Descrizione-poesie di Idea Vilariño «Non so cosa sia per me la poesia. È un modo di essere, del mio essere. Tutto il resto della mia vita è fatto di casualità. La poesia non è stata casuale. La mia poesia sono io.»
«Una celebrazione simultanea dell’ebrezza e della disgrazia, senza compiacimenti, senza vie di mezzo, con una capacità di illuminazione e brivido che probabilmente non si può raggiungere senza rinunciare alla vergogna, e che forse si trova allo stato puro soltanto in alcune forme di canzone popolare, nel bolero e nel tango. È questo il mondo in cui si resta intrappolati come in una tagliola leggendo le poesie di Idea Vilariño» – Antonio Muñoz Molina
Una poesia di vibrante sensualità commista a toni di dolente pessimismo, intima e notturna: sono questi i termini entro i quali si dispiega l’opera poetica di Idea Vilariño. Uruguaiana, fu parte integrante di quel gruppo di intellettuali denominato Generación del 45, assieme a Mario Benedetti, Ida Vitale e Juan Carlos Onetti, una delle principali esperienze letterarie novecentesche dell’America Latina. Molta della sua poesia ha come temi l’amore – in particolare quello tormentato con lo stesso Onetti, probabilmente la più famosa relazione della letteratura sudamericana –, la solitudine e soprattutto la morte, lucidamente contemplati a partire da una disincantata consapevolezza dell’insensatezza del vivere.
Vederti ridere toccarti con le mani
vivere con te un giorno un anno tre settimane
dividere vita seria vita quieta con te
trovarti nel letto
nella stanza che ti vesti
che sai di vino che fumi
d’estate che sudi
o nell’amore quando chiudi
gli occhi assenti.
I
A Manuel Claps
Ciò che provo per te è così difficile.
Non è di rose che si aprono nell’aria,
è di rose che si aprono nell’acqua.
Ciò che provo per te. Che prende slancio
o si spezza con tanti tuoi gesti
o con le tue parole fatte a pezzi
e che poi riprendi in un gesto
e mi invade nelle ore gialle
e mi lascia una sete dolce e domata.
Ciò che provo per te, così doloroso
come la povera luce delle stelle
che ci arriva dolorante, affaticata.
Ciò che provo per te, che a volte tuttavia
fa tanta strada senza poi sfiorarti.
1942
—
L’OBLIO
Quando una dolce bocca bacia una bocca addormentata
come se ne morisse,
a volte, quando giunge oltre le labbra
e le palpebre si chiudono colme di desiderio
silenziosamente quanto lo permette l’aria,
la pelle col suo tepore setoso chiede notti
e anche la bocca baciata
nel suo indicibile piacere chiede notti.
Ah, notti silenziose, di lune dolci e oscure,
notti lunghe, sontuose, attraversate da colombe,
in un’aria che si fa mani, amore, tenerezza data,
notti come navi…
È allora, nella passione profonda, quando colui che bacia
sa ah, troppo, senza tregua, e vede che ormai
il mondo diventa per un lui un lontano miracolo,
che le labbra gli aprono ancora più fonde estati,
che la sua coscienza abdica,
e infine anche di se stesso si dimentica nel bacio
e un vento appassionato gli denuda le tempie,
è allora, nel bacio, che le palpebre si chiudono,
e trema l’aria con un sapore di vita
e insieme trema
tutto ciò che non è aria, il fascio ardente dei capelli,
il velluto ora della voce, e, a volte,
l’illusione già piena di morti in sospeso.
1944
—
TORNARE
Vorrei essere a casa
con i miei libri
la mia aria le mie pareti le mie finestre
i miei vecchi tappeti
le mie tende mezze rotte
mangiare sul tavolinetto di bronzo
ascoltare la radio
dormire tra le mie lenzuola.
Vorrei stare addormentata nella terra
no non addormentata
morta e senza parole
no non morta
non essere
ecco cosa vorrei
ancor più che arrivare a casa.
Ancor più che arrivare a casa
e vedere la mia lampada
e il mio letto e la mia sedia e il mio armadio
con l’odore dei miei vestiti
e dormire sotto il peso familiare
delle mie vecchie coperte.
Più che arrivare a casa uno di questi giorni
e dormire nel mio letto.
1954
—
DI NUOVO
Di nuovo la morte
mi gira intorno e come prima
scrupolosamente
mi toglie ogni sostegno
mi vuole fedele e libera
mi separa dagli altri
mi segna
mi definisce
per cancellarmi meglio.
1950
—
POVERO MONDO
Lo distruggeranno
salterà in aria
alla fine scoppierà come una bolla
o esploderà glorioso
come una santabarbara
o più semplicemente
verrà cancellato come
se una spugna bagnata
cancellasse il suo posto nello spazio.
Forse non ci riusciranno
forse lo ripuliranno.
Gli cadrà la vita di dosso come i capelli
e continuerà a girare
come una sfera pura
sterile e mortale
o meno bellamente
vagherà per i cieli
marcendo lentamente
tutto una ferita
come un morto.
Las Toscas, 1962
EPPURE
*
Prendo il tuo amore
eppure
ti do il mio amore
eppure
avremo sere notti
ebbrezze
estati
tutto il piacere
la felicità
la tenerezza.
Eppure.
Ci mancherà sempre
l’infinita bugia
il sempre.
1961
[Traduzione di Laura Pugno]
Breve Biografia di Idea Vilariñonacque a Montevideo nel 1920, dove morì nel 2009. Proveniente da una colta famiglia borghese, cominciò a scrivere poesie prima dei vent’anni, esordendo nel 1945. Professoressa di letteratura fino al colpo di stato del 1973 e poi di nuovo a partire dal 1985, fu anche apprezzata traduttrice. Figura centrale del panorama letterario sudamericano, ricevette nel 1987 il Premio Municipal de Literatura, il più prestigioso riconoscimento del suo paese, e nel 2004 il Premio Konex mercosur a las Letras dell’argentina Konex Foundation.
