Descrizione del libro di Giuseppe Berto- Il brigante -Nel 1951, l’anno in cui pubblica Il brigante, Berto è già uno scrittore affermato. I due libri precedenti, Il cielo è rosso e Le opere di Dio, composti nell’isolamento del campo di prigionia di Hereford e apparsi tra il 1947 e il 1948, erano stati accolti favorevolmente in Italia e all’estero, dove la stampa non aveva mancato di accostare lo scrittore ai maestri del neorealismo cinematografico italiano. Con Il brigante, Berto decide dunque di rendere aperto omaggio al romanzo al cui centro vi siano scottanti problemi sociali – dirà successivamente di aver scritto un libro «marxista» –, alla maniera dei narratori che, come mostra Gabriele Pedullà nello scritto che accompagna questa edizione, orbitano, in quella stagione letteraria, «attorno a Elio Vittorini e si riconoscono genericamente in un movimento neorealista dalle molte facce diverse». Traendo ispirazione da un fatto di cronaca, Berto narra la vicenda di Michele Renda, giovane reduce di guerra che, tornato nel villaggio natio tra i monti della Calabria, ingiustamente accusato di omicidio, si dà alla macchia e diventa un brigante. Una storia che consente all’autore del Cielo è rosso di porre in risalto «il conflitto assoluto di Bene e di Male, lo scandalo della virtú perseguitata, la riscossa delle vittime innocenti» (Gabriele Pedullà), e di comporre pagine particolarmente felici sulla vita delle campagne calabresi in un momento di radicale trasformazione. Come, tuttavia, Berto farà notare nella prefazione all’edizione del 1974, Il brigante non è un romanzo interamente ascrivibile al neorealismo, al movimento culturale, cioè, che mirava alla «rigenerazione morale del paese» e al «raggiungimento d’una decente giustizia sociale». Michele Renda, il suo protagonista, è un «sorpassato», un uomo «indissolubilmente legato al mondo arcaico dell’odio, del tradimento, della vendetta» e la comunità in cui si muove, animata da dicerie, è quanto di piú lontano dal grande mito della «comunità organica». In realtà, gli elementi psicologici propri della scrittura di Berto, quelli che troveranno la loro massima espressione nel Male oscuro, sono già presenti in questo romanzo in cui un eroe, estraneo e irriducibile al suo mondo, è mosso da un universo interiore nel quale bene e male sono divisi soltanto da un esile filo. Nel 1961, Renato Castellani trasse dal Brigante un film giudicato da Berto il migliore di tutti i film tratti dai suoi romanzi, e dalla critica odierna un capolavoro della cinematografia italiana.
Giuseppe Berto
RECENSIONI
«Uno dei piú belli e tragici romanzi che siano apparsi da anni, veramente un piccolo capolavoro». Time Magazine
«Volgendosi “in presa diretta” alla Calabria piú povera e afflitta, Il brigante ripete il gesto compiuto da Berto nei primi due romanzi, dove campeggiano le distruzioni della guerra, ma il senso dell’operazione è diverso perché questa volta Berto ambisce consapevolmente a iscriversi nella letteratura impegnata del periodo». Gabriele Pedullà
Giuseppe Berto
Breve biografia di Giuseppe Berto nasce a Mogliano Veneto il 27 dicembre 1914. Nel 1947 pubblica presso Longanesi Il cielo è rosso, su segnalazione di Giovanni Comisso. Tra il 1955 e il 1978, anno in cui si spegne a Roma, dà alle stampe, oltre al Male oscuro (Neri Pozza, 2016), Guerra in camicia nera e Oh Serafina!. Con Neri Pozza sono stati ripubblicati La gloria (2017) e Anonimo veneziano (2018), per restituire all’apprezzamento dei lettori e della critica odierna l’opera di uno dei grandi autori del nostro Novecento.
Descrizione del libro di Peter Lindbergh -The first-ever exhibition curated by Peter Lindbergh himself, shortly before his untimely death, Untold Stories at the Düsseldorf Kunstpalast served as a blank canvas for the photographer’s unrestrained vision and creativity. Given total artistic freedom, Lindbergh curated an uncompromising collection that sheds an unexpected light on his colossal oeuvre. This artist’s book, the official companion to the landmark exhibition, offers an extensive, firsthand look at the highly personal collection. When it came to printing his photos, Lindbergh chose a special uncoated paper – a thin sheet with a soft, open surface – as a deliberate aesthetic statement. Renowned the world over, Lindbergh’s images have left an indelible mark on contemporary culture and photo history. Here, the photographer experiments with his own oeuvre and narrates new stories while staying true to his lexicon. In both emblematic and never-before-seen images, he challenges his own icons and presents intimate moments shared with personalities who had been close to him for years, including Nicole Kidman, Uma Thurman, Robin Wright, Jessica Chastain, Jeanne Moreau, Naomi Campbell, Charlotte Rampling and many more. This XL volume presents more than 150 photographs―many of them unpublished or short-lived, often having been commissioned by monthly fashion magazines such as Vogue, Harper’s Bazaar, Interview, Rolling Stone, W Magazine, or The Wall Street Journal. An extensive conversation between Lindbergh and Kunstpalast director Felix Krämer, as well as an homage by close friend Wim Wenders, offer fresh insights into the making of the collection. The result is an intimate personal statement by Lindbergh about his work.
Peter Lindbergh
Peter Lindbergh nacque Peter Brodbeck il 23 novembre 1944 a Leszno, in Polonia, ma la sua famiglia fuggì a Duisburg, in Germania, quando aveva due mesi a causa dell’avanzata delle truppe russe. I paesaggi industriali di Duisburg e i movimenti artistici della Russia e della Germania degli anni ‘1920 influenzarono profondamente il suo stile visivo. Sebbene inizialmente lavorasse in un grande magazzino, in seguito studiò arte a Berlino. La sua carriera di fotografo iniziò inaspettatamente quando scoprì la sua passione per le foto dei figli di suo fratello.
Nel 1971 Lindbergh si trasferì a Düsseldorf e in seguito a Parigi nel 1978 per espandere la sua carriera, dove cambiò il suo cognome da Brodbeck a Lindbergh a causa della presenza di un altro fotografo con lo stesso nome.
Lindbergh è spesso accreditato come la forza trainante dietro l’era delle supermodelle, fornendo il trampolino di lancio per le carriere di icone come Naomi Campbell, Christy Turlington e Linda Evangelista. Il suo lavoro con queste modelle, insieme a molte altre, ha definito una nuova era nella fotografia di moda.
Questa evoluzione può essere fatta risalire alla sua innovativa foto di gruppo del 1988 per American Vogue, con Linda Evangelista, Christy Turlington, Estelle Léfebure, Karen Alexander, Rachel Williams e Tatjana Patitz. Le modelle, vestite casualmente con biancheria intima e camicie bianche oversize, hanno posato su una spiaggia di Malibu, incarnando lo stile naturale e sobrio di Lindbergh che avrebbe definito la sua eredità fotografica.
Due anni dopo, ha sparato il suo primo Vogue copertina (per l’edizione britannica), ancora una volta con Evangelista e Turlington, questa volta affiancati da Naomi Campbell, Cindy Crawford e Tatjana Patitz. Questo ritratto di gruppo è diventato un’immagine distintiva dell’era delle supermodelle e ha ispirato il famoso video musicale “Freedom” di George Michael del 1990, con le stesse modelle. Queste due immagini hanno contribuito a consolidare la loro autenticità e il loro stile naturale. Le modelle apparivano rilassate, con un trucco minimo e apparentemente senza ritocchi, consentendo alle loro personalità di trasparire in un modo che era stato raramente catturato prima. reputazione, distinguendosi per la loro autenticità e la loro naturalezza. Le modelle apparivano rilassate, con un trucco minimo e apparentemente senza ritocchi, consentendo alle loro personalità di trasparire in un modo che era stato mai fatto prima.
Lindbergh credeva che la bellezza di coloro che fotografava derivasse tanto dalla loro personalità quanto dal loro aspetto esteriore, un notevole diversivo rispetto allo status quo della fotografia di moda dell’epoca. Leggendario Vogue La caporedattrice Anna Wintour ha riconosciuto il merito della visione di Lindbergh, incaricandolo di scattare la sua prima copertina dopo essere diventata direttrice di americano Vogue nel 1988 e nel corso della sua carriera ha scattato numerose copertine per la rivista.
