CHIETI – Il 2025 vedrà il lancio del prestigioso progetto “Casanova 300”, ideato per celebrare il tricentenario della nascita di Giacomo Casanova, una delle figure più affascinanti e poliedriche del XVIII secolo.
Il Direttore Scientifico del progetto culturale é il Prof. Pierfranco Bruni, curatrice delle pubblicazioni Franca De Santis, presidente di “Terra dei Padri”. Invece, il logo ufficiale è stato ideato da Anna Montella.
Il progetto “Casanova 300” mira a esplorare e valorizzare l’eredità culturale di Giacomo Casanova attraverso una serie di iniziative che spaziano dalla ricerca accademica alla divulgazione culturale, passando per eventi artistici e mostre. Saranno organizzati convegni, tavole rotonde, esposizioni e pubblicazioni dedicate alla vita e alle opere di Casanova, con l’obiettivo di offrire una visione innovativa e approfondita del celebre avventuriero, scrittore e diplomatico.
Un punto di forza del progetto sarà l’assegnazione del prestigioso Premio Terra dei Padri, edizione 2025, che si inserisce all’interno delle celebrazioni di “Casanova 300”. Il premio sarà conferito a personalità, istituzioni e studenti che si sono distinte nel campo della cultura, della letteratura e delle arti, in linea con lo spirito e l’eredità di Casanova.
Il progetto “Casanova 300” si distingue per il coinvolgimento di esperti di altissimo livello. Sotto la direzione scientifica del Prof. Pierfranco Bruni, rinomato studioso di letteratura e storia, la curatela di Franca De Santis, e il design innovativo di Anna Montella, l’iniziativa promette di offrire un’esperienza culturale e intellettuale di un certo spessore.
Il progetto è supportato dalla Casa Editrice Solfanelli e dal Gruppo Tabula Fati, che garantiranno la pubblicazione e la diffusione delle opere legate al progetto
Per ulteriori informazioni e aggiornamenti sul progetto “Casanova 300” e sul Premio Terra dei Padri edizione 2025, si prega di contattare l’indirizzo e-mail casanova300@blu.it.
LA DISFIDA DI BARLETTA E’ STATA COMBATTUTA A TRANI
LA DISFIDA DI BARLETTA
L’ANTEFATTO. LE MIRE EPANSIONISTICHE FRANCESI SULL’ITALIA
Nel 1494 il nuovo Re di Francia, Carlo VIII di Valois, che ha solo 24 anni, vuole estendere il suo Regno. Pertanto, il 3 settembre “cala” in Italia con un potente esercito di 30.000 uomini (8.000 dei quali sono mercenari svizzeri), dotato anche di artiglieria moderna, guidato da Louis de la Trémoille, vantando diritti di successione, da parte della nonna paterna Maria D’Angiò, sul Regno di Napoli, governato da un ramo collaterale degli Aragona, sovrani di Spagna e di Sicilia.
La conquista del regno napoletano gli serve come base di partenza per una Crociata per riconquistare Gerusalemme, di cui probabilmente ambisce a diventare Re.
In Piemonte si ferma ad Asti dove riceve l’omaggio dei suoi “sostenitori” italiani, compreso Ludovico Sforza, detto Il Moro, reggente del Ducato di Milano, di cui qualche mese dopo, in seguito alla morte di Gian Galeazzo Sforza (probabilmente per avvelenamento), diventa Duca, con il sostegno del Re francese.
Carlo VIII marcia quindi verso Firenze, che era tradizionalmente filo francese, ma Piero de’ Medici (figlio di Lorenzo, detto Il Magnifico) si era schierato in difesa degli Aragonesi, sovrani di Napoli. Pertanto il Re francese attacca e saccheggia alcune cittadine toscane costringendo Piero de’ Medici a cedere altre città, tra le quali Pisa e Livorno. Questo cedimento induce la popolazione fiorentina, dopo la partenza dei Francesi, a cacciare Piero ed a proclamare la Repubblica.
Carlo VIII marcia poi verso Roma, dove entra pacificamente il 31 dicembre, dopo aver fatto un accordo con il Papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia, di origine spagnola). Ciononostante, la città è saccheggiata dalle truppe francesi. Il Papa concede a Carlo VIII il passaggio nello Stato pontificio verso il Regno di Napoli, affiancandogli come Legato (rappresentante) pontificio il figlio Cesare Borgia (che è diventato Cardinale in giovane età).
Il Re francese, nella sua marcia verso il Regno napoletano, conquista altre città, che sono saccheggiate e la popolazione è in gran parte trucidata.
Il 22 febbraio 1495 entra a Napoli senza combattere dato che il Re aragonese Ferdinando II, detto Ferrandino, è fuggito con la Corte. Dopo pochi giorni Carlo VIII si fa incoronare Re. Però a maggio il popolo napoletano insorge contro i Francesi, che sono costretti a lasciare la città ed a ritornare in patria.
La facilità e la rapidità con la quale il Re francese era arrivato a Napoli e l’aveva conquistata, compiendo lungo il suo cammino efferate violenze sulla popolazione delle città conquistate, portano il 31 marzo 1495 alla costituzione di una Lega Santa antifrancese da parte del Sacro Romano Impero, della Spagna, del Papato, della Repubblica di Venezia e del Ducato di Milano. Quindi, il 6 luglio 1495 l’esercito della Lega sconfigge a Fornovo il Re francese, mentre sta tornando in patria.
Finisce così la prima di una serie di guerre condotte in Italia dalle grandi Potenze continentali (soprattutto Francia e Spagna) per la spartizione del territorio italiano, comunemente dette “guerre d’Italia” e definite “orrende” da Niccolò Macchiavelli, che cessano nel 1559 con la Pace di Cateau-Cambrésis, che cambia profondamente la geografia politica della penisola italiana.
Nel 1498 Carlo VIII muore senza eredi, a soli 27 anni, e gli succede il cugino Luigi XII di Valois-Orléans, detto Il Padre del Popolo, il quale, con un accordo con il Papa Alessandro VI, ottiene l’annullamento del matrimonio con Giovanna di Valois e sposa la vedova di Carlo VIII, Anna di Bretagna, acquisendo così i diritti di successione sul Ducato di Bretagna.
Luigi XII persegue la politica espansionistica del suo precedessore e ben presto rivendica il possesso del Ducato di Milano in quanto Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, era sua nonna.
Però, per evitare i “problemi politici” che Carlo VIII aveva avuto in Italia, prima di venire nel nostro Paese Luigi XII stipula una serie di accordi diplomatici, che gli assicurano il sostegno alla sua pretesa di ottenere il Ducato di Milano.
Per primo ottiene l’appoggio del Papa Alessandro VI, donando nel 1498 a Cesare Borgia, figlio del pontefice, la Contea di Valentinois, che viene eretta in Ducato (pertanto Cesare assume il soprannome di Valentino) e gli concede anche di sposare la nobile Charlotte d’Albret, sorella del Re di Navarra Giovanni II. Inoltre promette di appoggiare il progetto di Cesare di riconquistare la Romagna, dove i feudatari locali si sono ribellati al potere papale.
Inoltre il 2 febbraio 1499 Luigi XII stipula a Blois un trattato con la Repubblica di Venezia concedendo alla Serenissima le città di Cremona e di Chiara d’Adda.
Infine, il 16 marzo 1499 stipula un Trattato con i Cantoni svizzeri, concedendo ad essi la Contea di Bellinzona (il Canton Ticino).
Dopo questi accordi Luigi XII viene in Italia con un forte esercito e conquista Genova. Inizia così la Seconda guerra italiana (detta anche “Guerra italiana di Luigi XII” o “Guerra per il Regno di Napoli”), che si conclude il 31 gennaio 1504 con l’Armistizio di Lione tra Luigi XII ed il sovrano spagnolo Ferdinando II d’Aragona.
Il 2 settembre 1499 i Francesi, guidati da Gian Giacomo Trivulzio, espugnano Milano e Ludovico Sforza, detto Il Moro, ripara in Tirolo, protetto dall’Imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I d’Asburgo, che è il marito di sua nipote Bianca Maria Sforza.
Nel marzo 1500 Ludovico Il Moro riesce a riprendere il possesso di Milano con l’aiuto delle truppe imperiali, ma il 10 aprile 1500 è costretto dai Francesi a riparare a Novara, dove è tradito dai mercenari svizzeri che lo consegnano ai Francesi, che lo portano in Francia, dove muore nel 1508.
Dopo la conquista di Milano, l’esercito francese, con Cesare Borgia che è diventato luogotenente di Luigi XII, scende in Romagna.
Intanto, il Papa Alessandro VI invia ai feudatari di Camerino, Faenza, Forlì, Imola, Pesaro e Urbino una lettera dichiarandoli decaduti dai loro feudi, che li invita a restituire allo Stato Pontificio. Naturalmente nessun feudatario obbedisce all’ingiunzione del Papa e quindi inizia la guerra, che è molto cruenta. La prima città conquistata da Cesare Borgia è Imola, l’11 dicembre 1499. Poi cade Forlì, che è saccheggiata dalle truppe mercenarie, che compiono violenze sulla popolazione.
Dopo aver riconquistato tutti i feudi, Il Valentino riceve dal padre, il Papa Alessandro VI, il titolo di Duca di Romagna.
In seguito, Il Valentino scampa ad una congiura. Per vendicarsi invita, singolarmente, per la pacificazione, tra il 31 dicembre 1500 ed il 18 gennaio 1501, i congiurati nel suo castello di Senigallia e li fa uccidere. La “strage di Senigallia” è raccontata da Niccolò Macchiavelli nella sua opera principale Il Principe.
Però, nel 1503, morto il Padre Alessandro VI, che lo proteggeva, il nuovo Papa Giulio II fa arrestare Cesare Borgia e riprende il possesso della Romagna. Cesare Borgia riesce ad evadere e si rifugia in Spagna, dal cognato Giovanni d’Albert, Re di Navarra, dove muore nel 1507 durante una guerra locale.
