Renée Vivien, pseudonimo di Pauline Tarn (Londra, 11 giugno 1877 – Parigi, 18 novembre 1909), è stata una poetessa britannica che scrisse in francese, soprannominata “Saffo 1900”. Si trasferì giovanissima in Francia. Lì venne a contatto con l’ambiente articonformista parigino. La Vivien era apertamente lesbica, viveva lussuosamente e amava viaggiare. Morì a trentadue anni a causa di una pleurite contratta a Londra, ma le sue condizioni erano già deboli e precarie a causa di continui digiuni..La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola.
Somiglianza inquietante
Ho visto sulla tua fronte bassa il fascino del serpente. Le tue labbra hanno inumidito il sangue di una ferita, e qualcosa dentro mi disgusta e si pente mentre il tuo freddo bacio mi punge con un morso.
Uno sguardo da vipera è nei tuoi occhi socchiusi, e la tua testa furtiva e piatta si raddrizza più minacciosa dopo il languore del riposo. Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.
Duranti i giorni d’inverno nervosi e ghiacciati, tu sogni i tepori di profonde vallate, e ci si immagina, al vedere il tuo lungo corpo ondulato, delle scaglie d’oro lentamente spiegate.
Ti odio, ma la tua plastica e luminosa bellezza mi prende e m’affascina e m’attira senza fine, e il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà, ti disprezza e t’adora, o Rettile e Dea
Renée Vivien poetessa britannica
Versi d’amore
Tu conservi negli occhi la voluttà delle notti, o gioia inaspettata al termine delle solitudini! Il tuo bacio è come il sapore dei frutti e la tua voce fa sognare meravigliosi preludi mormorati dal mare nella bellezza delle notti.
Tu porti sulla fronte il languore e l’ebbrezza, i giuramenti eterni e le confessioni d’amore, sembri evocare la timida carezza il cui ardore trafuga la luminosità del giorno e ti lascia sulla fronte l’ebbrezza e il languore
Renée Vivien poetessa britannica
I solitari
Coloro che hanno per mantello lenzuoli funerari provano la voluttà divina di essere solitari. La loro castità ha pena dell’ebbrezza delle coppie della stretta di mano, dei passi dal ritmo lieve. Coloro che nascondono la fronte nei lenzuoli funerari sanno la voluttà divina di essere solitari. Contemplano l’aurora e l’aspetto della vita senza orrore, e chi li compatisce prova invidia. Coloro che cercano la pace della sera e dei lenzuoli funerari conoscono la spaventosa ebbrezza di essere solitari. Sono i beneamati della sera e del mistero. Ascoltano nascere le rose sottoterra e percepiscono l’eco dei colori, il riflesso dei suoni… Si muovo in un’atmosfera grigio-viola. Gustano il sapore del vento e della notte, hanno occhi più belli delle torce funerarie.
Renée Vivien poetessa britannica
La poesia di Renée Vivien fu per molti motivi celata, ancora oggi è sconosciuta, e proprio per questo motivo è interessante scoprirla e apprezzarla. Vivien scrisse del suo amore omosessuale per Natalie Clifford Barney, condannò nei suoi versi certi schemi patriarcali e maschilisti, creò addirittura un salotto letterario di sole donne in risposta all’Accademia francese che ne escludeva la partecipazione. Della sua poesia tradotta in italiano non abbiamo moltissimo, ma ricordiamo Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi.Nella Parigi di inizio Novecento, venticinque secoli dopo Saffo, in una città mondana e libertina, tra i pizzi delle gonne al Moulin Rouge e i cocktail “al vetriolo” serviti nei salotti, una poetessa sfidò il suo tempo, scrivendo versi appassionati sull’amore e sulle donne.
Il suo nome era Pauline Mary Tarn (1877-1909), meglio conosciuta come Renée Vivien, una “figlia di Baudelaire”, come fu definita, che mise fine alla sua vita troppo presto, a soli trentadue anni.
Riportata in auge dal femminismo degli anni Settanta come una pioniera del canto lesbico, è ora considerata una delle voci più autorevoli del simbolismo francese. Al di là di ogni vivisezione psicoanalitica, che la tratteggia come anoressica, masochista, amante della Morte a discapito della Vita, la provocazione di Renée Vivien ha ancora molto da dire a favore del canto poetico inteso come “panico del suono”.
Teresa Campi, la prima studiosa italiana di Renée Vivien, restituisce finalmente un ritratto sincero di questa straordinaria donna presentandola non più come una figura misteriosa e “depravata” ma anzi come un personaggio appassionato, sullo sfondo dell’atmosfera dorata dei salotti e cenacoli delle jeunes filles de la Societé Future tra cui spiccava l’americana Natalie Clifford Barney, ricca e spavalda amante di Renée.
Il loro legame, tanto sulfureo quanto doloroso, divenne il perno centrale dei delicatissimi e mistici versi della poetessa. Eccentrica e scandalosa, ma anche colta e raffinata, la “Musa delle violette” ci ha lasciato parole appassionate e tempestose, che continuano a risuonare nel tempo.
“Mi hanno segnata a dito con un gesto stizzito perché il mio sguardo ti cercava teneramente, e vedendoci passare nessuno ha capito che io ti avevo scelta semplicemente. Osserva la vile legge che io trasgredisco e giudica il mio amore, che non conosce il male”.
– Renée Vivien
La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola. Una donna dichiaratamente lesbica di alto profilo, nella Parigi della Belle Époque.
Scrisse sia versi che prose poetiche, utilizzando anche lo pseudonimo di Paule Riversdale[2] nelle opere composte in collaborazione con Hélène van Zuylen van Nyevelt.
Biografia
(FR)«Voici la nuit: je vais ensevelir mes morts,
Mes songes, mes désirs, mes douleurs, mes remords,
Tout le passé… Je vais ensevelir mes morts.»
(IT)«Ecco la notte: sto per seppellire i miei morti,
i miei sogni, i miei desideri, i miei dolori, i miei rimorsi,
tutto il passato… Sto per seppellire i miei morti»
Nell’ambiente “bohémien” parigino il suo stile di vita e il suo modo di vestire erano altrettanto noti dei suoi versi: viveva lussuosamente, era apertamente lesbica, e aveva una relazione con l’ereditiera e scrittrice statunitenseNatalie Clifford Barney. Ebbe inoltre per tutta la vita una passione per una sua amica intima d’infanzia, Violet Shillito, che però rimase sempre sul piano platonico.
Vivien era colta ed aveva viaggiato molto. Aveva passato un inverno in Egitto, visitato la Cina ed esplorato l’Europa e gli USA. I suoi contemporanei la considerarono bella ed elegante, grazie anche ai capelli biondi e agli occhi scuri con riflessi dorati. I digiuni protratti (un’abitudine che avrebbe poi contribuito alla sua morte) l’avevano resa anche relativamente magra.
Viveva lussuosamente a Parigi, in un elegante appartamento a piano terra che si apriva su un giardino alla giapponese. La sua casa era piena di mobili ed opere d’arte provenienti dal lontano Oriente. Inoltre, amava i fiori freschi.
Renée Vivien romanzò la morte e, in una sua visita a Londra nel 1908, profondamente abbattuta e oberata dai debiti, tentò il suicidio ingerendo una quantità eccessiva di laudano. Si distese sul divano, tenendo un mazzo di violette sul cuore. Il tentativo di suicidio fallì, ma in Inghilterra contrasse la pleurite e tornò a Parigi considerevolmente indebolita, tanto da essere costretta a camminare con un bastone.
Morì il 18 novembre 1909, all’età di 32 anni, a causa della pleurite e dell’indebolimento fisico dovuto ai frequenti digiuni. La sua morte fu riportata a quel tempo come suicidio, ma fu probabilmente il risultato di un’anoressia nervosa aggravata dalla pleurite e dall’alcolismo. Fu seppellita al cimitero di Passy, nell’esclusivo sobborgo parigino.
Durante la sua breve vita, Renée Vivien fu conosciuta anche come la “Musa delle violette”, soprannome dovuto al suo amore per questo fiore, richiamo al suo amore d’infanzia, Violet Shillito.
Molti dei suoi versi sono velatamente autobiografici e scritti in francese, e la maggior parte di essi non è mai stata tradotta in inglese, sua lingua madre.
La sua poesia fu largamente apprezzata, così come le opere di Natalie Clifford Barney, grazie alla contemporanea riscoperta delle opere di Saffo, l’antica poetessa greca, anch’essa notoriamente lesbica.
Opere
Études et préludes (1901), raccolta di poesie.
Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi, Roma 1981 (traduzione italiana di: Cendres et poussières (1902), raccolta di poesie).
Brumes de Fjords, (1902), prosa poetica; i critici la salutarono come “il più grande poeta dell’anno;
Évocations (1903), raccolta di traduzioni moderne e adattamenti di testi di Saffo,
Du vert au violet (1903), prosa poetica, la prima a firma Renée Vivien
Une femme m’apparut (1904), romanzo autobiografico.
La dame à la louve (1904), racconti.
Les Kitarèdes (1904), traduzioni moderne di otto poetesse greche.
La Vénus des aveugles (1904), raccolta di poesie.
Donna m’apparve, a cura di Teresa Campi, Roma 1989 (traduzione italiana di: Une femme m’apparut (1905), nuova versione del suo romanzo autobiografico).
À l’heure des mains jointes (1906), raccolta di poesie.
Flambeaux éteints (1907), raccolta di poesie.
Chansons pour mon ombre (1907), antologia poetica.
Varie prose ironiche e satiriche (1907).
L’Album de Sylvestre (1908), volume d’aforismi.
Sillages (1908), raccolta di poesie di prosa poetica.
Anne Boleyn (1909), biografia.
Antologie di poesie e di prose, rimaneggiate (1909).
Dans un coin de violettes, raccolta postuma di poesie.
Le Vent des vaisseaux, raccolta postuma di poesie.
Haillons, raccolta postuma di poesie.
Une Femme m’apparut…, a cura di Patrizia Lo Verde, « I Miti Rivisitati », Collana di Testi in Edizione Critica diretta da Maria Teresa Puleio, Cuecm, 2004 (edizione integrale della prima versione originale pubblicata a Parigi da A. Lemerre il 27 febbraio 1904).
Note
^ Cettina Calò, L’urlo delle viole, in Il Foglio quotidiano, Anno XXVIII numero 89, 15/16 aprile 2023, p. 12.
Chiara Gagliano, Cinque poesie di Renée Vivien, su Almanacco de Lo Spazio Letterario, 27 aprile 2022. URL consultato l’8 settembre 2023 (archiviato l’8 settembre 2023).
Teresa Campi, Sul ritmo saffico. La vita e le opere di Renée Vivien, Bulzoni, Roma 1983.
André Germain, Renée Vivien, Crés, Paris 1917.
Jean-Paul Goujon, Renée Vivien à Mytilene, Edition à l’écart, Reims 1978.
Jean-Paul Goujon, Tes blessures sont plus douces que leurs caresses, Deforges, Paris 1986, ISBN 2-905538-15-5
Karla Jay, The amazon and the page. Natalie Clifford Barney and Renée Vivien, Indiana University Pres, Bloomington, Ind. 1988, ISBN 0-253-30408-3
Paul Lorenz, Sapho 1900. Renée Vivien, Julliard, Paris 1977.
