Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica –
Il 4 dicembre del 1975, a New York, muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. Nata da una famiglia ebrea, la Arendt studia filosofia con il teologo Rudolf Bultmann, Martin Heidegger all’università di Marburg.
Con Heiddeger, ricorda Rai cultura, «Arendt ha una relazione sentimentale segreta, scoprendo solo piuttosto tardi le simpatie naziste del filosofo, da cui si dissocia. Dopo aver chiuso questa relazione, la Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino».
La tesi è pubblicata nel 1929, ma alla Arendt, viste le sue origini, non viene concessa l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove vivrà fino al 1975, anno della sua morte. Tra le sue opere più note, “Le origini del totalitarismo”, “Ebraismo e modernità” e “La banalità del male”».
Sessant’anni fa, nel 1964, Feltrinelli pubblica in Italia La banalità del male –Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt.
«Il saggio – ricorda Elia Bosco sul sito della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana– fu scritto dopo la partecipazione della pensatrice politica, in qualità di giornalista, al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della cosiddetta “soluzione finale”, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, cui esito fu la pena di morte.
L’opera entrò a pieno titolo nella storia del pensiero del Novecento per la sua portata rivoluzionaria, che portò ad una inedita concezione delle categorie tradizionali di bene e di male.
Il concetto di banalità del male si mette in rapporto dialettico, nel pensiero della Arendt, con il concetto kantiano di radicalità del male, utilizzato dalla scrittrice nell’opera del ‘51 intitolata Le origini del totalitarismo. Sulle pagine del New Yorker, Hannah Arendt scrisse che il processo a Eichmann ha rovesciato completamente il tema del male come esso era stato presentato nel testo del 1951. Se in quell’opera i totalitarismi erano stati letti come conseguenza diretta del fallimento della democrazia e del pensiero critico, e piene manifestazioni del male assoluto e radicale, alla luce della macchina di sterminio industriale che Auschwitz rappresentò quella categoria non era più sufficiente per descrivere il dramma dei campi di sterminio e serviva dunque una rielaborazione concettuale».
Togliendoci qualsiasi appiglio metafisico, «che non di rado è stato utilizzato quale comoda uscita di sicurezza, e mettendoci in guardia dalla tentazione di estetizzare il male – scriveva nel 2015 Massimo Marottoli in un articolo su Riforma.it dal titolo Il doppio sguardo –sul film di M. Von Trotta, Arendt ci snida dalle menzogne in cui ci siamo appisolati; ci strappa di dosso gli alibi consolatori che preservano dal contatto diretto con il reale e ci chiama a responsabilità».
Breve biografia di Hannah Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover 1906 – New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciato una originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici e sociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg con Jaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavorò a Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti, dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruction. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago (dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il problema dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomo con gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitarianism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importanti analisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania nazista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgere dell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della società di massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cui principio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The human condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sfera pubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonista della vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo il modello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità del male come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli individui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi della rivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre libertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle funzioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). In polemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe come filo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronte all’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumi Pensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind (post. 1978; trad. it. La vita della mente).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
DESCRIZIONE del libro di Simone Pétrement-“La vita di Simone Weil”-Goffredo Fofi:”La Weil fu un personaggio singolare non solo nelle idee, fuori dai conformismi lo fu anche nella vita, o meglio nella rigorosa tensione a far coincidere vita e pensiero, a confrontare e legare il pensiero e l’esperienza. Dice la sua biografia: ‘Aveva il dono di irritare molti e a volte fino al furore, e… continua a irritare ancora’. Simone Pétrement fu sua amica, e ha pagato il debito all’amicizia, al ‘miracolo dell’amicizia’ così caro all’altra Simone, scrivendone una biografia bellissima, esemplare per onestà e precisione, per partecipe interrogazione sul senso e il mistero di una esperienza eccezionale” (Goffredo Fofi).
Biografia di Simone Weil (1909-1943) occupe une place tout à fait singulière dans l’histoire de la philosophie française contemporaine. Sans doute son acharnement à vivre en conformité absolue avec ses principes y est-il pour beaucoup et l’image de cette femme atteinte de tuberculose se laissant mourir, à Londres, en 1943, des privations qu’elle s’est imposées parce qu’elle n’est plus en état de combattre, illustre mieux qu’aucun autre de ses actes la nature de son engagement (physique autant que moral et intellectuel) du côté des pauvres, des démunis, des humiliés, des vaincus. Vérité et justice, tel est l’idéal qu’elle poursuit en véritable croisé. Elle le nourrira d’un travail intellectuel acharné et d’un engagement résolu dans tous les grands combats politiques de son temps : disciple d’Alain, agrégée de philosophie (1931), pénétrée des traditions chrétienne, grecque et hindoue, mais lectrice tout aussi éclairée des découvertes de la science moderne, elle s’établit comme ouvrière chez Alsthom puis Renault (1934-1935), s’engage aux côtés des combattants antifranquistes pendant la guerre d’Espagne (1936), se fait ouvrière agricole en 1941, avant de rejoindre la France libre en 1942-1943. Le destin exceptionnel de cette femme en quête d’absolu est ici raconté avec minutie et souci d’exactitude par quelqu’un qui l’a aimée et ne s’en cache guère. Son travail fait aujourd’hui référence.
ORTONA-Concorso Francesco Paolo Tosti 2024 -Vince il soprano Alessia Panza-
Ortona, 02 dicembre 2024 – Il soprano Alessia Panza, è la vincitrice della settima edizione del Concorso di canto Francesco Paolo Tosti. Ha conquistato anche il premio del Japan Tosti Institute.
La giuria del concorso, presieduta da Nazzareno Carusi (pianista e consigliere di amministrazione del Teatro e della Filarmonica della Scala) e composta da Carlo Fontana (presidente di Impresa Cultura Italia e già sovrintendente del Teatro alla Scala, Kaveh Daneshmand (musicista e fondatore di Toret Artist Management), Michele Gamba (direttore d’orchestra e pianista), Paola Leolini (soprano, docente di canto), Alberto Mattioli (critico musicale) ha poi assegnato il secondo posto a Romina Cicoli (soprano anche lei) e il terzo al baritono Shogo Mori. Il premio giovane “Francesco Samvitale” è andato a Simone Fenotti, il premio migliore aria d’opera a Kim Jihye, mezzosoprano. Non è stato assegnato il primo premio per i pianisti; al secondo posto si è classificato Carlo Martiniello e al terzo Kim Jihye.
Due giorni di selezioni, poi le semifinali e la grande serata finale hanno nuovamente trasformato Ortona nella capitale della musica vocale da camera, più conosciuta come romanza, di cui Tosti è stato autore sublime.
Un concorso particolare, per le alte qualità che vengono richieste nell’interpretazione di un repertorio complesso, che ha però avuto il riscontro di un’importante partecipazione sia da parte degli artisti che del pubblico.
