Ugo Mancini- Trilussa l’antifascista cerebrale -Biblioteca DEA SABINA
Infinito edizioni- Formigine (Modena)
Descrizione-Non è raro che si senta parlare di un Trilussa afascista, non fascista, mussoliniano, o di un Trilussa crepuscolare, perso nella Roma della sua gioventù e incapace di cogliere il senso delle novità introdotte dal regime.
Ugo Mancini- Trilussa
Seguendo la sua produzione poetica, Trilussa si staglia sul suo tempo per il coraggio mostrato nel farsi paladino della pace, dell’uguaglianza e del libero pensiero e nel denunciare, con una satira sottile, i limiti dell’uomo e della politica, di qualunque colore; per essersi fatto interprete degli stati d’animo del popolo e delle sue tensioni più profonde, per quel non detto, quei puntini sospensivi che più che un’autocensura erano un rimando a ciò che tutti potevano capire senza doverselo sentir dire.
Trilussa non fu fascista e non fu mussoliniano. Tantomeno fu fascistizzabile, nonostante tra i suoi estimatori vi fossero diversi esponenti del regime. L’informatrice Elvira Gottardi lo definì un “antifascista cerebrale”. La Polizia politica creò un fascicolo a suo carico, mise sotto controllo il suo telefono e lo circondò di informatori. Il governo lo lasciò “libero” di pubblicare, perché non si poteva mettere la mordacchia a un intellettuale di fama mondiale e per non ledere gli interessi del fido Mondadori. Al tempo stesso non gli conferì alcun riconoscimento: non fu mai nominato accademico d’Italia e non gli furono mai concessi sussidi, di cui beneficiarono invece centinaia di intellettuali.
Biografia di Ugo Mancini è docente di Storia e Filosofia nei licei e studioso del fascismo.
Tra le sue pubblicazioni: Lotte contadine e avvento del fascismo nei Castelli Romani (2002); 1939-1940. La vigilia della seconda guerra mondiale e la crisi del fascismo a Roma e nei Castelli Romani, (2004); Il fascismo dallo Stato liberale al regime (2007); Classe industriale e costituzione economica. Il progetto liberista del “partito degli industriali”, in A. Buratti, M. Fioravanti, Costituenti Ombra (2010); La guerra nelle terre del papa (2011); Il fascismo a settant’anni dalla Liberazione, in Aa. Vv., Ruggero Zangrandi: un viaggio nel Novecento (2015). È autore inoltre del corso di storia per i licei Il mondo, i fatti, le idee (2007). Con Infinito edizioni ha pubblicato 1926-1939, l’Italia affonda (2015).
Trilussa
Infinito edizioni
-Chi siamo-
Infinito edizioni nasce come casa editrice specializzata in saggistica e reportage giornalistici, con grande attenzione verso Chi siamo
Infinito edizioni nasce come casa editrice specializzata in saggistica e reportage giornalistici, con grande attenzione verso i diritti umani e civili.
Fondata – dopo circa un anno di lavoro dietro le quinte – l’8 novembre 2004, Infinito edizioni vuole proporsi come un punto di riferimento culturale per chiunque voglia fare dell’impegno serio e della sensibilità l’humus da cui far germogliare l’albero delle proprie idee.
Ideatori del progetto, su cui quotidianamente sono impegnati insieme a fidati collaboratori, sono Maria Cecilia Castagna e Luca Leone, a cui potete inviare le vostre idee e i vostri progetti.
i diritti umani e civili.
Fondata – dopo circa un anno di lavoro dietro le quinte – l’8 novembre 2004, Infinito edizioni vuole proporsi come un punto di riferimento culturale per chiunque voglia fare dell’impegno serio e della sensibilità l’humus da cui far germogliare l’albero delle proprie idee.
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Il 1 gennaio 1900 nasce PAOLA BORBONI, LA SIGNORINA TERRIBILE DEL TEATRO ITALIANO
Tratto dal libro di MUSINI DANIELA- Le Magnifiche-33 donne che hanno fatto la storia d’Italia
Editore Piemme
MUSINI DANIELA- Le Magnifiche-33 donne che hanno fatto la storia d’Italia
Fu un’anticipatrice lungimirante in molte cose, Paola Borboni, oltre che attrice dotata di talento superlativo: fu la prima ad esibirsi in Teatro a seno nudo, la prima monologhista italiana, in quel lontano 1954, e probabilmente l’unica a calcare ancora i palcoscenici alla veneranda età di 93 anni e per di più con un’opera di Pirandello, mica pizza e fichi.<<Sono la prima attrice del Novecento>> amava ripetere con malizia e aveva ragione: era nata infatti il 1 gennaio del 1900 a Golese di Parma; quindi sicuramente la prima anagraficamente parlando, ma non solo. Non sarà stata forse la più grande della sua epoca (quando lei muoveva i primi passi c’erano ancora Eleonora Duse che giganteggiava e l’odiata Marta Abba che le aveva rubato la scena nella compagnia teatrale e nel cuore di Pirandello), ma sicuramente è stata la più spregiudicata e versatile. I suoi genitori avevano pensato per lei ad un mestiere quieto e tranquillo, da brava ragazza: maestra, ad esempio, ma si sa, le brave ragazze vanno in Paradiso, le altre dappertutto e soprattutto se la spassano un mondo. E Paolina (all’anagrafe) Borboni “brava ragazza” non fu mai, ma la vita se la godette tanto. Ma tanto tanto. Per cominciare, a sedici anni mollò la scuola, che aveva frequentato di mala voglia, per seguire la sua aspirazione più grande: fare l’attrice. Nel 1916 era considerato un mestiere poco edificante per una signorina di buona famiglia qual era, ma lei dei giudizi altrui se ne infischiava allegramente (e lo farà per tutta la vita) e quindi a Milano dove la famiglia si era trasferita dal parmense, frequenta l’Accademia dei Filodrammatici della città meneghina sotto la guida di Teresa Valvassura.
PAOLA BORBONI
È avvantaggiata in questo dal fatto che il padre Giuseppe è un impresario teatrale specializzato in allestimenti di opere liriche e conosce bene l’ambiente teatrale della città, ma la sua non fu una strada spianata, ma un percorso costruito con talento, arguzia, spregiudicatezza, intelligenza e carattere di ferro. La madre, Gemma Paris, ricchissima ereditiera di Parma, aveva investito il suo ingente patrimonio nell’attività del marito perché amava la Cultura e l’ambiente teatrale ma nonostante ciò non fu entusiasta all’inizio di avere una figlia attrice. Provò a dissuaderla, ma Paola era e sarà sempre un osso duro e non ci fu verso di farle cambiare idea. Giovane com’è e birichina come appare, le mettono alle costole allora un’austera governante che ha da subito vita difficile accanto a quella ragazzina turbolenta, esuberante e civetta. E infatti la signora resiste pochi mesi e se ne va sbattendo la porta. Paola tira un sospiro di sollievo: è libera finalmente da controlli e divieti dai quali si sentiva soffocare e che non tollererà mai nella sua lunghissima vita. Dopo un debutto a Lodi nella commedia “Il fiore della vita” dei fratelli Quintero, per lei a sedici anni c’è la grande occasione che arriva in maniera inaspettata: come spesso accade a Teatro o nell’Opera Lirica, la protagonista femminile della compagnia di Alfredo De Santis si ammala e lei, che è l’attrice giovane, la sostituisce nel “Dio della vendetta” di Shalomon Asch. Riscuote un successo personale eclatante e da quel momento non si ferma più. Affianca la grande Irma Gramatica (che aveva soffiato la parte di Mila di Codra nella dannunziana “La figlia di Iorio” nientemeno che alla Duse) in vari allestimenti, poi è una splendida Anna Page nelle “Allegre comari di Windsor” di Shakespeare e per nove anni sarà primattrice accanto a Armando Falconi con cui mette in scena ben trenta commedie italiane e francesi. Nel frattempo è cresciuta sia attorialmente che fisicamente: è diventata bella e sensualissima, ha affilato la sua ironia e incrementato la volitività, ha consolidato la testardaggine e potenziato la trasgressione. È audace e nel contempo raffinata, è provocante ma mai volgare, è allusiva e talvolta impudica ma sempre con classe. Gli spettatori, soprattutto quelli maschili, vanno in sollucchero quando lei appare sulla scena con tutta la sua insinuante e consapevole carica erotica. Nel 1925, mentre il Fascismo esalta la donna quale angelo del focolare e premia le mamme prolifiche, lei ha l’ardire di sfidare la censura andando in scena a seno nudo nello spettacolo teatrale “Alga Marina” di Carlo Veneziani. Doveva rappresentare una sirena che esce dall’acqua e quando tutti, vedendola seminuda, gridarono allo scandalo, lei replicò con la verve briosa e polemica che la connotava: <<Ipocriti che non siete altro! Se faccio la sirena, me lo dite come potrei uscire dall’acqua tutta vestita? Che forse le sirene vanno in giro protette da uno scafandro?>>
PAOLA BORBONI
Quello spettacolo scatenò un elettrizzante putiferio, con il pubblico che quasi faceva a botte per accaparrarsi un posto in prima fila e che la felice penna di Orio Vergani raccontò così: <<Le repliche di quella commedia mobilitirano più binocoli di quanti ne fossero stati usati in mezzo secolo di prove ippiche a San Siro.>> Seni nudi in scena in Italia non se n’erano visti se non di sfuggita in qualche malandrino teatrucolo di periferia che ospitava scalcinate compagnie di avanspettacolo con le soubrettine disposte a tutto pur di attirare gli spettatori. Intanto il padre muore prematuramente e la madre si ritrova oberata da debiti. Paola è costretta a lavorare a ritmi serrati e ad accettare anche ruoli che più che mettere in luce le sue enormi capacità attoriali, mirano ad evidenziare il suo innegabile sex-appeal. Ma a lei sta bene tutto ciò: è egocentrica ed esibizionista, ama le sfide e i riflettori, ha un seno perfetto e un corpo che è un invito al peccato e li esibisce con gusto e malizia in “Diana al bagno”, in cui appare nuda, velata appena da una tunica trasparente e gode degli sguardi accesi degli uomini in platea che l’applaudono freneticamente. <<Mi divertivo a fare un po’ di chiasso, madre natura mi aveva dato la bellezza. E, allora, perché non farne partecipe il pubblico?>> I ruoli che le affidano nei primi tempi appartengono ai cliché della commedia sofisticata: <<Dovevo fare la cocotte, la rubamariti, l’amante>> ricorderà lei da anziana, non senza una punta di civettuolo compiacimento. Voci (maligne?) la vogliono in quel periodo amante fugace di Mussolini, dal quale era andata a perorare una causa e dal quale era uscita un filino scarmigliata. Comunque sia nel 1929 è così famosa che viene invitata a bordo della corazzata Giulio Cesare con una delegazione del Parlamento Italiano. A proposito di politica: lei, trasgressiva, ironica e audace anche nel linguaggio, ammoniva sempre le giovani attrici delle sue compagnie: <<Le mutande sono come i governi. C’è sempre qualcuno che li vuole far cadere.>> Quanto a lei le portava sempre rosse, quando le portava. Corteggiatissima e disincantata quanto basta, sapeva tenere a bada gli uomini e quando vedeva una sua giovane allieva corteggiata da qualche marpione, soleva ammonirla: <<Ricordati carina, che anche nel migliore degli uomini sonnecchia sempre una canaglia.>> Lei ne aveva incontrati di tipi così, hai voglia!
