Mildred Harnack, l’antinazista ghigliottinata per volere di Hitler
Articolo di Fabio Casalini
Mildred Harnack nacque a Milwaukee, nello stato del Wisconsin negli USA, il 16 settembre 1902 come figlia minore di William C. Fish e Georgina Fish Hesketh.
Frequentò le scuole superiori nella città natale, tranne l’ultimo anno nel quale si recò a Washington D.C. al termine delle scuole si trasferì alla University of Wisconsin dove conseguì una laurea in letteratura nel 1925. L’anno successivo conobbe Arvid Harnack, uno studente tedesco di economia, che si era già laureato in legge all’Università di Amburgo, ed era giunto nel 1926 all’università del Wisconsin grazie a una borsa di studio della Fondazione Rockfeller.
I due ragazzi si sposarono e decisero di trasferirsi a Berlino. Dal 1932 al 1936 Mildred lavorò come insegnante di lingua inglese in una scuola serale. Continuò a studiare conseguendo il dottorato nel 1941 alla Ludwigs-Universität di Gießen.
L’anno successivo inizio a lavorare come docente e traduttrice alla Deutsche Hochschule für Politik, un’università privata di Berlino.
I coniugi Harnack erano fortemente avversi al nazismo ed ebbero contatti con diplomatici stranieri per fornire informazioni sulle condizioni politiche ed economiche della Germania nazista. Mildred si relazionava con l’ambasciata degli USA e Arvid con quella dell’URSS. A partire dal 1939-40 presero contatti col circolo di resistenza al nazismo di Harro Schulze-Boysen, dedito soprattutto alla pubblicazione di scritti antifascisti, che sarebbe stato indicato dalla Gestapo come parte del gruppo di spionaggio Rote Kapelle (Orchestra Rossa).
I tentativi di informare le nazioni avversarie della Germania nazista, soprattutto USA e URSS, delle atrocità di Hitler e dei piani nazisti di guerra, erano solo una piccola parte dell’attività di resistenza. La maggior parte degli aderenti alla resistenza antinazista, soprattutto i membri dell’Orchestra Rossa, si dedicava a distribuire volantini, suscitare la disobbedienza civile della popolazione tedesca, aiutare gli oppositori del regime a nascondersi o a fuggire dalla Germania. Tutte queste attività avevano anche lo scopo di innervosire i governanti.
Arvid e Mildred Harnack vennero arrestati il 7 settembre 1942. Arvid Harnack venne condannato a morte il 19 dicembre 1942 dalla corte marziale del Terzo Reich, e giustiziato tre giorni dopo nel carcere di Berlino. Lo stesso giorno di dicembre Mildred fu condannata a sei anni, ma poiché Hitler in persona aveva chiesto la revisione del processo, Mildred venne condannata a morte in appello e ghigliottinata il 16 febbraio 1943.
Dopo l’esecuzione il corpo di Mildred fu stato consegnato al dottor Hermann Stieve, professore di anatomia della Humboldt University, che stava effettuando delle ricerche sugli effetti dello stress, come l’attesa dell’esecuzione e della morte, sul ciclo mestruale. Quando Stieve finì la dissezione consegnò ciò che rimaneva del corpo di Mildred ad una sua amica che fece seppellire i poveri resti nel cimitero di Zehlendorf a Berlino.
Bibliografia
Brysac, Shareen Blair (2000). Resisting Hitler: Mildred Harnack and the Red Orchestra. New York: Oxford University Press
Nelson, Anne (2009). Red Orchestra: The Story of the Berlin Underground and the Circle of Friends Who Resisted Hitler. New York: Random House
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI” -copia anastatica della Rivista PAN n°3 -1934
Il Pittore Arturo TOSI
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
Arturo TOSI, Pittore-Rivista PAN -1934Arturo TOSI, Pittore-Rivista PAN -1934 Articolo di Ugo OJETTI- Arturo TOSI Pittore-
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”
Biografia di
Ugo Ojetti
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Ugo Ojetti,Figlio della spoletina Veronica Carosi e del noto architetto Raffaello Ojetti, personalità di vastissima cultura, consegue la laurea in giurisprudenza e, insieme, esordisce come poeta (Paesaggi, 1892). È attratto dalla carriera diplomatica, ma si realizza professionalmente nel giornalismo politico. Nel 1894 stringe rapporti con il quotidiano nazionalista La Tribuna, per il quale scrive i suoi primi servizi da inviato estero, dall’Egitto.
Nel 1895 diventa immediatamente famoso con il suo primo libro, Alla scoperta dei letterati, serie di ritratti di scrittori celebri dell’epoca[1] redatti in forma di interviste, genere all’epoca ancora in stato embrionale. Scritto con uno stile che si pone fra la critica ed il reportage, il testo viene considerato, e come tale fa discutere, un momento di analisi profonda del movimento letterario dell’epoca. L’anno seguente Ojetti tiene a Venezia la conferenza “L’avvenire della letteratura in Italia”, che suscita un vasto numero di commenti in tutto il Paese.
I suoi articoli diventano molto richiesti: scrive per Il Marzocco (1896-1899), Il Giornale di Roma, Fanfulla della domenica e La Stampa. La critica d’arte occupa la maggior parte della sua produzione. Nel 1898 inizia la collaborazione con il Corriere della Sera, che si protrae fino alla morte.[2]
Tra il 1901 e il 1902 è inviato a Parigi per il Giornale d’Italia; dal 1904 al 1909 collabora a L’Illustrazione Italiana: tiene una rubrica intitolata “Accanto alla vita”, che poi rinomina “I capricci del conte Ottavio” (“conte Ottavio” è lo pseudonimo con cui firma i suoi pezzi sul settimanale). Nel 1905 si sposa con Fernanda Gobba e prende domicilio a Firenze; dal matrimonio tre anni dopo nasce la figlia Paola. Dal 1914 abiterà stabilmente nella vicina Fiesole. Invece trova nella villa paterna di Santa Marinella (Roma), soprannominata “Il Dado”, il luogo ideale in cui riposarsi, trascorrere le sue vacanze e scrivere le sue opere.
Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. All’inizio della guerra riceve l’incarico specifico di proteggere dai bombardamenti aerei le opere d’arte di Venezia. Nel marzo 1918 fu nominato “Regio Commissario per la propaganda sul nemico”. Fu incaricato di scrivere il testo del volantino, stampato in 350 000 copie in italiano e in tedesco, che fu lanciato il 9 agosto, dai cieli di Vienna dalla squadriglia comandata da Gabriele D’Annunzio.[3]
Nel 1920 fonda la sua rivista d’arte, Dedalo (Milano, 1920-1933), dove si occupa di storia dell’arte antica e moderna. Dall’impostazione della rivista dimostra una sensibilità e un modo di accostarsi all’arte e di divulgarla diversi dai canoni del tempo. La rivista diventa subito occasione d’incontro tra critici, intellettuali, artisti come Bernard Berenson, Matteo Marangoni, Piero Jahier, Antonio Maraini, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Pietro Toesca, Lionello Venturi e Roberto Longhi. L’idea di base della rivista è che l’opera d’arte abbia valore di testimonianza visibile della storia e delle civiltà più di ogni altra fonte. Nel 1921 avvia una rubrica sul Corriere utilizzando lo pseudonimo “Tantalo”. Tiene la rubrica ininterrottamente fino al 1939.
Sul finire del decennio inaugura una nuova rivista, Pegaso (Firenze, 1929-1933). Infine, lancia la rivista letteraria Pan, fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina. Tra il 1925 e il 1926 collabora anche a La Fiera Letteraria. Tra il 1926 ed il 1927 è direttore del Corriere della Sera.
È tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925 ed è nominato Accademico d’Italia nel 1930. Fa parte fino al 1933 del consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia Italiana. Ojetti organizza numerose mostre d’arte e dà vita ad importanti iniziative editoriali, come Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi per l’editrice Treves e I Classici italiani per la Rizzoli. Sul significato dell’architettura nelle arti ebbe a dire:
«l’architettura è nata per essere fondamento, guida, giustificazione e controllo, ideale e pratico, d’ogni altra arte figurativa»
La finestra di Ojetti a villa Il Salviatino con una targa che lo ricorda
Collaborò anche con il cinema: nel 1939 firmò l’adattamento per la prima edizione sonora de I promessi sposi, che costituì la base della sceneggiatura per il film del 1941 di Mario Camerini.
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana[4]; dopo la liberazione di Roma, nel 1944, fu radiato dall’Ordine dei giornalisti. Passò gli ultimi anni nella sua villa Il Salviatino, a Fiesole, dove morì nel 1946.
Antonio Gramsci scrisse che « la codardia intellettuale dell’uomo supera ogni misura normale ». Indro Montanelli lo ricordò sul: « È un dimenticato, Ojetti, come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: Barzini, per il grande reportage; Mussolini (non trasalire!), quello dell’Avanti! e del primo Popolo d’Italia, per l’editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l’articolo di arte e di cultura ».
Opere
Letteratura
Paesaggi (1892)
Alla scoperta dei letterati: colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga (Milano, 1895); ristampa xerografica, a cura di Pietro Pancrazi, Firenze, Le Monnier, 1967.
Scrittori che si confessano (1926),
Ad Atene per Ugo Foscolo. Discorso pronunciato ad Atene per il centenario della morte, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928.
Profondo conoscitore ed appassionato studioso d’arte, Ugo Ojetti ha pubblicato sull’argomento diversi importanti libri:
L’esposizione di Milano (1906),
Ritratti d’artisti italiani (in due volumi, 1911 e 1923),
Il martirio dei monumenti, 1918
I nani tra le colonne, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920
Raffaello e altre leggi (1921),
La pittura italiana del Seicento e del Settecento (1924),
Il ritratto italiano dal 1500 al 1800 (1927),
Tintoretto, Canova, Fattori (1928),
Atlante di storia dell’arte italiana, con Luigi Dami (due volumi, 1925 e 1934),
Paolo Veronese, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928,
La pittura italiana dell’Ottocento (1929),
Bello e brutto, Milano, Treves, 1930
Ottocento, Novecento e via dicendo (Mondadori, 1936),
Più vivi dei vivi (Mondadori, 1938).
In Italia, l’arte ha da essere italiana?, Milano, Mondadori, 1942.
Romanzi
L’onesta viltà (Roma, 1897),
Il vecchio, Milano, 1898
Il gioco dell’amore, Milano, 1899
Le vie del peccato (Baldini e Castoldi, Milano, 1902),
Il cavallo di Troia, 1904
Mimì e la gloria (Treves, 1908),
Mio figlio ferroviere (Treves, 1922).
Racconti
Senza Dio, 1894
Mimì e la gloria, 1908
Donne, uomini e burattini, Milano, Treves, 1912
L’amore e suo figlio, Milano, Treves, 1913
Teatro
Un Garofano (1902)
U. Ojetti-Renato Simoni, Il matrimonio di Casanova: commedia in quattro atti (1910)
Reportages
L’America vittoriosa (Treves, 1899),
L’Albania (Treves, 1902); nuova edizione, con cartina originale “La Grande Albania”, in Ugo Ojetti, Olimpia Gargano (a cura di), L’Albania, Milano, Ledizioni, 2017.