Il suo approccio naturale è stato raggiunto in parte consentendo alle modelle di esprimersi in modi non tipicamente usati negli shooting di moda. Ha promosso la spontaneità e ha visto il processo come collaborativo piuttosto che come una dinamica fotografo-soggetto. Nonostante questa interazione rilassata, le sue composizioni sono sempre state attentamente considerate, spesso trasmettendo un vero senso di narrazione in un modo spesso descritto come “cinematografico”. Lindbergh è stato uno dei primi fotografi a incorporare le trame nei suoi editoriali di moda. Infatti, il suo servizio fotografico del 1990 di Helena Christensen come marziana per Italiano Vogue è considerato da molti il punto di partenza nell’evoluzione degli editoriali di moda basati sulla narrazione. Splendidamente presentata in grande scala, questa edizione di “On Fashion Photography” presenta 300 immagini (molte delle quali inedite) provenienti da tutta la carriera di Lindbergh. Include il suo ampio lavoro editoriale per Vogue, Harper Bazaar, The New Yorker, Vanity Faire molte altre pubblicazioni, oltre alle sue campagne pubblicitarie per i nomi più iconici della moda. Il libro include anche un’introduzione aggiornata in cui Lindbergh discute della “cosiddetta fotografia di moda”. Nonostante fosse sinonimo del settore, a Lindbergh importava poco della moda in sé. Mentre rispettava gli stilisti, era aperto sul fatto che erano le persone, non gli abiti, a ispirarlo.
L’immagine finale nel prenota è uno scatto dietro le quinte dell’iconico film britannico del 1990 Vogue servizio fotografico di copertina, che mostra un Lindbergh seduto circondato da cinque delle modelle che ha contribuito a elevare allo status di supermodella (Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford, Tatjana Patitz e Stephanie Seymour). È una scena commovente: Lindbergh irradia un calore silenzioso, trasudando una presenza timida ma confortevole. Nonostante tutta la sua creatività, visione e padronanza tecnica, forse il suo dono più grande è stato quello di far sentire i suoi soggetti completamente a loro agio, consentendogli di catturare il loro vero sé. Questo è il Lindbergh che scelgo di ricordare.
Peter Lindbergh. Sulla fotografia di moda è pubblicato da Taschen ed è disponibile tramite il loro di LPI.
Fonte-The Independent Photographer
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Torri in Sabina (Rieti)- Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio : Studio del sistema idraulico sotterraneo –
Torri in Sabina (Rieti)– Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio, Avvio delle nuove indagini “Studio del sistema idraulico sotterraneo dell’antico municipio romano”. Il Gruppo ha ripreso le attività di ricerca nell’area archeologica di Vescovio, nel territorio del Comune di Torri in Sabina.
Il progetto, condotto sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti, è finalizzato allo studio del sistema di adduzione e deflusso delle acque dell’antico municipio romano di Forum Novum.
Le ricerche, in corso da diversi anni, hanno già portato alla scoperta di un cunicolo idraulico di epoca romana, attribuito all’acquedotto fatto realizzare da Publio Faiano.
L’obiettivo attuale è approfondire lo studio delle strutture ipogee ancora inesplorate, concentrandosi su pozzi, cunicoli e ambienti sotterranei collegati all’assetto idraulico del sito.
Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
Indagini in un’area finora inesplorata
Gli speleologi stanno operando in una zona del foro mai indagata dal punto di vista speleo-archeologico. La dott.ssa Nadia Fagiani, della Soprintendenza, sottolinea l’importanza di queste ricerche per comprendere le diverse fasi di sviluppo del municipio romano.
La presenza di numerosi elementi idraulici suggerisce un sistema complesso di gestione delle acque, che potrebbe fornire nuove informazioni sull’urbanistica e sull’organizzazione funzionale del sito.
L’uso della tecnologia Lidar permetterà di ottenere una mappatura tridimensionale dettagliata delle strutture sotterranee, mettendole in relazione con le evidenze murarie e gli ambienti di superficie.
Questo approccio consentirà di ricostruire il funzionamento del sistema idrico e di identificare eventuali ulteriori strutture non ancora documentate.
Partecipanti alla prima fase delle ricerche
Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
Alla prima fase della nuova campagna di studio hanno preso parte Giorgio Filippi, Arianna Armeni, Giorgio Pintus, Giovanna Politi, Alessandro Cardinale, Fabrizio Marincola, Michele Marinelli, Giulia Petroni, Giacomo Frongia, Maria Fierli, Maria Piro, Simone Del Cavallo e Cristiano Ranieri. Il gruppo proseguirà nei prossimi mesi con ulteriori esplorazioni e rilievi, al fine di acquisire dati utili alla ricostruzione del sistema idraulico di Forum Novum.
Foto di Cristiano Ranieri
Logo-Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
l Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio nasce a Salisano, un piccolo paese della provincia reatina, nel dicembre del 1993. Tra il 1994 ed 1997 il Gruppo ha svolto ricerche paletnologiche nel territorio sabino scoprendo e valorizzando numerosi siti preistorici sia in grotta che lungo i crinali dei Monti Sabini. Alcuni dei reperti paletnologici rinvenuti sono oggi conservati ed esposti al Museo Protostorico di Magliano Sabina. Dal 1997 proseguono senza sosta le esplorazioni e le ricerche di testimonianze preistoriche nelle grotte del territorio sabino tra cui Grotta Scura nel comune di Castelnuovo di Farfa e la Grotta Pila nel comune di Poggio Moiano oggetto quest’ultima di indagini negli anni ’50 da parte del Prof. Aldo Segre. Lungo il costone di Battifratta a Poggio Nativo, il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio ha scoperto nuove cavità naturali al cui interno sono stati rinvenuti reperti ceramica di epoca protostorica. Dal 1997 il Gruppo ha avviato un’intensa collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio per la tutela e salvaguardia delle cavità naturali e degli ipogei antichi di origine antropica esplorando e scoprendo nuove cavità naturali al cui interno vengono rinvenuti reperti di epoca romana riferibile al culto della dea Vacuna. Resti ceramici di epoca romana vengono individuati e recuperati per la prima volta dal Gruppo anche nella Grotta Formicara a Scandriglia e nella Grotta Grande di Muro Pizzo a Monteleone Sabino. Inoltre il Gruppo scopre nuove cavità naturali tra cui la Risorgenza delle Venelle sempre a Monteleone Sabino e la Grotta Arocaro a Salisano al cui interno sono stati recuperati reperti archeologici di epoca romana. I risultati delle ricerche vengono pubblicati su riviste e bollettini del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Le indagini sono ancora in corso sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. Dal 1999 il gruppo si sta occupando della revisione dei dati catastali delle cavità naturali presenti in Sabina con aggiornamenti topografici del territorio. Nel 1997 il Gruppo avvia le prime ricerche di speleologia urbana in Sabina che si rivela essere un territorio ricco di cavità artificiali, in particolare cunicoli e acquedotti di epoca preromana. Le esplorazioni e le scoperte di nuovi ipogei artificiali sono ancora in corso. Dal 2002 il Gruppo inizia a collaborare con la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma con ricerche speleologiche negli ipogei di Roma e nel territorio circostante. Nel 2003 viene portato a termine l’esplorazione completa del Colosseo e l’anno seguente iniziano le prime ricerche speleologiche lungo le pendici nord-orientali del Palatino. Dal 2005 il Gruppo inizia lo studio sistematico di tutto il sistema idraulico sotterraneo del Foro Romano. Le ricerche sono ancora in corso. Il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio organizza annualmente campi speleo e corsi di speleoarcheologia. Collabora con la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, con il Dipartimento di Archeologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e con numerosi enti ed università straniere. Ha preso parte inoltre alla realizzazione di documentari e programmi tv partecipando a convegni sia in Italia che all’estero.
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) è una struttura operativa del Club Alpino Italiano, dotata di un proprio atto costitutivo, uno statuto e un regolamento generale, approvati dall’assemblea nazionale che è l’organo sovrano di autogoverno. L’organizzazione è articolata in Servizi Regionali, coordinati da una direzione nazionale, alla quale fanno capo anche le scuole nazionali. Ogni servizio regionale si articola in Delegazioni (alpine) e Zone (speleologiche) che a loro volta sono costituite da più stazioni (alpine o speleologiche). Gli oltre 7000 operatori del CNSAS sono tutti alpinisti o speleologi di provata esperienza e capacità, in possesso delle nozioni di base di soccorso sanitario. La specifica preparazione e il costante aggiornamento sono la garanzia di un’elevata professionalità, che si esplica in caso di soccorso in ambiente disagiato, impervio od ostile. Il CNSAS interviene per tutti gli incidenti che possono verificarsi nel corso di attività escursionistiche o alpinistiche (sentiero, parete, cascata di ghiaccio, crepaccio ecc.), speleologiche (grotta), speleosubacquee (grotte allagate, laghi di montagna), torrentistiche (forra e canyon), in caso di calamità naturali (valanghe, alluvioni, terremoti ecc.), per arresto di impianti a fune (seggiovie, funivie ecc.), ma anche per eventi ordinari che si verificano in luoghi difficilmente raggiungibili dalle normali èquipes sanitarie. La regione Lazio ricade interamente nella V Zona di Soccorso Speleologico, all’interno della quale il CNSAS opera tramite il Soccorso Alpino e Speleologico del Lazio (SASL).