LA DISFIDA DI BARLETTA
IL TRATTATO DI GRANADA TRA LA FRANCIA E LA SPAGNA
PER LA SPARTIZIONE DEL REGNO DI NAPOLI
Il 10 ottobre 1500, nel castello di Chambord il Re francese Luigi XII firma il Trattato (segreto) di Pace e di Alleanza con i sovrani spagnoli Ferdinando II d’Aragona, detto Il Cattolico (che è anche Re di Sicilia), e sua moglie (nonché sua cugina) Isabella di Castiglia, per la spartizione del Regno di Napoli (che è il Regnum Siciliae citra Pfharum, cioè la parte del Regno di Sicilia al di qua del Faro, cioè dello Stretto di Messina). L’accordo è giustificato dalla necessità di combattere uniti contro i Turchi, che scorrazzano nel Mediterraneo.
Il Trattato, ratificato dai sovrani spagnoli l’11 novembre 1500 nel palazzo dell’Alhambra di Granada, strappato agli Arabi nel 1492, prevede l’assegnazione alla Francia delle regioni continentali settentrionali del Regno di Napoli, cioè la Campania e gli Abruzzi, ed alla Spagna di quelle meridionali, cioè la Calabria e le Puglie.
Il Trattato prevede inoltre la spartizione al 50% degli introiti della Dogana delle pecore di Puglia (Duana pecorum Apuliae) ubicata a Foggia, al termine del “tratturo” più importante per la “transumanza” degli ovini dall’Abruzzo alle Puglia, che parte da Celano.
Ferdinando II, Re di Aragona, mira in questo modo ad eliminare la dinastia collaterale aragonese che governa il Regno di Napoli con Federico I d’Aragona, zio del Re Ferdinando II (Ferrandino), morto nel 1496, ed ad unirlo al Regno di Sicilia.
Il 25 giugno 1501 il Pontefice Alessandro VI emana una Bolla papale con la quale dà il proprio assenso al Trattato e scomunica il Re napoletano Federico I, accusandolo di aver fatto un accordo con i Turchi, il quale, quindi, è dichiarato decaduto dal Regno. Molto probabilmente, nella decisione del Papa influisce la decisione della Principessa di Taranto Carlotta d’Aragona, figlia di Federico I, di aver rifiutato di sposare Cesare Borgia, annullando l’ambizioso progetto del Pontefice di mettere il figlio sul trono napoletano.
Quando i Francesi invadono da Nord il Regno di Napoli, il Re Federico I, essendo all’oscuro del Trattato di Granada, chiede aiuto al cugino Ferdinando II, il quale, invece, invade con le sue truppe il Regno di Napoli da Sud. A questo punto, Federico I capisce il tradimento ordito dal cugino Ferdinando II.
Il 19 luglio 1501 Cesare Borgia, con l’esercito francese, assedia Capua, che e conquistata dopo 7 giorni grazie al tradimento di un cittadino, corrotto da IlValentino, che apre le porte della città all’orario stabilito, consentendo alle truppe francesi e papali di entrare, massacrando la guarnigione militare e la popolazione.
Il Re napoletano Federico I cerca di trattare la resa, invano. Poi abdica in favore del Re francese. Così, il 19 agosto i Francesi entrano a Napoli e Luigi XII diventa Re di Napoli (Rex Neapolis). Poi ritorna in Francia, nominando come Viceré il nobile Louis d’Armagnac, Duca di Nemours. Inizia così il lungo periodo dei Viceré di Napoli: dal 1501 al 1504 sotto la Corona francese; da 1504 al 1707 sotto la Corona spagnola; dal 1707 al 1734 sotto gli Asburgo d’Austria.
Il 6 settembre 1501 Federico I d’Aragona parte per la Francia, scortato da alcuni suoi fidati cavalieri (mercenari), tra i quali Ettore Fieramosca. Nel maggio 1502, come compenso per la sua rinunzia al Regno di Napoli, ottiene dal Re francese Luigi XII il titolo di Duca d’Angiò. Muore il 9 novembre 1504. La dinastia degli Aragonesi di Napoli si estingue nel 1550.
Il 13 ottobre 1501, con il Trattato di Trento, stipulato dal Re francese Luigi XII e dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, quest’ultimo riconosce il possesso francese nell’Italia settentrionale (Ducato di Milano e Genova, occupati nel 1499).
LA GUERRA TRA I FRANCESI E GLI SPAGNOLI PER IL REGNO DI NAPOLI
Ben presto scoppiano dissidi tra la Francia e la Spagna sulla spartizione del Regno di Napoli, in base al Trattato di Granada, in particolare sulla definizione dei confini tra alcune delle 12 Provincie del Regno. Sicuramente, un altro motivo di contrasto è la spartizione delle immense entrate della Dogana delle pecore di Foggia, che ammontano a 160.000-200.000 ducati l’anno.
Pertanto inizia, nell’estate 1502, la guerra. Le truppe francesi sono comandate da Louis d’Armagnac, mentre quelle spagnole sono sotto il comando di Gonzalo (Consalvo) Fernandez de Cordoba (Cordova).
Al conflitto partecipano numerosi cavalieri italiani, che combattono come “mercenari”, nelle Compagnie di Ventura, “al soldo” degli Spagnoli. Alcuni di questi erano stati “ingaggiati” dal precedente Re di Napoli Federico I d’Aragona. In particolare c’è la Compagnia del Capitano di ventura Prospero Colonna e del cugino Fabrizio, Conte di Tagliacozzo (poi Duca dal 1504), della quale fanno parte Ettore Fieramosca (originario di Capua), Giovanni Capoccio (originario di Tagliacozzo) e Fanfulla da Lodi, i quali partecipano con altri 10 cavalieri italiani alla “disfida di Barletta” del 13 febbraio 1503, combattuta contro altrettanti 13 cavalieri francesi, che li hanno accusati di “codardia”.
LA DISFIDA DI BARLETTA
LA DISFIDA DI BARLETTA
All’inizio di gennaio 1503, in uno scontro a Canosa di Puglia, gli Spagnoli, guidati da Diego de Mendoza, catturano alcuni cavalieri francesi.
Il 15 gennaio 1503 il Gran Capitano (Comandante supremo) spagnolo Consalvo Fernandez de Cordova organizza a Barletta (dove ha sede il quartier generale spagnolo) una cena in onore dei Francesi, secondo il “codice cavalleresco” dell’epoca.
Durante la cena il francese Charles de Torgues (detto Guy de La Motte) accusa di codardia i cavalieri italiani, che sono difesi dal comandante spagnolo Inigo (Ignazio) Lopez de Ayala, il quale sostiene che gli italiani al suo comando hanno sempre combattuto valorosamente e quindi si sono comportati in modo onorevole.
Il Capitano dei cavalieri italiani Prospero Colonna invia Giovanni Capoccio e Giovanni Brancaleone a parlare con La Motte per indurlo a ritrattare la grave offesa fatta ai cavalieri italiani, senza alcun risultato. Anzi La Motte getta il “guanto di sfida” addosso ai cavalieri italiani.
Si decide quindi di effettuare un duello tra 13 cavalieri francesi ed altrettanti cavalieri italiani (in origine gli sfidanti dovevano essere 10, ma poi il numero è stato aumentato).
Uno scontro analogo era avvenuto l’anno precedente, nel marzo 1502, in una pianura tra Barletta e Bisceglie tra 11 soldati francesi ed altrettanti spagnoli, di cui però non si conosce l’esito.
La “disfida” è programmata per la mattina del 13 febbraio 1503 nella località denominata “Mattina di S. Elia”, nel territorio di Trani, allora possesso della Serenissima Repubblica di Venezia e quindi “territorio neutrale”. Però il combattimento è passato alla storia come “disfida di Barletta”, dato che la controversia era nata in questa cittadina pugliese.
Le modalità dello scontro sono stabilite nei minimi dettagli. In particolare si decide che i cavalli e le armi dei cavalieri sconfitti sarebbero stati presi dai vincitori e ogni cavaliere catturato avrebbe pagato un riscatto di 100 ducati. Inoltre, sono nominati due giurati per parte ed è assegnato un ostaggio a ciascuna parte per garantire il rispetto dell’accordo.
Il campo nel quale si svolge il duello viene delimitato con l’aratro.
Prospero e Fabrizio Colonna formano la squadra italiana con i seguenti cavalieri, considerati i migliori: Ettore Fieramosca (di Capua, che é nominato Capitano e quindi é incaricato di tenere i rapporti con il francese La Motte); Mariano Marcio Abignente; Ludovico Abimale da Terni; Guglielmo Albimonte; Giovanni Brancaleone; Giovanni Capoccio; Marco Corollario; Ettore de’ Pazzis (detto anche Miale da Troja); Ettore Giovenale; Romanello da Forlì; Fanfulla da Lodi; Riccio da Parma; Francesco Salamone.
I 13 cavalieri francesi sono: Charles de Torgues (detto Guy de La Motte), che é il Capitano; Claude Grajan d’Aste (Graziano d’Asti); Eliot de Baraut; Jacques de la Fontaine; Naute de la Fraise; Marc de Frigne; Girout de Forses; Jacques de Guignes; Martellin de Lambris; Jean de Landes; Pierre de Liaye; Francois de Pise (Francesco di Pisa); Sacet de Sacet.
I cavalieri italiani la mattina del 13, prima dello scontro, ascoltano la messa nella Cattedrale di Barletta, giurando davanti alla statua della Madonna, poi denominata Madonna della Sfida, di vincere o di morire.
I cavalieri francesi pernottano a Ruvo di Puglia, dove è acquartierato il loro esercito e dove, la mattina del 13 febbraio, ascoltano la messa nella Chiesa di San Rocco.
Il Capitano Prospero Colonna decide quali armi impiegare. I cavalieri italiani sono armati con due lance, più lunghe di quelle usate dai Francesi, e di 2 stocchi: uno è bloccato all’arcione, alla parte sinistra della cavalcatura; l’altro è posto sul fianco destro della cavalcatura, dove viene messa anche una scure, al posto della mazza ferrata. Inoltre i cavalli sono coperti da frontali di ferro, anche sul collo. Infine, a terra sono posti due spiedi a disposizione di ogni cavaliere, per essere utilizzati in caso di necessità.