L’America e l’avvenire (1905).
Raccolte di articoli
Articoli scritti fra il 1904 e il 1908 per L’Illustrazione Italiana: I capricci del conte Ottavio (due voll., usciti rispettivamente nel 1908 e nel 1910)
Articoli per il Corriere della Sera: Cose viste (7 voll.: I. 1921-1927; II. 1928-1943). L’opera è stata anche tradotta in lingua inglese.
Memorie e taccuini
Confidenze di pazzi e savi sui tempi che corrono, Milano, Treves, 1921.
Vita vissuta, a cura di Arturo Stanghellini, Milano, Mondadori, 1942.
I Taccuini 1914-1943, a cura di Fernanda e Paola Ojetti, Firenze, Sansoni, 1954. [edizione censurata, con molti passi espunti]
Ricordi di un ragazzo romano. Note di un viaggio fra la vita e la morte, Milano, 1958.
I taccuini (1914-1943), a cura di Luigi Mascheroni, prefazione di Bruno Pischedda, Torino, Aragno, 2019, ISBN 978-88-841-9989-8.
Aforismi
Ojetti è celebre anche per i suoi aforismi, massime e pensieri, molti dei quali sono raccolti nei 352 paragrafi di Sessanta, volumetto scritto dall’autore nel 1931 per i suoi sessant’anni e pubblicato nel 1937 da Mondadori.
Lettere
Venti lettere, Milano, Treves, 1931.
Lettere alla moglie (1915-1919), a cura di Fernanda Ojetti, Firenze, Sansoni, 1964.
Intitolazioni
Presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi si è tenuta una mostra dedicata alle fotografia scattate per la rivista e che costituiscono il Fondo Ojetti.[7]
Lorenzo Benadusi, Il «Corriere della Sera» di Luigi Albertini, Roma, Aracne, 2012. Pag. 180.
Vittorio Martinelli, La guerra di d’Annunzio. Da porta e dandy a eroe di guerra e “comandante”, Gasparri, Udine, 2001, p. 98 e 265.
Renzo De Felice, Mussolini l’alleato, vol. II “La guerra civile (1943-1945)”, Einaudi, Torino, 1997, p. 112n
A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, p. 158.
Indro Montanelli, Il vero Ojetti da prendere a modello, Il Corriere della Sera del 13 novembre 2000
M. Tamassia (a cura di), Spigolature dal fondo Ojetti. Immagini dalla rivista “Dedalo”, Livorno, Sillabe, 2008.
Bibliografia
Ugo Ojetti, Una settimana in Abruzzo nell’anno 1907, a cura di Antonio Carrannante, Cerchio, Polla, 1999
Bruno Pischedda (a cura di), La critica letteraria e il «Corriere della Sera», Fondazione Corriere della Sera, 2011, Vol. I,
Laura Cerasi, Ugo Ojetti, « Dizionario Biografico degli Italiani », vol. 79, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2013
Angelo Gatti, “Caporetto”, Il Mulino, Bologna 1964.
Breve biografia dell’Artista TOSI Arturo
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
Biblioteca DEA SABINA- Arturo TOSI, Pittore-Rivista PAN n°3 -1934
Addio alla pittrice Marta Czok, l’Arte come testimonianza della condizione umana-
Si è spenta lo scorso giovedì 6 Febbraio la pittrice Marta Czok. La sua vita si è conclusa all’improvviso, con un arresto cardiaco mentre lavorava sulla sua ultima tela. Marta Czok (1947-2025) nacque a Beirut da una famiglia polacca che, all’esito della Seconda Guerra Mondiale trovò asilo politico a Londra, passando attraverso l’Egitto. Marta Czok studiò alla St Martins School of Art, selezionata ripetutamente per la Royal Academy Summer Exhibition. Negli anni Settanta, si trasferì in Italia dove sposò Valter Scarso, con cui, in oltre cinque decadi di lavoro, stabilì la sua carriera artistica. Le opere di Marta Czok, collezionate ed esposte in tutto il mondo, si contraddistinguono per la loro vena ironica, attraverso la quale ha espresso le sue riflessioni pungenti sull’ingiustizia sociale, l’importanza della democrazia e del pensiero libero, la critica alle istituzioni e alla guerra, l’esperienza vissuta di migrazione e il diritto umano ad avere un posto da chiamare “casa”.
Marta Czok-VISITORS_
Molti dei suoi ammiratori e collezionisti ricordano le sue opere per il senso di speranza che comunicano: il suo commentario politico si alternava volutamente a scene di vita comune, la gioia nella convivialità, gli spaccati di vita domestica, il senso dell’umorismo come strumento di resilienza.
Negli anni, diversi sono stati i progetti e le collaborazioni che hanno segnato la sua carriera, tra cui Alitalia per l’Arte, l’Ambasciata Francese presso la Santa Sede, l’Ambasciata di Polonia a Roma, l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, il Ministero della Cultura, Museo Macro e Museo Carlo Bilotti a Roma, l’Albemarle Gallery di Londra e Centrum Spotkania Kultur a Lublino. Nel 2008, la televisione nazionale polacca TV Polonia le ha dedicato un documentario nel quale si evidenziava il rapporto tra il suo lavoro e la Seconda Guerra Mondiale.
Dal 2021, la Fondazione Marta Czok ha rafforzato la sua missione, creando diverse retrospettive, che includono, negli ultimi mesi, le mostre URBE a Palazzo Montecitorio, DE INNOCENTIA al Complesso di Vicolo Valdina, O NAS al Konstancinski Dom Kultury in Polonia, ARCHĪVUM a Palazzo Mathis di Bra e infine la mostra EX_PATRIA nella sede di Venezia della Fondazione. Quest’ultima mostra, curata dal figlio Jacek Ludwig Scarso, affrontava l’esperienza di migrazione e di eventi bellici e fu selezionata dalla rivista Contemporary Lynx come una delle migliori mostre durante la Sessantesima Biennale dell’Arte.
Marta Czok-La Fune
Ultimamente stava lavorando su nuove mostre in Italia, in Polonia e nel Regno Unito, tra cui una collaborazione con AVR London e Anise Gallery per rivisitare i suoi lavori storici attraverso la realtà virtuale. In questo momento, le sue opere si possono visitare a Venezia con la mostra THE WINDOW e a Castel Gandolfo, dove la Fondazione Marta Czok ha creato la sede della sua Collezione Permanente. Le sue ultime interviste furono per Exibart e per il programma Stato dell’Arte, condotto da Cesare Biasini Selvaggi.
La Fondazione continuerà a portare avanti la sua missione: creare un dialogo profondo tra arte e società, attraverso il suo archivio storico e le future retrospettive, in parallelo a progetti di collaborazione con artisti, curatori e istituzioni in tutto il mondo.
Ilse Aichinger-(Vienna nel 1921- ivi 2016)è stata una delle grandi scrittrici austriache, i cui testi sono ormai considerati classici della letteratura in lingua tedesca. La madre, ebrea, è medico, il padre insegnante. Il romanzo d’esordio La speranza più grande (Die grössere Hoffnung, 1948) – alla cui stesura si dedica interrompendo gli studi di medicina – inaugura la letteratura austriaca del dopoguerra. Nel 1952 ottiene il Premio del Gruppo 47 per il suo racconto Storia allo specchio (Spiegelgeschichte) e conosce lo scrittore e poeta Günter Eich (1907-1972), che sposa l’anno successivo. Da lui avrà due figli, uno dei quali scrittore a propria volta.
Ilse Aichinger- La speranza più grande
* Testi selezionati da Consiglio gratuito (trad. di G. Drago, FinisTerrae, 2021)
Risposta invernale
Il mondo è fatto di materia
che esige attenzione:
niente più occhi
per vedere i prati bianchi
né orecchie per sentire
il fremito degli uccelli fra i rami.
Nonna, dove sono finite le tue labbra
per assaporare l’erba
e chi annuserà per noi il cielo fino in fondo,
quali guance si graffiano ancora
a sangue contro i muri del paese?
Non è un bosco buio
quello in cui siamo capitati?
No, nonna, non è buio,
io lo so, ho abitato a lungo
al margine, là dai bambini,
e poi non è neanche un bosco.
Ilse Aicbhinger
Marianne
Mi consola
che nelle notti d’oro
una bambina dorma.
Che il suo respiro passi accanto alla fucina
e il suo sole
già di buonora
si levi con il gallo e le galline
sull’erba umida.
Ilse Aicbhinger
Sfruttando le ore opache
Lascia la gentaglia
riposare sui campi,
nella foschia che si alza,
perché niente ti fa luce.
Sulle colline i trenini delle fiabe
ora sono chiusi,
le rape da tempo tolte dalla terra,
i bambini spariti.
I tessitori di ghirlande sono gli ultimi
a rimanere ancora,
bruciano olio nelle lucerne,
con loro si può parlare.
Ilse Aicbhinger
Scambio epistolare
Arrivasse la posta di notte
e la luna
spingesse le offese
sotto la porta:
sembrerebbero angeli
nelle loro vesti bianche
e nell’atrio resterebbero in silenzio.
Ilse Aichinger- La speranza più grande
Rauchenberg
Le redini,
corone sul muro,
la nuova impronta delle ombre
mi affida la strada.
Là dove il carro si copre di ruggine
vicino alla legna fradicia,
i miei cari si chinano
più leggeri sul tetto.
Alba d’inverno
Prima che i sogni arrugginiscano e si spezzino,
lascia che gli amati ne discendano,
i grandi e i piccoli,
nei cappotti grigi,
guardate qui, la via chiara, il ghiaccio.
ILSE AICHINGER
L’ultima notte
Che cosa mai doveva venire alla luce
Se non le strie della neve,
spade ai margini dell’infanzia
e contro il bosco
i rami dei meli
che la luna impregnava di nero,
le galline di cui si fa la conta?
Fare da sé
Lascerò i miei villaggi
senza parole
e agiterò
solo la neve
aperta contro i recinti.
Dall’alto dei miei solai
osserverò i giaguari,
sentirò fischiare i lupi.
Il sole saltò via di qui,
ma i bambini
vengono aiutati a raccogliere
i denti di leone,
largo al re!
A me
Volevo riferire del lungo abitare,
dei birilli di legno rosso
sulla terrazza, degli sguardi verso il mondo.
Volevo ripetere le grida degli uomini sul ghiaccio
con precisione, come sbattevano anche i birilli,
i fiori alla finestra volevo descrivere,
come crescevano verso il sole.
Cosa ho fatto?
Prematuro
Tu non deponi per me nessuna pietra
che faccia crescere il nostro vecchio lutto,
non mi doni nessuna luce per spaventarmi
e nessuno spavento perché ci sia più luce,
e nemmeno quello straccio di malinconia
che ogni stella pretende.