Maria Gabriella Adamo, « “…une prosodie mystérieuse et méconnue”. Note su una traduzione italiana di Renée Vivien », in Giovanna BELLATI – Graziano BENELLI – Paola PAISSA – Chiara PREITE (éd.), « Un paysage choisi » – Mélanges de linguistique française offerts à Leo Schena, Turin, L’Harmattan Italia, 2007, pp. 21-35.
Patrizia Lo Verde, « Une Femme m’apparut… ou de l’hybridation générique », dans Renée Vivien à rebours, études pour un centenaire, sous la direction de Nicole G. Albert, Paris, Orizons, 2009, pp. 119-127.
“Poesie in prosa”, introduzione e traduzione di Mariella Soldo, Bari, LiberAria Edizioni, 2011.
Patrizia Lo Verde, « Nota aggiornata su Une Femme m’apparut… di Renée Vivien », Studia Universitatis Babeș-Bolyai Philologia, 4/2022, pp. 379-393.
Gabriela Mistral: Le poesie più belle della poetessa cilena-
-Premio Nobel per la Letteratura nel 1945-
Breve biografia di Gabriela Mistral-Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, passata alla storia con il nome d’arte di Gabriela Mistral, nasce il 7 aprile 1889 a Vicuna, Cile del nord. La sua vita si rivela piena di complicazioni fin dall’infanzia: il padre Jeronimo Godoy Alcayaga Villanueva abbandona lei, la madre Petronila e la sorella Emelina quando Lucila ha appena 3 anni. Si trova quindi fin da subito a dover combattere una condizione di estrema povertà ma ciò nonostante, le difficoltà che deve affrontare nel quotidiano sembrano non riuscire ad affievolire la sua predisposizione per lo studio, per la letteratura e per la scrittura. I suoi testi sono avanguardisti, Lucila si schiera per l’istruzione gratis e la parità dei diritti, posizioni moderne che qualche anno più tardi le costeranno il rifiuto della sua domanda d’ammissione alla Scuola Normale per insegnanti. I suoi articoli, pubblicati da un quotidiano locale El Coquimbo de la Serena vengono infatti giudicati troppo sovversivi.
Prima donna sudamericana a vincere il Premio Nobel, nei suoi versi si fondono idealismo, anticonformismo e femminismo.
MADRE PIU’ DI UNA MADRE
Fa che io sia più madre di una madre nel mio amore e nella difesa del bambino che non è sangue del mio sangue. Aiutami affinché ognuno dei “miei” bambini diventi la poesia migliore. E nel giorno in cui non canteranno più le mie labbra, lascia dentro di lui o di lei, la più melodiosa delle melodie
Canto che amavi
Io canto ciò che tu amavi, vita mia, nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia, nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto, nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia.
Io non voglio restare più muta, vita mia. Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi?
Quale segnale, quale mi svela, vita mia?
Sono la stessa che fu già tua, vita mia. Né infiacchita né smemorata né spersa. Raggiungimi sul fare del buio, vita mia; vieni qui a ricordare un canto, vita mia; se tu questa canzone riconosci a memoria e se il mio nome infine ancora ti ricordi.
Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia, e avanza dritto fino a me, compagno.
Traduzione di Matteo Lefèvre Da Gabriela Mistral, Sillabe di fuoco, a cura di Matteo Lefèvre, con uno scritto di Octavio Paz, Bompiani 2020
Gabriela Mistral
Desolazione
La bruma spessa, eterna, affinché dimentichi dove
mi ha gettato il mare nella sua onda di salamoia.
La terra nella quale venni non ha primavera:
ha la sua notte lunga che quale madre mi nasconde.
Il vento fa alla mia casa la sua ronda di singhiozzi
e di urlo, e spezza, come un cristallo, il mio grido.
E nella pianura bianca, di orizzonte infinito,
guardo morire immensi occasi dolorosi.
Chi potrà chiamare colei che sin qui è venuta
se più lontano di lei solo andarono i morti ?
Tanto solo loro contemplano un mare tacito e rigido
crescere tra le sue braccia e le braccia amate!
Le navi le cui vele biancheggiano nel porto
vengono da terre in cui non ci sono quelli che sono miei;
i loro uomini dagli occhi chiari non conoscono i miei fiumi
e recano frutti pallidi, senza la luce dei miei orti.
E l´interrogazione che sale alla mia gola
al vederli passare, mi riscende, vinta:
parlano strane lingue e non la commossa
lingua che in terre d´oro la mia povera madre canta.
Guardo scendere la neve come la polvere nella fossa;
guardo crescere la nebbia come l´agonizzante,
e per non impazzire non conto gli istanti,
perché la notte lunga ora solo comincia.
Guardo il piano estasiato e raccolgo il suo lutto,
perché venni per vedere i paesaggi mortali.
La neve è il sembiante che svela i miei cristalli;
sempre sarà il suo biancore che scende dal cielo!
Sempre essa, silenziosa, come il grande sguardo
di Dio su di me; sempre la sua zagara sopra la mia casa;
sempre, come il destino che non diminuisce ne passa,
scenderà a coprirmi, terribile e estasiata.
Gabriela Mistral
La donna forte
Ricordo il tuo viso, fissato nei miei giorni,
donna con gonna azzurra e con fronte abbronzata;
quando nella mia infanzia, in terra mia d’ambrosia,
ti vidi aprire un solco nero in un ardente aprile.
Nella fonda taverna, l’impura coppa alzava,
chi un figlio appiccicò al tuo petto di giglio;
sotto questo ricordo, che t’era bruciatura,
cadeva dalla mano, serena, la semente.
Io ti vidi in gennaio segare il grano al figlio,
e in te, senza capire, trovai quegli occhi fissi,
ugualmente ingranditi da meraviglia e da pianto.
E ancora bacerei il fango dei tuoi piedi,
perché tra cento donne non ho visto il tuo volto,
e l’ombra tua nei solchi,
seguo ancora nel mio canto.
Dammi la mano
Dammi la mano e danzeremo
dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
con lo stesso passo ballerai.
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami Rosa ed io Speranza
però il tuo nome dimenticherai
perché saremo una danza
sulla collina e niente più.
DAMMI LA MANO
Dammi la mano e danzeremo
Dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
allo stesso passo danzerai
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami rosa e io speranza
ma il tuo nome dimenticherai
perchè saremo una danza
sulla collina e niente più.
Gabriela Mistral e Paplo Neruda
Gocce di fiele
Non cantare: resta sempre attaccato
sulla tua lingua un canto;
quello che doveva essere trasmesso.
Non baciare: resta sempre per una strana maledizione
il bacio che non viene su dal cuore.
Prega: pregare è dolce: però sappi
che la tua lingua avara non giunge
a dire il solo Padre Nostro che ti salvi.
E non chiamare come clemente la morte,
perché nel corpo di bianchezza immensa
resterà un vivo brandello che sente
la pietra che ti soffoca
ed il vorace verme che ti fora.
NINNA NANNA
Il mare le sue mille onde culla divino; odo i mari innamorati mentre cullo il mio piccino. L’errabondo vento, a notte, culla le spighe; odo i venti innamorati mentre cullo il mio piccino. Iddio Padre i mille mondi culla senza un brusio. Sento il gesto suo nell’ombra mentre cullo il bimbo mio.
L’amore che tace
Se ti odiassi, il mio odio ti darei
con le parole, rotondo e sicuro;
ma ti amo e il mio amore non si affida
a questa lingua umana, così oscura!
Tu lo vorresti mutato in un grido,
e vien così dal fondo che ha disfatto
la sua ardente fiumana, sfinito
prima ancora della gola e del petto.
Io sono come uno stagno ricolmo
ed a te sembro una sorgente inerte,
per questo mio silenzio tormentoso
più atroce che entrare nella morte!
Gabriela Mistral
Intima
Non stringere le mie mani.
Verrà il tempo infinito
di riposare con molta polvere
ed ombra tra le dita intrecciate.
E tu dirai:
‘Non posso
più amarla; le sue dita
si sgranarono come le spighe’.
La mia bocca non baciare.
Verrà l’istante pieno
di spenta luce, senza labbra
starò sotto un umido suolo.
E tu dirai: ‘L’amai, ma non posso
amarla più, ora che non aspira
l’odore di ginestre del mio bacio’.
E mi rattristerò nell’udirti;
tu parlerai come un cieco ed un pazzo,
perché la mia mano sarà sulla tua fronte
quando le dita si spezzino,
e scenderà sopra il tuo volto
pieno d’ansia, il mio respiro.
Non mi toccare dunque. Mentirei
nel dirti che ti dono
il mio amore nelle braccia mie protese,
nella mia bocca, nel mio collo,
e tu, credendo d’averlo esaurito
ti sbaglieresti come un bambino ingenuo.
Perché il mio amore non è solo questo
stanco e restio covone del mio corpo,
che trema tutto offeso dal cilicio
e in ogni volo mi resta indietro.
È ciò che sta nel bacio e non nel labbro,
ciò che spezza la voce e non il petto:
ma è un vento di Dio, che passa lacerando
nel suo volo, la polpa delle carni.
AMO LE COSE CHE NON EBBI MAI
Amo le cose che mai non ebbi,
insieme alle altre che non ho più:
tocco un’acqua silenziosa,
distesa su freddi prati,
che senza vento rabbrividiva
in un orto che era il mio orto.
La guardo come la guardavo;
mi viene uno strano pensiero
e lenta gioco con quest’acqua
come con pesce o mistero.
Paradiso
Distesa lamina d’oro
e nell’adagiarsi dorato
due corpi come gomitoli d’oro;
un corpo glorioso che
ascolta e un corpo
glorioso che parla nel
prato in cui nulla parla;
un respiro che va al respiro e
un volto che trema d’esso, in un prato in cui nulla trema.
Ricordarsi del triste tempo in
cui entrambi avevano
Tempo e da esso vivevano
afflitti,
nell’ora del chiodo d’oro
in cui il Tempo restò alla
soglia
come i cani vagabondi…
Gabriela Mistral
-Biografia di Gabriela Mistral-
Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, passata alla storia con il nome d’arte di Gabriela Mistral, nasce il 7 aprile 1889 a Vicuna, Cile del nord. La sua vita si rivela piena di complicazioni fin dall’infanzia: il padre Jeronimo Godoy Alcayaga Villanueva abbandona lei, la madre Petronila e la sorella Emelina quando Lucila ha appena 3 anni. Si trova quindi fin da subito a dover combattere una condizione di estrema povertà ma ciò nonostante, le difficoltà che deve affrontare nel quotidiano sembrano non riuscire ad affievolire la sua predisposizione per lo studio, per la letteratura e per la scrittura. I suoi testi sono avanguardisti, Lucila si schiera per l’istruzione gratis e la parità dei diritti, posizioni moderne che qualche anno più tardi le costeranno il rifiuto della sua domanda d’ammissione alla Scuola Normale per insegnanti. I suoi articoli, pubblicati da un quotidiano locale El Coquimbo de la Serena vengono infatti giudicati troppo sovversivi.
