Roma- Municipi XIIIeXIV-16 giugno 2023-Si è svolta ieri presso la sede dell’Associazione Cornelia Antiqua di via Boccea la cerimonia di consegna delle targhe del premio Campagna Romana 2023 giunto quest’anno alla nona edizione .Dopo il saluto del Presidente Cristian Nicoletta la Signora Tatiana Concasassieme all’Archeologa Nerea, si sono alternate come conduttrici della serata. L’Evento era relativo alla giornata dedicata all’Archeologia europea e , con interventi sul tema, si sono alternati al microfono nell’ordine il :Dott. Alessio de Cristofaro Archeologo a seguire Dott. Stefano Alessandrini, Dott. Michele Damiani e il Vive Presidente dell’Ass. Cornelia Antiqua Dott.Gianluca Chiovelli. Presente e Premiata la Protezione Civile di Castel di Guido capitanata dal “GRANDE” Attilio Zanini. Di seguito l’elenco dei Premiati e le motivazioni.
I PREMIATI e le MOTIVAZIONI PER IL PREMIO
CAMPAGNA ROMANA 2023
MICHELE DAMIANI
Per la sua grande competenza e dedizione, impiegate nella divulgazione storico-archeologica del Territorio della Campagna Romana.
La sua straordinaria conoscenza e passione per il mondo Etrusco e in particolare per il Territorio di Veio, emerge con forza durante la sua narrazione storica, coinvolgendo e trasportando l’uditore indietro nel tempo.
Grazie alla sua indiscussa capacità di comunicazione, le sue spiegazioni risultano sempre chiare e comprensibili al grande pubblico, inclusi coloro che non appartengono al “mondo accademico”.
In tal modo, tutti i cittadini possono venire a conoscenza degli eventi storici che hanno segnato il nostro Territorio e sviluppare una memoria collettiva, primo passo per richiamare l’attenzione pubblica verso il rispetto di questi luoghi.
GIOVANNI ZORZI
Per l’impegno e la dedizione profuse per l’Ecomuseo di Maccarese, situato all’interno del Castello di San Giorgio, che recentemente ha ottenuto anche la qualifica di “Ecomuseo di interesse regionale”.
Il Sig. Giovanni Zorzi, in qualità di responsabile dell’Ecomuseo e di studioso del Territorio, svolge continuamente, oltre al lavoro di gestione del Polo di Maccarese, anche una preziosa attività di ricerca e raccolta della vasta documentazione storica.
Tali testimonianze comprendono sia documenti d’archivio e fotografie, sia video memorie relative allo sviluppo storico-sociale di Maccarese, con particolare attenzione all’epoca della grande bonifica e al nostro passato contadino.
Questo pregevole lavoro, reso possibile grazie alle sue conoscenze e profonda passione per la ricerca storica, consente a tutti i cittadini di poter visitare un luogo, in cui è conservata e preservata l’identità storica – specifica del Territorio della Campagna Romana.
NANDO MAURELLI
Per la sua profonda conoscenza del Territorio a Nord Ovest di Roma e per il suo straordinario impegno svolto come Presidente del circolo Ecoidea di Legambiente.
Il Dott. Nando Maurelli, in qualità di esperto di storia e scrittore, ha fornito un prezioso contributo per la divulgazione della storia del Territorio della Campagna Romana.
Si occupa inoltre, dell’organizzazione di numerose iniziative culturali, sotto forma di conferenze e dibattiti aperti al pubblico, che si svolgono presso i locali di INTERSOS, in via della Stazione di Ottavia, in collaborazione anche con altre associazioni.
Questi incontri dedicati allo scambio culturale, costituiscono un importante momento di aggregazione, promuovendo il coinvolgimento attivo del pubblico e la diffusione della conoscenza del Territorio sotto molteplici punti di vista.
Una preziosa opportunità per tutti i cittadini interessati, che a prescindere dal loro ceto sociale o livello culturale, possono essere informati ed approfondire tematiche che spaziano dalla storia, alla letteratura, alle scienze, sempre con particolare attenzione per le questioni relative al nostro Territorio.
IDA OLIVA
Per l’encomiabile esempio di generosità, che si manifesta attraverso iniziative di Solidarietà a supporto dei più deboli, delle persone in condizioni di disagio e in aiuto delle popolazioni colpite da calamità naturali.
La Sig.ra Ida Oliva si impegna con amore e passione, nell’organizzazione di eventi e manifestazioni, allo scopo di finanziare opere di Beneficenza.
Tali eventi trovano sempre un grande riscontro, testimoniato dalla partecipazione di numerose persone, che la Sig.ra Ida Oliva riesce a coinvolgere e a contagiare con la sua eccezionale energia, spirito di altruismo e forte empatia!
Tra le sue varie opere di Solidarietà, si annovera anche quella svolta durante il periodo della Pandemia, quando grazie alla sua disponibilità, fu possibile organizzare una raccolta alimentare per le famiglie del quartiere di Casalotti, che si trovavano in un momento di difficoltà.
La sua attività comprende anche un notevole impegno come Guardia Rurale Ausiliaria, a tutela e difesa sia dell’ambiente che degli animali, perché come diceva Albert Einstein: “se un uomo aspira a una vita retta, il suo primo atto di astinenza è dall’offesa agli animali”.
GIUSEPPE STRAZZERA
Per il suo straordinario impegno e il suo efficiente lavoro nel migliorare i problemi urbanistici del Territorio del XIV Municipio di Roma.
Tale riconoscimento al merito del Dott. Giuseppe Strazzera, scevro da qualsiasi motivazione e orientamento di natura politica, è dovuto esclusivamente alle sue competenze e alla totale dedizione, con cui si prende cura del nostro Territorio, nell’area più periferica del Municipio.
Nato in una borgata difficile dell’estrema periferia romana, ha saputo emergere da questa realtà, manifestando un forte ardore nello schierarsi in prima linea, con l’obiettivo di migliorare questa situazione di degrado, per il bene della collettività.
A partire da novembre 2021, a seguito della sua nomina ad Assessore ai lavori pubblici, urbanistica, rigenerazione urbana e patrimonio del Municipio XIV, ha fornito un prezioso contributo per la valorizzazione della nostra periferia, mettendosi a disposizione e prendendosi cura in prima persona della gestione dei lavori necessari, finalizzati alla risoluzione dei disagi accusati dai cittadini.
ASSOCIAZIONE IL FILO CHE UNISCE
Per il suo ammirevole impegno per la comunità e nella realizzazione di progetti di Beneficenza, con l’obiettivo di raccogliere fondi per dare supporto alle strutture ospedaliere pubbliche e principalmente a quelle pediatriche.
L’Associazione “Il filo che ci unisce”, nata da un’idea della Sig.ra Tiziana Monticelli, organizza alcuni incontri pubblici, per coinvolgere e costruire insieme agli altri cittadini i progetti di Beneficenza.
Un esempio è costituito dall’iniziativa, che lo scorso anno vide la partecipazione di molte persone, in particolare signore dedite all’arte dell’uncinetto, per realizzare insieme delle coperte di lana, il cui ricavato è stato interamente devoluto all’ospedale pediatrico Bambino Gesù.
L’Associazione “Il filo che ci unisce”, si occupa anche confezionare a mano dei raffinati cappellini, variamente colorati, che vengono donati ai reparti oncologici pediatrici, per regalare un sorriso ai piccoli pazienti ricoverati e alle loro mamme.
GRUPPO FEMMINILE PROTEZIONE CIVILE CASTEL DI GUIDO
Gentilezza, forza e determinazione con questi aggettivi credo che si possa sintetizzare la motivazione di questo riconoscimento con il quale, noi di Cornelia Antiqua, vogliamo rendere omaggio alla componente femminile della Protezione civile di Castel di Guido.
-MARCO PLACIDI
Per il suo prezioso contributo nella ricerca e nella divulgazione storico – scientifica, essenziale per riportare alla luce e far scoprire a tutti i cittadini, l’incredibile patrimonio appartenente all’antica città di Roma, ancora nascosto nel nostro sottosuolo.
Il Sig. Marco Placidi è fondatore e Presidente dell’Associazione Sotterranei di Roma, che svolge sia continua attività di speleo-archeologia, sia progetti di studio, integrati con ricerca attiva sul Territorio.
Tra questi ultimi, oltre alle indagini su vari sistemi ipogei presenti nel sottosuolo cittadino, merita una menzione speciale, il progetto di studio relativo agli Acquedotti dell’antica Roma, per i quali l’Ass. Sotterranei di Roma, si qualifica tra i massimi esperti in materia.
Lo studio di queste sofisticate costruzioni, non si limita solo all’architettura idraulica, ma prevede anche approfondite ricognizioni di superficie, per cercare direttamente sul Territorio della Campagna Romana, le prove e le testimonianze del loro passaggio, al fine di ricostruire dettagliatamente il loro percorso.
Tale impostazione dei metodi di indagine, insieme alla profonda passione che l’Ass. Sotterranei di Roma, ha da sempre dimostrato per la ricerca speleo-archeologica, ha rappresentato fin dall’inizio, un esempio da seguire per l’Ass. Cornelia Antiqua, perché come diceva Goethe:
“Le cose migliori si ottengono solo con il massimo della passione”.
CIVILTÀ ROMANA
Per il suo ammirevole impegno nell’organizzazione della manifestazione Ab Urbe Condita, un evento che riunisce numerose associazioni di rievocazione, nazionali ed internazionali e fa rivivere la storia, la cultura e la vita quotidiana dell’antica Roma.
Le varie associazioni che prendono parte all’evento, sono incentrate sulla rievocazione di diversi momenti storici dell’antica Roma: Repubblica, alto Impero e tardo Impero.
Tali periodi vengono perfettamente rievocati, ricostruendone gli usi e i costumi, riportando in tal modo alla luce nel corso della manifestazione, momenti di vita civile, religiosa e militare delle diverse epoche.
L’Associazione Civiltà Romana, con il suo Presidente Benedetto Langiano, organizza, da diversi anni, la manifestazione in modo eccezionale, suscitando un grande interesse nei cittadini, sia appassionati di storia che semplici curiosi e catalizzando anche l’attenzione dei più piccoli.
Questi ultimi sono coinvolti e trasportati indietro nel tempo, attraverso vari laboratori didattici, scuole di gladiatori, danze antiche e molto altro.
MAURO INTINI
Per il servizio volontario svolto per un periodo di tre mesi, durante gli scavi nel territorio circostante Galeria Antica e per il suo generoso impegno nel condurre gratuitamente, i cittadini a scoprire le bellezze della Campagna Romana e della provincia di Viterbo.
Il Sig. Mauro Intini, fondatore di “Archeotrekking Romani”, grazie alla sua straordinaria conoscenza del Territorio, al suo spirito di avventura e alla sua grande esperienza, riesce a coinvolgere ed allietare, tutti coloro che desiderano vivere una giornata diversa, immergendosi nella natura, come dei veri esploratori!
Con estrema competenza infatti, guida ed accompagna a piedi i cittadini, alla scoperta degli affascinanti ambienti naturali che ci circondano, dove è possibile ammirare anche le rovine archeologiche, appartenenti agli antichi popoli che risiedevano nel nostro Territorio.
Il Sig. Mauro Intini inoltre, ha fornito un prezioso contributo anche per l’Ass. Cornelia Antiqua, mettendo a disposizione il suo tempo e la sua esperienza, per offrire supporto durante le ricognizioni di superficie che l’associazione costantemente svolge.