Il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio ha sede a Salisano, un piccolo paese della Sabina in provincia di Rieti e a pochi chilometri da Roma. Passando al di sotto della Porta Calvina si accede all’antico borgo medievale di Salisano. Dalla piazza principale su cui si affaccia il municipio e la chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, tre strade parallele ed unite tra di loro da vicoli traversi immettono alle antiche contrade comunali.
Percorrendo Via Umberto I°, la strada centrale, si giunge al “Perticolle”, ove un tempo sorgeva la Porta del Colle. Questa via era chiamata “Strada Dritta” ed indicava appunto la Contrada della Strada Diritta. Le altre due vie principali del paese sono Via degli Archi (Contrada dei Ponti) caratteristica per la presenza di ponti e case torri del 1300 e Via Regina Elena (Contrada dell’Olmo). Proprio a via degli Archi, nell’antica spezieria medievale del castello di Salisano, ha sede e si riunisce il nostro gruppo
Logo-Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
Poesie di Rosaria Ragni Licinio, “Viatico per peccatori”
da Ensemble –Rivista Atelier
Rosaria Ragni Licinio (Taranto, 1978) è scrittrice, pittrice e giornalista.Ha fondato il litblog Poesiaealtreparole e lavora in ambito editoriale. Alcune sue poesie sono presenti in antologie e riviste sia nazionali che internazionali, come ad esempio: Metafory Współczesności, (Polonia, 2018), Advaitam Speaks Literary Vol.3-Issue 2 (India, 2019), Frequenze Poetiche (2021), I cieli della preistoria. Antologia della nuovissima poesia pugliese, A. A. V. V. (Marco Saya, 2022), Fissando in volto il gelo, A. A. V. V. (Terra d’Ulivi, 2023). Nel 2021 è risultata tra i vincitori del premio di poesia Marco Di Meola. Interno rosso Marte (Gattomerlino/Superstripes, 2021) è la sua opera prima.
Nascere dall’acqua
nel DNA la deriva
il destino dell’incompiuto
o qualsivoglia vergogna
– la torre del lancio è alta –
resta la paura
e la terra così ansiosa
e la cultura radicata
– quel peccato immorale –
lasciarsi andare
senza sapere la morte.
*
Nessuna carne
la caduta del non essere
soltanto il rumore
la cosa che resta.
Chi muore non assomiglia a nessuno
– nomina l’inizio – ha un altro passo
tolti i giorni alla paura
ruba la notte e le infelicità
d’improvviso spargono stelle.
È successo anche a me
voler recitare la fine
e poi ricevere un pugno.
*
Il giudizio della madre si scontra
dove cade la distanza
e il parlare è cieco
si perde la sagoma di figlia
e la mano nella tasca insiste
il perdono, un cuneo nel petto
tornare bambina
che si svela tardi e scava
un altro sì, una nuova
data di nascita.
*
L’estasi è la nostra consapevolezza
un’altra esperienza del tempo ci fissa
e la schiera di rinnegati risponde
dentro la virtù una totalità
sta per punire l’incendio
l’uomo nudo è in conflitto con la luce
nasconde il marchio della fiamma.
Di questo taglio nessuno s’è accorto
l’isolamento di un dettaglio – la realtà –
l’ultimo vezzo prima di svanire.
*
Ogni giorno staccarsi piano
come le foglie d’autunno
che non sono morte
dimenticare la mancanza di luce
per qualcosa sulla terra
ancora restare.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
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Castelnuovo di Farfa- Il Murales della Memoria- di Franco Leggeri
Castelnuovo di Farfa
Castelnuovo di Farfa- 6 dicembre 2021-Il Murales della Memoria di Franco Leggeri-Biblioteca DEA SABINA-Un vecchio proverbio castelnuovese dice testualmente: “’U giornale (ora anche il web) è come u somaru, quillu che jhi carichi porta…”. Assistiamo , leggiamo, a Castelnuovo di Farfa a “Lezioni di Memoria e Appartenenza”. Grande lezione impartita a noi “vecchi ignoranti castelnuovesi” che, appunto, di Storia castelnuovese , non avendola vissuta, abbiamo un “disperato” bisogno di abbeverarci alla fonte “Ornischi” o “Bollica”. Noi vecchi castelnuovesi stiamo apprendendo cosa significa essere ignoranti. Se ben ricordo , in teoria, l’ignorante è chi dice <non so>, ma in realtà , a mio avviso, dopo aver letto vari articoli relativi alla “Memoria e Appartenenza” credo che, in verità oggi, a Castelnuovo è colui che <non sa e non conosce la Storia castelnuovese > ma la vuole spiegare ed illustrare ai protagonisti cioè a noi VERI CASTELNUOVESI. Il proverbio castelnuovese citato all’inizio è vero:” L’ignoranza della Storia castelnuovese? Grazie al web è diventata “saccenza”.A Castelnuovo assistiamo, in fatto di Storia ,a una sorta di: “liberi tutti”… di sparare idiozie storiche che sono così eclatanti nella “semplicistica e ingenua” ricostruzione nella fase cronologica, date, e nei personaggi . Mnemosune (memoria) ) la madre di tutte le Muse, i greci la identificavano con la capacità di tenere a mente, rammentare, quindi con un’abilità della ragione, della testa, in prima istanza. Il “potere” castelnuovese è complice di questo “ANNO ZERO” della “nuova storia castelnuovese”.Noi castelnuovesi quello che abbiamo vissuto, è entrato in circolo nel nostro sangue, è parte di noi.Noi vecchi castelnuovesi , allontanati e isolati dal “potere arrogante dell’ignoranza” che nome dobbiamo dare a chi offende la nostra intelligenza? Qual è il nome corrispondente? Rabbia? O piuttosto delusione, sconforto, fastidio? A Castelnuovo l’ignoranza della vera storia castelnuovese è alla base della situazione attuale. L’inflazione d’informazione, in continua crescita ed evoluzione, fa perdere il senso di continuità del tempo, il valore della memoria, in un perpetuo “attimo presente” che cancella percorsi storici lenti, difficili, conquistati a fatica, tra passi in avanti e dolorosi ritorni al passato.Questa “ dittatura dell’informazione castelnuovese” è la causa dell’indifferenza con cui si accettano decisioni che hanno e avranno conseguenze pesanti per la società e la democrazia del nostro amato Castelnuovo.È pericoloso per il “potere castelnuove”che la gente abbia conoscenza, anzi coscienza, dei fatti storici che, in bene e in male, sono all’origine della situazione attuale. Noi castelnuovesi, quelli dell’Orgoglio castelnuovese, dobbiamo aver presente che la memoria storica non è “automatica”, deve essere tenuta viva, non “mummificata” e resa “sterile” , attualizzata , cosa ben diversa “dal racconto diverso”. La Storia , la nostra storia castelnuovese, viene “messa a tacere” per, a mio avviso, non dare ai giovani la capacità di analisi, critica, denuncia , discussione del presente alla luce del passato al fine di non far conoscere i “percorsi” in cui si sono perse conquiste e spesso anche i valori. La VERA storia di Castelnuovo ci permette, a noi tutti , di crearci una coscienza critica indispensabile per comprendere il tempo di oggi e per intervenire nella società castelnuovese con libertà, obiettività, apertura, forza intellettuale e morale. Ripeto da anni che sono pronto per un pubblico dibattito con le autorità e gli “storici castelnuovesi”.
Castelnuovo e i colori della rabbia.
Noi che abbiamo la parola interdetta
aspettiamo le stelle del cielo
per vedere ,da questo ponte della Storia,
l’ultima acqua silenziosa del nostro passato.
In questo spazio infinito dei ricordi
possiamo solo gettare i nostri sassi della rabbia.
Noi non abbiamo voce
perché oscurati e dimenticati
e il nostro respiro è nascosto al sole.
Ora l’ombra del silenzio scivola
e trascina a valle la voce dell’oblio.
A noi Castelnuovesi non resta che imparare
la trama dei racconti
nasconderli nel libro dell’anima
e custodirli nei cassetti della memoria.
Scriveremo e racconteremo
lo “schiaffo della resa”
che le sirene del potere ,
beffandosi del nostro dolore
e il non essere capaci di rifiutare le “monetine“ dell’umiliazione,
ogni giorno, ogni ora ci porgono
sul piatto della negazione.
Franco Leggeri, Castelnuovese.
