Gaspara Stampa, una delle più grandi poetesse Rinascimentali-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Gaspara Stampa, una delle più grandi poetesse Rinascimentali-
‘Arsi, piansi, cantai; piango, ardo e canto…” Gaspara Stampa, una delle più grandi poetesse Rinascimentali, dal petrarchismo femminile alla fama ”scandalosa”. Nata nel 1523 a Padova, da Bartolomeo e Cecilia Stampa – suo padre, originario di Milano, era una mercante di gioielli, e morì nel 1531. La vedova Cecilia si trasferì quindi a Venezia – sua città di provenienza – insieme a Gaspara e i suoi fratelli Cassandra e Baldassarre. Qui Gaspara, ragazza vispa e dall’intelligenza acuta, fu allieva insieme ai fratelli del letterato toscano Fortunio Spira, intimo del celebre poeta Pietro Aretino – grazie a lui, tutti i fratelli vengono formati a leggere e scrivere in latino. Gaspara inoltre apprende il liuto dal compositore e musicista fiammingo Perissone Cambio.
All’altissimo e raffinato livello d’istruzione però si avvicenda anche una vita drammatica – l’adorato fratello Baldassarre infatti muore a soli diciannove anni, nel 1544 – il lutto sconvolse l’intera famiglia e Gaspara in particolare, la quale durante un periodo di riflessione quasi si fece suora – tuttavia, passato il lungo periodo di crisi, tornò alla “dolce vita” di Venezia.
Nonostante questa tragedia, la casa degli Stampa divenne un raffinato circolo letterario, frequentato da molti noti scrittori, pittori e musicisti veneziani – tra cui ricordiamo Francesco Sansovino, figlio del grande architetto e scultore fiorentino Jacopo Sansovino e Girolamo Parabosco, celebre compositore e organista a San Marco.
Gaspara, affezionatamente chiamata ”Gasparina”, diventa un’icona nella vivace vita culturale veneziana – la sua bellezza, la sua cultura e la sua intelligenza le valgono moltissimi ammiratori e corteggiatori. La sua vena poetica trovò finalmente sfogo quando incontrò nel 1548 il Conte Collalto di Collaltino, giovanotto garbato, di bell’aspetto e fine letterato. La storia d’amore con il Conte, durata per tre anni, dà a Gaspara l’impulso per lavorare alle sue Rime, in cui la poetessa attraversa tutte gli stadi della passione – evitando artefici retorici – e questo modo di scrivere ”esplicito” la mise al mezzo dello scandalo. D’altronde basta leggere la LXXX delle sue Rime d’Amore, dal sapore piuttosto erotico – Prendi, Amor, de’ tuoi lacci il più possente, / che non abbia né schermo, né difesa, / onde Evadne e Penelope fu presa, / e lega il mio signor novellamente.
Questo genere di poesia come non fu apprezzato dalla ”società bene” così non fu accolto con troppo entusiasmo del Conte, che più volte e a periodi alterni si allontanò da Gaspara, fin quando la relazione non si ruppe completamente nel 1551. Nonostante Gaspara fosse una meritevolissima partecipe dell’Accademia dei Dubbiosi – con lo pseudonimo di Anaxilla – soffrì un lungo periodo di depressione, dal quale uscì proprio con la poesia. Tra il 1552 e il 1553 iniziò una relazione con un altro uomo – sempre senza mai sposarsi – che fu più presente e più attento ai suoi sentimenti rispetto al ”bel Conte”, e ciò le porto un po’ di sospirata serenità.
Purtroppo, l’idillio non durò a lungo, soffrendo di problemi di salute dal 1553, dopo un periodo di cure a Firenze spirò a soli trentun anni a Venezia, a causa di febbri e mal de mare – inteso non come il disagio avvertito durante la navigazione, ma come malattia giunta da oltremare, portata dalle navi.
poesie di Gaspara Stampa-
-Da Rime di Gaspara Stampa, Biblioteca Universale Rizzoli, 1978-
Io assimiglio il mio signor al cielo
meco sovente. Il suo bel viso è ‘l sole;
gli occhi, le stelle, e ‘l suon de le parole
è l’armonia, che fa ‘l signor di Delo.
Le tempeste, le piogge, i tuoni e ‘l gelo
son i suoi sdegni, quando irar si suole;
le bonacce e ‘l sereno è quando vuole
squarciar de l’ire sue benigno il velo.
La primavera e ‘l germogliar de’ fiori
è quando ei fa fiorir la mia speranza,
promettendo tenermi in questo stato.
L’orrido verno è poi, quando cangiato
minaccia di mutar pensieri e stanza,
spogliata me de’ miei più ricchi onori.