“Una grande occasione anche per l’Abruzzo – sottolinea Remo Di Martino, presidente dell’Istituto Nazionale Tostiano di Ortona – che torna a celebrare uno dei suoi figli più illustri. Noi non siamo solo custodi della memoria di una figura artistica eccezionale, ma siamo i testimoni quotidiani della sua attualità. La qualità dei partecipanti al concorso di quest’anno, che torna dopo la sosta forzata del periodo di emergenza sanitaria, conferma che la musica vocale da camera è un patrimonio condiviso con la grande cultura internazionale. Abbiamo avuto concorrenti arrivati da Cina, Armenia, Grecia, Giappone, Cina Popolare, Russia, Sud Corea e Repubblica Ceca, oltre che da molte regioni italiane, tutti artisti che si sono confrontati con un repertorio che richiede solide doti interpretative. Sono giovani che hanno talento, studiano e coltivano un sogno e che ad Ortona hanno trovato l’opportunità di farsi ascoltare da una giuria molto qualificata. All’Istituto Tostiano resta l’orgoglio di aver lavorato in questi mesi per restituire all’Abruzzo un appuntamento di altissimo livello internazionale, che guarda al futuro, con quella fiducia che solo l’amore per l’arte può dare”.
“Spero che la bellissima finale di ieri sera – afferma il maestro Roberto Rupo, vicepresidente dell’Istituto Tostiano – sia l’inizio del rilancio di un’istituzione come l’Istituto Nazionale Tostiano che la città e chi l’amministra (e l’amministrerà) dovrebbe considerare un bene comune da preservare, un gioiello di famiglia del quale essere orgogliosi. Grazie alla prestigiosa giuria guidata dal Mº Nazzareno Carusi al quale va la più profonda riconoscenza mia e dell’istituzione che mi onoro di rappresentare”.
Aung San Suu Kyi -La Signora del “Paese delle mille Pagode”
Articolo dell’Ingegner Andrea Natile
Aung San Suu Kyi birmana di Yangon, nata nel 1945, era figlia del generale Aung San, uno dei principali esponenti politici birmani. Dopo aver negoziato l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu ucciso da alcuni avversari politici, lasciando la bambina di appena due anni.
Dopo la morte del marito, sua madre divenne una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960.
Aug San la seguì ovunque ed ebbe la possibilità di frequentare le migliori scuole indiane e successivamente quelle inglesi.
Ad Oxford, conseguì una prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia.
Poi continuò i suoi studi a New York, dove lavorò per le Nazioni Unite e dove incontrò il suo futuro marito, Michael Aris, studioso di cultura tibetana, che sposò nel 1971.
Ritornò in Birmania nel 1988 per accudire la madre gravemente malata.
Quell’anno la Birmania fu scossa da una rivolta che si estese a tutto il Paese. Fortemente influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi e dai precetti buddisti, Aung San Suu Kyi aderì alle proteste, e il suo primo atto fu una lettera aperta con cui chiese al governo la formazione di un comitato per preparare libere elezioni.
A Yangon, tenne un comizio alla Pagoda Shwedagon davanti a mezzo milione di persone, diventando subito un simbolo del movimento democratico nazionale.
Le proteste aumentarono, e il 18 settembre l’esercito mise in atto un colpo di Stato guidato da Saw Maung, un generale particolarmente vicino alle posizioni dell’ex dittatore Ne Win, che impose la legge marziale. I militari stroncarono le proteste con la violenza e ci furono circa 3 000 morti tra i dimostranti.
Nel suo primo comunicato, la nuova giunta militare annunciò la volontà di indire elezioni democratiche con il sistema multipartito.
In vista delle future elezioni, Aung San Suu Kyi, contribuì a fondare la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) e fu eletta segretario generale.
Malgrado la proibizione del regime, tenne diversi comizi in giro per il Paese. Poi il regime militare la confinò agli arresti domiciliari senza averla processata. In seguito le diede la possibilità di lasciare il Paese, ma Aung San Suu Kyi rifiutò la proposta di andarsene.
Il regime fissò per il maggio 1990 le elezioni generali, che videro la schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, la quale sarebbe quindi diventata primo ministro.
Ma i militari mantennero il potere con la forza, annullando il voto popolare.
Nel 1991 le fu assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero e l’anno successivo vinse il premio Nobel per la Pace, che si rifiutò di ritirare per non lasciare il paese cui non avrebbe più potuto fare ritorno.
Il premio fu ritirato dai suoi figli. Tutti i soldi del premio furono devoluti per costituire un sistema sanitario e di istruzione a favore del popolo birmano.
Gli arresti domiciliari le furono revocati nel 1995; rimase comunque in uno stato di semilibertà e non poté mai lasciare il Paese.
Nonostante le pressioni del governo statunitense, del segretario generale delle Nazioni Unite e di papa Giovanni Paolo II, ai suoi familiari non fu mai permesso di visitarla.
Al marito nel 1997 fu diagnosticato il cancro che lo uccise nel 1999.
Lei non potè andare neanche al suo funerale.
Sotto le pressioni internazionali, le misure restrittive furono allentate; ma, nel 2003, mentre si trovava su un convoglio con numerosi sostenitori dell’LND, alcune persone collegate ai militari tesero un agguato e massacrarono circa 70 attivisti
Lei riuscì a salvarsi solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento la sua salute andò peggiorando, tanto da richiedere interventi e ricoveri ospedalieri.
Finalmente il 13 novembre 2010 Aung San Suu Kyi fu liberata.
Il 16 giugno 2012 al ritiro del Nobel per la Pace che aveva vinto nel 1991, tenne un memorabile discorso.
“Onorati ospiti, membri dell’Accademia, miei compagni del popolo birmano,
Sono qui oggi a nome dei milioni di birmani che hanno sofferto per decenni sotto un regime oppressivo. Sono qui a nome dei prigionieri politici che sono ancora detenuti nelle carceri birmane, che sono ancora perseguitati per le loro idee e le loro convinzioni. Sono qui a nome dei poveri, dei diseredati e dei malati che lottano ogni giorno per sopravvivere in un paese che è stato devastato dalla corruzione e dalla violenza…”
Negli ultimi tempi però, sulla testa di Aung San, nel panorama internazionale dell’opinione pubblica, si sono addensate delle nubi.
Per motivi di realpolitik non ha mai voluto condannare esplicitamente il comportamento dei militari che tuttora sono al potere.
La questione riguarda la persecuzione dei rohingya, una minoranza etnica di quasi un milione di persone, 700.000 dei quali sono dovuti scappare nel vicino Bangladesh, in Thailandia, Malesia e Indonesia, bersagliati da attacchi dell’esercito e dai fondamentalisti buddisti.
La situazione è controversa, in quel paese la realtà religiosa è complessa, è un paese con religione di stato buddista.
SINOSSI- Il libro Tullia Romagnoli Carettoni nell’Italia repubblicana-è stata partigiana, insegnante, funzionaria dell’Udi, dirigente socialista, senatrice dapprima con il Psi poi con la Sinistra indipendente, figura di spicco in vari organismi nazionali e internazionali. La sua biografia permette di ripercorrere i primi tre decenni della storia repubblicana: la transizione postfascista, il miracolo economico, le riforme mancate e quelle varate dal centro-sinistra, le battaglie per i diritti civili degli anni Settanta; ma anche la Guerra fredda, il processo di decolonizzazione, il movimento internazionale delle donne. A partire dal suo archivio personale, il volume restituisce il profilo di una “socialista autonoma” che, in Italia e nel mondo, si è battuta per intrecciare universalismo e differenze.