I cavalieri italiani arrivano per primi sul posto stabilito per la “disfida”, ma quelli francesi entrano per primi nell’area delimitata dai quattro giudici.
Le due formazioni si dispongono su due file ordinate, contrapposte l’una all’altra, in modo da “caricarsi” vicendevolmente con le lance.
Secondo il cronista francese Jean d’Auton i cavalieri italiani adottano uno stratagemma: invece di “caricare” arretrano fino al limite dell’area delimitata per lo scontro ed aprono dei varchi nelle proprie file in modo da far uscire dall’area i cavalieri francesi, che pertanto sarebbero stati eliminati. In effetti alcuni di questi, nella foga della corsa, non riescono a fermarsi in tempo ed escono dall’area stabilita per lo scontro, venendo così eliminati. Invece, secondo il vescovo Paolo Giovio, che ha assistito allo scontro, i cavalieri italiani rimangono fermi nelle loro posizioni, attendendo la “carica” dei Francesi con le lance abbassate.
Nel primo scontro due cavalieri italiani sono disarcionati, ma si rialzano e riescono ad uccidere i cavalli degli loro antagonisti francesi, i quali sono costretti a combattere appiedati, con le spade e le scuri.
Il combattimento dura più di un’ora ed alla fine tutti i cavalieri francesi sono sconfitti e catturati dagli italiani, che pertanto riportano una netta vittoria.
Secondo la tradizione il cavaliere italiano che combatte meglio e si distingue di più, dopo il Capitano Ettore Fieramosca, è Giovanni Capoccio, che riceve l’appellativo di ”più forte campione italico dopo il Fieramosca”.
Secondo Jean d’Auton, l’ultimo cavaliere francese ad arrendersi è Pierre de Chales, originario della Savoia.
Il Vescovo Giovio riferisce che il francese Claude (probabilmente Graziano d’Asti) muore per una grave ferita alla testa riportata nello scontro con Giovanni Brancaleone, che probabilmente infierisce su di lui perché è considerato dai cavalieri italiani un “traditore” dato che combatte dalla parte dei Francesi (in verità, in quell’epoca la città di Asti appartiene alla Francia). Allo scontro partecipa, combattendo con i Francesi, anche un altro cavaliere italiano: Francois de Pise (Francesco di Pisa).
I cavalieri francesi sconfitti sono condotti come “prigionieri” a Barletta perché, sicuri di vincere, non hanno portato i 1.300 ducati previsti per l’eventuale loro riscatto in caso di sconfitta. Pertanto sono liberati dopo quattro giorni, quando è pagata la somma stabilita di 1.300 ducati.
La vittoria dei cavalieri italiani è salutata dalla popolazione di Barletta con un grande gioia e festeggiamenti. Nella cattedrale di Barletta è celebrata una solenne messa di ringraziamento.
Come ricompensa per la vittoria tutti i 13 cavalieri italiani sono insigniti dal Comandante supremo spagnolo Consalvo Fernandez dell’ordine di Cavaliere di San Giacomo della Spada.
Nei mesi seguenti i Francesi sono ripetutamente sconfitti dagli Spagnoli: a Ruvo di Puglia il 22-23 febbraio 1503; a Seminara (Calabria) il 21 aprile 1503; a Cerignola (Puglia) il 28 aprile 1503; presso il fiume Garigliano (Campania) il 29 dicembre 1503; a aeta (Campania) il 1 gennaio 1504.
Il 31 gennaio 104 è sottoscritto l’Armistizio di Lione e con il successivo Trattato di Blois del 12 ottobre 1505 la Francia rinuncia definitivamente al Regno di Napoli a favore della Spagna ed il Re spagnolo Ferdinando II d’Aragona, detto Il Cattolico, si impegna a sposare Germana di Foix, nipote del Re francese.
In seguito, numerosi cavalieri italiani continuano a militare nella Compagnia di ventura di Prospero Colonna, in varie guerre.
LA DISFIDA DI BARLETTA
LA MEMORIA DELLA DISFIDA
Nel 1583 (per il 70mo anniversario della “disfida”), sul luogo della battaglia, in Contrada “Mattina di Sant’Elia”, nel territorio di Trani, è fatta costruire una “edicola” da Ferrante Caracciolo, Duca di Airola, Prefetto delle Province di Bari e Otranto.
Il monumento è distrutto nel 1805 dai Francesi, che pensano in questo modo di eliminare la “memoria” della loro sconfitta nella “disfida” del 13 febbraio 1503, ma è riedificato nel 1846 a cura del Capitolo Metropolitano di Trani.
Nel 1903 viene aggiunta una lapide con il seguente epitaffio, scritto da Giovanni Bovio, famoso filosofo e politico di fede laica e repubblicana “In equo certame / contro tredici francesi / qui tredici di ogni terra italiana / nell’unità / nell’amore antico / e tra due invasori / provarono che dove l’animo sovrasti la fortuna / gli individui e le nazioni risorgono” .
La “disfida” ha ispirato alcune famose opere letterarie. E’ sempre stata chiamata “disfida di Barletta”, anche se combattuta nella Contrada “Mattina di Sant’Elia” nel territorio di Trani, probabilmente perché la controversia era nata a Barletta, dove aveva sede il quartiere generale spagnolo.
La prima fonte che ne parla è la lettera in latino De pugna tredecim equitum, scritta poco tempo dopo l’evento, nello stesso anno 1503, dal medico ed umanista salentino Antonio De Ferraris, detto “Galateo”, che sta a Bari, dove è il medico di Isabella d’Aragona (vedova di Gian Galeazzo Sforza, Duca di Milano) ed il precettore della figlia Bona Sforza (futura Regina di Polonia).
All’inizio del Risorgimento, nel 1833, Massimo D’Azeglio scrive il romanzo storico Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, in chiave patriottica, facendo leva sul sentimento nazionale per favorire la “riscossa contro lo straniero”, rappresentato dall’Austria, che domina buona parte del territorio settentrionale.
Nel 1896 il compositore Vincenzo Ferroni compone il dramma lirico Ettore Fieramosca.
All’inizio del Novecento sono girati due film, ispirati al romanzo di D’Azeglio: Ettore Fieramosca, di Ernesto Maria Pasquali, nel 1909; Ettore Fieramosca, di Domenico Gaido e Umberto Paradisi, nel 1915.
Il regime fascista rivaluta di nuovo, come già era accaduto nel Risorgimento, la “disfida di Barletta”, ignorando però che il sentimento nazionale era assolutamente sconosciuto nel nostro Paese nel XVI° secolo, tanto che i 13 cavalieri italiani combattevano come “mercenari”, al soldo degli Spagnoli contro i Francesi, in guerra tra di loro per il possesso del Regno di Napoli.
Nel 1938 esce il film Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, con un chiaro scopo di propaganda nazionalistica.
Nel 1939 il pittore Pino Cesarini dipinge il quadro La disfida di Barletta.
LA CONTROVERSIA RECENTE SUL LUOGO DELLA DISFIDA
Durante il regime fascista nasce una accesa disputa in merito al luogo in cui erigere il nuovo monumento in ricordo della “disfida”, al posto di quello costruito nel 1583 e distrutto dai Francesi nel 1805.
Nell’ottobre 1931 l’avvocato di Trani Assunto Gioia pubblica un opuscolo nel quale sostiene che la “disfida” era stata combattuta nella Contrada “Mattina di Sant’Elia”, nel territorio di Trani, per cui deve chiamarsi “disfida di Trani”.
Pochi giorni dopo, il 28 ottobre, il sottosegretario Sergio Panunzio scrive un articolo a sostegno di questa tesi, pubblicato sul quotidiano Gazzetta del Mezzogiorno.
Il 2 novembre 1931 la tesi sul luogo della “disfida” a Barletta è sostenuta da Salvatore Santeramo in un articolo pubblicato sul quotidiano Il Popolo di Roma.
Il giorno seguente lo stesso giornale pubblica, a sostegno di questa tesi, la lettera di Arturo Boccassini, segretario della sezione del Partito Nazionale Fascista-PNF di Barletta, che era stata rifiutata dalla Gazzetta del Mezzogiorno.
Il 3 novembre a Bari si costituisce un Comitato per far costruire il nuovo monumento nella città, di cui fanno parte alti esponenti del PNF, come Attilio Teruzzi, Comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale-MVSN, Araldo di Crollalanza, Ministro dei Lavori Pubblici, e Achille Starace, Vice segretario nazionale del PNF. Appresa la notizia della costituzione del Comitato barese, a Barletta un gruppo di cittadini entra nel Comune, preleva il bozzetto del nuovo monumento e lo deposita nella Piazza del paese, su un piedistallo improvvisato.
Il 7 novembre 1931 Boccassini è destituito. Questo fatto provoca nuove manifestazioni, che degenerano in scontri con le forze dell’ordine.
Il 10 novembre, dopo l’arrivo del nuovo segretario della sezione del PNF di Barletta, si verifica una nuova manifestazione, nella quale sono lanciati sassi contro i Carabinieri, che reagiscono, sparando sui manifestanti ed uccidendo due persone.
In seguito a questi incidenti il nuovo monumento non viene più fatto. É rimasto quindi nella Contrada “Mattina di Sant’Elia”, nel territorio di Trani, il monumento ricostruito nel 1846, dopo la distruzione da parte dei Francesi nel 1805 di quello realizzato nel 1583.
Nel 1975, dopo decenni di abbandono, il monumento è stata restaurato dal Comune di Trani, con il sostegno finanziario del locale Rotary Club.
Ancora oggi, pur essendo stata combattuta la “disfida” nel territorio di Trani, si continua a chiamarla “disfida di Barletta”.