Ti dai da fare col tuo trovatello
e io non ho ancora trovato
le ragazze di cera,
che stanno quiete
come Gesù nel presepe,
ancora no.
Ilse Aichinger
Biografia di Ilse Aichinger-(Vienna nel 1921- ivi 2016)è stata una delle grandi scrittrici austriache, i cui testi sono ormai considerati classici della letteratura in lingua tedesca. La madre, ebrea, è medico, il padre insegnante. Il romanzo d’esordio La speranza più grande (Die grössere Hoffnung, 1948) – alla cui stesura si dedica interrompendo gli studi di medicina – inaugura la letteratura austriaca del dopoguerra. Nel 1952 ottiene il Premio del Gruppo 47 per il suo racconto Storia allo specchio (Spiegelgeschichte) e conosce lo scrittore e poeta Günter Eich (1907-1972), che sposa l’anno successivo. Da lui avrà due figli, uno dei quali scrittore a propria volta.
* Testi selezionati da Consiglio gratuito (trad. di G. Drago, FinisTerrae, 2021)
ILSE AICHINGER
-FONTE-
Le Poesie sono pubblicate dalla Rivista di Poesia «Avamposto»è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
Contatti
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
Roma – Concluso il restauro del monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo-
Roma, 9 febbraio 2025 –Concluso il restauro del monumento e questre ad Anita Garibaldi al Gianicolo.È stata inaugurata oggi, alla presenza del sindaco Roberto Gualtieri, del sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce e di FrancescoRutelli pronipote dell’artista Mario Rutelli, la conclusione del restauro del monumento equestre ad Anita Garibaldi. Il progetto – parte degli interventi PNRR – Caput Mundi curati dalla Sovrintendenza Capitolina – si è concluso nei tempi previsti (180 giorni).
Roma-monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo-
Torna così al suo originario splendore il monumento dedicato all’eroina laica che domina dall’alto del Gianicolo la Città Eterna.
I lavori, a circa quindici anni dall’ultimo intervento, si sono resi necessari a causa dei fenomeni di corrosione della struttura portante, della presenza di lesioni verticali lungo le zampe posteriori del cavallo e dell’estesa colatura di ossidi di ferro che ricopriva gran parte del basamento in travertino, fenomeni dovuti agli agenti atmosferici e alle sollecitazioni del terreno.
Roma-monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo-
Roma-monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo-
Roma-monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo-
L’intervento ha interessato sia le superfici in travertino (“cappellaccio di cava”) sia quelle in bronzo. Le parti lapidee sono state trattate per eliminare patine biologiche, muschi e licheni e per rimuovere incrostazioni e stratificazioni di ossidi ferrosi, sali di rame e sporco. Stuccature e micro-stuccature sono state effettuate su lesioni e fratture.
Le parti bronzee sono state liberate dai depositi superficiali; i fori di scolo sono stati disostruiti; crepe e mancanze di materiale sono state stuccate. Gli interventi sono stati fatti sia sulle superfici interne del cavallo sia sulle barre in ferro.
Roma-monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo-
Al fine di mettere in sicurezza il monumento e allo stesso tempo monitorarne la stabilità, è stato messo in opera tra la pancia del cavallo e la base in bronzo posta sul basamento un puntello in acciaio provvisto di “sella”, del tutto reversibile, inserendo tra le due superfici del materiale ammortizzante per non creare attrito e consentire le dilatazioni termiche del metallo.
“Il restauro della statua equestre di Anita Garibaldi, il decimo intervento concluso del programma PNRR Caput Mundi, è una tappa fondamentale dell’attività di recupero dei monumenti del Gianicolo condotta dalla Sovrintendenza capitolina. L’intervento di carattere storico ed evocativo si concluderà con la restituzione del Mausoleo Ossario Garibaldino” ha dichiarato il Sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce.
“Oggi abbiamo restituito alla città il meraviglioso monumento di Anita Garibaldi, finalmente restaurato, un lavoro accurato che davvero ci restituisce un simbolo importantissimo, di una donna coraggiosa che si batté per la nostra libertà, per la Repubblica romana. E quindi è giusto onorarla, ed è bello che questo straordinario monumento sia nuovamente fruibile da tutte le romane e i romani e i turisti“. Così il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri.
Cenni storici
Roma Gianicolo-Monumento ad Anita Garibaldi-Foto di Franco Leggeri
L’idea di erigere un monumento sul Gianicolo dedicato ad Anita Garibaldi risale al 1905 con il proposito di inaugurarlo a Roma nel 1907, centenario della nascita dell’Eroe dei Due Mondi. Furono indetti ben due concorsi ma nessuno dei bozzetti proposti trovò il favore del pubblico. Il progetto fu poi ripreso dal nipote Ezio Garibaldi e, nel 1929, fu affidato all’artista Mario Rutelli con l’intenzione di inaugurare l’opera per il 50° anniversario della morte di Garibaldi, il 2 giugno 1932.
Rutelli si mise al lavoro immaginando l’Eroina in sella a un destriero in corsa con la pistola in pugno, come novella Amazzone.
La statua equestre di bronzo è alta 4 metri e mezzo e pesa 40 quintali. Il gruppo rappresenta Anita durante gli avvenimenti bellici (1840) della “Guerra dei Farrapos” per la difesa della “Republica Juiliana” fondata dopo la rivolta della provincia di Rio Grande do Sul contro l’Impero brasiliano; a briglie sciolte l’Eroina, sfugge ai soldati imperiali che avevano circondato la casa di campagna nel piccolo villaggio di Mostazas, dove dodici giorni prima, il 16 settembre 1840, aveva partorito il primogenito Menotti Domingo: con il figlio assicurato al petto mediante un fazzoletto datole da Garibaldi, con la mano sinistra si tiene alla criniera del cavallo mentre con la destra impugna, brandendola in alto, la pistola.
Il basamento in travertino, dal perimetro di 18 metri e pesante 80 quintali, custodisce al suo interno i resti di Anita; è fasciato da quattro altorilievi in bronzo che raffigurano episodi della vita avventurosa dell’eroina: Anita che guida i garibaldini durante la battaglia di Curitibanos; Anita che osserva i combattenti; Anita che cerca Garibaldi sul campo di battaglia tra i caduti e, infine, il marito che la trasporta morente tra le braccia.
Il 2 giugno 1932 l’opera fu inaugurata.
Roma Gianicolo-Monumento ad Anita Garibaldi-Foto di Franco Leggeri
Vita di Anita Garibaldi
Anna Maria Ribeiro Da Silva nasce in Brasile intorno al 1820. Data in sposa giovanissima a Manuel Duarte de Aguiaz nel 1835, conobbe Giuseppe Garibaldi a Laguna nel 1839 e da allora in poi partecipò con passione a tutte le sue imprese. Lo sposò a Montevideo il 16 giugno 1842. Anita combatté al fianco del marito a porta S. Pancrazio e, dopo la caduta di Roma, lo seguì nella tragica ritirata, durante la quale perse la vita.
La salma fu tumulata nel cimitero parrocchiale delle Mandriole poi, alla presenza di Garibaldi, nel settembre del 1859 fu trasportata a Nizza. L’8 gennaio 1932 fu traslata da Nizza al cimitero di Staglieno a Genova, in attesa di essere condotta a Roma. Il trasporto funebre definitivo avvenne il 1° giugno, e si decise di tumulare i resti dell’Eroina nel basamento del monumento.
Roma Gianicolo-Monumento ad Anita Garibaldi-Foto di Franco Leggeri
Roma Gianicolo-Monumento ad Anita Garibaldi-Foto di Franco Leggeri
Roma Gianicolo-Monumento ad Anita Garibaldi-Foto di Franco Leggeri
La Buona Novella: relativizzare i nostri problemi . Patti Smith e la lezione sul suo malore-
Patti Smith
La nuova rubrica della redazione dedicata alle buone notizie. Patti Smith e la lezione sul suo malore-Capita alle persone famose. Un malore forse abbastanza banale si trasforma istantaneamente in un evento che raggiunge mezzo mondo. È capitato alla cantante e cantautrice rock Patti Smith, durante una performance che alternava brani musicali a letture di suoi testi, e che si stava svolgendo a San Paolo del Brasile, insieme a un gruppo musicale di Berlino. Sentendosi male (per una serie di emicranie che – dicono le agenzie – si sono tradotte in capogiro), ha lasciato il palco, salvo ricomparire, dopo i primi accertamenti.Beh, verrebbe da dire a chi legge, che c’è di bello? Può un malore, anche se “passeggero”, essere una buona notizia? La stessa protagonista, tuttavia, ha dato a questo imprevisto un senso che fa riflettere.Perché Patti Smith è ricomparsa da dietro le quinte, accompagnata da personale paramedico, su una sedia a rotelle: non si è quindi sottratta agli sguardi né del pubblico né di telefoni, telecamere e quant’altro. E naturalmente ha voluto cantare. A quel punto, senza accompagnamento musicale, “a cappella”, ha attaccato uno dei suoi storici successi, Because the night, che si deve a Bruce Springsteen: un testo d’amore, un testo forte, passionale, amato dal pubblico di entrambi da quasi 50 anni (1978).Ma non basta: a fronte della circolazione di notizie allarmistiche, Patti Smith ha ancora aggiunto: «Per favore, non fidatevi delle storie che leggete altrove, con tutti i problemi nel mondo non merito tanta attenzione».Quindi, dopo il malore, l’abbraccio con i propri fan, con un’uscita sul palco in cui non ha nascosto la sua debolezza. E poi, dopo aver cantato (perché un’artista della musica si esprime innanzitutto con le proprie note), un’indicazione che vale per tutti, tanto più se viene da una star: in un mondo sofferente, cerchiamo, cercate di relativizzare i nostri problemi. Un messaggio che – questo sì – è una buona notizia e una bella lezione.
Foto di Harald Krichel –Articolo di Alberto Corsani-Fonte Riforma.it-Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Patti Smith
Patti Smith –Cantante e poetessa statunitense (n. Chicago 1946). Fattasi conoscere con letture di poesia recitate insieme a L. Kaye, ha pubblicato il suo primo album Horses (1975) con J. Cale dei Velvet Underground. La visionaria qualità poetica e il nudo rock elettrico ne hanno decretato il successo di critica, facendone la portavoce della generazione beat. Con i successivi Radio Ethiopia (1976), Easter (1978) e il singolo Because the night (1979, scritto per lei da B. Springsteen) si è imposta al grande pubblico. Ha successivamente pubblicato Dream of life (1988) e Gone again (1996), quest’ultimo dedicato al marito Fred Smith, chitarrista degli MC5 e all’amico R. Mapplethorpe, scomparsi nel 1994. Gli album Peace and noise (1997), Gung Ho (2000) e Trampin’ (2004) ne hanno confermato la capacità evocativa e il talento. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo Just kids, in cui racconta la storia della sua amicizia con Mapplethorpe; il libro le è valso il prestigioso U.S. National Book Award (2010). Ormai ampiamente riconosciuta anche come scrittrice, nel 2011 ha vinto il Polar Music Prize; l’anno successivo è tornata in sala d’incisione per Banga, e ha inoltre pubblicato i testi autobiografici Woolgathering (trad. it. I tessitori di sogni, 2013), M Train (2015; trad. it. 2016), Devotion (2017; trad. it. 2018) e Year of the Money (2020; trad. it. 2020). Nel 2017 il Palazzo del Governatore di Parma ha ospitato la mostra Higher learning, in cui sono state esposte 120 fotografie in bianco e nero scattate dalla cantante nel corso dei suoi viaggi.
