Roma Capitale – Domenica 2 febbraio 2025 Musei e siti archeologici gratis-
ROMA-Campidoglio-Marco Aurelio
Roma Capitale-Ingresso gratuito per tutti domenica 2 febbraio,2025 prima domenica del mese, nei siti del Sistema Musei di Roma Capitale e in alcune aree archeologiche della città. Saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17.30), con il Museo della Forma Urbis (10:00 – 16:00 con ultimo ingresso alle ore 15:00, iIngressi viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9:00 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Questi i musei civici aperti a ingresso gratuito per l’occasione: Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca. Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini. (www.museicapitolini.org).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) sarà possibile visitare la nuova mostra L’albero del poeta. La quercia del Tasso al Gianicolo. Attraverso documenti, fotografie, grafiche, dipinti e testimonianze, molte delle quali esposte per la prima volta, il visitatore potrà riscoprire l’importanza di questo luogo caro a Torquato Tasso, e il suo legame indissolubile con la città di Roma.
Al piano terra l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città. Infine, nella sala del pianoforte al primo piano, prosegue Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana. (www.museodiromaintrastevere.it).
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale del Casino dei Principi Titina Maselli nel centenario della nascita, un’ampia visione retrospettiva dell’opera di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Alla Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili (www.museivillatorlonia.it).
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente.
Domenica 2 febbraio sarà anche l’ultima occasione per ammirare À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo luogo. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane. Sarà inoltre ancora possibile ammirare L’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo un restauro da parte dei tecnici dell’ICR. (www.galleriaartemodernaroma.it).
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. (www.museonapoleonico.it )
Roma-Dubutta all’Altrove Teatro Studio, SECONDO PIANO, spettacolo scritto da Andrea Giovalè-
ALTROVE TEATRO STUDIO
Roma-Dubutta in prima assoluta dal 7 al 9 febbraio, all’Altrove Teatro Studio,SECONDO PIANO, spettacolo scritto da Andrea Giovalè, Sara Mafodda e Michele Eburnea, con la regia di Michele Eburnea.
all’ Altrove Teatro Studio, SECONDO PIANO
all’ Altrove Teatro Studio, SECONDO PIANO
all’ Altrove Teatro Studio, SECONDO PIANO
Quante volte si torna con la memoria ai primi momenti di una relazione? Agli appuntamenti romantici, agli sguardi carichi di desiderio, ai gesti densi di imbarazzo? Secondo piano è lo specchio grottesco e deformante di quei ritorni, e racconta la storia di un divorzio consensuale in quattro appuntamenti. Le stesse emozioni, invecchiate e compresse in una cornice fredda e burocratica, costellano un lungo iter di attese e rimpianti, ricordi e contrasti, per capire se dallo sciogliersi di una relazione può davvero forgiarsi qualcosa di nuovo.
Ispirato a innumerevoli storie vere.
all’ Altrove Teatro Studio, SECONDO PIANO
all’ Altrove Teatro Studio, SECONDO PIANO
Secondo piano gioca in contropiede sulla familiarità di una relazione giovane, energica, viva, incastrandola in un luogo asettico e alienante come una stanza a caso del Comune, e tornando più volte, col pretesto della burocrazia e l’esercizio virtuoso del teatro, al momento tipicamente – ma non obbligatoriamente – drammatico della separazione.
Si crea quindi un triangolo fluido tra azione, luogo e tempo, all’interno del quale i meccanismi del racconto possono, a piacimento, fare da acceleratore, ostacolo, elemento di caos, dejavù, umorismo, coerenza, incoerenza e chissà cos’altro, alla ricerca del perfetto punto di equilibrio tra sereno e grottesco, emozione e imbarazzo, assurdo e banale.
SPETTACOLI
Venerdì ore 20
Sabato e domenica ore 18
Biglietti: Intero 15€_ Ridotto 10€
Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia 53, Roma
Per informazioni e prenotazioni: telefono 3518700413, email ipensieridellaltrove@gmail.com
L’Altrove Teatro Studio presenta una nuova stagione d’eccellenza
SOLO PEZZI DI BRAVURA!
In cartellone 20 spettacoli, tra nuova drammaturgia, debutti assoluti, grandi ritorni, concerti, eventi speciali, un concorso dedicato alle nuove scritture di scena e un ampio spazio alla formazione
L’Altrove Teatro Studio, nel cuore del quartiere Prati, da il via ad una nuova stagione proiettata verso la qualità e l’eccellenza artistica, il talento e la sperimentazione che si trasformano in realtà attraverso la scena, lo spettacolo dal vivo, la musica, i progetti innovativi.
“Solo pezzi di bravura!” è, infatti, il claim della nuova programmazione 2024-2025, che prevede un cartellone ancora più “di livello”, che concentra insieme nuovi talenti della scena contemporanea con maestri già notevolmente affermati, impegnati in progetti moderni, al passo con i tempi e le nuove tendenze, tra prosa, musica, drammaturgia contemporanea e formazione. Artisti che si riconoscono nell’anima e nello spirito creativo di questo luogo da abitare proprio come una “casa”, da chi il teatro lo fa, lo studia, lo vede.
L’Altrove Teatro Studio, fin dalla sua fondazione nel 2017, ha voluto essere per il pubblico romano, un luogo di salvezza dalla bruttura del mondo, un’occasione di cambiamento, un’isola felice dove tenere in vita il senti- mento della meraviglia.
Nel nome dell’eccellenza artistica, della qualita? degli spettacoli offerti e della didattica accademica, i direttori Ottavia Bianchi e Giorgio Latini hanno fatto si? che i migliori artisti della scena contemporanea nazionale e internazionale riconoscessero “Altrove” come riferimento imprescindibile nel panorama teatrale romano. Di conseguenza gli spettatori hanno con- fermato sempre piu? il patto di fiducia stretto con il teatro che e? stato inoltre il luogo prescelto dai giovanissimi per dare uno schiaffo in faccia alle lusinghe dei social in favore della scoperta del se? e dello studio serio e appassionato di una professione. Altrove e? stato infine lo spazio privilegiato dove coltivare le passioni che rendono la vita meno dolente, dove incontrare anime affini seppur nella diversita? di ognuno, tutti uniti, adulti e giovanissimi, artisti e spettatori, nel desiderio di rinascere.
“Attraverso il sentimento condiviso della gioia che, come una scarica di elettrica esaltazione, attraversa l’animo di chi varca la soglia di questo luogo magico, il teatro ci insegna che la sofferenza del vivere ci accompagna ogni giorno tranne che in alcuni brevi momenti nei quali riusciamo a mettere in pausa l’inquietudine occupandoci d’altro o di altre persone, agendo fuori dalla nostra realtà? che e? poi, nel bene e nel male, la nostra zona di comfort. In questi momenti possiamo ritrovarci uniti in una comunità? che non si riconosce nella “vacuita? della fuffa” o in un teatro autori- ferito e incurante dei bisogni del pubblico. Gli abitanti dell’Altrove non si lasciano abbindolare dall’inganno del nometto televisivo ma fanno una scelta in favore del talento attoriale e del saper fare che e? poi il filo rosso di tutti gli spettacoli in cartellone.
Per questo motivo, quest’anno, il nostro obbiettivo e? di rendere ancor piu? esplicita questa consapevolezza: se la mediocrità? del mondo mortifica le nostre aspettative, almeno “Altrove”, possiamo sempre trovare solo pezzi di bravura.”_ annotano i direttori artistici Ottavia Bianchi e Giorgio Latini.
Ventuno spettacoli, tra debutti assoluti, progetti inediti, prosa, musica, con un’attenzione particolare rivolta alla drammaturgia contemporanea, alle nuove scritture, a tematiche fortemente attuali, alle nuove voci e ai nuovi volti della scena teatrale, e non solo.
Un’offerta che punta alla qualità, più che alla quantità, con l’obiettivo di meravigliare il pubblico più variegato e soddisfare i più disparati gusti, sottolineando come lo spettacolo dal vivo sia un punto fermo per la crescita e l’arricchimento sociale, e il teatro un luogo da abitare costantemente, in cui poter crescere, divertirsi, imparare, confrontarsi.
Tanti i nomi in cartellone, tra interpreti e registi, volti noti del panorama teatrale italiano e giovani promesse: Ottavia Bianchi, Giorgio Latini, Livia Castiglioni, Patrizia Ciabatta, Giulia Santilli, Gianfranco Corona, Antonello Foddis, Giuseppe Ligios, Pierpaolo Palladino?, Giulia Gallone, Ottavia Orticello, Chiara Arrigoni, Francesca Caprioli?, Miana Merisi, Alessandra Corona, Guido Tuveri, Maria Assunta Calvisi, Loredana Piedimonte, Gabriele D’Angelo, Luca Mascolo, Valentina Martino Ghiglia, Veronica Rivolta, Federico Malvaldi, Michele Eburnea, Sara Mafodda, Mersila Sokoli, Andrea Giovalè, Nora Godano, Giorgio Cantarini, Agustina Risotto Interlandi, Jesus Emiliano Coltorti?, Ennio Coltorti?, Roberto Fedele, Viola Pornaro, Francesco Sala, Daniele D’Alberti, Chiara Meschini, Pietro Meschini, Sara Sileo, Ludovica Bove, Giacomo Ronconi, Donato Cedrone, Ferdinando Ceriani, Valentina Di Silvestro, Pino Cangialosi, Fabio Battistelli, Alessandro Cedrone, Gizem Aiture Cedrone, Marco Palmiggiani, Giacomo Ronconi.
Non mancherà, inoltre, la quarta edizione del concorso “Prosit! Nuove drammaturgie per un nuovo teatro”, uno spazio riservato esclusivamente alla prosa, ai nuovi autori e alle nuove idee, alla capacità di scrivere e raccontare storie contemporanee.
“Solo pezzi di bravura!” è una dichiarazione di intenti, una missione per diffondere qualità e talento in scena offrendo al pubblico una stagione piena di bellezza.