Michele Placido in scena a L’Aquila “Dialoghi di pace”
Teatro Stabile d’Abruzzo, in scena a L’Aquila “Dialoghi di pace” – Nell’ambito del cartellone “Verso il Giubileo”, proposto dall’Assessorato ai Beni e alle Attività Culturali e di Spettacolo della Regione Abruzzo, va in scena, venerdì 20 dicembre, alle ore 21.00, al Ridotto del Teatro Comunale dell’Aquila, ingresso gratuito fino a esaurimento posti, “Dialoghi di Pace”, uno spettacolo a cura di Davide Cavuti, con Michele Placido e Giorgio Pasotti. Musiche eseguite dal vivo dall’Ensemble: Giancarlo Giannangeli al violoncello, da Franco Finucci alla chitarra e Davide Cavuti alla fisarmonica. Una produzione MuTeArt in collaborazione con il Teatro Stabile d’Abruzzo.
Una serata imperdibile di grandi emozioni a cui seguirà un brindisi augurale con gli artisti e il pubblico.
“La pace è il firmamento dell’anima, l’abisso che gioca con i colori, è il cielo che bacia il nostro respiro; è la presenza di Dio che riscalda e ascolta, è la carezza di madri, un’armonia di suoni che protegge, – spiega Davide Cavuti – Quello che caratterizza lo spettacolo è la forza delle parole che compongono il testo proposto e che si ispira ai monumenti letterari del passato come Pablo Neruda, Bertolt Brecht, Edgar Lee Masters, Gabriel García Márquez, Mario Luzi”.
Michele Placido e Giorgio Pasotti hanno già lavorato insieme nell’ultimo film di Mario Monicelli “Le rose del deserto”. Davide Cavuti è uno storico collaboratore di Michele Placido in molti progetti cinematografici come “Il grande sogno”, “Vallanzasca – gli angeli del male”, “Itaker”, “Orlando”. Inoltre, il compositore e regista abruzzese ha collaborato in teatro anche con Giorgio Pasotti negli spettacoli “Io, Shakespeare e Pirandello”, “Forza il meglio è passato”, L’ora di legalità”, “Hamlet”, e al cinema nel film biografico “Lectura Ovidii”, ispirato al celebre poeta latino.
Roma-: Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini – Teatro Eduardo De Filippo
Proposte e ospiti di dicembre
Roma-Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini – Teatro Eduardo De Filippo il Laboratorio di Alta formazione artistica e HUB culturale della Regione Lazio diretto da Tosca, chiude il 2024 con nuove proposte culturali e format consolidati. Il mese di dicembre offre un calendario che spazia tra musica, teatro, incontri, eventi speciali, con la presenza di numerosi ospiti.
Si comincia martedì 3 alle ore 21 con lo spettacolo teatrale L’ARMARU di Mariacristina Di Giuseppe, che vede sul palco Laura Mòllica, attrice, cantante e anche regista di questa messa in scena, con il musicista Giuseppe Greco. I contributi di cinematografia sono di Rosario Neri. L’armaru (armadio) è il testimone affatto muto delle trattative di compra-vendita della casa della nonna di Agata. Questo armadio inizierà, a suo modo, a dare alla protagonista dei segnali e a metterla in comunicazione con il misterioso, immenso ‘mondo femminile’ che è suo destino conoscere. Lo spettacolo sarà preceduto da una breve presentazione di questo lavoro, nato prima come opera teatrale per diventare in seguito un romanzo, con l’autrice Mariacristina Di Giuseppe ed Edoardo De Angelis.
Un nuovo appuntamento di uno tra i format più amati dal pubblico di Officina Pasolini: mercoledì 4 dicembre, alle 21 sul palco del Teatro Eduardo De Filippo, prenderà vita SUPERFICIE LIVE SHOW – attori sul palco a portata di video, ideato e condotto da Matteo Santilli. Monologhi, anteprime, brevi video, lezioni e tante ‘rubriche’ create ad hoc per questo show. Parteciperanno: Giovanni Alfieri, Leonardo Bianconi, Angelo Curci, Michele De Paola, Dino Lopardo, Lorenzo Maragoni, Enoch Marrella, Bianca Mastromonaco e il musicista Munendo.
arlotta Proietti-Attrice
Martedì 10 dicembre alle 21, Carlotta Proietti ed Ermenegildo Marciante saranno protagonisti di PER FUTILI MOTIVI, lavoro teatrale di Andrea Muzzi, con la regia di Marco Carniti. In un mondo distopico nel quale la gentilezza è bandita, l’odio rappresenta la forza dominante e il collante sociale, invece di cooperazione e supporto reciproco tra le persone, la norma è vivere in competizione, tra diffidenza e aggressività.
Attrice, produttrice e cantautrice Carlotta Proietti si cala nei panni di Costanza, la funzionaria dell’ufficio che deve controllare ogni deviazione da questo schema repressivo. Si trova però di fronte Pietro, un uomo mite che resta arroccato alla sua “irritante” gentilezza. I costumi sono di Susanna Proietti, l’aiuto regista è Francesco Lonano.
Venerdì 13 e sabato 14 dicembre alle 15.30, approda a Officina Pasolini AFRODITE SHORTS 2024. Questo Festival di cortometraggi, giunto alla nona edizione, è organizzato dall’Associazione Donne nell’Audiovisivo – Wif Italy che dal 1996 si adopera per la promozione e la crescita professionale del lavoro svolto in ambito audiovisivo dalle donne. Nato da una ‘costola’ dell’omonimo Premio Afrodite, il Festival ha lo scopo di promuovere le nuove leve della cinematografia femminile che, troppo spesso, non trovano altri percorsi se non nel cinema breve e che proprio nel cortometraggio esprimono un’efficace sintesi dei valori, del talento, dei sogni, della realtà delle donne. Nel corso dell’evento verrà anche assegnato il premio Afrodite New Vision a cura della sezione Multimediale del Laboratorio di Officina Pasolini.
Una novità, domenica 15 e martedì 17 alle 21, è lo spettacolo di e con Massimo Venturiello, LA PRIMA INDAGINE DI MONTALBANO di Andrea Camilleri, realizzato in collaborazione con Officina Teatrale. Un reading teatrale nel quale prendono vita i personaggi dei romanzi e che ha per protagonista uno tra i più iconici poliziotti della letteratura, che ha conquistato l’interesse di milioni di lettori. L’idea di portare per la prima volta in teatro il commissario più famoso della narrativa contemporanea italiana è nata in seguito allo straordinario successo che hanno ottenuto gli audiolibri (pubblicati in Rete dalla Storytel) che Massimo Venturiello ha avuto il privilegio di interpretare. L’attore e doppiatore, infatti, fu scelto proprio dallo scrittore siciliano per leggere “La rete di protezione” e quell’interpretazione è diventata un audiolibro, accompagnata da altri sette titoli. In questa vicenda nasce il commissario Montalbano, guidato dalla lingua inventata dal Maestro, carica di musicalità, impegnato in una trama che inchioda e non consente distrazioni. Sul palco, con Massimo Venturiello, ci saranno il 15 Emanuele Buzi (mandolino e chitarra) e Valdimiro Buzi (mandolino, mandola e chitarra) e il 17 dicembre Valerio Mileto (mandolino e chitarra) e Valdimiro Buzi (mandolino, mandola e chitarra).
AL RITMO DELLA LUNA, primo disco di Clara Graziano, sarà protagonista del concerto di giovedì 19 dicembre, alle 21. Cantante e organettista di origine campana, Clara Graziano è attiva nell’ambito musicale dal 1988, quando ha iniziato una collaborazione artistica con Ambrogio Sparagna, con il quale condivide ancora oggi l’impegno nell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. In questo suo primo album solista, l’artista conferma di essere una delle autrici e interpreti più efficaci della musica popolare circense, offrendoci un diario lunare di un ricco percorso artistico, in grado di raccontare le varie forme del suo lavoro creativo. Alla produzione del disco hanno collaborato diversi ospiti come Tony Esposito, Lucilla Galeazzi, Gabriella Aiello, Raffaello Simeoni, Ziad Trabelsi e Paolo Rocca. Accompagneranno Clara Graziano sul palco Gabriele Coen al sax soprano e clarinetto, Rosario Liberti al bassotuba, Sasa Flauto chitarra e ukulele e Arnaldo Vacca alle percussioni.
Chiude l’anno solare, venerdì 20 dicembre, alle 21, UNO A UNO del giornalista Enrico Deregibus. Questa volta suo ospite sarà GNUT, al secolo Claudio Domestico, una tra le migliori voci del cantautorato contemporaneo. Nato a Napoli nel 1981, è un cantautore, chitarrista, produttore e compositore di colonne sonore. Le sue influenze musicali partono dal folk inglese di Nick Drake e John Martin, passando per la canzone napoletana, il Blues e la musica africana del Mali. Ha aperto i concerti di: Afterhours, Marta sui Tubi, Cristina Donà e negli anni ha collaborato con Mauro Pagani, Stefano Bollani, Peppe Barra, Pier Cortese e molti altri. Ha partecipato a due album di Daniele Sepe con i brani L’ammore ‘o vero, Ti amerò più forte e Stella ‘e mare. Con la sua chitarra, GNUT ci farà anche ascoltare alcuni brani.
Arrivederci al 2025!
Informazioni, orari e prezzi
OFFICINA DELLE ARTI PIER PAOLO PASOLINI Ingresso Teatro Eduardo De Filippo: Viale Antonino di San Giuliano 782/angolo Via Mario Toscano, a pochi passi da Ponte Milvio.