Patti Smith-
Patricia Lee Smith (born December 30, 1946) is an American singer, songwriter, poet, painter, author, and photographer. Her 1975 debut album Horses made her an influential member of the New-York-City-based punk rock movement.[1] Smith has fused rock and poetry in her work. In 1978, her most widely known song, “Because the Night“, co-written with Bruce Springsteen, reached number 13 on the Billboard Hot 100 chart[1] and number five on the UK Singles Chart.
Smith was born on December 30, 1946, at Grant Hospital in the Lincoln Park section of Chicago,[6][7] to Beverly Smith, a jazz singer turned waitress, and Grant Smith, a Honeywellmachinist.[8] Her family is of partially Irish ancestry,[9] and Patti is the eldest of four children, with siblings Linda, Kimberly, and Todd.[10]
In 1969, Smith went to Paris with her sister, and started busking and doing performance art.[13] When Smith returned to Manhattan, she lived at the Hotel Chelsea with Robert Mapplethorpe. They frequented Max’s Kansas City on Park Avenue, and Smith provided the spoken word soundtrack for Sandy Daley’s art film Robert Having His Nipple Pierced, starring Mapplethorpe. The same year, Smith appeared with Jayne County in Jackie Curtis‘s play Femme Fatale. She also starred in Anthony Ingrassia‘s play Island. As a member of the Poetry Project, she spent the early 1970s painting, writing, and performing.
In 1969, Smith also performed in the one-act playCowboy Mouth,[16] which she co-wrote with Sam Shepard. The published play’s notes call for “a man who looks like a coyote and a woman who looks like a crow”. She wrote several poems about Shepard and her relationship with him, including “for sam shepard”[17] and “Sam Shepard: 9 Random Years (7 + 2)”, that were published in Angel City, Curse of the Starving Class & Other Plays (1976).
On February 10, 1971, Smith, accompanied by Lenny Kaye on electric guitar, opened for Gerard Malanga, which was her first public poetry performance.[18][19]
Smith was briefly considered as lead singer for Blue Öyster Cult. She contributed lyrics to several Blue Öyster Cult songs, including “Debbie Denise”, which was inspired by her poems “In Remembrance of Debbie Denise”, “Baby Ice Dog”, “Career of Evil”, “Fire of Unknown Origin“, “The Revenge of Vera Gemini”, on which she performs duet vocals, and “Shooting Shark”. At the time, she was romantically involved with Allen Lanier, Blue Öyster Cult’s keyboardist. During these years, Smith was also a rock music journalist, writing periodically for Rolling Stone and Creem.[18]
On October 15, 2006, Smith performed a 3½-hour tour de force show to close out CBGB, the famed New York City live music venue. Smith performing at Primavera Sound Festival in Haldern Pop in North Rhine-Westphalia, Germany, in August 2014 Smith performing in Berlin, in June 2022
In 1973, Smith teamed up again with musician and rock archivist Lenny Kaye, and later added Richard Sohl on piano. The trio developed into a full band with the addition of Ivan Král on guitar and bass and Jay Dee Daugherty on drums.[18] Kral was a refugee from Czechoslovakia who had moved to the US in 1966 with his parents, who were both diplomats. After the Soviet invasion of Czechoslovakia in August 1968, Kral decided not to return.[20]
Financed by Sam Wagstaff, the band recorded their first single, “Hey Joe/Piss Factory” in 1974. The A-side was a version of the rock standard with the addition of a spoken word piece about Patty Hearst, a fugitive heiress. The B-side describes the helpless alienation Smith felt while working on a factory assembly line and the salvation she dreams of achieving by escaping to New York City.[1] In a 1996 interview on artistic influences during her younger years, Smith said, “I had devoted so much of my girlish daydreams to Rimbaud. Rimbaud was like my boyfriend.”[21]
In March 1975, Smith’s group, the Patti Smith Group, began a two-month weekend set of shows at CBGB in New York City with the band Television. The Patti Smith Group was spotted by Clive Davis, who signed them to Arista Records.
Later that year, the Patti Smith Group recorded their debut album, Horses, produced by John Cale amid some tension.[18] The album fused punk rock and spoken poetry and begins with a cover of Van Morrison‘s “Gloria“, and Smith’s opening words: “Jesus died for somebody’s sins but not mine”, an excerpt from “Oath”, one of Smith’s early poems. The austere cover photograph by Mapplethorpe has become one of rock’s classic images.[22]
As punk rock grew in popularity, the Patti Smith Group toured the U.S. and Europe. The rawer sound of the group’s second album, Radio Ethiopia, reflected this. Considerably less accessible than Horses, Radio Ethiopia initially received poor reviews. However, several of its songs have stood the test of time, and Smith still performs them live.[23] She has said that Radio Ethiopia was influenced by the band MC5.[21]
On January 23, 1977, while touring in support of Radio Ethiopia, Smith accidentally danced off a high stage in Tampa, Florida, and fell 15-feet onto a concrete orchestra pit, breaking several cervical vertebrae.[24] The injury required a period of rest and physical therapy, during which she says she was able to reassess, reenergize, and reorganize her life.
The Patti Smith Group produced two further albums. Easter, released in 1978, was their most commercially successful record. It included the band’s top single “Because the Night“, co-written with Bruce Springsteen. Wave (1979) was less successful, although the songs “Frederick” and “Dancing Barefoot” received commercial airplay.[25]
Through most of the 1980s, Patti lived with her family in St. Clair Shores, Michigan, and was semi-retired from music. She ultimately moved back to New York City.
Michael Stipe of R.E.M. and Allen Ginsberg, whom she had known since her early years in New York City, urged her return to live music and touring. She toured briefly with Bob Dylan in December 1995, which is chronicled in a book of photographs by Stipe.[16]
In 1996, Smith worked with her long-time colleagues to record Gone Again, featuring “About a Boy”, a tribute to Kurt Cobain, the former lead singer of Nirvana who died by suicide in 1994.
On April 27, 2004, Smith released Trampin’, which included several songs about motherhood, partly in tribute to Smith’s mother, who died two years earlier. It was her first album on Columbia Records, which later became a sister label to her Arista Records, her previous label. Smith curated the Meltdown festival in London on June 25, 2005, in which she performed Horses live in its entirety for the first time.[29] This live performance was released later in 2004 as Horses/Horses.
On October 15, 2006, Smith performed a 3½-hour tour de force show to close out at CBGB, which was an immensely influential New York City live music venue for much of the late 20th and early 21st centuries. At the CBGB show, Smith took the stage at 9:30 p.m. (EDT) and closed her show a few minutes after 1:00 am. Her final song was “Elegie”, after which she read a list of punk rock musicians and advocates who had died in the previous years, representing the last public song and words performed at the iconic venue.[30]
On September 10, 2009, after a week of smaller events and exhibitions in Florence, Smith played an open-air concert at Piazza Santa Croce, commemorating her performance in the same city 30 years earlier.[31]
Smith’s 11th studio album, Banga, was released in June 2012. American Songwriter wrote that, “These songs aren’t as loud or frantic as those of her late 70s heyday, but they resonate just as boldly as she moans, chants, speaks and spits out lyrics with the grace and determination of Mohammad Ali in his prime. It’s not an easy listen—the vast majority of her music never has been—but if you’re a fan and/or prepared for the challenge, this is as potent, heady and uncompromising as she has ever gotten, and with Smith’s storied history as a musical maverick, that’s saying plenty.”[34]Metacritic awarded the album a score of 81, indicating “universal acclaim”.[35]
Also in 2012, Smith recorded a cover of Io come persona by Italian singer-songwriter Giorgio Gaber.[36][37]
In 2015, Smith wrote “Aqua Teen Dream” to commemorate the series finale of Aqua Teen Hunger Force. The vocal track was recorded in a hotel overlooking Lerici‘s Bay of Poets.[38] On September 26, 2015, Smith performed at the American Museum of Tort Law convocation ceremony.[39]
In 2016, Smith performed “People Have the Power” at Riverside Church in Manhattan to celebrate the 20th anniversary of Democracy Now, where she was joined by Michael Stipe. On December 10, 2016, Smith attended the Nobel Prize Award Ceremony in Stockholm on behalf of Bob Dylan, winner of the Nobel Prize in Literature, who could not be present due to prior commitments.
After the official presentation speech for the literary prize by Horace Engdahl, the perpetual secretary of the Swedish Academy, Smith sang the Dylan song “A Hard Rain’s a-Gonna Fall“.[41] She missung one verse, singing, “I saw the babe that was just bleedin’,” and was momentarily unable to continue.[42] After a brief apology, saying that she was nervous, she resumed the song and earned jubilant applause at its end.[43][44]
Patti Smith sulle biblioteche
Art and writings
In 1994, Smith began devoting time to what she terms “pure photography”, a method of capturing still objects without using a flash.[45]
From November 2006 to January 2007, an exhibition called ‘Sur les Traces’[46] at Trolley Gallery, London, featured polaroid prints taken by Smith and donated to Trolley to raise awareness and funds for the publication of Double Blind: Lebanon Conflict 2006, a book with photographs by Paolo Pellegrin, a member of Magnum Photos. She also participated in the DVD commentary for Aqua Teen Hunger Force Colon Movie Film for Theaters.
From March 28 to June 22, 2008, the Fondation Cartier pour l’Art Contemporain in Paris hosted a major exhibition of the visual artwork of Land 250, drawn from pieces created by Smith between 1967 and 2007.[47]
In 2010, Smith’s book Just Kids, a memoir of her time in Manhattan in the 1970s and her relationship with Robert Mapplethorpe, was published. The book won the National Book Award for Nonfiction later that year.[4][49] In 2018, a new edition of Just Kids, including additional photographs and illustrations, was published. Smith also headlined a benefit concert headed by bandmate Tony Shanahan, for Court Tavern in New Brunswick, New Jersey.[50] Smith’s set included “Gloria”, “Because the Night”, and “People Have the Power”.