Venduta all’asta la più antica Bibbia ebraica ad oggi conosciuta
Acquistata per oltre 38 milioni di dollari, entrerà a far parte della collezione permanente del museo di Tel Aviv
Il Codex Sassoon, un libro della fine del IX o dell’inizio del X secolo che Sotheby’s ha definito «la prima e più completa copia della Bibbia ebraica», è stato venduto per 38,1 milioni di dollari all’associazione American Friends of the ANU, Museum of the Jewish People. Secondo Sotheby’s, il Codice entrerà a far parte della collezione permanente del museo di Tel Aviv, in Israele.
L’acquisto del Codice Sassoon è stato possibile grazie alla donazione di Alfred H. Moses, ex ambasciatore americano in Romania, e della sua famiglia. Si tratta di uno dei documenti storici più costosi mai venduti all’asta, appena inferiore ai 43,2 milioni di dollari della Costituzione degli Stati Uniti venduta nel novembre 2021 al collezionista d’arte Ken Griffin. Una collezione di scritti scientifici di Leonardo da Vinci del valore di 30,8 milioni di dollari (secondo il New York Times vale 62,4 milioni di dollari al giorno d’oggi) è stata acquistata da Bill Gates nel 1994.
«La Bibbia ebraica è il libro più influente della storia e costituisce la base della civiltà occidentale. Mi rallegro nel sapere che appartiene al popolo ebraico. La mia missione, rendendomi conto dell’importanza storica del Codice Sassoon, è stata quella di fare in modo che risiedesse in un luogo accessibile a tutti», ha dichiarato Moses in un comunicato stampa. «Nel mio cuore e nella mia mente quel luogo era la terra d’Israele, la culla dell’ebraismo, dove ha avuto origine la Bibbia ebraica».
Il codice non deriva il suo valore dalle centinaia di pelli di pecora necessarie per la pergamena del libro di 26 libbre, dal lavoro richiesto per scrivere a mano i 24 libri della Bibbia ebraica o anche necessariamente dalla precisione del testo stesso. Invece, come ha detto a Religion News Service Tzvi Novick, titolare della cattedra di pensiero e cultura ebraica all’Università di Notre Dame, in Indiana, «la fama del Codice Sassoon sta nella sua combinazione di precocità e completezza».
Il nome è legato a David Solomon Sassoon (1880-1942), appassionato collezionista di manoscritti giudaici ed ebraici, che lo acquistò nel 1929. Il libro contiene tutti i 24 libri della Bibbia ebraica (mancano solo alcuni fogli) e precede di quasi un secolo la prima Bibbia ebraica interamente completa, il Codice di Leningrado.
“Codice Sassoon, una pietra miliare della storia ebraica e dell’umanità”
È nota come Codice Sassoon la copia più antica e completa del Tanakh mai ritrovata. Un manoscritto risalente alla fine del IX o all’inizio del X secolo, considerato fondamentale per capire l’evoluzione della tradizione ebraica. Il nome deriva da un suo precedente proprietario, che l’acquistò nel 1929: David Solomon Sassoon, appassionato collezionista di Judaica e di manoscritti ebraici. Il Codice Sassoon contiene 24 libri e, spiegano gli esperti della casa d’aste Sotheby’s, “precede di quasi un secolo la prima Bibbia ebraica completa, il Codice di Leningrado”. Rappresenta in questo senso una “pietra miliare della storia umana”. Proprio Sotheby’s metterà all’asta il prezioso volume il prossimo maggio a New York. Una notizia ripresa dai media da tutto il mondo, che evidenziano il valore storico del manoscritto, realizzato da uno scriba su pergamena. “Nel Codice Sassoon viene rivelata una trasformazione monumentale nella storia della Bibbia ebraica, portando alla luce la sua storia completa, che in precedenza non era mai stata presentata in forma di libro” dichiara Sharon Mintz, esperta di Sotheby’s della divisione libri e manoscritti. Segna perciò “una svolta cruciale nel modo in cui percepiamo la storia della parola divina attraverso migliaia di anni, ed è una testimonianza di come la Bibbia ebraica abbia influenzato i pilastri della civiltà – arte, cultura, legge, politica – per secoli”. Parlando con la rivista Barron’s, Mintz ha ricordato come i primi scritti conosciuti della tradizione ebraica siano i frammenti dei Rotoli del Mar Morto, composti tra il III e la fine del I secolo a.e.v. Nei 700 anni successivi non si hanno notizie di una Bibbia scritta, ha spiegato l’esperta. “Nessuno sa perché. Presumibilmente, dovevano esserci dei libri prima. Ma i primi esempi che abbiamo, e certamente i primi codici biblici che abbiamo, risalgono alla fine del IX e all’inizio del X secolo. E sono solo due”. Uno è il Codice Sassoon, l’altro è il più antico Codice di Aleppo, realizzato attorno al 930. Quest’ultimo è però arrivato incompleto ai giorni nostri, mancando quasi del tutto dei cinque libri della Torah (il Pentateuco). Tra i due testi, spiega Mintz, c’è un collegamento. A compilare il Codice di Aleppo, testo masoretico, fu la famiglia di “Aaron ben Moses ben Asher, un importante studioso della Bibbia incaricato di correggere il Codice per adeguarlo alla tradizione che aveva ereditato su come le parole dovevano essere scritte, vocalizzate e accentate”. Il Codice di Aleppo servì in seguito come esemplare per gli scribi per assicurarsi di aver copiato correttamente la Bibbia. “È significativo che il Codice Sassoon contenga note fedeli della Masorah. – l’analisi di Mintz – Una di queste note fa riferimento al ‘grande maestro, Aaron ben Moses ben Asher’ e al suo lavoro su al-taj, l’onorifico tradizionale del Codice di Aleppo, suggerendo che lo scriba masoreta che ha copiato la Masorah del Codice Sassoon potrebbe aver consultato il volume quando risiedeva a Tiberiade o a Gerusalemme nel X o XI secolo”.
A Firenze, costruita a cavallo dell’Arno, nelle prime ore del mattino del 4 novembre 1966, il fiume oltrepassò silenzioso le sue sponde e irruppe nella città con una furia mai vista prima.
Per trovare qualcosa di simile nelle cronache occorreva risalire al 1557 d.C., 400 anni prima, quando le acque erano state alte circa la metà.
La città, del tutto impreparata a questo disastro, poteva solo guardare sgomenta, mentre tutto veniva portato via dal fango. Pezzi di vita diventati detriti, mischiati a petrolio e liquami, galleggiavano per le strade e i vicoli stretti. Quel giorno a Firenze persero la vita trentacinque persone.
Quando le acque del diluvio si ritirarono, i fiorentini dovettero affrontare quella realtà quasi inimmaginabile. Il danno alla città era immenso, il patrimonio culturale a rischio era scoraggiante.
Libri, sculture, dipinti, erano sotto cumuli di fango.
Quasi tutte le biblioteche della città furono colpite. All’Archivio dell’Opera del Duomo furono danneggiati 6.000 volumi. La musica sacra, contenuta nei corali finemente miniati, cantata nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore negli ultimi sei secoli, perduta.
Al Gabinetto Vieusseux danneggiati i 250.000 volumi allora conservati. All’Archivio di Stato di Firenze il 40% dei fondi subì danni di qualche tipo, alcune pergamene risalivano al 726 d.C..
La vittima più nota fu la Biblioteca Nazionale Centrale, la più grande d’Italia e una delle più importanti d’Europa.
Dal 1743 era stabilito che una copia di ogni opera pubblicata in Toscana fosse consegnata alla biblioteca, dal 1870 una copia di ogni opera pubblicata in Italia.
Circa 1/3 di tutto il patrimonio librario (circa 1.300.000 pezzi) fu danneggiato.
La prima cosa da fare era scavare, il più rapidamente possibile. Il direttore della Nazionale lanciò un appello; e gli studenti di Firenze vennero. Poi arrivarono da tutte le università italiane, precipitosi d’aiutare. Fu la volta degli studenti da tutto il mondo; un dovere ed un onore, la città simbolo della bellezza e della cultura era di tutti.
Lunghe catene umane per tirare fuori libri e opere d’arte offesi dall’acqua, instancabilmente, senza badare alla sporcizia da cui erano circondati.
I fiorentini, grati, li chiamarono gli “angeli del fango”. Oggi non è Firenze a soffrire, ma gli Angeli sono tornati.
Chronique d’une famille italienne dans les tourments du XXe siècle.
La migration est un thème d’actualité mais qui n’est pas nouveau. La Bible n’en parle-t-elle pas déjà abondamment ? Une chose est d’en parler, tout autre est d’en témoigner. Dans son livre,Mario Petricola (qui est issu d’une famille italienne venue s’installer en Lorraine) s’est lancé le défi de décrire les tribulations de sa famille dans les contextes géographiques, politiques, sociaux et religieux de son terroir d’origine comme des lointaines contrées où le destin a jeté les siens. Il le fait en ajoutant à la sensibilité d’un poète la rigueur d’un ethnologue, d’un sociologue et d’un historien.
D’une plume alerte, il emporte le lecteur dans les paysages des mondes d’hier et d’avant-hier. Avec un art consommé, ainsi fait-il monter aux narines les puissants effluves de la garrigue et de la cuisine parfumée des Abruzzes, berceau de sa famille. En suivant les migrants, ce décor bucolique laisse bientôt place aux vapeurs d’échappement du Nouveau Monde, aux remugles des tranchées de 14-18 et des sinistres camps nazis de la seconde guerre mondiale avec, pour finir, les jets de gaz brûlants des coulées de fonte des fours de Longwy qu’avec tristesse on verra démanteler sans que les mouvements sociaux des ouvriers désemparés n’y puissent mais.
L’auteur dépeint avec délicatesse comment, confrontée aux bouleversements survenus entre 1880 et 1980, sa famille pastorale est passée d’un mode de vie proche de la nature et largement autosuffisant où l’eau se cherchait au puits et les repas mijotaient dans l’âtre, à l’ère du béton qui a effacé ciel et terre et instillé une dépendance qui fait craindre désormais la moindre coupure de courant électrique. Autrement dit, les aventures des différents membres de la famille auxquels le lecteur s’identifie volontiers permettent de réaliser comment d’une société rurale à la stabilité millénaire que nos parents savaient presque instinctivement maîtriser, nous sommes passés à une civilisation urbaine dans laquelle nous éprouvons la frustration de n’en pouvoir assujettir les aléas devenus complexes.
En parallèle, l’auteur fait vivre les affres d’une traversée de trois semaines à fond de cale, entre Naples et New-York où, à l’ombre de la statue de Bartholdi, les rêves se fracassent contre la réalité. Il fait, en outre, assister à l’éclatement des familles en raison de la conscription qui, pour des combats stériles, coupe l’individu de ses racines, à moins qu’il ne doive affronter l’isolement et l’inconnu pour emplir les assiettes.
Pourtant, en dépit des vicissitudes, flotte constamment dans le livre une brise tonique qui trouve son dénouement dans les dernières pages. On y voit en effet, avec soulagement, les transalpins poser leurs valises et sereinement s’intégrer dans leur pays d’adoption, “happy end” qui, au départ, n’avait rien d’évident.
Recension par Pierre Yves Divisia
La version italienne de l’ouvrage est à paraître en octobre 2021 chez l’éditeur Il Filo d’Arianna.
Partir pour un ailleurs Chronique d’une famille italienne dans les tourments du XXe siècle.
