Letizia Battaglia, la più celebre fotografa italiana-
Letizia Battaglia
Il 5 marzo 1935 nasce Letizia Battaglia, la più celebre fotografa italiana. Celebre più all’estero che nei nostri confini, e questo è un grande classico nostrano: non saper riconoscere e premiare il talento. Figuriamoci se poi fa un mestiere difficile, il fotografo, e se per di più è donna. Quindi fotografa.
Letizia Battaglia è nata a Palermo. La Sicilia sembra andarle stretta, e invece sarà il destino di una vita. Si sposa giovanissima, scappa a Milano, collabora con giornali e riviste scandalose per l’epoca, come “Le Ore”. Impara a scrivere reportage, ma soprattutto impara e perfeziona la sua tecnica fotografica.
Ma Palermo è nel suo destino. Il direttore de “L’Ora” la reclama e dai primi anni ’70 diventa la testimone di una lunga stagione: stagione di morti ammazzati, di bambini che giocano allo Zen o in qualche altra periferia, di donne che faticano in casa, di boom edilizio.
Letizia è sempre lì, in prima fila a raccontare per immagini ciò che nemmeno le parole possono più fare. Una società schiacciata dal fenomeno mafioso, tarpata nel suo volo da una cappa viscosa e invisibile. E i suoi scatti prediligono le figure femminili, le donne di Sicilia nelle loro strade, nei mercati, nei loro lutti continui a causa della mattanza che in quegli anni causerà più di mille vittime di mafia. Nel 1979 è cofondatrice del centro di documentazione Giuseppe Impastato. Nel 1985 è la prima donna europea a ricevere il premio Eugene Smith a New York, primo di una lunga serie di riconoscimenti.
Racconta la mafia in tutta la sua cruda violenza, la porta nella casa dei siciliani prima, del resto d’Italia poi. Suo è lo splendido scatto in bianco e nero di Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uno degli agenti di Falcone, saltato in aria a Capaci. In una intervista ha descritto le battaglie della sua vita: «Mio padre non capiva cosa fosse un essere umano donna. Mi trovavo all’interno di una società dove una donna non veniva considerata, ho attraversato tutto questo mentre ancora si doveva lottare. Queste lotte le ho fatte prettamente da sola, senza percepire che fosse una lotta giusta, è stato molto complicato uscirne indenne».
Mezzo secolo fa si suicidava Diane Arbus, la fotografa ribelle che “catturò” il lato oscuro dell’America- Articolo di Roberto Zadik
Personaggio estremamente tormentato e stimolante, la fotografa ebrea newyorchese di origini russe Diane Arbus oltrepassò i confini della fotografia. Le sue immagini ancora oggi colpiscono per la dolente espressività che le caratterizza, per lo sguardo lucido e poetico e il realismo del ritratto etico e sociale della “sua” America con cui questa artista vissuta solo 48 anni e suicidatasi il 26 luglio 1971, ha saputo rappresentare gli emarginati, i deboli, così come il mondo ebraico cui apparteneva e con il quale ebbe un rapporto profondo e conflittuale. Diane Nemerov, questo il suo vero nome prima di sposare il collega e correligionario Allan Arbus che le darà due figlie – prima di separarsi nel 1958 e divorziare nel 1969 -, nacque da una famiglia estremamente benestante, proprietaria di una catena di grandi magazzini. Ma come i cantautori Bob Dylan e Lou Reed, Arbus fu la figlia ribelle di un contesto estremamente “borghese”, attratta dal lato oscuro dell’America.
Icona della sua New York,di origine ebraico-askenazita, estremamente vitale e anticonformista, si consumò fra entusiasmi e depressioni per dedicarsi alla sua passione per la fotografia e l’indagine etica e psicologica compiuta attraverso il suo obbiettivo. Appartenente alla vasta schiera dei fotografi ebrei del Novecento, da Richard Avedon, all’ungherese Robert Capa, al tedesco Helmut Newton, questa artista si differenzia da tutti, con quella ricerca del diverso, dell’eccentrico e dell’anomalo che sembra essere una sua costante.
Nata il 14 marzo 1923, sposatasi a soli 18 anni, il sito theartstory.org descrive la sua infanzia estremamente solitaria, accudita da governanti e baby sitter mentre suo padre era impegnato negli affari e la madre soffriva di gravi depressioni. La sua carriera cominciò negli anni ’40 mentre l’ebraismo europeo veniva devastato dalla Shoah, lavorando assieme al marito, fotografando le modelle procurate dal padre David e dedicandosi con tale dedizione alle sue passioni artistiche da abbandonare anche l’università. Sempre più intenzionata a diventare una grande fotografa, cercò di affinare la sua tecnica al fianco di una professionista come Lisette Model, trascurando la famiglia e il maritò con il quale resterà in buoni rapporti anche dopo la separazione, per gettarsi nel lavoro e nella carriera.
Curiosa della vita e del mondo, dagli anni ’60 la sua personalità di artista indipendente e eccentrica emerse in tutto il suo talento stimolato dalla vivace atmosfera creativa e contestataria dell’era hippie e delle manifestazioni pacifiste contro la Guerra del Vietnam che la videro sempre in prima fila. Costantemente a caccia di stranezze e tortuosità, la Arbus frequentava gli ambienti più disparati. Dalle sfilate di moda, ai circhi, dalle gang giovanili delle strade, alle competizioni di body building e il suo occhio era costantemente puntato sull’essere umano in tutte le sue sfaccettature.
Come evidenzia il sito jewishvirtuallibrary.org, nella sua luminosa carriera la talentuosa fotografa collaborò e strinse amicizia con vari colleghi e collaboratori ebrei. Sempre in cerca di stimoli e di nuove avventure, collaborò con l’artista Marvin Israel direttore artistico della rivista Harper’s Bazaar; fu un rapporto molto stretto ed egli divenne il suo mentore, come era stata già Lisette Model; incontrò il regista e fotografo Stanley Kubrick, i grandi scrittori Norman Mailer e Tom Wolfe, scattando immagini a vari soggetti appartenenti al mondo ebraico delle sue origini. Istantanee estremamente espressive come Coppia di ebrei danzanti che ritrae due anziani felici mentre ballano assieme, la foto alle due gemelle ebree identiche fra loro e soprattutto Il gigante ebreo in cui fotografò l’intrattenitore israeliano naturalizzato americano Eddie Carmel. Un’immagine inquietante in cui Carmel, affetto da gigantismo e figlio di una famiglia ebraica ortodossa polacca, viene rappresentato in tutta la sua figura altissima e massiccia, nipote di uno dei rabbini più alti d’Europa, mentre sovrasta i due genitori, parlando con loro. Morto a soli 36 anni per infarto, Oded Ha Carmeli, questo il suo nome di nascita, divenne un vero fenomeno collaborando per vari film e spettacoli, attirando la curiosità della Arbus sempre pronta a ritrarre personaggi stravaganti e fuori dagli schemi. Carmel e la Arbus morirono a un anno di distanza uno dall’altra e, come sottolinea un articolo del 2014 sul sito del New York Times, questa foto, scattata nel 1970, fu una delle sue ultime immagini. Dilaniata dal suo “male di vivere”, dal super lavoro, in crisi esistenziale nonostante il successo e i prestigiosi riconoscimenti, ricevette due volte il Premio Guggenheim, la Arbus si tolse la vita, ingerendo sonniferi per poi tagliarsi le vene, finì i suoi giorni improvvisamente, in quel luglio 1971 in cui tre settimane prima morì la rockstar Jim Morrison. Stando allo stesso articolo pubblicato dal New York Times il 13 aprile 2014, Carmel “il gigante” invitato al talk show presentato da Richard Lamparski le dedicò una struggente poesia pochi mesi dopo la sua morte.