In 2011, Smith announced the first museum exhibition of her photography in the U.S., Camera Solo. She named the project after a sign she saw in the abode of Pope Celestine V, which translates as “a room of one’s own”, and which Smith felt best described her solitary method of photography.[45] The exhibition featured artifacts that were everyday items or places of significance to artists Smith admires, including Rimbaud, Charles Baudelaire, John Keats, and William Blake. In February 2012, she was a guest at the Sanremo Music Festival.[51]
Also in 2011, Smith was working on a crime novel set in London. “I’ve been working on a detective story that starts at the St Giles in the Fields church in London for the last two years”, she told NME, adding that she “loved detective stories” and was a fan of British fictional detective Sherlock Holmes and U.S. crime author Mickey Spillane in her youth.[52][53]
In 2017, Smith appeared as herself in Song to Song opposite Rooney Mara and Ryan Gosling, directed by Terrence Malick.[55][56] She later made an appearance at the Detroit show of U2’s The Joshua Tree 2017 tour and performed “Mothers of the Disappeared” with the band.[57]
In 2019, Smith performed “People Have the Power” with Stewart Copeland and Choir! Choir! Choir! at Onassis Festival 2019: Democracy Is Coming. Later that year, she released her latest book, Year of the Monkey.[61] “A captivating, redemptive chronicle of a year in which Smith looked intently into the abyss”, stated Kirkus Reviews.[62]
One of the first musicians to reference Smith was Todd Rundgren. In the liner notes of his 1972 album Something/Anything?, Rundgren wrote that “Song of the Viking” was “written in the feverish grip of the dreaded ‘d’oyle carte,’ a chronic disease dating back to my youth. Dedicated to Miss Patti Lee Smith.” Seven years later, Rundgren produced the final Patti Smith Group album, Wave.[65]
Hole‘s “Violet“, released in 1994, features the lyrics, “And the sky was all violet / I want it again, but violent, more violent,” alluding to lyrics from Smith’s song “Kimberly”.[68] In 2010, Hole singer Courtney Love said that she considered Smith’s “Rock N Roll Nigger” the greatest rock song of all time,[69] and credited Smith as a major influence. Love received Smith’s album Horses in juvenile hall as a teenager, and “realized that you could do something that was completely subversive that didn’t involve violence [or] felonies. I stopped making trouble.”[70]
In 1998, Michael Stipe of R.E.M. published a collection of photos, titled Two Times Intro: On the Road with Patti Smith. Stipe sings backing vocals on Smith’s “Last Call” and “Glitter in Their Eyes”. Smith sang background vocals on R.E.M.‘s “E-Bow the Letter” and “Blue“.[71] A decade later, in 2008, Stipe say that Smith’s album Horses was one of his inspirations. “I decided then that I was going to start a band,” Stipe said about the impact of listening to Horses.[72]
In 2004, Shirley Manson of Garbage spoke of Smith’s influence on her in Rolling Stone‘s issue “The Immortals: 100 Greatest Artists of All Time”, in which Smith was ranked 47th.[74]The Smiths members Morrissey and Johnny Marr share an appreciation for Smith’s Horses, and revealed that their song “The Hand That Rocks the Cradle” is a reworking of one of the album’s tracks, “Kimberly”.[75] In 2004, Sonic Youth released an album called Hidros 3 (to Patti Smith).[76]
In 2005, U2 cited Smith as an influence.[77] The same year, Scottish singer-songwriter KT Tunstall released “Suddenly I See“, a single, as a tribute of sorts to Smith.[78] Canadian actor Elliot Page frequently mentions Smith as one of his idols and has done various photo shoots replicating famous Smith photos, and Irish actress Maria Doyle Kennedy often refers to Smith as a major influence.[79]
“She was the epitome of a literate, intelligent woman taking charge and being respected by her peers,” observed Maria McKee in 2005.[80]
In 2012, Madonna named Smith as one of her biggest influences.[81]
In 2012, Smith was awarded an honorary doctorate in fine arts from Pratt Institute in Brooklyn.[82] Following conferral of her degree, Smith delivered the commencement address[83] and played two songs along with long-time band member Lenny Kaye. In her Pratt Institute commencement address, Smith said that when she moved to New York City in 1967, she would never have been accepted into Pratt but most of her friends, including Mapplethorpe, were students at Pratt, and she spent countless hours on the Pratt campus. She added that it was through her friends and Pratt professors that she learned many of her own artistic skills.[84]
In 2018, the English band Florence and the Machine dedicated the High as Hope album song “Patricia” to Smith. The lyrics reference Smith as Florence Welch‘s “North Star”.[85] Canadian country musician Orville Peck cited Smith as having had a big impact on him, stating that Smith’s album Horses introduced him to a new and different way to make music.[86] Poetic singer songwriter Joustene Lorenz also cites Patti Smith as a ‘powerful influence’ on her life and music.[87]
In November 2020, Smith was set to receive the International Humanities Prize from Washington University in St. Louis in November 2020; however, the ceremony was canceled due to the COVID-19 pandemic.[88] In 2022, she was awarded an Honorary Doctor of Humane Letters from Columbia University.[89] Also in 2022, Smith was named an Officer of the French Legion of Honor (Officier de l’Ordre national de la Légion d’honneur). The award was presented to her at the “Night of Ideas” cultural celebration in Brooklyn, by the French ambassador to the United States, Philippe Étienne.[90]
I wrote both these songs directly in response to events that I felt outraged about. These are injustices against children and the young men and women who are being incarcerated. I’m an American, I pay taxes in my name and they are giving millions and millions of dollars to a country such as Israel and cluster bombs and defense technology and those bombs were dropped on common citizens in Qana. It’s terrible. It’s a human rights violation.
In a 2009 interview, Smith stated that Kurnaz’s family had contacted her and that she wrote a short preface for the book that he was writing,[100] which was released in March 2008.[101]
In March 2003, ten days after the murder of Rachel Corrie, Smith appeared in Austin, Texas and performed an anti-war concert, and subsequently wrote “Peaceable Kingdom”, a song inspired by and dedicated to Corrie.[102] In 2009, in her Meltdown concert in Festival Hall, she paid homage to the Iranians taking part in post-election protests by saying “Where is My Vote?” in a version of the song “People Have the Power”.[103]
In 2015, Smith appeared with Nader, spoke and performed the songs “Wing” and “People Have the Power” during the American Museum of Tort Law convocation ceremony in Winsted, Connecticut.[104] In 2016, Smith spoke, read poetry, and performed several songs along with her daughter Jesse at Nader’s Breaking Through Power conference at DAR Constitution Hall in Washington, D.C.[105]
In 2020, Smith contributed signed first-edition copies of her books to the Passages bookshop in Portland, Oregon after the store’s valuable first-edition and other books by various authors were stolen in a burglary.[111] Smith regards climate change as the predominant issue of our time, and performed at the opening of COP26 in 2021.[112]
On February 24, 2022, Smith performed at The Capitol Theatre (Port Chester, New York) for the first time,[114] saying, “I would be lying if I said I wasn’t affected by what is happening in the world” referencing the Russian invasion of Ukraine earlier that day. “Peace as we know it is over in Europe”, she said.[115] “This is what I heard in my sleep and goes through my head all day all night long like a tragic hit song. A raw translation of the Ukrainian anthem that the people are singing through defiant tears”, she wrote on Instagram on March 6, 2022.[116]
Beliefs
Religion
Smith was raised a Jehovah’s Witness and had a strong religious upbringing and a Biblical education. She says she left organized religion as a teenager because she found it too confining. This experience inspired her lyrics, “Jesus died for somebody’s sins, but not mine”, which appear on her cover version of “Gloria” by Them.[117] She has described having an avid interest in Tibetan Buddhism around the age of 11 or 12, saying “I fell in love with Tibet because their essential mission was to keep a continual stream of prayer,” but that as an adult she sees clear parallels between different forms of religion and has concluded that religious dogmas are “…man-made laws that you can either decide to abide by or not.”[21]
In 2014, she was invited by Pope Francis to play at Vatican Christmas concert.[118] “It’s a Christmas concert for the people, and it’s being televised. I like Pope Francis and I’m happy to sing for him. Anyone who would confine me to a line from 20 years ago is a fool! I had a strong religious upbringing, and the first word on my first LP is Jesus. I did a lot of thinking. I’m not against Jesus, but I was 20 and I wanted to make my own mistakes and I didn’t want anyone dying for me. I stand behind that 20-year-old girl, but I have evolved. I’ll sing to my enemy! I don’t like being pinned down and I’ll do what the fuck I want, especially at my age…oh, I hope there’s no small children here!” she said.[119]
In 2021, she performed at the Vatican again, telling Democracy Now! that she studied Francis of Assisi when Pope Benedict XVI was still the pope. Smith called Francis of Assisi “truly the environmentalist saint” and said that despite not being a Catholic, she had hoped for a pope named Francis.[120]
Feminism
According to biographer Nick Johnstone, Smith has often been “revered” as a “feminist icon”,[121] including by The Guardian journalist Simon Hattenstone in a 2013 profile on the musician.[122]
In 2014, Smith offered her opinion on the sexualization of women in music. “Pop music has always been about the mainstream and what appeals to the public. I don’t feel it’s my place to judge.” Smith historically and presently declines to embrace feminism, saying, “I have a son and a daughter, people always talk to me about feminism and women’s rights, but I have a son too—I believe in human rights.”[123]
In 2015, writer Anwen Crawford observed that Smith’s “attitude to genius seems pre-feminist, if not anti-feminist; there is no democratizing, deconstructing impulse in her work. True artists, for Smith, are remote, solitary figures of excellence, wholly dedicated to their art.”[124]
In 2024, Smith, along with Yoko Ono and Sandra Bloodworth, was awarded the Municipal Art Society of New York’s highest honor, the Jaqueline Kennedy Onassis Medal. The Medal is awarded annually to individuals who, through vision, leadership, and philanthropy, have made a lasting contribution to New York City.[129]
In 1967, 20-year-old Smith left Glassboro State College (now Rowan University) and moved to Manhattan, where she began working at Scribner’s bookstore with friend and poet Janet Hamill. On April 26, 1967, at age 20, Smith gave birth to her first child, a daughter, and placed her for adoption.[15]
While working at the bookstore she met photographer Robert Mapplethorpe, with whom she began an intense romantic relationship, which was tumultuous as the pair struggled with poverty and Mapplethorpe’s sexuality. Smith used Mapplethorpe’s photographs of her as covers for her albums, and she wrote essays for several of his books, including his posthumous Flowers, at his request.[130] The two remained friends until Mapplethorpe’s death in 1989.[131]
Smith considers Mapplethorpe to be among the most influential and important people in her life. She calls him “the artist of my life” in her book Just Kids, which tells the story of their relationship. Her book and album The Coral Sea is an homage to Mapplethorpe.