Il primo riconoscimento per l’arte poetica
Ma Lucila non si arrende e non abbandona né la vocazione di scrittrice né quella per l’insegnamento. Grazie all’aiuto della sorella Emelina, già maestra, riesce ad ottenere un posto come docente in alcuni istituti minori. È in questi anni che conosce un impiegato delle ferrovie, Romeo Ureta Carvajal, con cui dà vita a una relazione tormentata e controversa. Il suicidio dell’amato sarà al centro di un’opera, Sonetos de la Muerte, che le varrà il primo premio in una competizione letteraria nazionale svoltasi a Santiago nel dicembre del 1904. Lucila ora è Gabriela Mistral, una poetessa destinata al successo. Lo testimonia anche il suo nome d’arte del resto, un omaggio a due figure letterarie molto amate, il Vate Gabriele D’Annunzio e Frederic Mistral, poeta, quest’ultimo, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1904.
Gabriela Mistral è stata la prima donna sudamericana a ricevere un premio Nobel ed è anche una delle poche (tredici donne totali) che fino ad ora hanno avuto questo onore (contro i 101 vincitori uomini). Ma sarebbe forse potuto essere differente, del resto, il destino di una scrittrice che con il suo nome d’arte omaggia due tra i più grandi poeti della storia? Probabilmente no. Gabriela Mistral è passata alla storia senza dubbio per la sua eccelsa arte poetica ma soprattutto in quanto intellettuale idealista, appassionata, impegnata, sincera e soprattutto avanguardista.
Finalmente il Nobel
Gabriela Mistral Cerimonia premiazione Premio Nobel 10 dicembre 1945
Il 10 dicembre 1945 l’arte poetica di Gabirela Mistral le vale il Premio Nobel per la Letteratura, la sua vittoria è accompagnata da queste parole di motivazione: “La sua opera lirica che, ispirata da potenti emozioni, ha reso il suo nome un simbolo delle aspirazioni idealiste di tutto il mondo latino americano”.
Gli ultimi anni (anticonformisti)
Anche negli ultimi anni della sua vita Gabirela Mistral ha fatto scalpore e si è dimostrata come sempre anticipatrice dei tempi futuri, in particolare a dare adito a critiche e pettegolezzi in questo caso fu la sua relazione con una donna, Doris Dana, non vista di buon occhio. È il 10 gennaio 1957 quando la poetessa si spegne all’età di 67 anni a Long Island, sconfitta da un cancro al pancreas. La sua eredità più grande sopravvive nelle sue meravigliose poesie. Femministe, appassionate, intrise di amore per i suoi affetti più cari, la sua terra, le figure chiave della sua vita. Ma anche segnate dal dolore, dagli ideali disillusi e a volte anche da una certa spiritualità.
Susan Nalugwa Kigali, classe 1969, è considerata tra i più grandi poeti contemporanei dell’Africa orientale e meridionale; è nata in Uganda, una terra chiamata “la perla dell’Africa” senza sbocco sul mare ma impreziosita nel suo variegato paesaggio dai picchi dei monti Rwenzori e dall’immenso lago Vittoria. Una terra purtroppo segnata dall’orrore delle guerre e dalle tristi vicende dei bambini soldato; nella poesia di Susan Kigali, non è slegata questa memoria da quella di un luogo accogliente, con la presenza degli affetti familiari ( in primis la madre rimasta vedova giovane che l’ha cresciuta nella saggezza antica dei suoi avi) e degli amici. Accanto a loro prendono spicco figure di grandi sportivi che hanno dato lustro alla nazione, come i campioni olimpionici Cheptegei, mezzofondista e il maratoneta Kiprotich e al di là dei connazionali il grande pugile e campione Muhammed Alì che incontrò Foreman nel 1974 in Zaire; ne “L’uomo e la sua sansa” rievoca con affetto il grande musicista camerunese Francis Bebey.
Susan Nalugwa Kigali
Ricorda anche i grandi esponenti della libertà, eroi nazionali come Nkrumah per il Ghana e Nyerere per la Tanzania. Traspare nella sua poesia, accanto alle memorie personali e intime, “quel senso di comunità, di storia collettiva – che facciano parte del mito o siano contemporanee – così tipiche e forti di una certa cultura”.
Susan Kigali è intimista e corale al tempo stesso. La particolarità che contraddistingue questa artista della parola è saper far convivere sentimenti antitetici come sdegno e speranza, rabbia e consapevolezza sublimando a canto di gratitudine il suo racconto esistenziale.
La lingua da cui sono tradotte le poesie è l’inglese (testo originale a fronte) e riusciamo a percepire la musicalità che può sprigionare nella declamazione in pubblico ma è un ritmo che non si perde anche nella versione italiana. Per questo motivo, meritano di esser lette tutte con attenzione nelle due versioni linguistiche.
Nei ringraziamenti finali l’autrice ricorda la collaborazione con le varie Università e Festival cui ha partecipato e ringrazia Antonella Sinopoli con il suo progetto AfroWomen Poetry che ha reso possibile la pubblicazione di questo volume in edizione bilingue. Ricordiamo che l’autrice è docente presso il Dipartimento di Letteratura all’Università di Makerere dedicandosi in particolare alla ricerca sulla poesia africana orale e scritta e sulle performance poetiche nel Sudafrica del post apartheid e nell’Uganda post guerra civile.
Di seguito una breve selezione di poesie tratte da questo testo.
Noi non scriviamo la nostra poesia
noi la viviamo […]
(da: “A un’amica nella sua prima notte di sonno da quando il figlio è a letto per un altro attacco di anemia falciforme”)
Ai mercanti di guerra di tutto il mondo
Diteci
avete iniziato una guerra
così che le nostre donne
potessero essere vendute e umiliate davanti a tutti?
Le nostre ragazze ogni giorno
spogliate della loro umanità
e offerte alle
macchinazioni di folli soldati?
Diteci
avete iniziato questa guerra
come una fiera del male
che svela i diversi volti
di Lucifero a masse terrorizzate?
I nostri bambini nudi stringono pistole
al petto.
Diteci ora
avete concepito questa guerra
come un catalogo di atrocità
da custodire nelle biblioteche della nostra storia?
Avete progettato questa guerra
per bruciarci nelle fiamme delle vostre faide
o l’avete fatto per poter emanare comunicati ufficiali?
Terre che piangono
I guai nelle nostre terre
scendono in picchiata come aquile urlatrici
gli artigli aperti sulla
popolazione perplessa.
Io non lo
chi ha invaso chi
chi insegue troni regionali
io non lo so quale gerarchia ringhia
di chi sia il canale radio che mente.
Ma ho visto
macerie coprire gli indifesi
persone fatte a pezzi
dita puntate
capi abbracciarsi
persone morire.
Io non lo so quale Paese
difendano
di chi siano i bimbi
che proteggono
di chi siano i mercati
che salvaguardano
di chi sia il canale radio che mente.
Le madri cantano una ninna nanna
(dopo il genocidio del 1994 in Ruanda)
Le madri cantano una ninna nanna
mentre la notte cala sugli alberi
tagliando fuori le ombre.
Le voci suadenti s’insinuano e si attorcigliano
attorno agli arbusti e all’erba alta
che celano montagne di corpi decapitati
e il luccichio dei machete
che hanno squarciato gole urlanti.
In questi campi privi di felicità
le madri tengono viva la melodia della vita
catturando un vento malinconico
per infondere forza con il canto negli animi di bimbi
che non hanno mai conosciuto il sapore dei
fiocchi d’avena al mattino
né udito il frinire dei grilli la sera.
Le madri cantano una ninna nanna
per quei volti allucinati
che si ritraggono impauriti quando odono dei passi
i cui compagni di gioco sono scheletri ridenti.
Le madri si fanno ninna nanna
mettendo a tacere le sirene del dolore
restituendo compassione alla nazione.
L’amore non è una rosa
L’amore non è una rosa
perché le rose appassiscono e muoiono.
L’amore è acqua che scorre
su un fuoco ardente.
L’amore è latte schiumato
fresco di mucca.
L’amore è un forte infuso
bevuto in compagnia.
L’amore è medicina
per una febbre cocente.
L’amore è una preghiera
dalle solide ali.
Il formicaio
Voglio vedere il tuo volto
di fronte al mio
sempre.
Voglio accarezzare
il tenero lobo
del tuo orecchio
con la mia voce
sempre.
Voglio trovare
il cielo nelle
mezzelune dei tuoi
occhi
sempre.
Voglio che tutti
si stupiscano
di ciò che trovi
nelle mie gambe storte
sempre.
Voglio sedere
con te
sul formicaio
vicino alle colline scure come il pane
sempre.
Mwalimu Nyerere
(In memoriam)
Mwalimu Nyerere
tu, sommo padre, hai scalato
il Kilimangiaro fino all’altro versante,
il tuo volto impresso nella storia.
Tu libro della nostra lotta
tu portavoce del nostro popolo
tu bastone per il cammino dell’Africa
il braccio più forte della comunità.
Spirito di saggezza
pioniere dell’unità africana
fratello di Kwame Nkrumah
artefice della nostra rinascita.
Campione di giustizia
la tua mano sull’Uganda
la tua mano sul Sudafrica
la tua mano sul Burundi
la tua mano sull’Africa.
Figlio d’Africa
sostenitore della forza del nostro popolo
artigiano di un comune Tessuto Africano
lavorasti sodo per vedere
la gente mangiare assieme
i bambini andare a scuola
gli ospedali aprire.
Figlio di Makerere
filosofo nel nostro Cortile
secondo le usanze del nostro popolo
pronunciamo il tuo nome
segno ultimo della nostra riverenza.
Amo la mia casa
[…]
Per le risate che si alzano in volo
echeggiando in ogni angolo
per le risate sparse
sui cespugli in fiore
per le risate che sfuggono da ogni anfratto
levandosi per salutare il sole
per le risate da cellulare a cellulare.
Per quelli che hanno preso lezioni di danza
nell’utero
che scendono in pista
e si fanno adorare
che si voltano di qua e creano magie
si voltano di là
e mandano miliardi di angeli
a pregarli di non fermarsi mai
per quelli che fischiettano canzoni
e ti spingono a cantarle con loro
tuo malgrado.
Per quelli che piangono il lutto
richiamando mille nomi
ricordando nome su nome
ripercorrendo la storia di ogni vita
a loro cara ogni volto d’amore.
Per quelli che sentono il proprio dolore
dentro e fuori
che strisciano e graffiano la terra
come se questa potesse rispondere alle loro domande
per quelli che ogni giorno guardano il cielo
e implorano Dio
continuando ad amare
a sperare
a vivere come se la vita fosse per sempre
per quelli che non si lasciano mai andare
né lasciano le persone che colorano la loro vita
per quelli che fanno della tristezza parte della felicità
un elemento di pace
per vedere il prima, l’ora e il per sempre
per la mia gente che mi fa
desiderare di capire ciò che non capisco.
Mi manca mamma
[…]
Mi manca quella donna gentile
e la sua dolce morbida risata
e quella voce come se la risata fosse velluto
nella sua bocca.
Mi manca nostra madre
il modo in cui si gira risoluta
e chiede “Ate ki Mukwano?”
come se l’amicizia fosse tutto
ciò che vorrebbe da noi.
Amo nostra madre
quando socchiude gli occhi per dire no
quando si guarda i piedi intendendo
“Non c’è bisogno di stupidaggini”.
Quando alza gli occhi
attraversati da quei lampi di luce che dicono ben fatto
e grazie
quando i suoi occhi si riempiono di lacrime in una
preghiera riconoscente
Amo nostra madre
e sono contenta di poter scrivere in luganda e in inglese.