Brighton…..where else could you find such a variety in a small area in a short space of time-Brighton è una città balneare inglese. Dennis Hunt – Fotoreportage-Situata a circa un’ora in treno a sud di Londra, è una destinazione molto amata per le gite in giornata. La sua ampia spiaggia di ghiaia è caratterizzata da sale giochi ed edifici in stile regency. Il Brighton Pier, nella sezione centrale del lungomare, è stato inaugurato nel 1899 e ora ha di giostre e punti di ristoro. La città è nota anche per la vita notturna, la scena artistica, i negozi e i festival.
Il termine reportage viene utilizzato per indicare tutto ciò che riguarda lo studio degli eventi di cronaca, di conseguenza il fotoreportage è un tipo di stile fotografico basato sulle opere dei fotoreporter, ovvero di coloro che vanno a creare contenuti specifici per motivi di divulgazione.
In cosa consiste lo stile del fotoreportage
La fotografia permette di accompagnare alcuni dei momenti più belli della propria vita, come ad esempio le cerimonie e i matrimoni. Durante questi momenti è possibile scegliere uno stile fotografico a cui attenersi per andare a sviluppare poi un album fotografico pieno di momenti memorabili e significativi. Ecco esempi di fotoreportage di matrimonio.
Il fotoreportage è proprio uno di questi stili, che consiste nel catturare le circostanze più belle e memorabili dell’evento, cercando di documentare in maniera completamente autentica tutto ciò che accade.
Di conseguenza i fattori che vanno ad influire maggiormente sullo stile del fotoreportage sono quelli che incidono sulla spontaneità dell’attimo ritratto in foto, i cui soggetti sono ripresi nei momenti più interessanti della cerimonia. Un tratto caratteristico del fotoreportage, inoltre, è l’utilizzo del bianco e nero, che permette di accentuare lo stile puramente documentarista e “di cronaca”.
Come avvengono le fotografie in stile reportage
Dato che l’obiettivo principale di questo stile è quello di ritrarre le situazioni nella loro naturalità più totale, uno dei fattori più importanti da prendere in considerazione per eseguire scatti in fotoreportage è cercare sempre di ritrarre le circostanze così come si presentano. Ciò significa che non c’è bisogno di organizzare lo sfondo, di pose stilistiche o di artifici di alcun genere.
Il fotoreporter professionista sa sempre quale angolo utilizzare per mettere in risalto i momenti salienti, senza andare a modificare la naturalezza dello scatto in alcun modo. Le doti di un buon fotografo vengono messe assolutamente alla prova in questo stile fotografico, perché è molto difficile riuscire a sviluppare degli scatti memorabili e allo stesso tempo esteticamente soddisfacenti senza andare ad influire in alcun modo sui soggetti ritratti.
I fattori positivi dello stile fotoreportage
Grazie al fatto che i momenti vengono ritratti così come avvengono, il fotoreportage è sicuramente il metodo migliore per immortalare i ricordi più memorabili in tutta la loro purezza.
Spesso gli album fotografici vengono riempiti di foto studiate a tavolino, che possono sicuramente rappresentare un buon prodotto per quanto riguarda il fattore estetico, ma che hanno poco da regalare per quanto riguarda invece la purezza del ricordo. Lo stile del fotoreportage ha proprio l’obiettivo di riuscire a catturare tutto ciò che accade all’improvviso, spesso senza la completa consapevolezza dei soggetti che vengono ritratti.
Si tratta di un espediente eccezionale per ritrarre alcuni momenti specifici, come un bacio o un abbraccio, oppure il momento della rivelazione di un regalo, della presentazione della sposa al marito e così via.
Campi di applicazione del fotoreportage
Alcuni esempi di fotoreportage possono essere proprio i giornali e i siti di divulgazione di fatti di cronaca, che utilizzano le foto scattate da reporter professionisti che sono riusciti a ritrarre l’argomento di cui si parla all’interno degli articoli di giornale. In queste foto i soggetti sono quasi sempre all’oscuro della presenza del fotoreporter, di conseguenza il loro comportamento non viene manomesso dalla sua presenza.
Inoltre un altro esempio molto affidabile di fotoreportage possono essere i ritratti in ambito bellico, che riescono a rappresentare le scene che si presentano al fotografo in tutta la loro crudezza. Per tutti questi motivi, lo stile del fotoreportage rappresenta sicuramente un ottimo compromesso per riuscire ad immortalare i propri ricordi così come sono avvenuti, senza manomissioni di alcun tipo.
Questo stile fotografico deve essere sicuramente sviluppato da un vero professionista, perché la scelta degli angoli, del dispositivo giusto, delle impostazioni della fotocamera e di tutti gli altri fattori tecnici che influiscono sulla qualità finale della foto vanno ponderati in maniera corretta e molto rapidamente
Monia Moroni –Poesie dalla raccolta inedita “Dell’amore e della carne”-
-Rivista Atelier-
Breve biografia di Monia Moroni (1973) pubblica Operette in Marca – Versi d’una guardiana dell’armadio di scarpe (Theta Edizioni, 2020), Svola balena! – Poesie allo stato gassoso (Cicorivolta Edizioni, 2021), Cuori a Kabul – Poesie per l’Afghanistan (Graphe Edizioni, 2021). Ottiene la Menzione d’onore al Concorso Internazionale di Letteratura della Città di Castrovillari, edizione 2022.
Rigenesi
Il pulsante del mare
era il tempo nuovo,
che raccolse un gabbiano
fra il dispari delle betulle.
Erano i vini curvi
lo sventolio della bandiera,
pupilla sui canori frutti
senza incontrarci.
Era la notte
che lasciava pensarti,
alzava le braccia
e allungava il mio corpo.