*
Se d’arder e d’amar io non mi stanco,
anzi crescermi ognor questo e quel sento,
e di questo e di quello io non mi pento,
come Amor sa, che mi sta sempre al fianco,
onde avien che la speme ognor vien manco,
da me sparendo come nebbia al vento,
la speme che ‘l mio cor può far contento,
senza cui non si vive, e non vissi anco?
Nel mezzo del mio cor spesso mi dice
un’incognita téma: – O miserella,
non fia ‘l tuo stato gran tempo felice;
ché fra non molto poria sparir quella
luce degli occhi tuoi vera beatrice,
ed ogni gioia tua sparir con ella.
*
Voi, che ‘n marmi, in colori, in bronzo, in cera
imitate e vincete la natura,
formando questa e quell’altra figura,
che poi somigli a la sua forma vera,
venite tutti in graziosa schiera
a formar la più bella creatura,
che facesse giamai la prima cura,
poi che con le sue man fe’ la primiera.
Ritraggete il mio conte, e siavi a mente
qual è dentro ritrarlo, e qual è fore;
sì che a tanta opra non manchi niente.
Fategli solamente doppio il core,
come vedrete ch’egli ha veramente
il suo e ‘l mio, che gli ha donato Amore.
*
Or che torna la dolce primavera
a tutto il mondo, a me sola si parte;
e va da noi lontana in quella parte,
ov’è del sol più fredda assai la sfera.
E que’ vermigli e bianchi fior, che ‘n schiera
Amor nel viso di sua man comparte
del mio signor, del gran figlio di Marte,
daranno agli occhi miei l’ultima sera,
e fioriranno a gente, ove non fia
chi spiri e viva sol del lor odore,
come fa la penosa vita mia.
O troppo iniquo, e troppo ingiusto Amore,
a comportar che degli amanti stia
sì lontano l’un l’altro il corpo e ‘l core!
*
Io benedico, Amor, tutti gli affanni,
tutte l’ingiurie e tutte le fatiche,
tutte le noie novelle ed antiche,
che m’hai fatto provar tante e tanti anni;
benedico le frodi e i tanti inganni,
con che convien che i tuoi seguaci intriche;
poi che tornando le due stelle amiche
m’hanno in un tratto ristorati i danni.
Tutto il passato mal porre in oblio
m’ha fatto la lor viva e nova luce,
ove sol trova pace il mio disio.
Questa per dritta strada mi conduce
su a contemplar le belle cose e Dio,
ferma guida, alta scorta e fida luce.
*
Se poteste, signor, con l’occhio interno
penetrar i segreti del mio core,
come vedete queste ombre di fuore
apertamente con questo occhio esterno,
vi vedreste le pene de l’inferno,
un abisso infinito di dolore,
quanta mai gelosia, quanto timore
Amor ha dato o può dar in eterno.
E vedreste voi stesso seder donno
in mezzo a l’alma, cui tanti tormenti
non han potuto mai cavarvi, o ponno;
e tutti altri disir vedreste spenti,
od oppressi da grave ed alto sonno
e sol quei d’aver voi desti ed ardenti.
*
Se soffrir il dolore è l’esser forte,
e l’esser forte è virtù bella e rara,
ne la tua corte, Amor, certo s’impara
questa virtù più ch’in ogn’altra corte,
perché non è chi teco non sopporte
de’ dolori e di téme le migliara
per una luce in apparenza chiara,
che poi scure ombre e tenebre n’apporte.
La continenzia vi s’impara ancora,
perché da quello, onde s’ha più disio,
per riverenza altrui s’astien talora.
Queste virtuti ed altre ho imparate io
sotto questo signor, che sì s’onora,
e sotto il dolce ed empio signor mio.
*
Volgi, Padre del cielo, a miglior calle
i passi miei, onde ho già cominciato
dietro al folle disio, ch’avea voltato
a te, mio primo e vero ben, le spalle;
e con la grazia tua, che mai non falle,
a porgermi il tuo lume or sei pregato:
trâmi, onde uscir per me sol m’è vietato,
da questa di miserie oscura valle.
E donami destrezza e virtù tale,
che, posti i miei disir tutti ad un segno,
saglia ove, amando il nome tuo, si sale,
a fruire i tesori del tuo regno;
sì ch’inutil per me non resti e frale
la preziosa tua morte e ‘l tuo legno.
*
Purga, Signor, omai l’interno affetto
de la mia coscienzia, sì ch’io miri
solo in te, te solo ami, te sospiri,
mio glorioso, eterno e vero obietto.