PAOLA BORBONI
Fu corteggiata persino dal più irresistibile dei seduttori: Gabriele d’Annunzio, al quale disse di no per un antico rispetto nei confronti della sua collega Eleonora Duse (anche se il rapporto tra i due era finito da un pezzo) ma soprattutto per non far parte di quella vendemmia della carne che ogni notte andava in scena al Vittoriale. Non era tipa lei da confondersi con le clarisse e le badesse di passaggio che movimentavano le insonni notti dell’Imaginifico. Non fu mai una comparsa, ma sempre protagonista. Della scena e della vita: <<Ero bella, molto. Ero intelligente, molto. Avevo talento, molto. Ho dato molto fastidio>>, soleva ripetere. Nonostante in molti, infastiditi dalla sua bravura e dal suo mordace temperamento, le remassero contro 1935 diventa capocomico della Compagnia Pirandelliana e mette in scena ben diciassette opere del drammaturgo siciliano, riuscendo a dosare mirabilmente i chiaroscuri della sua voce e a dare vita alle vibrazioni dell’anima di personaggi indimenticabili, come l’inquieta Silia Gala de “Il gioco delle parti”, ma anche quello disperato di Donna Anna Luna ne “La vita che ti diedi” che lui aveva scritto espressamente per Eleonora Duse, ma che la grande Tragica non volle poi interpretare. Paola adorava Pirandello: <<Era bellissimo. Ai miei occhi era un uomo bellissimo. Elegante, assolutamente elegante, naturalmente elegante.>> Chissà, se lui non fosse stato perso per quel demonio di donna che fu Marta Abba, forse loro due avrebbero costituito una coppia magnifica. Si erano incontrati nel foyer del Teatro Quirino; lei indossava un abito blu, di una sfumatura particolare detta blu Nattier (dal nome di un pittore del Settecento, un colorista straordinario che aveva creato quella particolare nuance) e lui l’aveva omaggiata con un <<Che donna elegante!>>. Diventa quindi una delle più intense interpreti pirandelliane, ma la sua versatilità la porta anche ad apparire nei filmetti sexy degli anni Settanta: lo fa per soldi e perché la diverte far arricciare il naso ai critici teatrali che non le perdonavano quelle scivolate goliardiche. Il cinema in realtà non l’attrae più di tanto (anche se ha girato oltre 70 film dal 1918 al 1990) ma dice sì a Pietro Germi per il suo “Gelosia”, a Fellini che la vuole nel suo capolavoro “I vitelloni” e a Manfredi per quel gioiello che fu “Per grazia ricevuta”, e a Dino Risi che le riserva uno dei ruoli più divertenti della sua carriera nel film “Sesso matto” del 1973, in cui lei appare per quel che è: una vegliarda di settantatré anni concupita da un immenso Giancarlo Giannini il quale, animato da impulsi erotici geriatrici, trascura e tradisce la sua carnalissima moglie (una Laura Antonelli di stordente sensualità) perché invaghito di lei (in realtà, si scoprirà alla fine, il vero oggetto del desiderio era la di lei madre novantenne). Ma il Teatro resta e resterà fino alla fine il suo vero amore: <<Il cinema è un’operazione commerciale e l’attore resta sempre un po’ marionetta. Mentre il Teatro è vita, è come mangiare, dormire, amare>>
PAOLA BORBONI
E sulle tavole del palcoscenico costruisce una carriera leggendaria passando con disinvoltura da Sofocle a Marco Praga, da Rosso San Secondo a d’Annunzio, da Diego Fabbri a George Bernard Shaw, da Garcia Lorca a Ugo Betti, Giuseppe Dessì. Ci furono allestimenti che fecero epoca come quando dà vita ad una immensa Elettra nella “Orestiade” di Eschilo accanto ad un’icona come Maria Melato, o quando appare nelle vesti della Clitemnestra alfieriana in un allestimento memorabile accanto a Ruggero Ruggeri, Gasmann, Rina Morelli e Mastroianni o quando fornirà una magistrale interpretazione ne “L’anima buona di Sezuan” di Bertold Brecht per la regia di Strehler. È poliedrica e aperta alle novità (sarà lei, con intelligente lungimiranza, a imporre Pinter in Italia) interpretando ardui autori come Ionesco e Beckett. Non si risparmia, ha energia ed entusiasmo e calca il palcoscenico in tutta la sua prismatica bellezza, in tutte le sue istrioniche forme: commedia, dramma, cabaret, operetta. È superlativa in tutti i ruoli, una primadonna nata, un vero animale da palcoscenico. Dal 1954 al 1968 stupisce il pubblico con un suo personale one woman show: portare in scena sette recital, formati da cinque monologhi ciascuno, che lei inscrive in un ambizioso progetto teatrale di madri, zitelle e donne sole al tramonto, dove, prima e sola in Italia, interpreta una serie di testi di autori italiani tra cui Bacchelli, Alvaro, Savinio, Buzzati e l’immancabile Pirandello. Riuscirà a metterne in scena solo cinque dei sette programmati, con un successo incredibile corredato da premi e riconoscimenti prestigiosi. Per rinforzare la memoria, scrive e riscrive le battute del copione su un foglio: <<venti, trenta volte, così non le dimentico più>>, fedele ad un metodo utilizzato dai grandi attori dell’Ottocento, come ad esempio Ruggiero Ruggieri, dal fisico statuario e dalla voce stentorea, grande interprete dei drammi dannunziani, con il quale recitò spesso a Teatro.