*
Prima neve
Mai finimmo di tacere
prima neve, ch’abbreviò
chiarie, il viaggio e il ritorno
e mi battevi, dai vetri
penso il tuo nome, su molto.
*
La rosa betulla
Sugl’aspri scuri
s’incontrano comete,
quando incrocio il corpo
e si muove
come lo toccassi,
come le bestie
fra i rigoli del bosco
sul dolce colpo trasfigurato.
E aumenta la precisione
la rosa betulla
che dalla pietra sgorga
e supera la primavera
l’odore del seno, che imbocca
come avessi dimenticato
che non ti avesse mai nutrito.
*
Il tocco della falena
Adagio ti spoglio
dal ferro di cento bottoni,
la falena
l’inverno di spore lontane.
E muta, sulla proda
la tua mano
non termina mai,
concede un tendersi ad arco.
*
Etrusca
Lo sento dalle mitragliate
il lampadario sul tetto,
si raduna il tuo corpo.
D’un velo soffrega
d’un palpito sul cuore tambura,
e come una fanciulla etrusca
non riesco a fermare le mani.
Breve biografia di Monia Moroni, (1973) pubblica Operette in Marca – Versi d’una guardiana dell’armadio di scarpe (Theta Edizioni, 2020), Svola balena! – Poesie allo stato gassoso (Cicorivolta Edizioni, 2021), Cuori a Kabul – Poesie per l’Afghanistan (Graphe Edizioni, 2021). Ottiene la Menzione d’onore al Concorso Internazionale di Letteratura della Città di Castrovillari, edizione 2022.
Biblioteca DEA SABINA -La rivista «Atelier»
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
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-Arch. Carlo Cusin: “Ponte del diavolo-che non c’è-“.
Arch. Carlo Cusin:”Oggi cacciagrossa al “Ponte del diavolo-chenonc’è-” in Sabina ! Così ho incontrato il mio vecchio amico, il Console Manivs Cvrivs Dentatvs a “Septem Balnea”Settebagni per cercare di trovare,sul tracciato arcaico della Salaria vicino a Mefila (oggi Scandriglia),quell’originale struttura di 2300 anni fa,che doveva costituire un imponente sbarramento/briglia idraulica del Fosso delle Vurie e,nello stesso tempo, una solida sostruzione del piano stradale antico… Una grande costruzione con 14 assise/filari di blocchi di calcare locale,montati a secco,non isodomi,in parte montati per diatoni-ortostati,lunga 20 mt,alta circa 13 mt e spessore,in sommità,di circa 5 mt !”.
Questo e’ il semplice schema costruttivo dello sbarramento – briglia idraulica, tutto realizzato su filari abbastanza regolari ma con blocchi non isodomi, parzialmente montati con DIATONI ed ORTOSTATI,cioè di “testa” e “taglio”… al centro si nota il condotto di passaggio/scarico dell’acqua del torrente, così imbrigliato ed i pilastri sporgenti ad intervalli quasi regolari, con funzione di contrafforti, che infatti da 2300 anni è ancora tutto al suo posto…. non come certe costruzioni moderne che sappiamo !
Articolo di Sergio Paolo Ronchi-Cassia e la sua produzione letteraria integrale in prima edizione italiana-Omonima della seconda figlia di Giobbe, la giovane «colta e bellissima» Cassia portò il segno di essere stata scelta dall’imperatore bizantino Teofilo (829-842) fra le candidate a consorte. A lei, infatti, si rivolse con le parole: «Dalla donna sono derivati i mali». La replica fu: «Ma dalla donna sono venute fuori anche cose migliori». Teofilo passò oltre. Così, quella che fu l’unica poetessa bizantina dell’intero millennio, recitano le cronache coeve, «fondò un monastero e, presa la tonsura, condusse vita ascetica». Di lei, semisconosciuta, Città Nuova offre la prima versione italiana integrale delle opere*.
La produzione letteraria di Cassia comprende due generi: la poesia religiosa concentrata nei due principali libri liturgici della Chiesa orientale. Il primo, il Menaion, contiene i libri relativi a ogni singolo mese dell’anno: il secondo, il Triodion, l’ufficio per le dieci settimane precedenti la Pasqua. Il secondo genere, Sentenze, che – precisa il curatore Lucio Coco – «riguardano l’uomo e le false maschere che egli indossa dell’ipocrisia, della falsità, della menzogna, dell’invidia, che rivelano un mondo di passioni basse e abiette alle quali la donna oppone le ragioni della sincerità, della solidarietà e dell’amicizia, sentimento a cui dà la precedenza non solo nella sequenza delle massime, arrivando a scrivere che neppure “la ricchezza è utile, se non ha un amico”». Né mancano, in questo richiamarsi alla letteratura sentenziosa e gnomica (pertinente a precetti morali), «anche argomenti più intimi e personali come quello della solitudine che la donna ben descrive in passaggi molto brevi e intensi». L’immagine che ne emerge è «di una donna pragmatica, decisa e determinata», «che ha sofferto e [che] si è confrontata con le difficoltà della vita». Inoltre, le vengono attribuite anche le poesie del Tetraodion, comprese musica e parole; due canoni: per il Sabato santo e per il giorno dei morti. È un componimento fatto di odi o cantici biblici.