In copertina: Tullia Carettoni, da poco eletta senatrice del Psi (1963 ca). AUFN, TRC/I, busta 38, fasc. 1.
INDICE
Introduzione
1. Storia politica, questioni di genere, biografia
2. Costruire un archivio, costruire una memoria: il fondo Tullia Romagnoli Carettoni
3. Attraverso le sue carte: una lunga transizione postfascista
1. Tra le giovani donne della nuova Repubblica
1. Da Tullia Romagnoli a Tullia Carettoni
2. Partigiana combattente
3. «Tornata a valle», la Resistenza continua
4. Con Rodolfo Siviero: il recupero delle opere d’arte trafugate
5. Scuola e famiglia: l’impegno nell’Udi
6. «Candidata della pace» alle elezioni del 1948
7. Il “pellegrinaggio politico” in Urss e in Cina
8. Gli anni Cinquanta: tra modernità e tradizione
2. Nella stanza dei bottoni
1. Napoli, 1959. Nella Direzione del Psi
2. Dalla Scuola al Movimento femminile socialista
3. La “questione femminile” negli anni del centro-sinistra
4. Nel salotto delle Tribune politiche
5. 1963: l’ingresso a Palazzo Madama
6. Verso la stagione dei diritti civili
7. La Commissione Franceschini per i beni culturali
3. “Socialista autonoma” nella Sinistra indipendente
1. Conflittualità sociale e immobilismo parlamentare: l’uscita dal Psi
2. Una scuola per l’infanzia
3. Con Parri, per l’unità delle sinistre
4. Dagli Affari esteri alla Vicepresidenza del Senato
4. Nel mondo. I diritti umani
1. Contro la “guerra americana”: l’Issoco e il Comitato Italia-Vietnam
2. La tutela internazionale dei diritti umani: America Latina, Africa e Medioriente
3. L’Italia, la Cee e i paesi fascisti europei
4. Sulla linea della distensione
5. 1975: Anno internazionale della donna
5. In Italia. I diritti civili
1. In difesa del divorzio
2. La “lex Tullia” antireferendum
3. La riforma di famiglia e la “legge per le divorziate”
4. Aborto: problemi e leggi
5. Per il controllo delle nascite
6. Una legge «ipocrita ma necessaria»: la 194/1978
6. Per l’abrogazione della causa d’onore
1. 25 aprile 1976: il contributo della Resistenza alla libertà femminile
2. La protezione sotto attacco
3. La tutela dell’uguaglianza nel ddl 4/1976
4. Lo smantellamento della proposta
5. Il dibattito su delitto d’onore e matrimonio riparatore
6. L’infanticidio per causa d’onore
7. «Un gioco perfido di contro luci»
8. La legge 442/1981
Epilogo
1. Al Parlamento europeo (1979-1984)
2. La Presidenza dell’Istituto italo-africano (1980-1996)
3. All’Unesco (1984-2005)
4. Attraverso i confini
Indice dei nomi
AUTORE–Paola Stelliferi ha insegnato Storia delle donne e di genere all’Università degli Studi di Padova ed è stata assegnista di ricerca all’Università degli Studi Roma Tre. Fa parte della Società italiana delle storiche, per la quale è stata membro del consiglio direttivo nazionale. È autrice di Il femminismo a Roma negli anni Settanta. Percorsi, esperienze e memorie dei collettivi di quartiere (Bup, 2015), di saggi di ricerca sulla storia dell’aborto nell’Italia repubblicana e sulla storia e la memoria dei femminismi.
EDITORE
Viella Libreria Editrice
Via delle Alpi 32 – 00198 Roma Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
La sua vita, caratterizzata dall’inquietudine e dalla nevrosi, finì con il suicidio a 38 anni.
Le sue poesie, dimenticate per anni, corrono sul filo dell’ironia e di una voluta semplicità.
Sara Teasdale nacque l’8 agosto 1884. Sua madre era Mary Elizabeth Willard e suo padre John Warren Teasdale. Era la figlia minore di una famiglia di due fratelli e una sorella.
Sara era di costituzione fragile e fu spesso ammalata. Visse pertanto protetta in seno alla sua famiglia fino all’età di nove anni sviluppando un mondo immaginario all’interno del suo universo solitario. A 10 anni i suoi genitori infine decisero di permetterle di uscire e di entrare in contatto con l’esterno. Solo all’età di 14 anni stette abbastanza bene per iniziare la scuola ma non ottenne alcun diploma.
La prima poesia della Teasdale fu pubblicata sul Reedy’s Mirror, un giornale locale, nel 1907. La sua prima raccolta di poesie, “Sonetti e altre poesie”, fu pubblicata quello stesso anno. La seconda raccolta di poesie, “Elena di Troia e altre poesie”, fu pubblicata nel 1911. Furono bene accolte dalla critica, che ne elogiò la maestria lirica e il soggetto romantico.
Negli anni 1911-1914, la Teasdale fu corteggiata da alcuni uomini, tra cui il poeta Vachel Lindsay, che era molto innamorato di lei. Tuttavia, non avendo la sensazione che egli le avrebbe potuto garantire una sufficiente tranquillità economica e stabilità familiare, la Teasdale preferì invece sposare Ernst Filsinger, che era stato un ammiratore della sua poesia per un certo numero di anni, il 19 dicembre 1914.
La terza raccolta di poesie della Teasdale, “Fiumi verso il mare”, fu pubblicata nel 1915 e fu un best seller, ristampato più volte. Un anno dopo, nel 1916 si trasferì a New York con suo marito, dove risiedettero in un appartamento dell’Upper West Side di Central Park West.
Nel 1918, la sua raccolta di poesie “Love Songs” (uscita nel 1917) vinse tre premi: il premio di Poesia della il Premio Pulitzer 1918 per la poesia e il premio annuale della Società di Poesia d’America.
Ernst Filsinger era spesso via di casa a lungo per affari la qual cosa causò molta solitudine per la Teasdale. Nel 1929, la Teasdale si trasferì in Missouri per tre mesi in modo da soddisfare i criteri per ottenere il divorzio. Di questo non volle informare Filsinger e lo fece solo su insistenza dei suoi avvocati. La cosa scioccò e sorprese Filsinger.
Dopo il divorzio, la Teasdale ritornò a New York City, andando ad abitare a soli due isolati di distanza dalla sua vecchia casa in Central Park West. Tuttavia ne approfittò per riprendere la sua amicizia con Vachel Lindsay, che era ormai sposato con figli.
Nel 1933, si suicidò con un’overdose di sonniferi. Il suo amico Vachel Lindsay si era suicidato due anni prima. È sepolta nel cimitero di Bellefontaine a St. Louis.