LA STAGIONE
Inaugura la stagione, l’8 novembre, un graditissimo ritorno, LE SORELLASTRE di Ottavia Bianchi con la regia di Giorgio Latini. Le Sorellastre è una commedia dai risvolti drammatici che racconta la storia di quattro sorelle Emma, Emilia, Elvira e Ughetta che, lontane e in cattivi rapporti da molti anni, sono improvvisamente obbligate a passare insieme ventiquattro ore in occasione della veglia alla morte della vecchia madre. Infatti è in ballo un’inaspettata eredità che permetterà alle Sorellastre di rimettere a posto alcuni aspetti della loro esistenza. L’eredità in palio diventa l’innesco di un vero e proprio gioco al massacro fatto di rappresaglie, antichi rancori e desideri di vendetta mai sopiti.
A seguire, il 17 novembre, ROSENCRANTZ?& GUILDENSTERN SONO MORTI liberamente ispirato all’omonimo testo di Tom Stoppard con Gianfranco Corona, Antonello Foddis, Giuseppe Ligios e la regia di Giuseppe Ligios. Un viaggio attraverso l’esistenza umana quello che i due protagonisti Rosencrantz e Guildenstern si trovano a compiere loro malgrado. Pochi i punti fermi in loro possesso, alquanto confusi se non assenti i ricordi sul passato recente, che riaffiorano con difficoltà, a partire dai loro stessi nomi. Unica certezza, e al contempo unica ragione di vita, sembra risiedere nel motivo del loro viaggio, la convocazione a Corte per “spigolare” sulle cause che hanno mutato drasticamente l’animo di Amleto, tanto da farlo sembrare pazzo.
Musica e teatro si abbracciano dal 29 novembre al 1 dicembre con LA BATTAGLIA DI ROMA, lettura scenica a cura di Alessia Sambrini?di e con Pierpaolo Palladino? e musiche dal vivo di Pino Cangialosi – pianoforte e percussioni Fabio Battistelli – clarinetto. In scena un attore solo, che racconta una storia da lui scritta in versi per rievocare una giornata emblematica, il 10 settembre 1943, due giorni dopo l’armistizio. Quel giorno fu combattuta a Roma la più grossa battaglia sul suolo nazionale tra l’esercito regolare italiano e le armate tedesche. I fatti storici e i sogni privati dei compagni d’arme sono rievocati in questo testo/racconto, partendo dalla descrizione delle strade bombardate dagli americani fino al luogo della battaglia, che ebbe il suo epicentro davanti alla porta di San Paolo.
Dal 6 all’8 dicembre appuntamento con A LITTLE GOSSIP?NEVER KILLED NOBODY di Chiara Arrigoni, ?con Giulia Gallone, Ottavia Orticello, Chiara Arrigoni dirette da Francesca Caprioli?.
Le protagoniste sono tre operaie: Klara, l’aspirante leader, Agnese, la pigra mediatrice, e Martha, quella nuova. Il lavoro in fabbrica è logorante, soprattutto per le donne, persino sciogliere i capelli durante l’orario di lavoro è un atto trasgressivo sottoposto a rigido divieto e sembra impossibile sognare qualcosa di più. Un giorno, però, succede qualcosa: Martha inizia una relazione clandestina con il loro capo e, da quel momento, le tre donne cominciano a ottenere dei piccoli miglioramenti sul lavoro, guidate dal sogno di Klara di una ribellione contro il sistema. Spettacolo vincitore del Premio scintille 2023.
Il 14 e il 15 dicembre è la volta di WHY, CLITENNESTRA, WHY? da “Clitennestra o del crimine” di Marguerite Yourcenar con Miana Merisi, Alessandra Corona, Guido Tuveri voce off Luigi Tontoranelli? e la partecipazione in video Federico Giaime Nonnis. Maria Assunta Calvisi dirige il testo è inserito in “Fuochi”, dove la Yourcenar ha raccolto una serie di prose liriche collegate dal tema dell’amore guardato sotto una lente dis- sonante che fa intravedere possibilità diverse di lettura. Nel caso di Clitennestra l’amore prende il sopravvento sulla vendetta. Lo spettacolo vuole affondare le mani in questo terreno scivoloso e si racconta con le parole, con l’intensità dei corpi, con le immagini suggestive proiettate a tutto schermo ma anche su corpi o oggetti con la tecnica del video mapping e con musiche originali intense e di grande contemporaneità.
Tornano per il consueto concerto natalizio, il 21 e il 22 dicembre, LE MANI AVANTI il coro diretto da Gabriele D’Angelo con il loro repertorio e ovviamente grandi classici natalizi, da White Christmas a Happy Xmas (War Is Over), passando per rivisitazioni originali come Jingle Bells in minore e una Carol of the bells al cardiopalma. Molti i brani in italiano, con grandi nomi del nostro cantautorato come Fossati, il duo Gazzé – Fabi, fino ad arrivare ai 99 Posse e La rappresentante di lista.
Apre il nuovo anno, dal 10 al 12 gennaio, in prima assoluta, UNA CULLA SBAGLIATA di Ottavia Bianchi ?con Ottavia Bianchi, Loredana Piedimonte e la regiadi Ottavia Bianchi e Giorgio Latini. Liberamente tratto dal best seller “Perché essere felice quando puoi essere normale?” della scrittrice britannica Jeanette Winterson e in parte autobiografico, lo spettacolo narra la storia di una vita difficile, quella di Jeanette. In bilico tra il fanatismo religioso della madre adottiva e la scoperta della vera sé stessa, la protagonista troverà il suo riscatto grazie all’amore per la letteratura e alla poesia. La strada per la ricon- ciliazione con i fantasmi dell’infanzia sarà lunga e tortuosa, passando per il funerale di una madre pazza, una casa piena di ricordi e la visita di una donna misteriosa che la aiuterà in questo percorso fino ad un finale imprevisto.
Luca Mascolo torna all’Altrove Teatro Studio, questa volta con un nuovo progetto su Vittorio De Sica, dal 17 al 19 gennaio, con VITTORIO DE SICA? Suspire ‘e vase, Museca ‘e passione? con al ?violoncello Donato Cedrone?, alla chitarra classica Valentina Di Silvestro?. A 50 anni dalla scomparsa di Vittorio De Sica, questo spettacolo vuole non solo omaggiare il Maestro del Neorealismo ma anche indagare il suo percorso; il fine dicitore che divenne attor giovane, poi celebrità del cinema anni ’30 e famoso interprete di tante canzoni. Questo spettacolo fatto di recitazione e musica, nell’arco di un’ora e poco più, racconterà alcuni momenti fondamentali nella carriera di Vittorio De Sica e farà conoscere meglio al pubblico il mondo attorno a De Sica. Scopriremo l’arte del suo tempo, le opere letterarie che l’hanno influenzato, l’amore per Napoli, la canzone d’epoca, le macchiette, i versi di Salvatore Di Giacomo, la Ciociara di Moravia, L’oro di Napoli di Marotta e Totò il buono di Cesare Zavattini.
Dal 24 al 26 gennaio, Valentina Martino Gghiglia porta in scena VACANZE DI GUERRAdi Ignasi Garcìa Barba? con la regia Ferdinando Ceriani. Berta è una guida turistica di un’insolita agenzia di viaggi che organizza visite turistiche nei paesi in guerra. Il testo di Ignasi Garcìa Barba, tra i più quotati autori spagnoli viventi, è spiazzante, esilarante e tragico al tempo stesso in cui i turisti/spettatori e la guida Berta interagiscono continuamente. L’offerta della giornata prevede una visita a un campo di rifugiati con pranzo al sacco e la possibilità di collocare con le proprie mani una bomba antiuomo. In un clima da tragicommedia in cui la risata si fa amara, si racconta di una madre di famiglia, moglie di un nullafacente, che ha dovuto accettare questo lavoro pur di dare un futuro ai suoi due figli.
Spazio poi, dal 31 gennaio al 2 febbraio, HINTERLAND, il nuovo spettacolo scritto e diretto da Federico Malvaldi? con Veronica Rivolta e Giulia Santilli. Un vecchio McDonald’s di periferia. Grassi saturi, minimo salariale e tagli di carne scadenti. La vita che passa tra le mura laccate del locale è quella di giovani squattrinati dal futuro incerto e di chi a malapena arriva alla fine del mese ma vuole comunque concedersi l’illusione di un pasto fuori casa. Lea lavora lì, in mezzo alla puzza di patatine fritte e detersivi, da quando aveva sedici anni e adesso ne ha quaranta. Un’esistenza nel girone infernale della miseria umana, dove bene e male sembrano solo un retaggio della lontana vita borghese: quella in cui Cassie, grazie alle sue abilità imprenditoriali era riuscita ad ottenere.
Dal 7 al 9 febbraio è la volta di SECONDO PIANO di Andrea Giovalè, Sara Mafodda, Michele Eburnea con Michele Eburnea, Sara Mafodda, Mersila Sokoli e la regia di Michele Eburnea. Quante volte si torna con la memoria ai primi momenti di una relazione? Agli appuntamenti romantici, agli sguardi carichi di desiderio, ai gesti densi di imbarazzo? Secondo piano è lo specchio grottesco e deformante di quei ritorni, e racconta la storia di un divorzio consensuale in quattro appuntamenti. Le stesse emozioni, invecchiate e compresse in una cornice fredda e burocratica, costellano un lungo iter di attese e rimpianti, ricordi e contrasti, per capire se dallo sciogliersi di una relazione può davvero forgiarsi qualcosa di nuovo.
Debutta in prima assoluta dal 14 al 16 febbraio, MINA spettacolo scritto e diretto da Livia Castiglioni? con Nora Godano? e le voci off di Livia Castiglioni e Simone Nebbia. Mina Harker nel nostro immaginario collettivo ha il volto delicato e diafano di Winona Ryder, nel celebre “Dracula di Bram Stoker” di Coppola. A volte è stata dimenticata, tagliata, resa marginale o a una indefinita entità denominata per l’occasione come una generica “moglie di Dracula”. Ma chi c’è sotto la maschera? Vogliamo indagare, tra suggestioni vampiresche e archetipi gotici.