Oggi l’ho fatto in inglese
perché quando i nostri occhi si incontrano
parlano luganda.
P.S. “Ate ki Mukwano?” significa “che cosa ti preoccupa amico?”
Susan Kiguli, poetessa ugandese pubblicata qui per la prima volta in Italia, ha una peculiarità: parla degli orrori – come il genocidio del 1994 in Rwanda o le violenze nel suo paese – con uno sguardo severo che nello stesso tempo rifiuta la rabbia cieca. Uno sguardo e una parola che rimangono teneri e avvolgenti: «Ti ho osservata / con il curioso interesse di una bimba confusa / mentre hai incarnato la filosofia sopravvivi e vinci / sono convita che / se imparassi queste lezioni e le apprendessi bene / avrebbe inizio una rivoluzione / una rivoluzione per sostenere / la splendida nella quale sono nata». Edizione per il premio del festival internazionale di poesia civile di Vercelli a cura di Antonella Sinopoli con traduzione di Marta Zonca.
Biografia dell’autore Susan Nalugwa Kiguli
Susan Nalugwa Kiguli, nata nel 1969, è accademica e poetessa ugandese. È professore associato ed è stata direttrice del Dipartimento di Letteratura, Università di Makerere (marzo 2012-luglio 2016). Ha conseguito master all’estero e un dottorato di ricerca in inglese all’Università di Leeds (UK). Presidential Fellows dell’African Studies Association (Asa) nel 2011. Ha dedicato la sua ricerca alla poesia africana orale e scritta, al canto popolare e alla teoria della performance nel Sudafrica del post aparheid e nell’Uganda post guerra civile. «Dal suo lavoro» ha scritto l’ASA «emerge che canzone popolare e poesia orale sono riflessi di questioni sociali, culturali e politiche che influenzano le società in cui sono prodotte». È stata presidente di Femrite, associazione delle scrittrici ugandesi. Fa parte del comitato consultivo dell’African Writers Trust (Awt). Ha anche fatto parte della giuria del Commonwealth Writers’ Prize (regione africana) e partecipato a vari festival di letteratura, sia come protagonista che come membro della giuria. Tra questi il prestigioso Nigeria Prize for Literature (2022).
Il suo primo volume di poesie, The African saga (1998) l’ha collocata tra i poeti di maggior spessore dell’Africa orientale e meridionale. Il volume ha vinto il National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) e ha segnato la storia della letteratura nel suo Paese. I suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e antologie, nazionali e internazionali. La seconda raccolta, Home floats in a distance/ /Zuhause treibt in der ferne (Gedichte), è un’edizione bilingue, inglese e tedesco (2012). Nel 2019 ha partecipato al progetto Afro Women Poetry fondato dalla giornalista Antonella Sinopoli.
Susan Nalugwa Kigali
Da “Avvenire”, Anna Pozzi su Terre che piangono di Susan Nalugwa Kiguli
«La poetessa ugandese in Italia per il Festival di poesia civile: “Voglio che si guardi in faccia la guerra e tutto l’orrore e il dolore che essa provoca alle persone innocenti
Solo parlandosi l’un l’altro si possono disinnescare i conflitti”».
Il suo primo volume di poesie, The African saga (1998) l’ha collocata tra i poeti di maggior spessore dell’Africa orientale e meridionale. Il volume ha vinto il National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) e ha segnato la storia della letteratura nel suo Paese. I suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e antologie, nazionali e internazionali. La seconda raccolta, Home floats in a distance/ /Zuhause treibt in der ferne (Gedichte), è un’edizione bilingue, inglese e tedesco (2012). Nel 2019 ha partecipato al progetto Afro Women Poetry fondato dalla giornalista Antonella Sinopoli.
Susan Kiguli: una voce dall’Uganda la prima volta in Italia
Mercoledì 25 ottobre in Università Cattolica la poetessa africana presenta la sua prima opera in italiano: Terre che piangono in occasione del festival internazionale di poesia civile
La poetessa ugandese Susan Kiguli sarà a Milano mercoledì 25 ottobre alle ore 17 in Università Cattolica, aula Pio XII, largo Gemelli 1, per presentare il suo nuovo libro, prima opera in italiano, edita da Interlinea, Terre che piangono, con reading e colloquio con la giornalista Antonella Sinopoli. L’evento è in collaborazione con il Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica, con introduzione di Beatrice Nicolini (Università Cattolica del Sacro Cuore) e Roberto Cicala, editore e docente.
Kiguli nella stessa giornata sarà anche a Vercelli al Seminario arcivescovile in piazza Sant’Eusebio 10, alle ore 21 per ricevere il XIX Premio alla carriera del festival internazionale di poesia civile, in un incontro pubblico dove dialogherà con Serenella Mattera.
Terre che piangono ha una peculiarità: parla degli orrori – come il genocidio del 1994 in Rwanda o le violenze nel suo Paese – con uno sguardo severo che nello stesso tempo rifiuta la rabbia cieca. Uno sguardo e una parola che rimangono teneri e avvolgenti: «Ti ho osservata / con il curioso interesse di una bimba confusa / mentre hai incarnato la filosofia sopravvivi e vinci / sono convinta che / se imparassi queste lezioni e le apprendessi bene / avrebbe inizio una rivoluzione / una rivoluzione per sostenere / la splendida nazione / nella quale sono nata».
Il volume è tradotto da Marta Zonca e curato da Antonella Sinopoli, fondatrice del progetto AfroWomenPoetry, che presenta così il lavoro dell’autrice: «Questa è l’arte di Susan Kiguli: fare della parola poetica strumento di ricordo (mai rimpianto) e di riconoscenza. Ricordo delle persone ferite nella sua terra – i bambini, le madri, prima di tutto –. Ferite da guerre, poteri famelici, politiche indifferenti ai bisogni reali. Riconoscenza verso chi – al contrario – ha dato al suo Paese un contributo di speranza, di azione, di pensiero costruttivo e destinato a segnare le giovani generazioni».
Susan Nalugwa Kiguli, nata nel 1969, è accademica e poetessa ugandese. È professore associato ed è stata direttrice del Dipartimento di Letteratura, Università di Makerere (marzo 2012-luglio 2016). Ha conseguito master all’estero e un dottorato di ricerca in inglese all’Università di Leeds (UK). Presidential Fellows dell’African Studies Association (Asa) nel 2011. Ha dedicato la sua ricerca alla poesia africana orale e scritta, al canto popolare e alla teoria della performance nel Sudafrica del post aparheid e nell’Uganda post guerra civile. «Dal suo lavoro» ha scritto l’ASA «emerge che canzone popolare e poesia orale sono riflessi di questioni sociali, culturali e politiche che influenzano le società in cui sono prodotte». È stata presidente di Femrite, associazione delle scrittrici ugandesi. Fa parte del comitato consultivo dell’African Writers Trust (Awt). Ha anche fatto parte della giuria del Commonwealth Writers’ Prize (regione africana) e partecipato a vari festival di letteratura, sia come protagonista che come membro della giuria. Tra questi il prestigioso Nigeria Prize for Literature (2022).
Il suo primo volume di poesie, The African saga (1998) l’ha collocata tra i poeti di maggior spessore dell’Africa orientale e meridionale. Il volume ha vinto il National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) e ha segnato la storia della letteratura nel suo Paese. I suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e antologie, nazionali e internazionali. La seconda raccolta, Home floats in a distance/ /Zuhause treibt in der ferne (Gedichte), è un’edizione bilingue, inglese e tedesco (2012). Nel 2019 ha partecipato al progetto Afro Women Poetry fondato dalla giornalista Antonella Sinopoli.
Mak Prof. Susan Kiguli appointed International Judge for the Nigeria Prize for Literature 2022
Mak Associate Professor of Literature Susan Nalugwa Kiguli was on August 18, 2022 appointed as the international consultant/ Judge for the Nigeria Prize for Literature 2022 Edition of Africa’s most prestigious prize for literary.
Kiguli was approved and appointed on the directives of the Advisory Board for The Nigeria Prize for Literature, a three-person panel, chaired by Professor Akachi Adimora-Ezeigbo.
Kiguli described her appointment as an honor and expressed excitement looking forward to identifying poetic talents in Nigeria.
“I am deeply honoured and privileged to have been appointed the international Judge for the Nigeria Prize for Literature 2022 whose focus is the genre of poetry. Besides this prize being an outstanding one in Africa, this year’s focus is on poetry which is one of my life’s passions.
I am extremely excited to be part of the process of recognizing current poetic talent in Nigeria given that recognition for poets within Africa is not a frequent activity.
This is even more significant for me that I have been recognized as capable of selecting worthy talent deserving of such a prestigious prize within Africa in a year when my alma mater and work place Makerere University is celebrating a 100 years of existence and so recognition of our skills and work is part of the endorsement that even at a 100 , we are still building for the future”
She commented.
The Nigeria Prize for Literature sponsored by Nigeria LNG Limited was established in 2004 to bring authors to public attention and celebrate literary accomplishments in Nigeria. Since its inception, Nigerian writers at home and in the diaspora have competed passionately for the prize,
Over the years, the list of laureates has grown to include names such as Gabriel Okara and Professor Ezenwa Ohaeto (joint winners, 2005); Ahmed Yerima (2006); Professor Akachi Adimora-Ezeigbo (current Chairman of Advisory Board) and Mabel Segun (joint winners, 2007); Kaine Agary (2008); Esiaba Irobi (2010); Adeleke Adeyemi with the pen name Mai Nasara (2011); Chika Unigwe (2012); Tade Ipadeola (2013), Sam Ukala (2014), Abubakar Ibrahim (2016) and Ikeogu Oke (2017) and Soji Cole (2018) and Jude Idada (2019).
Due to COVID-19, entries for 2020, which was on Prose Fiction, were moved over to 2021.
This year, the genre in focus is Poetry.
“The Advisory Board is confident that your contribution will impact this year’s competition positively and help produce a worthy winner. You are by this letter, appointed to work independently to classify the final shortlist of three books which would be selected by the panel of three eminent judges, including Professor Sule Egya Emmanuel (Chairman), Dike Chukwumerije, and Mrs Toyin AdewaleGabriel”, Part of the appointment letter reads.
Terms of Reference
Subject to her acceptance of this appointment, the following will constitute Prof. Kigulis terms of reference:
The Panel of Judges (2022) would read through and produce a shortlist of 20, 11 and 3 books, respectively.
• Receive the three final entries from the Advisory Board, a month to the last
• meeting – where the panel of judges chooses the winning entry.
• Expected to read through and objectively assess them and select a winning entry
• at least two weeks to the last meeting of the Advisory Board (i.e. on/before September 15, 2022).
• Evaluate the scope, maturity and integrity of writing, depth of vision, thematic engagement, and general contribution of the works to the field of literature.
• Where her choice does not agree with the adjudged winning entry, she will be invited
• to further deliberate with the Panel of Judges.
• A detailed report expected, clearly indicating the winning entry with justification and include general observations on submissions and anything else that may help promote reading, writing, and publishing.
• Together with the Panel of Judges are not bound to announce a winner if they do not find any of the submissions worthy of the award.
• The award should not be awarded for any other reason but excellence.
• An honorarium will be paid at the the end of the exercise.