NOTTE DI GIUGNO
*
Oh Terra, quanto sei cara stanotte,
Come posso dormire mentre intorno
Aleggia odore di pioggia e lontano
La voce dell’oceano parla alla spiaggia.
Terra, mi hai dato tutto quel che ho,
Ti amo, ti amo, oh che cosa ho
Io che possa darti in cambio — se non
Il mio corpo dopo che sarò morta?
A Song To Eleonora Duse In “Francesca da Rimini “
Oh would I were the roses, that lie against her hands,
The heavy burning roses she touches as she stands!
Dear hands that hold the roses, where mine would love to be,
Oh leave, oh leave the roses, and hold the hands of me!
She draws the heart from out them, she draws away their breath,—
Oh would that I might perish and find so sweet a death!
A November Night
There! See the line of lights,
A chain of stars down either side the street —
Why can’t you lift the chain and give it to me,
A necklace for my throat? I’d twist it round
And you could play with it. You smile at me
As though I were a little dreamy child
Behind whose eyes the fairies live. . . . And see,
The people on the street look up at us
All envious. We are a king and queen,
Our royal carriage is a motor bus,
We watch our subjects with a haughty joy. . . .
How still you are! Have you been hard at work
And are you tired to-night? It is so long
Since I have seen you — four whole days, I think.
My heart is crowded full of foolish thoughts
Like early flowers in an April meadow,
And I must give them to you, all of them,
Before they fade. The people I have met,
The play I saw, the trivial, shifting things
That loom too big or shrink too little, shadows
That hurry, gesturing along a wall,
Haunting or gay — and yet they all grow real
And take their proper size here in my heart
When you have seen them. . . . There’s the Plaza now,
A lake of light! To-night it almost seems
That all the lights are gathered in your eyes,
Drawn somehow toward you. See the open park
Lying below us with a million lamps
Scattered in wise disorder like the stars.
We look down on them as God must look down
On constellations floating under Him
Tangled in clouds. . . . Come, then, and let us walk
Since we have reached the park. It is our garden,
All black and blossomless this winter night,
But we bring April with us, you and I;
We set the whole world on the trail of spring.
I think that every path we ever took
Has marked our footprints in mysterious fire,
Delicate gold that only fairies see.
When they wake up at dawn in hollow tree-trunks
And come out on the drowsy park, they look
Along the empty paths and say, “Oh, here
They went, and here, and here, and here! Come, see,
Here is their bench, take hands and let us dance
About it in a windy ring and make
A circle round it only they can cross
When they come back again!” . . . Look at the lake —
Do you remember how we watched the swans
That night in late October while they slept?
Swans must have stately dreams, I think. But now
The lake bears only thin reflected lights
That shake a little. How I long to take
One from the cold black water — new-made gold
To give you in your hand! And see, and see,
There is a star, deep in the lake, a star!
Oh, dimmer than a pearl — if you stoop down
Your hand could almost reach it up to me. . . .
There was a new frail yellow moon to-night —
I wish you could have had it for a cup
With stars like dew to fill it to the brim. . . .
How cold it is! Even the lights are cold;
They have put shawls of fog around them, see!
What if the air should grow so dimly white
That we would lose our way along the paths
Made new by walls of moving mist receding
The more we follow. . . . What a silver night!
That was our bench the time you said to me
The long new poem — but how different now,
How eerie with the curtain of the fog
Making it strange to all the friendly trees!
There is no wind, and yet great curving scrolls
Carve themselves, ever changing, in the mist.
Walk on a little, let me stand here watching
To see you, too, grown strange to me and far. . . .
I used to wonder how the park would be
If one night we could have it all alone —
No lovers with close arm-encircled waists
To whisper and break in upon our dreams.
And now we have it! Every wish comes true!
We are alone now in a fleecy world;
Even the stars have gone. We two alone!
“I Know The Stars”
I KNOW the stars by their names,
Aldebaran, Altair,
And I know the path they take
Up heaven’s broad blue stair.
I know the secrets of men
By the look of their eyes,
Their gray thoughts, their strange thoughts
Have made me sad and wise.
But your eyes are dark to me
Though they seem to call and call—
I cannot tell if you love me
Or do not love me at all.
I know many things,
But the years come and go,
I shall die not knowing
The thing I long to know.
“If I Must Go”
IF I must go to heaven’s end
Climbing the ages like a stair,
Be near me and forever bend
With the same eyes above me there;
Time will fly past us like leaves flying,
We shall not heed, for we shall be
Beyond living, beyond dying,
Knowing and known unchangeably.
A Ballad Of The Two Knights
Two knights rode forth at early dawn
A-seeking maids to wed,
Said one, “My lady must be fair,
With gold hair on her head.”
Then spake the other knight-at-arms:
“I care not for her face,
But she I love must be a dove
For purity and grace.”
And each knight blew upon his horn
And went his separate way,
And each knight found a lady-love
Before the fall of day.
But she was brown who should have had
The shining yellow hair —
I ween the knights forgot their words
Or else they ceased to care.
For he who wanted purity
Brought home a wanton wild,
And when each saw the other knight
I ween that each knight smiled.
A Boy
OUT of the noise of tired people working,
Harried with thoughts of war and lists of dead,
His beauty met me like a fresh wind blowing,
Clean boyish beauty and high-held head.
Eyes that told secrets, lips that would not tell them,
Fearless and shy the young unwearied eyes—
Men die by millions now, because God blunders,
Yet to have made this boy he must be wise.
A Cry
Oh, there are eyes that he can see,
And hands to make his hands rejoice,
But to my lover I must be
Only a voice.
Oh, there are breasts to bear his head,
And lips whereon his lips can lie,
But I must be till I am dead
Only a cry.
Her voice is like clear water
That drips upon a stone
In forests far and silent
Where Quiet plays alone.
Her thoughts are like the lotus
Abloom by sacred streams
Beneath the temple arches
Where Quiet sits and dreams.
Her kisses are the roses
That glow while dusk is deep
In Persian garden closes
Where Quiet falls asleep.
A Little While
A little while when I am gone
My life will live in music after me,
As spun foam lifted and borne on
After the wave is lost in the full sea.
A while these nights and days will burn
In song with the bright frailty of foam,
Living in light before they turn
Back to the nothingness that is their home.
A Maiden
Oh if I were the velvet rose
Upon the red rose vine,
I’d climb to touch his window
And make his casement fine.
And if I were the little bird
That twitters on the tree,
All day I’d sing my love for him
Till he should harken me.
But since I am a maiden
I go with downcast eyes,
And he will never hear the songs
That he has turned to sighs.
And since I am a maiden
My love will never know
That I could kiss him with a mouth
More red than roses blow.
A Song Of The Princess
The princess has her lovers,
A score of knights has she,
And each can sing a madrigal,
And praise her gracefully.
But Love that is so bitter
Hath put within her heart
A longing for the scornful knight
Who silent stands apart.
And tho’ the others praise and plead,
She maketh no reply,
Yet for a single word from him,
I ween that she would die.