De Mario Petricola
(paru en France en 2019 à compte d’auteur)
Vous pouvez en savoir plus, voir quelques photos et lire le premier chapitre du livre sur le site de Mario PETRICOLA : https://vivrecrire.monsite-orange.fr/
Si vous souhaitez vous procurer le livre il est disponible sur Amazon en format broché ou kindle et sur Fnac.com mais en version e-book uniquement sur liseuse Kobbo by FNAC.
“Addio alla Vita che ho vissuto – E al Mondo che ho conosciuto – E Bacia le Colline, per me, basta una volta – Ora – sono pronta ad andare”
Dopo una vita di autoreclusione nelle stanze della sua casa il 15 Maggio 1886 muore EMILY DICKINSON, una delle poetesse più controverse e più importanti del XIX secolo. Nata nel 1930 ad Amherst negli USA, la sua era una famiglia borghese, suo nonno fu cofondatore dell’Amherst College. Una famiglia piena di relazioni con l’esterno motivo che non impedirà a Emily di scegliere la sua solitudine. E’ amica di Samuel Bowles, direttore dello “Springfield Daily Republican” giornale su cui si pubblica ronoalcune sue poesie.La casa dei Dickinson è praticamente il centro della vita culturale del piccolo paese, dunque uno stimolo continuo all’intelligenza della poetessa, che in questo periodo incomincia a raccogliere segretamente i propri versi in fascicoletti. Conosce anche la poetessa Kate Anton Scott. Con ambedue stabilisce un profondo rapporto, personale ed epistolare. All’unico ritratto fotografico esistente finora si aggiunge un rarissimo dagherrotipo, negli archivi dell’Amherst College, l’immagine rappresenta la poetessa a fianco dell’amica Kate Scott Turner probabilmente del1860.
Il 1860 è l’anno del furore poetico e sentimentale. Compone qualcosa come circa quattrocento liriche e si strugge vanamente per un amore che gli storici della letteratura identificano con Bowles. Nello stesso anno avvia una corrispondenza con il colonnello-scrittore Thomas W. Higginson, a cui si affida per un giudizio letterario.
Nel 1855 compì un viaggio a Washington e a Philadelpia, dove conobbe il reverendo WadsworthEmily a venticinque anni decise, dopo un breve viaggio a Washington, di estraniarsi dal mondo e si rinchiuse nella propria camera al piano superiore della casa paterna, anche a causa del sopravvenire di disturbi nervosi e di una fastidiosa malattia agli occhi, e non uscì di lì neanche il giorno della morte dei suoi genitori. Interpretava la solitudine e il rapporto con sé stessa come veicoli per la felicità. Al momento della sua morte la sorella scoprì nella camera di Emily 1775 poesie scritte su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo contenuti tutti in un raccoglitore. Prima della sua morte, vennero pubblicati solo sette testi. Oggi, Emily Dickinson viene considerata non solo una delle poetesse più sensibili di tutti i tempi, ma anche una delle più rappresentative. Alcune caratteristiche delle sue opere, all’epoca ritenute inusuali, sono ora molto apprezzate dalla critica e considerate aspetti particolari e inconfondibili del suo stile.
-Ad un anno dalla scomparsa rendiamo omaggio al Poeta e critico letterario
Ubaldo Giacomucci
Regole dell’impazienza- Edizioni Tracce 1992-
-Ad un anno dalla scomparsa rendiamo omaggio al poeta e critico letterario-
Ubaldo Giacomucci
Pescara: muore a 60 anni il poeta e critico letterario Ubaldo Giacomucci.
PESCARA- 15 marzo 2021-Riservato e di poche parole, lo si incontrava spesso, con la sua valigetta, per le vie del centro cittadino, a Pescara, la città dove ha vissuto buona parte della sua vita. Ubaldo Giacomucci era così, apparentemente timido, ma gentile e pronto a dare consigli a chi voleva avventurarsi nell’affascinante mondo della letteratura. Se n’è andato a quasi 60 anni e ora l’Abruzzo piange un personaggio simbolo della cultura. Intellettuale, poeta e critico letterario, era ricoverato all’Ospedale di Pescara, nel reparto di Medicina, dal 2 marzo scorso. Nei giorni precedenti al suo ingresso al Santo Spirito alcuni amici, preoccupati per l’assenza e il silenzio di Ubaldo, hanno cercato di rintracciarlo per capire se gli fosse successo qualcosa. Ubaldo era rinchiuso in casa da diversi giorni, perché non si sentiva bene. Ed è stato proprio grazie all’intervento degli amici più stretti, tra i quali Nicoletta Di Gregorio, Ennio Di Francesco e Andrea Costantin, che è stato trasportato in ospedale.
Purtroppo, però, non ce l’ha fatta. Ubaldo Giacomucci, Presidente della casa editrice Tracce, era nato a Venezia il 9 settembre 1961. Verrà per sempre ricordato come uno dei maggiori poeti italiani, ma anche come un talent scout della letteratura.
Un ricordo per Ubaldo Giacomucci – Edizioni Tracce-
Articolo di Fabio Barone
Il 16 marzo 2021, all’età di 59 anni, è morto Ubaldo Giacomucci. In vita direttore editoriale della casa Edizioni Tracce di Pescara, nonché autore di alcuni libri di poesie e antologie poetiche. Come spesso accade quando la notizia non interessa amici, parenti o anche solo conoscenti, questa attraversa l’animo senza sedimentarsi nella coscienza, diventare pensiero, immagine entro cui tradurre emotivamente la realtà e le sue verità. Quando accade è perché, spesso, l’emozione del nuovo si affaccia sugli schermi, sui giornali, sui canali dove avidamente si fiuta il fascino ambiguo della novità. Edmund Burke lo aveva detto molto bene: «[…] quelle cose che ci attirano soltanto per la novità non possono dominarci per molto tempo, la curiosità è la più superficiale di tutte le affezioni, e muta continuamente oggetto; la sua avidità è molto viva, ma assai facilmente soddisfatta, e presenta sempre un aspetto di vertigine, di irrequietezza, di ansietà».
Non siamo neanche qui a erigere un monumento in onore di Ubaldo, piuttosto a concedergli uno spazio, una stanza bianca e ariosa dove il suo nome può meglio affiancarsi al suo percorso di vita, quantomeno a un breve riassunto — un’immagine, di nuovo — contenuto nelle parole e nel ricordo di una storica amica, Nicoletta Di Gregorio, ex presidentessa di Edizioni Tracce.
Mi sento al telefono con lei, ascolto in silenzio, interrompendola solo per alcune precisazioni e brevi commenti: «Ho conosciuto Ubaldo intorno agli anni ‘80 — dice Nicoletta —, scrivevo poesie ma non avevo ancora avuto modo di confrontarmi con altri scrittori. Mio marito a quel tempo mi disse “è necessario che tu conosca altri poeti”, così in una libreria di Pescara, la quale vendeva volumi per l’università, andai un giorno e conobbi Ubaldo Giacomucci. Lì Ubaldo aveva fondato un gruppo di giovani poeti abruzzesi, una piccola associazione culturale dal nome Alfred Jarry orientata alla cultura poetica di ricerca: organizzavano eventi culturali invitando alcuni fra i maggiori poeti italiani. La particolarità di questo gruppo era il voler focalizzare l’attenzione e gli inviti non solo a chi scrivesse poesia in modo tradizionale, ma anche poesia sonora o verbo-visiva. Avevano una visione orizzontale del concetto di poesia. Gli eventi erano organizzati insieme all’università Gabriele d’Annunzio di Pescara.
Intorno al 1981 viene fondata la rivista Tracce, a capo vi era Domenico Cara e Ubaldo la dirigeva, questa aveva l’orientamento dello stesso gruppo dei poeti. Quasi fosse una metamorfosi naturale, dalla rivista nacque la casa editrice, un po’ per caso ma soprattutto per volontà, passione e forte interesse. All’inizio la casa si era posta l’obiettivo di pubblicare solo poesia, ma col tempo abbiamo cominciato a editare romanzi, racconti, saggi, e mano a mano che procedeva sono nate diverse collane, alcune universitarie per non parlare di vere e proprie riviste universitarie (Merope, RSV – Rivista di Studi Vittoriani).
Abbiamo cominciato a pubblicare alcuni fra i maggiori poeti italiani, da questi incontri è sorta l’amicizia, culturale e non, con lo scrittore Davide Rondoni; abbiamo organizzato premi che sono poi rimasti per vent’anni quale il “Premio Nuove Scrittrici” nato intorno agli anni ’90, che dieci anni dopo si è trasformato in “Scrivere Donna”. In giuria abbiamo avuto Maria Luisa Spaziani (autrice per ET) e Márcia Theóphilo per la poesia, Milena Milani per la narrativa. Abbiamo dato anche dei premi particolari: ogni anno omaggiavamo una figura femminile nel campo del cinema o della letteratura italiana: Amelia Rosselli, Edith Bruck, o l’attrice Lina Sastri. Vi era poi una sezione dedicata alle giovani scrittrici, alle scuole. La particolarità di questo premio stava nel sottolineare che la cultura non ha confini o limiti prestabiliti, per questo le premiazioni le svolgevamo in ogni provincia abruzzese: a Pescara la narrativa, a Teramo il personaggio speciale, a L’Aquila la poesia, a Chieti le giovani scrittrici che ottenevano così una pubblicazione con noi.
Un altro grande premio che abbiamo fondato è il “Premio Sant’Egidio” per la poesia spirituale, uno dei primi a quel tempo che nelle sue prime manifestazioni fu vinto da Davide Rondoni. La premiazione si svolgeva d’estate, solitamente il primo settembre, giorno di festa in onore di Sant’Egidio, dentro la chiesa di Madonna Delle Grazie (Civitaquana, nda) o davanti al sagrato della stessa, in base alle condizioni metereologiche.
Intorno alla seconda metà degli anni ’80 organizzammo una grande mostra dedicata a Gabriele d’Annunzio, allestita negli spazi nella neonata struttura universitaria di Pescara. Per quell’evento esposero grandi nomi dell’arte contemporanea internazionale, da Ettore Paladini a Ettore Spalletti e molti altri. Da quell’evento nacque un’antologia edita da Fabbri e Tracce. Per non dimenticare l’antologia “Pagine d’arte e poesia” (Tracce), per la quale Mario Schifano realizzò una copertina appositamente per noi, lì vi erano antologizzati diversi artisti figurativi a fianco dei maggiori poeti italiani.
Subito dopo il terremoto dell’Aquila del 2009, noi di Edizioni Tracce abbiamo invitato i poeti di ogni età a scrivere versi per la città, organizzato letture dentro i tendoni che accoglievano i cittadini. Con noi c’era anche il poeta Plinio Perilli. Dopo queste prime manifestazioni di solidarietà, abbiamo pensato di selezionare le migliori poesie caricate sul nostro blog che sono poi state antologizzate dentro il libro “La parola che ricostruisce” (ET), questo avvenne poco dopo l’accaduto. Il libro è poi stato edito anche da Bertoni Editore, a cura di Anna Maria Giancarli. Quel che vorrei sottolineare di questa breve storia — conclude la Di Gregorio —, è che Ubaldo è sempre stato in prima linea. Per quanto mi riguarda lo considero uno dei maggiori conoscitori della poesia italiana del ‘900, dalle avanguardie ad oggi, un intellettuale, amante della filosofia, ed uno tra i maggiori poeti abruzzesi. Ubaldo con Edizioni Tracce ha dato spazio ad importanti poeti da tutta Italia, era una persona buona, schiva, generosa».