Dal 21 al 23 febbraio, appuntamento con ALTROVE scritto e diretto da Agustina Risotto Interlandi? con Giorgio Cantarini,e Agustina Risotto Interlandi. Marzo 2020. Alan ed Eva si ritrovano chiusi in casa. Una coppia come tante si trova improvvisamente ad affrontare la convivenza forzata. Alan è il marito ideale, è attento, disponibile, mostra quella sicurezza che è spesso richiesta ad ogni uomo anche se non riesce del tutto a comprendere il mondo femminile di Eva e le sue fragilità. Tuttavia è disposto a qualsiasi cosa pur di renderla felice. Eva non è proprio la moglie ideale, ma sicuramente onesta nella sua antipatia e nel suo cinismo. Mentre in apparenza tutto scorre nella normalità, lentamente, ognuno inizia a rendersi conto della propria condizione di estrema solitudine e di come i confini della propria libertà siano, in questo momento, drasticamente dipendenti dalla volontà dell’altro.
Successivamente, dal 28 febbraio al 2 marzo va in scena GLENN GOULD, L’ULTIMA NOTA di Marilina Ciricillo ?con Jesus Emiliano Coltorti, la ?regia Ennio Coltorti e al ?pianoforte Andrea Bianchi?. La figura del famoso pianista canadese amato in tutto il mondo per le sue travolgenti esecuzioni/interpretazioni pianistiche; spesso anche criticate perché considerate da molti poco riverenti. Lo spettacolo è incentrato sull’aspetto umano di uno straordinario artista che, ancora giovane, decide di interrompere i suoi richiestissimi e affollati concerti per chiudersi nella sua residenza in Canada, nell’Ontario, e dedicare gli ultimi anni della propria vita solo ed esclusivamente alla ricerca del suono perfetto. Una rappresentazione che unisce l’anima di Gould all’anima dello spettatore.
Torna a grande richiesta, dal 7 al 9 marzo, COSA POTREBBE ANDARE STORTO commedia scritta e diretta da Giorgio Latini?, con Ottavia Bianchi, Patrizia Ciabatta, Roberto Fedele, Giorgio Latini?. Due improbabili ladri tentano di rapinare una banca, ma qualcosa non va secondo i programmi e si vedono costretti a barricarsi all’interno dell’edificio con due ostaggi. Comincia una trattativa con la polizia ma il direttore della banca riesce a liberarsi e li assale a tradimento. Di qui ha inizio un paradossale susseguirsi di avvenimenti in cui nulla è come sembra (nemmeno la rapina stessa) e l’inatteso confronto tra malviventi e presunte vittime porta ad una serie di situazioni sempre più comiche e al limite del surreale.
Spazio poi, dal 14 al 16 marzo, a LA SIGNORA SANDOKAN di Osvaldo Guerrieri con Viola Pornaro e la regia di Francesco Sala. La mattina del 26 Aprile 1911 “LA STAMPA” di Torino titolava in cronaca: Emilio Salgari si è ucciso a colpi di rasoio. Quanti sono a conoscenza dei particolari biografici e dell’immensa produzione di Emilio Salgari? Scrisse più di ottanta romanzi, circa cento racconti. Lascia con il suo gesto quattro figli e una moglie; Ida Salgari che sarà ricoverata nel Regio Manicomio, reparto indigenti. Ida parla con un’infermiera invisibile. Grida e implora, minaccia e prega. Apre squarci sulla vita intima dello scrittore, sull’alcol, il rapporto tormentato con gli editori, le sue mitomanie, le infedeltà. Una vita d’artista, straordinaria, immaginosa e vulnerabile, faticosa e disperata di cui Ida è cronista e testimone.
L’icona senza tempo Edith Piaf, è la protagonista di PIAF, spettacolo scritto e diretto da Federico Malvaldi con Veronica Rivolta, in scena domenica 23 marzo. Una donna troppo piccola, per una voce così grande. Questo dicevano di lei. E da questo aneddoto si sviluppa un racconto fatto di musica, amore, autodistruzione, disperazione e momenti di intensissima felicità. Al centro di tutto, oltre alla vita, ci sono le sue canzoni più celebri – Je Ne Regrette Rien, Padam Padam, Hymne A L’Amour – e soprattutto la sua voce vibrante e potente, capace di raggiungere picchi di intensità così alti da dimenticare che il corpo che la contiene sta lentamente morendo a causa di un’esistenza sregolata.
Ancora musica, domenica 29 marzo, con OCCHI CHIUSI IN MARE APERTO live con Daniele D’Alberti, Gabriele D’Angelo, Chiara Meschini, Pietro Meschini, Sara Sileo. Occhi Chiusi In Mare Aperto è un gruppo di cinque voci che si fondono in arrangiamenti pop originali. Nato nel 2017, il gruppo ha costruito la sua identità sperimentando stili e armonie che mettessero in risalto le caratteristiche particolari di ogni voce, alla ricerca di un suono d’insieme unico e riconoscibile. Arrangiare un pezzo, per Occhi Chiusi In Mare Aperto, è creare qualcosa di completamente nuovo a partire da ciò che esiste già. Talèa è il nome del primo album: descrive esattamente questo processo creativo che nasce dall’ispirazione ricevuta da un testo, una sensazione, un accordo, e culmina nell’abbandonarsi a occhi chiusi al flusso musicale che ne scaturisce.
Dopo il successo della scorsa stagione, torna in scena il 4 aprile, MORRICONE OLTRE LA PELLICOLA. Le musiche del Maestro Ennio Morricone nella letteratura italiana da un’idea di Luca Mascolo con il ?Quartetto “Refice”?. La musica del Maestro Ennio Morricone ha raggiunto nel corso degli anni una fama e un consenso planetari. Ma c’è qualcosa di più: liberate dal loro ruolo di “colonne sonore” infatti, quelle composizioni evocano temi archetipici della vita di ognuno di noi: l’amore, il viaggio e il confronto con le forze della natura, la vastità del creato che ci circonda, la vendetta. E se per un attimo dimenticassimo i film a cui queste musiche sono legate e provassimo ad abbinarle con alcune pagine della letteratura italiana classica e contemporanea? Parole di secoli fa brillano, tornano a nuova vita e sembrano incastrarsi alla perfezione nelle “scenografie musicali” create dall’arte di Morricone.
Chiude la stagione, il 13 aprile, BEAT GENERATION di Giorgio Latini? con Ottavia Bianchi, Ludovica Bove, Giorgio Latini e alla chitarra Giacomo Ronconi.
Nel 1940 l’incontro tra Jack Kerouack e Allen Ginsberg genera un movimento che quattro anni più tardi prenderà il nome di Beat Generation e culminerà nel 1951 con la scrittura del libro cult “On the road”. Gli ideali della Beat Generation sono il rifiuto della violenza e delle regole della vita convenzionale, la liberazione sessuale e delle droghe. Da qui nascerà il beat, ovvero il movimento musicale che si origina proprio nei primi anni ’60. Attraverso le voci di Ottavia Bianchi, Ludovica Bove e Giorgio Latini, accompagnate alla chitarra da Giacomo Ronconi, torneremo al periodo tra la fine degli anni ’50 e il 1969. Riascolteremo i brani noti e meno noti della “Brit Invasion”: i Beatles e i Rolling Stones ma anche il folk americano fino alla musica psichedelica che saranno lo sfondo per il successivo grande movimento sociale degli hippie.
Anche quest’anno, non mancherà PROSIT! La quarta edizione del concorso “Nuove drammaturgie per un nuovo teatro”, uno spazio riservato esclusivamente alla prosa, ai nuovi autori e alle nuove idee, alla capacità di scrivere e raccontare storie contemporanee (3 maggio).
L’Altrove Teatro Studio è, infine, attento alla formazione con l’Accademia di Arte Scenica, i corsi di teatro professionali e semi-professionali, i corsi di teatro ragazzi, corsi di canto, di dizione e linguaggio para verbale e pianoforte.
Biglietti: Intero 15 euro – Ridotto 10 euro – Tessera 2 euro
Abbonamenti:
MUSICA E DANZA 72 euro (8 spettacoli)
PROSA 152 euro (19 spettacoli)
STAGIONALE 168 euro (21 spettacoli)
CARNET 90 euro (10 ingressi)
ALTROVE TEATRO STUDIO
Via Giorgio Scalìa, 53
ipensieridellaltrove@gmail.com
MP 351 8700413
www.altroveteatrostudio.it
Ancona-L’Anfiteatro romano entra nella rete dei Musei Italiani.- Soprintendenza Archeologia delle Marche-
Ancona-L’Anfiteatro romano
L’Anfiteatro romano di Ancona entra ufficialmente a far parte della rete nazionale dei Musei Italiani, sotto la gestione della Direzione regionale Musei delle Marche, guidata da Luigi Gallo. L’anfiteatro sarà aperto al pubblico a partire dalla metà di aprile, per offrire ai visitatori un’ulteriore opportunità di scoprire il patrimonio storico della città. Grazie alla possibilità di combinare la visita al Museo Archeologico Nazionale delle Marche con l’Anfiteatro, il pubblico potrà così vivere un’esperienza immersiva nel fascino del mondo antico.
La Direzione Musei ha l’obiettivo di garantire un programma di aperture settimanali all’anfiteatro a partire da metà aprile, per rendere accessibile l’area archeologica più significativa del capoluogo marchigiano.
“Nel corso degli ultimi anni”, ha dichiarato Luigi Gallo, “la Direzione Regionale Musei Nazionali Marche ha posto particolare cura nella valorizzazione delle sedi espositive e delle collezioni in esse contenute, intreccio di vicende e opere che contribuiscono in modo rilevante alla storia del patrimonio e dell’identità regionale. L’Anfiteatro romano è un importante tassello di questo percorso e restituisce ai cittadini e ai visitatori di Ancona lo spaccato di un periodo cruciale della storia della città Dorica; un lavoro che proseguirà nel corso dei prossimi mesi con l’elaborazione di un ampio progetto di restauro e valorizzazione del monumento antico, rendendo accessibili tutte le sue particelle, per offrire una visione quanto più completa e stratificata della città resa ulteriormente possibile dalla prossimità con il Museo Archeologico nazionale, dove poco più di un anno fa è tornata visibile una rinnovata sezione museale dedicata all’età romana”.