A Maiden
Oh if I were the velvet rose
Upon the red rose vine,
I’d climb to touch his window
And make his casement fine.
And if I were the little bird
That twitters on the tree,
All day I’d sing my love for him
Till he should harken me.
But since I am a maiden
I go with downcast eyes,
And he will never hear the songs
That he has turned to sighs.
And since I am a maiden
My love will never know
That I could kiss him with a mouth
More red than roses blow.
A Minuet Of Mozart’s
Across the dimly lighted room
The violin drew wefts of sound,
Airily they wove and wound
And glimmered gold against the gloom.
I watched the music turn to light,
But at the pausing of the bow,
The web was broken and the glow
Was drowned within the wave of night.
A Prayer
When I am dying, let me know
That I loved the blowing snow
Although it stung like whips;
That I loved all lovely things
And I tried to take their stings
With gay unembittered lips;
That I loved with all my strength,
To my soul’s full depth and length,
Careless if my heart must break,
That I sang as children sing
Fitting tunes to everything,
Loving life for its own sake.
A Winter Bluejay
Crisply the bright snow whispered,
Crunching beneath our feet;
Behind us as we walked along the parkway,
Our shadows danced,
Fantastic shapes in vivid blue.
Across the lake the skaters
Flew to and fro,
With sharp turns weaving
A frail invisible net.
In ecstasy the earth
Drank the silver sunlight;
In ecstasy the skaters
Drank the wine of speed;
In ecstasy we laughed
Drinking the wine of love.
Had not the music of our joy
Sounded its highest note?
But no,
For suddenly, with lifted eyes you said,
“Oh look!”
There, on the black bough of a snow flecked maple,
Fearless and gay as our love,
A bluejay cocked his crest!
Oh who can tell the range of joy
Or set the bounds of beauty?
A Winter Night
My window-pane is starred with frost,
The world is bitter cold to-night,
The moon is cruel, and the wind
Is like a two-edged sword to smite.
God pity all the homeless ones,
The beggars pacing to and fro.
God pity all the poor to-night
Who walk the lamp-lit streets of snow.
My room is like a bit of June,
Warm and close-curtained fold on fold,
But somewhere, like a homeless child,
My heart is crying in the cold.
Advice To A Girl
No one worth possessing
Can be quite possessed;
Lay that on your heart,
My young angry dear;
This truth, this hard and precious stone,
Lay it on your hot cheek,
Let it hide your tear.
Hold it like a crystal
When you are alone
And gaze in the depths of the icy stone.
Long, look long and you will be blessed:
No one worth possessing
Can be quite possessed.
After Death
Now while my lips are living
Their words must stay unsaid,
And will my soul remember
To speak when I am dead?
Yet if my soul remembered
You would not heed it, dear,
For now you must not listen,
And then you could not hear.
After Parting
Oh I have sown my love so wide
That he will find it everywhere;
It will awake him in the night,
It will enfold him in the air.
I set my shadow in his sight
And I have winged it with desire,
That it may be a cloud by day
And in the night a shaft of fire.
Alchemy
I lift my heart as spring lifts up
A yellow daisy to the rain;
My heart will be a lovely cup
Altho’ it holds but pain.
For I shall learn from flower and leaf
That color every drop they hold,
To change the lifeless wine of grief
To living gold.
Alone
I am alone, in spite of love,
In spite of all I take and give—
In spite of all your tenderness,
Sometimes I am not glad to live.
I am alone, as though I stood
On the highest peak of the tired gray world,
About me only swirling snow,
Above me, endless space unfurled;
With earth hidden and heaven hidden,
And only my own spirit’s pride
To keep me from the peace of those
Who are not lonely, having died.
Anadyomene
The wide, bright temple of the world I found,
And entered from the dizzy infinite
That I might kneel and worship thee in it;
Leaving the singing stars their ceaseless round
Of silver music sound on orbed sound,
For measured spaces where the shrines are lit,
And men with wisdom or with little wit
Implore the gods that mercy may abound.
Ah, Aphrodite, was it not from thee
My summons came across the endless spaces?
Mother of Love, turn not thy face from me
Now that I seek for thee in human faces;
Answer my prayer or set my spirit free
Again to drift along the starry places.
April
The roofs are shining from the rain.
The sparrows tritter as they fly,
And with a windy April grace
The little clouds go by.
Yet the back-yards are bare and brown
With only one unchanging tree—
I could not be so sure of Spring
Save that it sings in me.
April Song
Willow in your April gown
Delicate and gleaming,
Do you mind in years gone by
All my dreaming?
Spring was like a call to me
That I could not answer,
I was chained to loneliness,
I, the dancer.
Willow, twinkling in the sun,
Still your leaves and hear me,
I can answer spring at last,
Love is near me!
Arcturus
ARCTURUS brings the spring back
As surely now as when
He rose on eastern islands
For Grecian girls and men;
The twilight is as clear a blue,
The star as shaken and as bright,
And the same thought he gave to them
He gives to me to-night.
At Midnight
Now at last I have come to see what life is,
Nothing is ever ended, everything only begun,
And the brave victories that seem so splendid
Are never really won.
Even love that I built my spirit’s house for,
Comes like a brooding and a baffled guest,
And music and men’s praise and even laughter
Are not so good as rest.
Day And Night
IN Warsaw in Poland
Half the world away,
The one I love best of all
Thought of me to-day;
I know, for I went
Winged as a bird,
In the wide flowing wind
His own voice I heard;
His arms were round me
In a ferny place,
I looked in the pool
And there was his face—
But now it is night
And the cold stars say:
“Warsaw in Poland
Is half the world away.”
The Inn Of Earth
I came to the crowded Inn of Earth,
And called for a cup of wine,
But the Host went by with averted eye
From a thirst as keen as mine.
Then I sat down with weariness
And asked a bit of bread,
But the Host went by with averted eye
And never a word he said.
While always from the outer night
The waiting souls came in
With stifled cries of sharp surprise
At all the light and din.
“Then give me a bed to sleep,” I said,
“For midnight comes apace”—
But the Host went by with averted eye
And I never saw his face.
“Since there is neither food nor rest,
I go where I fared before”—
But the Host went by with averted eye
And barred the outer door.
Biografia
Sara Teasdale nacque l’8 agosto 1884. Sua madre era Mary Elizabeth Willard e suo padre John Warren Teasdale. Era la figlia minore di una famiglia di due fratelli e una sorella.
Sara era di costituzione fragile e fu spesso ammalata. Visse pertanto protetta in seno alla sua famiglia fino all’età di nove anni sviluppando un mondo immaginario all’interno del suo universo solitario. A 10 anni i suoi genitori infine decisero di permetterle di uscire e di entrare in contatto con l’esterno. Solo all’età di 14 anni stette abbastanza bene per iniziare la scuola ma non ottenne alcun diploma.
La prima poesia della Teasdale fu pubblicata sul Reedy’s Mirror, un giornale locale, nel 1907. La sua prima raccolta di poesie, “Sonetti e altre poesie”, fu pubblicata quello stesso anno. La seconda raccolta di poesie, “Elena di Troia e altre poesie”, fu pubblicata nel 1911. Furono bene accolte dalla critica, che ne elogiò la maestria lirica e il soggetto romantico.