Tutti gli eventi sono gratuiti, con prenotazione obbligatoria sul profilo Eventbrite di Officina Pasolini al seguente link
Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini [url=http://www.officinapasolini.itwww.officinapasolini.it[/url]
Lawrence Ferlinghetti a Praga-passeggiate, osterie e incontri nella Città d’oro-Articolo di Dario Bellini- Fonte- il manifesto-Alias- 13 marzo 2021.«Poeti, uscite dai vostri gabinetti…»È il motto sulla terza pagina di un libro comprato su una bancarella di libri usati in un parco di Praga dedicato al soggiorno praghese di Lawrence Ferlinghetti nel 1998. Sfogliando il libro al centro della pubblicazione spunta tra le pagine, in giallo smagliante su carta più spessa, un foglio con la poesia Rivers of Light. Una poesia pubblicata solo su questo libro edito da Meander nel ’99. L’unica traccia della poesia è sulla fotografia della CTK, in questi giorni su un articolo del Washington Post, Ferlinghetti la sta sventolando alla conferenza stampa presso il Centro Franz Kafka di Praga. Il libro in questione racconta nei dettagli il viaggio di Ferlinghetti a Praga e lui descrive la sua poesia così: «L’ho scritta ieri notte, quando mi sono svegliato da un sogno. Quando la leggerete saprete riconoscerne il senso… In ogni caso se qualcuno la vuole stampare lo può fare tranquillamente. È una poesia di questo momento ed è pubblica, chiunque è autorizzato a farlo. Questa è una liberatoria un po’ anarchica, vero? Gli anarchici non credono nel diritto d’autore».
L’arrivo a Praga in treno da Parigi-
Lawrence Ferlinghetti a Praga
L’idea di invitare Ferlinghetti a Praga era nell’aria da più di dieci anni, già dagli anni 80 durante il periodo di repressioni e carcerazioni, quando in Cecoslovacchia la normalizzazione arrestava intellettuali e musicisti jazz. È probabilmente così che iniziano le amicizie e le affinità dell’underground ceco di allora con Ferlinghetti e altre personalità mondiali che facevano petizioni per la liberazione degli arrestati a Praga. Ferlinghetti di sicuro si sentiva dalla loro parte e qualche esperienza di ingiustizia ce l’aveva anche lui. Nel ’57 era stato arrestato e processato per aver pubblicato l’Urlo di Allen Ginsberg, nel ’68 era stato arrestato e condannato a 17 giorni di carcere per una manifestazione contro la guerra in Vietnam e perfino in Italia nel 2005 era stato fermato una notte dalla polizia a Brescia, arrestato come un clandestino beatnik che scattava fotografie e suonava ai campanelli in una via della città vecchia dove avevano abitato i suoi genitori. Anche un altro grande scrittore verso la fine degli anni ’80 a Praga aveva avuto problemi con la polizia, tutte le settimane veniva convocato per tremendi interrogatori nella casa piastrellata dove c’era la centrale della polizia segreta. Era Bohumil Hrabal che invitato in direzione opposta, da est verso ovest, da Aprilina Clifford per una serie di incontri culturali e conferenze nell’anno della rivoluzione di velluto, durante l’Uragano di Novembre si affacciava alle vetrine della City Lights di Lawrence Ferlinghetti a San Francisco. Viaggi attraverso gli oceani e le culture che, specialmente dopo la caduta dei muri, ma prima delle loro ricostruzioni, si alternavano con visite reciproche di artisti e scrittori tra i due continenti. Incontri tra culture in via di liberazione e finalmente nel ’97 quando un nutrito gruppo di librai, traduttori, poeti e fotografi, era partito da Praga per invitare Ferlinghetti che promise la sua partecipazione dicendo agli organizzatori «non accetto però soldi dal governo Usa, dovete trovare i finanziamenti da qualche altra parte».
In quel periodo il presidente del Festival degli Scrittori era il poeta americano Michael March che viveva a Praga. Karel Srp rilanciava la famosa Sezione Jazz Artforum e così l’edizione del festival del 1998 è diventata anche una Beat Generation Fest. La più volte rimandata visita di Ferlinghetti si è concretizzata una sera del 16 Aprile con il suo arrivo alla stazione di Hlavni Nadrazi. Un suo desiderio era quello di non essere ospitato ufficialmente in un hotel, così già dalla prima sera a Praga Lorenzo si è ritrovato come a casa ospite di Iva e Mirek Vodrazkovy nella città vecchia in via del Tempio, in una casa che prima era stata una chiesa e secondo la leggenda un luogo di incontro dei cavalieri templari.
Ferlinghetti era molto stupito dell’affetto con il quale era stato accolto, diceva continuamente che lui non era importante come Ginsberg (che era stato a Praga quattro volte dal ’65, espulso per droga e ubriachezza dalla Cecoslovacchia tornò nel 96 nella Repubblica Ceca insieme a Philiph Glass) lui si aspettava un tranquillo festival casalingo, ma già dalla prima mattina in città era su tutte le prime pagine dei giornali e anche per strada in molti lo riconoscevano, praghesi e anche turisti di passaggio. Molti gli incontri e le iniziative che erano state organizzate e fitta di eventi la pianificazione del soggiorno di Ferlinghetti a Praga, tra istituzioni, scuole, gallerie d’arte, teatri, vari centri di cultura ma anche molte birrerie e vinerie. Dalle foto che lo ritraggono in quei giorni si vede bene che Lorenzo si deve essere molto divertito nei suoi attraversamenti culturali, tra storia e attualità, passeggiando sui ponti tra la città nuova e la città vecchia, sulle rive della Moldava e sopra i castelli.
Questi sono i miei fiumi-
Lawrence FERLINGHETTI
Il 18 Aprile era previsto il primo evento pubblico e la conferenza stampa al Centro Franz Kafka era molto affollata. C’era Maya Cain la curatrice di Prague Projekt, accanto a Ferlinghetti c’era Dante Marinacci, poeta e traduttore in Italia delle poesie di Ferlinghetti e direttore del centro di cultura italiano di Praga e c’erano Michael March e Karel Srp. Tra il pubblico, oltre ai giornalisti, molti artisti, poeti e ammiratori dello scrittore italoamericano. Subito la sorpresa di una poesia scritta proprio quella notte, istantaneamente stampata in giallo da Mirek in cento copie e distribuita ai presenti, in un’atmosfera di amicizia e grande disponibilità. C’era da mettersi d’accordo sulla lingua. L’inglese lo parlavano tutti, anche un po’ l’italiano che Ferlinghetti di origini bresciane parlava (aveva tradotto anche alcuni poeti), ma il ceco per lui era «come una lingua sulla luna».
Fu una conversazione molto internazionale e la conferenza fitta di domande specialmente sulla situazione politica, il ruolo degli intellettuali e la poesia. È vero che è venuto in treno? «Sì ho viaggiato per 15 ore, in treno vedo il mondo mentre in aereo sembra tutto uguale».
Conosce la poesia di Giuseppe Ungaretti? «Questi sono i miei fiumi…ho ripassato le epoche della mia vita… c’è molta affinità, la luce non è un’idea, è ambiente e atmosfera. Sì la citazione di Ungaretti l’ho usata per una mia raccolta di poesie che ho pubblicato prima negli Stati Uniti e poi in Italia». Ha incontrato recentemente Gregory Corso? «Certamente Gregory Corso è il più grande poeta della beat generation dopo Allen Ginsberg. È un poeta geniale. Ha un suo modo di parlare americano molto originale, una lingo americana, come la tradurreste? No non è un dialetto, è qualcosa di diverso. Lui è veramente molto originale, non è mai influenzato da altre fonti letterarie. La mia poesia è invece molto influenzata da molti scrittori e poeti come Ungaretti, T.S. Eliot, Dylan Thomas, Walt Whitman, invece Gregory Corso ha una sua anima poetica pulita come a suo modo aveva solo Shelley». Sapete dov’è Gregory adesso? «Chi lo sa… forse a New York, forse a Campo de’ Fiori a Roma, forse da qualche altra parte. Magari entrerà da questa porta, lui è sempre con Shelley». Che ne pensate dei poeti cechi e di Kafka? «Kafka non esiste, è come un marchio… Sul Lunapark avevo in testa la poesia di Kafka del Castello. Ho anche letto Havel, i suoi drammi La Tentazione e Largo Desolato sono molto vicini a Ionesco e Samuel Beckett, ma la mia conoscenza della letteratura ceca è molto limitata»
Come dovrebbe funzionare un mondo ideale? Cosa pensa dell’anarchia? «L’anarchia non è mai stata un’ideologia, è stato un anarchismo ideale. I media hanno degradato l’anarchia a dei bombaroli che buttano sempre qualcosa in aria. Quando ovviamente tornate all’idea di anarchia come filosofia, indietro a Bakunin e agli altri scrittori anarchici come l’anglicano Herbert Reed oppure il canadese George Woodkock, scoprite che la filosofia anarchica è realmente libertaria, di individui per la libertà contro gli stati totalitaristi, che limitano la libertà degli individui. Arriva all’ideale che afferma che l’uomo è capace di governarsi da solo, senza uccidere i propri simili. In altre parole l’anarchia è una fede e dice che le persone sono fondamentalmente buone. Si può dire che anche la beat generation è stata una fede, un modo di relazionarsi con il mondo e sono convinto del bisogno che c’è di questo, nel mondo di oggi assorbito da una ingordigia materialistica insaziabile».
Poeti, intellettuali e chaos-
E poi inizia a parlare di tutto, così come in diverse altre occasioni del suo soggiorno a Praga in una non stop di 72 ore di letture e giornate di passeggiate, di incontri nelle osterie e di altre iniziative più o meno organizzate, come per i ragazzi di una scuola d’arte che gli hanno fatto dei ritratti, con i fotografi che gli hanno scattato fotografie in continuazione o al teatro Lucerna dove ha partecipato con City Lights alla Fiera internazionale del libro in corso in quei giorni. Quasi dieci giorni di soggiorno a Praga che sono evidentemente volati tra la musica del Club Rokoko, del jazz nella chiesa di San Salvatore, a teatro con il regista Lumir Tucek e le sue rappresentazioni dei Giochi di amnesia e Le tremila formiche rosse, la visita al Castello, le dissertazioni sull’anarchia buddista di Gary Snyder che anche lui a fine anno sarebbe stato invitato a Praga, Brno e Olomouc per delle letture.