I suoi versi sono sottesi da profonda spiritualità e legati alla Scrittura. Viene celebrato Simeone lo Stilita (IV secolo), l’asceta che viveva nel deserto su colonne: «Da una buona radice/ un frutto buono è cresciuto,/ Simeone, santo dalla nascita,/ di grazia più che di latte sei stato nutrito;/ (…) sei divenuto la dimora di Cristo Dio/ e Salvatore delle nostre anime» (Menaion). Il tempo quaresimale viene aperto dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano: «Dio Onnipotente, io so quanto è grande il potere il potere delle lacrime./ Esse ritrassero Ezechia dalle porte della morte [2 Re 20, 1-6],/ salvarono la peccatrice da anni di peccato [Lc 7, 36-50],/ giustificarono il pubblicano a differenza del fariseo [Lc 18, 9-14]./ Io ti prego di mettermi nel loro numero;/ abbi pietà di me »(Triodion). Nel canone per i morti: «O misericordioso, quando verrai nella gloria/ a giudicare con equità tutta la terra/ e separerai come, è scritto,/ i giusti dagli ingiusti, dai pace, o misericordioso, ai dipartiti/ e inseriscili con le pecore alla tua destra [Mt 25,33] (Tetraodion)».
Espressione della sapienza di Cassia, le Sentenze sono sempre pervase dalla fede e dalla fiducia in Dio. «Se ti trovi in difficoltà, non ti abbattere;/ assolutamente niente infatti potrebbe capitarci senza che Dio lo voglia». Parlano contro la stupidità e invitano a praticare l’intelligenza: «Cristo mi conceda di soffrire/ accanto ad uomini saggi e sapienti/piuttosto che gioire con irragionevoli stupidi»; «Meglio vivere con persone sagge/ che con ricchi stupidi e ignoranti». Altre sono dedicate alla figura del monaco in correlazione alle sue proprie scelte di vita: «Vita di monaco, più leggera di un uccello/ Monaco è una vita [passata] da solo/[…]./ Vita di monaco sempre in pace./[…]./ Monaco è lingua educata/[…]./ Vita di monaco a gloria di Dio solo».
*Cassia, Opere; introduzione, traduzione e note di Lucio Coco, Città Nuova, Roma 2022, pp. 116, e. 24,00.
Il 7 gennaio 1899 a Parigi, nasce Francis Poulenc.Vi proponiamo la prima biografia in lingua italiana che ripercorre la vita e le opere:
Questa è la prima biografia in italiano del compositore francese Francis Poulenc (Parigi 1899-1963). La Francia gli ha dedicato molti studi, elogiandolo quasi a guisa di eroe nazionale, ma in Italia c’era un vuoto che, forse, questo studio comincerà a colmare. Poulenc amava molto il nostro paese: la sua arte infatti si concretizza in una propensione naturale verso il melodismo. Oltre a Mozart e Stravinskij – i modelli di riferimento determinanti per la sua vita artistica – il suo sentire musicale si rivolge a Monteverdi, Verdi e Puccini. Proprio a Verdi dedicherà la partitura dell’opera che rappresenta l’apice della sua produzione artistica, Les Dialogues des Carmélites, la cui prima rappresentazione alla Scala di Milano – committente del lavoro – nel 1957, fu un vero trionfo. Le tappe fondamentali della vita privata ed artistica di Francis Poulenc sono raccontate con particolare attenzione ai concerti tenuti in Italia assieme ai suoi partner eterni: Pierre Bernac, Pierre Fournier e Denise Duval; le cronache dell’epoca (di mano di grandi esponenti del mondo musicale e letterario: Malipiero, Pizzetti e Montale) e gli scritti del compositore stesso – lettere, interviste e commenti sulle proprie opere impreziosiscono la narrazione. Un capitolo è dedicato a Venezia: qui Poulenc, nel 1932, presentò il suo Concerto per due pianoforti e orchestra – commissionato dalla Principessa de Polignac – al Festival della Musica Contemporanea della Biennale. In una seconda sezione del libro sono state classificate, per genere, tutte le opere: oltre ad un commento, ove possibile è stata indicata la data della prima esecuzione. L’augurio è che la passione per la musica di Poulenc, che ha spinto alla compilazione di questo volume, possa arrivare al cuore del lettore, proprio come le melodie del compositore, il quale scrisse solo sotto l’impulso della sua sensibilità, per una pura e semplice volontà di dilettare gli ascoltatori, prima, e se stesso, poi.
Franco Leggeri-Fotoreportage-ROMA e il suo GAZOMETRO
Dalla raccolta:Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana.
FOTO di Franco Leggeri IL SORGERE DEL SOLE su ROMA e il suo GAZOMETRO 14 giugno 2023
“Storia del Gasometro (o Gazometro) di Roma”
Dove si trova
Lungo la via Ostiense, sul lato destro uscendo da Roma, per la precisione in via del Commercio 9/11, si impone la presenza di un’enorme struttura cilindrica, metallica che ormai fa parte del paesaggio urbano della città di Roma. Anzi, è stato definito “un pezzo pregiato dello skyline di Roma”. Si tratta del gasometro o gazometro. L’area che ospita il gasometro, fin dall’antichità, è stata deputata ad accogliere le derrate alimentari e le merci necessarie all’approvvigionamento dell’Urbe.
Nel 1863 la zona è stata attraversata dalla ferrovia costruita da Pio IX e vi è stato costruito il ponte dell’Industria (che i romani chiamano “ponte di ferro”). La presenza della ferrovia ha stimolato la crescita di alcuni insediamenti commerciali ed industriali, come il mattatoio e i Mercati Generali (dove confluivano tutta la frutta e la verdura destinate al commercio al dettaglio).
Perché è stato costruito e che cosa è
Agli inizi del XX secolo il sindaco Ernesto Nathan, uno dei migliori che abbia servito Roma, ha cominciato a promuovere una politica industriale, perciò nella zona fu costruito lo stabilimento del Gas (ora Italgas) con il Gasometro. Il gasometro è una struttura inventata nel 1789 dal fisico francese Antoine-Laurent de Lavoisier che veniva usata per accumulare il gas che in origine veniva prodotto per gassificazione del carbone e poi per cracking del petrolio.