Anfiteatro romano di Ancona-
L’anfiteatro romano è stato realizzato nel periodo augusteo (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.) sulla sella collinare che sovrasta il porto e la città antica di Ancona; la morfologia del pendio ha condizionato la forma dell’ellisse non perfettamente regolare con asse maggiore che misura circa 93 metri (corrispondenti alla misura romana di mezzo stadio), l’asse minore di 74 metri (cento gradus) e l’arena di 52 metri (un actus e mezzo). La cavea, sviluppata su oltre venti gradinate disposte su tre ordini, poggiava in parte sulla roccia marnosa – tagliata per accogliere la struttura – e in parte su volte cementizie costruite in elevato.
Ancona-L’Anfiteatro romano
Si può calcolare che l’anfiteatro potesse accogliere fino a 10.000 spettatori e ciò suggerisce che l’edificio fosse destinato sia all’utenza cittadina sia a quella del contado, se non anche delle cittàromane più vicine. Le tecniche costruttive dell’anfiteatro di Ancona sono molteplici, spesso in mescolanza tra loro, a
testimoniare sia alcuni “ripensamenti” in corso d’opera, sia fasi edilizie successive. Dopo l’abbandono in età tardo antica (IV d.C.), venne utilizzato come cava di materiali e, a partire dal XIII secolo, come base per nuove costruzioni che ne hanno nascosto la struttura. L’arco di ingresso ingloba, probabilmente, la porta monumentale di accesso all’acropoli di epoca greca che, anche per la sua valenza culturale, fu gelosamente conservata dall’architetto di età augustea.
Adiacente all’anfiteatro è stato scavato parte di un complesso termale – un vasto ambiente (frigidario) con vasca rivestita di lastre di marmoree, pavimento a mosaico con iscrizione che menziona i duo viri della colonia augustea, da poco costituita, e pareti affrescate, e altri ambienti con resti del sistema di riscaldamento termale, eretti sopra un precedente lastricato stradale. Il rifugio Birarelli – rifugio antiaereo del carcere di santa Palazia (o “tunnel della morte “), fu costruito nei primi anni Quaranta dai detenuti del carcere. Concepito a protezione degli stessi detenuti, oltre che del personale del carcere, il rifugio fu un realtà aperto anche alla cittadinanza, e in particolare agli abitanti del quartiere Guasco – San Pietro; per questo era diviso in due parti da un piccola porta che separava i detenuti dalla popolazione. Durante il bombardamento della novembre 1943 il rifugio fu colpito da quattro bombe sganciate da bombardieri dell’Aviazione dell’esercito degli Sati Uniti, almeno due delle quali ebbero effetti sulle circa mille persone che in quel momento si trovavano all’interno, inclusi molti bambini e le orfànelle dell’Istituto Birarelli: i morti furono più di settecento (mai nella storia della guerra aerea si sono contate tante vittime civili in seguito a un bombardamento su un rifugio anti aereo). Il tunnel è stato riaperto nel novembre del 2013, a settanta anni da quei fatti, e al suo interno contiene anche preziose testimonianze di età romana.
ORARI: Segreteria Soprintendenza Archeologia delle Marche tel.071 50298202 -dal lunedi al venerdi ore 10.00-12.00 Prenotazioni per Gruppi superiori alle 20 unità
Roma-Museo del Corso -Dopo Chagall arriva Picasso –
Roma Capitale-Il nuovo Museo del Corso – Polo museale, la nuova istituzione culturale voluta e promossa da Fondazione Roma, ha registrato in soli due mesi oltre 120mila visitatori con le visite alla Collezione permanente e all’Archivio storico di Palazzo Sciarra Colonna e l’esposizione della Crocifissione bianca di Marc Chagall, visibile a Palazzo Cipolla dal 27 novembre 2024 al 27 gennaio 2025.
Roma, Museo del Corso
Roma, Museo del Corso
Roma, Museo del Corso
“Chagall a Roma – la Crocifissione bianca, oltre a rappresentare uno degli eventi culturali più rilevanti del Giubileo, ha avuto soprattutto un ruolo simbolico e spirituale per il messaggio di evangelizzazione e di difesa della dignità di ogni individuo. Lo testimonia anche la visita di Papa Francesco venuto ad ammirare l’opera, tra le sue preferite proprio per il messaggio di unità tra culture religiose che ispira”, ha dichiarato Franco Parasassi, Presidente di Fondazione Roma. “Il nuovo Museo del Corso – Polo museale, inaugurato a fine novembre, sta riscuotendo un grande successo. Stiamo ricevendo un altissimo numero di richieste di prenotazione. Tutto questo dimostra come Roma sia una città in cui c’è ancora spazio per l’arte e la bellezza e per promuovere tante iniziative culturali, ed è a questo bisogno che Fondazione Roma vuole rispondere attraverso un impegno costante, che conferma con la prossima prestigiosa mostra dedicata a Pablo Picasso, attesa per il 27 febbraio”.
Roma, Museo del CorsoPICASSO-LO-STRANIERO-27febbr-29giugno-2025
Picasso lo straniero dal 27 febbraio – 29 giugno 2025
Ideata da Annie Cohen-Solal, la mostra esplora l’identità dell’artista come immigrato in Francia, dove, nonostante la fama mondiale, non ottenne mai la cittadinanza. Un percorso che unisce estetica e politica per raccontare come Picasso abbia rivoluzionato l’arte del Novecento vivendo la condizione di “straniero”. La mostra Picasso lo straniero, organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con Marsilio Arte, aprirà a Palazzo Cipolla dal 27 febbraio 2025.
Dopo il successo per la Crocifissione bianca di Chagall, il Museo del Corso – Polo museale accoglierà infatti dal 27 febbraio al 29 giugno 2025 la mostra Picasso lo straniero, a cura di Annie Cohen-Solal con un intervento di Johan Popelard del Musée national Picasso-Paris, organizzata da Fondazione Roma con Marsilio Arte, realizzata grazie alla collaborazione con il Musée national Picasso-Paris (MNPP), principale prestatore, il Palais de la Porte Dorée di Parigi, il Museu Picasso Barcelona, il Musée Picasso di Antibes, il Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee.
Saranno esposte per l’occasione più di cento opere di Picasso, oltre a documenti, fotografie, lettere e video: per la seconda tappa italiana dopo Palazzo Reale di Milano e Palazzo Te a Mantova il progetto espositivo si arricchisce di un nucleo di opere inedite, selezionate dalla curatrice appositamente per lo spazio espositivo romano. In particolare l’esposizione presenta un’importante sezione dedicata alla primavera romana del 1917 trascorsa da Pablo Picasso con Jean Cocteau, Erik Satie, Serge de Diaghilev e Leonid Massine.
La mostra dedicata a Picasso sarà visitabile al pubblico a Palazzo Cipolla dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20; lunedì dalle 15 alle 20; giovedì dalle 10 alle 22.30.
Oggi Palazzo Sciarra Colonna, antico palazzo nobiliare e sede della Fondazione Roma, rappresenta il cuore del Museo del Corso – Polo museale. Al suo interno è custodita una ricca Collezione permanente tra cui spiccano opere di artisti come Pietro da Cortona, Piermatteo d’Amelia, Lucio Fontana, Giacomo Balla, Mario Schifano, Mimmo Paladino e Igor Mitoraj.
La raccolta di opere sviluppa attraverso i secoli il rapporto tra l’arte e la Capitale. La Collezione accoglie al proprio interno dipinti, sculture e arazzi connessi alla storia di Roma e ad artisti che vi soggiornarono, abbracciando un ampio arco temporale, dal XV secolo ai giorni nostri.
Conservato nel Palazzo anche un medagliere prestigioso e ricco, la cui gran parte è costituita da emissioni dei Pontefici romani. Seconda solo alla collezione vaticana, la raccolta numismatica del Museo del Corso – Polo museale si compone di oltre 2500 pezzi, alcuni dei quali unici o estremamente rari, come l’eccezionale medaglione di Pio IX, in oro, che al rovescio presenta la veduta della navata centrale della basilica di San Pietro.
Parte integrante di alcuni percorsi di visita anche l’Archivio storico della Fondazione Roma e gli appartamenti cardinalizi di grande valore architettonico, che completano il suntuoso aspetto del Palazzo: realizzati nel ‘700 da Luigi Vanvitelli, il Gabinetto degli Specchi e la Biblioteca del Cardinale Prospero Colonna rappresentano un esempio magistrale e pregiatissimo di stile rococò e rocaille.
Informazioni di accesso
Presso Palazzo Sciarra Colonna si effettuano visite guidate completamente gratuite che prevedono percorsi sia a carattere generale che tematico. Inoltre, si possono prenotare, sempre gratuitamente, laboratori didattici e visite dedicate alle scuole. Si informano i visitatori che non è consentito l’accesso con animali di qualsiasi taglia, cibo e bevande.
Le visite guidate sono gestite interamente da Museo del Corso – Polo museale, pertanto non è possibile effettuare visite guidate organizzate da guide esterne. Il servizio di visita guidata per scoprire gli ambienti di Palazzo Sciarra Colonna è offerto gratuitamente da Museo del Corso – Polo museale
Museo del Corso – Polo museale Palazzo Sciarra Colonna via Minghetti 22, Roma
Palazzo Cipolla via del Corso 320, Roma
Tel. +39.06.22877077 dalle 9.30 alle 18.00 – info@museodelcorso.com
Mompeo (Rieti)-“BUSTER KEATON CONCERTO” di Alessandro Gwis, una musica magica per il grande comico del cinema muto-
locandina “BUSTER KEATON CONCERTO” di Alessandro Gwis,
Mompeo -BUSTER KEATON CONCERTO”all’Auditorium S. Carlo sabato 1 febbraio per la stagione di spettacoli dal vivo “ A porte aperte” diretta da Renato Giordano è di scena la musica con il BUSTER KEATON CONCERT uno spettacolo musicale di interazione tra musica dal vivo e cinema proposto dal pianista e compositore Alessandro Gwis. Il Concerto si sposa con la sonorizzazione di tre cortometraggi del grande comico Buster Keaton che verranno proiettati in contemporanea all’esecuzione musicale. Buster Keaton è universamente considerato uno dei più grandi registi dell’era del cinema muto.