PAOLA BORBONI
Ci fu un altro memorabile compagno di scena che divenne anche compagno di vita, Salvo Randone, più giovane di lei di sei anni, ma più saggio e ponderato di lei che rimarrà una capricciosa, irresistibile bambina anche a novant’anni. Restano insieme per molti anni e si lasceranno malamente quando lui, chiamato in qualità di primo attore da Paolo Grassi, abbandona di colpo la compagnia teatrale e approda al Piccolo Teatro di Milano. Paola non glielo perdonerà. Sa essere rancorosa, caustica e anche vendicativa, all’occorrenza. Ha un brutto carattere, dicono i colleghi: autoritaria, perfida, velenosa, aggressiva, persino antipatica. Lei lo sa e non fa nulla per cambiare. Le sue liti sono leggendarie, le sue battute al vetriolo, le sue invettive taglienti. Ne hanno fatto le spese molti attori, ma l’alterco più clamorosa avvenne con Rascel con cui nel 1968 al Sistina di Roma Paola è in scena nella commedia musicale “Venti zecchini d’oro” scritta da Pasquale Festa Campanile per la regia di Zeffirelli. Fra lei e il piccoletto non corre buon sangue; sono entrambi polemici e puntigliosi e gli attriti sono quotidiani. Per fargli dispetto, conoscendo la puntualità e la professionalità di Rascel, arrivava sempre con un regale ritardo, portandolo all’esasperazione. Una culmine di una vibrante discussione Rascel, inviperito, le gridò: <<Vecchia! Sei vecchia! Vecchia!>> e lei, acuminata come un ago: <<Sono vecchia, sì, ma sono stata giovane e bella. Tu alto, mai!>>
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Sempre al Sistina nel 1972 applausi per lei a scena aperta nelle vesti di Cecilia Patterson in “Ciao Rudy” accanto ad Alberto Lionello, Mita Medici e Giusi Raspani Dandolo. Anno memorabile quel 1972: mette in atto uno dei suoi coup de théâtre meglio riusciti: sposa Bruno Villaraggio, in arte Bruno Vilar, uno sconosciuto artista (mimo, poeta e pittore) di trent’anni anni, ossia quarantadue meno di lei. Al matrimonio lei appare vezzosa e maliziosa, lui intimidito e innamoratissmo. La pubblica opinione irride e deride, le riviste di gossip raggiungono tirature record grazie a questa coppia sbilenca in cui lei, intelligente e autoironica, lo presenta in pubblico non come marito, ma come il mio futuro vedovo. Ma il destino è bislacco e le riserva un’atroce messa in scena: il 23 giugno 1978 lei e il marito sono in viaggio. Ad un tratto lo schianto, esiziale: Bruno muore, lei, a settantotto anni riemerge dalla carcassa accartocciata dell’auto, malconcia, ma pervicacemente viva. Ha varie fratture, ma sopravvive, seppure con il cuore che le scoppia dal dolore. <<Io l’ho sposato perché mi chiudesse gli occhi. La cosa orrenda è che poi è morto lui e io non finirò mai di piangerlo>> racconterà in un’intervista. È distrutta dentro, ma riemerge, ancora una volta, grazie al Teatro. Dopo quell’incidente rimarrà claudicante per sempre, ma non demorde. Sarah Bernhardt in fondo aveva continuato a recitare con una gamba amputata, figuriamoci se lei si arrende per una zoppìa seppure vistosa. E pazienza se dovrà usare le stampelle anche quando è in scena: non se ne vergogna, non le occulta, anzi, le riveste di stoffe damascate e sgargianti, per stupire, come sempre.
PAOLA BORBONI
La televisione l’acclama e a “Portobello”, l’indimenticato programma condotto dall’inarrivabile Enzo Tortora, riesce persino a far parlare il pappagallo, da sempre chiuso in un ostinato mutismo, nonostante centinaia di ospiti, anche illustri, c’abbiano provato. Arriva lei, elegantissima come sempre con il suo amato turbante e l’occhio birbante di sempre e quel dispettoso pappagallo la prende in simpatia e le risponde: anche lui, insomma, si inchina alla regina delle scene Paola Borboni. A ottant’anni si innamora, corrisposta di un uomo di quaranta: il regista Fabio Battistini. La vita insomma continuava per lei anche a quella veneranda età fra tenerezze, interviste, comparsate, ricordi e palcoscenico. Sì, ancora il palcoscenico. A 93 anni va in scena per l’ultima volta con il suo amato Pirandello: “Il berretto a sonagli” e poi l’anno si ritira in una casa di riposo a Bodio Lomnago vicino Varese. Ma in fondo non lascia del tutto le scene, non ne è capace: nelle malinconiche sere dell’ultima stagione della sua vita reciterà ancora per gli adoranti ospiti di quel ricovero e li delizierà citando le sue celebri battute, <<posso andare d’accordo con un cattivo, con un cretino no>> o la risposta famosissima che diede ad un’impertinente quanto sciocca giornalista, <<Signora, i denti sono suoi?>> <<Certo cara, li ho pagati>>), o raccontando gli aneddoti più divertenti della sua vita.
PAOLA BORBONI
Uno lo ripeteva spesso e ne rideva anche lei, ossia quella volta che Salvo Randone, una notte in cui erano in viaggio in treno insieme, e lei aveva la luna di traverso e non la finiva più di rompere gli zebedei, esasperato, approfittò di un rallentamento del treno per buttarsi giù, senza valigia, senza meta, in piena campagna. Quando le chiedevano quali fossero le doti indispensabili per essere vincenti in quel mestiere che lei portò avanti per ben 76 anni, rispondeva con un sorriso: <<Per fare l’attrice ci vuole fascino, morbidezza, attrazione fisica, morale e psichica. Ma ci vuole anche molta generosità per essere una e cento persone. E poi molta fantasia.>> Il sipario si chiuse definitivamente per lei il 9 aprile 1995. Sul prato dell’ospizio, in quella giornata piena di sole, ci fu una danza policroma di farfalle e di petali.
MUSINI DANIELA- Le Magnifiche-33 donne che hanno fatto la storia d’Italia
Daniela Musini-Tratto dal mio libro Le Magnifiche-33 donne che hanno fatto la storia d’Italia (Piemme) Ps: Sereno e luminoso 2023 a tutti Voi
Richard Wagner-Tristano e Isotta(Tristan und Isolde)
dramma musicale su libretto dello stesso compositore
Tristano e Isotta (Tristan und Isolde) è un dramma musicale di Richard Wagner, su libretto dello stesso compositore. Costituisce il capolavoro del Romanticismo tedesco e, allo stesso tempo, è uno dei pilastri della musica moderna, soprattutto per il modo in cui si allontana dall’uso tradizionale dell’armonia tonale.
Richard Wagner-Tristano e Isotta (Tristan und Isolde)
Richard Wagner
Richard Wagner-Tristano e Isotta (Tristan und Isolde)
La trama è basata sul poemaTristan di Gottfried von Straßburg, a sua volta ispirato dalla storia di Tristano raccontata in lingua francese da Tommaso di Bretagna nel XII secolo. Wagner condensò la vicenda in tre atti, staccandola quasi completamente dalla storia originale e caricandola di allusioni filosofiche di stampo schopenhaueriano.
Decisivo per la stesura dell’opera fu l’amore intercorso tra il musicista e Mathilde Wesendonck (moglie del suo migliore amico), destinato a restare inappagato. Wagner era ospite dei Wesendonck a Zurigo, dove ogni giorno Mathilde poteva ammirare pagina per pagina l’evolvere della composizione. Trasferitosi a Venezia per fuggire lo scandalo, Wagner si ispirò alle notturne atmosfere della città lagunare, dove scrisse il secondo atto e dove attinse l’idea per il preludio del terzo. Scrisse Wagner nella sua autobiografia:
«In una notte d’insonnia, affacciatomi al balcone verso le tre del mattino, sentii per la prima volta il canto antico dei gondolieri. Mi pareva che il richiamo, rauco e lamentoso, venisse da Rialto. Una melopea analoga rispose da più lontano ancora, e quel dialogo straordinario continuò così a intervalli spesso assai lunghi. Queste impressioni restarono in me fino al completamento del secondo atto del Tristano, e forse mi suggerirono i suoni strascicati del corno inglese al principio del terz’atto.»
Terminato a Lucerna nel 1859, Tristano venne inizialmente proposto al teatro di Vienna, dove però fu respinto in quanto giudicato ineseguibile. Dovettero trascorrere ben sei anni prima che il dramma potesse essere rappresentato per la prima volta al Koenigliches Hof- und National- Theater (Opera di Stato della Baviera) di Monaco di Baviera il 10 giugno 1865, diretta da Hans von Bülow con Ludwig e Malwina Schnorr von Carolsfeld nelle parti dei due protagonisti, e con il concreto sostegno del re Ludwig II.
La critica dell’epoca si divise tra coloro che videro in quest’opera un capolavoro assoluto e quelli che la considerarono una composizione incomprensibile. Tra questi ultimi figura il critico austriaco Eduard Hanslick, noto per le sue posizioni conservatrici in ambito musicale. Fu proprio l’atteggiamento di Hanslick a fornire a Wagner l’idea per il personaggio di Sixtus Beckmesser ne I maestri cantori di Norimberga.Il cosiddetto “accordo del Tristano“, che apre la partitura.Una copia del manoscritto originale . Finale.
Al Teatro alla Scala di Milano, il 29 dicembre 1900, andò in scena nella traduzione italiana di Boito ed Angelo Zanardini con la direzione di Arturo Toscanini. Nel 1902 avvenne la prima rappresentazione in concerto nel Théâtre du Château-d’Eau di Parigi di “Tristan et Isotte” nella traduzione francese di Alfred Ernst.
Musica
Nella musica del Tristano si è voluta vedere un’anticipazione del futuro.[1] Servendosi dell’uso ossessivo del cromatismo e della tecnica della sospensione armonica, Wagner ottiene un effetto di suspense che dura per tutto il corso dell’azione. Le cadenze incomplete del preludio non vengono risolte fino alla fine del dramma, che si chiude col canto di amore e morte di Isotta (Liebestod). Come dice il critico Rubens Tedeschi, il linguaggio musicale del Tristano deve farsi infinitamente duttile per dipingere – oltre il pochissimo che accade – il moltissimo che viene alluso. Il Leitmotiv deve quindi smussare la propria nettezza melodica a favore della massima incertezza. In questo sbiadire dei contorni melodici si insinua l’allentamento dei rapporti armonici, come l’ombra notturna dei due amanti contribuisce all’ambiguità dei significati. È una sorta di ondeggiamento perpetuo simile al movimento del mare. Hanslick stroncò il valore della partitura affermando che “contiene della musica ma non è musica” e denunciando “il fumo dell’oppio suonato e cantato”. Lo stesso Wagner, in una lettera a Mathilde Wesendonck, definì il proprio lavoro “qualcosa di terribile, capace di rendere pazzi gli ascoltatori”.