Omaggio a Ubaldo Giacomucci
… sulla musica incauta dell’infinito …
alla sua Simona
[ Tra il muro e le alghe, in un sogno di
marmo slittano le voci resistenti
e inconsuete, avvolte da fibbie e fondali
come una statua improvvisata, un altare
cosparso di gesso e di spore.
– Ubaldo Giacomucci –
Ci sono poeti e amici della poesia, di cui nemmeno più ricordiamo come e quando li abbiamo conosciuti – tanto essi ci sono sempre rimasti
amici profondi, sodali usuali nella vita, nei gesti, nelle vicende, e vorrei dire anche nelle opere… Ubaldo Giacomucci era tra questi. Scrivo era, perché da pochi giorni è venuto a mancare, se n’è andato in modo insieme dignitoso e appartato – così come sempre in fondo era vissuto. Era… era… Ma non mi sento di archiviare quest’amicizia, questo nostro legame umano e letterario, tra le declinazioni dell’imperfetto, le coniugazioni d’un passato affettuoso ma ormai spento. Ubaldo aveva con la poesia un rapporto fertile, quotidiano, di seminatore diligente e paziente. “Seminatore”, ma non nelle pose romantiche d’un realismo di maniera, d’un luminoso e operoso credo laico: lui era tutto questo e molto di più; aveva comiciato da avanguardista, aveva fondato “Tracce”, a Pescara (rivista e insieme fortunata Casa Editrice), assieme all’infaticabile e sororale Nicoletta Di Gregorio, come una cooperativa, uno stuolo scelto di amici, tutti assolutamente “moderni”, comunque lontani da stili e stilemi passatisti… (Nicoletta ad esempio, veniva da beneamati studi d’Arte, era stata compagna di classe di Andrea Pazienza – Paz! –: avevano avuto come professore un maestro limpido e riservato, libero e fantasioso come Sandro Visca – a sua volta allievo/amico di Burri)… Quanti libri, negli anni, abbiamo condiviso (a partire dalla fine anni ’80!). Quante presentazioni, convegni, meetings, prefazioni, collane, proposte che rendevano giustizia a una città, Pescara – una cittadina sempre più allargatasi, per intenderci, dal borgo marinaresco de Le novelle della Pescara – che aveva dato i natali a D’Annunzio e poi a Flajano, certo, ma cercava una sua nuova identità di fine secolo, perché il ‘900 davvero rinascesse come secolo primo d’un millennio nuovo in tutto, anche nei linguaggi. Ora è ozioso e triste, ricordare gli appuntamenti più riusciti di questo sogno e bisogno, ma Ubaldo, con “Tracce” e Nicoletta, c’era sempre… Sembrava pigro ma era infaticabile, prospettico e propiziatorio, propugnatore e designatore d’un manifesto continuo del fare/poièin: umile e modernista, placido e febbrile all’unìsono. Si è trascurato?, come giurano gli amici. Era depresso? Sedotto dal mostro forse anch’esso virale del Cupio dissolvi?… Giunto quasi all’appuntamento coi 60 si è insomma lasciato andare, ha presso sottogamba problemi circolatori, difficoltà e impacci vascolari che abbastanza in fretta, invece, lo hanno condannato – fra la dolorosa stupefazione di chi lo conosceva… Un lock-down anche mentale, una sfinita e malinconica reclusione emotiva, all’interno del lock-down pubblico e obbligato… Ma non è stato il covid… C’è chi se lo chiedeva… Forse, oso dire oggi, a pochi giorni dall’infausto evento, è stata una sorta di dannato, appiccicoso e insidioso ripiegamento – che ha aggiunto ombre cupe di romanzo a una vita che finora scorreva quieta. Sì, i consueti dolori nel travaglio dell’Epoca e d’ogni esistenza… Il dolore per la perdita della Madre… O di amici davvero cari, pulsanti appuntamenti quotidiani (penso a Marco Tornar, un poeta appartato e travagliato già di suo, anche lui, più di lui, infibrato, salvato e contagiato da un’elegante melanchòlia leopardiana). Più di recente, il lutto per un grande e difficile amore – Simona (scomparsa proprio a un soffio dalle loro sognate e progettate nozze) – cui Ubaldo tanto s’era votato, ricambiato; ma come in un triste idillio leopardiano, sfumato, reciso da un vento alzatosi più forte, nella sua, loro città di mare – che siamo abituati a immaginare vacanza estiva, luogo felice: e cova invece stagioni immensamente tristi, inverni e rigori che non misura la metereologia, ma una balbettante, asfissiata alchimia dell’anima.
…
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti …
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Era poeta, e anche bravo, Ubaldo: che per tutta la vita s’è occupato quasi solo della poesia e della scrittura degli altri. Un po’ per lavoro, certo, predisposizione d’editore vero (l’editore in senso filologico, classico – che si prende cura dei libri, li aiuta a nascere, come un ostetrico minuzioso e illuminato). Ed era anche, e sempre meglio, un valente cervello critico, capace in poche righe di condensare stille o stelle di semplici arcani, o quotidiani universi…
Ricordo alcuni suoi interventi nemorabili, anche discorsi in pubblico, incredibilmente timidi e fieri insieme, brevi ma indimenticabili. Lui e Nicoletta, in questo, lasciavano il segno. Un segno plurimo, artistico, letterario, avanguardista, epocale, etico, psico-sociologico.
Bello un suo saggio sinestetico del 2000, Le ragioni dell’invisibile, degno di miglior fortuna. Non so se la fortuna aiuti davvero gli audaci, ma lui comunque audace non lo era – era creatura mite, appartata, trasognata. Ripeto, un buon poeta: ma le sue poesie, molto presto, non ha più voluto nemmeno stamparsele (dopo il bell’esito delle Regole dell’impazienza, 1992, da anni avevo lo scartafaccio in bozze d’un suo libro che poi finì col lasciare lì, socio emerito del sindacato delle opere incompiute, magari proprio quelle più giuste, più oneste, più ispirate).
Bisognava carpirgliele, le poesie – estirparle, estrarle come denti scheggiati e cariati di dolcezza. Lo fece nel 2010 Anna Maria Giancarli, quando andò a raccogliere i contributi dei poeti italiani per L’Aquila, aggregando un’antologia finalmente solidale, quanto inopinata. Ubaldo, anche lì, estrasse dal suo cilindro dei versi non di maniera, per nulla retorici, pur nella laica liturgia della pietas:
non ci sono più pietre nel cuore
né catene, ma specchi, redenzioni
e scoperte; una concezione indiscreta
ci scardina ogni giorno e in televisione
c’è un solo volto che non sappiamo
scrutare (troppi dolori in tasca
con un sapore immeritato di sconfitta,
e una ferita che brucia l’anima
perché non sappiamo chiedere, eppure
hanno sfilato in un centro invivibile
quelli che non ne conoscono la violenza
… Ma noi lo stimavamo davvero, così come tutti quelli che nei decenni ebbero il modo di collaborarci, di dialogarci. Ricordo non pochi compagni di strada (assieme alla giudiziosa e generosa Nicoletta Di Gregorio): figure disparate e anche divergenti – ma tutti lo rispettavano ed ascoltavano, in nome della stima. A caso e per mero riaffiorare lampeggiante, starei per dire rifioritura ancestrale, ricordo la verve di Umberto Piersanti, la sicura e fedele fideiussione culturale, anche emotiva, di Renato Minore; il coraggio umano e civile di Stevka Smitran; l’estro e insieme il magistero artistico di Sandro Visca, o Francesco Summa, o Elio Di Blasio; il lungo percorso esegetico e creativo di un Mario Lunetta; l’impegno appunto strenuo e cristallino della Giancarli, pasionaria del verso tra l’Io e la Storia, i sacri diritti delle Donne… (E quante donne frequentarono, operose e a loro modo illuminate, le stanze di “Tracce”, in quegli anni comunque di crescita, del paese e delle coscienze – e non è una semplice tirata giornalistica: da Diana Conti, psicoterapeuta e poetessa/filosofa, a Maria Di Lorenzo, poetessa ispirata e saggista d’indubbia finezza (scriverà un bel ricordo di Elio Fiore – che è già un titolo di merito); da Lisa Di Marzio, narratrice emotiva ed emozionata, a Vera Slaven, jugoslava “autoesiliata”, scrisse di sé, “profuga e inconsolabile dall’estate 1991”; da una giornalista impegnata come Daniela Quieti (autrice d’un bel saggio su Bacone), a Rita El Khayat, prima donna psichiatra in Maghreb, scrittrice e antropologa, figura mitica cui Pescara conferì la cittadinanza onoraria, e candidata da anni – fra l’altro – al Premio Nobel per la Pace)… Ma sono troppi i nomi ancora da fare, e non basterebbe inanellarne tanti altri, anche preziosi: Elena Clementelli e Giancarla Frare, Anna Ventura e Anila Hanxhari, Ninnj Di Stefano Busà e Stefania Lubrani, Anna Rita Persechino e Nostòs (Margherita Cordova)…
Rammento invece le vicende creative della collana “D’emblée”, che lui e Nico mi favorirono e che diede alle stampe – in illo tempore – testi di Vito Riviello e Ivan Graziani; una fortunata sceneggiatura di Francesca Archibugi, Mignon è partita, e le serrate, rivelatrici cronache di superfunzionario RAI come Giovanni Leto, spirito libero e finissimo (ed era la RAI che produceva il Leonardo di Castellani, Padre Padrone, Matti da slegare, una RAI insomma spesso accesa da antichi, ostili spiriti di censura)… Felice anche un’altra collezione, “Terzo Novecento”, aperta da Patto giurato (1996) il memorabile saggio di Eraldo Affinati su Milo De Angelis: “… la poesia moderna, quando è bloccata nella tensione verso l’assoluto, è come se scavasse un buco nero premiando chi vi si perde.”…
Last but not least, la trilogia “I Posteri del Moderno” di Nina Maroccolo, tre titoli d’una sola parola: Illacrimata, Animamadre, Malestremo (2011-2013)… Che Ubaldo postillò da par suo in aura junghiana: “Il riferimento a James Hillman non è certo casuale: Hillman crede che la psicologia debba evolversi oltre il suo ‘riduzionismo’ presente ed abbracciare teorie sullo sviluppo umano.”…
Per non parlare dei contributi arditamente sperimentali di figure importanti come Tomaso Binga, Mario Lunetta, Francesco Muzzioli, Marco Palladini… O della stessa, caparbia e ispirata poetessa brasiliana Márcia Theóphilo, con la sua recitata, salmodiante Amazzonia oceano d’alberi.
Molto, assieme a Nico, Ubaldo e “Tracce” fecero per i giovani, i poeti nuovi o comunque nuovi autori. Difficile dimenticare collane “storiche” come Scrivere Donna (dove esordirono, vincendo, poco più che ragazze, Maria Grazia Calandrone, Anna Maria Farabbi…). O l’altra collezione di autori neofiti, Giovani scrittori (sotto gli auspici della Fondazione PescarAbruzzo) tra cui vanno almeno ricordati Marco Tabellione e Igor Di Varano, Gianluca Chierici e Riccardo Bertolotti, Angelo Del Vecchio e Andrea Costantin…
Per non parlare di molti testi importanti, in genere trascurati dagli editori altolocati, e di cui Ubaldo e Nico ebbero cura. Su tutte, due collane, una di grandi autori stranieri riproposti in opere cult (Epitalamio di Pessoa, La sgualdrina della costa normanna della Duras – a cura di Sandro Naglia); l’altra di rari testi filosofici, i “Maestri Occulti”, diretta dall’indimenticabile e carissimo Mario Perniola, che stampò il Klossowski di Aldo Marroni, il Rigaut di Dietro lo specchio, Debord di Anselm Jappe… Ma anche i testi pedagogici, la didattica istintiva e progressista di Franca Battista; e “Armorica”, una elegante collana anglosassone guidata da Francesco Marroni; o gli agili, gustosissimi volumetti “Ad Alta Voce”, coi readings di poesia contemporanea curati da Luigi Amendola e Checco Tanzj: la voglia piena, scanzonata e insieme impegnata, di uno “Spazio Totale” che andasse “Oltre la Parola”.