Sara Parcak ha inventato l’archeologia spaziale, utilizzando immagini satellitari per cercare indizi dei luoghi perduti delle civiltà passate, cambiando il modo di studiare le rovine del mondo antico. Dal suo laboratorio in Alabama, sfruttando le mappe dei satelliti, questa trentasettenne ha già scandagliato mille tombe, 17 piramidi, scovato insediamenti di cui si ignorava persino l’esistenza. Il suo lavoro aiuterà ora a ricostruire Palmira, distrutta dall’Isis nella Siria in guerra.
La rivoluzione tecnologica nell’archeologia dai tempi di Indiana Jones
Ammettiamolo, Indiana Jones era un archeologo piuttosto scarso. Distruggeva i suoi siti, usava una frusta al posto di una spatola ed era più probabile che uccidesse i suoi colleghi piuttosto che scrivere insieme a loro resoconti archeologici.
Indipendentemente da ciò, “I predatori dell’arca perduta”, che ha festeggiato il suo 30° anniversario lo scorso 12 giugno, ha reso affascinante lo studio del passato per una intera generazione di scienziati.
Gli archeologi moderni che si sono ispirati ai “predatori” hanno però fortunatamente imparato dagli errori del dottor Jones, e ora utilizzano tecnologie avanzate come le immagini satellitari, la mappatura laser aerea, robot e scanner medici. Niente più fruste scientificamente inutili.
Tali innovazioni hanno permesso agli archeologi di individuare dallo spazio piramidi sepolte, creare mappe 3-D di antiche rovine Maya dal cielo, esplorare i relitti di navi romane e trovare prove di malattie al cuore in mummie di 3.000 anni. La maggior parte di questi strumenti proviene da settori quali biologia, chimica, fisica o ingegneria, così come da gadget commerciali, tra cui GPS, portatili e smartphone.
“Se scaviamo parte di un sito, lo distruggiamo”, dice David Hurst Thomas, curatore di antropologia al Museo americano di storia naturale di New York. “La tecnologia ci permette di scoprire molto di più prima ancora di entrare, come i chirurghi che fanno uso di TAC e risonanza magnetica”.
Gli archeologi hanno sfruttato queste tecnologie per scoprire antichi siti di interesse più facilmente che mai. Si può scavare con maggiore fiducia e meno danni collaterali, applicare le più recenti tecniche di laboratorio su antichi manufatti o resti umani, e datare meglio persone o oggetti.
Sarah Parcak Archeologo-studia-una-delle-immagini-satellitari-university-of-alabama-at-birmingham.
I satelliti indicano il luogo
Una delle rivoluzioni in corso nell’archeologia si basa sui satelliti in orbita sopra la Terra. Sarah Parcak, egittologa presso l’University of Alabama a Birmingham, e un team internazionale hanno recentemente usato immagini satellitari a raggi infrarossi per scrutare fino a 10 metri al di sotto del deserto egiziano. Hanno trovato migliaia di nuovi siti tra cui, credono, 17 piramidi.
Le immagini rivelano inoltre strade sepolte e case dell’antica città egizia di Tanis, un noto sito archeologico presente anche ne “I predatori dell’arca perduta” tre decenni fa. “Ovviamente, non zoommiamo le immagini satellitari per trovare l’Arca dell’Alleanza e il Pozzo delle Anime”, rassicura la Parcak.
Anche le immagini satellitari ordinarie di Google Earth sono utili. Molti dei siti egizi contengono sepolti edifici in mattoni di fango che si sgretolano nel tempo e si mescolano con la sabbia o il limo. Quando piove, i suoli con i mattoni di fango trattengono l’umidità più a lungo e appaiono scoloriti nelle foto satellitari.
“In passato, sarei saltato su una Land Rover e sarei andato a vedere un possibile sito”, dice Tony Pollard, direttore del Centre for Battlefield Archaeology presso l’Università di Glasgow in Scozia. “Ora, prima di fare questo, vado su Google Earth”.
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Scavando facendo meno danni
Strumenti come il georadar possono anche aiutare gli archeologi a evitare di distruggere dati preziosi quando scavano antichi siti, spiega Thomas. “Molte tribù di nativi americani sono molto interessate nel telerilevamento che non è invasivo né distruttivo, perché a molti non piace l’idea di disturbare i morti o i resti sepolti”.
I magnetometri sono in grado di distinguere tra metalli sepolti, rocce e altri materiali in base alle differenze nel campo magnetico della Terra. I rilevamenti della resistività del terreno trovano invece gli oggetti in base alle variazioni della velocità della corrente elettrica.
Sara Parcak rilevamento-della-resistivita-elettrica-wiki
Dare una spolverata a vecchie ossa
Una volta che gli oggetti o le ossa sono riportati alla luce, gli archeologi possono consegnarli al laboratorio per un’analisi forense che impressionerebbe qualsiasi agente di CSI. Le scansioni con tomografia computerizzata comunemente utilizzate in medicina hanno rivelato arterie bloccate in una principessa egizia che finì mummificata 3.500 anni fa.
Questa tecnica è stata usata per identificare le origini di decine di soldati trovati in una fossa comune di 375 anni in Germania. “Alcuni venivano dalla Finlandia, alcuni dalla Scozia”, dice Pollard.
Sara Parcak -dr-michael-miyamoto-university-of-california
“Quando ero un cattivo ragazzo e andai a fare archeologia invece di medicina, mia
Sara Parcak -caracol-archaeological-project4
madre pensò che avrei speso tutto il mio tempo nel passato”, dice Thomas. “Ciò non potrebbe essere più lontano dalla verità; facciamo tutto il possibile per tenerci al passo con la tecnologia”.
Per il momento la tecnologia non eliminerà il bisogno di scavare, dicono gli archeologi. Ma se quel giorno arrivasse, “l’archeologia diventerebbe molto più noiosa”, afferma Pollard. E non è il solo a pensarlo.
“Va molto bene usare le immagini satellitari, ma fino a quando non vai sul campo sei bloccato in laboratorio”, conclude la Parcak. “È una costante nell’archeologia; devi scavare ed esplorare.”
Adélia Luzia Prado de Freitas, meglio conosciuta come Adélia Prado (Divinópolis, 13 dicembre 1935), è una poetessa, docente e filosofa brasiliana che si rifà al modernismo. Una delle caratteristiche del suo stile è il fatto di parlare del quotidiano con perplessità e incanto, guidato dalla fede cristiana. Nel 1976, invia il manoscritto di Bagagem ad Affonso Romano de Sant’Anna, colonnista di critica letteraria per Jornal do Brasil, il quale rimanendo colpito li invia a Carlos Drummond de Andrade, che spinge la pubblicazione del libro dall’Editora Imago. Da docente insegna per 24 anni, fino a quando si dedica interamente alla scrittura. Una moglie, una madre e una donna di casa, Adélia, grazie al suo ingresso nella letteratura brasiliana, fa sì che la figura della donna acquisti valore come essere pensante.
Adelia Prado
O sonho encheu a noite
Extravasou pro meu dia
Encheu minha vida
E é dele que eu vou viver
Porque sonho não morre.
Adélia Prado
Il sogno ha riempito la notte
Estravaso dalla mia giornata
Mi ha riempito la vita
Ed è lui che vivrò
Perché il sogno non muore.
Adélia Prado
Adélia costuma dizer que o cotidiano é a própria condição da literatura. Morando na pequena Divinópolis, cidade com aproximadamente 200.000 habitantes, estão em sua prosa e em sua poesia temas recorrentes da vida de província, a moça que arruma a cozinha, a missa, um certo cheiro do mato, vizinhos, a gente de lá.
Adelia dice spesso che la quotidianità è la condizione stessa della letteratura. Vivendo nella piccola Divinopolis, città di circa 200.000 abitanti, sono nella sua prosa e nella sua poesia temi ricorrenti della vita di provincia, la signora che sistema la cucina, la messa, un certo odore di cespuglio, vicini di casa, gente di là.
Adélia Prado
BALÉ
– A Imagem Refletida – Balé do Teatro Castro Alves – Salvador – Bahia – Direção Artística de Antônio Carlos Cardoso. Poema escrito por Adélia Prado especialmente para a composição homônima de Gil Jardim.