• The judging shall be demonstrably fair, open, and transparent. Nigeria LNG Limited places accent on the highest ethics and expects that this will guide adjudication.
• The prize sponsors, Nigeria LNG Limited, shall serve as the secretariat and facilitate the prize’s administration.
Makerere staff applaud Kiguli
A section of Makerere staff on reading the news congratulated Assoc. Prof. Sarah Kiguli describing the win as deserving one.
The Director, Directorate of Graduate Research and Training Prof. Mukadasi Buyinza wrote,
“I have always known that literary excellence is all about you at MAK. Congrats Prof Susan Kiguli, you are and remain a star Professor in this field. You and your Literature work have always been beyond our expectations and have contributed significantly to our journey of success as an elite African University. Your fresh perspectives, your objectivity, and your superior literary skills that helps us to stay ahead of our competitors (Ibadan, SA cluster of elite Universities etc). Your dedication towards delivering high-quality output in every international assignment is truly commendable. Thank you for the effort and diligence that you put into your work every single day. May you continue to inspire us for many years to come!” Mukadsi Buyinza
Dr. Faridah Katushemererwe said, “Congratulations Dr. Susan Kiguli for the international recognition. Your prowess in poetry is in the skies. The seeds you have sown are spouting and growing in all corners of my vicinity, to the extent that even at wedding functions, we are “treated” with poems! Thank you our Wordsmith, congs once again”,
Hi Susan, At times I call you Your Excellency, (you know those circles) and now I take this opportunity to heartly congratulate you on this great achievement and pray that God lifts you to even higher grounds in His mighty name. Amen”, Joan Kakongoro wrote
“Congratulations to Dr Kiguli, as We Build for the Future”Said David Bakibinga
“Congratulations Assoc. Prof. Susan Kiguli, This is a well-deserved one! Keep flying”
Florence Ebila wrote.
“Dear Sue,Congratulations!!!!! I wish you all the best my sister.,” Grace Kibanja
“Congratulations to our very own Associate Prof Kiguli. May God bless you and use you. Esezah Kakudidi
“Hearty congratulations Susan. May God be praised for this appointment?” Saul Nsubuga posted.
About Susan Kiguli
Susan Nalugwa Kigali
Susan Nalugwa Kiguli is an academic and poet. She is an Associate Professor and served as Head of the Department of Literature, Makerere University (March 2012- July 2016). She holds a PhD in English from The University of Leeds (UK) sponsored by the Commonwealth Scholarship Scheme. She also has a Masters of Letters in Literary Linguistics from the University of Strathclyde, (UK), Masters of Arts (Literature) and a B.A. Education degree both from Makerere University, Uganda. She is the African Studies Association Presidential Fellow, 2011 and this presented her with an opportunity to read her poetry at the Library of Congress, Washington DC in November, 2011. She has also held the American Council of Learned Societies/ African Humanities Fellowship, 2010-2011 sponsored by Carnegie Corporation of New York, and as part of the fellowship, she was a researcher in Residence at the Centre for Humanities Research at the University of Western Cape, South Africa. Her research interests fall mainly in the area of Oral and Written African Poetry, Popular Song and Performance Theory. She has served as the chairperson of FEMRITE, Uganda Women Writers’ Association.
She currently serves on the Advisory Board for the African Writers Trust (AWT) and on the board of the Eastern African Literary and Cultural Studies Conference Series.
Her first volume of poetry, THE AFRICAN SAGA (1998) situated her among the most exciting poets from Eastern and Southern Africa. The volume won the National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) and made literary history in Uganda by selling out in less than a year. Her poetry has appeared widely in journals and anthologies both nationally and internationally. Her second collection of poetry HOME FLOATS IN A DISTANCE/ZUHAUSE TREIBT IN DER FERNE( GEDICHTE) is a bilingual edition in English and German (2012). A critic of poetry herself, she has written on Ugandan poetry, oral performance and the position of women writers in African literature.
She has also served on the panel of judges for the Commonwealth Writers’ Prize (African Region, 1999). She also served as one of the regional coordinators for the Women Writing Africa Project (Eastern region, 1999-2000) She was on the Board of Advisors for Beyond Borders: A Festival of Contemporary African Writing (Interaction Event) British Council, Uganda), 2005. She was a special participant in the Yorkshire Professional Development for Writers of African and Asian Descent-INSCRIBE (2005-2006) Project initiated by Arts Council England, Yorkshire in partnership with Peepal Tree Press in Leeds. She was a Commonwealth Researcher in residence at the University of Natal from Sept 2001-February 2002. She attended the Summer Institute on Contemporary American Literature, 2008 at the University of Louisville, Kentucky, USA. She was a Poet in Residence at the Siftung Kunst: Raum Sylt Quelle, Germany between October- November, 2008.
She has appeared twice as guest poet at the Poetry Africa Festival in Kwazulu –Natal among other literature festivals. She was also among three African Poets who not only performed before the former President of Germany, His Excellency Horst Kohler in 2008 at the International Literature Festival Berlin but was also honoured as one of the poets to appear in his book on Africa entitled SCHISKAL AFRIKA, 2010. She was the chief convener for both “Celebrating Ugandan Writing: Okot p’Bitek’s Song of Lawino at 50 Symposium” 18th March, 2016 and “The 2nd Eastern African Literary and Cultural Studies Conference”, 20th-22nd August, 2015, held at Makerere University.
She was also part of the organising committee for the Professor David Rubadiri Memorial Symposium at Makerere University on 12th October, 2018 and was the Co-Chair for the Celebrating Wangusa@80 event, Makerere University, 8th July, 2022 as part of the Makerere @100 celebrations.
She participated in the Afrowomen Poetry Project founded by the Italian journalist Antonella Sinopoli. She has recently been interviewed by Dr. Gilbert Ndi Shang for the Columbian National Library African Literature Programme. She has also been appointed as a member on the Peer Review Panel for the Department of English under the policy for Quality Assurance and Enhancement at Stellenbosch University, 2022.
Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica –
Il 4 dicembre del 1975, a New York, muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. Nata da una famiglia ebrea, la Arendt studia filosofia con il teologo Rudolf Bultmann, Martin Heidegger all’università di Marburg.
Hannah Hannah Filosofa tedesca
Con Heiddeger, ricorda Rai cultura, «Arendt ha una relazione sentimentale segreta, scoprendo solo piuttosto tardi le simpatie naziste del filosofo, da cui si dissocia. Dopo aver chiuso questa relazione, la Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino».
La tesi è pubblicata nel 1929, ma alla Arendt, viste le sue origini, non viene concessa l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove vivrà fino al 1975, anno della sua morte. Tra le sue opere più note, “Le origini del totalitarismo”, “Ebraismo e modernità” e “La banalità del male”».
Sessant’anni fa, nel 1964, Feltrinelli pubblica in Italia La banalità del male –Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt.
«Il saggio – ricorda Elia Bosco sul sito della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana– fu scritto dopo la partecipazione della pensatrice politica, in qualità di giornalista, al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della cosiddetta “soluzione finale”, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, cui esito fu la pena di morte.
L’opera entrò a pieno titolo nella storia del pensiero del Novecento per la sua portata rivoluzionaria, che portò ad una inedita concezione delle categorie tradizionali di bene e di male.
Il concetto di banalità del male si mette in rapporto dialettico, nel pensiero della Arendt, con il concetto kantiano di radicalità del male, utilizzato dalla scrittrice nell’opera del ‘51 intitolata Le origini del totalitarismo. Sulle pagine del New Yorker, Hannah Arendt scrisse che il processo a Eichmann ha rovesciato completamente il tema del male come esso era stato presentato nel testo del 1951. Se in quell’opera i totalitarismi erano stati letti come conseguenza diretta del fallimento della democrazia e del pensiero critico, e piene manifestazioni del male assoluto e radicale, alla luce della macchina di sterminio industriale che Auschwitz rappresentò quella categoria non era più sufficiente per descrivere il dramma dei campi di sterminio e serviva dunque una rielaborazione concettuale».
Togliendoci qualsiasi appiglio metafisico, «che non di rado è stato utilizzato quale comoda uscita di sicurezza, e mettendoci in guardia dalla tentazione di estetizzare il male – scriveva nel 2015 Massimo Marottoli in un articolo su Riforma.it dal titolo Il doppio sguardo –sul film di M. Von Trotta, Arendt ci snida dalle menzogne in cui ci siamo appisolati; ci strappa di dosso gli alibi consolatori che preservano dal contatto diretto con il reale e ci chiama a responsabilità».
Hannah Hannah Filosofa tedesca -Foto del 1963
Breve biografia di Hannah Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover 1906 – New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciato una originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici e sociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg con Jaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavorò a Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti, dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruction. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago (dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il problema dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomo con gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitarianism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importanti analisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania nazista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgere dell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della società di massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cui principio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The human condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sfera pubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonista della vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo il modello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità del male come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli individui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi della rivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre libertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle funzioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). In polemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe come filo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronte all’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumi Pensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind (post. 1978; trad. it. La vita della mente).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli, Giuseppe. – Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Restauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaProf.Giuseppe Lugli – Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);PAN- 1935-Prof.Lugli Giuseppe Restauro del Tempio di Venere e Roma
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
DESCRIZIONE del libro di Simone Pétrement-“La vita di Simone Weil”-Goffredo Fofi:”La Weil fu un personaggio singolare non solo nelle idee, fuori dai conformismi lo fu anche nella vita, o meglio nella rigorosa tensione a far coincidere vita e pensiero, a confrontare e legare il pensiero e l’esperienza. Dice la sua biografia: ‘Aveva il dono di irritare molti e a volte fino al furore, e… continua a irritare ancora’. Simone Pétrement fu sua amica, e ha pagato il debito all’amicizia, al ‘miracolo dell’amicizia’ così caro all’altra Simone, scrivendone una biografia bellissima, esemplare per onestà e precisione, per partecipe interrogazione sul senso e il mistero di una esperienza eccezionale” (Goffredo Fofi).
Simone Weil
Biografia di Simone Weil (1909-1943) occupe une place tout à fait singulière dans l’histoire de la philosophie française contemporaine. Sans doute son acharnement à vivre en conformité absolue avec ses principes y est-il pour beaucoup et l’image de cette femme atteinte de tuberculose se laissant mourir, à Londres, en 1943, des privations qu’elle s’est imposées parce qu’elle n’est plus en état de combattre, illustre mieux qu’aucun autre de ses actes la nature de son engagement (physique autant que moral et intellectuel) du côté des pauvres, des démunis, des humiliés, des vaincus. Vérité et justice, tel est l’idéal qu’elle poursuit en véritable croisé. Elle le nourrira d’un travail intellectuel acharné et d’un engagement résolu dans tous les grands combats politiques de son temps : disciple d’Alain, agrégée de philosophie (1931), pénétrée des traditions chrétienne, grecque et hindoue, mais lectrice tout aussi éclairée des découvertes de la science moderne, elle s’établit comme ouvrière chez Alsthom puis Renault (1934-1935), s’engage aux côtés des combattants antifranquistes pendant la guerre d’Espagne (1936), se fait ouvrière agricole en 1941, avant de rejoindre la France libre en 1942-1943. Le destin exceptionnel de cette femme en quête d’absolu est ici raconté avec minutie et souci d’exactitude par quelqu’un qui l’a aimée et ne s’en cache guère. Son travail fait aujourd’hui référence.