Particolarmente impressionanti per la loro modernità – al limite della dodecafonia – sono le variazioni del tema del Filtro d’amore e della Canzone mesta del pastore, a metà del terzo atto, che accompagnano il protagonista nella sua delirante allucinazione. Il cromatismo e il prevalere dell’armonia sulla melodia appaiono già evidenti fin dalle prime battute del preludio (tema del Desiderio). Carl Dahlhaus definisce queste battute come una serie informe e insignificante di intervalli se non fosse per gli accordi che sorreggono e determinano la condotta melodica. La condotta armonica del tema del Desiderio (ossia il famoso “accordo del Tristano”) acquista carattere motivico in proprio. Allo stesso modo, il motivo del Destino deve la sua inconfondibile fisionomia non tanto alla condotta melodica quanto al collegamento con una successione di accordi che ha l’evidenza inquietante dell’enigma. In altre parole, la condotta armonica (che se ascoltata autonomamente non avrebbe senso) scaturisce nel rapporto che intercorre tra il motivo melodico del tema del Destino e un contrappunto cromatico a suo modo integrato nel motivo stesso: affiora l’idea paradossale di un “motivo polifonico”.[2]
La prima rappresentazione del Tristano nel 1865 ebbe un effetto non indifferente sul pubblico dell’epoca. Rubens Tedeschi segnala che l’estetica del decadentismo europeo nacque in quel momento, sebbene all’interno di un processo che sarebbe accaduto anche senza il diretto intervento di Wagner. La “valanga intellettuale” investì letterati, pittori e musicisti preparando la ribellione della avanguardie novecentesche. Valgono tra tutte le parole di Giulio Confalonieri:
«Tristano non ha soltanto soddisfatto una sete e placato una febbre ormai brucianti nell’umanità intera, ma altresì infettato la musica di un bacillo che nulla, nemmeno le più moderne penicilline, sono ancor riuscite ad eliminare del tutto.»
Interpretazione
Wagner all’epoca del Tristano.
Si dice spesso che nel Tristano Wagner abbia voluto mettere in scena la filosofia di Schopenhauer. In effetti, in una lettera spedita a Franz Liszt nel dicembre del 1854, Wagner scrisse che l’incontro col grande filosofo gli aveva rivelato un “accorato e sincero desiderio di morte, la piena incoscienza, la totale inesistenza, la scomparsa di tutti i sogni, unica e definitiva redenzione”. Ma (come nota il critico Petrucci nel suo Manuale wagneriano), se così fosse, Tristano e Isotta avrebbero saputo dominare la loro passione. Schopenhauer insegna che per raggiungere la serenità occorre accettare la sofferenza e rassegnarsi alla concezione pessimistica dell’impossibilità del desiderio. Tristano è invece letteralmente divorato dal desiderio. L’esaltazione della notte – cantata per tutto il secondo atto come brama irrisolta di fuggire la luce del giorno e con essa la vacuità del reale – trova nella morte la sua naturale conseguenza in quanto liberazione. Una liberazione, dunque, non pessimistica rinuncia ma simbolo (per metà ascetico, per altra metà panteistico) di unione cosmica. Per questo motivo, Tristano era addirittura venerato dal filosofo Nietzsche, anche in virtù delle sue ideologie dell’ateismo: “Vorrei immaginare un uomo capace di ascoltare il terzo atto del Tristano senza il supporto del canto, come una gigantesca sinfonia, senza che la sua anima esali l’ultimo respiro in un doloroso spasimo”.
Schopenhauer e la filosofia della pace dei sensi saranno piuttosto trattati nel mistico Parsifal, che decretò l’allontanamento di Nietzsche dalla concezione wagneriana. A proposito del presunto ateismo del Tristano, vale la pena di segnalare un’osservazione di Antonio Bruers: “A chi giudicasse esagerato l’uso della parola ateo, dobbiamo rilevare un fatto che non si discute: in tutto il Tristano non è mai nominato Dio.”
Un altro dubbio circa il legame con Schopenhauer arriva da Thomas Mann: “Tristano si rivela profondamente legato al pensiero del Romanticismo e non avrebbe avuto bisogno di Schopenhauer come padrino. La notte è il regno di ogni romanticismo; scoprendola esso ha sempre identificato in lei la verità, in contrasto con la vaga illusione del giorno, il regno del sentimento in antitesi a quello della ragione”.
In effetti Tristano racchiude in sé la percezione di un mondo misterioso e fantastico in cui esprimere la propria “eterna eccezionalità”; racchiude l’inconsapevole ricordo di eventi passati e fondamentali; racchiude l’individuo che per comprendersi si isola dalla società. Cos’altro simboleggiano, per esempio, i favolosi castelli che Ludwig II eresse tra i monti della Baviera? Lo stesso Ludwig che, un’ora dopo aver assistito alla prima rappresentazione, decise di ritirarsi da solo nella notte, cavalcando nel bosco in preda ad una fortissima emozione. Allo stesso modo farà Zarathustra di Nietzsche, che per ritrovare se stesso si ritira sulla cima di una montagna. Siamo già molto lontani dall’eroe medievale del soggetto originale. L’eroe è stato trasferito dalla dimensione dell’amore cortese alla tenebrosa atmosfera degli Inni alla notte di Novalis.
Del resto, come sempre capita in Wagner, non è possibile non rintracciare alcune latenti allusioni politiche che tanto fecero discutere in seno alla Tetralogia. Già il poeta Hölderlin aveva decantato la “grande missione” della Germania, situata al centro dell’Europa e considerata come il “cuore sacro dei popoli”. In questa direzione, Tristano e Isotta potrebbero forse simboleggiare la verità intima che la forza del filtro magico ha saputo rivelare contrapponendola al resto del mondo, all’apparenza delle convenzioni sociali. Tali allegorie (che in futuro avrebbero contagiato pericolosamente la politica intesa come purezza dello spirito tedesco) si associano però al costante desiderio di annullamento nutrito dai protagonisti. Il loro desiderio non è deputato a risolversi nell’opulenza della vita materiale ma in un’altra dimensione, simbolo metafisico della vita più autentica e segreta. Questo è il vero dramma dei due amanti: l’impossibile conciliazione della dicotomia in cui sono costretti a vivere, divisi come sono tra anima e corpo, tra essenza e apparenza, come rivela il tormento allucinato di Tristano nel terzo atto, mirabilmente reso nell’incisione discografica di Wilhelm Furtwängler.
Tristano e Isotta non vivono un amore normale ostacolato dalle avversità come accade in Romeo e Giulietta, bensì inappagabile per sua stessa natura, condannato a vivere nel finito e soddisfabile solo nella morte. È la verità più profonda che gli amanti avrebbero taciuto reprimendola nel subcosciente. Non c’è da stupirsi, quindi (anche se per altri comprensibili motivi) che Cosima Wagner ironizzò riguardo l’amore intercorso tanti anni prima tra suo marito e Mathilde Wesendonck. Nel suo libro La mia vita a Bayreuth, Cosima scrisse: “Poverina, si spaventerebbe se sapesse cosa c’è nel Tristano!”
Trama
Antefatto
Per liberare la Cornovaglia da un ingiusto tributo imposto dagli irlandesi, Tristano ha ucciso il cavaliere Morold, patriota irlandese e fidanzato della principesse Isotta, figlia del re d’Irlanda. Ferito durante il combattimento, viene amorevolmente curato dalla stessa Isotta, la quale non conosce la sua identità. Soltanto il ritrovamento di un frammento della spada le fa capire di trovarsi davanti all’assassino del suo uomo; allora lo risparmia, facendosi promettere di sparire per sempre dalla sua vita. In seguito, Tristano infrange il giuramento e ritorna per portarla in sposa al Re di Cornovaglia, come pegno di riconciliazione tra i due paesi.
Atto I
Scena 1ª
La voce di un giovane marinaio si alza dal ponte di un vascello:
“Verso levante muove la nave, soffia il vento verso il nostro paese: e tu, bimba irlandese, dove rimani?…”
In rotta verso l’Inghilterra, Isotta sfoga la sua rabbia contro il giovane Tristano, cui la lega un confuso sentimento di amore e di odio. Lo fa chiamare affinché la venga a trovare ma Tristano, turbato, risponde di non poter abbandonare il timone della nave.
Scena 2ª
Isotta ricorda il passato, racconta alla sua ancella Brangania di essersi affezionata a un misterioso guerriero di nome Tantris, il giovane rimasto ferito nella battaglia, che lei raccolse curandone le ferite. In realtà, Tantris era Tristano, che presentandosi sotto falso nome era riuscito a scampare alla vendetta di Isotta grazie al suo sguardo supplicante.