La gassificazione è un processo chimico che permette di trasformare in monossido di carbonio, in idrogeno e in altre sostanze gassose materiali ricchi di carbonio, come per esempio carbone, petrolio o biomassa. Nel gasometro romano veniva distillato e opportunamente depurato, soprattutto il carbon fossile. Il gas veniva prodotto nei forni di distillazione e poi temporaneamente immagazzinato nei gasometri.
Quando è stato costruito
Il complesso del gasometro di Roma fu progettato nel 1909 e la struttura oggi visibile è stata preceduta da tre gasometri “minori” che sono stati costruiti dalla Samuel Cuttler & Sons di Londra tra il 1910 e il 1912. Il gas ivi prodotto veniva utilizzato sia per l’illuminazione pubblica, sia per quella domestica.
La struttura ancora visibile, in ferro, è stata messa in opera tra il 1935 e il 1937 dalla società Ansaldo di Genova e dalla tedesca Klonne Dortmund. Misura un’altezza di m 89,10 e un diametro di m 63; i pali che la compongono raggiungono una lunghezza totale di km 36; la sua capienza è di 200.000 mc di gas.
Come funziona
Il gasometro aveva la funzione di contenere il gas, dopo la sua produzione che avveniva nei forni e prima della distribuzione. Il gasometro, quando era in funzione, si alzava e si abbassava; il nostro gasometro è del tipo detto a “telescopio” che vuol dire che il cilindro interno si innalza e si abbassa, attraverso le guide laterali, indicando la quantità di gas contenuto.
I gasometri non avevano un grande capienza e quindi non potevano essere utilizzati come serbatoio a lungo termine, ma si limitavano solo a regolare a breve termine il passaggio tra la produzione del gas e il suo consumo.
Quando e perché è stato dismesso
Con la diffusione del gas metano il gasometro è caduto in disuso. Infatti nel 1960 si decide di portare a Roma il metano naturale. Nel 1970 il gas metano ha cominciato ad alimentare il quartiere di Spinaceto e nel 1981 è stata avviata la completa metanizzazione della città di Roma. La società Italgas che prima produceva il gas, attualmente si occupa solo della sua distribuzione.
Dagli anni ’90 sono state avanzate varie ipotesi di recupero del gasometro, ma ad oggi non è stato realizzato nulla. Nella zona limitrofa però, dalla fine degli anni ’90, sono stati aperti numerosi locali (discoteche, ristoranti, pub, gelaterie) e adesso il quartiere intorno al gasometro si annovera tra quelli che fanno da sfondo alla “movida” romana.
Romana Bogliaccino-Scuola negata-Le leggi razziali 1938-Come e perché nel 1938 anche nel migliore liceo della Capitale 58 studenti e un’insegnante furono espulsi solo perché ebreiIl caso del liceo “Ennio Quirino Visconti” di Roma assume caratteristiche paradigmatiche nel quadro generale dell’impatto delle “leggi razziali” sulla scuola italiana. Frequentato fin dalla sua fondazione nel 1870 da molti ebrei della comunità romana, finalmente emancipati, il liceo registrò nel 1938 un numero molto elevato di studenti espulsi, ben 58, oltre a una docente. Il libro ricostruisce tutto ciò, attraverso uno studio approfondito di numerosi archivi, per primo quello del liceo “Visconti”, intrecciato con le testimonianze delle famiglie, con le storie degli espulsi, e permette di capire, nel vero senso della parola, cosa sia stato il fascismo e cosa sia stata la persecuzione degli ebrei a Roma dal 1938 al 1944. Perché al di là dei numeri, delle statistiche, dei meri dati, sono le vite delle persone che raccontano la storia, la vera storia del fascismo e delle sue vittime.
Romana Bogliaccino ha insegnato Storia e Filosofia presso il Liceo Classico Statale “Ennio Quirino Visconti” di Roma per più di vent’anni. Impegnata in studi e iniziative didattiche sulla memoria della Shoah, ha ideato e diretto dal 2013 il progetto L’Archivio del Visconti e la Storia, nell’ambito del quale ha promosso la Rete Scuola e Memoria – Gli Archivi scolastici italiani. Ha conseguito il Master Internazionale in Didattica della Shoah presso l’Università Roma Tre ed è tra i soci fondatori dell’associazione ETNHOS (European Teachers Network on Holocaust Studies).
Biografia di Nicole Brossard è nata a Montréal. Poeta, romanziera e saggista, due volte vinitrice del premio del Governatore generale per la sua poesia, Nicole Brossard ha pubblicato più di trenta libri dal 1965. Molti di questi libri sono stati tradotti in inglese: Mauve Desert, The Aerial Letter, Picture Theory, Lovhers, Baroque at Dawn, The Blue Books, Installations, Museum of Bone and Water e più recentemente Intimate Journal e Yesterday, at the Hotel Clarendon. È cofondatrice e codirettrice della rivista letteraria La Barre du Jour (1965-1975), ha codiretto il film Some American Feminists (1976) e coeditato la famosa Anthologie de la poésie des femmes au Québec, pubblicata la prima volta nel 1991 e poi nel 2003. ha vinto anche il Grand Prix de Poésie du Festival international de Trois-Rivières in 1989 e in 1999. In 1991, le è stato attribuito il Prix Athanase-David (il più ambito riconoscimento letterario in Québec). È membro dell’Accademia delle lettere del Québec. Ha vinto il premio W.O. Mitchell nel 2003. Il suo lavoro è stato largamente tradotto in inglese e spagnolo ed è anche disponibile in tedesco, italiano, giapponese, sloveno, rumeno, catalano e altre lingue. Le edizioni Guernica hanno recentemente pubblicato un libro di saggi (edito da Louise Forsyth) sul suo lavoro. Vive e scrive a Montréal.