Vem de antes do sol
A luz que em tua pupila me desenha.
Aceito amar-me assim
Refletida no olhar com que me vês.
Ó ventura beijar-te,
espelho que premido não estilhaça
e mais brilha porque chora
e choro de amor radia.
(Divinópolis, 1998).
Adélia Prado
BALLET
– L’immagine riflessa – Balletto del Teatro Castro Alves – Salvador – Bahia – Direzione artistica di Antonio Carlos Cardoso. Poesia scritta da Adelia Prado appositamente per l’omonima composizione di Gil Garden.
Viene da prima del sole
La luce che nella tua pupilla mi disegna.
Accetto di amarmi così
Riflesso nello sguardo con cui mi vedi.
Oh ventura baciarti,
specchio che premuto non si frantuma
e più brilla perché piange
e piango d’amore radia.
(Divinopolis, 1998).
Dia
As galinhas com susto abrem o bico
e param daquele jeito imóvel
– ia dizer imoral –
as barbelas e as cristas envermelhadas,
só as artérias palpitando no pescoço.
Uma mulher espantada com sexo:
mas gostando muito.
– Adélia Prado
Adélia Prado
Giorno
Le galline spaventate aprono il becco
e si fermano in quel modo immobile
– stavo per dire immorale –
le barbe e le creste rosse,
solo le arterie che palpitano sul collo.
Una donna stupita dal sesso:
ma mi piace molto
– Adélia Prado
Adélia Prado
Testo estratto dal libro “Filandras”, Editore Record – Rio de Janeiro, 2001, pag. 111.
La mia anima è in difficoltà, tentata dalla tristezza e dalla sua raffinatezza. Mio padre morto non lo ripeterà quest’anno: “Niente come un pollo con riso dopo la messa”. Mia sorella piange perché suo marito è legato con i soldi e lei voleva davvero comprare qualche festa, qualche regalino in più, la vita, e lui trova tutto sciocco e vuole solo riempire il frigorifero con mortadella e birra. Forse per questo o perché mi sono trovata troppo vecchia nello specchio del negozio, ho difficoltà ad aiutare Coralia. Vorrei tanto piangere, sto piangendo davvero, alla vigilia della nascita del Signore, io che tremo appena nati. Sto trovando il mondo triste, volendo mamma e papà, anch’io Coralia ha detto: sei così creativa! E lo sono davvero, potrei inventarmi una sofferenza così insopportabile da appassire tutto intorno a me. Ma non voglio. E anche se volessi, per destino, non posso. Questo muschio tra le pietre non consente, è troppo verde E questa sabbia. Sono troppo carini! A mezzanotte arriva il ragazzo, a mezzanotte in punto. Fodero il sonno di paglia. Arriva, le cose lo sanno, perché pulsano, le pecore di gesso, la stella di brillantini, la laguna fatta di specchi. Farò le ghirlande per Coralia adornare il tuo negozio. Le radiazioni della “luce che non ferisce gli occhi” si fanno strada tra le macerie, avanza impercettibile e i ruvidi, anche i ruvidi, bagnati. Sfoco un po’ lo sguardo e c’è l’aureone, la chiarezza attesa, a Coralia, a Giovanna con suo marito e in me, anche in me che scelgo di bere il vino della gioia, perché da questo luogo, dove “il leone mangia la paglia con il bue”, questa certezza mi prende: “uno piccolo ragazzo ci condurrà”.
Presso il Presepe- Adelia Prado
Testo estratto dal libro “Filandras”, Editore Record – Rio de Janeiro, 2001, pag. 111.
Adélia Prado
· ” Dona Doida “
Uma vez, quando eu era menina, choveu grosso
com trovoadas e clarões, exatamente como chove agora.
Quando se pôde abrir as janelas,
as poças tremiam com os últimos pingos.
Minha mãe, como quem sabe que vai escrever um poema,
decidiu inspirada: chuchu novinho, angu, molho de ovos.
Fui buscar os chuchus e estou voltando agora,
trinta anos depois. Não encontrei minha mãe.
A mulher que me abriu a porta, riu de dona tão velha,
com sombrinha infantil e coxas à mostra.
Meus filhos me repudiaram envergonhados,
meu marido ficou triste até a morte,
eu fiquei doida no encalço.
Só melhoro quando chove.
– Adélia Prado
O texto acima foi extraído do livro “Poesia Reunida”, Editora Siciliano – 1991, São Paulo, página 108.
Adélia Prado
“Dona pazza”
Una volta, quando ero bambina, pioveva forte
con temporali e lampi, esattamente come piove ora.
Quando si è potuto aprire le finestre,
le pozzanghere tremavano con le ultime gocce.
Mia madre come chi sa che scriverà una poesia
ha deciso ispirato: nuovissimo chuchu, angu, salsa all’uovo.
Sono andato a prendere i chuchus e sto tornando ora,
trent’anni dopo Non ho trovato mia madre.
La donna che mi ha aperto la porta, ha riso di una donna così vecchia,
con ombrello per bambini e cosce in vista.
I miei figli mi hanno ripudiato in vergogna,
mio marito era triste fino alla morte,
Sono impazzito a cercare
Miglioro solo quando piove
– Adélia Prado
Il testo sopra è stato estratto dal libro “Poesia riunita”, Editore Siciliano – 1991, San Paolo, pagina 108.
·
Texto extraído do livro “Quero minha mãe”, Editora Record – Rio de Janeiro, 2005, pág. 41.
Adélia Prado
Quero minha mãe
Abel e eu estamos precisando de férias. Quando começa a perguntar quem tirou de não sei onde a chave de não sei o quê, quando já de manhã espero não fazer comida à noite, estamos a pique de um estúpido enguiço. Sou uma pessoa grata? Às vezes o que se nomeia gratidão é uma forma de amarra. Entendo amor ao inimigo, mas gratidão o que é? Tenho problemas neste particular. Se aviso: passo na sua casa depois do almoço, acrescento logo se Deus quiser, não sendo grata, temo que me castigue com um infortúnio. Bajulo Deus, esta é a verdade, tenho o rabo preso com Ele, o que me impede de voar. Como posso alçar-me com Ele grudado à cauda? Uma esquizofrenia teológica, eu sei, quando fica tudo confuso assim, meu descanso é recolher-me como um tatu-bola e repetir até passar a crise, Senhor, tem piedade de mim. Até em sonhos repito, Senhor, tem piedade de mim, é perfeito. Sensação de confinamento outra vez, minha pele, minha casa, paredes, muro, tudo me poda, me cerca de arame farpado. Coitada da minha mãe, devia estar nesta angústia no dia em que me atingiu: “trem ordinário” Com certeza não suportava a idéia, o fardo de ter-que-dar-conta-daquela-roupa-de-graxa-do-meu-pai, daquele caldo escuro na bacia, fedendo a sabão preto e ela querendo tempo pra ler, ainda que pela milésima vez, meu manual de escola, o ADOREMUS, a REVISTA DE SANTO-ANTONIO. Mãe, que dura e curta vida a sua. Me interditou um reloginho de pulso, mas não teve meios de me proibir ficar no barranco à tarde, vendo os operários saírem da oficina, sabia que eu saberia o motivo. Duas mulheres, nos comunicávamos. Tá alegre, mãe? A senhora não liga de ficar em casa, não? Posso ir no parque com a Dorita? Vai chamar tia Ceição pra conversar com a senhora? Nem na festa da escola, nem na parada pra ver eu carregar a bandeira ela não foi. Não dava para ir de “mantor” porque era de dia com sol quente, gastei cinqüenta anos pra entender. Teve uma lavadeira, a Tina do Moisés, que ela adorava e tratava como rainha. Sua roupa acostumou comigo, Clotilde, nem que eu queira, não consigo largar. Foi um tempo bom de escutar isto, descansei de vê-la lavando roupa com o olhar perdido em outros sítios, sentindo e querendo, com toda certeza, o que qualquer mulher sente e quer, mesmo tendo lavadeira e empregada. Tenho sonhado com a mãe tomando conta de mim, me protegendo os namoros, me dando carinho, deixando, de cara alegre, meus peitinhos nascerem e até perguntando: está sentindo alguma dor, Olímpia? É normal na sua idade. Com certeza aprendeu, nas prédicas às Senhoras do Apostolado, como as mães cristãs deviam orientar suas filhas púberes. Te explico, Olímpia, porque pode te acontecer na escola, não precisa levar susto, não é sangue de doença. Achei minha mãe bacana, uma palavra ainda nova que só os moleques falavam. Coitadas da Graça e da Joana, que nem isso ganharam dela. Morreu antes de me ensinar a lidar com as incômodas e trabalhosas toalhinhas. mãe, mãezinha, mamãezinha, mamãe, e o reino do céu é um festim, quem escondeu isto de você e de mim?
