Roma- Al Teatro Lo Spazio va in scena Se io non “avrei” te,
spettacolo di Marco Di Iulio- regia di Marco Simeoli
Roma-Debutta al Teatro Lo Spazio, dal 17 al 20 ottobre, SE IO NON “AVREI” TE, spettacolo di Marco Di Iulio con la regia di Marco Simeoli. Una commedia che racconta con dinamicità e ironia l’eterno conflitto con la nostra coscienza e la quotidiana lotta con l’altro che cerca di entrare nella nostra intimità e si mette in gioco nella relazione.
Una coppia, quattro storie. Quattro attori, Patrizia Ciabatta, Giordana Morandini, Teo Guarini e Francesco Stella, due vite. Una relazione, quattro versioni. Quattro punti di vista, uno scontro.
Patrizia Ciabatta-Attrice
Nell’atavico scontro uomo – donna, universo femminile e maschile, marito – moglie, coppia di fatto o altro che sia, in “Se io non avrei te” i personaggi si raddoppiano rispetto alla tradizione.
“Tra momenti emozionanti e irresistibili scontri come solo nelle vite di chi si vuol bene ci sono, la storia si snoda in una divertente complessità, in un’aulicità’ abbastanza singolare, in un’evanescenza ed al contempo in una crudelissima realtà che sono i motivi che mi hanno portato a voler dirigere questa folle commedia con la speranza alla fine delle prove, se non al debutto, di capirci qualcosa in più, soprattutto su quanti e chi sono in scena. 4 o 2 no 2 ma so’ 4 ma chi…boh!“_ annota il regista Marco Simeoli.
“Se io non avrei te” è uno spettacolo comico che racconta con dinamicità ed ironia l’eterno conflitto con la nostra coscienza e la quotidiana lotta con l’altro che cerca di entrare nella nostra intimità e si mette in gioco nella relazione, analizzando al microscopio una relazione di coppia, prendendo in considerazione anche i rispettivi dialoghi interiori.
Ognuno di noi è abitato dentro da diversi personaggi.
Molti psicologi teorizzano che in un individuo ci siano tante persone che parlano.
Spesso ci succede di litigare con noi stessi, di non parlarci, di sostenerci, di incoraggiarci. Capita spesso di scherzare o di ritrovarsi a ridere con sé stessi.
La storia è semplice: due personaggi Lui e Lei. Lui conosce Lei, i due si innamorano, poi vanno a vivere insieme, poi litigano, poi Lui esce con un’altra, poi Lei se ne accorge, i due litigano, Lei caccia di casa Lui, alla fine Lui fa di tutto per farsi perdonare ed alla fine Lei lo perdona per poi vivere felici e contenti.
Il tutto accompagnato da altri due personaggi Colui e Colei, la Coscienza di lui e la Coscienza di lei che aiuteranno, consiglieranno e sosterranno questa strampalata storia d’amore.
Il pubblico entra in empatia con i personaggi e vive insieme a loro questa giostra amorosa, con i suoi alti e bassi, vive insieme agli attori questa scena senza tempo e senza luogo, dove tutto scorre ed il focus è sull’evoluzione e l’involuzione della relazione amorosa, dove l’obiettivo di tutti è proprio quello di stare bene con sé stessi e con l’altro, di essere felici e contenti.
Informazioni, orari e prezzi
Teatro Lo Spazio
Via Locri,42
informazioni e prenotazioni
06 77076486 / 06 77204149
info@teatrolospazio.it
Spettacoli: Giovedì e venerdì ore 21.00, Sabato ore 18, Domenica ore 17
prezzo biglietto: 15 euro – ridotto: 12 euro
(bar aperto per aperitivo dalle 20.00)
Giacomo Leopardi-la vita raccontata nel film di Mario Martone
Articolo di Alberto Corsani
Per cogliere gli accenti più evocativi del film su Giacomo Leopardi di Mario Martone «Il giovane favoloso», bisognerebbe ascoltare il cd pubblicato nel 1998 da una rivista periodica, che contiene i più celebri «Canti» leopardiani letti da Arnoldo Foà. Il decano degli attori italiani, scomparso lo scorso gennaio, dava una lettura inaspettata di quei testi così celebri e celebrati, fino alla noia proposti agli studenti con il condimento di commenti a volte banalizzanti: una lettura piana, discorsiva, affatto enfatica, perché il contenuto espressivo dei «Canti» è di per sé evocativo, ed essi non richiedono enfasi, anzi richiedono un atteggiamento «amichevole» da parte di chi legge e di chi ascolta.
Ecco, questo era il tono che forse Leopardi ha vanamente inseguito per tutta la sua (breve) vita: il Leopardi interpretato da Elio Germano per il film Martone vive, anzi sopravvive a se stesso, proprio nell’impossibilità di un dialogo disteso e confortevole con chi gli sta attorno e con l’ambiente che lo circonda. Non è, e non può essere, affettivamente coinvolgente il rapporto con un padre immerso nell’astrattezza degli studi, creatore di una biblioteca straordinariamente utile alla formazione dei figli quanto distruttiva della loro infanzia e adolescenza; la madre, così come è descritta, chiunque la vorrebbe dimenticare, anche il vicino di casa, a cui muore la figlia che dalla finestra portava un raggio di luce a Giacomo, e che si sente dire da questa donna tutta fede: è un giorno di gioia quello in cui qualcuno raggiunge Dio.
Ma anche con la natura, che il poeta ha cantato con toni inarrivabili, Giacomo non ha un rapporto accettabile: non solo perché, come emerge dal «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia» e dal «Dialogo della Natura e di un Islandese», essa si presenta ostile nella visione filosofica del recanatese (sulle differenze di visione tra Leopardi e il Manzoni «vicino» a una visione protestante, che considera cioè l’origine del Male più nell’uomo che nella natura, ha molto ben scritto Sergio Givone nel suo libro «Metafisica della peste», Einaudi 2012); nell’invenzione cinematografica di Martone sono gli stessi ambienti, i paesaggi in cui il giovane Giacomo trasmigra ogni volta che riesce ad allontanarsi dalla prigione parentale, a risultargli estranei, pur essendo oggetto dei suoi versi. Qualunque regista di film d’amore o d’avventura si sarebbe premurato di far tagliare il manto «all’inglese», perché facesse da sfondo e non disturbasse lo svolgimento dell’azione. Invece qui i boschi sono disordinati, l’erba è alta, gli sterpi non hanno niente di evocativo, gli intrecci fra i rami si presentano come in effetti sono nella realtà: casuali e privi di senso (fatta salva l’anima biologica della pianta) agli occhi umani. In genere il paesaggio di sfondo precede l’arrivo di Giacomo, che si staglia come una «silhouette», ma sempre estraneo.