Pierpaolo Ranieri (chitarra)
Alessandro Gwis (piano e tastiere)
Marco Rovinelli (batteria).
Il trio di Gwis sonorizza tre tra i suoi migliori cortometraggi, “Cops tje” , “Playhause” e “One week” girati tra il 1920 ed il 1922. La musica del trio con la unione di un’ anima tradizionale e un suono più contemporaneo aiuta lo spettatore a rileggere il cinema di Keaton con la sensibilità del nostro tempo pur rispettandone lo straordinario equilibrio formale e a cogliere l’universalità del suo messaggio artistico. Alessandro Gwis dialoga con le immagini ketoniane puntando a metterne in risalto da un lato la comicità esplosiva basata sulla fisicità e sulla straordinaria mimica di Keaton dall’ altro la vena surreale onirica e profondamente poetica del grande regista. Le composizioni che Gwis ha creato per l’occasione si muovono tra la musica latina, gli echi della tradizione musicale europea, il jazz e l’ elettronica, usata in modo sottile e molto personale. Caratteristica del concerto sono anche le improvvisazioni: a volte malinconiche, a volte ironiche, sempre imprevedibili. Un progetto dinamico, aperto, coraggioso, una musica stilisticamente non ortodossa, ma che invece si offre come strumento perfetto per l’immaginazione di chi ascolta. In scena oltre ad Alessandro Gwis (piano e tastiere) anche Pierpaolo Ranieri (chitarra) e Marco Rovinelli (batteria). Lo spettacolo avrà luogo all’Auditorium S. Carlo di Mompeo con orario di inizio 17,00. L’ingresso è gratuito.
Giulia Mininni-Giornalista
Articolo di Giulia Mininni
Buster Keaton Il silenzioso acrobata della risata
Considerato uno dei più importanti comici del cinema muto, Buster Keaton riuscì a imporsi creando un personaggio unico, commovente ma al tempo stesso irresistibile. Definito «il comico che non ride mai» per la sua espressione impenetrabile e lo sguardo triste, riusciva a suscitare ilarità proprio per la sua capacità di rimanere imperturbabile anche nelle situazioni più assurde
Nato sul palcoscenico
Joseph Francis Keaton, che era nato a Pickway, nel Kansas, nel 1895, già all’età di tre anni iniziò a calcare le scene insieme ai genitori e ai due fratelli, che si esibivano in teatro in numeri comici arricchiti da complicate acrobazie. Sembra che fu Harry Houdini, celebre artista dell’illusionismo con il quale spesso i genitori collaboravano, a soprannominare Buster (in inglese «ruzzolone») il piccolo Joseph Francis quando a sei mesi lo vide rotolare dalle scale senza riportare alcun danno. Pur provocando le proteste delle organizzazioni che cercavano di applicare le leggi contro il lavoro dei bambini, il piccolo Buster continuò a esibirsi e a ottenere grande successo.
Divenuto adulto, nel 1917 si trasferì a New York dove esordì nel cinema al fianco di Roscoe Arbuckle, famoso comico dell’epoca, che lo diresse in numerosi cortometraggi. Il contrasto tra il grasso e ingombrante Arbuckle e l’esile e impassibile Keaton contribuì al successo delle comiche interpretate dalla coppia, basate su inseguimenti a perdifiato e sulle classiche torte in faccia.
Dieci anni di gloria
Nel 1920, resosi indipendente da Arbuckle, Keaton creò una sua compagnia di produzione, la Buster Keaton comedies, e cominciò a realizzare cortometraggi in proprio, di solito diretti insieme al regista Eddie Cline. La comicità di questi cortometraggi nasce non solo dall’efficacia delle gag, ma anche da un più complesso contrasto tra il protagonista e un mondo fatto di oggetti e situazioni che si rivelano ostili. In questo senso Keaton si distingue dall’altro grande eroe della comicità, il sentimentale Charlie Chaplin, facendosi interprete di un cinema in cui le invenzioni comiche, spesso legate a circostanze paradossali, sono strettamente legate allo scontro dell’uomo con una società sempre più tecnologica. L’effetto comico è pertanto inevitabile, come in One week (1920), in cui Keaton è un giovane alle prese con una casa prefabbricata, ricevuta in dono di nozze, e s’impegna in una lotta estenuante nel tentativo di montarla seguendo indicazioni che si riveleranno sbagliate.
La sua popolarità crebbe a ogni nuova apparizione, ma la definitiva consacrazione giunse con il passaggio ai lungometraggi. Fu questo il periodo di film celeberrimi, da Keaton anche diretti, come Senti, amore mio (1923) – divertente parodia di un classico del cinema statunitense come Intolerance (1916) di David W. Griffith, di cui ripropone la struttura costituita da episodi ambientati in diversi momenti storici – o La palla n. 13 (1924), nel quale il comico interpreta un proiezionista che in sogno si ritrova a vivere in un film. Ricordiamo anche altri straordinari successi, quali Come vinsi la guerra (1926) – codiretto con Clyde Bruckman, dove è un macchinista che alla guida della sua locomotiva, chiamata il Generale, durante la guerra di Secessione riesce a salvare la fidanzata dai nordisti –, Io… e il ciclone (1928) di Charles F. Reisner e Il cameraman (1928) di Edward Sedgwick, in cui è un operatore cinematografico talmente maldestro da dimenticarsi di inserire la pellicola nella macchina da presa.
Viale del tramonto
Alla fine degli anni Venti, con la nascita del cinema sonoro, che provocò enormi cambiamenti nello stile della recitazione, alcune grandi stelle del muto entrarono in crisi. Anche Keaton pagò le conseguenze di questa rivoluzionaria innovazione: si aprì per lui un periodo difficile dal punto di vista artistico e personale, e fu costretto a recitare in cortometraggi di livello non eccelso.
Tornò alla ribalta molti anni più tardi grazie a Charlie Chaplin, che lo volle accanto a lui, nella parte di un vecchio pianista, in Luci della ribalta (1952). Degna di nota era stata anche la sua apparizione in Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder, nel ruolo del giocatore di poker. Nel 1959 gli venne assegnato un meritato Oscar alla carriera.
L’ultima, intensa prova d’attore Keaton la offrì in Film (1965), cortometraggio muto diretto da Alan Schneider e scritto da Samuel Beckett, in cui, inquadrato di spalle o di tre quarti, cerca di sfuggire continuamente allo sguardo di chi è intento a osservarlo. Morì poco tempo dopo, a Woodland Hills, in California, nel 1966.
Roma al Museo Casa di Goethe la mostra di Max Liebermann il più importante pittore tedesco della corrente impressionista-
Roma al Museo Casa di Goethe la mostra di Max Liebermann
Roma fino al 9 febbraio 2025 il Museo Casa di Goethe di Roma presenta la mostra “Max Liebermann. Un impressionista di Berlino” a cura di Alice Cazzola, la prima retrospettiva in Italia del pittore ebreo tedesco Max Liebermann (1847-1935).
“Per celebrare 150 anni dalla nascita dell’Impressionismo la Casa di Goethe porta a Roma il più importante pittore tedesco di questa corrente artistica“, afferma Gregor H. Lersch, direttore della Casa di Goethe, che prosegue: “la nostra mostra è un’occasione unica per vedere in Italia l’opera di Max Liebermann in tutte le sue sfaccettature.”
L’esposizione è realizzata in cooperazione con la Liebermann-Villa am Wannsee di Berlino, dove è in corso fino al 7 ottobre 2024 una mostra sui rapporti dell’artista con l’Italia, e con il gentile sostegno del Museo Nazionale Romano. Si avvale del patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania in Italia e dell’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Federale di Germania.
Al Museo Casa di Goethe la mostra intende presentare nella sua totalità la produzione dell’artista grazie a 32 opere che ne ricostruiscono le fasi più importanti.
Nato a Berlino nel 1847, MaxLiebermann è considerato uno dei massimi innovatori della pittura tedesca di fine Ottocento: la sua arte e le sue attività politico-artistiche, tra cui quella di presidente della Secessione di Berlino e dell’Accademia Prussiana delle Arti, hanno dato un notevole impulso alla modernizzazione della scena artistica berlinese.
Inizialmente dedito al Realismo e al Naturalismo, Liebermann pone al centro dei suoi dipinti temi antiaccademici quali il duro lavoro nelle campagne e successivamente, intorno alla fine del secolo, si concentra sugli svaghi equestri dei borghesi in riva al mare e dei giovani bagnanti sulla costa olandese. La tavolozza dell’artista si illumina e le macchie scintillanti di luce diventano il suo marchio inconfondibile. Gli ultimi lavori di Liebermann vertono invece sul suo idilliaco giardino in riva al Wannsee, da lui immortalato con colori pregnanti, nello spirito di una visione impressionistica della natura.
Liebermann intrattenne stretti contatti con la Francia e soprattutto con i Paesi Bassi, ma anche l’Italia svolse un ruolo decisivo nella sua carriera di pittore: tra il 1878 e il 1913 egli valicò le Alpi almeno sei volte. Sappiamo che visitò Venezia, Firenze e Roma e che si spinse fino a Napoli.
A partire dal 1895 fu uno dei protagonisti delle prime Esposizioni Internazionali d’Arte della città di Venezia, l’odierna Biennale di Venezia, e le sue opere furono esposte in numerose collettive a inizio Novecento in Italia, entrando così in contatto con alcuni rappresentanti della scena artistica, tanto che la direzione delle Gallerie degli Uffizi gli commissionò un autoritratto per la propria collezione.
Diverse sue opere sono quindi entrate a far parte di celebri musei italiani, alcune delle quali sono riunite presso il Museo Casa di Goethe, come: Autoritratto del 1908 in prestito dalle Gallerie degli Uffizi (Firenze), Ragazzi al bagno del 1899 dalla GAM – Galleria d’Arte Moderna (Milano), Ritratto del pittore Umberto Veruda del 1899 dal Civico Museo Revoltella – Galleria d’arte moderna (Trieste) e Lavoratrici di merletto del 1894 dalla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro della Fondazione Musei Civici di Venezia.