– Adélia Prado
Texto extraído do livro “Quero minha mãe”, Editora Record – Rio de Janeiro, 2005, pág. 41.
Voglio la mia mamma
Io e Abel abbiamo bisogno di una vacanza Quando inizi a chiedere chi ha preso da non so dove la chiave di non so cosa, quando già al mattino spero di non cucinare la sera, siamo in giro per uno stupido maialino. Sono una persona grata? A volte ciò che si chiama gratitudine è una forma di legatura. Capisco l’amore per il nemico, ma la gratitudine cos’è? Ho dei problemi in questo privato. Vi avverto: passo a casa vostra dopo pranzo, aggiungo subito se Dio vuole, non essendo grato, temo che mi punisca con una sfortuna. Dio lusinghiero, questa è la verità, ho il sedere incastrato con Lui, il che mi impedisce di volare. Come posso stare con Lui attaccato alla coda? Una schizofrenia teologica, lo so, quando tutto si confonde così, il mio riposo è raccogliermi come un tatu-palla e ripeterlo fino alla crisi, Signore, abbi pietà di me. Anche nei sogni ripeto, Signore, abbi pietà di me, è perfetto. Sensazione di reclusione ancora, la mia pelle, la mia casa, i muri, il muro, tutto mi pota, mi circonda di filo spinato. Povera mia madre, dovrei essere in questa angoscia il giorno in cui mi ha colpito: “treno ordinario” Di sicuro non sopportavo l’idea, il peso di dover-dare-conto-di quel-vestito di levasso di mio padre, di quel brodo scuro nella bacinella, puzza di sapone nero e lei che vuole tempo per leggere, anche se per la millesima volta, il mio manuale di scuola, l’ADOREMUS, la RIVISTA DI SANT’ANTONIO Mamma, che dura e breve vita la tua. Mi ha vietato un orologio da polso, ma non ha avuto modo di vietarmi di stare al barcone il pomeriggio a guardare gli operai lasciare l’officina, sapeva che avrei saputo il motivo. Due donne, comunicavamo. Sei felice, mamma? La signora non le importa di stare a casa, vero? Posso andare al parco con Dorita? Chiamerai zia Ceizione per parlare con la signora? Né alla festa della scuola, né alla parata per vedermi portare la bandiera, lei non c’è andata. Non potevo fare il “mantore” perché era giorno con il sole caldo, ho speso cinquant’anni per capire. C’era una lavandaia, la Tina di Mosè, che lei amava e trattava come una regina. Il tuo vestito mi ha abituato, Clotilde, anche se lo voglio, non riesco a lasciarlo andare. È stato un bel momento per ascoltarlo, mi sono riposato nel vederla fare il bucato con lo sguardo perso altrove, sentendo e volendo, sicuramente, quello che ogni donna sente e vuole, anche se ha lavandaia e una cameriera. Ho sognato che mamma si prendesse cura di me, mi proteggeva gli appuntamenti, mi dava affetto, lasciandomi nascere, con un viso allegro, le mie tette e mi chiedevano anche: stai provando dolore, Olimpia? È normale alla tua età. Sicuramente hai imparato, nelle prediche delle signore dell’Apostolato, come le madri cristiane dovrebbero guidare le loro figlie pubere. Te lo spiego Olimpia perché può capitare a scuola, non devi spaventarti, non è sangue di malattia. Ho trovato mia madre figa, una parola ancora giovane che solo i ragazzi parlavano. Povere Grazia e Giovanna, che non l’hanno battuta nemmeno quella. È morto prima di insegnarmi a gestire le fastidiose e le fastidiose salviette. mamma mamma mamma mamma mamma e il regno del cielo è una festa chi l’ha nascosto a me e a te?
– Adelia Prado
Testo estratto dal libro “Voglio mia madre”, Record Editore – Rio de Janeiro, 2005, pag. 41.
Adélia Prado
Com licença poética
Quando nasci um anjo esbelto,
desses que tocam trombeta, anunciou:
vai carregar bandeira.
Cargo muito pesado pra mulher,
esta espécie ainda envergonhada.
Aceito os subterfúgios que me cabem,
sem precisar mentir.
Não sou feia que não possa casar,
acho o Rio de Janeiro uma beleza e
ora sim, ora não, creio em parto sem dor.
Mas o que sinto escrevo. Cumpro a sina.
Inauguro linhagens, fundo reinos
— dor não é amargura.
Minha tristeza não tem pedigree,
já a minha vontade de alegria,
sua raiz vai ao meu mil avô.
Vai ser coxo na vida é maldição pra homem.
Mulher é desdobrável. Eu sou.
Con permesso poetico
Quando sono nato un angelo snello,
di quelli che suonano la tromba, ha annunciato:
vai a portare bandiera.
Un posto molto pesante per una donna,
questa specie ancora vergognata.
Accetto i sotterfugi che mi stanno bene,
senza dover mentire.
Non sono brutta che non posso sposarmi,
Trovo Rio de Janeiro una bellezza e
Bene sì, ora no, credo nel parto senza dolore.
Ma quello che sento lo scrivo. Faccio il destino.
Inauguro le stirpe, i regni di fondo
— il dolore non è amarezza.
La mia tristezza non ha pedigree,
già la mia voglia di gioia,
la tua radice va a mio nonno mille
Sarà zoppo nella vita è una maledizione per gli uomini.
Le donne sono pieghevoli Lo sono.
·
Com licença poética
Quando nasci um anjo esbelto,
desses que tocam trombeta, anunciou:
vai carregar bandeira.
Cargo muito pesado pra mulher,
esta espécie ainda envergonhada.
Aceito os subterfúgios que me cabem,
sem precisar mentir.
Não sou feia que não possa casar,
acho o Rio de Janeiro uma beleza e
ora sim, ora não, creio em parto sem dor.
Mas o que sinto escrevo. Cumpro a sina.
Inauguro linhagens, fundo reinos
— dor não é amargura.
Minha tristeza não tem pedigree,
já a minha vontade de alegria,
sua raiz vai ao meu mil avô.
Vai ser coxo na vida é maldição pra homem.
Mulher é desdobrável. Eu sou.
Con permesso poetico
Quando sono nato un angelo snello,
di quelli che suonano la tromba, ha annunciato:
vai a portare bandiera.
Un posto molto pesante per una donna,
questa specie ancora vergognata.
Accetto i sotterfugi che mi stanno bene,
senza dover mentire.
Non sono brutta che non posso sposarmi,
Trovo Rio de Janeiro una bellezza e
Bene sì, ora no, credo nel parto senza dolore.
Ma quello che sento lo scrivo. Faccio il destino.
Inauguro le stirpe, i regni di fondo
— il dolore non è amarezza.
La mia tristezza non ha pedigree,
già la mia voglia di gioia,
la tua radice va a mio nonno mille
Sarà zoppo nella vita è una maledizione per gli uomini.
Le donne sono pieghevoli Lo sono.