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Dopo malinconiche vicissitudini editoriali, sofferte appunto assieme a Nicoletta, stoica storica amica e socia inderogabile, nella buona e nella cattiva sorte (i bilanci, i debiti, gli affitti, i conti delle tipografie, il purgatorio non sempre provvido degli autori!), Ubaldo riuscì di recente a rimettere insieme il marchio di Tracce, per una renovatio affettuosa quanto miracolosa. Riuscì ancora a editare qualche titolo (ricordo un bel saggio di Angelo Piemontese su Pavese, nella collana diretta da Francesco Paolo Tanzj; la fresca raccolta lirica di Fabio Tirone; un volume a più mani sul senso e il ruolo, oggi, della Scrittura, indagata anche sul filo della psicologia familiare e relazionale, grazie ai contributi di Silvana Madia e Federica Fava Del Piano); una mia ultima collana di poesia dove feci giungere all’appuntamento col possibile, e con la Voce Giusta, autori (e amici) quali Lorenzo Poggi e Tiziana Marini, Fausta Genziana Le Piane e Paolo Carlucci…
E tanti altri giovani di cui celebrare fervorosi il battesimo, o suffragare via via gli esordi: i decenni cambiavano, ma non le emozioni e le attese: 1989, Un dio per Saul di Daniele Cavicchia; 1990, Il ponte di Heidelberg di Sergio D’Amaro; 1994, Gli amplessi di Saint-Just di Fernando Acitelli; 2009, Cuore Cavato di Bibiana La Rovere; 2012, Alia di Claudia Iandolo)… Le prime poesie di Monica Martinelli (Poesie ed ombre, 2009), le presentammo da Feltrinelli assieme a Walter Mauro… Erano in fondo già tre generazioni – ma ogni cosa, ogni idealità si saldava e quadrava il cerchio.
Poi tutto fu nuovamente annichilito: scivolò, inciampò angustiato e arrestato, ora e per sempre.
Solo la pazienza di Nicoletta, collaboratrice da ultimo delle belle e citate edizioni della Fondazione PescarAbruzzo, àuspice Nicola Mattoscio, riuscì a rubargli, accudirgli in gioia qualche poesia nelle messi antologiche che intanto ri-nascevano. Nel 2015, il memorabile testo su Nutrimenti, per l’Expo 2015 a Milano. Nel 2020, ultimissima, la silloge a più voci Terra Mater, sulla salute e sui doni della terra (una Terra però straziata, malata, in fondo, proprio dell’umana presenza – ahinoi, negligenza – sino allo shakespeariano spettro di Banquo… cioè della accanita, impennata pandemia, sanitaria e certo anche epocale, conscia/inconscia a partita doppia)…
Ecco, vorrei ricordarlo, il nostro Ubaldo, con questi suoi versi belli, pieni, totali, avvincenti in spire morbide e accanite d’enjambements, senza mai dimenticare che i nutrimenti terrestri (non più quelli rapinosi, soavi, gidiani) sono e dovrebbero restare dono di tutti, per tutti:
In questa terra perdono terreno
le richieste degli ultimi, ancora smarrite
fioche nei deserti o clamorose nelle scene
televisive dei soliti noti. Chiedimi
se qualcuno debba morire, se ancora
può perdersi un uomo per del cibo
o un alloggio, se valgono i sentimenti
per i più poveri, se posso credere che
finirà la fame nel mondo. ………………..
Così che anche la Terra Madre, di continuo c’insegna e ci ammonisce in quest’auspicio mai domo, quest’ansia mai rassegnata – che chiede e assegna alla poesia, un fermo, nudo dovere civile :
Accosta alla fine un altro inizio,
suggerisci il copione sbagliato:
avremo un iceberg in salotto, un naufragio
senza più scuse, mentre balliamo
sulla musica incauta dell’infinito.
Ciao, carissimo Ubaldo! – arrivederci ad altre plaghe, altri cieli, altri mari e orizzonti (Altre voci, altre stanze). Tu che tanto amavi l’arte, le arti, la stessa musica, ultimamente la rete, sei salpato, lo so, per una rotta che nessuna mappa riesce a segnare, a capire, accettare. Lì ritroverai anime e cuori a te sommamente cari. Belle figure, aneddoti o episodi da ricordare – da riseminare per un altro inizio…
Nella vita, dalla vita e oltre la vita che sempre, prima o dopo, finisce: e diventa la rotta, l’emblema, l’Imago di tutti. E lì tutti ci ritroveremo, quando sarà, il più tardi possibile, certo. Nel Senza Tempo e Senza Spazio che ora t’ingloria, ti ospita e t’accoglie: già con in mano qualche strana, divinante ultima bozza, di libri e testi ancora da stampare, anzi leggere, correggere; fermare e poi bruciare per sempre, al vaglio della Luce. Sulla musica incauta dell’infinito…
Ogni Bene, di vero cuore,
tuo Plinio
(S. Pasqua 2021)
Abruzzo Notizie
Quando un poeta muore…
“Muore il piccolo mondo del foglio bianco, quel rettangolino segreto che aspetta, come un principe solitario, di incontrare la sua amante di sempre: la scrittura. Come un virtuoso matrimonio tra ritmo e malinconie viventi, l’incontro si veste di magia, e subito è il piccolo grande modo della poesia. Una parola, un mondo. E sono i poeti che celebrano la sacralità del matrimonio. I poeti, si, questi strani esseri a forma di uomo che fanno della scrittura l’unico tempo della loro vita, che hanno la normale vita terrena, ma che vivendo hanno infinite dimensioni, e quando muoiono par che si siano spostati nella stanza accanto”.
Ne parlavamo anni fa, forse 1984-85, una sera in una cena, insieme a Rita Ciprelli, Marco Tornar, io, e Ubaldo Giacomucci, che proprio l’altro giorno ci ha lasciati. Si , Ubaldo, il mite Ubaldo; se l’è portato con sé l’invisibile mostro. Vorrà egli raggiungere, l’amica Rita e l’amico Marco, per continuare un dialogo mai interrotto. Ubaldo era stato tra i fondatori della casa editrice Tracce che, fino a qualche anno fa, insieme a Nicoletta Di Gregorio ha portato alto il vessillo della cultura scritturale a Pescara, ormai mercantile e decadente. Egli era, è, non un pianeta, ma stella di prima grandezza. Chiunque facendo poesia, doveva far riferimento a lui, alla sua sapienza, alla sua saggezza poetica. Un punto di riferimento, per gli amanti della poesia e della scrittura.
Ubaldo, è stato, e resterà, indelebile faro la cui luce andava oltre gli orizzonti lirici. Era un ragazzo più giovane del sottoscritto (che non vuole diventare vecchio, quindi…) sempre disposto con tutti, magari poteva incutere un po’ di timore, è sempre stato fisicamente imponente, poteva apparire un po’ orso. Forse per certi versi lo era, ma era l’orsetto simpatico amico di tutti, cordiale, gentile, mai una parola fuori posto. Una ironia velata ed elegante unita ad una abilità dialettica fuori dal comune, erano i suoi tratti distintivi. E la sua immensa cultura poetica e soprattutto filosofica lo facevano elevare in voli leggiadri verso inarrivabili latitudini di puro lirismo. Adesso Ubaldo Giacomucci non è più con noi. Ci mancherà la sua imponenza, la sua voce cristallina, il suo senso dell’umorismo surreale. Ciao Ubi, come ti chiamò qualcuno. Sei contento, maledetto Covid, sei contento di questi capolavori?
URANUS
Omaggio a Ubaldo Giacomucci
Sabato 19 giugno 2021 alle ore 18,00 presso il Parco di Villa Sabucchi a Pescara, nella suggestiva cornice naturalistica dell’area spettacolo “Ruderi”, si è tenuto un evento in memoria del compianto poeta, editore e critico letterario Ubaldo Giacomucci, scomparso il 14 marzo 2021 a soli 59 anni lasciando un vuoto incolmabile in tutti coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato.
L’iniziativa è stata curata della scrittrice Margherita Cordova in sinergia con Associazione L.A.A.D, Teatro Gianni Cordova e Parco di Villa Sabucchi.
Hanno partecipato, con letture di brani, poesie e toccanti testimonianze in ricordo di Giacomucci, gli autori: Antonio Alleva, Natalia Anzalone, Fabio Barone, Gabriella Bottino, Vittorina Castellano, Maria Gabriella Ciaffarini, Margherita Cordova, Andrea Costantin, Rolando D’Alonzo, Sandra De Felice, Franca Di Bello, Luigi DiFonzo, Ennio Di Francesco, Nicoletta Di Gregorio, Milvia Di Michele, Anna Maria Giancarli, Daniela Quieti, Antonio Russo, Riccardo Santini, Tania Santurbano, Mara Seccia, Stevka Smitran,Tina Troiani, Rosetta Viglietti, Willian Zola.
È intervenuta, tra gli altri, la presidente dell’Associazione Editori Abruzzesi Elena Costa.
Voci recitanti: Attori della Compagnia “Torre del Bardo”.
Intervento musicale: Libero Maria Marotta.
Ubaldo Giacomucci aveva esordito giovanissimo frequentando alcuni tra i maggiori esponenti della cultura internazionale. Nato a Venezia, viveva a Pescara. Aveva pubblicato in volume le raccolte di poesia L’Ostaggio (Nuovo Ruolo, 1983),Garanzia corpuscolare (Tracce, 1985), Regole dell’impazienza (Tracce, 1989) e il saggio Le ragioni dell’invisibile (Tracce, 2000). Era stato presidente delle Edizioni Tracce e aveva curato molteplici collane editoriali, antologie, saggi, riviste letterarie, mostre di poesia visuale, rassegne di poesia sonora, letture pubbliche di poesia, presentazioni di libri, attività culturali di vario genere. Nel 1980 aveva fondato la rivista trimestrale Tracce. In campo giornalistico aveva collaborato con numerosi periodici di cultura. Aveva fatto parte delle giurie di numerosi concorsi di poesia e letteratura e aveva insegnato materie attinenti al giornalismo e alla redazione editoriale.
CASTELNUOVO DI FARFA -Racconti di CORNA e lo scherzo “AL FRATE”.
L’Archeologia da biblioteca porta a delle scoperte curiose e interessanti. “Scoperta” piccante di un fatto avvenuto secoli fa…Andiamo con ordine.
Se la sai vivere una biblioteca è uno “scavo archeologico” con reperti interessanti e altri no, ma questo a seconda dei casi. Comunque in un Archivio importante , cosi per caso, ho notato una busta gettata in un angolo, la curiosità è il carburante del ricercatore, l’ho subito raccolta per la verità una “F” segnata in una certa maniera mi ha incuriosito , e fin qui tutto bene ed ora racconto quello che vi è scritto con frasi tra il dialetto e un italiano latineggiante come era in uso all’epoca dei fatti.