Negli anni 1911-1914, la Teasdale fu corteggiata da alcuni uomini, tra cui il poeta Vachel Lindsay, che era molto innamorato di lei. Tuttavia, non avendo la sensazione che egli le avrebbe potuto garantire una sufficiente tranquillità economica e stabilità familiare, la Teasdale preferì invece sposare Ernst Filsinger, che era stato un ammiratore della sua poesia per un certo numero di anni, il 19 dicembre 1914.
La terza raccolta di poesie della Teasdale, “Fiumi verso il mare”, fu pubblicata nel 1915 e fu un best seller, ristampato più volte. Un anno dopo, nel 1916 si trasferì a New York con suo marito, dove risiedettero in un appartamento dell’Upper West Side di Central Park West.
Nel 1918, la sua raccolta di poesie “Love Songs” (uscita nel 1917) vinse tre premi: il premio di Poesia della il Premio Pulitzer 1918 per la poesia e il premio annuale della Società di Poesia d’America.
Ernst Filsinger era spesso via di casa a lungo per affari la qual cosa causò molta solitudine per la Teasdale. Nel 1929, la Teasdale si trasferì in Missouri per tre mesi in modo da soddisfare i criteri per ottenere il divorzio. Di questo non volle informare Filsinger e lo fece solo su insistenza dei suoi avvocati. La cosa scioccò e sorprese Filsinger.
Dopo il divorzio, la Teasdale ritornò a New York City, andando ad abitare a soli due isolati di distanza dalla sua vecchia casa in Central Park West. Tuttavia ne approfittò per riprendere la sua amicizia con Vachel Lindsay, che era ormai sposato con figli.
Nel 1933, si suicidò con un’overdose di sonniferi. Il suo amico Vachel Lindsay si era suicidato due anni prima. È sepolta nel cimitero di Bellefontaine a St. Louis.
Influenze
La poesia “Verranno le dolci piogge” della sua raccolta “Fiamma e Ombre” del 1920 ispirò una famosa storia breve con lo stesso nome di Ray Bradbury.
(EN)
«There will come soft rains and the smell of the ground,
and swallows circling with their shimmering sound;
and frogs in the pools singing at night,
and wild plum trees in tremulous white;
robins will wear their feathery fire,
whistling their whims on a low fence-wire;
and not one will know of the war,
not one will care at last when it is done;
not one would mind,
neither bird nor tree,
if mankind perished utterly;
and Spring herself, when she woke at dawn,
would scarcely know that we were gone.»
(IT)
«Verranno le dolci piogge e l’odore di terra,
e le rondini che volano in circolo con le loro strida scintillanti;
e le rane negli stagni che cantano di notte,
e gli alberi di susino selvatico che fremono di bianco;
i pettirosso vestiranno il loro piumaggio infuocato,
fischiettando le loro fantasie su una bassa recinzione in rete metallica;
e nessuno saprà della guerra,
nessuno presterà attenzione infine quando sarà avvenuto;
nessuno baderebbe,
né uccello né albero,
se l’umanità scomparisse completamente;
e la Primavera stessa, al suo risveglio all’alba,
si renderebbe conto appena che noi ce ne siamo andati.»
I poemi di Teasdale “La Nuova Luna”, “Solo nel Sonno” e “Stelle”, divennero pièce corali di Ēriks Ešenvalds, compositore lettone, per Musica Baltica. “Stelle” è divenuto molto famoso per l’uso di bicchieri di cristallo per ottenere il suono calmante delle “stelle”.[1][2]
Nel 1994, fu accolta nella St. Louis Walk of Fame.
Nel 2010, le opere di Sara Teasdale sono state per la prima volta pubblicate in Italia, con la traduzione di Silvio Raffo.
Il trattato dal titolo “David Maria Turoldo, il Resistente”, a cura di Guerino Dalola, in collaborazione con Donatella Rocco, Antonio Santini, Mino Facchetti, Pierino Massetti, Gian Franco Campodonico e di ANPI Franciacorta, consiste in un importante saggio autoprodotto con il patrocinio di vari enti e associazioni, tra cui la Città di Chiari, il Comune di Coccaglio, il Comune di Cologne, i Servi di Maria – provincia di Lombardia e Veneto e l’associazione Gervasio Pagani.
Padre David Maria Turoldo è un frate morto nel 1992. Su padre David Maria Turoldo, che fu poeta, filosofo, sacerdote, autore, traduttore, fondatore di riviste e giornali, sono stati pubblicati centinaia di libri e documenti, ma senza dare ampia notizia sulla sua partecipazione alla Resistenza del 1943-45 contro il nazifascismo. Padre David Maria Turoldo è stato un grande Resistente a Milano, ma era in contatto anche con la Resistenza bresciana, soprattutto nella zona della Franciacorta.
Secondo Turoldo la figura del Partigiano riveste certamente una eccezionale e fondamentale importanza, ma in uno specifico momento e in una determinata situazione. Invece, sempre secondo Turoldo, essere Resistente è una scelta di vita che non può verificarsi solo in un determinato tempo e in uno spazio contingente. La Resistenza, i Resistenti attuano un impegno quotidiano, da realizzarsi nel percorso di ogni giorno, senza distrazioni, nel corso di una intera esistenza. La liberazione autentica dell’umanità, oltre che dal nazifascismo e dalle dittature, richiede una militanza, una acribia nel tempo, un impegno molto più profondo sul piano culturale, relazionale, politico, sociale, familiare. L’impegno del Resistente non ha fine e scadenze, perché la libertà non si rinnova da sola, ma deve essere sempre riconquistata con l’impegno di ognuno di noi. Infatti la Resistenza non è mai finita.
Turoldo non ha mai voluto schierarsi con nessun partito politico, perché, lui stesso spiegherà, la libertà, la costruzione di un mondo migliore, i diritti delle persone, la solidarietà, il progresso alternativo che non è tale se non è per tutti, il soccorso a chi vive nell’indigenza, a chi vive nelle difficoltà, a chi vive nel bisogno, il rispetto di tutte le fedi politiche e religiose, non sono istanze appartenenti all’uno o all’altro schieramento partitico, ma sono valori appartenenti alla nostra comune umanità.
Per il Resistente il vero campo di lotta è la normalità, la testimonianza, non solo con le parole, ma con esempi di vita. Il Resistente non è solo antifascista. La vera scelta del Resistente è un’alternativa totale, a favore di una società, di un contesto sociale, completamente diversi, per una nuova presente e futura umanità, perché la pace non è solo mancanza di guerra, ma è nonviolenza, è costruzione di convivenza solidale e fraterna.