Parla volentieri di tutto, come del superamento di apparteneza nazionale: «La tecnologia informatica ormai ignora completamente le frontiere e i governi non riescono a padroneggiare il cambiamento. Come mi ha detto Gunther Grass forse nel ventunesimo secolo non esisteranno più gli stati così come li conosciamo adesso ma ci saranno solo orde migratorie, quando le etnie individuali vagheranno alla ricerca di cibo e alloggio. Io però questa visione così nera non ce l’ho. In tutto questo gli artisti ballano ai confini del mondo e cercano di cambiarne il destino. Nel campo della poesia darei la precedenza ad un’altra parola, oggi un poeta deve essere qualcosa di più di un semplice poeta, deve essere un intellettuale. Ci sono stati molti grandi poeti pazzi e burrascosi da Villon a Rimbaud e Dino Campana fino a Gregory Corso che sono degli enormi compositori lirici ci pazzoidi e non c’è niente che li possa sostituire, sono i poeti più grandi. Un’eccezione era Allen Ginsberg con il suo modo di pensare geniale era capace di ragionare ad ogni livello su ogni tema, come un grande poeta e non solo come un lirico geniale e pazzoide. Vaclav Havel è un’altra eccezione, è allo stesso tempo un intellettuale e un politico che sa parlare alla gente. In America non è così, i politici sono ad un così basso livello che spesso non sono creduti, leggono discorsi scritti da qualcun’altro.
Lawrence Ferlinghetti
Il bevitore di assenzio-
Così è intitolato il grande quadro appeso ad una parete della grande Kavarna Slavia, un luogo da sempre molto frequentato da tutti, famiglie, studenti, intellettuali, artisti, giovani e anziani. Lì proprio a fianco del quadro c’è una porticina secondaria, comunicante con la famosa Accademia di Cinema, Musica e Teatro, FAMU, AMU e DAMU dalla quale gli studenti entrano da sempre indisturbati. Le grandi vetrate danno sulla Narodny Trida dove c’è il Teatro Nazionale e di fronte sulla Vltava c’è il ponte dove transitano incessantemente i puntualissimi tram di Praga, in vista del Castello presidenziale di Hradcany. Poco più in là l’originale architettura del palazzo danzante con a fianco il portoncino del piccolo appartamento all’ultimo piano dove per un bel po’ Vaclav Havel si è ostinato ad abitare prima di trasferirsi al Castello.
La famosa Caffetteria Slavia ad un certo punto è stata acquistata da un grande gruppo immobiliare americano, è stata chiusa per tempo, si diceva addirittura che ci avrebbero aperto un Mc Donald ma naturalmente tutti si sono opposti. Quando finalmente il caffè è stato riaperto, bello come prima, era però sparito il quadro del bevitore di assenzio, stava per essere venduto all’asta ma poi è stato restituito. Proprio lì sotto quel ritratto impressionista di un autore senza nome, quasi in un appuntamento giornaliero, Lorenzo si incontrava con gli amici di Praga che lo hanno iniziato all’assenzio, lui diceva di non averlo mai bevuto ma il cameriere gli ha detto che era solo al 72 per cento e quindi innocuo. Lui per provare ne ha messo qualche goccia in un bicchierino di acqua che però non si è tinta di giallo come il pernod, poi con un dito intinto della sostanza ne ha esaminato il lavaggio del colore sul suo taccuino e dicendo quanto era piacevole quel posto che non ce n’era uno così in America e neanche a San Francisco, se lo è bevuto in un sorso alla salute dei bevitori di assenzio praghesi.
Di effetto un po’ lisergico diventavano così anche alcune sue citazioni di astronomia e di teorie del chaos: «Mi piace l’astronomia e l’ho studiata molto. Le teorie più avanzate sono spesso meravigliosamente poetiche come ad esempio il paradosso dell’astronomo tedesco Olbers che osservava che le stelle guardate a distanza ravvicinata erano moltissime, ma più a lungo guardava erano sempre di più, a distanza infinita ci sono grappoli di stelle giganteschi che si vede solo la luce, è il paradosso di Olbers dove l’infinito è solo luce». E qui viene in mente la poesia Proximity di Gregory Corso: A star is as far as the eye can see and near as my eye is to me. Tutti erano sorpresi del buon umore di Ferlinghetti e Iva Vondrackova l’attrice e cantante, che con Mirek lo ha accudito tutto il tempo nella loro casa in Templova Ulice, racconta di una mattina di sole (mattina in ceco si dice rano) in strada Lorenzo ballava e cantava «Rama rama, Rano rano… che bella giornata, di nuovo qualcosa di nuovo, non ho settantanove anni, ma ventuno»
Così che dopo essere stato dappertutto, anche in onore di Hrabal alla birreria del Tigre, U Zlateho Tygra dove insieme a Maja Cain, Brian Patten, Robert Creeley, Gyorgy Petri, Egon Bondi, a un certo punto sono arrivate come onde del Pacifico Brenda Knight insieme al suo fidanzato pittore Paul Blake, Ruth Weiss e Carolin Cassady, portavano il libro di Brenda sulle donne della beat generation.
Quando qualcuno ha poi chiesto a Ferlinghetti che cosa gli era piaciuto di più, se l’autogramiada (gli autografi) al teatro Lucerna, le letture di poesia, la serata di improvvisazione jazz o gli anarchici della rivista Konfrontace, Lawrence ha risposto «l’incontro con gli anarchici, sono giovani e si fanno delle domande interessanti. Si prendono cura di quello che succede nel mondo e sul pianeta». In partenza il 25 ci siamo alzati alle 6.30, racconta nel suo diario Iva, un caffè al volo e in fretta alla stazione. Un sorriso e un saluto. Ce ne siamo andati prima che il treno partisse, e lo abbiamo lasciato «on the road».
Roma-Concerto di Natale a San Paolo entro le Mura-Mozart, Mendelssohn e Haendel-
Roma-Prenota subito i tuoi biglietti per il nostro Concerto di Natale a Roma! Vivete la magia del Natale e lasciatevi emozionare dai canti e dalle melodie tradizionali di W. A. Mozart, F. Mendelssohn e G. F. Haendel, interpretati dalle superbe voci del soprano Giulia Presti e del tenore Emil Alekperov.
Inizio concerto ore 20:30. Fine ore 22:00.
Indirizzo: Chiesa di San Paolo entro le Mura – Via Nazionale 16 /A, Roma 00187.
Come arrivare: Metro: Linea A Repubblica – Linea B Termini
Bus: Linee 40, 60, 64, 70, 170
Opera e Lirica vi invita a partecipare, come da tradizione, al concerto di Natale a Roma! Lasciatevi trasportare dalle voci del soprano Giulia Presti e del tenore Emil Alekperov. Le loro voci coinvolgenti daranno vita a un magico repertorio con brani della tradizione natalizia e melodie di W. A. Mozart, F. Mendelssohn e G. F. Haendel. Il pubblico sarà accompagnato in un viaggio musicale per riscoprire il calore e la spiritualità di questa festività.
Tra i brani in programma, non potranno mancare i grandi classici come “Silent Night”, “Adeste Fideles”, “Tu scendi dalle stelle” e “Jingle Bells”. È l’occasione perfetta per trascorrere una serata all’insegna della tradizione.
San Paolo entro le Mura è una chiesa anglicana del IXX secolo situata nel centro di Roma e da sempre ospita concerti di musica classica, grazie alla sua raffinata acustica. Costruita nel 1873, è stata la prima chiesa romana non cattolica sorta nel centro di Roma. L’atmosfera diventa incredibilmente magica di notte, quando la luce della luna che attraversa i rosoni e le candele lungo la navata illuminano l’ambiente in un religioso silenzio. Sarà impossibile non abbandonarsi alla bellezza delle canzoni della tradizione natalizia che risuonano in questo luogo così suggestivo.
Concerto di Natale 2024-soprano Giulia Presti – tenore Emil Alekperov
ARTISTI
Primo Violino: Elvin Dhimitri
Soprano: Giulia Presti
Tenore: Emil Alekperov
Ensemble di Opera e Lirica
PRIMA PARTE
WOLFANG AMADEUS MOZART – Eine Kleine Nachtmusik
Adeste Fideles – musica tradizionale
ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI – Tu scendi dalle stelle
Noel – musica tradizionale
PACHELBEL – Canone
ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI – Fermarono i cieli
ADOLPHE ADAM – Minuit Chrétien
GIULIO CACCINI – Ave Maria
GEORG FRIEDRICH HÄNDEL – Water Music
FRANÇOIS CUPERIN – In Notte Placida
FELIX MENDELSSOHN – Hark The Herald Angels Sing
SECONDA PARTE
JOHANN STRAUSS – Sul Bel Danubio Blu
FRANZ XAVER GRUBER – Silent Night
IRVING BERLIN – White Christmas
JOHN LENNON – War Is Over
JULE STYNE – Let It Snow
ARCANGELO CORELLI – Pastorale
Angeli Delle Campagne – musica tradizionale
JAMES LORD PIERPONT – Jingle Bells
JOHANN STRAUSS – Radetzky March
Informazioni, orari e prezzi
INFO UTILI:
Concerto di Natale a San Paolo entro le Mura
19 dicembre 2024
RENT- IL MUSICAL di Jonathan Larson-Regia: Eric Paterniani
Roma- Teatro Lo SpazioGiovani artisti che lottano contro il rampante rincaro degli affitti, mentre una malattia invisibile minaccia la vita di tante, troppe persone. uno spettacolo immortale, Jonathan Larson scrive questa opera rock struggente e dalle musiche indimenticabili, ravvivando lo spirito de la Bohème. La regia è di Eric Paterniani e le traduzioni di questa nuova versione italiana sono a cura di Tiziana De Amicis. L’opera è composta da oltre 40 brani, tra cui alcuni che hanno fatto la storia del Musical moderno come Seasons of Love. La direzione musicale è affidata a Mirko Basile, mentre la direzione corale e coreografica ad Irene Egidi.
RENT- IL MUSICAL di Jonathan Larson –
Giovani artisti che lottano contro il rampante rincaro degli affitti, mentre una malattia invisibile minaccia la vita di tante, troppe persone. Se suona familiare è perché RENT è uno spettacolo immortale. Jonathan Larson scrive questa opera rock toccante e dalle musiche indimenticabili ravvivando lo spirito de La Bohème.