Giacomo trovava dentro di sé il senso che mancava alla Natura. Ma dando un senso alla Natura, il giovane poeta perdeva il senso del suo vivere con gli altri. I suoi incontri sono quasi sempre sconfitte: a parte l’impossibilità di avere a che fare con l’altro sesso (l’aspetto non sbagliato ma più scontato del film), anche le presunte amicizie (salvo quella con Antonio Ranieri che, letteralmente, se lo carica sulle spalle come Enea con il padre Anchise, quando Giacomo non riesce a salir le scale) sono tutte strumentalmente concepite dagli interlocutori, sono vacue, accendono nel giovane speranze destinate al nulla. Il circolo fiorentino dei liberali, fra cui spicca uno sprezzante Niccolò Tommaseo, riduce all’ambito politico la considerazione di un poeta mai cresciuto come uomo.
Questa è la condanna di Giacomo: interiormente, fisicamente, sentimentalmente mai compiuto, vede con la mente troppo avanti. E vedere avanti significa anche mettere sul gradino più alto dei concetti quello del dubbio. Ovvio che l’ambiente bigotto di famiglia e di Recanati gli andasse stretto fin dall’adolescenza. Ma ovvio anche che i «progressisti» non potessero accompagnare la sua ansia di senso e di infinito, destinata a non mai risolversi. Non cambia la situazione essere a Firenze o a Roma o a Napoli. Il destino di questo giovane uomo troppo geniale è di saper contemplare e saper interpretare la realtà, senza credere in Dio e ponendo dei grandi limiti alla ragione umana. Così egli diventò un moderno, un uomo che si scopre non adeguato (Kafka arriverà solo un secolo dopo …), che trova un senso universale in uno sguardo dentro di sé, provvisoriamente collocato al di là di una brutta siepe su un colle anonimo come tanti altri. Ma sempre senza lasciarsi coinvolgere dalla realtà stessa: fosse andata diversamente saremmo stati privati di un eccelso poeta e pensatore, e Giacomo sarebbe stato più felice.
Giacomo Leopardi: Canzoni – Bologna 1824Giacomo Leopardi poesia “ALLA SUA DONNA”. (Canzone n. XVIII)Giacomo Leopardi: Canzoni – Bologna 1824
Descrizione-Icona del genio indomito e tormentato, Vincent van Gogh ha ispirato un’incredibile quantità di film e libri che ne hanno celebrato il mito soprattutto alla luce del tragico destino. È proprio da quel mito che Frédéric Pajak cerca di allontanarsi per indagare la parabola di un uomo che in dieci anni di forsennato apprendistato è passato dall’imperizia dei primi schizzi a carboncino all’esplosione di colori dei capolavori dell’ultimo periodo.
Van Gogh, una biografia ripercorre l’erranza esistenziale e artistica del grande pittore, setacciandone l’epistolario per riflettere sugli eventi meno noti o più fraintesi della sua vita. In questa accorata indagine, Pajak raccoglie anche un’altra sfida: affrontare da disegnatore i dipinti di uno dei più grandi artisti di ogni tempo. Ne nascono meravigliose tavole a china che valgono mille interpretazioni, realizzate recuperando le tecniche e gli strumenti – perfino i giunchi di palude – con cui il maestro olandese ha rivoluzionato il vocabolario della pittura.
Tra immagine e parola, un duplice omaggio, unico nel suo genere, alla lucida visionarietà di Vincent van Gogh.
Frédéric Pajak-«Van Gogh, una biografia»Frédéric Pajak-«Van Gogh, una biografia»Frédéric Pajak-«Van Gogh, una biografia»Frédéric Pajak-«Van Gogh, una biografia»Frédéric Pajak-«Van Gogh, una biografia»Frédéric Pajak-«Van Gogh, una biografia»
– A cura di Claudio Bolzan -Zecchini Editore-Varese
Il curatore della Guida è Claudio Bolzan, Oltre 800 pagine, più di 150 compositori, 400 anni di musica, 450 monografie, 650 consigli discografici: è ciò che trovate nella poderosa e ponderosa Guida alla Musica da Camera.
«In un mercato fino a pochi anni fa asfittico, si inserisce questo nuovo passo di Zecchini Editore nella erigenda biblioteca della classica, iniziata nel 2010. Nella Musica da Camera ci si ritrova in mano uno strumento indirizzato dal curatore Claudio Bolzan a musicisti, insegnanti e semplici appassionati: nella prefazione l’autore spiega di non credere a quel tipo di manuali che “si leggono come romanzi”. [… ] In conclusione, una guida equilibrata e strategica, di facile consultazione, che offre la possibilità di scoprire compositori generalmente assenti da auditorium e discografie generaliste, ma anche le composizioni meno note dei grandi della musica […]». (Ferdinando Vincenzoni ,ANSA)
Guida alla Musica da Camera
A cura di Claudio Bolzan
Presentazione di Enrico Dindo
Hanno collaborato: Marco Angius, Davide Anzaghi, Nicola Cattò, Elena Filini, Edoardo Lattes, Stefano Pagliantini, Alessandro Solbiati, Massimo Viazzo.
Copertina cartonata – pp. XXVI+836 – formato cm. 15×21
Collana “Le Guide Zecchini, 4” – Euro 49,00
La musica da camera rappresenta senza dubbio la parte più cospicua e raffinata dell’intero repertorio musicale occidentale, percorrendo da cima a fondo la storia della musica dalla fine del ’500 all’età contemporanea e dando vita ad opere di fondamentale importanza, tali da rappresentare nel modo più completo le varie fasi e i vari movimenti succedutisi nell’arco di ben quattro secoli. Anche per questo tanto più indispensabile diventa una Guida che permetta di orientarsi con efficacia nel mare magnum di questo repertorio, selezionando gli autori più rappresentativi ed analizzando le loro opere più importanti, permettendo di penetrare nel loro interno e offrendo una conoscenza approfondita dei generi, delle forme adottate, dei più svariati organici (dal duo, al trio, al quartetto, con e senza pianoforte, fino alle formazioni comprendenti dieci e più strumenti). Tanto più necessaria diventa una tale Guida nel nostro Paese, data l’assoluta mancanza di un testo di questo tipo, organico ed esauriente, concepito per soddisfare l’interesse dei semplici appassionati, senza per questo trascurare il bisogno di approfondimento di chi è, invece, più addentro nelle conoscenze e nella pratica della musica. Se i primi troveranno gli autori più amati e la presentazione e l’analisi delle opere più celebri e frequentate in sede concertistica e discografica, i secondi potranno incontrare anche i personaggi meno noti, le analisi più ricche, i riferimenti più approfonditi e capillari, uniti ad un’ampia documentazione di prima mano, spesso presentata e tradotta per la prima volta nella nostra lingua.