Le esperienze di Turoldo furono molteplici come Partigiano in una delle vicende più importanti della sua vita: la Resistenza. Ma le fonti storiche non danno ricostruzione storiografica editata di ampio respiro di padre Turoldo per la sua attività nella lotta di Liberazione nazionale e per il contributo notevole che ha offerto nella ricostruzione morale e materiale del nostro Paese. “Una lacuna nella storia del pensiero democratico e antifascista di impronta cattolica alla quale bisognerebbe pensare di porre rimedio”, così scrive Aldo Aniasi, comandante partigiano, assessore e sindaco di Milano, deputato e ministro socialista e presidente della FIAP federazione italiana associazioni partigiane. Scrive sempre Aldo Aniasi, che come uomo della Resistenza padre Turoldo privilegiò sempre una scelta unitaria, lo spirito unitario della Resistenza, lo spirito dell’unità antifascista. Intrattenne rapporti con comunisti, socialisti, azionisti e incontrava personaggi come Eugenio Curiel, Rossana Rossanda e altri importanti dirigenti della sinistra.
Uno dei risultati più significativi dell’intero lavoro di confronto e dialogo realizzato nel convento di San Carlo a Milano per iniziativa di padre Turoldo e padre De Piaz è la nascita e la diffusione – soprattutto da parte di Teresio Olivelli, Claudio Sartori ed altri collaboratori bresciani – del giornale clandestino antifascista “Il ribelle”. Anche la predicazione in Duomo su incarico del Cardinale Schuster diventa espressione della Resistenza di padre Turoldo. Appena dopo la Liberazione del 25 Aprile 1945, saranno ventinove i Lager visitati da padre Turoldo alla ricerca di sopravvissuti e riuscirà a riportare in salvo a casa circa duecento prigionieri. Scrive Turoldo “Una sola possibilità affinché non si ripeta quanto è avvenuto: ricordare e capire, far ricordare e far capire… Così ho visto la sola Europa possibile, quella della solidarietà dei sopravvissuti”. Scrive Ernesto Balducci “Il grande dono di David è di essere nato povero, in mezzo ai poveri, agli ultimi… David è rimasto un povero. I poveri sono fuori del perimetro della storia”. In occasione degli appositi referendum, padre Turoldo vota contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto, perché i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va spiegata e proposta, mai imposta con una legge. Nella primavera del 1978, padre Turoldo, insieme al confratello De Piaz, avvia una trattativa con le Brigate Rosse, per la liberazione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. L’iniziativa a cui partecipa anche il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, viene bloccata dall’opposizione delle autorità ecclesiastiche.
La Corsia dei Servi e Nomadelfia furono le iniziative più care sia a Turoldo sia a padre De Piaz, basate su concetti di primaria importanza: tanto la fede che le scelte politiche diventano operative e efficaci solo nell’ambito di una cultura che permetta di uscire dall’inerzia di una fede accolta solo per tradizione e pregiudizio, per tentare invece una rigenerazione dalla vera cultura con maggior impulso possibile.
Invitato a un congresso sul disarmo nel febbraio 1978, Turoldo ebbe l’occasione di incontrare Carlo Cassola, che lo invitò al convegno nazionale della LDU- Lega per il Disarmo Unilaterale. Gli aderenti attuali della Lega per il Disarmo Unilaterale sotto la sigla “Disarmisti Esigenti” stanno lavorando all’interno della campagna ICAN – International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e con molte altre associazioni del panorama italiano affiliate a ICAN, tra cui anche PeaceLink- Telematica per la Pace, alla ratifica del trattato ONU, il TPAN, per la proibizione delle armi nucleari, varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata in ICAN. ICAN grazie alla costituzione del trattato Onu per l’abolizione delle armi nucleari è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017. E poi ricordiamo la Salmodia della Speranza che attraversa la drammatica esperienza dell’Europa prima e durante la Seconda Guerra Mondiale: il trionfo dei dittatori, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i grandi massacri, i Lager, Hiroshima e Nagasaki, la Resistenza. Per una Chiesa che accoglie i diversi, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, le vittime di cui tutti siamo parte nel contesto sociale, comunitario, culturale e nel mondo, nel terribile deserto della sopraffazione e della violenza dove tante voci chiedono libertà, giustizia e verità per tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire.
Laura Tussi – PeaceLink, Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” Fabrizio Cracolici – ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)
Biografia di David Maria Turoldo nasce il 22 novembre del 1916 a Coderno, in Friuli, nono di dieci fratelli. Nato come Giuseppe Turoldo, a tredici anni entra nel convento di Santa Maria al Cengio per far parte dei Servi di Maria, a Isola Vicentina, là dove si trova la sede del Triveneto della Casa di Formazione dell’Ordine Servita. È qui che trascorre l’anno di noviziato; dopo avere assunto il nome di fra’ David Maria, emette la professione religiosa il 2 agosto del 1935. Nell’ottobre del 1938 pronuncia i voti solenni a Vicenza.
Gli studi accademici
Intrapresi gli studi di teologia e di filosofia a Venezia, nell’estate del 1940 Turoldo viene ordinato presbitero nel santuario della Madonna di Monte Berico dall’arcivescovo di Vicenza ,monsignor Ferdinando Rodolfi. Nello stesso anno viene inviato a Milano, al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso.
Per circa un decennio si occupa di tenere la predicazione della domenica in Duomo, su invito dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, mentre insieme con il suo confratello Camillo de Piaz, compagno di studi nell’Ordine dei Servi, si iscrive all’Università Cattolica di Milano. Qui David Maria Turoldo si laurea l’11 novembre del 1946 in filosofia con una tesi intitolata “La fatica della ragione – Contributo per un’ontologia dell’uomo”, con il professor Gustavo Bontadini. Quest’ultimo successivamente gli propone di diventare suo assistente presso la cattedra di Filosofia Teoretica. Anche Carlo Bo gli offre un ruolo come assistente, ma per l’Università di Urbino, cattedra di Letteratura.
Dopo aver collaborato in modo attivo con la resistenza antifascista in occasione dell’occupazione nazista di Milano, David Maria Turoldo dà vita al centro culturale Corsia dei Servi e sostiene il progetto del villaggio Nomadelfia fondato nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini.
David Maria Turoldo negli anni ’50
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta pubblica la raccolta di liriche “Io non ho mani”, con cui si aggiudica il Premio letterario Saint Vincent, e l’opera “Gli occhi miei lo vedranno”, proposta nella collana Lo Specchio di Mondadori.
Nel 1953 Turoldo è costretto a lasciare Milano, e si trasferisce prima in Austria e poi in Baviera, dove soggiorna presso i conventi dei Servi locali. Nel 1955 viene trasferito a Firenze, al convento della Santissima Annunziata, dove ha modo di conoscere il sindaco Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci.
Obbligato ad andare via anche dal capoluogo toscano, dopo un periodo di peregrinazioni lontano dall’Italia torna in patria e viene assegnato a Udine, al convento di Santa Maria delle Grazie. Nel frattempo si dedica alla realizzazione di un film, con la regia di Vito Pandolfi, intitolato “Gli ultimi” e tratto dal suo racconto Io non ero fanciullo. La pellicola, che rappresenta la povertà della vita rurale in Friuli, viene presentata nel 1963 ma non apprezzata dal pubblico locale, che la considera poco rispettosa.