“Con lucida spada mi presentai davanti a lui, per vendicare la morte di Morold. Dal suo giaciglio egli mi guardò: non sulla lama, non sulla mano, ma sui miei occhi egli alzò lo sguardo. Con mille giuramenti mi promise lealtà eterna ed ebbi pietà per la sua pena. Ma ben altro sfoggio fece Tristano di ciò che in me celavo. Colei che tacendo gli ridava la vita, colei che tacendo lo salvava dall’odio, tutto egli ha messo in mostra! Borioso del successo, mi ha additata quale preda di conquista. Sii maledetto, infame!…”
Reprimendo l’amore che li unisce, Isotta vorrebbe uccidersi con lui per cancellare l’affronto.
Scena 3ª
Tristano arriva e, in un impeto di rabbia, accetta di sacrificarsi con onore.
“La signora del silenzio, silenzio a me impone. Se comprendo ciò che ha taciuto, taccio ciò che non comprende.”
Entrambi credono di bere un potente veleno ma Brangania ha sostituito il veleno con un filtro d’amore. Nell’orchestra, ricompaiono i temi del Desiderio e dello Sguardo, che erano già apparsi nel preludio strumentale. Il loro sentimento si rivela con forza alla realtà, ogni incomprensione svanisce e il mondo circostante non ha più alcun significato. Quando lo scudiero di Tristano, Kurwenald, giunge ad avvertire dell’imminente incontro col Re, Tristano risponde: “Quale re?” ormai del tutto ignaro di ciò che sta avvenendo. Nel momento in cui la nave approda nel porto, Tristano e Isotta si gettano l’uno nelle braccia dell’altro.
Atto II
Scena 1ª
Nel giardino del castello di re Marke, durante la notte, Isotta attende l’arrivo di Tristano. Brangania la avverte del pericolo che stanno correndo, sapendo che Melot, amico di Tristano, ma innamorato segretamente di Isotta, potrebbe rivelare al Re l’amore clandestino della coppia. Isotta non le crede. Tristano si precipita in scena con un abbraccio travolgente.
Scena 2ª
Incomincia la lunga notte dei due innamorati che è la vera protagonista del dramma, è l’oscurità che circonda i due amanti e li riassorbe in un’originaria, individuale armonia. Dice Isotta:
“Chi là segretamente celai, come mi parve malvagio quando, nello splendore del giorno, l’unico fedelmente amato sparve agli sguardi d’amore, e quale nemico s’erse dinnanzi a me! Trascinarti voglio laggiù, con me nella notte, dove il mio cuore mi promette la fine dell’errore, dove svanisce la follia del presentito inganno.”
Dice Tristano:
“Su noi discendi, notte arcana! Spargi l’oblio della vita!… Quel che là nella notte vegliava cupamente richiuso, quel che, senza sapere e pensarci, oscuramente concepii – l’immagine che i miei occhi non osavano osservare, ferita dalla luce del giorno – mi si rivelò scintillante.”
”Gloria al filtro e alla sua forza! Mi dischiuse le vaste porte dove solo in sogno ho soggiornato. Dalla visione celata nel segreto scrigno del cuore, esso cacciò lo splendore ingannevole del giorno, sì che il mio orecchio, penetrando la notte, potesse vederla davvero.
“Chi amoroso osserva la notte della morte, a chi essa confida il suo profondo mistero: la menzogna del giorno, fama e onore, forza e ricchezza, come vana polvere di stelleinnanzi a lui svanisce!…Fuor dal mondo, fuor del giorno, senza angosce, dolce ebbrezza, senza assenza, mai divisi, soli, avvinti, sempre sempre, nell’immenso spazio!..”
Ma nel momento più impetuoso della passione, quando le voci e la musica vengono sospinte dal motivo della Felicità, improvvisamente l’incanto si spezza. Arrivano il Re, Melot e i cortigiani del castello, che circondano inorriditi la coppia degli amanti. Il tema musicale del Giorno avverso invade la scena. Sorge l’alba.
Scena 3ª
Melot, tradendo Tristano, presenta al Re la sua vittima. Il magnanimo re Marke si perde allora in un lungo monologo cantato sul tema del Cordoglio, addolorato per il comportamento di Tristano e rievocando le vicende che li unirono in passato.
“A me, questo? Perché? Chi mi è fedele, se il mio Tristano mi tradì?… Se non c’è redenzione, chi può spiegare al mondo tale cupo immenso abisso?…”
Ma Tristano, come trasognato, non può fornire alcuna spiegazione. “Ciò che tu domandi non potrai mai comprendere”, e si volge quindi verso l’amata:
“Dove ora Tristano s’avvia, vuoi tu seguirlo, Isotta? È terra buia, muta, da cui mia madre m’inviò, quando mi partorì dal regno della morte…”
Mentre Isotta lo bacia, Melot incita il Re a reagire. Tristano sfida l’amico a duello e si lascia cadere sulla sua spada. Cade ferito tra le braccia di Kurwenald.
Atto III
Scena 1ª
Il castello di Tristano nel terzo atto.
Tra le rovine del suo castello, accudito dal fedele Kurwenald, Tristano riprende lentamente conoscenza. Ferito nel corpo e nell’anima, egli ha delle allucinazioni. Ciò che desidera gli è negato e il pensiero di Isotta, simbolo di quel desiderio, lo travolge. Immobile sul letto la cerca, in preda al delirio la invoca:
“Kurwenald, non la vedi?!”
Ma l’orizzonte del mare è completamente vuoto. Tristano, allora, maledice il filtro magico che gli rivelò l’amore e la verità:
“Il terribile filtro, che m’ha votato al tormento, io stesso l’ho distillato! Nell’affanno del padre, nel dolore della madre, nel riso e nel pianto, ho trovato i veleni del filtro!”…
Sono pagine molto drammatiche, dove la musica rompe definitivamente con la tonalità tradizionale anticipando per la prima volta il sistema dodecafonico. Ma intanto la nave di Isotta è apparsa davvero all’orizzonte, salutata da un’allegra cantilena del corno inglese. Tristano è fuori di sé dalla gioia. Egli segue l’arrivo del veliero e manda Kurwenald a ricevere l’amata. Rimasto solo, si strappa le bende della ferita e si alza in piedi sanguinante:
“O sangue mio, scorri giulivo!… Lei, che un dì mi guarì le ferite, a me s’avvicina per salvarmi!… Possa il mondo perir, dinnanzi alla mia esultante fretta!”…
Isotta entra in scena. Sulle grandi note del tema del Giorno avverso, i due amanti si abbracciano. Sul tema dello Sguardo, Tristano esala l’ultimo respiro.
Scena 2ª
Mentre Isotta piange la morte di Tristano, un’altra nave approda al castello. Si tratta di re Marke che, venuto a conoscenza del filtro magico e dell’inevitabile verità, è accorso con Melot a chiedere perdono. Ma Kurwenald, furibondo per la morte del suo padrone, si scaglia contro di lui. Appena Melot arriva lo uccide in un colpo; resta ferito a sua volta e muore egli stesso accanto al corpo di Tristano. Il Re, addolorato, cerca di spiegarsi con Isotta ma lei, ormai, non lo ascolta più. Nel suo canto supremo, Isotta invoca la celebre Liebestod, la “morte d’amore” che riunirà i due amanti:
“Son forse onde di teneri zeffiri? Son forse onde di voluttuosi vapori? Nel flusso ondeggiante, nell’armonia risonante, nello spirante universo del respiro del mondo, annegare, inabissarmi, senza coscienza, suprema voluttà!”
Sulle note della Felicità, Isotta cade trasfigurata sul corpo di Tristano. Il Re benedice i cadaveri. Si chiude lentamente il sipario.
Mompeo (Rieti)- Concerto “Emisferi” di Barbara Eramo -Voci di Donne in Musica, dai mari freddi ai mari caldi del mondo-
Mompeo (Rieti)- Concerto di BARBARA ERAMO dal titolo “EMISFERI”-Sabato 15 febbraio 2025 all’Auditorium S. Carlo, h 17.00 di Mompeo per la stagione di spettacoli dal vivo “ A porte aperte” diretta da Renato Giordano nell’alternanza di prose e musica d’autore è di scena la musica con il concerto di BARBARA ERAMO dal titolo “EMISFERI”.
Barbara Eramo e Andrea D’Apolito in Concerto
Barbara Eramo presenta un live intimo, spogliato di sovrastrutture e portato all’essenza delle composizioni col supporto della chitarra acustica e dell’harmonium di Andrea D’Apolito. La scaletta proporrà brani presenti nelle tracce del suo ultimo disco “Emisferi” e all’interno del suo progetto artistico precedente “Emily”, un concept album sulle poesie di Emily Dickinson. La scaletta della performance dell’artista tarantina proporrà omaggi ad autori ed interpreti del folk d’autore, soprattutto femminile, dai mari freddi e ai mari caldi del mondo e di poeti e poetesse da Ildegarda ad Al Mawakib. Tante sono le collaborazioni professionali di Barbara Eramo nel tempo, anche compositrice oltre che interprete, ed alcuni di questi artisti con cui ha lavorato sono presenti come autori dei suoi brani da Giordano a Saletti a Hector Zazou, a Pejman Tadajan .