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L’Aquila, “Tommaso racconta Tommaso” Recital sulla figura del primo biografo di San Francesco di Assisi. Martedì 22 Ottobre 2024 ore 18:30 sarà rappresentato a L’Aquila, Teatro Comunale Ridotto, in nome della fratellanza, della solidarietà e della pace
L’AQUILA – Con il Patrocinio del Comune di L’Aquila e del Comune di Celano il Recital “Tommaso racconta Tommaso”, che già ha raccolto unanime consenso di pubblico e di critica, è presentato all’Aquila dall’Associazione Corale Polifonica “ Giuseppe Corsi “ di Celano e la Compagnia “Teatro Lanciavicchio “ di Avezzano, su testo di Don Antonio Salone. Dopo le quattro repliche nel 2023 a Tagliacozzo ( Teatro Talia), ad Avezzano ( Castello Orsini), a Celano (Chiesa Madonna delle Grazie ) e nella Diocesi di Rieti ( Teatro Santa Filippa Mareri ), questa quinta replica del Recital è stata fortemente voluta dal Nunzio Apostolico S.E.Orlando Antonini presente alla rappresentazione del 5 ottobre 2023 ad Avezzano, positivamente interessato dal lavoro messo in scena.
Il testo del recital è stato scritto da Don Antonio Salone che ha condotto uno studio approfondito sulla figura di Fra Tommaso, come testimonia l’ampia bibliografia a corredo del testo e realizza una nuova prospettiva di indagine e di lettura della figura di Tommaso da Celano.Con la regia di Antonio Silvagni, la Compagnia “Teatro Lanciavicchio” propone gli allestimenti scenici, costumi ,luci e uno straordinario e coinvolgente lavoro di interpretazione del testo, con gli attori Matteo Di Genova, Stefania Evandro, Alberto Santucci, Giacomo Vallotta che sanno proporre la storia di Tommaso in tutta la sua spiritualità. La Maestra Maria Rosaria Legnini,con il Gruppo corale “Giuseppe Corsi” di Celano, ha scelto i brani musicali: musiche medievali a commento delle scene, ponendo attenzione al genere delle Laudi dal Laudario di Cortona, rielaborate e affidate alla voce del Soprano Ilenia Lucci, accompagnata dai componenti della formazione strumentale “MusiCanto Quartet“ composto dai Maestri: Corrado Morisi Fisarmonica, Beatrice Ciofani Violino e Paolo D’Angelo Chitarra. Presenta Domenica Carusi.
Si ringraziano: il Comune dell’Aquila, Sindaco Pierluigi Biondi, il Comune di Celano, Sindaco Settimio Santilli, tutti i sostenitori che hanno consentito la realizzazione dello spettacolo, il Nunzio Apostolico S.E. Orlando Antonini e collaboratori tutti. Il Recital “ Tommaso racconta Tommaso “ rientra nelle attività condotte fin dal 2014 dall’Associazione “ Giuseppe Corsi “ di Celano iniziate con lo studio e la rielaborazione del “Dies Irae” e proseguite nel corso di 10 anni con studi, concerti, animazione liturgiche di cerimonie religiose nell’ambito del “Cammino Misericordioso : Tommaso e Francesco nella terra dei Marsi”. Il recital dunque nasce dalla volontà di far conoscere la figura di Tommaso da Celano e di porre attenzione anche alla ricostruzione storica musicale e teatrale. La rappresentazione del Recital “ Tommaso racconta Tommaso” al Teatro Comunale Ridotto dell’Aquila prosegue il lavoro incessante, svolto da dieci anni, teso alla conoscenza, all’approfondimento e alla comprensione della figura di Tommaso da Celano.
Con la scelta del genere teatrale Recital si è voluto offrire a un vasto pubblico l’opportunità di conoscere la figura di Fra Tommaso, normalmente studiata dal ristretto numero degli specialisti nel settore. Un’occasione importante per conoscere ed apprezzare i valori della fratellanza, della solidarietà , del rispetto dell’ambiente e della riscoperta di relazioni interpersonali improntate all’accoglienza, all’amore reciproco, alla non violenza, alla pace.
Guido Zaccagnini Una storia dilettevole della musica-
-Insulti, ingiurie, contumelie e altri divertimenti-
Marsilio Editori Venezia
Descrizione del libro di Guido Zaccagni-Ombrosi o passionali, romantici o iper-razionali: le vite dei musicisti sono policrome come le melodie con cui accendono i nostri sensi e pensieri. Tensioni emotive, vizi e virtù si traducono nelle loro composizioni, ragion per cui conoscerli e riconoscerli permette di intravedere il volto umano di personalità spesso idealizzate. Forte del rapporto sentimentale e professionale che da circa mezzo secolo intrattiene con la musica in veste di storico, studioso e divulgatore, Guido Zaccagnini racconta i rapporti tra i grandi protagonisti e i segreti dietro la nascita di melodie e falsi miti frettolosamente etichettati come capolavori. Accanto alle vicende biografiche non manca inoltre di chiarire aspetti teorici e legati ai vari contesti che hanno determinato l’affermarsi di leggende o la parabola discendente di forme musicali, correnti e strumenti, dalla Mazurka alla Sonata, dal Verismo all’Impressionismo, dal clavicembalo all’organo ecc. Narrando l’indole autoritaria e iraconda di Händel e le intemperanze di Wagner, la passione per i lepidotteri di Camille Saint-Saëns e il pallino di Erik Satie per gli ombrelli, le bordate di Prokof’ev contro Šostakovič e il Puccini double face, dandy nel bel mondo e «sor Giaomo» per gli amici, l’autore ricompone in modo originale i vari filoni che nel corso dei decenni hanno attraversato le fasi stilistiche della musica, delineando un avvincente affresco che va da Beethoven a Strauss, passando per Schubert, Schumann, Brahms, Wolf e Mahler. Far rivivere dissidi tecnici, morali e concettuali permette di «sollecitare una riflessione e conferire a questi monumenti della nostra civiltà musicale un tocco di umanità: che potrà, forse, farceli sentire più vicini; e magari farceli amare di più».
Breve biografia di Guido Zaccagnini
Guido Zaccagnini ha insegnato Storia della musica presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Scrive per quotidiani e riviste, ed è autore e conduttore per Rai Radio 3, Rai News 24 e Rai 5. Ha fondato e diretto l’ensemble Spettro Sonoro, con cui ha eseguito e registrato, tra le altre, l’opera omnia di Nietzsche. Autore di una monografia su Berlioz, ha tradotto e curato La generazione romantica di Charles Rosen e Su Beethoven. Musica, mito, psicoanalisi, utopia di Maynard Solomon.
Guido Zaccagnini
Guido Zaccagnini
Una storia dilettevole della musica
Insulti, ingiurie, contumelie e altri divertimenti
Giuseppe Clericetti -CAMILLE SAINT-SAËNS- Il Re degli spiriti musicali-
Zecchini Editore Varese
Il 16 dicembre 1921, alle 22.30, dopo una giornata di lavoro e studio, Camille Saint-Saëns si spegne nel suo letto, ad Algeri.