ORTONA-Concorso Francesco Paolo Tosti 2024 -Vince il soprano Alessia Panza-
Ortona, 02 dicembre 2024 – Il soprano Alessia Panza, è la vincitrice della settima edizione del Concorso di canto Francesco Paolo Tosti. Ha conquistato anche il premio del Japan Tosti Institute.
soprano Alessia Panza, è la vincitrice della settima edizione del di canto Francesco Paolo Tosti.
La giuria del concorso, presieduta da Nazzareno Carusi (pianista e consigliere di amministrazione del Teatro e della Filarmonica della Scala) e composta da Carlo Fontana (presidente di Impresa Cultura Italia e già sovrintendente del Teatro alla Scala, Kaveh Daneshmand (musicista e fondatore di Toret Artist Management), Michele Gamba (direttore d’orchestra e pianista), Paola Leolini (soprano, docente di canto), Alberto Mattioli (critico musicale) ha poi assegnato il secondo posto a Romina Cicoli (soprano anche lei) e il terzo al baritono Shogo Mori. Il premio giovane “Francesco Samvitale” è andato a Simone Fenotti, il premio migliore aria d’opera a Kim Jihye, mezzosoprano. Non è stato assegnato il primo premio per i pianisti; al secondo posto si è classificato Carlo Martiniello e al terzo Kim Jihye.
VINCITORI VII edizione del di canto Francesco Paolo Tosti 2024
Due giorni di selezioni, poi le semifinali e la grande serata finale hanno nuovamente trasformato Ortona nella capitale della musica vocale da camera, più conosciuta come romanza, di cui Tosti è stato autore sublime.
Un concorso particolare, per le alte qualità che vengono richieste nell’interpretazione di un repertorio complesso, che ha però avuto il riscontro di un’importante partecipazione sia da parte degli artisti che del pubblico.
“Una grande occasione anche per l’Abruzzo – sottolinea Remo Di Martino, presidente dell’Istituto Nazionale Tostiano di Ortona – che torna a celebrare uno dei suoi figli più illustri. Noi non siamo solo custodi della memoria di una figura artistica eccezionale, ma siamo i testimoni quotidiani della sua attualità. La qualità dei partecipanti al concorso di quest’anno, che torna dopo la sosta forzata del periodo di emergenza sanitaria, conferma che la musica vocale da camera è un patrimonio condiviso con la grande cultura internazionale. Abbiamo avuto concorrenti arrivati da Cina, Armenia, Grecia, Giappone, Cina Popolare, Russia, Sud Corea e Repubblica Ceca, oltre che da molte regioni italiane, tutti artisti che si sono confrontati con un repertorio che richiede solide doti interpretative. Sono giovani che hanno talento, studiano e coltivano un sogno e che ad Ortona hanno trovato l’opportunità di farsi ascoltare da una giuria molto qualificata. All’Istituto Tostiano resta l’orgoglio di aver lavorato in questi mesi per restituire all’Abruzzo un appuntamento di altissimo livello internazionale, che guarda al futuro, con quella fiducia che solo l’amore per l’arte può dare”.
“Spero che la bellissima finale di ieri sera – afferma il maestro Roberto Rupo, vicepresidente dell’Istituto Tostiano – sia l’inizio del rilancio di un’istituzione come l’Istituto Nazionale Tostiano che la città e chi l’amministra (e l’amministrerà) dovrebbe considerare un bene comune da preservare, un gioiello di famiglia del quale essere orgogliosi. Grazie alla prestigiosa giuria guidata dal Mº Nazzareno Carusi al quale va la più profonda riconoscenza mia e dell’istituzione che mi onoro di rappresentare”.
Aung San Suu Kyi -La Signora del “Paese delle mille Pagode”
Articolo dell’Ingegner Andrea Natile
Aung San Suu Kyi birmana di Yangon, nata nel 1945, era figlia del generale Aung San, uno dei principali esponenti politici birmani. Dopo aver negoziato l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu ucciso da alcuni avversari politici, lasciando la bambina di appena due anni.
Dopo la morte del marito, sua madre divenne una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960.
Aug San la seguì ovunque ed ebbe la possibilità di frequentare le migliori scuole indiane e successivamente quelle inglesi.
Ad Oxford, conseguì una prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia.
Poi continuò i suoi studi a New York, dove lavorò per le Nazioni Unite e dove incontrò il suo futuro marito, Michael Aris, studioso di cultura tibetana, che sposò nel 1971.
Ritornò in Birmania nel 1988 per accudire la madre gravemente malata.
Quell’anno la Birmania fu scossa da una rivolta che si estese a tutto il Paese. Fortemente influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi e dai precetti buddisti, Aung San Suu Kyi aderì alle proteste, e il suo primo atto fu una lettera aperta con cui chiese al governo la formazione di un comitato per preparare libere elezioni.
A Yangon, tenne un comizio alla Pagoda Shwedagon davanti a mezzo milione di persone, diventando subito un simbolo del movimento democratico nazionale.
Le proteste aumentarono, e il 18 settembre l’esercito mise in atto un colpo di Stato guidato da Saw Maung, un generale particolarmente vicino alle posizioni dell’ex dittatore Ne Win, che impose la legge marziale. I militari stroncarono le proteste con la violenza e ci furono circa 3 000 morti tra i dimostranti.
Nel suo primo comunicato, la nuova giunta militare annunciò la volontà di indire elezioni democratiche con il sistema multipartito.
In vista delle future elezioni, Aung San Suu Kyi, contribuì a fondare la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) e fu eletta segretario generale.
Malgrado la proibizione del regime, tenne diversi comizi in giro per il Paese. Poi il regime militare la confinò agli arresti domiciliari senza averla processata. In seguito le diede la possibilità di lasciare il Paese, ma Aung San Suu Kyi rifiutò la proposta di andarsene.
Il regime fissò per il maggio 1990 le elezioni generali, che videro la schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, la quale sarebbe quindi diventata primo ministro.
Ma i militari mantennero il potere con la forza, annullando il voto popolare.
Nel 1991 le fu assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero e l’anno successivo vinse il premio Nobel per la Pace, che si rifiutò di ritirare per non lasciare il paese cui non avrebbe più potuto fare ritorno.
Il premio fu ritirato dai suoi figli. Tutti i soldi del premio furono devoluti per costituire un sistema sanitario e di istruzione a favore del popolo birmano.
Gli arresti domiciliari le furono revocati nel 1995; rimase comunque in uno stato di semilibertà e non poté mai lasciare il Paese.
Nonostante le pressioni del governo statunitense, del segretario generale delle Nazioni Unite e di papa Giovanni Paolo II, ai suoi familiari non fu mai permesso di visitarla.
Al marito nel 1997 fu diagnosticato il cancro che lo uccise nel 1999.
Lei non potè andare neanche al suo funerale.
Sotto le pressioni internazionali, le misure restrittive furono allentate; ma, nel 2003, mentre si trovava su un convoglio con numerosi sostenitori dell’LND, alcune persone collegate ai militari tesero un agguato e massacrarono circa 70 attivisti
Lei riuscì a salvarsi solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento la sua salute andò peggiorando, tanto da richiedere interventi e ricoveri ospedalieri.
Finalmente il 13 novembre 2010 Aung San Suu Kyi fu liberata.
Il 16 giugno 2012 al ritiro del Nobel per la Pace che aveva vinto nel 1991, tenne un memorabile discorso.
“Onorati ospiti, membri dell’Accademia, miei compagni del popolo birmano,
Sono qui oggi a nome dei milioni di birmani che hanno sofferto per decenni sotto un regime oppressivo. Sono qui a nome dei prigionieri politici che sono ancora detenuti nelle carceri birmane, che sono ancora perseguitati per le loro idee e le loro convinzioni. Sono qui a nome dei poveri, dei diseredati e dei malati che lottano ogni giorno per sopravvivere in un paese che è stato devastato dalla corruzione e dalla violenza…”
Negli ultimi tempi però, sulla testa di Aung San, nel panorama internazionale dell’opinione pubblica, si sono addensate delle nubi.
Per motivi di realpolitik non ha mai voluto condannare esplicitamente il comportamento dei militari che tuttora sono al potere.
La questione riguarda la persecuzione dei rohingya, una minoranza etnica di quasi un milione di persone, 700.000 dei quali sono dovuti scappare nel vicino Bangladesh, in Thailandia, Malesia e Indonesia, bersagliati da attacchi dell’esercito e dai fondamentalisti buddisti.
La situazione è controversa, in quel paese la realtà religiosa è complessa, è un paese con religione di stato buddista.
SINOSSI- Il libro Tullia Romagnoli Carettoni nell’Italia repubblicana-è stata partigiana, insegnante, funzionaria dell’Udi, dirigente socialista, senatrice dapprima con il Psi poi con la Sinistra indipendente, figura di spicco in vari organismi nazionali e internazionali. La sua biografia permette di ripercorrere i primi tre decenni della storia repubblicana: la transizione postfascista, il miracolo economico, le riforme mancate e quelle varate dal centro-sinistra, le battaglie per i diritti civili degli anni Settanta; ma anche la Guerra fredda, il processo di decolonizzazione, il movimento internazionale delle donne. A partire dal suo archivio personale, il volume restituisce il profilo di una “socialista autonoma” che, in Italia e nel mondo, si è battuta per intrecciare universalismo e differenze.
In copertina: Tullia Carettoni, da poco eletta senatrice del Psi (1963 ca). AUFN, TRC/I, busta 38, fasc. 1.
Tullia Romagnoli Carettoni
INDICE
Introduzione
1. Storia politica, questioni di genere, biografia
2. Costruire un archivio, costruire una memoria: il fondo Tullia Romagnoli Carettoni
3. Attraverso le sue carte: una lunga transizione postfascista
1. Tra le giovani donne della nuova Repubblica
1. Da Tullia Romagnoli a Tullia Carettoni
2. Partigiana combattente
3. «Tornata a valle», la Resistenza continua
4. Con Rodolfo Siviero: il recupero delle opere d’arte trafugate
5. Scuola e famiglia: l’impegno nell’Udi
6. «Candidata della pace» alle elezioni del 1948
7. Il “pellegrinaggio politico” in Urss e in Cina
8. Gli anni Cinquanta: tra modernità e tradizione
2. Nella stanza dei bottoni
1. Napoli, 1959. Nella Direzione del Psi
2. Dalla Scuola al Movimento femminile socialista
3. La “questione femminile” negli anni del centro-sinistra
4. Nel salotto delle Tribune politiche
5. 1963: l’ingresso a Palazzo Madama
6. Verso la stagione dei diritti civili
7. La Commissione Franceschini per i beni culturali
3. “Socialista autonoma” nella Sinistra indipendente
1. Conflittualità sociale e immobilismo parlamentare: l’uscita dal Psi
2. Una scuola per l’infanzia
3. Con Parri, per l’unità delle sinistre
4. Dagli Affari esteri alla Vicepresidenza del Senato
4. Nel mondo. I diritti umani
1. Contro la “guerra americana”: l’Issoco e il Comitato Italia-Vietnam
2. La tutela internazionale dei diritti umani: America Latina, Africa e Medioriente
3. L’Italia, la Cee e i paesi fascisti europei
4. Sulla linea della distensione
5. 1975: Anno internazionale della donna
5. In Italia. I diritti civili
1. In difesa del divorzio
2. La “lex Tullia” antireferendum
3. La riforma di famiglia e la “legge per le divorziate”
4. Aborto: problemi e leggi
5. Per il controllo delle nascite
6. Una legge «ipocrita ma necessaria»: la 194/1978
6. Per l’abrogazione della causa d’onore
1. 25 aprile 1976: il contributo della Resistenza alla libertà femminile
2. La protezione sotto attacco
3. La tutela dell’uguaglianza nel ddl 4/1976
4. Lo smantellamento della proposta
5. Il dibattito su delitto d’onore e matrimonio riparatore
6. L’infanticidio per causa d’onore
7. «Un gioco perfido di contro luci»
8. La legge 442/1981
Epilogo
1. Al Parlamento europeo (1979-1984)
2. La Presidenza dell’Istituto italo-africano (1980-1996)
3. All’Unesco (1984-2005)
4. Attraverso i confini
Indice dei nomi
AUTORE–Paola Stelliferi ha insegnato Storia delle donne e di genere all’Università degli Studi di Padova ed è stata assegnista di ricerca all’Università degli Studi Roma Tre. Fa parte della Società italiana delle storiche, per la quale è stata membro del consiglio direttivo nazionale. È autrice di Il femminismo a Roma negli anni Settanta. Percorsi, esperienze e memorie dei collettivi di quartiere (Bup, 2015), di saggi di ricerca sulla storia dell’aborto nell’Italia repubblicana e sulla storia e la memoria dei femminismi.