I personaggi- Donna Susanna “Gnuccarella”,così denominata per le sue abbondanti e non siliconate forme, vive a Castelnuovo , moglie di Berto il cocchiere della posta .Mastro Berto viaggiava spesso per lavoro impegnato con il suo calesse sulla tratta – Castelnuovo- Granica –e oltre – molo merci fiume Tevere – Corese.
Fra’ Attilio da Viterbo in quel tempo trasferito in un convento della Sabina in qualità di
“Eccellente amanuense” stanco del solito tran-tran tra pergamene , racconti esuberanti e fantasie represse decise che doveva visitare Castelnuovo di Farfa . Fra Attilio, fu appurato ,poi, che soffriva della sindrome del “Toro e il cambio della vacca” – teoria modernissima in cui è studiata la voglia del maschio di spargere il seme.
Per la data diciamo che Regnante il Pontefice Borgia
Dopo la premessa i fatti:
Fra’ Attilio non aveva mai visitato Castelnuovo.Un giorno fra Attilio , cosi è scritto nel documento, chiese al Priore di poter visitare Castelnuovo e con l’occasione avrebbe avuto modo di verificare pergamene ed altre amenità ecc..
Ottenuto il permesso, arrivò finalmente a Castelnuovo nella primavera del 1497
Qui è bene citare per intero il testo “…..Egli mi piace narrarvi ..Era quel giorno di Domenica, nel quale tutte le donne del Borgo sogliono dalle loro case uscire a diporto: perché mossesi là dove soleva più di gente ragunarsi (radunarsi) in Chiesa alla messa. Fra Attilio presente alla messa , tra le altre donne castelnuovesi, vide Donna Susanna . Fra Attilio stordito da tanta abbondanza , oltre ogni credere in meravigliosa bellezza, grazia, spirito , e perfetta creatura……Fra Attilio se ne invaghi: ed appresso entrò in gran desiderio di possederla…segui la donna che in compagnia delle sue amiche ;colle quali in sollazzevoli ragionamenti intrattenendosi, e di veder la gente che su , e giù andava non minor diletto pigliandosi……..”
Ora cercherò di riassumere i fatti in maniera più sintetica- il frate, in un attimo seppe chi era la “gnuccarella” dove abitava ecc…….Saputo che Berto la sera e tutta la notte sarebbe rimasto all’imbarco Tevere Corese per ritirar le merci il furbetto fraticello si introdusse in casa della “gnuccarella”.
Da qui riprendo il verbale :“Susanna distesa sul letto e il frate si libero del saio e così ignudo ansimante pronto ad esaudire desiderio, col membro eretto si avvicino , ma da sotto il letto due mani presero come tenaglie le sue caviglie…Algido (GELATO) il frate restò, lo membro si accartoccio come una fava vecchia… Solo urla di dolore correvano per le vie di Castelnuovo quella notte- Le case dei castelnuovesi restarono chiuse. Anche le porte del Borgo erano chiese e solo al mattino vennero aperte , l’urlo si avviò per la strada di …..sino a sparire,. mai nessuno ne parlo in pubblico, ma TUTTI SAPEVANO… ”
“fra Attilio di pil rusciatu puzzava tutto e di asta intra lo deretanu difficile fu il togliere, tra spasmi di dolore e sangue copioso , come vergine alla prima penetrazione. “ Così fra Florindo relazionò il Priore, tra l’imbarazzo e il riso a stento mal trattenuto . Il Priore , evidentemente più esperto in “cornificazioni”, così sentenzio: “PRIMA SCEGLIERSI I MARITI E POI LE MOGLI….VI è L’OMO CHE PORTA LE CORNA CON SOLLAZZO E GODURIA, ANZI NE FA DI ESSE UN ORNAMENTO ”.
Questa storia venne tirata fuori da Papa Borgia il quale assisteva allo scarico della legna in Vaticano. La legna era trasportata da una colonna di somari -“…..quando un somaro maschio avendo viaggiato legato dietro ad una somarella una volta fermata la colonna (ricordiamo che i somari non sanno cosa sia il Vaticano , la Chiesa ecc) cerco di penetrare la giovin somara. Il Papa Borgia molto divertito chiamò , per farle assistere, la sua amante Giulia Farnese “LA BELLA” sorella del futuro Papa Paolo III,e sua figlia Lucrezia le quali sgranarono gli occhi e , poi, risero tantissimo alla vista di un si “gran membro di penetrazione”….Simil al tortore estratto dal deretano di Frate Attilio ‘l’amanuense ”.
– Ricordo che Napoleone ordino che i verbali dell’Inquisizione, e vari documenti dell’ Archivio Vaticano ecc fossero portati a Parigi, ma durante il tragitto, che avveniva con carri, oltre ai documenti Napoleone ordino di togliere anche il piombo messo a protezione , impermeabile, delle cupole delle chiese romane ecc. Cento , se ricordo bene il numero, di questi carri andarono “perduti” prima di arrivare a Savona ecc. moltissimi verbali, buste , quindi, rimasero in Italia per fortuna in mano “laiche”.
Racconto trovato durante una ricerca in una Biblioteca privata di un Principe romano da Franco Leggeri castelnuovese.
“Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa”.
Breve Biografia-
Agostino Gallo-(1499-1570) Nasce ,con tutta probabilità, prima del 14 maggio del 1499, a Cadignano, odierna frazione di Verolanuova, nella piana bresciana, a poco più d’una ventina di chilometri da Brescia.E’ stato uno dei protagonisti dell’agronomia cinquecentesca.
Il Gallo pubblica, nel 1564, “Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa.” L’opera conosce l’immediato successo, che nel Cinquecento si traduce nella ristampa abusiva, a Venezia, di una successione di edizioni che sottraggono all’autore ogni guadagno. Pubblichiamo 12 belle tavole xilografiche a piena pagina alcune delle quali acquarellate (vedi foto).Costretto dalle abitudini dei librai veneziani l’autore bresciano amplia, per ripubblicarla, l’opera, che si converte prima nelle Tredici giornate, la cui seconda edizione porta un’appendice di sette giornate, che in un’edizione successiva sono ricomposte, nel 1572, secondo un piano espositivo nuovo, nelle Venti giornate. La discutibile correttezza dei librai veneziani ha obbligato l’autore a ristrutturare l’opera, nella versione definitiva un capolavoro che riedita, in veste originalissima, tutto lo scibile agronomico di quei tempi. Lo scibile agronomico di Gallo, fu il primo ad introdurre in Italia la coltivazione del riso e del trifoglio,si fonda su quello dei grandi autori latini, in primo luogo di Lucio Columella, il massimo agronomo dell’antichità, ma l’agricoltura che prende corpo nelle pagine dell’opera rinascimentale è radicalmente diversa da quella del mondo latino, è la nuova agricoltura irrigua della Val Padana, l’agricoltura in cui l’acqua spezza la sovranità del frumento inserendo nella rotazione le foraggere che consentono il più ricco allevamento, l’allevamento da cui derivano i formaggi Piacentini e Lodigiani, gli antenati del Parmigiano Reggiano e grana padano. È l’agricoltura in cui hanno conquistato il proprio posto, nei campi lombardi, il mais, pianta americana, il riso, coltura araba proveniente dall’Andalusia, il gelso, destinato al baco da seta, una coltura fino a pochi decenni prima siciliana e calabrese, di cui Gallo comprende per primo le straordinarie potenzialità nel pedecollina prealpino.Autentico teorico delle nuove colture foraggere, Gallo propone la prima analisi razionale della tecnologia casearia lombarda, la tecnologia del formaggio grana, una tecnologia unica nel vastissimo panorama caseario europeo.Altrettanto interessanti di quelle casearie le pagine sulla trasformazione dell’uva in vino, nelle quali Gallo attesta la radicale differenza tra i vini italiani e quelli della Francia, dove si è già imposto il gusto moderno del vino, tanto che, come ricorda l’autore bresciano, i cavalieri francesi sono incapaci di bere il vino lombardo, che è ancora il vino medievale, acetoso, oscuro e torbido, privo di ogni aroma, perduto nella troppo lunga fermentazione. Non meno significative le pagine sull’agrumicoltura del Garda, al tempo di Gallo ricchissima attività economica fondata su una tecnologia sericola eccezionalmente avanzata.Iniziata con Gallo, l’agronomia europea del Rinascimento si compirà col capolavoro dell’epoca, l’opera del francese Olivier de Serres, che non cita mai l’autore italiano.
Il Libro-
Agostino Gallo “Le venti giornate dell’agricoltura e dei piaceri della Villa” stampato a Torino appresso gli eredi di Bevilacqua nel 1580.
Rara edizione cinquecentesca torinese di questa celebreopera, apparsa per la prima volta a Brescia nel 1564 col titolo di ”Le dieci giornate” e successivamente ampliata fino a diventare ”Le tredici giornate” (Venezia, 1566; col complemento delle ”Sette giornate” apparse nel 1569) ed infine ”Le vinti giornate” (Venezia, Percaccino, 1569). Sotto forma di dialogo tra Vinceno e Giovan Battista, l’opera affronta una moltissimi argomenti riguardanti l”agricoltura, la gastronomia: alimenti e loro conservazione, animali, , apicoltura, caccia e pesca, floricoltura e frutticoltura, olio, vino, risicoltura.
Bello stemma del dedicatario Emanuele Filiberto di Savoia sul frontespizio. acquerellato all’epoca.
Illustrato con 12 belle tavole xilografiche a piena pagina alcune delle quali acquarellate (vedi foto).
FARA in SABINA “LA CERVA FATATA” CHIUDE LA STAGIONE RAGAZZI AL TEATRO POTLACH
È arrivata alla sua conclusione la Stagione di Teatro Ragazzi organizzata dal Teatro Potlach di Fara Sabina.
L’ultimo spettacolo della rassegna sarà presentato domenica 7 maggio alle ore 17.00: sul palco di Fara Sabina andrà in scena “La cerva Fatata” del Teatro dei Colori.
In una piazzetta piena di gioiosa confusione, una giovane inizia a raccontare una storia, e nel racconto si trasforma in una vecchia, in una maga, in una principessa, in un giullare ridanciano e scostumato!
E dalla piazzetta chiassosa eccoci trasportati nel folto del bosco, nella casa dell’orco, nel castello di cristallo in fondo al mare… . Sulla scena un libro coloratissimo prende vita e i personaggi si trasformano in un modo nuovo ed antico: i principi sono volpi, le gatte sono cenerentole, le statue prendono vita, le addormentate non si vogliono svegliare. Da ogni metamorfosi nasce una storia, ogni cambiamento porta alla crescita e alla scoperta.
Con un linguaggio moderno e semplice per ogni bimbo, che non dimentica però il suono e la musicalità della lingua Napoletana in tutto il suo farsi magico e furbetto, epico e sacro, canzonatorio e cantante, uno spettacolo che nasce dal ricordo di un teatro alto e basso, fatto per i principi e per i piccirilli.
Attrice protagonista dello spettacolo è Rossella Celati, volto noto anche in televisione per la sua partecipazione a fiction come “Un posto al sole”.
Il costo del biglietto di ingresso è di 5 euro.
Per info e prenotazioni si può scrivere un sms o un messaggio whatsapp al numero del Teatro Potlach: 3517954176
Teatro Potlach
Via Santa Maria in Castello n.28, Fara in Sabina (RI)
L’ANPI PROVINCIALE DI ROMA RENDE OMAGGIO AD ANTONIO GRAMSCI NELL’83° ANNIVERSARIO DELLA MORTE.