Dal libro di Giuseppe Clericetti, “Camille Saint-Saëns. Il Re degli spiriti musicali”:
In una lettera del 1914 a Gabriel Renoud, Saint-Saëns ammette che il suo animo ha subito duri colpi: ma non gli hanno tolto la fede, «l’avevo già persa». Il Nostro si riferisce verosimilmente al momento della perdita dei suoi due figli, nel 1878. In un’altra lettera dell’epistolario con Gabriel Renoud, Saint-Saëns parla esplicitamente del suo credo:
«[…] È stata una crisi terribile, una lacerazione orribile; capisco bene che molti rifiutano questa lotta! Ci si accontenta di una religiosità vaga; si recita il Credo senza riflettervi, senza vedere le impossibilità che esso enuncia a ogni parola, ed è così che vivono i nove decimi dei cristiani, rimettendosi al prete per farsi spiegare i dogmi che egli non spiega, il dogma essendo per definizione incomprensibile all’intelligenza umana… Quando scrivo musica religiosa mi metto volontariamente in questo stato di religiosità vaga, nel quale vive la maggioranza dei fedeli, ciò mi permette di scriverla in tutta sincerità».
Ciononostante la chiesa si approprierà dell’immagine post mortem di Saint-Saëns: la fotografia ufficiale del compositore sul suo letto di morte lo mostra con un crocifisso in grembo.
La Società Astronomica di Francia commenta le esequie religiose solenni: «il suo animo non credente ne ha riso».
CAMILLE SAINT-SAËNS
Visionario, artigiano, sperimentatore.
VIII+292 – f.to cm. 17×24 – Illustrato – Euro 37,00
Su Camille Saint-Saëns possiamo scoprire (quasi) tutto grazie ai due volumi di Giuseppe Clericetti, tanto diversi quanto insostituibili su un compositore considerato uno dei massimi rappresentanti dell’arte musicale del XIX secolo.
“Il Re degli spiriti musicali” costituisce il primo studio pubblicato in Italia su Saint-Saëns ed è articolato in due parti: una prima sezione presenta la biografia del compositore e la seconda parte è dedicata ai suoi scritti; il libro è completato dall’elenco delle sue composizioni, la bibliografia, l’indice dei nomi e una serie di preziose fotografie e illustrazioni.
Il secondo volume, “Visionario, artigiano, sperimentatore”, investiga i suoi poemi sinfonici che inaugurano il genere su territorio francese, il prezioso corpus delle 127 mélodies, i numerosi nessi con la musica di Mozart, i curiosi autoimprestiti, la prima partitura d’autore dedicata all’accompagnamento musicale in àmbito cinematografico, per finire con un esercizio di confronti interpretativi sulle prime registrazioni di Samson et Dalila.
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Marc Chagall dipinto del 1938 intitolato ” Crocifissione bianca “-
Per Marc Chagall, Cristo non è solo l’uomo-Dio del cristianesimo, ma soprattutto il simbolo stesso del popolo ebraico perseguitato.
Lo splendido quadro del pittore ebreo di origine russa Marc Chagall dipinto nel 1938 intitolato ” Crocifissione bianca ” e conservato presso l’Istitut for Art di Chicago, presenta un’altra visione molto personale del Cristo in croce. Tutto il quadro è in movimento e i colori che predominano sono il grigio e il bianco che si incontrano in continue sfumature che creano un effetto plumbeo. Il crocifisso è posto nel centro del quadro, e si distingue per la sua grandezza, la sua posizione e curiosamente, anche per il panno con le tipiche decorazioni ebraiche, che avvolge i suoi fianchi. Tutto intorno vi sono scene di disordine. Alla sua destra orde rivoluzionarie con bandiere rosse entrano nella scena saccheggiando e appiccando il fuoco alle case di un villaggio. Profughi chiedono aiuto gesticolando da un battello; figure emancipate cercano, in primo piano, di salvarsi come fuggendo dal quadro. Alla sua sinistra si nota un uomo in uniforme nazista che profana la sinagoga e in primo piano un uomo sembra fuggire scavalcando un rotolo della Torah in fiamme. In alto, piangenti, troviamo alcuni rabbini e una donna che fluttuano nella fredda oscurità dello sfondo. Ed ecco che un chiaro raggio di luce penetra dall’alto e illumina la figura del crocifisso che composto, sembra quasi reclini la testa per non guardare. Stranamente questo crocifisso non presenta tracce di sofferenza, mentre è sofferente l’ambiente circostante che rappresenta la disperazione del popolo ebraico durante le persecuzioni antisemite naziste e bolsceviche.
Ciò che colpisce è il fatto che l’autore di quest’opera è ebreo e unisce in un unico grande quadro elementi particolari della sua tradizione religiosa e il centro della religione cristiana. Chagall vede nella figura del crocifisso, nella passione del profeta degli ebrei, del Dio della cristianità morto come uomo, un simbolo valido universalmente per esprimere la miseria del suo tempo. Tra queste traumatiche esperienze il crocifisso è l’unica speranza che resta all’uomo: per questo viene raffigurato senza i tipici segni di una morte sofferente, e una scala fa da ponte tra l’umano e la luce del divino. Cristo quindi è colui che avvicina le sofferenze degli uomini al Trascendente. Per evidenziare il carattere universale della sofferenza, vi è ai piedi della croce il candelabro a sette braccia della tradizione ebraica. Cristo diviene così, per Chagall, non solo l’uomo-Dio del cristianesimo, ma soprattutto il simbolo stesso del popolo ebraico perseguitato.
Marc Chagall nacque in una famiglia ebraica a Lëzna, presso Vicebsk, una città di lingua yiddish in Bielorussia, allora facente parte dell’Impero russo. Il giorno stesso della sua nascita, il villaggio venne attaccato dai cosacchi durante un pogrom e la sinagoga fu data alle fiamme; da allora, l’artista – rievocando le proprie origini – userà dire: “Io sono nato morto”. Chagall era il maggiore di nove fratelli; il padre, Khatskl (Zakhar) Chagall, era un mercante di aringhe sposato con Feige-Ite.[1] Nelle opere dell’artista ritorna spesso il periodo dell’infanzia nello shtetl, villaggio ebraico,[2] felice nonostante le tristi condizioni degli ebrei russi sotto il dominio degli zar e il cui onnipresente ricordo condizionerà tutta l’opera futura.