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Adélia Prado
Adélia Luzia Prado de Freitas, meglio conosciuta come Adélia Prado (Divinópolis, 13 dicembre 1935), è una poetessa, docente e filosofa brasiliana che si rifà al modernismo. Una delle caratteristiche del suo stile è il fatto di parlare del quotidiano con perplessità e incanto, guidato dalla fede cristiana. Nel 1976, invia il manoscritto di Bagagem ad Affonso Romano de Sant’Anna, colonnista di critica letteraria per Jornal do Brasil, il quale rimanendo colpito li invia a Carlos Drummond de Andrade, che spinge la pubblicazione del libro dall’Editora Imago. Da docente insegna per 24 anni, fino a quando si dedica interamente alla scrittura. Una moglie, una madre e una donna di casa, Adélia, grazie al suo ingresso nella letteratura brasiliana, fa sì che la figura della donna acquisti valore come essere pensante.
Massimo D’Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) è stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano. Vita e opereQuartogenito del marchese Cesare Taparelli d’A.; dopo una brillante giovinezza, dedita soprattutto allo studio della pittura (1820-30 a Roma), frequentò nel 1831 a Milano il cenacolo del Manzoni, del quale sposò la figlia Giulia. Di questi anni sono i suoi romanzi (Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta, 1833, Niccolò de’ Lapi ovvero I Palleschi e i Piagnoni, 1841; La Lega Lombarda, incompiuto, scritto nel 1845 e pubblicato postumo nel 1871). Sviluppatasi negli anni 1843-44, attraverso colloqui col cugino Cesare Balbo, la passione politica, accettò nel 1845 di fare per il movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana e al ritorno scrisse Gli ultimi casi di Romagna (1846), pagine ostili alle sètte ma ancor più al malgoverno papale, e auspicanti apertamente una cospirazione pubblica. Espulso dal governo toscano per tale opuscolo, d’A. all’avvento di Pio IX vide possibile la realizzazione del proprio programma liberale moderato e legalitario (nel 1847 espose il suo pensiero nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana), puntando decisamente prima su Pio IX e poi su Carlo Alberto. Scoppiata la guerra, fu aiutante di campo del gen. Durando e fu ferito al monte Berico (10 giugno 1848). In acre polemica con democratici e repubblicani da lui incolpati del fallimento della guerra del 1848-49, declinò l’invito di formare il ministero piemontese: solo il 7 maggio 1849 s’inchinò davanti all’ordine preciso del re. Chiusa la vertenza austriaca (a tal fine fu costretto a sciogliere la Camera), d’A. seppe mantenere, nonostante le pressioni austriache, il sistema costituzionale e riformò radicalmente (1850) i rapporti fra Stato e Chiesa con le leggi Siccardi. Dimessosi il 22 ottobre 1852 per le difficoltà suscitategli dal “connubio” Cavour-Rattazzi, ebbe in seguito incarichi politici di minore importanza (nel novembre 1855 accompagnò il re a Londra e a Parigi, dove ritornò da solo prima della guerra; nel 1859 fu nominato commissario straordinario nelle Romagne, nel genn. 1860 governatore di Milano), mentre i suoi scritti agivano vitalmente sull’opinione pubblica (articoli antiaustriaci sul Morning Chronicle, 1859, De la politique et du droit chrétien au point de vue de la question italienne, 1860); in questi anni, dimenticando ogni precedente dissidio, aiutò il Cavour in momenti delicati (intervento in Crimea, guerra del 1859), ma successivamente il suo moralismo conservatore e paternalistico gli impedì di cogliere il significato degli avvenimenti che si compirono nel 1860 e negli anni seguenti, così si oppose all’unificazione del nord al sud della penisola, giudicandola immatura, e si scagliò, nell’opuscolo Questioni urgenti (1861), contro la prospettiva di portare la capitale a Roma, vedendo in essa un motivo esclusivamente retorico. Solitario e incompreso, d’A. allora scrisse per gl’Italiani, “ancora da fare”, I miei ricordi (incompiuti, si fermano al 1846, pubblicati postumi nel 1867).
Fonte Enciclopedia TRECCANI-
Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOBiblioteca DEA SABINA-Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-Rivista PAN n° Settembre 1935l Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-l Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-Biblioteca DEA SABINA-Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-Rivista PAN n° Settembre 1935
Biblioteca DEA SABINA-Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-
Biografia-Fonte Enciclopedia TRECCANI-
Massimo Taparelli marchese d’Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) è stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano. Vita e opereQuartogenito del marchese Cesare Taparelli d’A.; dopo una brillante giovinezza, dedita soprattutto allo studio della pittura (1820-30 a Roma), frequentò nel 1831 a Milano il cenacolo del Manzoni, del quale sposò la figlia Giulia. Di questi anni sono i suoi romanzi (Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta, 1833, Niccolò de’ Lapi ovvero I Palleschi e i Piagnoni, 1841; La Lega Lombarda, incompiuto, scritto nel 1845 e pubblicato postumo nel 1871). Sviluppatasi negli anni 1843-44, attraverso colloqui col cugino Cesare Balbo, la passione politica, accettò nel 1845 di fare per il movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana e al ritorno scrisse Gli ultimi casi di Romagna (1846), pagine ostili alle sètte ma ancor più al malgoverno papale, e auspicanti apertamente una cospirazione pubblica. Espulso dal governo toscano per tale opuscolo, d’A. all’avvento di Pio IX vide possibile la realizzazione del proprio programma liberale moderato e legalitario (nel 1847 espose il suo pensiero nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana), puntando decisamente prima su Pio IX e poi su Carlo Alberto. Scoppiata la guerra, fu aiutante di campo del gen. Durando e fu ferito al monte Berico (10 giugno 1848). In acre polemica con democratici e repubblicani da lui incolpati del fallimento della guerra del 1848-49, declinò l’invito di formare il ministero piemontese: solo il 7 maggio 1849 s’inchinò davanti all’ordine preciso del re. Chiusa la vertenza austriaca (a tal fine fu costretto a sciogliere la Camera), d’A. seppe mantenere, nonostante le pressioni austriache, il sistema costituzionale e riformò radicalmente (1850) i rapporti fra Stato e Chiesa con le leggi Siccardi. Dimessosi il 22 ottobre 1852 per le difficoltà suscitategli dal “connubio” Cavour-Rattazzi, ebbe in seguito incarichi politici di minore importanza (nel novembre 1855 accompagnò il re a Londra e a Parigi, dove ritornò da solo prima della guerra; nel 1859 fu nominato commissario straordinario nelle Romagne, nel genn. 1860 governatore di Milano), mentre i suoi scritti agivano vitalmente sull’opinione pubblica (articoli antiaustriaci sul Morning Chronicle, 1859, De la politique et du droit chrétien au point de vue de la question italienne, 1860); in questi anni, dimenticando ogni precedente dissidio, aiutò il Cavour in momenti delicati (intervento in Crimea, guerra del 1859), ma successivamente il suo moralismo conservatore e paternalistico gli impedì di cogliere il significato degli avvenimenti che si compirono nel 1860 e negli anni seguenti, così si oppose all’unificazione del nord al sud della penisola, giudicandola immatura, e si scagliò, nell’opuscolo Questioni urgenti (1861), contro la prospettiva di portare la capitale a Roma, vedendo in essa un motivo esclusivamente retorico. Solitario e incompreso, d’A. allora scrisse per gl’Italiani, “ancora da fare”, I miei ricordi (incompiuti, si fermano al 1846, pubblicati postumi nel 1867).
-Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”-
Rivista PAN-n°12 del 1935
Giosuè CARDUCCI:”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”
Gianni RODARI muore il 14aprile 1980-Il Partigiano e lo Scrittore e Poeta dei bambini-
Roma, 14 aprile 2022– Ricorre oggi il 42esimo anniversario dalla scomparsa di Gianni Rodari, morto il 14 aprile del 1980 a Roma. Il 10 aprile 1980 venne ricoverato in una clinica a Roma per potersi sottoporre ad un intervento chirurgico alla gamba sinistra, data l’occlusione di una vena; morì quattro giorni dopo, il 14 aprile, per shock cardiogeno, all’età di 59 anni. Le sue spoglie furono sepolte nel cimitero del Verano, dove tuttora riposano.