Gli ultimi anni
In seguito Turoldo individua nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella un luogo in cui dare vita a un’esperienza religiosa comunitaria nuova, che coinvolga anche i laici: vi si insedia il 1° novembre del 1964, dopo aver ricevuto il consenso di Clemente Gaddi, il vescovo bergamasco.
Qui fa costruire una casa per l’ospitalità, che prende il nome di Casa di Emmaus in riferimento all’episodio biblico della cena di Emmaus, con Gesù che si manifesta ai discepoli dopo essere risorto.
Alla fine degli anni Ottanta David Maria Turoldo si ammala per un tumore al pancreas: muore all’età di 75 anni il 6 febbraio del 1992 a Milano, nella clinica San Pio X. I funerali vengono celebrati dal cardinale Carlo Maria Martini, che pochi mesi prima aveva assegnato a Turoldo il Premio Giuseppe Lazzati.
Sarah Josepha Hale – la Poetessa della Festa del Ringraziamento –
Poet, Sarah Josepha Hale is best known for creating the nursery rhyme “Mary Had a Little Lamb.” However, her work extends far beyond her writing. Her influence can be seen in historic sites and a famous national holiday still widely celebrated today.
Sarah Josepha Hale was born on October 24th, 1788 in Newport, New Hampshire. Her parents were strong advocates for education of both sexes. Therefore, Hale was taught well beyond the normal age for a woman. Later, she married a lawyer David Hale, who supported her in all scholarly endeavors. Sadly, her husband died after only nine years of marriage, leaving Hale a widow with five children. She turned to poetry as a form of income. Her most famous book, titled Poems for Our Children included a beloved story from her childhood. “Mary Had a Little Lamb” was instantly a popular nursey rhyme.
In 1837, she became the editor of the Godey’s Lady’s Book. Her work with the magazine made her one of the most influential voices in the 19th century. Her columns covered everything from women’s education to child rearing. Hale also used her platform to support other causes, including abolishing slavery and, later, colonization (freeing African Americans and sending them to Africa). While working as editor, she raised money for various historic sites. Hale helped to preserve George Washington’s home and financially supported the construction of the Bunker Hill Monument. Her work in historic preservation has stood the test of time, as both sites are still open to public.
Hale has been criticized heavily for her support of gender roles. As an editor, she encouraged women to focus their efforts in the domestic realm. A proper woman, to Hale not only managed the home but she also imparted religion to her children. Godey’s Lady’s Book was widely known for its conservative views for much of the 19th century. Additionally, Hale did not support the women’s suffrage movement because she believed that women’s participation in politics would limit their influence in the home. However, Hale did use the magazine to advocate for the education of women and the rights of women as property owners.
Hale used her persuasive writings to support the creation of Thanksgiving as a national holiday. Beginning in 1846, she charged the president and other leading politicians to push for the national celebration of Thanksgiving, which was then only celebrated in the Northeast. Her requests for recognition were largely ignored by politicians until 1863. While the nation was in the middle of the Civil War, President Lincoln signed into action “A National Day of Thanksgiving and Praise.” Hale’s letter to Lincoln is often cited as the main factor in his decision. Hale retired as editor in 1877 and died two years later at the age of 92.
On a breezy morning in August 1926, nineteen-year-old Gertrude Ederle jumped into the cold waters of the English Channel. With her muscles relaxed from some rest after months of grueling training and her body coated head to toe in a mixture of lanolin, petroleum jelly, and grease for insulation against the chill and protection against the swarms of jellyfish, she felt determined and excited to attempt what no woman and only five men had ever done: swim across the Channel.
Gertrude Caroline Ederle was born to German immigrant parents in New York City on October 23, 1905. The third of six children, she grew up in a lively household in Manhattan’s Upper West Side, where during summer months, Gertrude’s family would take outings to the New Jersey shore. It was on these sunny childhood days that a passion for swimming blossomed.
Soon, she turned the joy into a pursuit of competitive swimming, where success came quickly. Gertrude set her first world record at the age of 12. Between the ages of 15 and 19, she set 29 national and world records. In 1924, she represented the United States at the Paris Olympics, earning one gold medal in the 4×100-meter freestyle relay and two bronze medals in individual freestyle events.
Yet, she wanted to challenge herself more, to push her physical limits. And she also wanted to challenge the societal expectations placed on women. Which were many at the time.
Gertrude set her sights on swimming across the English Channel. Often referred to as the “Mount Everest of swimming” for its cold, rough waters teeming with jellyfish, the twenty-one-mile span was considered the ultimate test of endurance. Many believed that women were not physically capable of such a feat. Gertrude became determined to prove them wrong.
Her first attempt in 1925 ended in disappointment. Thinking she was in distress, her trainer touched Gertrude as he attempted to pull her from the water, disqualifying the swim. Though upset, Gertrude thought of her motto, if at first you don’t succeed, try, try again. “I am going to attempt to swim the English Channel again next July,” she said to herself.
For her second attempt, she hired a new coach and developed a rigorous training regimen, swimming four hours a day. She also designed a pair of goggles to better protect her eyes and a more aerodynamic swimsuit that minimized drag in the water.
On August 6, 1926, she started the swim at Gris-Nez, France with a tugboat carrying her coach and supporters trailing, offering encouragement and supplies of broth and sugar cubes for energy. She gave her team of supporters strict instructions about taking her out of the water: “until I get there or I can’t move.”
The swim was a battle from the start. Just a few minutes in, rough swells made her consider quitting. “But I thought I had to make a showing so I just kept on and on and on. When I got a few miles out I was confident I could make it and kept on,” Gertrude later said.
Pushing through while singing her favorite song, Let Me Call You Sweetheart, she swam and swam. Even when her coach encouraged her to stop, Gertrude continued. “It’s today or never, Pop,” she shouted to her father and supporters on the tugboat. He replied, “Kiddie finish it.”
After 14 hours and 39 minutes, Gertrude emerged from the water onto the shores of Kingsdown, England. Her time was over two hours faster than the fastest man to have swum the Channel. Exhausted but triumphant, Gertrude became an international sensation. Newspapers worldwide hailed her achievement, and she was welcomed home to a ticker-tape parade in New York City attended by an estimated two million people. President Calvin Coolidge called her “America’s Best Girl,” a title she cherished throughout her life.
Gertrude soon retired and largely retreated from the public eye. She spent her later years teaching swimming to deaf children, a cause close to her heart as she herself became partially deaf after a childhood accident. On November 30, 2003, she passed away at the age of 98.
Sources:
Hasday, Judy L.. Extraordinary Women Athletes. United States, Children’s Press, 2000.
Lillian Cannon, of Baltimore, Md., offering her best wishes to Gertrude Ederle, as she starts out from Cape Griz Nez, France, on her successful attempt to swim the English Channel. Photograph. Retrieved from the Library of Congress, <loc.gov/item/95503395/>.
Parade for Gertrude Ederle coming up Broadway, New York City, with large crowd watching / photo by staff photographer. Photograph. Retrieved from the Library of Congress, <loc.gov/item/98510485/>.
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