Ricevette un’istruzione primaria ebraica tradizionale – secondo la Torah, il Talmud, con lo studio dell’antica lingua ebraica. Nell’autunno del 1900 si iscrisse alla scuola cittadina di quattro classi con una specializzazione artigianale, dove eccelse solo nel disegno e nella geometria. Dopo aver convinto la sua famiglia, riluttante a fargli intraprendere la carriera artistica in quanto cosa espressamente vietata dalla Torah, Chagall dapprima lavorò assai di malavoglia come ritoccatore nella bottega di due fotografi, ma nel 1906 iniziò a studiare pittura alla scuola-laboratorio del maestro Yehuda (Yudl) Pen, il solo pittore di Vicebsk: rimarrà nel suo studio per due mesi, non ritrovandosi nell’insegnamento accademico del maestro, e l’anno successivo si trasferì a San Pietroburgo. Qui frequentò l’Accademia Russa di Belle Arti con il maestro Nikolaj Konstantinovič Rerich, che lo ricompenserà con una borsa di studio, e conobbe artisti di ogni scuola e stile. Tra il 1908 e il 1910 studiò prima in una scuola privata, poi alla scuola Zvanceva con Léon Bakst, che per primo gli parlò dei nuovi orizzonti culturali dell’Occidente e gli fece conoscere la pittura di Cézanne e Gauguin.[3]. Per mantenersi gli studi a San Pietroburgo, Chagall lavorava come artigiano dipingendo insegne di negozi, oltre a realizzare le prime opere originali. Questo fu un periodo difficile per lui: gli ebrei potevano infatti vivere a San Pietroburgo solo con un permesso apposito, infatti venne imprigionato per essere rimasto fuori dal ghetto oltre l’orario consentito. Rimase nella città fino al 1910, anche se di tanto in tanto tornava nel paese natale, dove nel 1909 incontrò, grazie alla modella e amica Thea Brachman, Bella Rosenfeld, figlia di ricchi orefici e sua futura moglie. Nel 1912 aderì alla Massoneria[4].
Una volta divenuto noto come artista, nel 1910 Chagall lasciò San Pietroburgo per Parigi avvicinandosi alla comunità artistica di Montparnasse: «Nessuna Accademia avrebbe potuto darmi tutto quello che ho scoperto divorando le esposizioni di Parigi, le sue vetrine, i suoi musei […] Come una pianta ha bisogno di acqua, così la mia arte aveva bisogno di Parigi», dirà poi. A Parigi il giovane Chagall conobbe diversi intellettuali d’avanguardia; si stabilì presto alla Ruche e strinse amicizia con Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay, Fernand Léger e Eugeniusz Zak; manterrà però un certo scetticismo nei confronti del cubismo, considerandolo troppo “realista” e attaccato al lato fisico delle cose, mentre lui si sentiva più attratto «dal lato invisibile, quello della forma e dello spirito, senza il quale la verità esterna non è completa». In questo periodo, nel disordine del suo studio e sempre a corto di cibo e mezzi dipinse i suoi primi capolavori, nei quali il ricordo di casa e dello shtetl è predominante: Alla Russia, agli asini e agli altri, Il Santo vetturino e soprattutto Io e il villaggio, fiaba cubista dove in un’unica visione sono racchiusi paesaggi russi, fantasie popolari, proverbi ebraici.[5]Il poeta Cendrars gli dedicò quattro dei suoi Poèmes élastiques e Apollinaire, riferendosi alla sua pittura, la definì “soprannaturale”. Chagall potrà affermare con soddisfazione: «Ho portato dalla Russia i miei oggetti, Parigi vi ha versato sopra la sua luce». Nel 1914 ritornò a Vicebsk fermandosi a Berlino, dove il mercante d’arte Herwarth Walden organizzò nella propria galleria la prima personale dell’artista, che ebbe un ottimo successo di pubblico e critica. Poco dopo il ritorno in Russia, scoppiò la prima guerra mondiale che, insieme alla successiva rivoluzione, lo terrà di fatto bloccato in patria fino al 1923. Intanto, nel 1915 si era unito in matrimonio con Bella Rosenfeld; nel 1916 nacque la loro prima figlia, Ida.
A Vicebsk, dove ritrovò la famiglia, Chagall dipinse opere come L’Ebreo in rosa, L’ebreo in preghiera, La passeggiata e Compleanno. Nel 1917 prese parte attiva alla rivoluzione russa: in sostituzione del servizio militare, lavorò a Pietroburgo al Ministero della Guerra, dove conobbe i grandi poeti russi del periodo (Pasternak, Esenin, Majakovskij), realizzò le prime illustrazioni per libri e giornali ed espose in alcune importanti collettive. Il Ministro sovietico della cultura Lunačarskij lo nominò Commissario dell’arte per la regione di Vicebsk, dove fondò una “Libera Accademia d’Arte” e il Museo di arte moderna; non ebbe tuttavia successo nella politica del governo dei soviet. Chagall incitò gli artisti di ogni età ad abbandonare gli atelier e portare il loro contributo alla preparazione della festa, oltre che a seguire il proprio estro creativo: così, le opere decorative per il primo anniversario della Rivoluzione scontentarono i funzionari del governo che, in luogo dei ritratti trionfali di Marx, Engels e Lenin, si ritrovarono effigi di mucche e cavalli volanti ed umanizzati. Per questo, Chagall entrò in contrasto con la sua stessa scuola (in cui militava El Lissitzky), conforme per motivi politici al suprematismo, assolutamente agli antipodi rispetto al suo stile fresco ed “infantile”. Dopo un breve viaggio a San Pietroburgo per chiedere «pane, colori e denaro», il pittore trovò al ritorno la sua stessa scuola trasformata in una “accademia suprematista”. Di conseguenza, nel 1920 Chagall fu costretto a dimettersi e si trasferì con la moglie e la figlioletta a Mosca, dove il governo gli affidò l’insegnamento dell’arte agli orfani di guerra delle colonie Malachovka e III Internazionale, mestiere di certo più limitante del precedente. Nello stesso periodo accettò la commissione per la decorazione di nove pannelli (oggi ne rimangono 7) per il Teatro Ebraico di Stato “Granovskij” e disegnò una serie di illustrazioni per il ciclo di poesie in yiddish Grief del poeta David Hofstein, anch’egli insegnante presso il rifugio Malachovka.