In Italia trovò inoltre ispirazione per alcuni dei suoi lavori e, per rendere merito al legame che Liebermann intrattenne con la capitale italiana, viene esposto il dipinto Passeggiata sul Monte Pincio del 1911.
La mostra offre una panoramica della carriera artistica di Liebermann, lunga quasi sessant’anni; la maggior parte delle opere esposte (dipinti, disegni e stampe) provengono dalla collezione della Max-Liebermann-Gesellschaft Berlin e.V., da altre collezioni private in Germania oltre che dallo stesso Museo Casa di Goethe.
I dipinti della metropoli berlinese, come i Pattinatori nel Tiergarten del 1923, affiancano una serie di autoritratti e ritratti di famiglia – tra i quali il disegno La moglie dell’artista intenta a leggere del 1885 circa e il quadro ad olio Nonna e nipotina del 1922.
Segue un primo approfondimento sui Paesi Bassi, meta di viaggio e di studio più amata da Liebermann, come testimoniato da dipinti come la Giovane cucitrice con gatto – Interno olandese del 1884 e L’uomo che accudisce i pappagalli del 1900-1901.
Un secondo approfondimento è dedicato ai ritratti dei contemporanei di Liebermann realizzati ad olio e a stampa di Theodor Fontane, Gerhart Hauptmann, Wilhelm Bode e Umberto Veruda.
Non manca una sezione relativa alla grande ammirazione che Liebermann provava per Johann Wolfgang von Goethe. Lo dimostrano le sue illustrazioni di opere del celebre poeta, ad esempio L’uomo di cinquant’anni pubblicata presso l’editore berlinese Bruno Cassirer nel 1922.
Il percorso espositivo si conclude con una serie di sgargianti raffigurazioni del giardino in riva al Wannsee: La terrazza fiorita nel giardino sul Wannsee verso nord-ovest del 1915, la Vista dall’orto verso est sull’ingresso della casa di campagna del 1919 e i Fiori perenni presso la casetta del giardiniere in direzione nord-ovest del 1926.
L’archeologia e l’arte antica esercitarono un forte fascino su Liebermann grazie al soggiorno romano del 1911, tanto che nella loggia della sua villa in riva al Wannsee egli eseguì una pittura parietale ispirata all’antico affresco del giardino sempreverde e fiorito che adornava la Villa di Livia presso Prima Porta a Roma, opera attualmente conservata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.
A testimoniare l’ammirazione dell’artista per l’antichità classica, in mostra è presente l’unica fotografia conosciuta che lo ritrae davanti alla sua loggia, il cui dipinto parietale è stato riscoperto e riportato alla luce nel 2003-2004 e in seguito restaurato. La fotografia è messa a confronto diretto con alcune riproduzioni dell’affresco di Villa di Livia concesse grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, con il quale sarà organizzata una conferenza di approfondimento.
Accompagna la mostra il catalogo “Max Liebermann in Italia” pubblicato in italiano e tedesco, a cura di Alice Cazzola (curatrice della mostra), Lucy Wasensteiner (già direttrice della Liebermann-Villa am Wannsee) e Gregor H. Lersch (direttore del Museo Casa di Goethe). Il volume raccoglie saggi di Alice Cazzola, Sarah Kinzel (ricercatrice presso il Lindenau-Museum Altenburg) e Enrico Lucchese (ricercatore all’Università degli Studi della Campania) e Lucy Wasensteiner.
Roma al Museo Casa di Goethe la mostra di Max Liebermann
SCHEDA INFORMATIVA Mostra: Max Liebermann. Un impressionista di Berlino Curatrice: Alice Cazzola Anteprima stampa: giovedì 19 settembre 2024, ore 11.00 Inaugurazione: giovedì 19 settembre 2024, ore 19.00 Apertura al pubblico: 20 settembre 2024 – 9 febbraio 2025 Sede: Museo Casa di Goethe | via del Corso 18 | 00186 Roma, Italia Orari: martedì – domenica, ore 10.00 – 18.00, ultimo ingresso ore 17.30; lunedì chiuso Biglietto: intero 6 euro | ridotto 5 euro (disabilità, studenti, giornalisti, militari, over 65, soci ACI, ARCI, BIBLIOCARD, FAI, LAZIO YOUTH CARD, ÖSTERREICH INSTITUT ROMA, ROMAPASS, TOURING CLUB ITALIANO e accompagnatore, sconto di 1€ per le persone che hanno visitato la Keats-Shelley House nei tre giorni precedenti) | Carta famiglia (2 adulti con massimo 3 figli): 17 euro | Gratuito: bambini fino a 10 anni, soci ICOM | Tutte le domeniche alle ore 11.00 e alle ore 16.00 il biglietto d’ingresso comprende la visita guidata in lingua italiana.
Napsound: Arriva al Teatro India di Roma il recital partenopeo tra musica e poesia-
Dal 18 al 23 febbraio 2025 il Teatro India di Roma ospita Napsound, un recital che intreccia la potenza della poesia napoletana con un ritmo musicale incalzante. Al centro dello spettacolo, le parole e i suoni si rincorrono, dando vita a un dialogo continuo che attraversa epoche e identità.
Le composizioni di Eduardo De Filippo, Totò, Raffaele Viviani e Ferdinando Russo si mescolano in un fluire narrativo che evidenzia le trasformazioni dei ruoli e delle figure umane. Così, il giudice di Eduardo si trasfigura nel dio cattivo di Russo, mentre la donna borghese di Totò si riflette nella figura più complessa della folla incitata da Viviani. Una metamorfosi costante, capace di sorprendere e commuovere.
Musiche elettroniche si intrecciano ai versi, suggerendo riflessioni sulle connessioni invisibili tra passato e presente, tra il singolo e la collettività. In questo flusso di parole e ritmi, Napsound diventa un ponte tra tradizione e innovazione, un luogo in cui ogni spettatore può riconoscere un frammento di sé.
Il Teatro India si trova nel crocevia dei quartieri più vivaci di Roma – Testaccio, Ostiense e Marconi – e vicino alla riva del Tevere, precisamente sul Lungotevere Vittorio Gassman.
Roma-Parco Archeologico del Colosseo, apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo, sul Palatino-
Roma-Il Parco Archeologico del Colosseo apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo alle pendici meridionali del Palatino, portando quindi a compimento il primo dei dieci progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Caput Mundi nell’ambito della Missione 1 Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo. Un intervento articolato che ha coinvolto tutti gli aspetti della ricerca interdisciplinare, dalle indagini preliminari tramite prospezioni, ai rilievi fotogrammetrici 3d (ante e post operam), fino agli scavi archeologici, ai restauri conservativi delle superfici, alla valorizzazione illuminotecnica con la sponsorizzazione di iGuzzini e la predisposizione di una nuova rampa e vetrata per la migliore visione del mosaico e delle pitture che hanno dato il nome al contesto.
La Schola Praeconum si trova sulla terrazza più bassa del versante meridionale del Palatino, in una posizione che suggerisce un possibile collegamento in antico con il vicino Paedagogium. Pur appartenendo a epoche diverse (il Paedagogium è d’impianto domizianeo ma rimase a lungo in uso anche successivamente, mentre la Schola risale all’età severiana), entrambi gli edifici avevano funzioni legate ai servizi imperiali: il Paedagogium, come indica il nome, era una sorta di collegio per l’istruzione degli schiavi imperiali ed è oggi visibile lungo il percorso meridionale del Palatino, con i suoi pavimenti musivi originari restaurati. La Schola Praeconum, invece, era la sede della corporazione degli araldi, i praecones, incaricati di annunciare le pompae circensi.
Colosseo apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo sul Palatino
Costruita nel III secolo d.C. su edifici preesistenti, la Schola si inserisce nel progetto di ristrutturazione generale del versante meridionale del Palatino promosso dalla dinastiadei Severi. Il suo orientamento rispetta quello dell’asse del Circo Massimo. Dal punto di vista architettonico, la struttura era caratterizzata da una corte rettangolare circondata da un portico sorretto da pilastri (oggi non più visibili se non per lo spazio calpestabile), con un sistema tripartito di ambienti voltati. L’edificio rimase in uso fino al V secolo d.C., come testimoniato dalla sequenza degli apparati decorativi verticali e orizzontali.
Il primo intervento decorativo, risalente al 200-240 d.C., consisteva in pitture murali raffiguranti figure maschili in piedi, vestite con abiti servili e collocate all’interno di architetture ad edicole. Questi personaggi, che portano bastoni, mappe, serti o cassette, sono stati interpretati come tricliniarii. Successivamente, le pareti furono rivestite di lastre di cipollino, mentre sul pavimento venne posato un grande mosaico bianco e nero che ha dato il nome all’edificio. Questo mosaico, unico nel suo genere, raffigura otto figure maschili in corte tuniche, disposte in due gruppi di quattro, con in mano un caduceo, uno stendardo, un bastone. Si ritiene che il mosaico risalga agli inizi del IV secolo d.C., forse durante gli interventi di ristrutturazione avviati dall’imperatore Massenzio.
L’interpretazione delle figure rappresentate nel mosaico ha sollevato diversi interrogativi. Sono state viste come araldi (praecones), impiegati pubblici a servizio dello Stato (apparitores) o aurighi. Tuttavia, appare certo che l’edificio e coloro che vi ’abitavano’ svolgevano funzioni strettamente connesse con il Circo e le relative manifestazioni. Alcune ipotesi suggeriscono che la struttura potesse avere un secondo piano, utilizzato come tribuna imperiale per assistere agli spettacoli circensi.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
Descrizione del film “Una volta nella vita”, per celebrare il GIORNO DELLA MEMORIA -Ispirato a una storia vera. Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. Una professoressa, Anne Gueguen (Ariane Ascaride), propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti.
Bellissimo film da far vedere nelle scuole- Il film lo dovrebbero vedere anche tutti gli insegnanti.
“Bisogna ripartire dalla scuola”: Ariane Ascaride ci racconta Una volta nella vita.