EDITORE
Viella Libreria Editrice
Via delle Alpi 32 – 00198 Roma Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
La sua vita, caratterizzata dall’inquietudine e dalla nevrosi, finì con il suicidio a 38 anni.
Le sue poesie, dimenticate per anni, corrono sul filo dell’ironia e di una voluta semplicità.
Sara Teasdale nacque l’8 agosto 1884. Sua madre era Mary Elizabeth Willard e suo padre John Warren Teasdale. Era la figlia minore di una famiglia di due fratelli e una sorella.
Sara era di costituzione fragile e fu spesso ammalata. Visse pertanto protetta in seno alla sua famiglia fino all’età di nove anni sviluppando un mondo immaginario all’interno del suo universo solitario. A 10 anni i suoi genitori infine decisero di permetterle di uscire e di entrare in contatto con l’esterno. Solo all’età di 14 anni stette abbastanza bene per iniziare la scuola ma non ottenne alcun diploma.
La prima poesia della Teasdale fu pubblicata sul Reedy’s Mirror, un giornale locale, nel 1907. La sua prima raccolta di poesie, “Sonetti e altre poesie”, fu pubblicata quello stesso anno. La seconda raccolta di poesie, “Elena di Troia e altre poesie”, fu pubblicata nel 1911. Furono bene accolte dalla critica, che ne elogiò la maestria lirica e il soggetto romantico.
Negli anni 1911-1914, la Teasdale fu corteggiata da alcuni uomini, tra cui il poeta Vachel Lindsay, che era molto innamorato di lei. Tuttavia, non avendo la sensazione che egli le avrebbe potuto garantire una sufficiente tranquillità economica e stabilità familiare, la Teasdale preferì invece sposare Ernst Filsinger, che era stato un ammiratore della sua poesia per un certo numero di anni, il 19 dicembre 1914.
La terza raccolta di poesie della Teasdale, “Fiumi verso il mare”, fu pubblicata nel 1915 e fu un best seller, ristampato più volte. Un anno dopo, nel 1916 si trasferì a New York con suo marito, dove risiedettero in un appartamento dell’Upper West Side di Central Park West.
Nel 1918, la sua raccolta di poesie “Love Songs” (uscita nel 1917) vinse tre premi: il premio di Poesia della il Premio Pulitzer 1918 per la poesia e il premio annuale della Società di Poesia d’America.
Ernst Filsinger era spesso via di casa a lungo per affari la qual cosa causò molta solitudine per la Teasdale. Nel 1929, la Teasdale si trasferì in Missouri per tre mesi in modo da soddisfare i criteri per ottenere il divorzio. Di questo non volle informare Filsinger e lo fece solo su insistenza dei suoi avvocati. La cosa scioccò e sorprese Filsinger.
Dopo il divorzio, la Teasdale ritornò a New York City, andando ad abitare a soli due isolati di distanza dalla sua vecchia casa in Central Park West. Tuttavia ne approfittò per riprendere la sua amicizia con Vachel Lindsay, che era ormai sposato con figli.
Nel 1933, si suicidò con un’overdose di sonniferi. Il suo amico Vachel Lindsay si era suicidato due anni prima. È sepolta nel cimitero di Bellefontaine a St. Louis.
NOTTE DI GIUGNO
*
Oh Terra, quanto sei cara stanotte,
Come posso dormire mentre intorno
Aleggia odore di pioggia e lontano
La voce dell’oceano parla alla spiaggia.
Terra, mi hai dato tutto quel che ho,
Ti amo, ti amo, oh che cosa ho
Io che possa darti in cambio — se non
Il mio corpo dopo che sarò morta?
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
A Song To Eleonora Duse In “Francesca da Rimini “
Oh would I were the roses, that lie against her hands,
The heavy burning roses she touches as she stands!
Dear hands that hold the roses, where mine would love to be,
Oh leave, oh leave the roses, and hold the hands of me!
She draws the heart from out them, she draws away their breath,—
Oh would that I might perish and find so sweet a death!
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
A November Night
There! See the line of lights,
A chain of stars down either side the street —
Why can’t you lift the chain and give it to me,
A necklace for my throat? I’d twist it round
And you could play with it. You smile at me
As though I were a little dreamy child
Behind whose eyes the fairies live. . . . And see,
The people on the street look up at us
All envious. We are a king and queen,
Our royal carriage is a motor bus,
We watch our subjects with a haughty joy. . . .
How still you are! Have you been hard at work
And are you tired to-night? It is so long
Since I have seen you — four whole days, I think.
My heart is crowded full of foolish thoughts
Like early flowers in an April meadow,
And I must give them to you, all of them,
Before they fade. The people I have met,
The play I saw, the trivial, shifting things
That loom too big or shrink too little, shadows
That hurry, gesturing along a wall,
Haunting or gay — and yet they all grow real
And take their proper size here in my heart
When you have seen them. . . . There’s the Plaza now,
A lake of light! To-night it almost seems
That all the lights are gathered in your eyes,
Drawn somehow toward you. See the open park
Lying below us with a million lamps
Scattered in wise disorder like the stars.
We look down on them as God must look down
On constellations floating under Him
Tangled in clouds. . . . Come, then, and let us walk
Since we have reached the park. It is our garden,
All black and blossomless this winter night,
But we bring April with us, you and I;
We set the whole world on the trail of spring.
I think that every path we ever took
Has marked our footprints in mysterious fire,
Delicate gold that only fairies see.
When they wake up at dawn in hollow tree-trunks
And come out on the drowsy park, they look
Along the empty paths and say, “Oh, here
They went, and here, and here, and here! Come, see,
Here is their bench, take hands and let us dance
About it in a windy ring and make
A circle round it only they can cross
When they come back again!” . . . Look at the lake —
Do you remember how we watched the swans
That night in late October while they slept?
Swans must have stately dreams, I think. But now
The lake bears only thin reflected lights
That shake a little. How I long to take
One from the cold black water — new-made gold
To give you in your hand! And see, and see,
There is a star, deep in the lake, a star!
Oh, dimmer than a pearl — if you stoop down
Your hand could almost reach it up to me. . . .
There was a new frail yellow moon to-night —
I wish you could have had it for a cup
With stars like dew to fill it to the brim. . . .
How cold it is! Even the lights are cold;
They have put shawls of fog around them, see!
What if the air should grow so dimly white
That we would lose our way along the paths
Made new by walls of moving mist receding
The more we follow. . . . What a silver night!
That was our bench the time you said to me
The long new poem — but how different now,
How eerie with the curtain of the fog
Making it strange to all the friendly trees!
There is no wind, and yet great curving scrolls
Carve themselves, ever changing, in the mist.
Walk on a little, let me stand here watching
To see you, too, grown strange to me and far. . . .
I used to wonder how the park would be
If one night we could have it all alone —
No lovers with close arm-encircled waists
To whisper and break in upon our dreams.
And now we have it! Every wish comes true!
We are alone now in a fleecy world;
Even the stars have gone. We two alone!
“I Know The Stars”
I KNOW the stars by their names,
Aldebaran, Altair,
And I know the path they take
Up heaven’s broad blue stair.
I know the secrets of men
By the look of their eyes,
Their gray thoughts, their strange thoughts
Have made me sad and wise.
But your eyes are dark to me
Though they seem to call and call—
I cannot tell if you love me
Or do not love me at all.
I know many things,
But the years come and go,
I shall die not knowing
The thing I long to know.
“If I Must Go”
IF I must go to heaven’s end
Climbing the ages like a stair,
Be near me and forever bend
With the same eyes above me there;
Time will fly past us like leaves flying,
We shall not heed, for we shall be
Beyond living, beyond dying,
Knowing and known unchangeably.
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
A Ballad Of The Two Knights
Two knights rode forth at early dawn
A-seeking maids to wed,
Said one, “My lady must be fair,
With gold hair on her head.”
Then spake the other knight-at-arms:
“I care not for her face,
But she I love must be a dove
For purity and grace.”
And each knight blew upon his horn
And went his separate way,
And each knight found a lady-love
Before the fall of day.
But she was brown who should have had
The shining yellow hair —
I ween the knights forgot their words
Or else they ceased to care.
For he who wanted purity
Brought home a wanton wild,
And when each saw the other knight
I ween that each knight smiled.
A Boy
OUT of the noise of tired people working,
Harried with thoughts of war and lists of dead,
His beauty met me like a fresh wind blowing,
Clean boyish beauty and high-held head.
Eyes that told secrets, lips that would not tell them,
Fearless and shy the young unwearied eyes—
Men die by millions now, because God blunders,
Yet to have made this boy he must be wise.
A Cry
Oh, there are eyes that he can see,
And hands to make his hands rejoice,
But to my lover I must be
Only a voice.
Oh, there are breasts to bear his head,
And lips whereon his lips can lie,
But I must be till I am dead
Only a cry.
Her voice is like clear water
That drips upon a stone
In forests far and silent
Where Quiet plays alone.
Her thoughts are like the lotus
Abloom by sacred streams
Beneath the temple arches
Where Quiet sits and dreams.
Her kisses are the roses
That glow while dusk is deep
In Persian garden closes
Where Quiet falls asleep.
A Little While
A little while when I am gone
My life will live in music after me,
As spun foam lifted and borne on
After the wave is lost in the full sea.
A while these nights and days will burn
In song with the bright frailty of foam,
Living in light before they turn
Back to the nothingness that is their home.
A Maiden
Oh if I were the velvet rose
Upon the red rose vine,
I’d climb to touch his window
And make his casement fine.
And if I were the little bird
That twitters on the tree,
All day I’d sing my love for him
Till he should harken me.
But since I am a maiden
I go with downcast eyes,
And he will never hear the songs
That he has turned to sighs.