Amareggiato, nel 1923 Chagall riuscì finalmente a lasciare la Russia rivoluzionaria grazie all’ambasciatore lituano e, dopo un breve e sofferto soggiorno a Berlino (i quadri che vi aveva lasciato erano andati distrutti o dispersi a causa della guerra) e una commissione del gallerista Cassirer, si trasferì a Parigi, dove ritrovò alcuni dei vecchi contatti. In questo periodo pubblicò le sue memorie in yiddish, trascritte inizialmente in russo e poi tradotte in francese dalla moglie Bella; scrisse anche articoli e poesie pubblicati in diverse riviste e alcuni scritti raccolti in forma di libro e pubblicati postumi. Il mercante Ambroise Vollard gli commissionò varie illustrazioni (principalmente acqueforti), tra cui quelle per le Anime morte di Gogol’, per le Favole di La Fontaine (queste ultime, iniziate negli anni ’30 ed interrotte a causa della morte di Vollard e dello scoppio della guerra, verranno concluse e pubblicate solo negli anni’50), e soprattutto per la Bibbia, che sin dall’infanzia considerava il suo racconto preferito; per poterne assimilare l’anima il più possibile, all’inizio degli anni ’30 Chagall e la famiglia compirono un viaggio in Palestina. Nel 1937 acquisì la cittadinanza francese; durante l’occupazione nazista in Francia nella seconda guerra mondiale e a seguito della deportazione degli Ebrei e dell’Olocausto, gli Chagall fuggirono da Parigi e si nascosero presso Villa Air-Bel a Marsiglia; il giornalista statunitense Varian Fry li aiutò poi nella fuga verso la Spagna e il Portogallo.[6] Da lì, nel 1941 la famiglia Chagall si stabilì negli Stati Uniti, dove sbarcò il 22 giugno, giorno dell’invasione nazista dell’Unione Sovietica.
Negli Usa, Chagall frequentò la numerosa comunità artistica fuggita dall’Europa e grazie all’aiuto del gallerista Pierre Matisse (figlio del celebre Henri) espose in numerose mostre collettive e non; nonostante l’intensa attività e i numerosissimi contatti con la cultura americana, però, si rifiuterà sempre di prendere la cittadinanza statunitense e di imparare l’inglese, continuando ad esprimersi in francese e in yiddish. Il 2 settembre 1944 l’amatissima Bella, soggetto frequente nei suoi dipinti e compagna di vita, morì per un’infezione virale mal curata. La sua morte fu un durissimo colpo per l’artista, che per quasi un anno non riuscì più a dipingere; uscirà dalla depressione solo grazie alla figlia Ida che, oltre a spronarlo a lavorare e fargli tornare l’amore per la vita, nel 1945 gli presentò la trentenne canadese Virginia Haggard McNeil, già separata da un pittore da cui aveva avuto una figlia e con la quale Chagall cominciò una relazione che durerà sette anni e che porterà alla nascita del figlio David il 22 giugno1946. Durante questi duri anni di esilio negli USA, Chagall lavorò a numerose opere, ottenendo commissioni per lavori teatrali che si concretizzarono in imponenti e vivaci scenografie, come quelle per Aleko (settembre 1942, ispirato ad un poema di Puškin) o per L’uccello di fuoco del 1949 al Metropolitan Opera House delle cui scenografie e costumi ideati da Chagall e dalla figlia Ida il compositore Stravinskij ammirò soprattutto la pittura delle scene, “di uno sfoggio fiammeggiante”, rimase meno contento dei costumi.[7] Oltre a questi grandi lavori, l’artista realizzò anche le illustrazioni per le Notti arabe (ispirate alle Mille e una notte), riprendendo per l’editore newyorkese Wolff un’opera già richiestagli anni prima da Vollard; inoltre, collaborò con la rivista “Derrière le miroir”, edita da Aimé Maeght, che diverrà, da quel momento, il suo principale mercante per l’Europa.
Finita la guerra e passata la tempesta dell’Olocausto (che la sua anima sensibile non gli aveva permesso di dipingere direttamente, ma di evocare attraverso opere allegoriche), nel 1948 Chagall fa ritorno in Europa e, dopo un breve soggiorno a Parigi, nel 1949 si stabilisce ad Orgeval. Nel 1947 la Francia gli aveva reso omaggio con un’importante personale al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e l’anno successivo la Biennale di Venezia gli conferirà il Gran Premio per l’incisione. Un’altra importante antologica si tiene nel 1954 alla Galleria Maeght. In questi anni intensi, dopo l’austerità della guerra, riscopre colori liberi e brillanti: le sue opere sono ora dedicate all’amore e alla gioia di vivere, con figure morbide e sinuose. Agli inizi degli anni’50 l’editore Teriade gli pubblica tutte le opere commissionate da Vollard e rimaste fino ad allora inedite. Su consiglio dello stesso editore, Chagall acquista la tenuta Les Collines alle porte di Vence, in Provenza, dove si stabilisce definitivamente. Nello stesso periodo, la figlia Ida sposa il museologo svizzero Franz Meyer, mentre va rapidamente affievolendosi la relazione dell’artista con Virginia Haggard.
Stabilitosi nel sud, Chagall comincia a cimentarsi anche con la scultura, la ceramica e il vetro: prima ad Antibes, infine a Vallauris presso l’atelier Madoura gestito dai coniugi Ramié (dove incontra più volte Picasso, che vi lavora alacremente, e qualche volta anche Matisse), Chagall lavorerà a più riprese producendo vasi, sculture e bassorilievi con le forme dei temi a lui più cari: figure sacre e bibliche, immagini femminili, strani animali… Nel 1951, inoltre, Chagall conosce Valentina (detta “Vavà”) Brodsky con cui, dopo un breve e travolgente idillio, si risposa nel 1952 a Clairefontaine, presso Rambouillet: anch’ella di origine russa ed ebrea, sarà la sua nuova musa ispiratrice, affiancando il ricordo di Bella nelle tele dell’artista che, con lei, scopre ben presto la Grecia e l’Arte Classica. Intorno alla fine degli anni ’50 Chagall comincia a produrre arazzi e soprattutto vetrate: le prime sono quelle del battistero per la chiesa di Notre-Dame-de-Toute-Grace ad Assy, poi quelle per la cattedrale di Metz. Nel 1957 si reca nuovamente in Israele, dove nel 1960 crea una vetrata per la sinagoga dell’ospedale Hadassah Ein Kerem. Altre stupende vetrate sono realizzate, tra il 1958 e il 1968, per la cattedrale di Reims, e nel 1964 l’artista ne dona una all’ONU con tema pacifista, in memoria di Dag Hammarskjöld. Nuove opere su vetro vedono la luce per la Cappella dei Cordiglieri a Sarrebourg (1975), per la chiesa di S. Stefano a Magonza (1978) ed infine per la Chapelle du Saillant a Voutezac, nel Corrèze, nel 1982. Nel 1963 aveva ottenuto dal ministro Malraux la commissione per decorare il soffitto dell’Opéra di Parigi, che ornò con figure allegoriche di opere celebri; ritornerà poi ad allestimenti teatrali, con la messa in scena del Flauto magico nel 1965; poi nel 1966 progetta un affresco per il nuovo parlamento israeliano, mentre per l’università Knesseth realizza una serie di arazzi, tutti a sfondo biblico, con l’aiuto della celebre Manifattura dei Gobelins. Nello stesso anno per l’editore Amiel pubblica L’Esodo, una serie di 24 litografie a colori, ed intensifica l’attività grafica.