Il suo volto particolare, al di fuori delle convenzioni cinematografiche, ha reso Ariane Ascaride una musa insolita per il suo compagno, il regista Robert Guédiguian. La metà della sua filmografia è segnata da questo rapporto sinergico, artistico oltre che sentimentale. Ma nel giorno della memoria esce in Italia un film in cui il marito non è coinvolto. Una volta nella vita è la storia vera – cosceneggiata da Ahmed Dramé, uno dei ragazzi che l’ha vissuta solo alcuni anni fa – di una classe apparentemente irrecuperabile di un liceo disagiato della banlieue parigina. Una professoressa, la stessa Aristide, non si arrende a darli per spacciati. Li convince pian piano a partecipare a un concorso sulla resistenza e la deportazione, indetto ogni anno dal governo francese. Occasione per guardare alla scuola in maniera positiva. Concorda l’attrice, che abbiamo incontrato qualche giorno fa a Parigi, in occasione dei Rendez-Vous di Unifrance.
“Soprattutto è una storia vera, non si può obiettare in alcun modo, è qualcosa che è accaduto. Una cosa così eccezionale che Ahmed ha voluto raccontarla. Non è stato solo un film, per me, ma un momento della mia vita.”
Le riprese immagino siano state effettuate in un clima particolare, con tutti quei ragazzi.
C’erano pochi attori, molti erano ragazzi che frequentano ancora la scuola. Si sono davvero sentiti coinvolti in questa storia. Dovevo trovare il modo giusto per relazionarmi con loro, in modo che avessero fiducia in me. Mi ha dato modo di capire quanto sia difficile fare l’insegnante, per cui ho grande ammirazione. Naturalmente giravamo solo un film, ma dovevo avvicinarli a me, stabilire un contatto in modo da rendere tutto credibile.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
Una classe piena di colori, religioni, esperienze diverse, come spesso accade nelle periferie.
Sono stati straordinari. Oltretutto abbiamo girato durante il ramadan, per cui in molti passavano la giornata senza mangiare né bere. La prima settimana mi guardavano come fossi veramente una professoressa, non sapevano bene quando si girava o no. Dopo una decina di giorni, fra un ciak e l’altro, non ero un’amica, ma neanche più la professoressa; piuttosto qualcuno con cui parlare e scoprire cose che non conoscevano.
Cosa comporta per un’attrice con tanti anni di esperienza lavorare con ragazzi non professionisti?
È formidabile, ti obbliga a un grande coinvolgimento, ponendoti molti interrogativi sul tuo lavoro. Sono così veri, sono alta tensione, e non puoi che essere reale anche tu. La mattina arrivavo e li guardavo, li seguivo, poi mi comportavo come una ballerina di tango: ad azione segue reazione. Due passi avanti, uno indietro. È andata così. Abbiamo girato durante l’estate nella vera scuola, il Liceo Léon Blum a Créteil, nella banlieue parigina. I ragazzi hanno presto preso le abitudini che avevano durante l’anno scolastico, mettendosi a fare confusione e a chiacchierare durante le pause. La sola cosa che dicevo era: “se sento ancora qualcuno urlare gli metto le mani alla gola”. Ecco, questo le professoresse non possono dirlo, ma io sì.
Ha incontrato la professoressa che interpreta?
Non prima delle riprese, soltanto dopo, e siamo diventate molto amiche.
Come mai non l’ha incontrata prima?
Perché non volevo riprodurla, volevo costruire il personaggio intorno a quello che avevo letto e alla sceneggiatura. Se avessi cercato solamente di riprodurla non sarei mai riuscita a farlo, non è questo il mio lavoro; devo creare il personaggio, non riprodurlo.
Spesso sulle prime pagine si parla della scuola solo come fonte di problemi. Lei è ottimista?
Non era un vostro grande intellettuale, Gramsci, che parlava di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà? La penso così. Se guardiamo bene il mondo viene da chiedersi come se la caveranno questi ragazzi, ma allo stesso tempo non voglio cedere a pensieri del genere. Sono pieni d’energia e di risorse, il mondo di domani è loro. Faranno delle proposte che noi neanche immaginiamo; ho una fiducia assoluta in loro, bisogna solo ascoltarli.
Lei è madre, questo l’ha portata a una maggiore identificazione con questi mesi bui, specie per i giovani?
Penso di sì. Mia figlia è stata particolarmente sconvolta dopo il 13 novembre: ha perso dei cari amici. Non voleva più uscire di casa, per lei il mondo in cui è cresciuta è finito quella notte, non vuole più avere figli. Penso che mai come oggi il ruolo di madre sia di importanza cruciale.
Non pensa che nelle grandi manifestazioni, dopo Charlie Hebdo e gli attentati di novembre, siano mancate le banlieue?
È proprio questo il problema. Nelle periferie ci sono moltissimi giovani che lavorano, superano gli esami, che vogliono integrarsi, e si integrano, all’interno della società francese. Allo stesso tempo c’è una frangia di persone in sofferenza, senza armi se non la violenza, verbale o del tipo peggiore. Sono fascisti, assassini, folli. Uccidono dei giovani con cui magari sono andati a farsi un bicchiere sei mesi prima. Giovani esattamente come loro. L’errore dello stato francese è non aver compreso come mai siano diventati così, dell’abbandono di queste persone. Non sono che il risultato delle azioni dei nostri governi, i quali, quando non c’è stato più lavoro, li ha assistiti, con il sussidio di disoccupazione, cancellando la loro identità, rendendoli una massa informe.
In fondo nel film quello che fa il suo personaggio è proprio far emergere la specificità di ogni ragazzo, riconoscerlo, senza considerare tutti come un’unica classe problematica.
È esattamente riconoscere il termine giusto, quello che non facciamo. Lo sa che i ragazzi delle banlieue hanno paura di andare sugli Champs-Élysées, non per paura degli attentati, ma anche da prima?
Pensano non sia il loro mondo. Parlo di giovani nati qui, in Francia. È falso, ma gli abbiamo così tanto fatto sentire che non è il loro mondo, che i più fragili o perduti hanno ascoltato sirene mostruose finendo per uccidere altri giovani. Per questo la scuola è fondamentale: se la scuola va male, anche la società andrà male. Se sapesse da quanto tempo dico questa cosa; fino a che non si farà uno sforzo particolare nelle scuole, aiutando i professori, non cambierà niente. Fino a che ci saranno i licei ghetto e le scuole private, senza che i ragazzi si mescolino realmente, non accadrà niente di diverso. È complicato, soprattutto considerato che noi siamo andati a cercare il loro petrolio, tracciando dei confini senza sentire il loro parere. Abbiamo fatto di tutto e preso di tutto, e ora puntiamo il dito dicendo che sono cattivi.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
La storia e l’integrazione sono aspetti importanti della sua carriera.
Da figlia di immigrati italiani posso solo dire che è molto difficile essere un’immigrata. Una frase di mio padre la conservo sempre nella mia testa: è incredibilmente duro, perché sei insultato anche vivendo in una città mista come Marsiglia. Sei meno che niente, un ladro, di qualsiasi immigrazione tu faccia parte. È terribile. Tutto questo avendo la stessa religione, immaginate i musulmani. Provo una grande ammirazione per i giovani che riescono ad uscire da tutto questo, ci vuole un coraggio inimmaginabile. Io ho imparato l’italiano, ma non da mio padre, che non ha mai voluto parlarci in quella lingua. Voleva che fossimo francese. Gli scappavano delle parole in italiano solo quando si arrabbiava.
Un’artista e una donna appassionata, Ariane Ascaride. Colpita come tutti i francesi dagli attentati di novembre, ha scritto per “Le Monde” delle parole che suonano ancora più attuali oggi, giorno della memoria, mentre le prime targhe di marmo sui fatti di Charlie Hebdo sono entrate a far parte del tessuto urbano di Parigi, e il ricordo si confonde con l’attualità. Di seguito alcune delle sue parole.
“Obblighiamo i politici a riconsiderare il loro lavoro, le loro responsabilità storiche. I nostri figli non ci hanno chiesto di venire al mondo, tutti dobbiamo loro un rispetto totale e un mondo luminoso. Facciamo ascoltare la nostra voce in modo che conoscano ancora la spensieratezza della giovinezza. Obblighiamo quelli che nelle sfere privilegiate del potere tavolta se ne dimenticano, a considerare le vere ragioni che portano un giovane a uccidere una ragazza o un ragazzo, che magari ascoltano la sua stessa musica.
Parliamo alto e forte, parliamo a quelli che pensano al mondo nella stessa maniera. Cambiamo, impariamo uno dall’altro, salviamo i nostri figli”.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
Un’immagine, una fotografia, alcune parole ci aprono a ricordi che pensavamo di aver dimenticato… Antonio Vivaldi –Qui è una lapide appesa ad una chiesa (si chiama della Pietà ed è ben visibile dalla Riva degli Schiavoni a due passi da Piazza San Marco) a ricordarmi chi in questo luogo passò gran parte della sua vita a suonare il violino e a dirigere i concerti che lui stesso componeva. Di lui oggi si sa quasi tutto anche se un oblio prolungato durato 200 anni ne aveva fatto scomparire la memoria. Forse avrete già intuito a chi alludo: lui è Antonio Vivaldi, uno dei più grandi compositori del suo tempo… (Venezia 1678-Vienna 1741).
Antonio VIVALDI
Ma non starò certo a raccontarvi la sua storia che, pur interessante, immagino già conoscerete, anche se certe parti della sua vita, forse, sono rimaste ancora nell’ombra. Quello che cercherò di fare sarà un breve viaggio nella Venezia della sua decadenza, alla ricerca del suo stile, tra quello spazio che va dalla fine del 1600 ai primi decenni del 1700, tempo in cui Vivaldi visse e dove seppe esprimere tutto il suo genio.