Sgombra con la tua grazia dal mio petto
tutt’altre voglie e tutt’altri disiri;
e le cure d’amor tante e i sospiri,
che m’accompagnan dietro al van diletto.
La bellezza ch’io amo è de le rare
che mai facesti; ma poi ch’è terrena,
a quella del tuo regno non è pare.
Tu per dritto sentier là su mi mena,
ove per tempo non si può cangiare
l’eterna vita in torbida, e serena.
*
Mesta e pentita de’ miei gravi errori
e del mio vaneggiar tanto e sì lieve,
e d’aver speso questo tempo breve
de la vita fugace in vani amori,
a te, Signor, ch’intenerisci i cori,
e rendi calda la gelata neve,
e fai soave ogn’aspro peso e greve
a chiunque accendi di tuoi santi ardori,
ricorro, e prego che mi porghi mano
a trarmi fuor del pelago, onde uscire,
s’io tentassi da me, sarebbe vano.
Tu volesti per noi, Signor, morire,
tu ricomprasti tutto il seme umano;
dolce Signor, non mi lasciar perire!
*
(Da Rime di Gaspara Stampa, Biblioteca Universale Rizzoli, 1978)
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Gaspara Stampa (Padova, 1523 – Venezia, 23 aprile 1554) -Nacque a Padova verso il 1523 da un ramo cadetto della famiglia Stampa: alla morte del padre Bartolomeo (1531), commerciante di gioielli, la vedova Cecilia, con Gaspara e i fratelli Baldassare e Cassandra, si trasferì a Venezia. Cassandra era cantante e Baldassare poeta: quest’ultimo morì per malattia nel 1544 a diciannove anni[1], e ciò turbò molto Gaspara, tanto da farle meditare una vita monacale, stimolata su questa strada da suor Paola Antonia Negri[2]; di lui restano i sonetti stampati con quelli della ben più nota sorella.[3]
In laguna venne accolta dalla raffinata ed istruita società veneziana; al suo interno condusse una vita elegante e spregiudicata, segnalandosi per la sua bellezza e per le sue qualità. Fu difatti cantante e suonatrice di liuto[2], oltre che poetessa, ed entrò nell’Accademia dei Dubbiosi con il nome di Anasilla (così veniva chiamato in latino il fiume Piave – Anaxus – che attraversava il feudo dei Collalto, cui apparteneva quel Collaltino che lei amò). L’abitazione degli Stampa divenne uno dei salotti letterari più famosi di Venezia, frequentato dai migliori pittori, letterati e musicisti del Veneto, e molti accorrevano a seguire le esecuzioni canore di Gaspara delle liriche di Petrarca[1].
Sufficientemente colta nella letteratura, nell’arte e nella musica, Gaspara fu portata dalla forte carica della sua personalità a vivere in modo libero diverse esperienze amorose, che segnano profondamente la sua vita e la sua produzione poetica. I romantici videro in lei una novella Saffo, anche per la sua breve esistenza, vissuta in maniera intensamente passionale. La vicenda della poetessa va però ridimensionata e collocata nel quadro della vita mondana del tempo, dove le relazioni sociali, comprese quelle amorose, rispondono spesso a un cerimoniale e ad una serie di convenzioni precise. Fra queste è da segnalare l’amore per il conte Collaltino di Collalto, uomo di guerra e di lettere, che durò circa tre anni (1548-1551): tuttavia a causa di lunghi periodi di lontananza Collaltino non ricambiò il sentimento intenso che Gaspara provò per lui, e la relazione si concluse con l’abbandono della poetessa, che attraversò anche una profonda crisi spirituale e religiosa[4].
Morì a Venezia il 23 aprile 1554[5], dopo quindici giorni di febbri intestinali (mal cholico): alcune fonti riportano che si suicidò con il veleno per motivi amorosi, altre che le pene d’amore peggiorarono la sua salute fino a condurla alla morte per malattia.
Le Rime
A Collaltino è dedicata la maggior parte delle 311 rime della Stampa (pubblicate dalla sorella Cassandra nel 1554 e dedicate a Giovanni Della Casa), che, concepite secondo il modello petrarchesco, costituiscono una delle più interessanti raccolte liriche del Cinquecento fra cui Arsi, piansi, cantai; piango, ardo e canto. Daniele Ponchiroli ha definito così queste rime: «Umanamente complesso, ricco di “moderna” psicologia, il canzoniere della Stampa, che la nostra romantica sensibilità ha visto soprattutto come un “ardente diario” amoroso, risente dell’inquieta originalità di una vicenda umana “confessata” con femminile espansione. Nessun altro canzoniere cinquecentesco ci offre un così vivo interesse documentario e psicologico».