In 1979, at approximately age 32, Smith separated from her long-time partner Allen Lanier and met Fred “Sonic” Smith, the former guitar player for Michigan-based rock band MC5 and Sonic’s Rendezvous Band. Like Patti, Fred adored poetry. “Dancing Barefoot”, which was inspired by Jeanne Hébuterne and her tragic love for Amedeo Modigliani, and “Frederick” were both dedicated to him.[132] A running joke at the time was that she married Fred only because she would not have to change her name.[133] They had a son, Jackson (b. 1982), who went on to marry Meg White, drummer for The White Stripes, from 2009 to 2013,[134] and a daughter, Jesse Paris (b. 1987), who is a musician and composer.[135]
Fred Smith died of a heart attack on November 4, 1994. Shortly afterward, Patti faced the unexpected death of her brother Todd.[13]
Letizia Battaglia, la più celebre fotografa italiana-
Letizia Battaglia
Il 5 marzo 1935 nasce Letizia Battaglia, la più celebre fotografa italiana. Celebre più all’estero che nei nostri confini, e questo è un grande classico nostrano: non saper riconoscere e premiare il talento. Figuriamoci se poi fa un mestiere difficile, il fotografo, e se per di più è donna. Quindi fotografa.
Letizia Battaglia è nata a Palermo. La Sicilia sembra andarle stretta, e invece sarà il destino di una vita. Si sposa giovanissima, scappa a Milano, collabora con giornali e riviste scandalose per l’epoca, come “Le Ore”. Impara a scrivere reportage, ma soprattutto impara e perfeziona la sua tecnica fotografica.
Ma Palermo è nel suo destino. Il direttore de “L’Ora” la reclama e dai primi anni ’70 diventa la testimone di una lunga stagione: stagione di morti ammazzati, di bambini che giocano allo Zen o in qualche altra periferia, di donne che faticano in casa, di boom edilizio.
Letizia è sempre lì, in prima fila a raccontare per immagini ciò che nemmeno le parole possono più fare. Una società schiacciata dal fenomeno mafioso, tarpata nel suo volo da una cappa viscosa e invisibile. E i suoi scatti prediligono le figure femminili, le donne di Sicilia nelle loro strade, nei mercati, nei loro lutti continui a causa della mattanza che in quegli anni causerà più di mille vittime di mafia. Nel 1979 è cofondatrice del centro di documentazione Giuseppe Impastato. Nel 1985 è la prima donna europea a ricevere il premio Eugene Smith a New York, primo di una lunga serie di riconoscimenti.
Racconta la mafia in tutta la sua cruda violenza, la porta nella casa dei siciliani prima, del resto d’Italia poi. Suo è lo splendido scatto in bianco e nero di Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uno degli agenti di Falcone, saltato in aria a Capaci. In una intervista ha descritto le battaglie della sua vita: «Mio padre non capiva cosa fosse un essere umano donna. Mi trovavo all’interno di una società dove una donna non veniva considerata, ho attraversato tutto questo mentre ancora si doveva lottare. Queste lotte le ho fatte prettamente da sola, senza percepire che fosse una lotta giusta, è stato molto complicato uscirne indenne».
Mezzo secolo fa si suicidava Diane Arbus, la fotografa ribelle che “catturò” il lato oscuro dell’America- Articolo di Roberto Zadik
Personaggio estremamente tormentato e stimolante, la fotografa ebrea newyorchese di origini russe Diane Arbus oltrepassò i confini della fotografia. Le sue immagini ancora oggi colpiscono per la dolente espressività che le caratterizza, per lo sguardo lucido e poetico e il realismo del ritratto etico e sociale della “sua” America con cui questa artista vissuta solo 48 anni e suicidatasi il 26 luglio 1971, ha saputo rappresentare gli emarginati, i deboli, così come il mondo ebraico cui apparteneva e con il quale ebbe un rapporto profondo e conflittuale. Diane Nemerov, questo il suo vero nome prima di sposare il collega e correligionario Allan Arbus che le darà due figlie – prima di separarsi nel 1958 e divorziare nel 1969 -, nacque da una famiglia estremamente benestante, proprietaria di una catena di grandi magazzini. Ma come i cantautori Bob Dylan e Lou Reed, Arbus fu la figlia ribelle di un contesto estremamente “borghese”, attratta dal lato oscuro dell’America.
Icona della sua New York,di origine ebraico-askenazita, estremamente vitale e anticonformista, si consumò fra entusiasmi e depressioni per dedicarsi alla sua passione per la fotografia e l’indagine etica e psicologica compiuta attraverso il suo obbiettivo. Appartenente alla vasta schiera dei fotografi ebrei del Novecento, da Richard Avedon, all’ungherese Robert Capa, al tedesco Helmut Newton, questa artista si differenzia da tutti, con quella ricerca del diverso, dell’eccentrico e dell’anomalo che sembra essere una sua costante.
Nata il 14 marzo 1923, sposatasi a soli 18 anni, il sito theartstory.org descrive la sua infanzia estremamente solitaria, accudita da governanti e baby sitter mentre suo padre era impegnato negli affari e la madre soffriva di gravi depressioni. La sua carriera cominciò negli anni ’40 mentre l’ebraismo europeo veniva devastato dalla Shoah, lavorando assieme al marito, fotografando le modelle procurate dal padre David e dedicandosi con tale dedizione alle sue passioni artistiche da abbandonare anche l’università. Sempre più intenzionata a diventare una grande fotografa, cercò di affinare la sua tecnica al fianco di una professionista come Lisette Model, trascurando la famiglia e il maritò con il quale resterà in buoni rapporti anche dopo la separazione, per gettarsi nel lavoro e nella carriera.
Curiosa della vita e del mondo, dagli anni ’60 la sua personalità di artista indipendente e eccentrica emerse in tutto il suo talento stimolato dalla vivace atmosfera creativa e contestataria dell’era hippie e delle manifestazioni pacifiste contro la Guerra del Vietnam che la videro sempre in prima fila. Costantemente a caccia di stranezze e tortuosità, la Arbus frequentava gli ambienti più disparati. Dalle sfilate di moda, ai circhi, dalle gang giovanili delle strade, alle competizioni di body building e il suo occhio era costantemente puntato sull’essere umano in tutte le sue sfaccettature.
Come evidenzia il sito jewishvirtuallibrary.org, nella sua luminosa carriera la talentuosa fotografa collaborò e strinse amicizia con vari colleghi e collaboratori ebrei. Sempre in cerca di stimoli e di nuove avventure, collaborò con l’artista Marvin Israel direttore artistico della rivista Harper’s Bazaar; fu un rapporto molto stretto ed egli divenne il suo mentore, come era stata già Lisette Model; incontrò il regista e fotografo Stanley Kubrick, i grandi scrittori Norman Mailer e Tom Wolfe, scattando immagini a vari soggetti appartenenti al mondo ebraico delle sue origini. Istantanee estremamente espressive come Coppia di ebrei danzanti che ritrae due anziani felici mentre ballano assieme, la foto alle due gemelle ebree identiche fra loro e soprattutto Il gigante ebreo in cui fotografò l’intrattenitore israeliano naturalizzato americano Eddie Carmel. Un’immagine inquietante in cui Carmel, affetto da gigantismo e figlio di una famiglia ebraica ortodossa polacca, viene rappresentato in tutta la sua figura altissima e massiccia, nipote di uno dei rabbini più alti d’Europa, mentre sovrasta i due genitori, parlando con loro. Morto a soli 36 anni per infarto, Oded Ha Carmeli, questo il suo nome di nascita, divenne un vero fenomeno collaborando per vari film e spettacoli, attirando la curiosità della Arbus sempre pronta a ritrarre personaggi stravaganti e fuori dagli schemi. Carmel e la Arbus morirono a un anno di distanza uno dall’altra e, come sottolinea un articolo del 2014 sul sito del New York Times, questa foto, scattata nel 1970, fu una delle sue ultime immagini. Dilaniata dal suo “male di vivere”, dal super lavoro, in crisi esistenziale nonostante il successo e i prestigiosi riconoscimenti, ricevette due volte il Premio Guggenheim, la Arbus si tolse la vita, ingerendo sonniferi per poi tagliarsi le vene, finì i suoi giorni improvvisamente, in quel luglio 1971 in cui tre settimane prima morì la rockstar Jim Morrison. Stando allo stesso articolo pubblicato dal New York Times il 13 aprile 2014, Carmel “il gigante” invitato al talk show presentato da Richard Lamparski le dedicò una struggente poesia pochi mesi dopo la sua morte.
Sara Parcak ha inventato l’archeologia spaziale, utilizzando immagini satellitari per cercare indizi dei luoghi perduti delle civiltà passate, cambiando il modo di studiare le rovine del mondo antico. Dal suo laboratorio in Alabama, sfruttando le mappe dei satelliti, questa trentasettenne ha già scandagliato mille tombe, 17 piramidi, scovato insediamenti di cui si ignorava persino l’esistenza. Il suo lavoro aiuterà ora a ricostruire Palmira, distrutta dall’Isis nella Siria in guerra.
La rivoluzione tecnologica nell’archeologia dai tempi di Indiana Jones
Ammettiamolo, Indiana Jones era un archeologo piuttosto scarso. Distruggeva i suoi siti, usava una frusta al posto di una spatola ed era più probabile che uccidesse i suoi colleghi piuttosto che scrivere insieme a loro resoconti archeologici.
Indipendentemente da ciò, “I predatori dell’arca perduta”, che ha festeggiato il suo 30° anniversario lo scorso 12 giugno, ha reso affascinante lo studio del passato per una intera generazione di scienziati.
Gli archeologi moderni che si sono ispirati ai “predatori” hanno però fortunatamente imparato dagli errori del dottor Jones, e ora utilizzano tecnologie avanzate come le immagini satellitari, la mappatura laser aerea, robot e scanner medici. Niente più fruste scientificamente inutili.
Tali innovazioni hanno permesso agli archeologi di individuare dallo spazio piramidi sepolte, creare mappe 3-D di antiche rovine Maya dal cielo, esplorare i relitti di navi romane e trovare prove di malattie al cuore in mummie di 3.000 anni. La maggior parte di questi strumenti proviene da settori quali biologia, chimica, fisica o ingegneria, così come da gadget commerciali, tra cui GPS, portatili e smartphone.
“Se scaviamo parte di un sito, lo distruggiamo”, dice David Hurst Thomas, curatore di antropologia al Museo americano di storia naturale di New York. “La tecnologia ci permette di scoprire molto di più prima ancora di entrare, come i chirurghi che fanno uso di TAC e risonanza magnetica”.
Gli archeologi hanno sfruttato queste tecnologie per scoprire antichi siti di interesse più facilmente che mai. Si può scavare con maggiore fiducia e meno danni collaterali, applicare le più recenti tecniche di laboratorio su antichi manufatti o resti umani, e datare meglio persone o oggetti.
Sarah Parcak Archeologo-studia-una-delle-immagini-satellitari-university-of-alabama-at-birmingham.
I satelliti indicano il luogo
Una delle rivoluzioni in corso nell’archeologia si basa sui satelliti in orbita sopra la Terra. Sarah Parcak, egittologa presso l’University of Alabama a Birmingham, e un team internazionale hanno recentemente usato immagini satellitari a raggi infrarossi per scrutare fino a 10 metri al di sotto del deserto egiziano. Hanno trovato migliaia di nuovi siti tra cui, credono, 17 piramidi.