Il più grande politico italiano dell’era moderna. Teorico dei Consigli di Fabbrica. Fondatore del Partito Comunista d’Italia. Maestro di Palmiro Togliatti. Il grande uomo che affrontò eroicamente e consapevolmente il martirio inflittogli dai fascisti perché il suo cervello doveva “…smettere di pensare per almeno venti anni…”. Il capo dei lavoratori italiani, nel cui ufficio la porta rimase sempre aperta per discutere spesso tutta la notte per convincere anche un solo operaio in più. L’uomo che voleva costruire il suo partito individuandolo nella parte migliore della classe operaia, dei lavoratori, degli studenti e degli intellettuali. L’immortale incitamento ai giovani: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.“
Riportiamo di seguito un bellissimo articolo di Lelio La Porta (docente nei licei, membro della International Gramsci Society, collaboratore di Critica marxista, saggista) scritto per Patria Indipendente nell’80° della scomparsa
Gramsci, la condizione umana e l’indifferenza
L’esperienza in una scuola. Cos’è la politica. Amare una persona e amare una collettività. Le storpiature volute degli intellettuali di destra
di Lelio La Porta su Patria Indipendente
L’80° anniversario della morte di Antonio Gramsci è alle nostre spalle. Ma può essere alle nostre spalle il pensiero di un uomo che vanta più di 20.000 saggi sulla propria opera pubblicati in ogni parte del mondo e traduzioni dei propri scritti in molte lingue? Oppure, ci si può ricordare di lui soltanto in occasione delle commemorazioni e degli anniversari (in verità più della morte che della nascita secondo un “modus operandi” consolidato per cui sembra che i grandi da ricordare siano soltanto morti senza aver mai visto la luce)? Non basta la cerimonia che, ormai da tre anni, si tiene ogni 27 aprile (giorno e mese del 1937 in cui Gramsci spirò in una clinica romana) presso l’urna che contiene le sue ceneri nel Cimitero della Piramide Cestia, a Roma. Se dopo il 2017, anno in cui si sono susseguiti convegni in ogni parte d’Italia e del mondo, seminari, presentazioni di volumi, ci si accomodasse nella ripetitività di attività già viste, magari dirette soltanto al solito gruppetto di studiose/i, l’eredità gramsciana perderebbe il suo senso culturale, politico, pedagogico e ne verrebbe sminuita anche la classicità da più parti rivendicata. Credo che si debba tenere viva la presenza gramsciana soprattutto in quei luoghi in cui o non c’è mai stata o è necessario che cominci ad esserci, perché sono i luoghi a cui Gramsci stesso pensava come fondamentali per la conquista dell’egemonia e del consenso da parte dei gruppi subalterni. Per chiarire il senso del ragionamento, si propone il passaggio dei Quaderni del carcere in cui Gramsci sottolinea la diversità fra la società russa conquistata con la Rivoluzione di Ottobre e quella italiana o, in genere, occidentale:
In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno, da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale [1].
Usando una terminologia militare, Gramsci fa capire che in Italia la conquista dell’egemonia passa attraverso l’occupazione delle fortezze e delle casematte che costituiscono la società civile; e fra queste casematte ce n’è una a cui Gramsci attribuisce un’importanza particolare: la scuola. Questo è uno dei luoghi in cui Gramsci, che di essa si è interessato in mille modi, mai è entrato, o, comunque, ha una presenza molto limitata.
Si sa che esistono le mosche bianche, come quel gruppo di insegnanti che, nel corso di un recente convegno gramsciano a Bari, hanno presentato, insieme alle loro classi, dei lavori aventi come oggetto alcune categorie del pensiero gramsciano. Ma ci si è mai chiesto qual è la condizione della conoscenza di Gramsci nelle nostre scuole? Bisognerà pur rendersi conto che Gramsci non può essere soltanto argomento di dotte disquisizioni di carattere filologico o di incontri accademici quando la sostanza politica del suo pensiero, ossia la filosofia della prassi, tutto fa meno che essere prassi in quanto rimane rinchiusa nei ristretti recinti di libresche elucubrazioni? Insomma o Gramsci conquista le casematte e le occupa (proprio perché questo sembra essere il suo obiettivo quando scrive di filosofia della prassi e del ruolo degli intellettuali) oppure rimarrà uno che è diventato famoso, seppure soltanto per una sera, in quanto il senso comune (altra battaglia tipicamente gramsciana è proprio quella relativa alla trasformazione del senso comune corrente in un nuovo senso comune) ne ha sentito parlare una volta durante un’edizione del Festival di Sanremo. Per conquistare le casematte bisogna penetrare al loro interno; per diffondere Gramsci nella scuola, la prima casamatta di cui si serve il dominante per dominare il dominato, e mantenerlo nella condizione di subalternità (pensino lettrici e lettori alla Legge 107/2015 nota come “La buona scuola”, che è l’ultimo strumento di dominio utilizzato dagli attuali dominanti per imporre il consenso ad una serie di obbrobri, fra cui occupa il primo posto la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, che può essere ribattezzata la fucina del precario a vita ipersfruttato e prealienato nel senso marxiano del termine), bisogna andarci.
La scena: cittadina molto nota per alcune sue particolarità artistiche che si trova subito dopo il confine fra Lazio ed Umbria. Istituto medio-superiore del posto: bello, funzionale, moderno, in possesso di tutte le novità tecnologiche che sono all’altezza dei tempi all’interno di una scuola. Aula Magna: un anfiteatro con comodissime sedie per gli spettatori e un tavolo a disposizione dei relatori con impianto acustico e schermo. Due relatori invitati dalla dirigenza scolastica a parlare di Antonio Gramsci, questo sconosciuto. Non servono discorsi troppo articolati sulle categorie gramsciane; necesse est parlare di lui: di un figlio, di un marito, di un padre, di un detenuto politico, di un uomo, soltanto di un uomo che ha, però, con i suoi scritti, acquisito un prestigio tale da collocarlo fra i cinque italiani dopo il XVI secolo più citati nella letteratura mondiale di arte ed umanità. Mentre è facile far capire ai giovani che Gramsci era stato bravissimo alle elementari, bravo al liceo, che lo sarebbe stato all’università, più complicato è far capire loro che lasciò l’università per il giornalismo e, poi, soprattutto, per la politica. La politica (si scorge scorrere un brivido lungo la schiena dei giovani ascoltatori) cos’è? Questa è la domanda che si coglie dagli sguardi degli astanti che ritengono che la politica sia gioco di potere, conquista e mantenimento di scranni in Parlamento a qualsiasi condizione, corruzione, malaffare e altro del genere. Quando si fa capir loro che la politica è cosa di tutte/i, che essa è la stessa aria che respiriamo, che non è approfittare di una posizione di privilegio per goderne ogni beneficio; quando si fa capir loro che la politica deriva da una passione profonda, da un amore profondo, per il mondo e i suoi abitanti e che per essa si può rinunciare anche ad una comoda e gratificante carriera dal punto di vista economico; allora gli sguardi, da corrucciati, diventano attenti ed interessati e vogliono saper qualcosa in più. E allora non si può fare altro che leggere una lettera famosa (ovviamente per chi ha qualche frequentazione gramsciana, ma che diventa una scoperta per chi sente parlare per la prima volta del grande sardo) che Gramsci scrisse alla sua compagna Giulia da Vienna il 6 marzo del 1924 (un mese dopo sarebbe stato eletto deputato):
Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso 10 in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna ed io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza nazionale della regione: «Al mare i continentali!» Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe operaia. Ma quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività se non si era amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante, non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario? Ho pensato molto a tutto ciò e ci ho ripensato in questi giorni, perché ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l’amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido [2].
L’amore è una delle molle che spinge Gramsci verso la politica: amare una persona vuol dire scoprire la capacità per amare una collettività. Il vero rivoluzionario, diceva Che Guevara, “è guidato da grandi sentimenti d’amore” [3]. Ecco un motivo di ulteriore attenzione da parte della gioventù presente che scopre che Guevara non è una fabbrica di magliette, come spiritoseggiavano Checco Zalone, da un lato, e Ficarra e Picone, dall’altro, in due film, ma è stato un uomo in carne ed ossa che ha combattuto duramente per gli altri rimettendoci la vita. Proprio come Gramsci che è stato ucciso dal fascismo (e non possono essere accettate, in quanto false e menzognere, versioni diverse che rendono corresponsabile della sua morte il suo partito che, anzi, come ha recentemente ricordato il nipote di Gramsci, cioè il figlio del secondogenito Giuliano, che porta il nome del nonno, il partito provvide a pagare le spese delle cliniche nelle quali Gramsci fu ricoverato dopo aver lasciato Turi, tacitando anche l’ulteriore motivo di discredito e di insopportabile sciatteria di chi ha sostenuto che i ricoveri nelle cliniche fossero una sorta di benevola concessione del regime fascista nei confronti del prigioniero).
Lampi negli occhi della gioventù presente (una parte non minima di essa aveva preferito la proiezione del film di Tarantino Bastardi senza gloria, in occasione del Giorno della Memoria; cosa c’entrasse un film del genere con il motivo per cui veniva proiettato, resta e resterà un insolubile mistero, almeno per chi scrive!). L’amore, invece, c’entra qualcosa, molto più di qualcosa, con la politica. Gli sguardi incrociavano gli sguardi. Si perveniva alla conclusione che questo insegnamento derivava dalla lettura di una lettera di Gramsci alla sua compagna. A questo punto la richiesta inattesa per chi parlava: un nuovo incontro, ma questa volta per leggere Gramsci, per entrare nel merito delle sue scelte attraverso la lettura dei suoi articoli giovanili e delle sue lettere prima del carcere. Magari con l’aggiunta di qualche lettera carceraria visto che è stato ricordato che le Lettere dal carcere vinsero, alla loro prima uscita nel 1947, il Premio Viareggio con voto unanime della giuria, presieduta da Leonida Répaci; la motivazione dell’assegnazione del premio a Gramsci che concorreva con Moravia, Berto, Pavese, Natalia Ginsburg, Quasimodo e Luzi: “La condizione umana non ha avuto in questi tempi confusi un più lucido assertore e testimone”. Che i nostri tempi, seppure non oltraggiati da abominevoli dittature, almeno per il nostro Paese, siano ancora confusi è un dato di fatto. Per combattere questa confusione, anticamera dell’indifferenza che tutto uccide e ammorba, Gramsci è un ottimo antidoto, soprattutto se somministrato in dosi massicce nella scuola; una casamatta che va conquistata assolutamente per non perdere in modo definitivo la possibilità futura che i governati diventino governanti e che, perciò, nella prospettiva gramsciana, si attui la democrazia politica:
(…) la «democrazia politica» tende a far coincidere governanti e governati, assicurando a ogni governato l’apprendimento più o meno gratuito della preparazione «tecnica» generale necessaria [4].