I due coinquilini Roger e Mark vengono sfrattati la vigilia di Natale: non sanno che la serie di coincidenze che capiteranno quella notte, tra incontri fortuiti, attivismo politico e colpi di fulmine, li porterà a vivere un anno in cui capiranno che la vita va vissuta immediatamente e a pieno.
Una New York dell’inizio degli anni ‘90 ci mostra senza pudore l’intolleranza verso le persone che hanno contratto l’AIDS, la tossicodipendenza ed i senzatetto, ma anche la fratellanza, l’amore e la speranza che possono germogliare tra il cemento di questa città.
Per il centenario della morte di Puccini, che ha ispirato Larson nella creazione di RENT, vincitore del premio Pulitzer, Romeway Company riporta a Roma il musical di Broadway che ha rivoluzionato il modo di andare a teatro rendendosi accessibile a tutte le fasce popolari, portando un’ondata di rock in un intreccio di storie universali, con cui è impossibile non identificarsi.
RENT- IL MUSICAL di Jonathan Larson –
RENT- IL MUSICAL di Jonathan Larson –
RENT
IL MUSICAL
di Jonathan Larson
Regia: Eric Paterniani
RENT- IL MUSICAL di Jonathan Larson –
con Giovanni Alaimo, Mirko Basile, Jacopo Bargnesi Hassan, Tiziana De Amicis, Matteo Di Pinto, Harris Donninelli, Irene Egidi, Beatrice Melessim Esmel, Sara Ferretti, Edoardo Messina, Veronica Nolte, Eric Paterniani, Maria Vittoria Piconi, Lucia Tarabella, Valerio Saverino, Andrea Stocchino, Beatrice Zorzan
Libretto, Musica e Testi – Jonathan Larson
Direzione Musicale – Mirko Basile
Direzione Corale e Coreografica – Irene Egidi
Traduzioni – Tiziana De Amicis, Mirko Basile, Irene Egidi e Eric Paterniani
Aiuto Regia – Veronica Nolte
Arrangiamenti Musicali – Steve Skinner
Supervisione Musicale e Arrangiamenti Aggiuntivi – Tim Weil
Roma- Al Teatro Argentina va in scena Giorgio Albertazzi:”Un perdente di successo”
Roma-Al Teatro Argentina lunedì 16 dicembre 2024 va in scena Giorgio Albertazzi-“Un perdente di successo”-con Mariangela D’Abbraccio e Laura Marinoni & guest e le musiche dal vivo di Gianluca Casadei (fisarmonica), Massimiliano Gagliardi (pianoforte) e Dario Piccioni (contrabbasso) adattamento Mariangela D’Abbraccioprogetto ideato e curato da Pia Tolomei di Lippa
Giorgio Albertazzi
Lo spettacolo
Dopo un tour che ha toccato Napoli, Genova, Padova e Milano, il 16 dicembre giunge al Teatro Argentina un evento speciale per omaggiare uno dei più grandi artisti ed interpreti del teatro italiano: Giorgio Albertazzi.
Dalla volontà di Pia Tolomei di Lippa, moglie di Albertazzi e con l’entusiastica adesione di grandi attrici vicine a Giorgio in varie fasi della sua lunga e feconda carriera, è nato questo progetto dal titolo Un perdente di successo che, dopo il debutto alla Pergola di Firenze (in occasione dei cento anni dalla nascita del Maestro), si propone nell’autunno 2024 in un circuito scelto tra i principali teatri italiani.
L’infanzia, l’adolescenza, la famiglia, gli studi, la guerra, gli amori, i personaggi di Albertazzi emergono con leggerezza nello spettacolo che attinge non solo ai ricordi, ma anche alla produzione letteraria, in particolare quella presente proprio nel libro da cui il tributo prende il titolo e il cui adattamento per la scena è stato curato da Mariangela d’Abbraccio.
In scena due attrici tra le più amate del teatro italiano: Mariangela D’Abbraccio e Laura Marinoni, a lungo vicine al Maestro. A loro si aggiungeranno ospiti a sorpresa, capaci di portare ulteriori elementi di vivacità e spettacolo.
Il cast è inoltre impreziosito da un trio musicale d’eccezione che condurrà le interpreti tra canzone d’autore, omaggi alla tradizione napoletana e divagazioni latino-americane: Gianluca Casadei (fisarmonica), Massimiliano Gagliardi (pianoforte) e Dario Piccioni (contrabbasso).
Giorgio Albertazzi: un grande interprete che ha saputo ottenere tutto, ma non ha saputo (e voluto) conservare nulla: un perdente per distrazione, ma di grandissimo successo, come ha voluto definirsi ha regalato una serie di poesie mai banali, piene di sentimento e, nel contempo, leggerezza.
Questo spettacolo speciale – dice Pia Tolomei – «è un tributo senza narcisismi. Va in scena una parte del racconto della sua vita…».
allestimento scenico Francesco Tavassi-
organizzazione Nidodiragno produzioni/coop CMC
con il sostegno del MIC nell’ambito de progetti speciali 2024
Info e orari
ore 19.00
durata 90 minuti senza intervallo
biglietti € 10,00
Teatro Argentina
Il Teatro Argentina si trova a Largo di Torre Argentina, 52, 000186 Roma.
Per informazioni Tel. 06 684000311/314
la biglietteria è aperta con i seguenti orari lunedì – sabato dalle ore 11.00 alle ore 19.00 e la domenica tre ore prima dell’inizio dello spettacolo. In assenza di spettacolo la domenica la biglietteria resterà chiusa.
Si ricorda che, in presenza di spettacolo, la biglietteria è sempre aperta e che, a partire da un’ora prima della replica, sarà attiva esclusivamente per la recita del giorno.
Si avvisa il gentile pubblico che I biglietti vanno ritirati entro un’ora prima dall’inizio dello spettacolo (salvo indicazioni diverse dell’Ufficio Promozione): scaduto il termine il sistema annulla automaticamente la prenotazione.
Biografia- La Corale Città di Nettuno nasce nel 1975 per il tenace impegno di appassionati del bel canto, dalla sua fondazione ha svolto una intensa attività concertistica, sotto la guida di valenti direttori, ricevendo numerosi apprezzamenti. Il coro si compone di circa 40 elementi misti con un repertorio che spazia dalla musica lirica fino a giungere al canto popolare e folcloristico, da quella sacra a quella profana, dalla polifonia medioevale a quella rinascimentale, dalla musica di colonne sonore da film a quella contemporanea. Nel corso degli anni la corale Città di Nettuno ha svolto la propria attività concertistica in varie Città italiane ed estere, si è esibita nelle più importanti Basiliche di Roma quali San Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, Santa Maria in Trastevere, Santa Prassede, Sant’Ignazio con l’accompagnamento della Banda della Polizia di Stato. Ha preso parte anche a Rassegne promosse dall’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Degni di nota gli eventi a Palazzo Barberini di Roma ed alla Chiesa dell’Aracoeli in occasione della Festa della Famiglia, quest’ultimo ripreso dalla TV RaiUno. Il Coro ha partecipato a importanti Rassegne ed eseguito concerti presso l’Università di Camerino, a Norcia, Cortona, Merano, Città della Pieve, Avellino, Chieti, Cecina a Venezia nella Rassegna “Venezia in Coro “, Assisi, Abbazia di Fossanova, Avellino, Terni, etc.
Corale Città di Nettuno
Il Coro ha tenuto concerti particolarmente in Germania dove ha eseguito, tra l’altro, i “Carmina Burana” di Orff con il Sangerchor di Traunreut e la “Cecilien Messe” di Gounod presente anche il Coro francese di Lucè, riunendo oltre 100 coristi. La Corale partecipa alle più significative solennità della Basilica Pontificia Madonna delle Grazie e Santa Maria Goretti in Nettuno. Ha animato le Sante Messe celebrate da Sua Santità Giovanni Paolo II° ed altre di eminenti Cardinali – Ruini, Sodano, Comastri, Poupard, Ravasi ecc. Numerosi anche gli appuntamenti tenuti insieme a Gruppi orchestrali di Roma quali: “Roma sinfonia”, “L’Orchestra giovanile del Lazio”, “L’Orchestra Oberon”, “L’Orchestra filarmonica Orpheus”, ecc. Nel 2013 la Corale ha solennizzato l’anno dedicato a Wagner e Verdi con un eccezionale concerto insieme al gruppo “il Coro” di Monaco di Baviera. La Corale organizza ogni anno concerti ed eventi impegnativi accompagnati da qualificati gruppi strumentali. Da sottolineare i tradizionali appuntamenti: “ESTATE AL FORTE”, “CONCERTO D’AUTUNNO” e i “CONCERTI DI NATALE”. In occasione della festa di Santa Maria Goretti, la Corale programma una Rassegna delle Corali Polifoniche, giunta alla sua 37^ edizione. Al prestigioso appuntamento che si svolge nella Basilica Pontificia Madonna delle Grazie e Santa Maria Goretti prendono parte importanti gruppi corali provenienti da tante città italiane ed estere con la presenza di non meno di 300 coristi. Il Coro Città di Nettuno è iscritto dal 16 novembre 2018 alla FEDERAZIONE CORI ITALIANI CHORUS INSIDE – APS Ente Terzo Settore. Dirige il Coro la Maestra Park Eun Jung
Maestra Park Eun Jung Direttore della Corale Città di Nettuno
Presidente
Antonio Simeoni
Codice socio
FCI097/18
Sede
Nettuno (RM),
Italy
Tipologia di coro
voci miste
Repertorio
Musica lirica, sacra e popolare
Sito / Email
info@coraledinettuno.it
FEDERCORI
Federazione Cori Italiani Chorus Inside
APS Ente Terzo Settore-Via Giuseppe Verdi n. 15 – 66100 Chieti
AA.VV. Incontri con Robert Schumann. Percorsi pianistici e critici
Contenuto e Descrizione del libro Robert Schumann ,Janina Klassen, «What were you thinking when you composed it?». Aspects of Musical Communication between Clara Wieck Schumann and Robert Schumann
Incontri con Robert Schumann
Thomas Synofzik, Composing for Jenny Lind. New Documents relating to Schumann’s Song Compositions of Early 1850
Kilian Sprau, Schumann M.M. Relazioni temporali come strumento per la costruzione formale ciclica nei Lenau-Lieder op. 90 di Robert Schumann
Maurizio Giani, Schumann e un altro Wagner. Vicende di una citazione
Cesare Fertonani, Schumann, Schubert e il romanzesco nella sinfonia
Maria Teresa Arfini, «Innere Stimmen». Slittamenti e rifrazioni della polifonia nella musica di Schumann
Nicoletta Lagna, «Nissuna mai penna basta, per dipingere parte il soavissimo, parte lo spiacevole del viaggiar in Italia». Ovvero del rapporto tra Schumann e l’Italia
A cura di Maurizio Giani
Concepito come omaggio a Robert Schumann, e insieme dedicato alla memoria di Antonio Rostagno, uno dei nostri maggiori studiosi del compositore di Zwickau, il presente volume raccoglie sette contributi di studiosi tedeschi e italiani, cui è stata lasciata piena libertà nella scelta del tema, dall’analisi di singole opere alla produzione critico-letteraria.