Gianni RODARI
Nato il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul lago d’Orta, lo scrittore piemontese è stato anche pedagogista, giornalista, poeta e partigiano italiano, specializzato in letteratura per l’infanzia e tradotto in molte lingue. Con le sue storie, ha fatto viaggiare con l’immaginazione diverse generazioni di bambini. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, per alcuni anni ha fatto l’insegnante. Al termine della Seconda guerra mondiale ha intrapreso la carriera giornalistica, che lo ha portato a collaborare con numerosi periodici, tra cui «L’Unità», il «Pioniere», «Paese Sera». A partire dagli anni Cinquanta ha iniziato a pubblicare anche le sue opere per l’infanzia, che hanno ottenuto fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti, fra cui, nel 1970, il prestigioso premio «Hans Christian Andersen», considerato il «Nobel» della letteratura per l’infanzia.
Negli anni Sessanta e Settanta ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia. Gianni Rodari è morto a Roma nel 1980. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.
Tra le sue innumerevoli opere ha scritto diversi testi con un messaggio pacifista. Qui sotto sono riportate due sue poesie contro la guerra.
Promemoria
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra
Armi dell’allegria
Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo pum
(o bang, se ha letto qualche fumetto)
ma buchi non ne fa…
il cannoncino che spara
senza far tremare
nemmeno il tavolino…
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
né a una mosca né a un caporale…
Armi dell’allegria!
le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via!
Per Gianni Rodari i bimbi erano portavoce di grandi verità e meritavano di essere ascoltati; ecco quali motivi ritmati ha ideato appositamente per loro:
Gianni RODARI
1) La cicala e la formica
Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!
2) Bambini, imparate a fare cose difficili
È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi che si credono liberi.
3) Como nel comò
Una volta un accento
per distrazione cascò
sulla città di Como
mutandola in comò.
Figuratevi i cittadini
comaschi, poveretti:
detto e fatto si trovarono
rinchiusi nei cassetti.
Per fortuna uno scolaro
rilesse il componimento
e liberò i prigionieri
cancellando l’accento.
Ora ai giardini pubblici
han dedicato un busto
“A colui che sa mettere
gli accenti al posto giusto”.
4) Tutti gli animali
Mi piacerebbe un giorno
poter parlare
con tutti gli animali.
Che ve ne pare?
Chissà che discorsi geniali
sanno fare i cavalli,
che storie divertenti
conoscono i pappagalli,
i coccodrilli, i serpenti.
Una semplice gallina
che fa l’uovo ogni mattina
chissà cosa ci vuol dire
con il suo coccodè.
E l’elefante, così grande e grosso,
la deve saper lunga
più della sua proboscide:
ma chi lo capisce
quando barrisce?
Nemmeno il gatto
può dirci niente.
Domandagli come sta
non ti risponde affatto.
O – al massimo – fa “miao”,
che forse vuol dire “ciao”.
5) Il primo giorno di scuola
Suona la campanella;
scopa, scopa la bidella;
viene il bidello ad aprire il portone;
viene il maestro dalla stazione;
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.
6) Il paese delle vacanze
Il Paese delle Vacanze
non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario
lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre,
la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica,
però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate
non si riposa mai.
7) Per la mamma
Filastrocca delle parole
si faccia avanti chi ne vuole.
Di parole ho la testa piena
con dentro “la luna” e “la balena”.
Ma le più belle che ho nel cuore
le sento battere: “mamma”, “amore”.
8)Filastrocca corta e matta
Filastrocca corta e matta:
il porto vuole sposare la porta;
la viola studia il violino;
il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”;
la mela dice: “Mio nonno è il melone”;
il matto vuole essere un mattone.
E il più matto della terra
sapete che vuole?
Fare la guerra!
9) Filastrocca di primavera
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno,
più dolce la sera.
domani forse tra l’erbetta
spunterà la prima violetta.
Oh prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
e ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo.
10) Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
E’ come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
11) Le favole al rovescio
C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone,
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all’incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa
la guardia alla pentola.
Poesie dell’autore de Grammatica della fantasia
12) A un bambino pittore
Appeso a una parete
ho visto il tuo disegnino:
su un foglio grande grande
c’era un uomo in un angolino.
Un uomo piccolo, piccolo,
forse anche
un po’ spaventato
da quel deserto bianco
in cui era capitato,
e se ne stava in disparte
non osando farsi avanti
come un povero nano
nel paese dei giganti.
Tu l’avevi colorato
con vera passione:
ricordo il suo magnifico
cappello arancione.
Ma la prossima volta,
ti prego di cuore,
disegna un uomo più grande,
amico pittore.
Perché quell’uomo sei tu,
tu in persona, ed io voglio
che tu conquisti il mondo:
prendi, intanto
tutto il foglio!
Disegna figure
grandi grandi,
forti, senza paura,
sempre pronte a partire
per una bella avventura.
13) Il punto interrogativo
C’era una volta un punto
interrogativo, un grande curiosone
con un solo ricciolone,
che faceva domande
a tutte le persone,
e se la risposta
non era quella giusta
sventolava il suo ricciolo
come una frusta.
Agli esami fu messo
in fondo a un problema
così complicato
che nessuno trovò il risultato.
Il poveretto, che
di cuore non era cattivo,
diventò per il rimorso
un punto esclamativo.
14) Tragedia di una virgola
C’era una volta
una povera virgola
che per colpa di uno scolaro
disattento
capitò al posto di un punto
dopo l’ultima parola
del componimento.
La poverina, da sola,
doveva reggere il peso
di cento paroloni,
alcuni perfino con l’accento.
Per la fatica atroce morì.
Fu seppellita
sotto una croce
dalla matita
blu del maestro,
e al posto di crisantemi e sempreverdi
s’ebbe un mazzetto
di punti esclamativi.
15)La famiglia Punto e virgola
C’era una volta un punto
e c’era anche una virgola:
erano tanto amici,
si sposarono e furono felici.
Di notte e di giorno
andavano intorno
sempre a braccetto:
“Che coppia modello”
la gente diceva
“che vera meraviglia
la famiglia Punto-e-virgola”.
Al loro passaggio
in segno di omaggio
perfino le maiuscole
diventavano minuscole:
e se qualcuna, poi,
a inchinarsi non è lesta
la matita del maestro
le taglia la testa.
16) Autunno
Il gatto rincorre le foglie
secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede)
alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti
scendono rosse e gialle
sono certo farfalle
che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell’anno
non è per lui che un bel gioco,
e per gli uomini che ne fanno
al tramonto un lieto fuoco.
17) Chi è uomo
Con un gran frullo d’ali
dal campo, spaventati,
i passerotti in frotta
al nido son rivolati.
Raccontano ora al nonno
la terribile avventura:
“C’era un uomo! Ci ha fatto
una bella paura.
Peccato per quei chicchi
sepolti appena ieri.
Ma con quell’uomo… Ah, nonno,
scappavi anche tu, se c’eri.
Grande grande, grosso grosso,
un cappellaccio in testa,
stava li certamente
per farci la festa…”.
“E che faceva?”. “Niente.
Che mai doveva fare?
Con quelle braccia larghe
era brutto da guardare!”.
“Non lavorava?”. “O via,
te l’abbiamo già detto.
Stava ritto tra i solchi
con aria di dispetto…”.
“Uno spaventapasseri,
ecco cos’era, allora!
Non sapevate che
non è un uomo chi non lavora?”.
Poesie di Gianni Rodari, brevi o che arrivano fino nello spazio
18) La bugia
Nel paese della bugia,
la verità è una malattia.
19) Quanto pesa una lacrima?
La lacrima di un bambino capriccioso
pesa meno del vento,
quella di un bambino affamato
pesa più di tutta la terra.