Sorrow:soft e sete
ogni sete è una conca di luce
nel dolore ancestrale
nel grande casellario dei pronomi
dimmi se la mia morte va veloce dall’uno
all’altro secolo se con gli anni dovrò dimenticare
l’orchidea, aggiornare il delirio
dimmi se questa fame che ho dell’alba
si aggirerà tra i campi
tremante come un’ossessione, un orizzonte
*
non sarà facile dire io
se tutto questo gira male, valanga
o eternità e malinconia
so che abbiamo toccato
troppi orizzonti
l’infinito nelle nostre bocche
tradotto con pazienza
*
non ho ancora parlato di scomparsa
qualche detrito a monte di tutti i pronomi
la vita prende delle decisioni
e sotto la pelle ci prepara
ruote della fortuna e rompicapi
futuro e funerali
adesso ecco i ghiacciai
qualche materiale
di alba e sofferenza
*
essere là tutta una vita nella specie flessibile
con questo riflesso che persiste a volere
rappresentare tutto dell’ebbrezza e dei gesti
i morsi, le camere con le loro nicchie
di ombra soffice, le fronti preoccupate
nostra fragilità
e certo siamo senza risposta
ad ogni bacio!
*
idee di caduta e labirinto
come se al fondo delle nostre braccia
tutto quello che esiste fosse
fatto nell’attesa di spostare l’alba
scoprire il velo sopra il regno animale
allora io resto sveglia
tra temperini e cenere
*
non ci sarà ritratto
di mia madre né un’acquaforte o un gesto
né frase memorabile
o resisterà una scena ancora in piedi
nella città e nel vento
un fruscio di sciami che l’alba
avrà rapito veloce e intenso
*
e se l’angoscia se ciò che anima
le tue notti di letture e sogni
if dust on you fingers vibrates
avvolgiti nell’ombra
in un posto con del blu e del vuoto
ci sarà certo dell’acqua nei tuoi occhi
modernità e paura nei tuoi vestiti
*
stringiti al silenzio
all’alba il verbo essere pulsa più veloce
dentro le vene, fila una cometa
come dopo l’amore o un granello di sale
sulla lingua di mattina, gusto d’immensità
che ci riporta
dentro la primigenia umidità
abbracciami
l’acqua può fare di noi
Vertigine della ribalta
il futuro sarebbe poesia sarebbe
occhi di silenzio e di aeroporti
occhi curiosi di velocità e di immenso
luglio ci renderebbe fertili
con leggi dimenticate che sfiorano le nostre guance
e insieme una folla di esistenze
tante vite utili alla vita
ben presto il mondo sarà riempito dalle nostre braccia
mutando senza sosta
noi avremo un falso aspetto
e la preoccupazione di fermare
nel cuore e nelle orecchie
le sillabe colmate di vissuto
non tocchiamo il silenzio
è la nostra riserva di speranza
funzione che rigenera il futuro
una fervida attesa che pazienta
sotto le nostre palpebre
Quaderni di rose e civiltà
1.
poema per capire come
ci si possa piegare
ad un’idea
sfiorando coi capelli il fondo del silenzio
2.
qualunque sia il mese qualunque la ferita
o il tenero colore del meriggio
tu anneghi nella
lingua la lingua e il suo salato mormorio
3.
non ti scordare di voltare pagina
ad ogni gesto libero
perché l’ombra non cada
sulla facciata della solitudine
4.
ancora certi giorni ancora io
aggiungo qualche cosa alla sostanza
dei volti conosciuti. Collare di memoria
e di animale salvato dall’abisso,
visto di spalle, collare: il verbo essere.
Biografia di Nicole Brossardè nata a Montréal. Poeta, romanziera e saggista, due volte vinitrice del premio del Governatore generale per la sua poesia, Nicole Brossard ha pubblicato più di trenta libri dal 1965. Molti di questi libri sono stati tradotti in inglese: Mauve Desert, The Aerial Letter, Picture Theory, Lovhers, Baroque at Dawn, The Blue Books, Installations, Museum of Bone and Water e più recentemente Intimate Journal e Yesterday, at the Hotel Clarendon. È cofondatrice e codirettrice della rivista letteraria La Barre du Jour (1965-1975), ha codiretto il film Some American Feminists (1976) e coeditato la famosa Anthologie de la poésie des femmes au Québec, pubblicata la prima volta nel 1991 e poi nel 2003. ha vinto anche il Grand Prix de Poésie du Festival international de Trois-Rivières in 1989 e in 1999. In 1991, le è stato attribuito il Prix Athanase-David (il più ambito riconoscimento letterario in Québec). È membro dell’Accademia delle lettere del Québec. Ha vinto il premio W.O. Mitchell nel 2003. Il suo lavoro è stato largamente tradotto in inglese e spagnolo ed è anche disponibile in tedesco, italiano, giapponese, sloveno, rumeno, catalano e altre lingue. Le edizioni Guernica hanno recentemente pubblicato un libro di saggi (edito da Louise Forsyth) sul suo lavoro. Vive e scrive a Montréal.
Il libro Officina Gio Ponti- Quodlibet- «Di fronte alle preferenze italiane del primo quarto del secolo, l’attività di Ponti rappresenta la responsabilità del gusto europeo e la sua necessità di essere moderno ad ogni costo».– Edoardo Persico-Il volume raccoglie otto saggi inediti sulla multiforme attività di Gio Ponti distribuiti in quattro aree tematiche, dedicate alla scrittura per le riviste che ha fondato («Domus», «Stile», «Bellezza») o per altri giornali («Corriere della Sera»), alla grafica e all’illustrazione editoriale, al progetto di architettura e, infine, al progetto di design. È certo arduo scomporre l’opera di una personalità poliedrica come quella di Ponti, che non a caso si è costantemente servito di pseudonimi. Il suo lavoro, del resto, va considerato il prodotto di un’officina di progetto, composta di volta in volta di collaboratori e discipline differenti, che deve la sua coerenza all’adozione di un metodo unitario, teso a far prevalere l’intenzione progettuale sul processo attraverso cui essa si realizza. La sua impronta non è mai standardizzata, anche se sempre riconoscibile, come nel caso degli artigiani che Ponti ha costantemente frequentato, promosso e amato per la loro semplicità, «cioè sincerità, ordine, il che vuol dire in sintesi essenzialità». I contributi qui riuniti dunque cercano di leggere disegni, pubblicazioni, edifici decisivi per la sua carriera (Palazzo Montecatini, Torre Pirelli), progetti di oggetti diversissimi tra loro, dal cucchiaio all’automobile, nonché il suo impegno pubblicistico specie all’estero in virtù del quale, secondo Alessandro Mendini, Ponti va considerato come il «generoso moltiplicatore della cultura dei designer italiani». Seguendo le diverse tipologie di prodotto che escono dall’officina di Ponti, questo libro offre dunque nuove interpretazioni corredate da fotografie e documenti spesso inediti, in collaborazione con i Gio Ponti Archives.