Castelnuovo di Farfa descrizione
Castelnuovo di Farfa risulta frequentato già a partire dal Neolitico. In epoca protostorica il sito più importante è sicuramente la Grotta Scura, al termine di Via Cornazzano, a poca distanza dal fiume Farfa. I primi ritrovamenti risalgono agli anni 1987-88, quando il Gruppo Speleologico “F. Orofino” rinvenne alcuni frammenti ceramici protostorici, risalenti all’età del Bronzo medio (XV-XIV secolo a.C.). La grotta è costituita da un’ampia sala in roccia calcarea, a cui si accede attraverso una stretta apertura, dove venne recuperato il materiale. Secondo la descrizione del Guidi “dalla sala un lungo corridoio porta ad una serie di piccoli ambienti dove sono stati individuati resti di focolari, ossa animali e vasi integri, gli unici materiali in giacitura sicuramente primaria”[4]. Alcuni frammenti con decorazione “appenninica” hanno permesso una datazione per tutta la durata della media età del Bronzo (XV-XIV secolo a.C.). La grotta presenta un ramo, lungo più di 200 metri, periodicamente occupato dalle acque, dove sono stati rinvenuti insieme oggetti ceramici sia di epoca protostorica che di epoca romana (lucerne in terracotta e monete). La presenza di vasi integri in ambienti difficilmente accessibili della grotta dimostra che una parte della cavità fosse riservata alla deposizione di offerte. Inoltre le tracce di focolari, riferibili a cerimonie rituali, sembrano attestare un utilizzo della grotta sia a fini abitativi che cultuali. La grotta è costituita da un ramo attivo e da due rami fossili, posti a livelli diversi e raggiungibili tramite cunicoli. La presenza di acque sorgive deve aver comportato la destinazione cultuale della grotta. Questo luogo di culto in grotta, tra i più antichi di tutta la Sabina, è stato identificato recentemente nel “santuario di Marte”[5], riportato da Dionigi di Alicarnasso presso Suna (oggi Toffia), antica città degli Aborigeni (mitologia)[6].
Medioevo
Nel VI secolo è riferito in zona l’arrivo di San Lorenzo di Siria, fondatore dell’Abbazia di Farfa, il quale avrebbe svolto opera di evangelizzazione cristiana anche nei territori limitrofi. Una chiesa dedicata a San Donato è riportata già in un documento dell’877, per cui si può tranquillamente fissare la nascita del primitivo insediamento rurale all’Alto Medioevo. In questo documento la chiesa viene ceduta dal vescovo di Arezzo, Giovanni, al monastero di Farfa, in cambio di altri beni, tra cui San Donato ed annesse “terre, case, chiese, selve, molini” ecc…, una elencazione che spiega il livello di organizzazione che si era formato attorno alla prima chiesa[7]. Questa chiesa divenne anche il centro catalizzatore del territorio, elemento di aggregazione sociale, antesignano del castrum. Il primo insediamento fortificato e protetto da mura, il Castellum Sancti Donati, è citato in un documento del 1046, che ne attesta la cessione al vicino monastero di Farfa, e risulta decaduto già nel 1104.
Il Castrum Novum risale al Duecento. A partire dal 1288 nacque una disputa a riguardo di chi appartenesse il colle in cui sorgeva questo castrum medievale: secondo i castellani apparteneva alla comunità, secondo i monaci all’Abbazia di Farfa. La lunga contesa fu lontana dall’essere risolta. Nel 1477 i cippi confinari, rimossi dagli abitanti, vennero riportati al loro posto dall’abate commendatario[8]. Il castello medievale è difeso da una cinta muraria con ben nove torri, presidiate nel Rinascimento da “guardie civiche” e comandate da un “capitano”. Nel 1592 una delibera del Consiglio ordinò l’acquisto di 50 “archibusci” (fucili) e 4 “archibuscioni” (cannoncini). Lungo le mura si aprono due porte, Porta Castello e Porta Cisterna. Il borgo è caratterizzato da strette vie lastricate e da edifici civili, tra cui quelli appartenuti, ad esempio, alle famiglie Cherubini e Simonetti. Nel nucleo del paese sorge la chiesa di San Nicola di Bari ed una bella fontana seicentesca “a parete”, con arco centrale.
Castelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCASTELNUOVO DI FARFA La FONTANELLA della PIAZZETTACASTELNUOVO DI FARFA La bottega del Fabbro GIUVANNINU U FERRARUCASTELNUOVO di FARFA DEGRADO E ABBANDONO AFFRESCHI EX-CHIESA DI SANTA MARIA Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di Farfa -40simoPremio letterario “LA TORRE D’ARGENTO”-1982-2022Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa -40simoPremio letterario “LA TORRE D’ARGENTO”-1982-2022Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti) Monumento ai Caduti delle due guerre mondialiCastelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est- foto inizio ‘900Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Programma festa Madonna del Rosario anno 10 ottobre 1933Castelnuovo di Farfa (Rieti) la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) Foto del 1889Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma EstCastelnuovo di Farfa (Rieti) – La Piazza ComunaleCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Il GonfaloneCastelnuovo di Farfa (Rieti) – La Piazza ComunaleCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Campo Profughi FARFA SABINA- Loc. Granica-foto anni 1950Castelnuovo di Farfa (Rieti) –Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Municipio-Aula ConsiliareCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma Ovest-Bar StellaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Porta Castello, Torre dell’OrologioCASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-
CASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-CASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-CASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-Antonio GramsciCASTELNUOVO DI FARFA – PALAZZO SIMONETTI-ora EREDI SALUSTRI GALLI-
Descrizione del libro di Ranuccio Bianchi Bandinelli -L’arte etrusca– Editori Riuniti-Biblioteca DEA SABINA-Gli scritti etruscologici di Ranuccio Bianchi Bandinelli coprono l’intero arco dei cinquant’anni della sua attività di studioso: dal 1925, quando venne pubblicata la sua tesi di laurea su Chiusi, fino al 1973, quando apparve l’ultima sua monumentale opera “Etruschi e Italici prima del dominio di Roma”. I saggi raccolti in questo volume sono disposti cronologicamente e servono a documentare il percorso critico e intellettuale di Bianchi Bandinelli, caratterizzato da un lato da una costante continuità di interesse per il fenomeno artistico etrusco-italico, dall’altro da un fondamentale e profondo rinnovamento delle sue posizioni negli anni successivi al 1960.
Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) è stato uno dei maggiori archeologi e intellettuali italiani del Novecento. Alla attività di studio, come autore di ricerche specialistiche e come docente universitario, ha sempre associato un diretto impegno civile e militante, nell’Amministrazione dei beni culturali e nella diretta partecipazione politica come esponente di spicco del partito comunista. Ha svolto opera di informazione presso il largo pubblico attraverso la direzione di enciclopedie e volumi a grande diffusione.
Ranuccio Bianchi Bandinelli
INDICE
Premessa
Nota del curatore
Parte prima. Storia e problemi dell’arte etrusca
Arte etrusca
La città etrusca
La casa etrusca
La posizione dell’Etruria nell’arte dell’Italia antica
“Illusionismo” nel bassorilievo italico
Datazione e motivi dell’arte tardoetrusca
Parte seconda. Topografia
Questioni generali di topografia etrusca
Riassunto storico e delimitazione del territorio chiusino
Roselle
L’esplorazione di Roselle
Parte terza. Pittura
Necropoli di Vulci
Un “pocolom” anepigrafie del museo di Tarquinia
Le tombe tarquiniesi delle Leonesse e dei Vasi dipinti
Le pitture delle tombe arcaiche
La mostra di pittura etrusca a Firenze
Parte quarta. Scultura
I caratteri della scultura etrusca a Chiusi
Il “Bruto” capitolino scultura etrusca
Il putto cortonese del museo di Leida
Marmora Etruriae
La kourotrophos Maffei del museo di Volterra
Qualche osservazione sulle statue acroteriali di Poggio Civitate (Murlo)
Ranuccio Bianchi Bandinelli
Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) è stato uno dei maggiori archeologi e intellettuali italiani del Novecento. Alla attività di studio, come autore di ricerche specialistiche e come docente universitario, ha sempre associato un diretto impegno civile e militante, nell’Amministrazione dei beni culturali e nella diretta partecipazione politica come esponente di spicco del partito comunista. Ha svolto opera di informazione presso il largo pubblico attraverso la direzione di enciclopedie e volumi a grande diffusione.
Giulio Carlo Argan-Vi parlo di un nostro maestro. La milizia intellettuale di Ranuccio Bianchi Bandinelli [1]
in «Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan», n. 17, Graffiti editore, Roma 2005, pp. 121-124.
Intitolando la sua rivista «Dialoghi di Archeologia» Bianchi Bandinelli pensava sicuramente ai suoi allievi, perché nella sua scuola tutto era dialogo, nulla sapere impartito. Amava molto la scuola, la lasciò quando si persuase che, per salvare la scuola, bisognava lasciare l’università. La lasciò, anche, per dedicarsi interamente ad una grande impresa scientifica, l’Enciclopedia dell’Antichità. Il dialogo seguitava, un’enciclopedia è un lavoro di gruppo: convoca gli studiosi da ogni parte del mondo per fare il punto dello stato di avanzamento di una disciplina, ma anche per inquadrarla in una cultura generale. Aveva il senso profondo dell’etica del lavoro scientifico; amava la ricerca, ma non ricusava i doveri che ne discendevano. La prima forma dell’intelligenza, per lui, era la generosità e quindi l’impegno, anche politico. Subito dopo la guerra accettò di fare il Direttore generale delle Belle Arti: sapeva benissimo ch’era un arido lavoro burocratico in condizioni, poi, particolarmente difficili. Ma era un dovere, verso la cultura e verso il Paese. L’Italia era ancora in rovine, molte opere d’arte italiane rubate dai nazisti erano ancora in Germania (e molte ci sono ancora) dove Siviero si dava da fare a recuperarle. Io ero alle sue dipendenze dirette e quel lavoro comune per me fu una scuola.