Concerto “Emisferi” di Barbara Eramo –
Il concerto di Mompeo si concluderà con una interpretazione speciale collegata al direttore artistico Renato Giordano e all’ etichetta Rosso di Sera con la quale hanno entrambi lavorato negli anni novanta del brano “Senza Confini” (musica di Bungaro) con il quale il duo Eramo e Passavanti vinse il premio della critica del Festival di Sanremo 1998 e il “Premio Volare” per la migliore esibizione del Festival assegnato da Michael Nyman, presidente della giuria di qualità, dopo aver trionfato l’anno precedente a Sanremo giovani. Una perfetta chiusura del concerto che avrà luogo proprio nella giornata in cui quest’anno si conclude il Festival di Sanremo!. Barbara Eramo, voce, ukulele, santur, eletronics, chitarra. Andrea D’Apolito ,chitarra, harmonium, voce.
Auditorium S. Carlo, h 17.00. Ingresso Gratuito.
Articolo di Giulia Mininni-Giornalista
Giulia Mininni-Giornalista
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Roma- Torna al Teatro 7 Off, l’esilarante lavoro dei POST-IT 33, “IL POMO DELLA DISCORDIA”-
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Roma -Torna a grande richiesta a Roma, dal 20 al 23 febbraio al Teatro 7 Off, l’esilarante lavoro dei POST-IT 33, “IL POMO DELLA DISCORDIA”. La prima commedia con cui la compagnia si presentò qualche anno fa al pubblico italiano come sagace, raffinata e ironica narratrice della realtà.
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Mario, Stefano e Sebastiano sono tre amici, laureati e in una condizione economica e lavorativa degna di una barzelletta. La svolta della vita arriva il giorno in cui Sebastiano riconosce in una piccola scultura di una mela la probabile opera perduta di un noto artista olandese vissuto cento anni prima e che potrebbe valere almeno un milione e mezzo di euro. Questa grossa cifra saprà mettere in pericolo l’amicizia dei tre ragazzi e non solo, giacché “Il Pomo della discordia” è anche il ghiotto obiettivo di una temibilissima criminale italo-francese pluriricercata.
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Amicizia, tradimenti, risate e una buona dose di piombo. Elementi base di una tragicomica vicenda che riguarda molto da vicino chiunque la veda
La “POST-IT 33” è una giovane compagnia di attori laureati presso l’Accademia internazionale di Teatro di Roma che ha fatto di Drammaturgie originali e di nuove forme di comicità la propria firma. Una realtà attiva in Italia e all’Estero dal 2017, con attori che, nonostante la giovane età, vantano numerose collaborazioni, regie e spettacoli con volti noti del Teatro Italiano e della Televisione tra cui: Marco Simeoli, Roberto Ciufoli, Simone Colombari, Nino Formicola, Luca Negroni, Stefano Masciarelli, Patrizia Loreti, Cinzia Maccagnano, Pietro De Silva.
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
“IL POMO DELLA DISCORDIA”
Una Commedia di SALVATORE RIGGI
Regia di GIORGIA LUNGHI
Con:
MARIANO VIGGIANO | SALVATORE RIGGI | JOHN ZOTTI | DALILA APRILE
DAL 20 AL 23 FEBBRAIO 2025
DAL GIOVEDI’ AL SABATO ORE 21.00 – DOMENICA ORE 18.00
INFO E PRENOTAZIONI
– 389 312 7865 (Salvo)
– 327 050 8733 (Giorgia)
– 328 958 6340 (Mariano)
TEATRO 7 OFF
Via Monte Senario, 81a – Roma
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Le nozze di Figaro è una delle più famose opere di Mozart e dell’intero teatro musicale, ed è la prima di una serie di felici collaborazioni tra Mozart e Da Ponte, che ha portato anche alla creazione del Don Giovanni e di Così fan tutte.
Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte, che la tradusse in lingua italiana (tuttora la lingua ufficiale dell’opera lirica) e che (d’accordo con Mozart) rimosse tutti gli elementi di satira politica dalla storia.
L’opera fu scritta da Mozart in gran segreto in quanto la commedia era stata vietata dall’imperatore Giuseppe II, poiché attizzava l’odio tra le varie classi. Egli impiegò sei settimane per completarla, in particolare scrisse il finale del secondo atto in una notte, un giorno e una successiva notte di lavoro continuato. Fu solo dopo aver convinto l’Imperatore della rimozione delle scene politicamente più discusse che questi diede il permesso di rappresentare l’opera.
Inoltre, la scena finale del terzo atto, che comprendeva un balletto e una pantomima, si dovette scontrare con un divieto imperiale di rappresentare balli in scena. Racconta Da Ponte, nelle sue Memorie, che lui e Mozart, non intendendo rinunciare al finale come l’avevano concepito, invitarono l’imperatore ad assistere a una prova, dove eseguirono quel pezzo muto. L’Imperatore subito ordinò che la musica fosse reinserita.
Così Le nozze di Figaro, finita di comporre il 29 aprile, fu messa in scena al Burgtheater di Vienna, il 1º maggio 1786 con Nancy Storace (Susanna), Francesco Benucci (Figaro), Dorotea Bussani (Cherubino) e Michael Kelly (Basilio e Don Curzio), diretta dal compositore nelle prime due rappresentazioni e da Joseph Weigl nelle repliche. Ottenne un successo strepitoso, al punto che l’Imperatore, dopo la terza recita, dovette emanare un decreto per limitare le richieste di bis, in modo che le repliche non durassero troppo. Ancor più grande fu il successo al Teatro Nazionale di Praga (dal 17 gennaio 1787), dove (a detta di Mozart): «Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta, non si canta, non si fischia che il Figaro, non si va a sentire altra opera che il Figaro. Eternamente Figaro!».
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
L’opera è in quattro atti e ruota attorno alle trame del Conte d’Almaviva, invaghito della cameriera della Contessa, Susanna, alla quale cerca di imporre lo ius primae noctis. La vicenda si svolge in un intreccio serrato e folle, in cui donne e uomini si contrappongono nel corso di una giornata di passione travolgente, piena sia di eventi drammatici che comici, e nella quale alla fine i “servi” si dimostrano più signori e intelligenti dei loro padroni. L’opera è per Mozart (e prima di lui per Beaumarchais) un pretesto per prendersi gioco delle classi sociali dell’epoca che da lì a poco saranno travolte dai fatti con la Rivoluzione francese. L’intera vicenda può anche essere letta come una metafora delle diverse fasi dell’amore: Cherubino e Barbarina rappresentano l’amore acerbo, Susanna e Figaro l’amore che sboccia, il Conte e la Contessa l’amore logorato e senza più alcuna passione, Marcellina e don Bartolo l’amore maturo.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
La trama
Primo atto
Il mattino del giorno delle nozze, Figaro e Susanna sono nella stanza che il Conte ha assegnato loro. Figaro misura la stanza, mentre Susanna si prova il cappello che ha preparato per le nozze. Nella parte centrale dell’atto Figaro si rallegra della generosità del Conte, ma Susanna sostiene che quella generosità non è disinteressata: il Conte vuol rivendicare lo ius primae noctis che egli stesso aveva abolito. Le brame del Conte sono, peraltro, favorite da Don Basilio, maestro di musica. Figaro si arrabbia e medita vendetta. Anche la non più giovane Marcellina è intenzionata a mandare all’aria i progetti di matrimonio di Figaro e sostiene, con l’aiuto di Don Bartolo, il proprio diritto a sposare Figaro in virtù di un prestito concessogli in passato e mai restituito. Don Bartolo, del resto, gode all’idea di potersi vendicare dell’ex barbiere di Siviglia, che aveva favorito il Conte a sottrargli Rosina, l’attuale Contessa. Entra Cherubino per chiedere a Susanna di intercedere in suo favore presso la Contessa: il giorno prima il Conte, trovandolo solo con Barbarina, si era insospettito e lo aveva cacciato dal palazzo. L’arrivo improvviso del Conte lo obbliga a nascondersi e ad assistere alle proposte galanti che il Conte indirizza alla cameriera Susanna. Ma anche il Conte deve nascondersi al veder avvicinarsi Don Basilio, che svela a Susanna le attenzioni rivolte dal paggio Cherubino alla Contessa. Sopraffatto dalla gelosia, il Conte esce dal nascondiglio e, una volta scoperto che anche il paggio era lì nascosto, va su tutte le furie. Entrano i contadini con Figaro, ringraziando il Conte per aver eliminato il famigerato ius primae noctis. Il Conte, con un pretesto, rinvia il giorno delle nozze e ordina l’invio immediato di Cherubino a Siviglia, dove dovrà arruolarsi come ufficiale. Figaro si prende gioco del paggio con una delle arie più famose dell’opera, Non più andrai, farfallone amoroso.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
Secondo atto
Nelle ampie camere della Contessa, Susanna decide di rivelarle le attenzioni che essa ha ricevuto dal Conte. Entra Figaro ed espone il suo piano di battaglia: ha fatto pervenire al Conte un biglietto anonimo dove si afferma che la Contessa ha dato un appuntamento ad un ammiratore per quella sera. Quindi suggerisce a Susanna di fingere di accettare un incontro col Conte: Cherubino (che non è ancora partito) andrà al posto di lei vestito da donna, così la Contessa smaschererà il marito, cogliendolo in fallo. Tuttavia, mentre il travestimento del paggio è ancora in corso, il Conte sopraggiunge e, insospettito dai rumori provenienti dalla stanza attigua (dove la Contessa ha rinchiuso Cherubino), decide di forzare la porta. Ma Cherubino riesce a fuggire saltando dalla finestra e Susanna ne prende il posto. Quando dal guardaroba esce Susanna invece di Cherubino, il Conte è costretto a chiedere perdono alla moglie. Entra Figaro, che spera di poter finalmente affrettare la cerimonia nuziale. Irrompe, però, il giardiniere Antonio che afferma di aver visto qualcuno saltare dalla finestra della camera della Contessa. Figaro cerca di parare il colpo sostenendo di essere stato lui a saltare. Ma ecco arrivare con Don Bartolo anche Marcellina che reclama i suoi diritti: possiede ormai tutti i documenti necessari per costringere Figaro a sposarla.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart-foto Benedetta Folena
Terzo atto
Mentre il Conte si trova nella sua stanza pensieroso, la Contessa spinge Susanna a concedere un appuntamento galante al Conte, il quale però si accorge dell’inganno e promette di vendicarsi (“Hai già vinta la causa”). Il giudice Don Curzio entra con le parti contendenti e dispone che Figaro debba restituire il suo debito o sposare Marcellina, ma da un segno che Figaro porta sul braccio si scopre ch’egli è il frutto di una vecchia relazione tra Marcellina e Don Bartolo, i quali sono quindi i suoi genitori. Marcellina è lietissima di aver ritrovato il figliolo, ma in quel mentre sopraggiunge Susanna con la somma necessaria a riscattare Figaro liberandolo dall’obbligo di sposare Marcellina: vedendoli abbracciati Susanna dapprima s’infuria, poi, compresa la felice situazione, si unisce alla gioia di Figaro e dei due più anziani amanti. Marcellina acconsente alla tardiva proposta di matrimonio dallo stesso Don Bartolo e condona il debito come regalo a Figaro per le nozze con Susanna, Don Bartolo porge un’ulteriore somma di denaro come regalo per il matrimonio; il Conte, invece, monta su tutte le furie.
