portoghese presso l’Universidade Nova de Lisboa.
Lavora come docente di lingua portoghese, traduttore e ricercatore di letterature in lingua portoghese, partecipando attivamente a congressi internazionali e collaborando a progetti di promozione e diffusione della lingua portoghese e delle sue rispettive culture. A Lisbona, nel 2020 ha creato il club di conversazione portoghese presso il caffè letterario Ler Por Aí e scrive per il blog del medesimo.
Hirondina Juliana Francisco Joshua
Inediti (Traduzione di Matteo Pupillo)
Roma- Notte Morricone al Teatro Argentina-Dopo il successo del debutto outdoor al Macerata Opera Festival, avvenuto il 1° agosto scorso e che ha visto l’Arena Sferisterio completamente sold out, il Centro Coreografico Nazionale/Aterballetto approda con Notte Morricone al Teatro Argentina di Roma, dal 24 ottobre al 10 novembre.
La potenza visionaria e la capacità di trasfigurare universi musicali propria di Marcos Morau propone una serata unica che intreccia danza, arti visive e suggestioni cinematografiche. Lo spettacolo, presentato nell’ambito della trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival e in apertura di stagione del Teatro Argentina, è infatti il risultato di collaborazioni interdisciplinari tra realtà di danza, musica e teatro: Macerata Opera Festival e Teatro di Roma, i due coproduttori principali, accompagnati dalla Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, il Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento, il Centro Teatrale Bresciano e Ravenna Festival che ha messo a disposizione l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, alla quale è affidata la registrazione della partitura, adattata e trascritta dal maestro Maurizio Billi. Secondo Gigi Cristoforetti direttore del Centro, «grazie anche alla collaborazione di importanti partner produttivi, alcuni dei quali fedeli negli anni, altri nuovissimi e arrivati per l’occasione, il CCN/Aterballetto arriva alla sua sfida più ambiziosa».
Marcos Morau si avvicina al repertorio iconico di Ennio Morricone, omaggiandolo e liberandolo dal contesto canonico di lettura e presentazione. Come dichiara lui stesso, «sebbene sia quasi impossibile separare la sua musica dalle immagini che la accompagnano, Morricone trascende e si intreccia con la vita stessa, con i ricordi, con la bellezza e la crudeltà di un mondo che continua ad avanzare».
«Spesso mi chiedono che musica ascolti, quale musica mi ispiri o mi accompagni nel mio quotidiano e io rispondo sempre allo stesso modo: dalla musica classica alle nuove ondate contemporanee io prendo ispirazione da molte e diverse fonti, ed Ennio Morricone è sempre in cima alla lista». Così Morau racconta la sua relazione con la musica del Maestro. «Di formazione classica e vocazione avanguardistica, Morricone è sempre stato al di là delle tendenze del momento. Oggi, a quattro anni dalla sua morte, Morricone continua a ispirare artisti e visionari di diversi campi. La sua musica appartiene ad un intero secolo e ha fatto rivivere molti dei nostri grandi maestri… la sua musica era un genere a sé stante e per questa serata vorrei costruire un universo basato sulla sua sensibilità per confermare che la sua eredità è ancora più viva che mai e che, come direbbe lui stesso, la mia musica ha una vita propria, che può vivere lontano dai film per cui è stata creata».
La prima rappresentazione indoor sarà il 24 ottobre alle 20:00, e le successive repliche, dal 25 ottobre al 10 novembre 2024, presso il Teatro Argentina. In questo contesto, Notte Morricone sarà co-presentato dal prestigioso Romaeuropa Festival. Lo spettacolo sarà accompagnato da incontri esclusivi: il 6 novembre alle 17:30 una serata in ricordo di Vittoria Ottolenghi, il 10 novembre alle 18:30 la presentazione del libro di Marco Morricone e Valerio Cappelli “Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre”, con ospiti d’eccezione.
Notte Morricone 24 – 26 ottobre 2024 Romaeuropa Festival 2024
27 ottobre – 10 novembre 2024
regia e coreografia Marcos Morau
musica Ennio Morricone
direzione e adattamento musicale Maurizio Billi
sound design Alex Röser Vatiché, Ben Meerwein
danzatori Ana Patrícia Alves Tavares, Elias Boersma, Estelle Bovay, Emiliana Campo, Albert Carol Perdiguer, Sara De Greef, Leonardo Farina,
Matteo Fiorani, Matteo Fogli, Arianna Ganassi, Clément Haenen, Arianna Kob, Federica Lamonaca, Giovanni Leone, Ivana Mastroviti, Nolan Millioud
direttore Gigi Cristoforetti – direttrice di compagnia Sveva Berti – maitre de ballet Giuseppe Calanni, Macha Daudel
testi Carmina S. Belda – set e luci Marc Salicrù – costumi Silvia Delagneau
assistenti alla coreografia Shay Partush, Marina Rodrìguez – immagine Christophe Bernard
Produzione Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto commissione, coproduzione, prima rappresentazione outdoor Macerata Opera Festival coproduzione, prima rappresentazione indoor Teatro di Roma – Teatro Nazionale coproduzioni Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Centro Servizi Culturali Santa Chiara Trento, Centro Teatrale Bresciano coproduzione Ravenna Festival | Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Informazioni, orari e prezzi
Orari spettacolo: martedì, venerdì e giovedì ore 20.00 I mercoledì e sabato ore 19.00 I giovedì 7 novembre e domenica ore 17.00 I lunedì riposo I durata spettacolo 90 minuti.
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