Era già comunista, un’altra ragione per essere intransigente quando si tratta del pubblico interesse. Lasciò la direzione generale perché non poteva fare tutto ciò che la coscienza gli imponeva: magari denunciare per collaborazionismo e truffa qualche gran signore che vendeva quadri antichi a Goering ma, conoscendone i gusti più autentici, vi aggiungeva in regalo il vino e i salumi dei suoi poderi.
Ranuccio Bianchi Bandinelli- L’arte etrusca-
Lo ammirai soprattutto perché, davanti al disastro e senza soldi in cassa, riusciva a trovarne abbastanza per finanziare qualche scavo. Pensava che soprattutto era importante mantenere vivo lo spirito della ricerca: per conservare le cose bisogna conservare la mentalità che vuole conservate le cose. L’importante era non rompere l’unità teorico-pragmatica della scienza. Il teorico deve sapere discendere alle cose se vuole che poi dalle cose si possa risalire al grande disegno storico e alla teoresi, magari alla filosofia dell’arte. Mi sovvenni di Lui e del suo impegno pratico, e della serenità e dello spirito con cui lo adempiva, quando imprevedutamente fui fatto sindaco di Roma e mi trovai travolto in una valanga di cure che non avevano niente a che fare con i miei studi. Mi accorsi che non erano poi tanto estranee, forse niente è estraneo alla cultura: cercare di tenere pulita Roma (invano, purtroppo) è come nettare un’opera d’arte imbrattata.
Oggi rifletto a molte strane coincidenze del mio destino col suo e naturalmente anche alla comune scelta politica. Nulla di casuale: tutt’e due ci eravamo formati nella tradizione della scuola viennese di storia dell’arte, dove si partiva dalla scheda per arrivare al trattato, ma senza mai perdere di vista la cosa artistica, il suo essere un manufatto soggetto ai guasti del tempo. Studiare la storia dell’arte era lo stesso che prender cura delle cose, besorgen.
Fin da quando, giovanissimo ancora, esordì brillantemente con gli studi sulla cultura etrusca di Roselle e Sovana lo tormentava il dilemma che non l’abbandonò mai più: archeologia o storia dell’arte? È il nodo di tutto il suo lavoro. Come tutti gli studiosi della sua e poi della mia generazione è stato idealista e crociano: solo al tempo della guerra, credo, ebbe l’illuminazione di Gramsci. Il disgusto della rettorica, che per la verità il Croce ha sempre alimentato negli intellettuali, portava ad una critica radicale dell’archeologia italiana: per la ritardata mentalità antiquariale, anzitutto, ma anche per l’asservimento alla megalomania fascista, per gli scempi che autorizzava a cominciare da Roma, per lo scarso rigore nella ricerca e nel restauro dei monumenti, per l’abuso di falsi concetti come quello di «romanità». Indubbiamente l’idealismo lo avviò a scelte di gusto molto severe, ma del tutto spregiudicate.
Oggi è di moda dire che il criterio di qualità implica una valutazione soggettiva, che una scienza rigorosa non ammette; e in fondo è giusto che i mediocri difendano i mediocri. Eppure è proprio con le sue scelte qualitative che Bianchi Bandinelli ha rovesciato il quadro della storia dell’arte classica. Quando uscì laStoricità dell’arte classica fu come ci cadessero le bende dagli occhi. Non era una questione di arte o non- arte. La storia dell’arte classica che ci avevano insegnato gli archeologi era in realtà la storia di una cultura figurativa aulica o ufficiale e dunque non storia dell’arte, ma storia del potere vista attraverso l’arte. Benché assai più complesso, il punto di vista di Bianchi Bandinelli riportava ai primi storici romantici come il Fauriel, che preferiva la civiltà dei conquistati a quella dei conquistatori: Bianchi Bandinelli accantonava gli artisti di palazzo, parlava di provincia invece che di metropoli, di artigiani pieni di genio o di spirito invece che di artisti laureati. E non era una veduta populista: l’analisi, come nell’ammiratissimo Riegl, era sempre scrupolosamente condotta sulle forme.
Come sempre Bianchi Bandinelli, pur così bravo nel disegnare grandiose sintesi di epoche intere, ha dedotto dalla sua teoria tutte le conseguenze d’ordine pratico: al punto che proprio da quella generale premessa critica è disceso un nuovo modo di concepire e condurre lo scavo: non più per trovare tesori o documenti sensazionali, ma il modesto tessuto di una cultura, gli strumenti della vita quotidiana, le testimonianze delle attività quotidiane. In una parola, la trama di quella che oggi chiamiamo cultura materiale e che, in verità, ci porge una quantità d’informazioni infinitamente maggiore che quelle che può dare un imponente monumento, espressione delle grandi istituzioni del tempo.
Da questa prima formulazione, almeno in Italia, di una metodologia fondamentalmente marxista degli studi di archeologia uscì anche, e fu portata avanti dai discepoli, una nuova modalità della progettazione, dell’attuazione, dell’interpretazione dello scavo: non più concepito come caccia al tesoro, ma come ricostruzione organica del tessuto della cultura. Ciò che doveva, o almeno avrebbe dovuto, essere il principio di un mutamento radicale della politica della tutela del patrimonio culturale: ancora fatta di divieti e di limiti sempre meno rispettati invece che di interventi diretti, in positivo, nello sviluppo della politica della città e del territorio. Era una prospettiva culturale e politica estremamente promettente, quella ch’egli aprì in Italia dopo la Liberazione; ma fu precipitosamente richiusa da quel provincialismo culturale che Bianchi Bandinelli odiava e che ancora non soltanto prospera, ma viene coltivato con sollecito zelo nei patrii giardini.
Forse il dialogo che questa rivista, con il suo nuovo corso, dovrà coraggiosamente portare avanti non è precisamente un dialogo tra maestri ed allievi, ma un dialogo più aperto tra civiltà antiche e civiltà moderna. Bianchi Bandinelli volle chiarire, vivendolo in proprio in tutte le sue contraddizioni, anche drammatiche, che cosa sia la civiltà moderna, ardentemente desiderando che il suo confronto con l’antico fosse il confronto tra due momenti della storia e non tra una storia e una cronaca, talvolta nera. Nessuno può vedere realizzato tutto ciò che spera. Ma certo tutto ciò che poteva essere fatto, nella sua disciplina e nella sua pratica esistenza, affinché l’epoca moderna fosse un’epoca storica, Bianchi Bandinelli lo ha fatto con un’intelligenza, un coraggio, una fermezza e una serenità da rimanere, per gli intellettuali di tutto il mondo, esemplari.
[1] L’articolo, uscito su «L’Unità» del 1° novembre 1979, è il testo dell’intervento di Argan alla cerimonia dedicata a Bianchi Bandinelli tenutasi in Campidoglio il 31 ottobre 1979 in occasione della pubblicazione della nuova serie dei «Dialoghi di Archeologia».
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Poesie di William Butler Yeats ,Poeta irlandese-Premio Nobel 1923-
William Butler Yeats-Poeta irlandese (Sandymount, Dublino, 1865 – Roquebrune-Cap Martin 1939), fratello di Jack Butler. È stato uno dei grandi protagonisti della poesia tra Ottocento e Novecento. Attratto dalle leggende irlandesi (Thewanderings of Oisin and other poems,1889) e dalle scienze occulte (Countess Cathleen, 1892), Y. elaborò un complesso simbolismo, misto di elementi celtici e teosofici. La sua produzione teatrale e quella poetica volsero, nella fase più matura, verso accenti maggiormente legati alla realtà. Fu insignito del premio Nobel per la letteratura (1923).
Sogni infranti
Fra i tuoi capelli è qualche filo bianco. E i giovani ormai più quando tu passi d’improvviso non soffoca il respiro. Ma qualche vecchio forse mormorando ti benedice, ché una tua preghiera l’ha scampato sul letto della morte. Per te che sai del cuore ogni tormento e ogni tormento hai inflitto all’altrui cuore, di gracile fanciulla germogliando la tua bellezza grave – per te sola il cielo ha cancellato la sentenza, tanta parte gli serbi in quella pace, se cammini soltanto in una stanza.