La Contessa, intanto, determinata a riconquistare il marito, detta a Susanna un bigliettino, sigillato da una spilla, per l’appuntamento notturno, da far avere al Conte. Modificando il piano di Figaro, ed agendo a sua insaputa, le due donne decidono che sarà la stessa Contessa e non Cherubino ad incontrare il Conte al posto di Susanna. Mentre alcune giovani contadine recano ghirlande per la Contessa, Susanna consegna il biglietto galante al Conte, che si punge il dito con la spilla. Figaro è divertito: non ha visto, infatti, chi ha dato il bigliettino al Conte. L’atto si conclude col festeggiamento di ben due coppie di sposi: oltre a Susanna e Figaro, anche Marcellina e Don Bartolo.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
Quarto atto
È ormai notte e nell’oscurità del parco del castello Barbarina sta cercando la spilla che il Conte le ha detto di restituire a Susanna e che la fanciulla ha perduto. Figaro capisce che il biglietto ricevuto dal Conte gli era stato consegnato dalla sua promessa sposa e, credendo ad una nuova trama, si nasconde con un piccolo gruppo di persone da usare come testimoni del tradimento di Susanna che, nel mentre, all’ascoltare i dubbi di Figaro sulla sua fedeltà, si sente offesa dalla sua mancanza di fiducia e decide di farlo stare sulle spine. Entra allora Cherubino e, vista Susanna (che è in realtà la Contessa travestita), decide di importunarla; nello stesso momento giunge il Conte il quale, dopo aver scacciato il paggio, inizia a corteggiare quella che crede essere la sua amante.
Fingendo di veder arrivare qualcuno, la Contessa travestita da Susanna fugge nel bosco, mentre il Conte va a vedere cosa succede; nel contempo Figaro, che stava spiando gli amanti, rimane solo e viene raggiunto da Susanna travestita da Contessa. I due si mettono a parlare, ma Susanna, durante la conversazione, dimentica di falsare la propria voce e Figaro la riconosce. Per punire la sua promessa sposa, questi non le comunica la cosa ma rende le proprie avances alla Contessa molto esplicite. In un turbinio di colpi di scena, alla fine Figaro chiede scusa a Susanna per aver dubitato della sua fedeltà, mentre il Conte, arrivato per la seconda volta, scorge Figaro corteggiare quella che crede essere sua moglie; interviene a questo punto la vera Contessa che, con Susanna, chiarisce l’inganno davanti ad un Conte profondamente allibito. Allora questi implora con sincerità il perdono della Contessa e le nozze tra Figaro e Susanna si possono finalmente celebrare; la “folle giornata” si chiude così in modo festoso con l’aria conclusiva Ah, tutti contenti.
Luciano Feliciani-Aaron Copland- Pioniere della musica americana-
Zecchini Editore-Varese
DESCRIZIONE- Libro di Luciano Feliciani-Aaron Copland,Compositore poliedrico, intellettuale raffinato, pioniere della nuova musica classica americana, Aaron Copland ha percorso quasi interamente un secolo travagliato e ricco di cambiamenti come il Novecento. Il libro ripercorre la lunga e straordinaria vita del compositore statunitense, consacrata alla creazione di un nuovo linguaggio musicale che incarnasse lo spirito americano, mettendone in evidenza opere e pensiero estetico. L’influenza della musica di Copland sui compositori americani a lui successivi è indiscutibile, quanto palesi sono la sua originalità e il suo stile musicale unico e immediatamente riconoscibile. Divenuto ben presto leader e guida per la nuova generazione di musicisti americani, i suoi scritti e la sua attività di direttore d’orchestra e interprete hanno contribuito alla promozione ed alla diffusione della musica americana in tutto il mondo. Conclude il libro una trattazione ricca di esempi sulla sua musica, che offre al lettore un’utile traccia per comprendere il suo linguaggio compositivo e i periodi stilistici che caratterizzano la sua opera.
Copland nacque a New York nel 1900, quinto figlio di immigrati ebrei di origine lituana. Si avvicinò alla musica quando era già un adolescente, ascoltando la musica di Chopin, Debussy, Verdi e frequentando corsi di armonia e contrappunto, guidati tra gli altri da Robin Goldmark. Nel 1921 coronò il suo desiderio di studiare in Francia, diventando il primo allievo americano della famosa insegnante e organista Nadia Boulanger, grazie alla quale imparò ad apprezzare compositori antichi, come Monteverdi e Bach, e moderni, come Ravel. In occasione dei concerti della Boulanger negli Stati Uniti Copland scrisse uno dei suoi primi lavori, una sinfonia per organo e orchestra.
Nel 1924, tornò in America e cominciò una fase compositiva influenzata dal jazz. In questo periodo compose Music for the Theater e Concerto per Pianoforte. Nel 1925, insieme ad altri 14 artisti emergenti e meritevoli, ricevette il “Guggenheim Fellowship”. In questi anni compose musica in uno stile più astratto, per poi avere un drastico cambiamento alla metà degli anni Trenta, quando compose musica più accessibile a un grande pubblico.
Dal 1936 al 1946 compose una serie di brani che sono da annoverare tra le sue composizioni più famose: El Salon Mexico, An Outdoor Overture, Billy the Kid, Quiet City, Sonata per Pianoforte, Danzon Cubano, Rodeo, A Lincoln Portrait, Sonata per Violino, Appalachian Spring e la Terza Sinfonia. Questo periodo particolarmente prolifico verrà premiato nel 1945 con il “Premio Pulitzer” per la Musica.
Amico e spesso mentore di grandi figure della musica, come Leonard Bernstein, Lukas Foss e Seiji Ozawa, fu un grande sostenitore dei giovani compositori e dei loro lavori, anche come insegnante al Berkshire Music Festival di Tanglewood.
Nella sua lunga carriera fu insignito di oltre 30 lauree onorarie e di innumerovoli premi.
Copland morì nel 1990, a 90 anni, per le complicazioni della malattia di Alzheimer.
Vita privata
A differenza di molti uomini della sua generazione, Copland non fu mai tormentato dalla propria omosessualità.[1] Si accettò come omosessuale già da giovane e per tutta la vita ebbe rapporti abbastanza duraturi con altri uomini. Fu amante e allo stesso tempo mentore di Leonard Bernstein, ed ebbe relazioni anche con il ballerino Erik Johns, il fotografo Victor Kraft, il compositore John Brodbin Kennedy e il pittore Prentiss Taylor.[2][3]
Roma al Teatro degli Audaci ritorna a grande richiesta: “Un papà per tutti”-
Roma-Il direttore artistico del Teatro degli Audaci, Flavio De Paola, ha il piacere di invitare, il suo amatissimo pubblico, presso lo stabile del III Municipio per assistere ad una delle commedie che ha fatto ridere le città più importanti d’Italia: “Un papà per tutti“.