Le immagini rivelano inoltre strade sepolte e case dell’antica città egizia di Tanis, un noto sito archeologico presente anche ne “I predatori dell’arca perduta” tre decenni fa. “Ovviamente, non zoommiamo le immagini satellitari per trovare l’Arca dell’Alleanza e il Pozzo delle Anime”, rassicura la Parcak.
Anche le immagini satellitari ordinarie di Google Earth sono utili. Molti dei siti egizi contengono sepolti edifici in mattoni di fango che si sgretolano nel tempo e si mescolano con la sabbia o il limo. Quando piove, i suoli con i mattoni di fango trattengono l’umidità più a lungo e appaiono scoloriti nelle foto satellitari.
“In passato, sarei saltato su una Land Rover e sarei andato a vedere un possibile sito”, dice Tony Pollard, direttore del Centre for Battlefield Archaeology presso l’Università di Glasgow in Scozia. “Ora, prima di fare questo, vado su Google Earth”.
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Scavando facendo meno danni
Strumenti come il georadar possono anche aiutare gli archeologi a evitare di distruggere dati preziosi quando scavano antichi siti, spiega Thomas. “Molte tribù di nativi americani sono molto interessate nel telerilevamento che non è invasivo né distruttivo, perché a molti non piace l’idea di disturbare i morti o i resti sepolti”.
I magnetometri sono in grado di distinguere tra metalli sepolti, rocce e altri materiali in base alle differenze nel campo magnetico della Terra. I rilevamenti della resistività del terreno trovano invece gli oggetti in base alle variazioni della velocità della corrente elettrica.
Sara Parcak rilevamento-della-resistivita-elettrica-wiki
Dare una spolverata a vecchie ossa
Una volta che gli oggetti o le ossa sono riportati alla luce, gli archeologi possono consegnarli al laboratorio per un’analisi forense che impressionerebbe qualsiasi agente di CSI. Le scansioni con tomografia computerizzata comunemente utilizzate in medicina hanno rivelato arterie bloccate in una principessa egizia che finì mummificata 3.500 anni fa.
Questa tecnica è stata usata per identificare le origini di decine di soldati trovati in una fossa comune di 375 anni in Germania. “Alcuni venivano dalla Finlandia, alcuni dalla Scozia”, dice Pollard.
Sara Parcak -dr-michael-miyamoto-university-of-california
“Quando ero un cattivo ragazzo e andai a fare archeologia invece di medicina, mia
Sara Parcak -caracol-archaeological-project4
madre pensò che avrei speso tutto il mio tempo nel passato”, dice Thomas. “Ciò non potrebbe essere più lontano dalla verità; facciamo tutto il possibile per tenerci al passo con la tecnologia”.
Per il momento la tecnologia non eliminerà il bisogno di scavare, dicono gli archeologi. Ma se quel giorno arrivasse, “l’archeologia diventerebbe molto più noiosa”, afferma Pollard. E non è il solo a pensarlo.
“Va molto bene usare le immagini satellitari, ma fino a quando non vai sul campo sei bloccato in laboratorio”, conclude la Parcak. “È una costante nell’archeologia; devi scavare ed esplorare.”
Adélia Luzia Prado de Freitas, meglio conosciuta come Adélia Prado (Divinópolis, 13 dicembre 1935), è una poetessa, docente e filosofa brasiliana che si rifà al modernismo. Una delle caratteristiche del suo stile è il fatto di parlare del quotidiano con perplessità e incanto, guidato dalla fede cristiana. Nel 1976, invia il manoscritto di Bagagem ad Affonso Romano de Sant’Anna, colonnista di critica letteraria per Jornal do Brasil, il quale rimanendo colpito li invia a Carlos Drummond de Andrade, che spinge la pubblicazione del libro dall’Editora Imago. Da docente insegna per 24 anni, fino a quando si dedica interamente alla scrittura. Una moglie, una madre e una donna di casa, Adélia, grazie al suo ingresso nella letteratura brasiliana, fa sì che la figura della donna acquisti valore come essere pensante.
Adelia Prado
O sonho encheu a noite
Extravasou pro meu dia
Encheu minha vida
E é dele que eu vou viver
Porque sonho não morre.
Adélia Prado
Il sogno ha riempito la notte
Estravaso dalla mia giornata
Mi ha riempito la vita
Ed è lui che vivrò
Perché il sogno non muore.
Adélia Prado
Adélia costuma dizer que o cotidiano é a própria condição da literatura. Morando na pequena Divinópolis, cidade com aproximadamente 200.000 habitantes, estão em sua prosa e em sua poesia temas recorrentes da vida de província, a moça que arruma a cozinha, a missa, um certo cheiro do mato, vizinhos, a gente de lá.
Adelia dice spesso che la quotidianità è la condizione stessa della letteratura. Vivendo nella piccola Divinopolis, città di circa 200.000 abitanti, sono nella sua prosa e nella sua poesia temi ricorrenti della vita di provincia, la signora che sistema la cucina, la messa, un certo odore di cespuglio, vicini di casa, gente di là.
Adélia Prado
BALÉ
– A Imagem Refletida – Balé do Teatro Castro Alves – Salvador – Bahia – Direção Artística de Antônio Carlos Cardoso. Poema escrito por Adélia Prado especialmente para a composição homônima de Gil Jardim.
Vem de antes do sol
A luz que em tua pupila me desenha.
Aceito amar-me assim
Refletida no olhar com que me vês.
Ó ventura beijar-te,
espelho que premido não estilhaça
e mais brilha porque chora
e choro de amor radia.
(Divinópolis, 1998).
Adélia Prado
BALLET
– L’immagine riflessa – Balletto del Teatro Castro Alves – Salvador – Bahia – Direzione artistica di Antonio Carlos Cardoso. Poesia scritta da Adelia Prado appositamente per l’omonima composizione di Gil Garden.
Viene da prima del sole
La luce che nella tua pupilla mi disegna.
Accetto di amarmi così
Riflesso nello sguardo con cui mi vedi.
Oh ventura baciarti,
specchio che premuto non si frantuma
e più brilla perché piange
e piango d’amore radia.
(Divinopolis, 1998).
Dia
As galinhas com susto abrem o bico
e param daquele jeito imóvel
– ia dizer imoral –
as barbelas e as cristas envermelhadas,
só as artérias palpitando no pescoço.
Uma mulher espantada com sexo:
mas gostando muito.
– Adélia Prado
Adélia Prado
Giorno
Le galline spaventate aprono il becco
e si fermano in quel modo immobile
– stavo per dire immorale –
le barbe e le creste rosse,
solo le arterie che palpitano sul collo.
Una donna stupita dal sesso:
ma mi piace molto
– Adélia Prado
Adélia Prado
Testo estratto dal libro “Filandras”, Editore Record – Rio de Janeiro, 2001, pag. 111.
La mia anima è in difficoltà, tentata dalla tristezza e dalla sua raffinatezza. Mio padre morto non lo ripeterà quest’anno: “Niente come un pollo con riso dopo la messa”. Mia sorella piange perché suo marito è legato con i soldi e lei voleva davvero comprare qualche festa, qualche regalino in più, la vita, e lui trova tutto sciocco e vuole solo riempire il frigorifero con mortadella e birra. Forse per questo o perché mi sono trovata troppo vecchia nello specchio del negozio, ho difficoltà ad aiutare Coralia. Vorrei tanto piangere, sto piangendo davvero, alla vigilia della nascita del Signore, io che tremo appena nati. Sto trovando il mondo triste, volendo mamma e papà, anch’io Coralia ha detto: sei così creativa! E lo sono davvero, potrei inventarmi una sofferenza così insopportabile da appassire tutto intorno a me. Ma non voglio. E anche se volessi, per destino, non posso. Questo muschio tra le pietre non consente, è troppo verde E questa sabbia. Sono troppo carini! A mezzanotte arriva il ragazzo, a mezzanotte in punto. Fodero il sonno di paglia. Arriva, le cose lo sanno, perché pulsano, le pecore di gesso, la stella di brillantini, la laguna fatta di specchi. Farò le ghirlande per Coralia adornare il tuo negozio. Le radiazioni della “luce che non ferisce gli occhi” si fanno strada tra le macerie, avanza impercettibile e i ruvidi, anche i ruvidi, bagnati. Sfoco un po’ lo sguardo e c’è l’aureone, la chiarezza attesa, a Coralia, a Giovanna con suo marito e in me, anche in me che scelgo di bere il vino della gioia, perché da questo luogo, dove “il leone mangia la paglia con il bue”, questa certezza mi prende: “uno piccolo ragazzo ci condurrà”.
Presso il Presepe- Adelia Prado
Testo estratto dal libro “Filandras”, Editore Record – Rio de Janeiro, 2001, pag. 111.
Adélia Prado
· ” Dona Doida “
Uma vez, quando eu era menina, choveu grosso
com trovoadas e clarões, exatamente como chove agora.
Quando se pôde abrir as janelas,
as poças tremiam com os últimos pingos.
Minha mãe, como quem sabe que vai escrever um poema,
decidiu inspirada: chuchu novinho, angu, molho de ovos.
Fui buscar os chuchus e estou voltando agora,
trinta anos depois. Não encontrei minha mãe.
A mulher que me abriu a porta, riu de dona tão velha,
com sombrinha infantil e coxas à mostra.
Meus filhos me repudiaram envergonhados,
meu marido ficou triste até a morte,
eu fiquei doida no encalço.
Só melhoro quando chove.
– Adélia Prado
O texto acima foi extraído do livro “Poesia Reunida”, Editora Siciliano – 1991, São Paulo, página 108.
Adélia Prado
“Dona pazza”
Una volta, quando ero bambina, pioveva forte
con temporali e lampi, esattamente come piove ora.
Quando si è potuto aprire le finestre,
le pozzanghere tremavano con le ultime gocce.
Mia madre come chi sa che scriverà una poesia
ha deciso ispirato: nuovissimo chuchu, angu, salsa all’uovo.
Sono andato a prendere i chuchus e sto tornando ora,
trent’anni dopo Non ho trovato mia madre.
La donna che mi ha aperto la porta, ha riso di una donna così vecchia,
con ombrello per bambini e cosce in vista.
I miei figli mi hanno ripudiato in vergogna,
mio marito era triste fino alla morte,
Sono impazzito a cercare
Miglioro solo quando piove
– Adélia Prado
Il testo sopra è stato estratto dal libro “Poesia riunita”, Editore Siciliano – 1991, San Paolo, pagina 108.
·
Texto extraído do livro “Quero minha mãe”, Editora Record – Rio de Janeiro, 2005, pág. 41.