La tua bellezza può tra noi lasciare solo ricordi, pallidi ricordi. E un giorno a un vecchio un giovane dirà: “Diteci dunque di quella signora che un poeta ostinato ci esaltava quando l’età gli ebbe gelato il cuore.”
Vaghi ricordi, pallidi ricordi che nella tomba tutti rivivranno. La certezza che un giorno la signora vedrò giacere o ritta o camminare nella bellezza sua prima di donna col fervore degli occhi giovanili m’ha fatto come folle delirare.
E tu sei bella più d’ogni altra donna, ma una macchia offuscava il tuo bel corpo: non erano le tue piccole mani belle, e temo che tu forse non corra e remi fino al polso in quell’arcano lago sempre ricolmo dove quelli che hanno adempito alle divine leggi remano e sono ormai perfetti. Lascia immutate le mani ch’io baciavo per amore di un’amicizia antica.
L’ultimo tocco della mezzanotte muore; l’intero giorno ho allineato di sogno in sogno e poi di verso in verso divagando con un fantasma d’aria: solo ricordi, pallidi ricordi.
Trad. di Leone Traverso
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Quando sarai vecchia
Quando tu sarai vecchia e grigia, col capo tentennante ed accanto al fuoco starai assonnata, prenderai questo libro. E lentamente lo leggerai, ricorderai sognando dello sguardo che i tuoi occhi ebbero allora, delle loro profonde ombre. Di quanti amarono la grazia felice di quei tuoi momenti e, d’amore falso o a volte sincero, amarono la tua bellezza. Ma uno solo di te amò l’anima irrequieta, uno solo allora amò le pene del volto tuo che muta. E tu, chinandoti verso le braci, sarai un poco triste, in un mormorio d’Amore dirai, di come se ne volò via… passò volando oltre il confine di questi alti monti e per sempre poi il suo volto nascose in una folla di stelle.
Innisfree, l’isola sul lago Mi leverò e andrò, ora, andrò a Innisfree, E costruirò una capanna laggiu, fatta d’argilla e canne, Nove filari a fave avrò laggiu, un’arnia 1 per le api da miele, E solo starò nella radura ronzante d’api. E avrò un po’ di pace laggiu, ché la pace discende goccia a goccia , Discende dai velami del mattino fin dove canta il grillo; La mezzanotte laggiu è tutto un luccichio, il meriggio purpurea incandescenza , La sera è piena d’ali di fanello. Mi leverò e andrò, ora, ché sempre notte e giorno Odo l’acqua del lago lambire con lievi suoni la sponda; Stando in mezzo alla strada, sui marciapiedi grigi, La sento nella fonda intimità del cuore.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Il gatto e la luna
Il gatto andava qui e là E la luna girava come trottola, E il parente più stretto della luna, Il gatto strisciante, guardò in su. Il nero Minrialoushe fissava la luna, Perché, per quanto vagasse e gemesse, La luce fredda e limpida nel cielo Turbava il suo sangue animale. Minnaloushe corre fra l’erba Alzando le sue zampe delicate. Vuoi ballare, Minnaloushe, vuoi ballare? Quando s’incontrano due parenti stretti Che c’è di meglio che mettersi a ballare? Forse la luna imparerà, Stanca delle mode di corte, Un nuovo passo di danza. Minnaloushe striscia fra l’erba Di luogo in luogo illuminato dalla luna, La sacra luna sul suo capo È entrata in una nuova fase. Lo sa Minnaloushe che le sue pupille Passeranno di mutamento in mutamento, Che vanno dalla tonda alla lunata, Dalla lunata alla tonda? Minnaloushe striscia, fra l’erba Solo, importante e saggio, E leva alla luna mutevole I suoi occhi mutevoli.
La maschera
Togli quella maschera d’oro ardente Con gli occhi di smeraldo.
“Oh no, mio caro, tu vuoi permetterti Di scoprire se i cuori sian selvaggi o saggi, Benché non freddi.”
“Volevo solo scoprire quel che c’è da scoprire, Amore o inganno.”
“Fu la maschera ad attrarre tua mente E poi a farti battere il cuore, Non quel che c’è dietro.”
“Ma io debbo indagare per sapere Se tu mi sia nemica.”
“Oh no, mio caro, lascia andar tutto questo; Che importa, purché ci sia fuoco In te, in me?”.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Alla memoria di Eva Gore-Booth
La luce della sera, Lissadell, Grandi finestre aperte verso sud, Due ragazze in kimono di seta, Entrambe belle, e una una gazzella.
Ma un delirante autunno strappa i fiori Alla ghirlanda dell’estate; la più grande È condannata a morte, perdonata, E trascina i suoi anni solitari A cospirare fra gli ignoranti.
Io non so cosa sogni la più giovane – Forse una vaga Utopia – e sembra, Ormai avvizzita e scarna come scheletro, Proprio un’immagine di quella politica.
Talvolta penso di andare a cercare L’una o l’altra, e parlare Di quella vecchia casa georgiana, fondere Le immagini della memoria, ricordare Quel tavolo e i discorsi della giovinezza, Due ragazze in kimono di seta, Entrambe belle, e una una gazzella.
Care ombre, ora sapete tutto, Conosco tutta la follia di una lotta Con un torto comune, o una comune ragione.
Per chi è innocente e bello Soltanto il tempo è nemico; Levatevi, e ditemi d’accendere un fiammifero E di accenderne un altro, finché non arda il tempo; E se l’incendio dilaga Correte pure a dirlo a tutti i saggi.
Noi costruimmo il gran gazebo, ed essi Ci riconobbero colpevoli; ditemi D’accendere un fiammifero e soffiare.
Canzone dell’amante
L’uccello sospira per desiderio d’aria, Il pensiero per non so qual luogo, Per il grembo il seme sospira. Ora scende un medesimo riposo Sulla mente, sul nido, Sulle cosce sforzate.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Pena d’amore
Il clamore d’un passero sulle grondaie, La luna brillante e tutto il latteo cielo, E tutta quella famosa armonia di foglie, Avean cancellato l’immagine dell’uomo ed il suo grido.
Una fanciulla sorse che aveva labbra rosse e dolenti E sembrava la grandezza del mondo in lacrime, Condannata come Odisseo e le navi travagliate E orgogliosa come Priamo assassinato con i suoi pari.
Sorse, e sull’istante le grondaie piene di clamore, Una luna che si arrampicava su un vuoto cielo, E tutto quel lamento delle foglie, Potevano soltanto comporre l’immagine dell’uomo e il suo grido.
I due alberi
Adorato, fissa lo sguardo nel tuo proprio cuore, L’albero santo sta crescendo là; Originano dalla gioia i sacri rami, E i tremuli fiori tutti che ne vengono.
I cangianti colori del suo frutto Han dotato le stelle d’un’armonica luce; La certezza della sua occulta radice Ha impiantato quiete nella notte;
L’agitarsi della sua chioma frondosa Ha donato alle onde melodia, E sposato le mie labbra con la musica, Per te mormorando una canzone di mago.
Là i figli di Giove compongono un cerchio, L’ardente cerchio dei giorni che ci appartengono, Rotando, ergendosi su e giù In quelle grandi vie frondose inconsapevoli;
Ricordando la chioma tutta scossa E degli alati sandali il guizzare, I tuoi occhi crescono pieni di tenera cura: Adorato, fissa lo sguardo nel tuo proprio cuore.
Non volger più l’occhio nello specchio amaro Che i demoni, con la loro astuzia sottile. Innalzano di fronte a noi quando essi passano, O solamente per poco tempo fissalo;
Giacché vi cresce un’immagine fatale Che la notte tempestosa accoglie in sé, E radici mezzo nascoste dalle nevi, E rami rotti ed annerite foglie.
Poiché cose malate portano a sterilità Nel fioco specchio che recano i demoni, Specchio della stanchezza esteriore, Fatto allorché Dio dormì nei tempi antichi.
Là, attraverso i rami rotti, vanno I corvi del pensiero senza riposo; Volando, gridando, su e giù, Artiglio crudele e famelica gola,
Oppur si fermano ed annusano il vento, E scuotono le logore ali; ahimè! I tuoi occhi gentili divengono del tutto scortesi: Non volger più l’occhio nello specchio amaro.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Gli amici le portano un albero di Natale
Perdona grande nemica, Senza pensiero irato Abbiam portato l’albero, E qui e lì comprato Per adornare ogni ramo, E lei dal letto rimiri Cose graziose che rallegrino Una fantasiosa mente. Un po’ di grazia donale Anche se un occhio ridente Ha spiato il tuo volto Che muore.
Un campo d’erba
Quadro e libro rimangono, Un campo d’erba verde Per prendere un po’ d’aria, Ora che le forze del corpo se ne vanno; Mezzanotte, una vecchia casa In cui solo un topo si muove.
La mia tentazione è la quiete. Qui al termine della vita Né la sbrigliata immaginazione, Né la macina della mente Che ne consuma cenci e ossa, Riescono a render nota la verità.