Questa divertentissima commedia di Jhon Tremblay, curata nei minimi dettagli dalla regia di Flavio De Paola, sarà in scena al Teatro degli Audaci sino al 16 febbraio 2025! Un cast curato ben selezionato, farà ridere e sorridere il pubblico in sala, saliranno sul palcoscenico Serena Renzi, Emiliano Ottaviani, Antonio Coppola, Antonella Rebecchi, Giulia De Santis e lo stesso Flavio De Paola, che, oltre a dirigere gli attori, in qualità di regista, ricoprirà un ruolo sostanziale all’interno della commedia!
Roma al Teatro degli Audaci : “Un papà per tutti”-Roma al Teatro degli Audaci : “Un papà per tutti”-
“Un papà per tutti” è l’apoteosi degli equivoci: tra menzogne, fraintendimenti e mezze verità, quella messa in atto non è che non una storia della nostra quotidianità. Il protagonista Matteo – interpretato da Flavio De Paola – quando finalmente sta per diventare padre adottivo, è vittima di ciò che non dovrebbe mai accadere in una simile situazione: il suo rapporto di coppia si frantuma e le certezze svaniscono, lasciando spazio a improvvisi e folli equilibri in un “gioco” di menzogne e mezze verità.
Matteo, inoltre, si troverà ad affrontare un incaricato dei servizi sociali, un’impassibile signorina Rottermeier, che incombe come un tuono in una situazione di calma apparente. Ma quella che doveva essere una semplice pratica burocratica di assegnazione dell’infante, si trasforma in una vera e propria baraonda, su cui si innestano storie di tradimenti, di false identità e di nuove scoperte.
Una commedia degli equivoci che non manca di divertire lo spettatore grazie a situazioni tanto assurde quanto comiche e che non perde occasione di trattare, seppur con leggerezza, temi sociali legati all’adozione, alla famiglia e all’omosessualità, lasciando spazio alla riflessione. Le relazioni umane sono al centro dell’intera pièce teatrale e s’intrecciano formando nuovi e insoliti legami, spesso con colpi di scena.
Ma a questo punto non ci resta che invitarvi al Teatro degli Audaci sino al 16 febbraio per non perdere questo straordinario spettacolo, telefonando al numero 06 94376057 tutti i giorni dal lunedì al sabato ore 10:00 – 13:30 / 16:00 – 20:00 e domenica ore 16:00 – 20:00!
Città del Vaticano-Gli appuntamenti del Giubileo degli Artisti e del mondo della Cultura-
Città del Vaticano–Molte le iniziative, rese noti dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, in occasione del Giubileo della cultura, in programma dal 15 al 18 febbraio. Diverse le mostre che saranno allestite, domenica 16 nella Basilica di San Pietro la Messa celebrata dal Papa che il giorno successivo sarà a Cinecittà per incontrare artisti e operatori del cinema. Si tratta della prima volta per un Pontefice negli studios
La Chiesa cattolica – si legge in una nota del Dicastero per la Cultura e l’Educazione – sta celebrando il 25° Giubileo della storia, che il Santo Padre Francesco ha scelto di porre sotto il tema della Speranza. L’Anno Santo si organizza anche attraverso un calendario di appuntamenti tematici, fra i quali spicca il Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura, che si celebrerà a Roma dal 15 al 18 febbraio 2025. Il Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura si ispira alla capacità che Papa Francesco riconosce alle arti e alla cultura: «sognare nuove versioni del mondo, introducendo novità nella storia e mettendo al mondo qualcosa che così non si era mai visto». Per questo, il Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede invita a vivere questa esperienza di fraternità e spiritualità tutti coloro che, con il proprio impegno nell’arte e nella cultura, possono contribuire a portare speranza.
Il Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura si aprirà sabato 15 febbraio, con l’incontro internazionale Sharing Hope – Orizzonti per il Patrimonio Culturale , organizzato in collaborazione con i Musei Vaticani. Sono responsabile di alcune tra le più prestigiose istituzioni artistiche e museali al mondo si riuniranno per esplorare nuovi linguaggi e strategie per la valorizzazione e la trasmissione del patrimonio religioso e artistico. Il loro dialogo confluirà nella consegna di un Manifesto educativo sulla trasmissione del codice culturale delle religioni. Lo stesso giorno, alle ore 18, si terrà l’inaugurazione dello spazio espositivo Conciliazione 5, situato lungo l’omonima via che conduce i pellegrini alla Basilica di San Pietro. La programmazione, affidata per il 2025 alla curatrice Cristiana Perrella, sarà incentrata sulla commissione di progetti d’arte contemporanea ad artisti internazionali, che si avvicenderanno nel corso dell’anno, sul tema della Speranza. Si comincia con i ritratti della comunità carceraria di Regina Coeli: realizzati dall’artista Yan Pei-Ming, saranno esposti presso lo spazio Conciliazione 5 e proiettati sulla facciata dello stesso Istituto.
Domenica 16 febbraio sono in programma due appuntamenti: alle ore 10, la celebrazione dell’Eucarestia nella Basilica di San Pietro, aperta a tutti ed in particolare a quanti lottano nelle arti e nella cultura; a partire dalle 20, una suggestiva Notte Bianca presso la Basilica di San Pietro, eccezionalmente aperta per un percorso di visita che inviterà alla contemplazione e alla riflessione spirituale. Lunedì 17 febbraio il Santo Padre si recherà presso gli studi cinematografici di Cinecittà – la prima volta di un pontefice – per un momento dall’alto valore contenutistico ed evocativo. Nello spirito del Giubileo, Papa Francesco incontrerà a Cinecittà una delegazione di artisti e operatori della cultura, a cui rivolgerà il proprio messaggio. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il Ministero della Cultura della Repubblica Italiana e Cinecittà Luce SpA. Non mancheranno riflessioni sul futuro del patrimonio culturale – con l’incontro Artisans of Hope , riservato ai rappresentanti dei centri culturali cattolici e agli organismi internazionali impegnati nella promozione della cultura – e un’attenzione speciale a forme d’arte contemporanee come la poesia visiva, protagonista dell’esposizione Global Visual Poetry , curata da Raffaella Perna e ospitata nella sede del Dicastero per la Cultura e l’Educazione.
Nei giorni del Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura, i partecipanti saranno invitati a compiere il passaggio della Porta Santa. Il Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura invita a vedere nell’arte e nella cultura strumenti privilegiati per promuovere il dialogo, l’inclusione e la speranza. Attraverso la celebrazione della bellezza e della creatività, esso vuole essere occasione di riflessione e appello ampio affinché le aspirazioni e le ricerche individuali si riconnettano a quelle collettive, cooperando alla costruzione di una società più giusta.
Martha Argerich puoi conoscerla attraverso la sua biografia scritta da Olivier Bellamy: un libro interessante, intrigante e ricco di aneddoti, corredato di cronologia, premi, galleria fotografica, repertorio, discografia e videografia, documentari, indici dei nomi, delle etichette, delle opere citate, dei musicisti, dei cantanti, dei cori, dei luoghi, delle orchestre e degli ensemble che hanno collaborato con la grande pianista argentina.
MARTHA ARGERICH
Olivier Bellamy
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-
Presentazione di Carlo Piccardi
pagine XII+356 – formato cm. 17×24 – illustrato
Collana “Personaggi della Musica”, 19 – euro 25,00
Genio del pianoforte”, “miracolo della natura”, “ciclone argentino”, o ancora “leonessa della tastiera”: non mancano certo le definizioni per evocare la dirompente personalità di Martha Argerich. Nata nel 1941, la leggendaria pianista argentina, applaudita sulle scene internazionali da decenni, affascina per la potenza delle sue esecuzioni e per il mistero della sua personalità. Il suo temperamento indomabile, il carattere libero e indipendente ne fanno un personaggio davvero atipico nel mondo della musica classica. In una narrazione costellata di aneddoti inediti e di sorprendenti rivelazioni, Olivier Bellamy dipana le fila di una vita ricca di eventi e di sviluppi imprevedibili: dall’infanzia in Argentina, quand’era bambina prodigio a Buenos Aires, passando per gli studi di perfezionamento dapprima a Vienna con Friedrich Gulda e quindi ad Arezzo e Moncalieri con Arturo Benedetti Michelangeli, per arrivare alle decisive affermazioni del Premio Busoni di Bolzano e del Concorso di Ginevra e all’apoteosi dello “Chopin” di Varsavia, fino agli anni più recenti, caratterizzati anche da momenti di profonda crisi, da rinunce ai concerti e ancora da trionfali ritorni… Di città in città (Buenos Aires, Vienna, Bolzano, Amburgo, New York, Ginevra, Bruxelles, Londra, Rio de Janeiro, Mosca…), attraverso i suoi colleghi musicisti, gli amori, le amicizie, il libro delinea il ritratto intimo di un’artista dalla profonda umanità.
MARTHA ARGERICH
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