And since I am a maiden
My love will never know
That I could kiss him with a mouth
More red than roses blow.
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
A Song Of The Princess
The princess has her lovers,
A score of knights has she,
And each can sing a madrigal,
And praise her gracefully.
But Love that is so bitter
Hath put within her heart
A longing for the scornful knight
Who silent stands apart.
And tho’ the others praise and plead,
She maketh no reply,
Yet for a single word from him,
I ween that she would die.
A Maiden
Oh if I were the velvet rose
Upon the red rose vine,
I’d climb to touch his window
And make his casement fine.
And if I were the little bird
That twitters on the tree,
All day I’d sing my love for him
Till he should harken me.
But since I am a maiden
I go with downcast eyes,
And he will never hear the songs
That he has turned to sighs.
And since I am a maiden
My love will never know
That I could kiss him with a mouth
More red than roses blow.
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
A Minuet Of Mozart’s
Across the dimly lighted room
The violin drew wefts of sound,
Airily they wove and wound
And glimmered gold against the gloom.
I watched the music turn to light,
But at the pausing of the bow,
The web was broken and the glow
Was drowned within the wave of night.
A Prayer
When I am dying, let me know
That I loved the blowing snow
Although it stung like whips;
That I loved all lovely things
And I tried to take their stings
With gay unembittered lips;
That I loved with all my strength,
To my soul’s full depth and length,
Careless if my heart must break,
That I sang as children sing
Fitting tunes to everything,
Loving life for its own sake.
A Winter Bluejay
Crisply the bright snow whispered,
Crunching beneath our feet;
Behind us as we walked along the parkway,
Our shadows danced,
Fantastic shapes in vivid blue.
Across the lake the skaters
Flew to and fro,
With sharp turns weaving
A frail invisible net.
In ecstasy the earth
Drank the silver sunlight;
In ecstasy the skaters
Drank the wine of speed;
In ecstasy we laughed
Drinking the wine of love.
Had not the music of our joy
Sounded its highest note?
But no,
For suddenly, with lifted eyes you said,
“Oh look!”
There, on the black bough of a snow flecked maple,
Fearless and gay as our love,
A bluejay cocked his crest!
Oh who can tell the range of joy
Or set the bounds of beauty?
A Winter Night
My window-pane is starred with frost,
The world is bitter cold to-night,
The moon is cruel, and the wind
Is like a two-edged sword to smite.
God pity all the homeless ones,
The beggars pacing to and fro.
God pity all the poor to-night
Who walk the lamp-lit streets of snow.
My room is like a bit of June,
Warm and close-curtained fold on fold,
But somewhere, like a homeless child,
My heart is crying in the cold.
Advice To A Girl
No one worth possessing
Can be quite possessed;
Lay that on your heart,
My young angry dear;
This truth, this hard and precious stone,
Lay it on your hot cheek,
Let it hide your tear.
Hold it like a crystal
When you are alone
And gaze in the depths of the icy stone.
Long, look long and you will be blessed:
No one worth possessing
Can be quite possessed.
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
After Death
Now while my lips are living
Their words must stay unsaid,
And will my soul remember
To speak when I am dead?
Yet if my soul remembered
You would not heed it, dear,
For now you must not listen,
And then you could not hear.
After Parting
Oh I have sown my love so wide
That he will find it everywhere;
It will awake him in the night,
It will enfold him in the air.
I set my shadow in his sight
And I have winged it with desire,
That it may be a cloud by day
And in the night a shaft of fire.
Alchemy
I lift my heart as spring lifts up
A yellow daisy to the rain;
My heart will be a lovely cup
Altho’ it holds but pain.
For I shall learn from flower and leaf
That color every drop they hold,
To change the lifeless wine of grief
To living gold.
Alone
I am alone, in spite of love,
In spite of all I take and give—
In spite of all your tenderness,
Sometimes I am not glad to live.
I am alone, as though I stood
On the highest peak of the tired gray world,
About me only swirling snow,
Above me, endless space unfurled;
With earth hidden and heaven hidden,
And only my own spirit’s pride
To keep me from the peace of those
Who are not lonely, having died.
Anadyomene
The wide, bright temple of the world I found,
And entered from the dizzy infinite
That I might kneel and worship thee in it;
Leaving the singing stars their ceaseless round
Of silver music sound on orbed sound,
For measured spaces where the shrines are lit,
And men with wisdom or with little wit
Implore the gods that mercy may abound.
Ah, Aphrodite, was it not from thee
My summons came across the endless spaces?
Mother of Love, turn not thy face from me
Now that I seek for thee in human faces;
Answer my prayer or set my spirit free
Again to drift along the starry places.
April
The roofs are shining from the rain.
The sparrows tritter as they fly,
And with a windy April grace
The little clouds go by.
Yet the back-yards are bare and brown
With only one unchanging tree—
I could not be so sure of Spring
Save that it sings in me.
April Song
Willow in your April gown
Delicate and gleaming,
Do you mind in years gone by
All my dreaming?
Spring was like a call to me
That I could not answer,
I was chained to loneliness,
I, the dancer.
Willow, twinkling in the sun,
Still your leaves and hear me,
I can answer spring at last,
Love is near me!
Sara Teasdale – Poetessa statunitense
Arcturus
ARCTURUS brings the spring back
As surely now as when
He rose on eastern islands
For Grecian girls and men;
The twilight is as clear a blue,
The star as shaken and as bright,
And the same thought he gave to them
He gives to me to-night.
At Midnight
Now at last I have come to see what life is,
Nothing is ever ended, everything only begun,
And the brave victories that seem so splendid
Are never really won.
Even love that I built my spirit’s house for,
Comes like a brooding and a baffled guest,
And music and men’s praise and even laughter
Are not so good as rest.
Day And Night
IN Warsaw in Poland
Half the world away,
The one I love best of all
Thought of me to-day;
I know, for I went
Winged as a bird,
In the wide flowing wind
His own voice I heard;
His arms were round me
In a ferny place,
I looked in the pool
And there was his face—
But now it is night
And the cold stars say:
“Warsaw in Poland
Is half the world away.”
The Inn Of Earth
I came to the crowded Inn of Earth,
And called for a cup of wine,
But the Host went by with averted eye
From a thirst as keen as mine.
Then I sat down with weariness
And asked a bit of bread,
But the Host went by with averted eye
And never a word he said.
While always from the outer night
The waiting souls came in
With stifled cries of sharp surprise
At all the light and din.
“Then give me a bed to sleep,” I said,
“For midnight comes apace”—
But the Host went by with averted eye
And I never saw his face.
“Since there is neither food nor rest,
I go where I fared before”—
But the Host went by with averted eye
And barred the outer door.
Sara Teasdale, American Poet, 1925
Biografia
Sara Teasdale nacque l’8 agosto 1884. Sua madre era Mary Elizabeth Willard e suo padre John Warren Teasdale. Era la figlia minore di una famiglia di due fratelli e una sorella.
Sara era di costituzione fragile e fu spesso ammalata. Visse pertanto protetta in seno alla sua famiglia fino all’età di nove anni sviluppando un mondo immaginario all’interno del suo universo solitario. A 10 anni i suoi genitori infine decisero di permetterle di uscire e di entrare in contatto con l’esterno. Solo all’età di 14 anni stette abbastanza bene per iniziare la scuola ma non ottenne alcun diploma.
La prima poesia della Teasdale fu pubblicata sul Reedy’s Mirror, un giornale locale, nel 1907. La sua prima raccolta di poesie, “Sonetti e altre poesie”, fu pubblicata quello stesso anno. La seconda raccolta di poesie, “Elena di Troia e altre poesie”, fu pubblicata nel 1911. Furono bene accolte dalla critica, che ne elogiò la maestria lirica e il soggetto romantico.
Negli anni 1911-1914, la Teasdale fu corteggiata da alcuni uomini, tra cui il poeta Vachel Lindsay, che era molto innamorato di lei. Tuttavia, non avendo la sensazione che egli le avrebbe potuto garantire una sufficiente tranquillità economica e stabilità familiare, la Teasdale preferì invece sposare Ernst Filsinger, che era stato un ammiratore della sua poesia per un certo numero di anni, il 19 dicembre 1914.
La terza raccolta di poesie della Teasdale, “Fiumi verso il mare”, fu pubblicata nel 1915 e fu un best seller, ristampato più volte. Un anno dopo, nel 1916 si trasferì a New York con suo marito, dove risiedettero in un appartamento dell’Upper West Side di Central Park West.
Nel 1918, la sua raccolta di poesie “Love Songs” (uscita nel 1917) vinse tre premi: il premio di Poesia della il Premio Pulitzer 1918 per la poesia e il premio annuale della Società di Poesia d’America.
Ernst Filsinger era spesso via di casa a lungo per affari la qual cosa causò molta solitudine per la Teasdale. Nel 1929, la Teasdale si trasferì in Missouri per tre mesi in modo da soddisfare i criteri per ottenere il divorzio. Di questo non volle informare Filsinger e lo fece solo su insistenza dei suoi avvocati. La cosa scioccò e sorprese Filsinger.
Dopo il divorzio, la Teasdale ritornò a New York City, andando ad abitare a soli due isolati di distanza dalla sua vecchia casa in Central Park West. Tuttavia ne approfittò per riprendere la sua amicizia con Vachel Lindsay, che era ormai sposato con figli.
Nel 1933, si suicidò con un’overdose di sonniferi. Il suo amico Vachel Lindsay si era suicidato due anni prima. È sepolta nel cimitero di Bellefontaine a St. Louis.
Influenze
La poesia “Verranno le dolci piogge” della sua raccolta “Fiamma e Ombre” del 1920 ispirò una famosa storia breve con lo stesso nome di Ray Bradbury.
(EN)
«There will come soft rains and the smell of the ground,
and swallows circling with their shimmering sound;
and frogs in the pools singing at night,
and wild plum trees in tremulous white;
robins will wear their feathery fire,
whistling their whims on a low fence-wire;
and not one will know of the war,
not one will care at last when it is done;
not one would mind,
neither bird nor tree,
if mankind perished utterly;
and Spring herself, when she woke at dawn,
would scarcely know that we were gone.»
(IT)
«Verranno le dolci piogge e l’odore di terra,
e le rondini che volano in circolo con le loro strida scintillanti;
e le rane negli stagni che cantano di notte,
e gli alberi di susino selvatico che fremono di bianco;
i pettirosso vestiranno il loro piumaggio infuocato,
fischiettando le loro fantasie su una bassa recinzione in rete metallica;
e nessuno saprà della guerra,
nessuno presterà attenzione infine quando sarà avvenuto;
nessuno baderebbe,
né uccello né albero,
se l’umanità scomparisse completamente;
e la Primavera stessa, al suo risveglio all’alba,
si renderebbe conto appena che noi ce ne siamo andati.»
I poemi di Teasdale “La Nuova Luna”, “Solo nel Sonno” e “Stelle”, divennero pièce corali di Ēriks Ešenvalds, compositore lettone, per Musica Baltica. “Stelle” è divenuto molto famoso per l’uso di bicchieri di cristallo per ottenere il suono calmante delle “stelle”.[1][2]
Nel 1994, fu accolta nella St. Louis Walk of Fame.
Nel 2010, le opere di Sara Teasdale sono state per la prima volta pubblicate in Italia, con la traduzione di Silvio Raffo.
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