Recensioni- I libri di architettura, arte e design da leggere a novembre scelti da Elle decor
Nel ventre dell’architetto
Marco Filoni
«il Venerdì – la Repubblica»
10 novembre 2023
Il gesto. dell’architetto, l’eleganza della postura. Lo sguardo di Gio Ponti è rivolto al cielo, perché tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. Lo guarda la moglie Giulia, sullo sfondo i figli Giulio e Letizia. È la sua casa milanese, il ventre dell’architetto, in una foto del 1957. Compare in un libro sontuoso, Officina Gio Ponti curato da Manfredo di Robilant e Manuel Orazi per le edizioni Quodlibet.
Raccoglie saggi che ci portano dentro quel cantiere di idee, discipline e avventure dello spirito che possono esser accolte sotto il nome di Gio Ponti – ripercorse qui attraverso la scrittura, la grafica, l’architettura e il design. Un libro che insegna moltissimo, arricchito da una conversazione tra Paolo Rosselli e Joseph Rykwert. Imperdibile.
Nel laboratorio infinito di Gio Ponti
Roberto Dulio
«Domenica – Il Sole 24 Ore»
05 novembre 2023
Gio Ponti — rigorosamente senza accento sulla o — non era solo un architetto. Anzi, come ci fa intuire già dal titolo il volume Officina Gio Ponti, nella sua non breve esistenza (1891- 1979) l’istrionico protagonista della vita culturale milanese, e non solo, è stato disegnatore, illustratore (lo spiega il saggio di Francesco Parisi e via via quelli degli altri autori), grafico (Mario Piazza), pittore, decoratore, direttore artistico, scrittore (Cecilia Rostagni), poeta, redattore, editore, designer e imprenditore (Elena Dellapiana), visionario progettista di automobili (Gabriele Neri), talent scout, urbanista, costumista, scenografo, stilista, consulente, collezionista, docente, fotografo… E si potrebbe continuare.
Anche architetto, certo, e lo diventa senza dubbio, dopo l’esordio in collaborazione con Emilio Lancia, con due sostanziali capolavori: l’Istituto di Matematica (1932-35) alla Città Universitaria di Roma — sotto la regia di Marcello Piacentini — e la sede della Montecatini (1935-38) a Milano (della quale si occupa Manfredo di Robilant). Il celeberrimo grattacielo Pirelli (1952-61) a Milano (sul quale scrive Fulvio Irace, principale fautore della riscoperta di Ponti a partire dalla fine degli anni 8o), conferma il talento dell’architetto milanese e la sua fama internazionale.
Per quanto celebre in vita — del resto autolegittimato dalla imponente attività editoriale inventata e praticata durante tutta la sua attività — Ponti sconterà dopo la morte, più che una rimozione, impossibile (della fortuna critica si occupa Manuel Orazi), una sorta di riduzione ad architetto volage, quasi bricoleur. Le multiple sfaccettature della sua personalità non erano amate né dall’accademia, della quale comunque faceva parte — era docente al Politecnico di Milano — né dalla critica militante degli architetti più engagés: nel 1955 sarà clamorosamente rifiutata Ia sua richiesta di adesione all’MSA (Movimento Studi di Architettura). «Una volta ero con Rogers; a un certo punto guardo l’orologio e dico: Devo andarmene perché ho un appuntamento. Dove vai? Vado da Gio Ponti. Come Puoi parlare con quel fascistone?» (ricorda Joseph Rykwert intervistato da Paolo Rosselli, pure autore dell’itinerario pontiano per immagini che accompagna e chiude il volume).
Del resto, la strumentale, più che ideologica, vicinanza al Fascismo aveva permesso a Ponti la riforma produttiva ed espressiva del comparto delle arti decorative, in parallelo al ruolo che Piacentini stava giocando per l’architettura, portandolo nel Dopoguerra a scontare l’esplicita diffidenza dei più giovani colleghi, spesso suoi ex allievi.
Ma a differenza di Piacentini, Ponti nel Dopoguerra maturerà una palingenesi creativa sorprendente. Il grattacielo Pirelli testimonia il magistrale compimento della sua ambizione a essere moderno, anzi modernissimo, grazie a quella complessa relazione tra i saperi, tra la pratica delle arti, dell’architettura, e delle imprese — di differente natura e segno — che aveva del resto alimentato la sua vena creativa negli anni tra le due guerre. Il romano Istituto di Matematica, sorta di Giano bifronte tra il connubio piacentiniano di avanguardia e tradizione e l’esplicita assonanza all’immaginario Iecorbusieriano e costruttivista, anticipala milanese sede della Montecatini, che lungi dall’essere una dichiarazione di fede banalmente avanguardista, si rivela come un dispositivo dal raffinato equilibrio tra innovazione e tradizione. Genialmente ambigua — come la quasi coeva Stazione di Santa Maria Novella a Firenze (1932-35)di Giovanni Michelucci e del Gruppo Toscano — la Montecatini invera l’immagine di un clamoroso rinnovamento della scena urbana, con le sue forme stereometriche e l’estetizzazione degli impianti, ma al tempo stesso testimonia il carsico legame che Ponti mantiene con la classicità. In fondo la pianta ad H dell’edificio potrebbe rimandare a certe soluzioni di aggregazioni planimetriche dell’amato Palladio, iI rivestimento è in prezioso marmo, mentre l’immagine monolitica del corpo edilizio, bucato dalla regolare sequenza delle aperture, pare memore di certe periferie sironiane, deprivate certo dell’aura tragica e ricondotte verso una rigorosa fiducia nel futuro.