Janina Klassen lumeggia la comunicazione musical-compositiva tra Clara Wieck e Robert Schumann, Thomas Synofzik delinea aspetti della sua produzione liederistica con documenti inediti, Kilian Sprau le relazioni temporali nei Lenau-Lieder. Cesare Fertonani individua aspetti narratologici nella recensione della Sinfonia “Grande” di Schubert, Maria Teresa Arfini le complessità polifoniche nelle opere pianistiche, Nicoletta Lagna sul soggiorno di Schumann in Italia. Chi scrive ha infine riesaminato la recensione della Sinfonia fantastica di Berlioz, soffermandosi su una criptica citazione di Ernst Wagner che vi compare.
Romanticismo musicale e Robert Schumann sono diventati un binomio indissolubile. Il grande compositore tedesco, che visse i decenni centrali dell’Ottocento, espresse – soprattutto attraverso il pianoforte – una dirompente carica musicale e ideale, e raggiunse altissimi vertici poetici
Tra letteratura e musica
Robert Schumann, il rappresentante più emblematico del romanticismo musicale, nacque in Sassonia, a Zwickau, nel 1810, quinto figlio di un colto libraio ed editore. In lui, durante l’adolescenza, coabitarono due vocazioni distinte ma di uguale intensità, quella musicale e quella poetico-letteraria, che prevalse per qualche tempo sull’altra.
A metà degli anni Venti, pur proseguendo lo studio del pianoforte, che sarebbe poi diventato la sua ‘voce’ prevalente, Schumann scrisse alcune poesie e un romanzo, e si dedicò alla lettura di poeti e scrittori romantici, come Friedrich Schiller , Johann Paul Friedrich Richter.
Intorno agli anni Trenta la vocazione musicale prese deciso sopravvento: Schumann abbandonò il corso universitario di giurisprudenza e si dedicò con intensa assiduità allo studio della composizione e del pianoforte a Lipsia sotto la guida di Friedrick Wieck, padre di una pianista eccellente, Clara, destinata a diventare sua moglie malgrado la tenace contrarietà del professor Wieck. Nel giro di sei anni, dal 1830 al 1836, compose una serie di importanti brani pianistici: Papillons, Sei intermezzi, Carnaval, Sonata in fa diesis minore, Studi sinfonici e il primo straordinario vertice, la Fantasia in do maggiore.
Il critico e il virtuoso
I titoli dei suoi componimenti rivelavano, già di per sé stessi, un compositore fuori dalle consuetudini tradizionali di generi e forme. Siamo di fronte a una personalità in cui si intrecciano intenzioni professionali, interessi culturali e passioni esecutive profondamente legati al pianoforte, strumento di cui Schumann voleva innanzi tutto impossessarsi come concertista – anzi, secondo il costume del tempo, come virtuoso – dopo che a nove anni aveva ascoltato a Karlsbad il prodigioso pianista Ignaz Moscheles.
Schumann era un artista dotato anche di febbrile attività intellettuale, culturale e critica. Si legò in grande amicizia con Felix Mendelssohn-Bartholdy, quando questi, nel 1835, venne nominato a capo del Gewandhaus, la famosa istituzione orchestrale di Lipsia. Sempre a Lipsia, nel 1833, fondò un periodico di critica, la Nuova rivista musicale, che aveva l’intento di debellare le più pigre consuetudini dei consumatori di musica tradizionale. Schumann definì costoro «folla di filistei» e nella sua polemica usò l’espediente molto romantico di presentare i suoi sentimenti, concetti, idee, aspirazioni firmando gli articoli con diversi pseudonimi che, sotto forma di personaggi di fantasia, simboleggiavano i vari moti dell’animo e dell’invenzione: Florestan il caloroso, Eusebio il sognante, Raro il saggio meditativo. Agli stessi simboli s’ispiravano e s’identificavano temi musicali o interi componimenti.
Il romanticismo schumanniano
Il romanticismo di Schumann era di una forte tempra, costituzionalmente ben diversa dall’uso banalizzato in cui il termine romantico è caduto nel linguaggio corrente. Quando decise definitivamente di volgere la propria vocazione creativa alla musica, Schumann affidò da subito al pianoforte le sue ‘voci’ più intime e personali. Queste voci erano intrise della matrice poetica del suo pensiero, delle sue inclinazioni intellettuali e mentali, come emerge già dalla scelta dei primi titoli, ispirati dall’immaginario naturalistico o da personaggi derivati dalla narrativa e dalla favolistica scenico-teatrale: per esempio Carnaval o la splendida Kreisleriana (1838), desunta da un racconto di un altro artista romantico per eccellenza, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann.
A questa stessa personalità di romantico estremo vanno ascritti certi tratti depressivi patologici, che afflissero Schumann a partire dagli anni Trenta.
Il pianoforte
L’attività creativa di Schumann fu controbilanciata per qualche tempo da quella concertistica, spesso in coppia con la moglie Clara, sposata nel 1840.
Questa attività gli assicurò maggiore notorietà di quella di compositore, ma fu presto condizionata dalle disturbate condizioni fisiche e neuropsichiche, con crisi sempre più persistenti.
A sua volta, l’attività compositiva fu contrassegnata da un’intensa produzione, concentrata ora su un materiale sonoro, per esempio il pianoforte; ora su combinazioni strumentali, per esempio quartetti d’archi o quintetti con pianoforte; ora sul confronto, sempre necessario, con la grande tradizione sinfonica; ora sull’inevitabile terreno, romantico e germanico per eccellenza, del Lied con pianoforte (anche nelle versioni corali).
Restano legati allo strumento del pianoforte tutti quei lati della personalità del compositore che sono emblema del suo romanticismo, consegnati per esempio al Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, composto fra il 1841 (il primo movimento) e il 1845 (gli altri due), e a moltissimi dei suoi duecentocinquanta Lieder, soprattutto ai due cicli Amore e vita di donna (di otto canti) e Vita di poeta (di sedici canti) su poesie di Heine, entrambi composti nel 1840. L’essenza della poeticità del suono schumanniano si coglie talvolta alla fine di alcuni di questi Lieder, in cui tace la voce e resta protagonista il pianoforte a elevare al massimo la parola lirica.
Le grandi composizioni
Sporadicamente s’inserirono prove in campi del tutto diversi rispetto a quelli nei quali il musicista si impegnò con intensità appassionata: un oratorio profano per soli, coro e orchestra, Il paradiso e la peri, composto nel 1843; il Requiem per Mignon del 1849, su testi poetici di Goethe tratti dal romanzo Wilhelm Meister; l’opera teatrale Genoveva (1847-50), in quattro atti, dal dramma di Ludwig Tieck (uno dei protagonisti della letteratura romantica tedesca); infine le otto Scene dal Faust di Goethe, per soli, coro e orchestra, lavoro che lo tenne impegnato, sia pure saltuariamente, per dieci anni (dal 1844 al 1853).
Si tratta di lavori di grande entità formale e per ampi organismi esecutivi, nei quali Schumann sa esprimere tutta la sua grandezza artistica.
In seguito, nel corso degli anni Quaranta, il compositore accusò disturbi di salute che si alternavano a sempre più frequenti crisi nervose. Ciò lo indusse a trasferirsi da Lipsia a Dresda. Qui conobbe Wagner senza trarne particolare interesse.
In questo decennio (1841-50) affrontò, con esiti disuguali, tre sinfonie e nella terza, la Renana, raggiunse momenti di più aperta e singolare efficienza formale e stilistica rispetto al modello di Beethoven. La Quarta sinfonia apparve in forma definitiva nel 1851 come rielaborazione di una Fantasia concepita nel 1841.
Schumann e Brahms: due romanticismi a confronto
Nel frattempo Schumann si era trasferito a Düsseldorf in condizioni di salute peggiorate, specialmente riguardo alle facoltà mentali, benché ancora capace di realizzare un affascinante Concerto per violoncello e orchestra (1850) e altre opere cameristiche. In tali frangenti sopravvenne nel 1853 un incontro storico, quello con il ventenne Johannes Brahms, che si trasformò presto in sodalizio d’arte.
Un incontro di due romanticismi complementari: quello di Schumann portato alle estreme conseguenze fino a sconfinare negli sconvolgimenti della follia, e quello di Brahms teso a preservare, fino alla fine, il dono della ineffabilità romantica, come si può ammirare nelle sue ultime pagine pianistiche.
Nel 1854 la follia di Schumann esplose, conducendolo a un tentativo di suicidio nelle acque del Reno. Ricoverato presso Bonn in una clinica per malattie mentali, vi morì due anni dopo, nel 1856, attorniato dalla moglie Clara e da altri amici.
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