Adélia Prado
Quero minha mãe
Abel e eu estamos precisando de férias. Quando começa a perguntar quem tirou de não sei onde a chave de não sei o quê, quando já de manhã espero não fazer comida à noite, estamos a pique de um estúpido enguiço. Sou uma pessoa grata? Às vezes o que se nomeia gratidão é uma forma de amarra. Entendo amor ao inimigo, mas gratidão o que é? Tenho problemas neste particular. Se aviso: passo na sua casa depois do almoço, acrescento logo se Deus quiser, não sendo grata, temo que me castigue com um infortúnio. Bajulo Deus, esta é a verdade, tenho o rabo preso com Ele, o que me impede de voar. Como posso alçar-me com Ele grudado à cauda? Uma esquizofrenia teológica, eu sei, quando fica tudo confuso assim, meu descanso é recolher-me como um tatu-bola e repetir até passar a crise, Senhor, tem piedade de mim. Até em sonhos repito, Senhor, tem piedade de mim, é perfeito. Sensação de confinamento outra vez, minha pele, minha casa, paredes, muro, tudo me poda, me cerca de arame farpado. Coitada da minha mãe, devia estar nesta angústia no dia em que me atingiu: “trem ordinário” Com certeza não suportava a idéia, o fardo de ter-que-dar-conta-daquela-roupa-de-graxa-do-meu-pai, daquele caldo escuro na bacia, fedendo a sabão preto e ela querendo tempo pra ler, ainda que pela milésima vez, meu manual de escola, o ADOREMUS, a REVISTA DE SANTO-ANTONIO. Mãe, que dura e curta vida a sua. Me interditou um reloginho de pulso, mas não teve meios de me proibir ficar no barranco à tarde, vendo os operários saírem da oficina, sabia que eu saberia o motivo. Duas mulheres, nos comunicávamos. Tá alegre, mãe? A senhora não liga de ficar em casa, não? Posso ir no parque com a Dorita? Vai chamar tia Ceição pra conversar com a senhora? Nem na festa da escola, nem na parada pra ver eu carregar a bandeira ela não foi. Não dava para ir de “mantor” porque era de dia com sol quente, gastei cinqüenta anos pra entender. Teve uma lavadeira, a Tina do Moisés, que ela adorava e tratava como rainha. Sua roupa acostumou comigo, Clotilde, nem que eu queira, não consigo largar. Foi um tempo bom de escutar isto, descansei de vê-la lavando roupa com o olhar perdido em outros sítios, sentindo e querendo, com toda certeza, o que qualquer mulher sente e quer, mesmo tendo lavadeira e empregada. Tenho sonhado com a mãe tomando conta de mim, me protegendo os namoros, me dando carinho, deixando, de cara alegre, meus peitinhos nascerem e até perguntando: está sentindo alguma dor, Olímpia? É normal na sua idade. Com certeza aprendeu, nas prédicas às Senhoras do Apostolado, como as mães cristãs deviam orientar suas filhas púberes. Te explico, Olímpia, porque pode te acontecer na escola, não precisa levar susto, não é sangue de doença. Achei minha mãe bacana, uma palavra ainda nova que só os moleques falavam. Coitadas da Graça e da Joana, que nem isso ganharam dela. Morreu antes de me ensinar a lidar com as incômodas e trabalhosas toalhinhas. mãe, mãezinha, mamãezinha, mamãe, e o reino do céu é um festim, quem escondeu isto de você e de mim?
– Adélia Prado
Texto extraído do livro “Quero minha mãe”, Editora Record – Rio de Janeiro, 2005, pág. 41.
Voglio la mia mamma
Io e Abel abbiamo bisogno di una vacanza Quando inizi a chiedere chi ha preso da non so dove la chiave di non so cosa, quando già al mattino spero di non cucinare la sera, siamo in giro per uno stupido maialino. Sono una persona grata? A volte ciò che si chiama gratitudine è una forma di legatura. Capisco l’amore per il nemico, ma la gratitudine cos’è? Ho dei problemi in questo privato. Vi avverto: passo a casa vostra dopo pranzo, aggiungo subito se Dio vuole, non essendo grato, temo che mi punisca con una sfortuna. Dio lusinghiero, questa è la verità, ho il sedere incastrato con Lui, il che mi impedisce di volare. Come posso stare con Lui attaccato alla coda? Una schizofrenia teologica, lo so, quando tutto si confonde così, il mio riposo è raccogliermi come un tatu-palla e ripeterlo fino alla crisi, Signore, abbi pietà di me. Anche nei sogni ripeto, Signore, abbi pietà di me, è perfetto. Sensazione di reclusione ancora, la mia pelle, la mia casa, i muri, il muro, tutto mi pota, mi circonda di filo spinato. Povera mia madre, dovrei essere in questa angoscia il giorno in cui mi ha colpito: “treno ordinario” Di sicuro non sopportavo l’idea, il peso di dover-dare-conto-di quel-vestito di levasso di mio padre, di quel brodo scuro nella bacinella, puzza di sapone nero e lei che vuole tempo per leggere, anche se per la millesima volta, il mio manuale di scuola, l’ADOREMUS, la RIVISTA DI SANT’ANTONIO Mamma, che dura e breve vita la tua. Mi ha vietato un orologio da polso, ma non ha avuto modo di vietarmi di stare al barcone il pomeriggio a guardare gli operai lasciare l’officina, sapeva che avrei saputo il motivo. Due donne, comunicavamo. Sei felice, mamma? La signora non le importa di stare a casa, vero? Posso andare al parco con Dorita? Chiamerai zia Ceizione per parlare con la signora? Né alla festa della scuola, né alla parata per vedermi portare la bandiera, lei non c’è andata. Non potevo fare il “mantore” perché era giorno con il sole caldo, ho speso cinquant’anni per capire. C’era una lavandaia, la Tina di Mosè, che lei amava e trattava come una regina. Il tuo vestito mi ha abituato, Clotilde, anche se lo voglio, non riesco a lasciarlo andare. È stato un bel momento per ascoltarlo, mi sono riposato nel vederla fare il bucato con lo sguardo perso altrove, sentendo e volendo, sicuramente, quello che ogni donna sente e vuole, anche se ha lavandaia e una cameriera. Ho sognato che mamma si prendesse cura di me, mi proteggeva gli appuntamenti, mi dava affetto, lasciandomi nascere, con un viso allegro, le mie tette e mi chiedevano anche: stai provando dolore, Olimpia? È normale alla tua età. Sicuramente hai imparato, nelle prediche delle signore dell’Apostolato, come le madri cristiane dovrebbero guidare le loro figlie pubere. Te lo spiego Olimpia perché può capitare a scuola, non devi spaventarti, non è sangue di malattia. Ho trovato mia madre figa, una parola ancora giovane che solo i ragazzi parlavano. Povere Grazia e Giovanna, che non l’hanno battuta nemmeno quella. È morto prima di insegnarmi a gestire le fastidiose e le fastidiose salviette. mamma mamma mamma mamma mamma e il regno del cielo è una festa chi l’ha nascosto a me e a te?
– Adelia Prado
Testo estratto dal libro “Voglio mia madre”, Record Editore – Rio de Janeiro, 2005, pag. 41.
Adélia Prado
Com licença poética
Quando nasci um anjo esbelto,
desses que tocam trombeta, anunciou:
vai carregar bandeira.
Cargo muito pesado pra mulher,
esta espécie ainda envergonhada.
Aceito os subterfúgios que me cabem,
sem precisar mentir.
Não sou feia que não possa casar,
acho o Rio de Janeiro uma beleza e
ora sim, ora não, creio em parto sem dor.
Mas o que sinto escrevo. Cumpro a sina.
Inauguro linhagens, fundo reinos
— dor não é amargura.
Minha tristeza não tem pedigree,
já a minha vontade de alegria,
sua raiz vai ao meu mil avô.
Vai ser coxo na vida é maldição pra homem.
Mulher é desdobrável. Eu sou.
Con permesso poetico
Quando sono nato un angelo snello,
di quelli che suonano la tromba, ha annunciato:
vai a portare bandiera.
Un posto molto pesante per una donna,
questa specie ancora vergognata.
Accetto i sotterfugi che mi stanno bene,
senza dover mentire.
Non sono brutta che non posso sposarmi,
Trovo Rio de Janeiro una bellezza e
Bene sì, ora no, credo nel parto senza dolore.
Ma quello che sento lo scrivo. Faccio il destino.
Inauguro le stirpe, i regni di fondo
— il dolore non è amarezza.
La mia tristezza non ha pedigree,
già la mia voglia di gioia,
la tua radice va a mio nonno mille
Sarà zoppo nella vita è una maledizione per gli uomini.
Le donne sono pieghevoli Lo sono.
·
Com licença poética
Quando nasci um anjo esbelto,
desses que tocam trombeta, anunciou:
vai carregar bandeira.
Cargo muito pesado pra mulher,
esta espécie ainda envergonhada.
Aceito os subterfúgios que me cabem,
sem precisar mentir.
Não sou feia que não possa casar,
acho o Rio de Janeiro uma beleza e
ora sim, ora não, creio em parto sem dor.
Mas o que sinto escrevo. Cumpro a sina.
Inauguro linhagens, fundo reinos
— dor não é amargura.
Minha tristeza não tem pedigree,
já a minha vontade de alegria,
sua raiz vai ao meu mil avô.
Vai ser coxo na vida é maldição pra homem.
Mulher é desdobrável. Eu sou.
Con permesso poetico
Quando sono nato un angelo snello,
di quelli che suonano la tromba, ha annunciato:
vai a portare bandiera.
Un posto molto pesante per una donna,
questa specie ancora vergognata.
Accetto i sotterfugi che mi stanno bene,
senza dover mentire.
Non sono brutta che non posso sposarmi,
Trovo Rio de Janeiro una bellezza e
Bene sì, ora no, credo nel parto senza dolore.
Ma quello che sento lo scrivo. Faccio il destino.
Inauguro le stirpe, i regni di fondo
— il dolore non è amarezza.
La mia tristezza non ha pedigree,
già la mia voglia di gioia,
la tua radice va a mio nonno mille
Sarà zoppo nella vita è una maledizione per gli uomini.
Le donne sono pieghevoli Lo sono.
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Adélia Prado
Adélia Luzia Prado de Freitas, meglio conosciuta come Adélia Prado (Divinópolis, 13 dicembre 1935), è una poetessa, docente e filosofa brasiliana che si rifà al modernismo. Una delle caratteristiche del suo stile è il fatto di parlare del quotidiano con perplessità e incanto, guidato dalla fede cristiana. Nel 1976, invia il manoscritto di Bagagem ad Affonso Romano de Sant’Anna, colonnista di critica letteraria per Jornal do Brasil, il quale rimanendo colpito li invia a Carlos Drummond de Andrade, che spinge la pubblicazione del libro dall’Editora Imago. Da docente insegna per 24 anni, fino a quando si dedica interamente alla scrittura. Una moglie, una madre e una donna di casa, Adélia, grazie al suo ingresso nella letteratura brasiliana, fa sì che la figura della donna acquisti valore come essere pensante.
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