20) Il sole
Dica ognuno
quel che vuole:
la meglio stufa
è sempre sole.
21)Distrazione interplanetaria
Chissà se a quest’ora su Marte,
su Mercurio o Nettuno,
qualcuno
in un banco di scuola
sta cercando la parola
che gli manca
per cominciare il tema
sulla pagina bianca.
E certo nel cielo di Orione,
dei Gemelli, del Leone,
un altro dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione …
come faccio io.
Quasi Io sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al firmamento:
in un minuscolo puntino
nella Via Lattea
un minuscolo scolaretto
sul suo libro di storia
disegna un pupazzetto.
Lo sa che non sta bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo insieme
quando lo incontrerò.
22)La luna bambina
E adesso a chi la diamo
questa luna bambina
che vola in un “amen”
dal Polo Nord alla Cina?
Se la diamo a un generale,
povera luna trottola,
la vorrà sparare
come una pallottola.
Se la diamo a un avaro
corre a metterla in banca:
non la vediamo più
nè rossa nè bianca.
Se la diamo a un calciatore,
la luna pallone,
vorrà una paga lunare:
ogni calcio un trilione.
Il meglio da fare
è di darla ai bambini,
che non si fanno pagare
a giocare coi palloncini:
se ci salgono a cavalcioni
chissà che festa;
se la luna va in fretta,
non gli gira la testa,
anzi la sproneranno
la bella luna a dondolo,
lanciando grida di gioia
dall’uno all’altro mondo.
Della luna ippogrifo
reggendo le briglie,
faranno il giro del cielo
a caccia di meraviglie.
I versi che abbiamo apprezzato a scuola
23)Girotondo in tutto il mondo
Filastrocca per tutti i bambini,
per gli italiani e per gli abissini,
per i russi e per gli inglesi,
gli americani ed i francesi;
per quelli neri come il carbone,
per quelli rossi come il mattone;
per quelli gialli che stanno in Cina
dove è sera se qui è mattina.
Per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci
e dormono dentro un sacco di stracci;
per quelli che stanno nella foresta
dove le scimmie fan sempre festa.
Per quelli che stanno di qua o di là,
in campagna od in città,
per i bambini di tutto il mondo
che fanno un grande girotondo,
con le mani nelle mani,
sui paralleli e sui meridiani…
24)Il Paese Senza Errori
C’era una volta un uomo che andava per terra e per mare
in cerca del Paese Senza Errori.
Cammina e cammina, non faceva che camminare,
paesi ne vedeva di tutti i colori,
di lunghi, di larghi, di freddi, di caldi,
di così così:
e se trovava un errore là, ne trovava due qui.
Scoperto l’errore, ripigliava il fagotto
e ripartiva in quattro e quattr’otto.
C’erano paesi senza acqua,
paesi senza vino,
paesi senza paesi, perfino,
ma il Paese Senza Errori dove stava, dove stava?
Voi direte: Era un brav’uomo. Uno che cercava
una bella cosa. Scusate, però,
non era meglio se si fermava
in un posto qualunque,
e di tutti quegli errori
ne correggeva un po’?
25)L’odore dei mestieri
Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d’olio la tuta dell’operaio,
di farina sa il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicina c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,
non sanno di nulla e puzzano un po’.
Al Padiglione Tavolara di Sassari “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer”
Sassari-Si intitola I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer la mostra che sarà inaugurata al Padiglione dell’artigianato EugenioTavolara di Sassari il 1° febbraio alle 11.30. Organizzata dalla Fondazione Enrico Berlinguer della Sardegna con il Comune di Sassari, il contributo della Regione Sardegna, la collaborazione della Fondazione di Sardegna e il patrocinio dell’Università di Sassari, la mostra sarà visitabile gratuitamente sino al 19 marzo, mentre in seguito sarà trasferita a Cagliari.
Nella ricorrenza del quarantennale dalla morte di Enrico Berlinguer, l’obiettivo della mostra è quello di contribuire a ripensare il lascito politico di un leader di rara caratura morale, radicato nel Paese reale e stimato dai suoi oppositori. Attraverso un racconto storico e iconografico si ricostruisce l’itinerario di Berlinguer con documenti originali, audiovisivi e una selezione di fotografie da reportage.
Enrico Berlinguer
Il materiale documentale è stato organizzato in cinque sezioni tematiche: gli affetti, il dirigente, la crisi italiana, la dimensione globale, l’attualità e il futuro. Si aggiungono focus specifici: il contributo del Partito Comunista Italiano alle riforme adottate in Italia dal 1968 al 1984, le relazioni internazionali intessute da Berlinguer che sottolineano la dimensione globale della sua leadership, la violenza politica e lo stragismo, drammatica costante di quegli anni, i libri a lui dedicati a evidenziarne il particolare rilievo storico-politico.
La mostra è stata ideata dall’Associazione Enrico Berlinguer di Roma assieme alla Fondazione Gramsci. La sua versione sarda è arricchita con una nuova sezione dedicata al rapporto tra il leader del Pci e la sua terra natia. Attraverso foto e documenti originali, particolarmente significativi, la sezione Berlinguer e la Sardegna illustra tre fasi: l’adesione al Partito comunista a Sassari e le prime esperienze di militanza attiva; il ritorno in Sardegna nel 1957, come vicesegretario regionale; il contributo alla politica sarda come vicesegretario e segretario nazionale.
Considerato il grande riscontro avuto dalla mostra a Roma e a Bologna, dove si è registrata la visita di oltre 100mila persone, gli organizzatori si aspettato altrettanto successo per le due tappe isolane.
La Fondazione Enrico Berlinguer, insieme con la Fondazione Nivola che gestirà la mostra, curerà in modo particolare il rapporto con le scuole affinchè gli studenti e le studentesse, con la visita e con la partecipazione ai laboratori didattici, possano approfondire la conoscenza della storia della seconda metà del Novecento di cui Enrico Berlinguer è stato un protagonista primario.
All’inaugurazione interverranno Salvatore Cherchi e Ugo Sposetti, presidenti rispettivamente della Fondazione Enrico Berlinguer e della Associazione Enrico Berlinguer, soggetti ideatori e realizzatori della mostra. Previsti gli interventi del sindaco di Sassari, Giuseppe Mascia, della presidente della Regione, Alessandra Todde, del presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini, e della presidente dell’Anci, Daniela Falconi. Le conclusioni saranno affidate a Gavino Angius, componente della segreteria nazionale del Partito comunista nel periodo berlingueriano. Alla cerimonia parteciperanno le figlie di Enrico Berlinguer, Bianca e Maria, il vicepresidente della Regione, Giuseppe Meloni, l’assessorato regionale della cultura, l’assessora comunale alla Cultura, Nicoletta Puggioni, e tanti altri esponenti istituzionali, politici, sociali e culturali del territorio.
Pierangela Palma -GIOCONDA DE VITO. La dea del violino-
Con una presentazione di Salvatore Accardo
Zecchini Editore-VARESE-
-GIOCONDA Anna Clelia DE VITO-(Martina Franca 26 luglio 1907- – Roma 1994)-Martina Franca ha dato i natali ad una delle più grandi violiniste del panorama internazionale del Novecento: Gioconda De Vito, donna del profondo sud che è riuscita ad arrivare ai vertici del concertismo internazionale in un’epoca in cui essere donne non era affatto semplice. Un’artista che ha saputo esprimere nel migliore dei modi i tratti distintivi della scuola italiana: profondità di lettura, scrupolosità nei dettagli, rigore ed inflessibilità. Furtwängler, Giulini, Karajan, Fischer e Aprea, sono solo alcuni dei nomi dei partner con cui ha collaborato nella sua luminosa carriera, interrotta bruscamente da un suo volontario ritiro.
Questo libro si propone di ripercorrere le tappe più significative della sua attività artistica, indagando sul suo prematuro ritiro dalle scene e le possibili motivazioni. È un testo ricco di fotografie, carteggi e documenti rari, contiene materiale inedito, proveniente in massima parte dall’Archivio “Gioconda De Vito” della Fondazione “Paolo Grassi” di Martina Franca.