Durante la guerra dei sei giorni l’ospedale Hadassah Ein Kerem viene bombardato e le vetrate di Chagall rischiano di essere distrutte: solo una viene danneggiata, mentre le altre vengono messe in salvo. In seguito a questo episodio, Chagall scrive una lettera in cui afferma di essere preoccupato non per i suoi lavori, bensì per la salvezza di Israele, vista la sua origine ebraica. Nel 1972 esegue, per il comune di Chicago, un mosaico dedicato alle Quattro stagioni. Dopo tanti anni, invitato dal governo sovietico, nel 1973 torna anche in Russia, dove sarà accolto trionfalmente a Mosca e a Leningrado: qui ritrova, dopo cinquant’anni, una delle sorelle, ma si rifiuta di tornare nella natia Vicebsk. Nello stesso anno -e nel giorno del suo compleanno– s’inaugura, a Cimiez vicino a Nizza, il Museo nazionale messaggio biblico di Marc Chagall che riunisce le sue opere sulla Bibbia: si tratta di diciassette dipinti dedicati alla Genesi, all’Esodo e al Cantico dei Cantici e degli schizzi relativi agli stessi dipinti, donati allo Stato francese da Chagall e Vavà tra il 1966 e il 1972. Viaggia poi in Italia: nel 1976 un suo Autoritratto entra nella collezione degli Uffizi, e due anni dopo Palazzo Pitti gli dedica una mostra. Nel 1977 il Presidente Valéry Giscard d’Estaing lo nomina Cavaliere di Gran Croce della Legion d’onore, e una nuova imponente mostra personale s’inaugura al Louvre nell’ottobre del 1977.
Nello stesso anno, l’editore Maeght pubblica Et sur la Terre… di Malraux con le illustrazioni dell’artista. Le ultime esposizioni sono nel 1984 al Pompidou, al Museo di Nizza, ed infine l’imponente retrospettiva alla Fondazione Maeght tra luglio ed ottobre del 1984. Dopo una vita lunga e ricca di soddisfazioni artistiche e personali, Chagall muore a 97 anni a Saint-Paul-de-Vence, dove risiedeva, il 28 marzo1985. Viene sepolto nel piccolo cimitero locale, dove nel 1993 lo raggiungerà Vavà.
Stile
Chagall nei suoi lavori si ispirava alla vita popolare della Russia europea e ritrasse numerosi episodi biblici che rispecchiano la sua cultura ebraica. Negli anni sessanta e settanta, si occupò di progetti su larga scala che coinvolgevano aree pubbliche e importanti edifici religiosi e civili. Le opere di Chagall si inseriscono in diverse categorie dell’arte contemporanea: prese parte ai movimenti parigini che precedettero la prima guerra mondiale e venne coinvolto nelle avanguardie. Tuttavia, rimase sempre ai margini di questi movimenti, compresi il cubismo e il fauvismo. Fu molto vicino alla Scuola di Parigi e ai suoi esponenti, come Amedeo Modigliani.
I suoi dipinti sono ricchi di riferimenti alla sua infanzia, anche se spesso preferì tralasciare i periodi più difficili. Riuscì a comunicare felicità e ottimismo tramite la scelta di colori vivaci e brillanti. Il mondo di Chagall era colorato, come se fosse visto attraverso la vetrata di una chiesa. Marc Chagall si è occupato anche di Mail art.[8]
Durante il suo primo soggiorno a Parigi rimane colpito dalle ricerche sul colore dei Fauves e da quelle di Robert Delaunay (definito il meno cubista dei cubisti). Il suo mondo poetico si nutre di una fantasia che richiama all’ingenuità infantile e alla fiaba, sempre profondamente radicata nella tradizione russa; le esperienze e il mondo della sua infanzia rimasero sempre incisivamente presenti in lui, radicandosi a tal punto che le rielaborò più e più volte nella sua mente trasfondendole quindi nella sua pittura.[5][9] La semplicità delle forme di Marc lo collega al primitivismo della pittura russa del primo Novecento e lo affianca alle esperienze di Natal’ja Sergeevna Gončarova e di Michail Fedorovič Larionov, per cui lo si può considerare un neo-primitivista. Con il tempo il colore di Chagall supera i contorni dei corpi espandendosi sulla tela. In tal modo i dipinti si compongono di macchie o fasce di colore, sul genere di altri artisti degli anni Cinquanta appartenenti alla corrente del Tachisme (da tache, macchia). Il colore diventa così elemento libero e indipendente dalla forma.
Chagall e la Bibbia
Chagall fu affascinato sin dagli anni giovanili dalla Bibbia, da lui considerata come la più importante fonte di poesia e di arte, ma è solo a partire dagli anni ’30 che se ne interessò profondamente e iniziò a studiarla con dedizione. L’occasione per farne un lavoro giunse nel 1930, quando l’editore e mercante d’arte francese Ambroise Vollard, per il quale aveva già illustrato Le anime morte di Gogol’ e Le Favole di La Fontaine, gli commissionò una serie di tavole dedicate al tema biblico. Chagall vi si dedicò con entusiasmo per tutto il decennio, tanto da intraprendere appositamente un viaggio sui luoghi delle vicende narrate dai Testi Sacri, tra Egitto, Siria e Palestina: da questo momento in poi, la Bibbia occuperà l’intera produzione artistica dell’autore, che ne fornirà un’interpretazione pur mediata dall’influenza delle avanguardie francesi.
A partire dal 17 settembre 2014, e fino al primo febbraio 2015, il Museo diocesano di Milano dedica all’artista un’esposizione, concepita come una vera e propria sezione della retrospettiva esposta a Palazzo Reale, intitolata “Chagall e la Bibbia”. Fulcro della mostra sono le 22 gouaches preparatorie, inedite fino al settembre 2014, quando sono state pubblicate dall’editore Jaca Book all’interno del volume Chagall. Viaggio nella Bibbia.[10]
Il Museo Garibaldino di Mentana-MuGa, venne realizzato nel 1905, voluto dallo stesso architetto che ne curò il progetto, Giulio De Angelis, con lo scopo di custodire in un’apposita struttura tutti i cimeli garibaldini dei valorosi combattenti della Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma ed in particolare della battaglia di Mentana del 3 novembre 1867.
Museo Garibaldino di Mentana
Il MuGa è stato oggetto nel 2017 di un importante intervento di rinnovamento, con l’ideazione di un nuovo percorso di visita, notevolmente valorizzato con l’aggiunta di un’ala multimediale.