Comunque, va eretta una barricata a protezione di Gramsci e dei suoi scritti. Bisogna prendere la parte di Gramsci, essere partigiani in modo sincero ed autentico a difesa di un patrimonio della nostra cultura libera e democratica. E questo erigere le barricate e resistere contro l’inganno e la menzogna, va insegnato nelle scuole a partire, appunto, dalla difesa di Gramsci e dal contrattacco nei confronti di chi non si perita neanche per un momento di gettare confusione usandolo. Infatti, si deve stare molto attenti a fargli dire quello che non ha mai detto intervenendo sui suoi testi in modo illecito e assolutamente poco appropriato. Ce lo ricorda proprio lui:
“Sollecitare i testi”. Cioè far dire ai testi, per amor di tesi, più di quanto i testi realmente dicono. Questo errore di metodo filologico si verifica anche all’infuori della filologia, in tutte le analisi e gli esami delle manifestazioni di vita. Corrisponde, nel diritto penale, a vendere a meno peso e di differente qualità da quelli pattuiti, ma non è ritenuto crimine, a meno che non sia palese la volontà di ingannare: ma la trascuratezza e l’incompetenza non meritano sanzione, almeno una sanzione intellettuale e morale se non giudiziaria? [5]
Dunque: è in circolazione nelle italiche librerie un testo (si tratta di Imperdonabili di Marcello Veneziani) nel quale si scrive di Gramsci in un capitolo intitolato Tra Lenin e Mussolini. Voglio soffermarmi sul riferimento abbastanza esplicito dell’autore agli insegnanti, soprattutto a quelle/i che vengono da lui definiti di “formazione gramsciana” ma inconsapevoli, loro malgrado, che di essi Gramsci scriveva “noiosissima caterva di saputelli” e, in più, “professori canagliuzze, insaccatori di leggiadra pula e di perle, venditori di cianfrusaglie”.
Bene: la prima citazione è tratta da un articolo del 29 dicembre 1916, comparso sull’Avanti!, intitolato “L’Università popolare” [6]. Gramsci, ricordando il suo “garzonato universitario”, si compiaceva di avere avuto insegnanti notevoli che gli avevano trasmesso la serietà e il rigore negli studi, oltre al metodo, all’applicazione nella ricerca, alla passione filologica, alla dimensione civile dell’insegnamento:
“L’insegnamento, svolto in tal modo, diventa un atto di liberazione (…). È una lezione di modestia, che evita il formarsi della noiosissima caterva di saputelli, di quelli che credono aver dato fondo all’universo quando la loro memoria felice è riuscita a incasellare nelle sue rubriche un certo numero di date e nozioni particolari”.
Quindi, a ben leggere, possiamo invitare le/gli insegnanti italiane/i a tener ben stretta la loro formazione gramsciana in quanto Gramsci proprio non ce l’aveva con loro. Così come, contrariamente a quanto sostenuto nel libro di cui si sta scrivendo, non era per nulla contro il latino e il greco, anzi esattamente il contrario.
La seconda citazione è in realtà, nonostante sia riportata fra virgolette nel libro, un assemblaggio di frasi prese qua e là da un articolo del 27 novembre 1917 intitolato La difesa dello Schultz [7]. Si tratta di un testo in cui Gramsci difende l’uso della grammatica latina dello studioso tedesco Schultz dagli attacchi di Arnaldo Monti (presidente del “Fascio studentesco per la guerra e per l’idea nazionale”), motivati, soprattutto, dal fatto che si era in guerra contro i tedeschi e da questo fatto si prendeva lo spunto per criticare l’opera di un tedesco (si tratta di una forma di nazionalismo becera e odiosa oltremodo in quanto andava a toccare la cultura). In realtà, gli epiteti gramsciani riportati nel libro in circolazione, ora nelle nostre librerie, non sono affatto rivolti contro i docenti bensì contro Monti che, attaccando lo Schultz, vorrebbe fare dei giovani studiosi di latino degli “eleganti umanisti” quando, invece, lo studio della scuola classica, ossia quella fondata sul latino e sul greco, “deve preparare dei giovani che abbiano un cervello completo, pronto a cogliere della realtà tutti gli aspetti, abituato alla critica, all’analisi e alla sintesi”.
Introdurre Gramsci, quello vero e non storpiato da letture ideologicamente interessate, nelle scuole, non come semplice oggetto di assemblee di istituto, in quanto curiosità da sottoporre momentaneamente all’attenzione, ma come momento fondamentale del percorso formativo, dovrebbe essere compito primario, se non del Ministero (che ha ricordato l’anniversario con una circolare con la quale si invitavano le scuole a riflettere sul suo pensiero, circolare inosservata, forse perché le scuole sono troppo impegnate ad insegnare alla nostra gioventù la prassi del lavoro non pagato con l’alternanza scuola-lavoro), di ogni singola/o insegnante in quanto Gramsci e la scuola si identificano e possono, insieme, indicare una strada per resistere allo strapotere dei dominanti.
Lelio La Porta, docente nei licei, membro della International Gramsci Society, collaboratore di Critica marxista, saggista
[1] A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 866.
[2] A. Gramsci, Lettere 1908-1926, a cura di Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino 1992, pp. 271-272; ora anche in A. Gramsci, Un Gramsci per le nostre scuole, a cura di L. La Porta, Editori Riuniti, Roma 2016, pp. 210-211.
[3] E. Che Guevara, Il socialismo e l’uomo a Cuba in ID., Scritti scelti, a cura di R. Massari, erre emme, Roma 1993, v. II, p. 711.
[4] A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 501.
[5] Ivi, p. 838.
[6] A. Gramsci, Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1980, pp. 673-676.
[7] A. Gramsci, La Città Futura 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1982, pp. 458-461. Sono, peraltro, le stesse frasi proposte nella replica all’interrogazione parlamentare del 27 maggio 1997 da Fortunato Aloi, insegnante, uno dei leaders della Rivolta di Reggio nel 1970, deputato del Msi, poi di Alleanza Nazionale, sottosegretario all’Istruzione nel governo Berlusconi I, rieletto parlamentare nel 1996.
Fonte- Enciclopedia TRECCANI on line-
Biografia di ANTONIO GRAMSCI–Uomo politico e pensatore (Ales, Cagliari, 1891 – Roma 1937). Membro del PSI e fondatore de L’Ordine Nuovo (1919), fece parte dell’esecutivo dell’Internazionale comunista (1923). Divenuto segretario del Partito comunista d’Italia e deputato (1924), affrontò la questione meridionale, indirizzando la politica dei comunisti verso l’unione con i socialisti massimalisti. Nel 1924 fondò il quotidiano politico l’Unità, organo del PCd’I. Per la sua attività e per le sue idee fu condannato a venti anni di carcere (1928). Il suo pensiero politico, espresso anche nei numerosi scritti, si articolò in una rilettura globale dei fenomeni sociali e politici internazionali dal Risorgimento in poi, che lo portò a criticare per la prima volta lo stalinismo, a teorizzare il passaggio dalla “guerra di movimento” alla “guerra di posizione”, a formulare i concetti di “egemonia” e di “rivoluzione passiva”. Per la statura del suo impegno intellettuale e politico è considerato una tra le maggiori figure della prima metà del Novecento italiano.
Vita e attivitàVicino in gioventù all’autonomismo sardo, frequentò l’univ. di Torino dal 1911, avvicinandosi alla milizia socialista e rivoluzionaria. Iscritto al PSI dal 1913, fu redattore del Grido del popolo e dell’Avanti!; dopo la sommossa popolare dell’ag. 1917 divenne segretario della sezione socialista torinese. Nel maggio 1919 fondò L’Ordine Nuovo, settimanale di cultura socialista diretto soprattutto alla classe operaia, che militava in favore dell’adesione del Partito socialista all’Internazionale comunista e a sostegno del movimento dei consigli di fabbrica; nel 1920 le posizioni de L’Ordine Nuovo ebbero l’approvazione di Lenin e nello scontro interno al PSI G. si avvicinò all’ala astensionista guidata da A. Bordiga, che auspicava la costituzione del Partito comunista d’Italia (PCd’I), sezione italiana dell’Internazionale comunista. Membro del comitato centrale del nuovo partito (genn. 1921), fu a Mosca dal giugno 1922 al nov. 1923 ed entrò nell’esecutivo dell’Internazionale. Dal 1923 G. maturò il distacco dalle posizioni di Bordiga (che si trovava in polemica con l’Internazionale), per cui, rientrato in Italia nel maggio 1924, divenuto segretario del partito (nel 1924 era stato anche eletto deputato) e avendo fondato già a gennaio dello stesso anno il quotidiano politico l’Unità come organo del PCd’I, indirizzò, sfidando la dura linea di repressione perseguita dal governo fascista, la politica comunista verso l’unità con i socialisti massimalisti e verso un radicamento nella società italiana che aveva come fine l’alleanza tra gli operai e le masse contadine del Mezzogiorno (la “questione meridionale”), linea che ebbe la definitiva sanzione nel III congresso del PCd’I (Lione, 1926). Arrestato nel nov. 1926 con altri dirigenti del partito, nel 1928 G. fu condannato dal Tribunale speciale a venti anni di reclusione per attività cospirativa, incitamento all’odio di classe, ecc., e trascorse il periodo detentivo prevalentemente nel carcere di Turi e, dal 1934, in una clinica di Formia. Le condizioni di salute, già incerte, si aggravarono durante la reclusione e G. morì poco dopo la scarcerazione, avvenuta per amnistia.
Opere e pensiero -Sia la pubblicazione degli scritti politici, sia le Lettere dal carcere (postumo, 1947; ed. ampliate 1965, 1988), sia, e soprattutto, i Quaderni del carcere (postumo, 1948-51; ed. critica 1975) hanno avuto grande rilevanza nella cultura italiana del dopoguerra. Sul terreno politico, risale infatti a G. una delle prime e più incisive critiche politiche allo stalinismo (1926), nonché l’abbozzo, nei Quaderni, di una strategia rivoluzionaria fondata su un’idea non repressiva del potere (egemonia), in grado di tener conto della complessità e delle articolazioni della moderna società industriale (passaggio dalla “guerra di movimento” alla “guerra di posizione”). Prevalentemente ispirati da esigenze ermeneutiche e dunque solo indirettamente militanti, i Quaderni iniziano un’indagine di ampio respiro critico su molti aspetti della società, della storia e della cultura moderna: attraverso il concetto di “rivoluzione passiva” G. tenta, per es., di unificare una serie di fenomeni attuali legati al coinvolgimento e al ruolo delle masse nella società moderna, quali l'”americanismo”, la pianificazione sovietica e persino il fascismo; lo stesso concetto viene utilizzato anche su un piano storiografico, rispetto al quale hanno avuto particolare risonanza le considerazioni sui limiti democratici dello stato nazionale unitario, alla cui base vi è la lettura del risorgimento italiano come rivoluzione popolare mancata. Rilevanti gli approfondimenti su altri temi quali la storia degli intellettuali italiani, il pensiero politico di Machiavelli e il rapporto tra letteratura e società; sul terreno propriamente filosofico, il serrato confronto con B. Croce, la cui elaborazione viene complessivamente valutata come ritraduzione nel linguaggio speculativo idealistico del materialismo storico, si accompagna con un’interpretazione del marxismo in chiave storicistica e antideterministica (“filosofia della praxis”), lettura che pone al centro della riflessione l’attività umana come è storicamente determinata e l’insieme dei concreti rapporti (economici, sociali, ideologici, giuridici, ecc.) che legano gli uomini tra di loro.
Fonte- Enciclopedia TRECCANI on line-
Ordine nuovo, L’ Testata fondata a Torino da A. Gramsci. Uscì come settimanale di cultura socialista dal maggio 1919 al dicembre 1920, rappresentando le istanze del movimento dei consigli di fabbrica e, più in generale, le posizioni della tendenza comunista torinese. Quotidiano del partito comunista dal gennaio 1921 al dicembre 1922, uscì infine a Roma come quindicinale dal marzo 1924 all’aprile 1925. Vi collaborarono tra gli altri P. Togliatti, A. Tasca, U. Terracini.
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