Vi sono inoltre lettere di Kubelík, Menuhin, Furtwängler, Šostakovic nonché telegrammi di Benito Mussolini e varia altra documentazione che attesta la sua vita artistica nel corso del ventennio fascista.
Completano il volume interviste ed esempi musicali che riportano diteggiature ed arcate della De Vito.
GIOCONDA DE VITO
Gioconda de Vito (26 July 1907 – 14 October 1994) was an Italian-British classical violinist. (The dates 22 June 1907 and 24 October 1994 also appear in some sources.[1])
Life
De Vito was born, one of five children, in the town of Martina Franca in southern Italy, to a wine-making family. Initially she played the violin untaught, having received only music theory lessons from the local bandmaster. Her uncle, a professional violinist based in Germany, heard her attempting a concerto by Charles Auguste de Bériot when she was aged only eight, and decided to teach her himself. At age 11, she entered the Rossini Conservatory in Pesaro to study with Remy Principe. She graduated at age 13, commenced a career as a soloist, and at age 17 became Professor of Violin at the newly founded conservatory in Bari. In 1932, aged 25, she won the first International Violin Competition in Vienna. After she played the BachChaconne in D minor, Jan Kubelík came up to the stage and kissed her hand (she later appeared under the baton of Kubelik’s son Rafael Kubelík).
She then taught at Palermo and Rome, at the Accademia di Santa Cecilia. She had earlier been presented to Benito Mussolini, who greatly admired her playing, and he used his influence to get her the Rome post. World War II interrupted what would otherwise have been the most productive period of her burgeoning career. In 1944, she was given the unique honour of a lifetime professorship at the Academy.[2]
De Vito played under Wilhelm Furtwängler a number of times, and had a great affinity for his approach. In 1953[3] they also played a Brahms sonata at Castel Gandolfo for Pope Pius XII, the choice of Brahms being the Pope’s own request. In 1957 de Vito played the Mendelssohn concerto for the Pope. A member of the audience later sent her a letter saying that he was no longer an atheist, because her playing of the slow movement had made him realise there must be a God.
During that concert, de Vito realised she had reached the pinnacle of her career, and decided to retire in another three years. After informing the pope of her decision, Pius XII tried for an hour to dissuade her, saying she was far too young to retire so early, but to no avail. During the final years of her career, de Vito collaborated with Edwin Fischer, who was also nearing the end of his career. At their recording sessions for the Brahms sonatas Nos.1 and 3, he had required medical attention. The recording of Sonata No. 2 was assumed by Tito Aprea in 1956, after they successfully recorded Beethoven’s Kreutzer and Frank’s A major sonatas. Edwin Fischer died in 1960.
In 1961, at the age of 54, De Vito retired from concert appearances and from any violin playing at all. She also decided not to teach. Once while on holiday in Greece, she encountered Yehudi Menuhin on a beach and she agreed to play some duets with him at his villa. Unfortunately, when they arrived at the villa, Menuhin realised he did not have a spare violin with him, so the opportunity to resume playing did not materialize. However, she had recorded Viotti’s Duo in G with Menuhin in 1955 and they recorded Handel’s Trio Sonata in G minor with John Shinebourne, cello and Raymond Leppard, harpsichord. Both recordings are included Disc 41 of Menuhin – the Great EMI Recordings. Two years earlier Menuhin, de Vito and Shinebourne along with harpsichordist George Malcolm, recorded Handel’s Op.5/2 “Sonata for 2 Violins and Continuo in D” (Complete EMI Recordings, Korean issue from 2013). All of these works were recorded in EMI’s Abbey Road Studio No.3.
De Vito’s repertoire was small; it excluded most of the popular violin concertos written after the 19th century (for example, those by Elgar, Sibelius, Bartók, Berg, Bloch and Walton) – the sole exception being the Pizzetti concerto. Her particular favourites were “the three Bs” – Bach, Beethoven and Brahms. Her major recordings were issued in 1990 as The Art of Gioconda de Vito. They include the Bach Double Violin Concerto with Yehudi Menuhin, conducted by Anthony Bernard.
Private life
In 1949, de Vito married David Bicknell, an executive with EMI Records, and although she lived in Britain from 1951, her English was always rudimentary and she often required a translator. Bicknell died in 1988, and Gioconda de Vito died in 1994, aged 87.
Roma- Museo Galleria Borghese-“C’era una volta”è un percorso di approfondimento condotto dal personale del museo e dedicato al ciclo delle volte dipinte che inizia martedì 4 febbraio e termina venerdì 11 aprile 2025.L’iniziativa nasce per valorizzare lo straordinario lavoro di riqualificazione della villa promosso dal Principe Marcantonio IV Borghese alla fine del Settecento (1770-1800). Un lavoro straordinario, poco conosciuto, che vide una radicale ristrutturazione dell’edificio e l’aggiornamento della decorazione interna.
Roma- Museo Galleria Borghese
L’incarico fu affidato all’architetto Antonio Asprucci (1723-1808), di grande fama e talento, uno dei primi ad introdurre a Roma il Neoclassicismo come stile architettonico. Asprucci, che si avvalse della collaborazione di una rinomata equipe di artisti italiani e stranieri, tra cui Gavin Hamilton, Tommaso Conca, Mariano Rossi, il quadraturista Giovan Battista Marchetti e altri, concepì le superfici degli ambienti come scenari per i marmi antichi e moderni già presenti nell’edificio. Le pareti si rivestirono di policromie a stucco marmoreo, i bellissimi camini seicenteschi furono sostituiti con altri detti “alla francese”, addossati al muro e ornati di materiali preziosi, e le volte furono scompartite da eleganti quadrature architettoniche, con preziose cornici a stucco e al centro quadri il cui soggetto era in stretto dialogo con il capolavoro posto al centro. Tutto il ciclo decorativo delle volte assumeva un carattere descrittivo, destinato all’ospite della Villa Pinciana, e volto ad esaltare la famiglia Borghese e le antiche origini.
L’iniziativa è gratuita e la prenotazione è obbligatoria chiamando il numero: 06 67233755 (da lunedì a venerdì, dalle 14.00 alle 17.00).
Le visite si svolgono dal martedì al venerdì.
L’appuntamento è alle ore 14.30 presso il banco Informazioni del museo, situato accanto alla Biglietteria. Il percorso dura circa 40 minuti e prevede la visita delle sale I, II e III.
L’ingresso al museo non dà diritto alla visita delle altre sale.
Museo Galleria Borghese-Piazzale Scipione Borghese 5, 00197 Roma, Italia Tel. +39 068413979 mail. ga-bor@cultura.gov.it pec. ga-bor@pec.cultura.gov.it Per acquisto biglietti: +39 06 32810
Il Museo Galleria Borghese custodisce ed espone una collezione di sculture, bassorilievi e mosaici antichi, nonché dipinti e sculture dal XV al XIX secolo. Tra i capolavori della raccolta, il cui primo e più importante nucleo risale al collezionismo del cardinale Scipione (1579-1633), nipote di Papa Paolo V, ci sono opere di Caravaggio, Raffaello, Tiziano, Correggio, Antonello da Messina, Giovanni Bellini e le sculture di Gian Lorenzo Bernini e del Canova.
Le opere sono esposte nelle 20 sale affrescate che, insieme con il portico e il Salone di ingresso, costituiscono gli ambienti del Museo aperti al pubblico. Oltre 260 dipinti sono custoditi nei Depositi della Galleria Borghese, collocati sopra il piano della Pinacoteca e allestiti come una quadreria. I Depositi della Galleria Borghese sono visitabili su prenotazione.
Per ragioni di sicurezza legate alla conformazione dell’edificio storico, l’accesso al Museo è regolamentato in turni di visita di due ore l’uno, per un massimo di 360 persone ciascuno, con uscita obbligatoria a fine turno.
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