Il museo
Nato per conservare la memoria e i cimeli risorgimentali, il Museo Garibaldino di Mentana vuole oggi, nel XXI secolo, suscitare una riflessione su quanto accaduto durante il Risorgimento. Gli ideali che infiammarono quel periodo non appartengono a un’epoca ormai lontana e sorpassata, ma sono ancora attuali e attuabili ovunque, seppur in contesti ovviamente diversi. Lalibertà dei popoli, la dignità sociale di ogni uomo, ildiritto costituzionale, il bisogno di “sentire” una patria in cui riconoscere radici comuni e valori condivisi, sono entità da riscoprire ancora oggi nel loro profondo significato. Ed è proprio con questo spirito che il Museo Garibaldino di Mentana si propone oggi come rinnovato custode di questi ideali, guardando al passato per sostenere il presente e costruire il futuro.
Il complesso dal 1997 è gestito dal Comune di Mentana.
Museo Garibaldino di Mentana -Artista T.Rodella Opera “Battagia di Mentana”
La storia
Nel 1905 venne realizzato il Museo Garibaldino, voluto dallo stesso architetto che ne curò il progetto, Giulio De Angelis. Sfruttando il pian terreno della casa appartenuta alla famiglia Ferri, l’architetto ideò un museo a forma di tempio classico, interamente realizzato in peperino. Su uno dei lati corti vi è la scritta “ROMA O MORTE”, al di sopra della quale svettano i simboli del Risorgimento (a ovest l’aquila, a est la lupa) inquadrati da corone d’alloro. Le severe linee architettoniche sottolineano l’austerità di un progetto profondamente legato, nonostante i quasi vent’anni che li separano, alla vicina ara-ossario.
Museo Garibaldino di Mentana – MuGa – Polo Culturale Mentana
L’ara-ossario garibaldino
La disfatta di Mentana, al di là dei ritardi e degli indugi, fu un duro colpo per Garibaldi, il quale, credendo di avere l’appoggio della popolazione romana e del governo italiano, si ritrovò invece da solo. Gli intrighi e i retroscena, a cui non aveva mai voluto piegarsi, vinsero la genuinità del suo pensiero politico lasciandogli nel cuore un’amarezza che non lo abbandonerà sino alla morte, il 2 giugno 1882. Malgrado ciò, Mentana divenne presto un simbolo delle lotte risorgimentali e come tale fu definita “la porta calda di Roma”, paragonando il sacrificio dei circa 300 volontari al più antico gesto eroico degli altrettanti Spartani alle Termopili. Un sacrificio che non fu vano poiché, solo tre anni più tardi, il 20 settembre 1870, la breccia di Porta Pia sancì l’annessione di Roma all’Italia. Nel 1877, in onore dei caduti, si decise di costruire nella zona denominata Rocca di Mentana un grande Sacrario. All’interno sono conservati i resti dei volontari caduti al seguito di Giuseppe Garibaldi negli scontri della Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma (1867). L’ara-ossario è stata inaugurata nel novembre 1877 a seguito di sottoscrizione nazionale coordinata da un comitato presieduto dal Gen. Avezzana ed è opera dell’Ing. Augusto Fallani. Il discorso inaugurale fu pronunciato da Benedetto Cairoli.
Museo Garibaldino di Mentana
Museo Garibaldino di Mentana -Sala Storica
Museo Garibaldino di Mentana -Sala interna medaglie
La sala multimediale – Un’esperienza multisensoriale
Il Museo Garibaldino di Mentana si arricchisce della grande sala multimediale che occupa tutto il piano rialzato dell’edificio comunale dove ha anche sede l’ufficio del Sindaco. La tecnologia aiuta il visitatore a vivere un’esperienza particolare all’interno del museo aiutandolo a immergersi nell’atmosfera del passato. All’interno della sala multimediale del museo di Mentana si può ascoltare dalla voce del grande Generale Giuseppe Garibaldi il racconto della battaglia del 3 novembre 1867. È possibile vivere in prima persona un’esperienza multisensoriale ascoltando la riproduzione dei rumori di quel giorno: lo scoppio dei fucili, il boato dei cannoni. Inoltre un sistema sincronizzato di luci mette in evidenza i punti salienti del racconto.
Museo Garibaldino di Mentana -divisa garibaldina
Museo Garibaldino di Mentana -Medagie
Museo Garibaldino di Mentana -Giubbe Rosse
Informazioni
BIGLIETTO INGRESSO € 3,00
BIGLIETTO INGRESSO SCUOLE NON RESIDENTI € 2,00
dietro presentazione di elenco nominativo degli alunni su carta intestata della scuola
BIGLIETTO INTEGRATO DUE MUSEI € 5,00
BIGLIETTO INGRESSO INTEGRATO SCUOLE NON RESIDENTI € 4,00
dietro presentazione di elenco nominativo degli alunni su carta intestata della scuola
Premio IILA Photo Identità. Così uguali Così diversi – XV edizione-
Museo di Roma in Trastevere-PHOTO IILA è il premio dedicato a fotografi latinoamericani under 40.- È uno dei progetti di cooperazione culturale dell’IILA-Organizzazione internazionale italo-latino americana, realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano (DGCS/MAECI), in collaborazione con i Paesi latinoamericani membri dell’IILA e il Centro Sperimentale di Fotografia Adams.
i Così diversi – XV edizione Museo di Roma in Trastevere
Photo IILA è un premio finalizzato a promuovere la conoscenza della fotografia latinoamericana emergente e a incentivare le opportunità di collaborazione internazionale. Sin dal 2008 questo premio offre in Italia un interessante spazio allo sguardo originale dei giovani fotografi latinoamericani sul mondo: un vero e proprio osservatorio privilegiato sull’America Latina contemporanea, attraverso le scoperte e gli interrogativi che il mezzo fotografico sa cogliere in profondità e trasmettere con immediatezza.
Il tema della XV edizione è “Identità. Così uguali, così diversi”: identità è ciò che ci definisce come esseri umani e come parte di una comunità caratterizzata da molteplici forme di espressione e da peculiarità che rendono ogni individuo unico all’interno della società.
In mostra i lavori di Andrés Pérez (Repubblica Bolivariana del Venezuela), vincitore di questa quindicesima edizione con il progetto “Familia Muerta”; Verónica Javier (Uruguay), menzione d’onore con il progetto “Patrones identitarios”; Enrique Pezo (Perù), vincitore della precedente edizione, che presenta il progetto ispirato alla città di Roma realizzato durante la residenza d’artista svolta nel 2023, “Ficciones de un tiempo infinito”.
Per concludere, con l’intento di rafforzare il fecondo dialogo fra fotografia latinoamericana e fotografia italiana, l’IILA ha invitato ad esporre assieme ai fotografi latinoamericani Dario De Dominicis, con il progetto “Francisco”.
Museo di Roma in Trastevere
Informazioni
Luogo
Museo di Roma in Trastevere
Orario
Dal 18 settembre al 27 ottobre 2024
Da martedì a domenica ore 10.00 – 20.00 Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Chiuso il lunedì
CONSULTA SEMPRE LA PAGINA AVVISI prima di programmare la tua visita al museo
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