Mi sia concessa la frenesia di un vecchio, Devo rifare me stesso Fino ad essere Timone o Lear O quel William Blake Che bussò sul muro Tanto che la Verità rispose al suo richiamo;
Una mente quale la conobbe Michelangelo Tale da penetrare le nuvole, O ispirata dalla frenesia Da scuotere i morti nei sudari; Del resto dimenticata dal genere umano: La mente d’aquila di un vecchio.
Gli uccelli bianchi
Fossimo noi bianchi uccelli, mia amata, sulla spuma del mare! La fiamma della meteora ci stanca prima di appassire e la fiamma dell’azzurra stella bassa nel cielo crepuscolare ci ha ridesta, mia amata, nel cuore una tristezza che non può morire.
Stanchezza esalano questi sognatori grevi di rugiade, la rosa e il giglio; ah non sognare fiamma di meteora vagante, né la fiamma dell’azzurra stella ch’esita mentre la rugiada cade: ma ci muti la sorte in uccelli bianchi a galla sulla spuma errante!
Nostalgia d’isole innumerevoli mi tormenta e di danae prode, dove ci dimentichi il Tempo e l’Affanno non osi calare; lontani saremmo dal giglio e la rosa e la fiamma che rode, solo fossimo noi bianchi uccelli, mia amata, sulla spuma del mare!
Il secondo Avvento Ruotando e roteando nella spirale che sempre più si allarga, Il falco non può udire il falconiere; Le cose si dissociano; il centro non può reggere; E la pura anarchia si rovescia sul mondo, La torbida marea del sangue dilaga, e in ogni dove Annega il rito dell’innocenza; I migliori hanno perso ogni fede, e i peggiori Si gonfiano d’ardore appassionato.
Certo qualche rivelazione è vicina; Certo s’approssima il Secondo Avvento. Il Secondo Avvento! E le parole sono appena dette Che un’immagine immensa sorta dallo Spiritus Mundi Mi turba la vista; in qualche luogo nelle sabbie del deserto Una forma dal corpo di leone e dalla testa d’uomo Con gli occhi vuoti e impietosi come il sole avanza Con le sue lente cosce, mentre attorno Ruotano l’ombre degli sdegnati uccelli del deserto.
Nuovamente la tenebra cade; ma ora so Che venti secoli di un sonno di pietra Furono trasformati in incubo da una culla che dondola. E quale rozza bestia, finalmente giunto al suo tempo avanza Verso Betlemme per esservi incarnata?
Lo Sprone
Ti sembra orribile che lussuria e furia Mi faccian scorta nella mia vecchiaia; Non erano tanto assillanti quand’ero giovane; Che altro mi resta per spronarmi a cantare?
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Egli desidera il tessuto del cielo
Se avessi il drappo ricamato del cielo,
intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri
del giorno e della notte
dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
cammina leggera perché
cammini sopra i miei sogni.
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Biografia
William Butler Yeats- Poeta irlandese (Sandymount, Dublino, 1865 – Roquebrune-Cap Martin 1939), fratello di Jack Butler. È stato uno dei grandi protagonisti della poesia tra Ottocento e Novecento. Attratto dalle leggende irlandesi (Thewanderings of Oisin and other poems,1889) e dalle scienze occulte (Countess Cathleen, 1892), Y. elaborò un complesso simbolismo, misto di elementi celtici e teosofici. La sua produzione teatrale e quella poetica volsero, nella fase più matura, verso accenti maggiormente legati alla realtà. Fu insignito del premio Nobel per la letteratura (1923).
William Butler Yeats –Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Vita e opere di William Butler Yeats-Il paese d’origine della madre, Sligo, dove si recava da Londra per le vacanze, esercitò grande fascino sul giovane Yeats. Stabilitosi in Irlanda con la famiglia (1880), frequentò per tre anni la scuola d’arte, influenzato dalle idee del padre pittore. Conosciuto G. W. Russell, iniziò con lui gli studi di occultismo e fondò nel 1885 una Hermetic Society. In questi stessi anni si avvicinò al movimento nazionalistico irlandese. Nel 1886 iniziò il poema basato su antiche leggende irlandesi, The wanderings of Oisin and other poems; nel 1887, trasferitosi a Londra, entrò in contatto con gli estetisti decadenti e con i circoli teosofici. Sono di quegli anni Fairy folk tales of the Irish peasantry (1888) e Representative Irish tales (1890). Nel 1891 fondò la Irish literary society a Londra e nel 1892 la National literary society a Dublino. Nello stesso anno pubblicò Countess Cathleen, dramma in cui abbondano preziosismi preraffaelliti ed è palese l’interesse per le scienze occulte. Questo è testimoniato anche dall’edizione delle opere di Blake (1893, in collab. con F. J. Ellis) e dal dramma The land of heart’s desire (1894). L’incontro con Lady Gregory nel 1896 accentuò gli interessi politici di Y. che divenne una delle figure più importanti del rinascimento celtico: nel 1899 inaugurò l’Irish Literary Theatre. In quegli anni attraverso la frequentazione di circoli rosacrociani e la lettura dei simbolisti francesi venne formando il suo complesso simbolismo, misto di elementi celtici e teosofici. Nel 1895 ristampò rivedute le liriche di Oisin e Cathleen col titolo Poems; nel 1899 una nuova raccolta, The wind among the reeds. Intanto la sua produzione teatrale, dopo The shadowy waters (1900) e Cathleen in Houlihan (1902), subì una svolta radicale con i drammi sul mitico eroe irlandese Cuchulain (On Baile’s strand, 1903; Deidre, 1907; The unicorn from the stars, 1908; The green helmet, 1910); Y. appare distaccato dall’esperienza preraffaellita e intento a ricercare un linguaggio più misurato e aderente alla realtà. Lo stesso mutamento si avverte nelle poesie (In the seven woods, 1903). L’amicizia con E. Pound (di cui fu segretario dal 1913 al 1916), l’insurrezione irlandese del 1916, lo scoppio della prima guerra mondiale e il matrimonio sono esperienze che si riflettono nelle opere dell’ultimo periodo. Responsibilities (1914) e la seconda ed. di The wild swans at Coole (1919) segnano tappe importanti nella sua opera. Nel 1922, proclamato lo Stato libero d’Irlanda, fu eletto senatore; nel 1923 l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura lo consacrò tra le grandi voci della poesia del Novecento. Tra gli ultimi scritti si ricordano: Michel Robartes and the dancer (1920); Plays for dancers (1921); Autobiographies (1926); e i due volumi di versi The tower (1928) e The winding stair (1933).
Mompeo (Rieti)- Concerto “Emisferi” di Barbara Eramo -Voci di Donne in Musica, dai mari freddi ai mari caldi del mondo-
Mompeo (Rieti)- Concerto di BARBARA ERAMO dal titolo “EMISFERI”-Sabato 15 febbraio 2025 all’Auditorium S. Carlo, h 17.00 di Mompeo per la stagione di spettacoli dal vivo “ A porte aperte” diretta da Renato Giordano nell’alternanza di prose e musica d’autore è di scena la musica con il concerto di BARBARA ERAMO dal titolo “EMISFERI”.
Barbara Eramo e Andrea D’Apolito in Concerto
Barbara Eramo presenta un live intimo, spogliato di sovrastrutture e portato all’essenza delle composizioni col supporto della chitarra acustica e dell’harmonium di Andrea D’Apolito. La scaletta proporrà brani presenti nelle tracce del suo ultimo disco “Emisferi” e all’interno del suo progetto artistico precedente “Emily”, un concept album sulle poesie di Emily Dickinson. La scaletta della performance dell’artista tarantina proporrà omaggi ad autori ed interpreti del folk d’autore, soprattutto femminile, dai mari freddi e ai mari caldi del mondo e di poeti e poetesse da Ildegarda ad Al Mawakib. Tante sono le collaborazioni professionali di Barbara Eramo nel tempo, anche compositrice oltre che interprete, ed alcuni di questi artisti con cui ha lavorato sono presenti come autori dei suoi brani da Giordano a Saletti a Hector Zazou, a Pejman Tadajan .
Concerto “Emisferi” di Barbara Eramo –
Il concerto di Mompeo si concluderà con una interpretazione speciale collegata al direttore artistico Renato Giordano e all’ etichetta Rosso di Sera con la quale hanno entrambi lavorato negli anni novanta del brano “Senza Confini” (musica di Bungaro) con il quale il duo Eramo e Passavanti vinse il premio della critica del Festival di Sanremo 1998 e il “Premio Volare” per la migliore esibizione del Festival assegnato da Michael Nyman, presidente della giuria di qualità, dopo aver trionfato l’anno precedente a Sanremo giovani. Una perfetta chiusura del concerto che avrà luogo proprio nella giornata in cui quest’anno si conclude il Festival di Sanremo!. Barbara Eramo, voce, ukulele, santur, eletronics, chitarra. Andrea D’Apolito ,chitarra, harmonium, voce.