Sembrerà curioso sapere che, nonostante la città non fosse più la stessa dei secoli precedenti (in quanto a ricchezza e potenza bellica) e faccia fatica a fronteggiare le calamità verificatesi più volte (la più gravosa fu l’epidemia di peste che il secolo prima aveva decimato la sua popolazione) si aprono nuovi teatri, dove la gente si precipita: per divertirsi, o per dimenticare. Emergono figure di scrittori divenuti poi in seguito famosi: Carlo Goldoni, i fratelli Gozzi, Giacinto Gallina…
Ma quanto accade in città non è ancora, per Vivaldi, motivo di interesse. Iniziò qui la sua storia quando, uscito dal seminario, ha già 25 anni, ma soprattutto è un sacerdote. Sembra però che la vita ecclesiastica non sia stata quella adatta a lui. Il pretesto, o la causa, che lo allontana dai suoi obblighi sacerdotali è una malattia di cui soffriva fin da ragazzino e diagnosticata allora come « strettezza de petto » (un’asma bronchiale). Per il giovane Antonio la dispensa dal dire messa fu una vera fortuna che gli consentì di dedicarsi esclusivamente alla musica, unica ragione della sua vita. Ma al periodo passato in seminario Vivaldi sarà sempre grato: gli consentì di studiare e approfondire la conoscenza della musica, imparando a suonare il violino e a perfezionare una tecnica virtuosistica, da molti definita insuperabile.Ma, in cuor suo, Vivaldi si sente attratto dalla composizione. Scrive musica, anzitutto quella strumentale, che sottopone al padre (suona il violino nella Cappella Marciana, l’unica istituzione musicale della città), ma non trova estimatori. Il suo sogno di dirigere un giorno la Cappella Marciana si infrange quasi subito. Gli unici che si accorgono di lui sono i membri del direttivo dell’Oratorio della Pietà, luogo di carità istituito già nel lontano 1300. Lì verrà accolto nell’organico degli insegnanti come « maestro de violin » e compensato con 40 ducati annui, aumentati poi a 100 per l’incarico aggiuntivo di maestro concertatore.
Antonio VIVALDI
Questa assunzione presso l’oratorio sarà la sua fortuna. Tra l’impenetrabile silenzio delle sue mura, lavorerà per decenni portando avanti la sua non dichiarata “rivoluzione musicale”, dando vita a tutto il suo estro creativo, mettendo la sua musica su un piano che allora, ma anche oggi, sorprese tutti per le evidenti novità che introdusse. Dagli studi fatti al seminario Vivaldi si era accorto di come tutto ciò che aveva appreso appartenesse ad un’epoca ormai spenta. Le dinamiche espressive dei concerti che ascoltava risentivano della lentezza con cui venivano eseguiti. Certi strumenti, come il clavicembalo, non potevano esprimere più nessuna nuova potenza sonora, ragione che lo spinse, progressivamente, ad escluderlo dagli strumenti della sua orchestra a favore degli archi e dei fiati di cui intravvedeva nuovi e più importanti sviluppi. Nelle sue partiture emergono nuovi simboli dove si riconoscono ben tredici graduazioni che stabiliscono le intensità dei “piani” e dei “forti”. Nel solo tempo “allegro”, 18 sono le variazioni sonore a riprova che tutto era stato da lui vagliato e migliorato.
Dentro all’Oratorio spetta a lui scegliere tra le allieve le più meritevoli (non sorprenda questo fatto ma l’istituto raccoglieva solo ragazze, abbandonate in tenera età). Per disciplina interna sono tenute al rispetto e all’obbedienza e lui non chiede di più: l’impostazione musicale ottenuta porterà nel giro di qualche anno le sue allieve al massimo grado di perfezione, superando, per capacità, l’orchestra ed il coro della stessa Cappella Marciana. A Vivaldi molti guarderanno con rinnovato interesse. Dall’estero gli giungeranno richieste per poter partecipare alle sue lezioni, domande che non sempre furono concesse.
Antonio VIVALDI-Venezia-Calle della Pietà-Lapide Vivaldi-Foto-Giovanni Dall’Orto
Dal libro di Walter Kolneder Vivaldi (edit. Rusconi), a proposito della sua musica, leggo : «… le prime opere di questo genere dovettero apparire al pubblico come rivelazioni di una nuova umanità, l’ampiezza degli sviluppi dovette produrre un effetto tale da mozzare il respiro».
Che cosa aveva di così travolgente la musica di Vivaldi su chi l’ascoltava? Anzitutto quella gran massa di suoni eseguiti a ritmi elevati per quei tempi (ma ci sorprendono anche oggi!), poi le variazioni tonali, l’uso degli archi così sorprendente, frutto di una tecnica eccelsa in possesso delle sue allieve, e le novità messe in atto dallo stesso Vivaldi che aggiungeva difficoltà crescenti allo svolgimento dei suoi concerti. Sorpresero tutti le “martellate”, così definite allora, quelle specie di frustate buttate addosso alle corde degli archi, con gesti eseguiti soprattutto dalle violiniste, che le impegnarono anche fisicamente, in una fatica nuova ma esaltante. Tutto, alla fine, produceva un effetto estraniante, che stordiva piacevolmente chi ascoltava.
Antonio VIVALDI
Nel corso degli anni successivi, Vivaldi comincerà a comporre anche per le corti europee più importanti. La sua musica aveva raggiunto le vette più alte guadagnata in anni di silenzioso lavoro. Il re di Francia Luigi XV per il compleanno del figlio Delfino chiese a Vivaldi una cantata. “La Senna festeggiante”, così si chiama, fu composta ed eseguita nel 1726, tra la compiaciuta contentezza dei convenuti.
Ma ad impreziosire i suoi rapporti di quegli anni va ricordata l’amicizia e stima di J. S. Bach il quale intuì, e fu forse l’unico, l’enorme portata del rinnovamento messo in campo dal “prete rosso”; lo apprezzò così tanto che trascrisse alcune sue sonate portandole alla sola voce del clavicembalo (Bach era innamorato di questo strumento scrivendo per lui decine e decine di pezzi). Si sa della loro corrispondenza e di come Bach studiasse gli spartiti di Vivaldi. Tracce dell’influenza vivaldiana si possono trovare nei Concerti Brandeburghesi.
Di Vivaldi esiste un unico disegno fatto da Pier Leone Ghezzi nel 1723 quando giunse a Roma. Aveva allora 45 anni. Dal profilo si nota la grande massa dei suoi capelli (erano rossi e arricciati), gli cadono sulle spalle. L’ampia fronte fa scendere lo sguardo sul naso aquilino, poi sulle labbra, forse sottili. Più volte ho cercato di immaginarlo Vivaldi. Alto circa un metro e settanta, dentro al suo lungo abito nero, col breviario stretto sotto al braccio, la mente che inseguiva le sue musiche, il suo passo veloce per tornare all’Oratorio e metterle nel foglio pentagrammato. Di lui Charles De Brosse disse che era più veloce a scrivere un concerto di quanto non facesse un copista a ricopiarlo…
Tralascio ciò che fece Vivaldi nei decenni successivi dove si dedicò quasi esclusivamente alla musica profana, scrivendo più di 90 fra opere e cantate. Potrà sorprendere questo cambio di indirizzo, ma Vivaldi aveva capito che le nuove tendenze che circolavano in città volevano altro. La musica sacra, che gli aveva dato la notorietà, non era più richiesta come prima. In questa sua nuova veste Vivaldi si dedicherà anima e corpo in un lavoro che sembrava non aver mai fine. La grande produzione del “prete rosso” ammonta a più di 750 composizioni, ma ciò non deve sorprendere perché ogni compositore dell’epoca aveva come requisito necessario, quello di saper scrivere musica con continuità. Allora, nelle chiese e nelle sale da concerto, non era previsto che una stessa musica fosse suonata due volte.
Vivaldi avverte che il suo tempo sta per scadere. A Venezia altri sono i compositori le cui musiche trovano maggiori consensi. Si fanno largo Benedetto Marcello, Tommaso Albinoni e per Vivaldi gli spazi si vanno restringendo. Molti non approvano che un prete, come continuava ad essere lui, dovesse vestire anche i panni dell’impresario e uomo d’affari. (Per gli accordi presi con il Teatro di S. Angelo e per garantire i contratti con le maestranze con cui era venuto a collaborare, Vivaldi si prese cura di tutta la gestione). Ma erano troppe le voci contrarie per poter respingere i pregiudizi più velenosi.
Vivaldi lasciò per sempre Venezia accogliendo l’invito di Carlo VI d’Asburgo che lo volle alla sua corte a Vienna. Era il 1728. Nella capitale asburgica rimase fino al 1741, anno della sua morte, un anno dopo la morte del sovrano Carlo VI che lasciò il nostro Vivaldi in condizioni economiche precarie. Fu sepolto nel cimitero dell’ospedale in una fossa comune. Le note del suo funerale , trascritte nel registro parrocchiale così dicono: «Si è constatata la morte del molto reverendo Sig. Antonio Vivaldi prete secolare età 60 anni, avvenuta per infiammazione interna, nella casa Satler presso la porta di Carinzia.» Si concluse così la vita di uno dei più grandi musicisti del 700.
Ed il suo stile? Vi chiederete. Già… Sta tutto nei fogli pentagrammati, negli ascolti ripetuti che ce lo rivelano puntualmente. Se confrontati con altre composizioni dell’epoca, si potrà intuire quasi subito nei duetti fra l’assolo del violino e l’orchestra, fra soprano e contralto, fra flauto dolce e orchestra.
Per quanti volessero farsi un’idea più precisa della musica di Vivaldi potrei suggerire l’ascolto di alcuni brani che, a mio avviso, sono tra i più significativi della sua arte.
Tra le Quattro Stagioni scelgo L’Estate (LINK). Poi passo ai Concerti di Dresda, allo Stabat Mater (Philippe Jaroussky LINK), al Concerto Grosso in fa minore, il Concerto per flauto dolce e orchestra RV 443, la Cantata Juditha Triumphans. Aggiungo, e lo consiglio vivamente, il bellissimo documentario girato dalla BBC che ha per titolo Gloria at Pietà. All’ascolto del celeberrimo brano, si aggiungono le immagini, e la ricostruzione fedele delle atmosfere dei concerti vivaldiani all’interno della chiesa della Pietà.
Massimo Rosini
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.
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