L’amicizia e l’interesse per Mario Sironi, o il forte legame con Arturo Martini — che per la Montecatini doveva realizzare una monumentale scultura da porre all’esterno dell’edificio — nonché l’empatia per un progetto di rinnovamento espressivo realisticamente radicato nelle condizioni del proprio tempo, testimoniano la naturale prossimità di Ponti alla temperie del Novecento sarfattiano, ormai sfaldatosi alla fine degli anni 3o, ma assai vivo nella memoria dei suoi protagonisti. Uno straordinario paesaggio urbano di Sironi campeggerà sempre nella casa milanese di Ponti in via Dezza (il soggiorno della quale compare sulla copertina del volume, in una fotografia del 1957 con l’architetto, la moglie Giulia Vimercati e figli Giulio e Letizia), insieme alle opere dell’altro grande artista suo sodale, Massimo Campigli, che lo aveva ritratto con la famiglia nel 1934 (insieme anche le altre figlie: Lisa e Giovanna). Architettura e arte: i due poli tra i quali prende corpo la mutevole e coerente officina pontiana.
I libri di architettura, arte e design da leggere a novembre scelti da Elle decor
Silvia Airoldi
«Elle decor»
04 novembre 2023
Architetto, pittore, docente universitario, costumista, scenografo, arredatore, disegnatore per l’industria, scrittore. La parola poliedricità può forse sintetizzare l’attività svolta da Gio Ponti, nei molteplici ambiti e discipline, nel corso della sua lunga carriera. E proprio l’idea interessante di restituire quella “programmatica poliedricità” è il focus del libro, edito da Quodlibet, attraverso la proposta di otto saggi articolati su scrittura, grafica per libri e riviste, progetto di architettura e progetto di design, ovvero quattro delle diverse sfere di interesse di Ponti. Il suo lavoro è pensato come il prodotto di una officina di progetto, in cui i materiali lavorati possono variare, ma gli strumenti e il metodo di lavoro sono comuni e hanno un luogo di svolgimento fisso, che è Milano, si legge nell’introduzione. La metafora dell’officina suggerisce anche come l’obiettivo costante dell’attività di Ponti progettista sia stato quello di far prevalere l’intenzione progettuale sul processo attraverso cui essa si realizza, preservando sempre il suo ruolo autoriale. Guardando al catalogo dei lavori alle diverse scale di Ponti, edifici costruiti e oggetti prodotti, sembra fatto di tanti microcosmi; l’opera a cui Ponti pensa è un’opera chiusa, non aperta (come espresso nel libro, pubblicato nel 1945, dal titolo emblematico, “L’architettura è un cristallo”: il cristallo è una forma perfetta, che non può e non deve essere modificata, e il cui valore compete alla sfera estetica, dunque simbolica, prima che utilitaria). La forma, definita una volta per tutte, è attributo fondamentale dell’architettura nell’ideale di Ponti e, nella sua concezione, “ante litteram rispetto alla postmodernità”, l’architettura diventa mezzo per la comunicazione e la spettacolarizzazione del paesaggio. Lungo tutta la sua carriera, Ponti rivendica il mestiere dell’architettura come disciplina basata sulla libertà creativa del professionista messa al servizio della committenza, per lui quasi sempre definita da privati o da imprese. E in questo senso è determinante il rapporto con la Montecatini e la Pirelli, alla base dei progetti milanesi del Palazzo della Montecatini e del Grattacielo Pirelli, edifici con un ruolo chiave nella sua carriera. In cinquant’anni di professione l’architetto milanese è stato anche fondatore e direttore di riviste come ‘Domus’, ‘Stile’ e ‘Bellezza’ e ha collaborato con quotidiani e testate importanti, come ‘Il corriere della Sera’; autore di tantissimi testi e di una decina di libri, dove sono ‘sedimentate le sue idee, si è rivelato uno scrittore prolifico, come dimostrano anche i diversi pseudonimi utilizzati. Ponti ha ampliato il suo campo d’indagine, ovvero il territorio dell’architettura, esplorando o rivalutando settori dell’artigianato o industriali che erano stati ignorati o bistrattati dalla cultura architettonica ufficiale, come l’arredo navale o ferroviario; ha progettato oggetti di design, dal cucchiaio all’automobile, riflettendo il suo ruolo di «generoso moltiplicatore della cultura dei designer italiani», secondo le parole di Alessandro Mendini. Nel volume, i saggi degli autori interpretano disegni, testi e pubblicazioni di Ponti, analizzano i progetti degli edifici come Palazzo Montecatini, Grattacielo Pirelli, quelli degli oggetti di design, dal cucchiaio all’automobile, approfondendo alcune tematiche, anche con l’aiuto di fonti inedite tratte da Gio Ponti Archives, per offrire nuovi spunti e letture dell’attività di Ponti che, “di fronte alle preferenze italiane del primo quarto del secolo, rappresenta la responsabilità del gusto europeo e la sua necessità di essere moderno ad ogni costo”. Gli autori dei saggi sono: Elena Dellapiana, Manfredo di Robilant, Fulvio Irace, Gabriele Neri, Manuel Orazi, Francesco Parisi, Mario Piazza, Paolo Rosselli e Cecilia Rostagni.
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