Auditorium S. Carlo, h 17.00. Ingresso Gratuito.
Articolo di Giulia Mininni-Giornalista
Giulia Mininni-Giornalista
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Franco Leggeri Fotoreportage- L’Alba nella Campagna Romana-
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana è un’immersione nel silenzio che suscita emozioni , evoca suggestioni che poi si perdono nell’infinità del cielo romano. Fotografare è come toccare a mani nude la purezza della rugiada ancora addormentata sull’erba e godere , a beneficio della fotocamera, dei chiarori dell’alba, di questa luce e di questo immenso silenzio per avere delle immagini irripetibili . Farsi accarezzare dai raggi del sole che si è “appena svegliato” e accende i colori di questa Campagna,significa gioire dell’intimità di questo luogo d’incontro che è un vero e grandioso dono di Dio.
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Sono le 5:30 di un mattino estivo e mi resta ancora poco tempo per vivere in compagnia di questa bellezza ammantata di pace. Ora sta iniziando il traffico e le auto infrangono e distruggono il silenzio. Tra poco inizia il caos della “civiltà “, ma restano ancora momenti per essere con me stesso e fotografare ancora una volta l’Alba e il suo disperdersi nel giorno . Questi sono attimi che, se li sai centellinare, possono diventare infiniti e dare un piacevole senso di assenza di gravità e anche l’illusione che sia possibile fluttuare nell’armonia della bellezza. Sono tantissimi anni che godo la magia della Campagna Romana così carica di storia che gli alberi, i cespugli e le pietre sanno raccontare a chi sa ascoltare i loro sussurri. Ormai mi rimane difficile immaginare come sarebbero le mie mattine senza la bellezza di questa visione, dove i colori che la dipingono nascono da una tavolozza infinita che ogni giorno la trasforma in un affresco di stupefacente potenza che incide la mia anima, oltre il limite oscuro .
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
La Campagna Romana o Agro Romano, in senso storico o tradizionale, non coincide con nessuna delle odierne suddivisioni amministrative e neppure con l’area che potrebbe definirsi come banlieue di Roma. Essa comprende il comune di Roma (1507,6 km2) eccetto l’area occupata dalla città coi quartieri e suburbî (222 km2) cioè 1285,6 km2 cui sono peraltro da aggiungere il comune di Aprilia (177,6 km2) costituito nel 1937, e parte dei comuni di Anzio, Nettuno, Pomezia e Marino; in quest’ultimo comune si trova l’aeroporto di Ciampino coi nuclei abitati dipendenti, compresa la così detta Città giardino Appia (v. ciampino, in questa App.). Il fatto più notevole che caratterizza l’ultimo ventennio è il progressivo rapido ripopolamento della Campagna. Limitandoci al territorio pertinente al Comune di Roma, i 62.500 ab. (residenti) del 1936, sono divenuti 120.781 nel 1981 e 161.886 nel 1956. L’incremento è dovuto non tanto al moltiplicarsi delle case sparse, quanto al costituirsi di nuclei che sono spesso antichi casali trasformati, dotati di chiesa, scuola, stazione sanitaria, ovvero di nuove unità rurali, o infine di veri e proprî centri. Di questi il più recente censimento ne annovera 42, dei quali uno, il Lido di Ostia è ormai una cittadina di circa 20.000 ab., altri due o tre hanno popolazione superiore a 5000 ab. (oltre a Ciampino) e sette o otto popolazione superiore a 1000 ab. Il richiamo della popolazione verso il mare è evidente. Dopo il Lido, il centro più popoloso è Fiumicino, che acquisterà nuovo incremento con l’apertura al traffico (1961) del grande aeroporto intercontinentale; a nord di Fiumicino è Fregene; a sud del Tevere Tor Vaianica, a prescindere dalle altre recenti “marine” che si succedono fino ad Anzio. Altra ben visibile trasformazione della Campagna, del resto connessa con la precedente, è la riduzione delle aree pascolive a vantaggio delle coltivazioni. Tra queste predomina ancora il grano, ma nelle zone periferiche compare la vite (anche per frutto), altri alberi fruttiferi, prati da foraggio e, in plaghe più ricche di acqua, colture orticole. La Campagna comprende due grandi bonifiche effettuate secondo piani predisposti, la bonifica di Maccarese e quella di Porto-Isola Sacra, oltre ad altre minori; comprende anche taluni grossi centri di allevamento, come Torrimpietra. L’allevamento bovino si sviluppa, quello ovino declina a causa della accennata riduzione del pascolo naturale. Manifesta è anche la trasformazione o integrazione della rete stradale. Le antiche vie consolari irraggianti dalla città che ancora costituiscono lo schema fondamentale, sono collegate da vie trasversali (a cominciare dal “grande raccordo anulare” corrente a 11-15 km dal centro di Roma), da collegamenti secondarî, da strade vicinali e di bonifica. La parte della Campagna più vicina alle aree suburbane viene a poco a poco assorbita dalla espansione del Suburbio stesso sia verso il mare (dove i quartieri dell’EUR sono, secondo il reparto del 1951, ancora fuori del Suburbio), sia verso est (via Tiburtina), sia verso sud-est (vie Prenestina e Casilina), sia anche verso nord (via Cassia).e (via Aurelia) Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Addio alla pittrice Marta Czok, l’Arte come testimonianza della condizione umana-
Si è spenta lo scorso giovedì 6 Febbraio la pittrice Marta Czok. La sua vita si è conclusa all’improvviso, con un arresto cardiaco mentre lavorava sulla sua ultima tela. Marta Czok (1947-2025) nacque a Beirut da una famiglia polacca che, all’esito della Seconda Guerra Mondiale trovò asilo politico a Londra, passando attraverso l’Egitto. Marta Czok studiò alla St Martins School of Art, selezionata ripetutamente per la Royal Academy Summer Exhibition. Negli anni Settanta, si trasferì in Italia dove sposò Valter Scarso, con cui, in oltre cinque decadi di lavoro, stabilì la sua carriera artistica. Le opere di Marta Czok, collezionate ed esposte in tutto il mondo, si contraddistinguono per la loro vena ironica, attraverso la quale ha espresso le sue riflessioni pungenti sull’ingiustizia sociale, l’importanza della democrazia e del pensiero libero, la critica alle istituzioni e alla guerra, l’esperienza vissuta di migrazione e il diritto umano ad avere un posto da chiamare “casa”.
Marta Czok-VISITORS_
Molti dei suoi ammiratori e collezionisti ricordano le sue opere per il senso di speranza che comunicano: il suo commentario politico si alternava volutamente a scene di vita comune, la gioia nella convivialità, gli spaccati di vita domestica, il senso dell’umorismo come strumento di resilienza.
Negli anni, diversi sono stati i progetti e le collaborazioni che hanno segnato la sua carriera, tra cui Alitalia per l’Arte, l’Ambasciata Francese presso la Santa Sede, l’Ambasciata di Polonia a Roma, l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, il Ministero della Cultura, Museo Macro e Museo Carlo Bilotti a Roma, l’Albemarle Gallery di Londra e Centrum Spotkania Kultur a Lublino. Nel 2008, la televisione nazionale polacca TV Polonia le ha dedicato un documentario nel quale si evidenziava il rapporto tra il suo lavoro e la Seconda Guerra Mondiale.
Dal 2021, la Fondazione Marta Czok ha rafforzato la sua missione, creando diverse retrospettive, che includono, negli ultimi mesi, le mostre URBE a Palazzo Montecitorio, DE INNOCENTIA al Complesso di Vicolo Valdina, O NAS al Konstancinski Dom Kultury in Polonia, ARCHĪVUM a Palazzo Mathis di Bra e infine la mostra EX_PATRIA nella sede di Venezia della Fondazione. Quest’ultima mostra, curata dal figlio Jacek Ludwig Scarso, affrontava l’esperienza di migrazione e di eventi bellici e fu selezionata dalla rivista Contemporary Lynx come una delle migliori mostre durante la Sessantesima Biennale dell’Arte.
Marta Czok-La Fune
Ultimamente stava lavorando su nuove mostre in Italia, in Polonia e nel Regno Unito, tra cui una collaborazione con AVR London e Anise Gallery per rivisitare i suoi lavori storici attraverso la realtà virtuale. In questo momento, le sue opere si possono visitare a Venezia con la mostra THE WINDOW e a Castel Gandolfo, dove la Fondazione Marta Czok ha creato la sede della sua Collezione Permanente. Le sue ultime interviste furono per Exibart e per il programma Stato dell’Arte, condotto da Cesare Biasini Selvaggi.
La Fondazione continuerà a portare avanti la sua missione: creare un dialogo profondo tra arte e società, attraverso il suo archivio storico e le future retrospettive, in parallelo a progetti di collaborazione con artisti, curatori e istituzioni in tutto il mondo.
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