L’originalità coincide con i limiti stessi di una versificazione che tende a risolversi nelle forme immediate e quasi discorsive di una confessione autobiografica, rifiutando una più complessa elaborazione tecnico-formale del discorso poetico. Luigi Baldacci ha detto: «Il valore della sua poesia, la sua possibilità di suscitare un’eco, consistono nell’aver saputo quasi sempre rifiutare l’esperienza retorica dei contemporanei e nell’essersi umiliata il più delle volte, secondo un’elezione istintiva, a un uso della poesia che certo quel secolo non conobbe mai così immediato, o se conobbe si preoccupò di schermare perché lo stesso elemento biografico si portasse a un più alto grado di mito petrarchesco e di rievocazione di quella paradigmatica vicenda. […] E per questo a proposito di Gasparina si è parlato, anche ai nostri tempi, di diario: definizione che trova conferma in un intervento di troppo immediata biografia in quello che dovrebbe essere il dominio più sacro della poesia. Questo, si sa, fu il suo limite, ma anche la ragione della sua positiva eccentricità di fronte alla cultura poetica del suo tempo, della quale le era ignoto il calcolo e la tecnica del dettare».
Dalla professione di musicista la Stampa ebbe come dice Ettore Bonora “l’impulso a svolgere in un tessuto melodico tenue e vario la sua lirica amorosa, alleggerendo la poetica petrarchesca, pure a lei presente, in forme che toccano sovente la grazia e la facile orecchiabilità di componenti popolari”, e in particolare nel gruppo dei madrigali “il virtuosismo melodico arriva a riscattare la facilità quasi convenzionale delle immagini, trasforma la parola in sospiro, come avverrà a tanta poesia melodrammatica che appunto dai madrigali prese l’avvio per i suoi movimenti più patetici”.
Opere
- Rime di madonna Gaspara Stampa, Venezia, Plinio Pietrasanta 1554 che ha pubblicato la sorella.
Intitolazioni
Padova le ha dedicato una strada nel centro storico, tra Via del Santo (in prossimità della Facoltà di Scienze Politiche) e Riviera Tito Livio. Nella stessa città, in Prato della Valle, alla base della statua numero 85 dedicata allo scultore Andrea Briosco, appare il suo piccolo busto (è l’unica donna rappresentata tra le oltre 80 statue della piazza). Altre città e paesi italiani le hanno intitolato aree di circolazione: Torino, Trieste, Roma, Reggio Emilia, Palermo, Cagliari, Rimini, Milano, Modena, Frosinone, Treviso, Abbiategrasso (MI), Aversa (CE), Noventa Padovana (PD), Corato (BA), Camaiore (LU), Fano (PU), Dolo (VE), Quartu Sant’Elena (CA), Feltre (BL), Anzio (RM), Cernusco sul Naviglio (MI).
Nella cultura di massa
- Arsi, piansi, cantai, spettacolo di Margherita Stevanato con un testo originale di Luciano Menetto e musiche di Claudio Ambrosini in occasione dei cinquecento anni dalla nascita (1523-2023)
Note
- Copia archiviata (PDF), su simonescuola.it. URL consultato il 28 marzo 2013 (archiviato dall’url originale il 7 aprile 2014).
- · Liber Liber (redirect), su liberliber.it. URL consultato il 28 marzo 2013.
- ^ Rime […] di Gaspara Stampa con alcune altre […] di Baldassare Stampa, Venezia, Francesco Piacentini, 1738, pp. 191-208.
- ^ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria, Testi e storia della letteratura, Torino, Paravia, 2010, vol. B: L’Umanesimo, il Rinascimento e l’età della Controriforma, pag. 168-171
- ^ Giulio Reichenbach, Gaspara Stampa, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1935. URL consultato il 24 agosto 2023.
Bibliografia
- Luigi di San Giusto, Gaspara Stampa, Bologna-Modena, A.F.Formiggini, 1909.
- Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria, Testi e storia della letteratura, Torino, Paravia, 2010, vol. B: L’Umanesimo, il Rinascimento e l’età della Controriforma, pag. 168-171.
- Ettore Bonora ,Gaspara Stampa, Storia Lett. Italiana, Milano, Garzanti, 1966, pp.271-76
- Mario Pazzaglia, Scrittori e critici della letteratura italiana, Bologna, Zanichelli, 1979, vol. 2., pag. 290-291.
- Stefano Bianchi, La scrittura poetica femminile nel Cinquecento veneto: Gaspara Stampa e Veronica Franco, Manziana, Vecchiarelli, 2013. ISBN 978-88-8247-337-2
- Roberta Lamon, Le Donne nella Storia di Padova, Padova, 2013, pagine 34-36