Du 8 au 16 novembre 2024, L’Odéon Théâtre de l’Europe accueille à nouveau Daria Deflorian aux Ateliers Berthier, Paris 17ème. Dans le cadre du Festival d’Automne, la metteur en scène et actrice italienne présentera cette année «La Vegetariana», une adaptation théâtrale du roman de la sud-coréenne Han Kang, prix Nobel 2024. Paru en 2016, ce livre étonnant est d’ailleurs maintenant disponible en traduction française en livre de Poche. Le spectacle est en italien, surtitré en français.
Interprètes : Daria Deflorian, Paolo Musio, Monica Piseddu, Gabriele Portoghese…
Durée estimée 2h
Tarifs selon les catégories de 9 à 39€
Horaires : 15h ou 20h selon les jours
Description
En s’inspirant de livres ou de films, Daria Deflorian crée un théâtre sur le fil, en équilibre entre la vie la plus quotidienne et des ouvertures oniriques, névrotiques, voire fantastiques. À partir de matériaux très variés, tous ses spectacles mettent en scène ces brèches de folie que nous contournons pour rester adaptés et normaux.
Dès qu’elle a découvert le roman de l’écrivaine sud-coréenne Han Kang, La Végétarienne, elle a su que Yonghye, l’héroïne, s’imposerait à elle. Cette jeune femme banale, “tout à fait insignifiante” selon les dires de son propre mari, narrateur de la première partie du roman, fait un jour basculer sa vie et celle de ses proches. Suite à un rêve sanglant, elle jette toute la viande du congélateur ; désormais elle sera végétarienne.
C’est le point de départ d’une transformation de plus en plus étrange, qui nous est ensuite racontée par son beau-frère, artiste sans succès bientôt obsédé par le nouveau corps de Yonghye, dans une dérive érotique parfois crue.
La dernière partie donne la parole à sa sœur, manageuse d’un magasin de cosmétiques, qui affronte tant bien que mal les conséquences concrètes de ces désastres familiaux.
Avec beaucoup d’humour et une extrême acuité sensible, Daria Deflorian fait des angoisses refoulées de nos sociétés normées et des marginalités qui nous habitent son terrain privilégié. En rendant hommage à ces existences contemporaines borderline, en sondant par le jeu leur poésie singulière, leur charge de désordre, leur puissance d’imagination, son théâtre résonne d’une grande tendresse pour une humanité du XXIe siècle en quête d’elle-même.
Du vendredi 8 novembre 2024 au samedi 16 novembre 2024, à 20h ou 15h selon les jours.
L’équipe de la billetterie se tient à votre disposition pour toute question, du mardi au samedi de 14h00 à 18h00 : téléphone au 01 44 85 40 40>
Renseignements pratiques :
Les Ateliers Berthier 17e – Théâtre de l’Europe, grande salle
1, rue André Suarès, Paris 17e (angle du bd Berthier), Porte de Clichy.
Roma va in scena al Teatro Lo Spazio il 29 e 30 ottobre THE JOYCE AUDITION-
Con Angelica Cacciapaglia, Stefania Lo Russo, Mario Migliucci-
Roma .Approda al Teatro Lo Spazio il 29 e 30 ottobreTHE JOYCE AUDITION, spettacolo scritto e diretto da Riccardo Mini che ci conduce in una dimensione metateatrale.
Roma Teatro Lo Spazio THE JOYCE AUDITION
Una coppia di attori italiani emigrati a Londra in cerca di fortuna si sta preparando ad un importante provino per una produzione inglese di Exiles, l’unico testo teatrale scritto da James Joyce. Tra situazioni a tratti comiche e paradossali, momenti di riflessione e confronto suscitati dal dramma a cui stanno lavorando, sarà l’arrivo sulla scena di un misterioso personaggio a costringere i due attori ad affrontare il proprio vissuto individuale e di coppia, mettendo in discussione se stessi e i propri sogni, uscendone profondamente trasformati.
Roma Teatro Lo Spazio THE JOYCE AUDITION
The Joyce Audition è un testo bilingue, scritto e recitato in italiano ed inglese, che alterna scene e dialoghi originali ad estratti del dramma Exiles di James Joyce. L’utilizzo del linguaggio metateatrale, attraverso la situazione drammatica di “prova aperta”, permette una esplorazione di alcuni tipici temi joyciani (senso di paralisi esistenziale, decadenza morale ed economica della società, desiderio di emigrare, crisi di valori, epifania come presa di coscienza della propria condizione umana) riattualizzandoli in chiave contemporanea, allo scopo di evidenziarne le analogie profonde con il mondo di oggi. Propone quindi anche una riflessione sull’Italia odierna, sul senso di inquietudine delle giovani generazioni, alle prese con la difficile conquista della propria identità personale e professionale.
Descrizione-COMPOSITORI”-Preziosa collana poderosa e ponderosa-I capisaldi dell’arte sonora della cultura occidentale vengono trattati in altrettanti volumi dal taglio fra loro leggermente diverso, e per questo ancora più interessante: Sergio Vartolo si immagina un Bach che, sul letto di morte, redige le proprie memorie e, sulla base di documenti autentici, dà un’immagine di sé tanto innovativa quanto credibile (il libro contiene un CD); con le monografie su Beethoven e Mahler, facendo piazza pulita di convenzioni e pigre abitudini, Alessandro Zignani ribalta le prospettive critiche in un modo acuto e sorprendente. Compositore ricercato è il boemo Zelenka, dove Claudio Bolzan fa un’analisi minuziosa della vita e delle opere in un libro che è diventato strumento di riferimento nelle bibliografie internazionali. Poi la prima biografia in lingua italiana firmata da Gabriele Formenti su Georg Philipp Telemann, il più prolifico compositore del barocco tedesco. Claudio Bolzan ci propone la prima biografia musicale in lingua italiana completa di catalogo delle Opere musicali, pittoriche, grafiche, delle recensioni e degli scritti di argomento musicale su E.T.A. Hoffmann. Giuseppe Clericetti, con Reynaldo Hahn, descrive minuziosamente quel mondo musicale francese tra Otto e Novecento, rivalutando un musicista di classe, dotato di talento e sagacia, per troppo tempo negletto. Poi il libro di Claudio Bolzan, che analizza con impressionante dovizia tutta la produzione händeliana, in una monografia destinata a diventare di assoluto riferimento su Georg Friedrich Händel, compositore cosmopolita per eccellenza, tra la nascita tedesca, la parentesi italiana e la lunghissima permanenza in Inghilterra: ma, certo, profondamente legato al nostro Paese fu lo stile musicale, specialmente in quel campo operistico che gli donò onori e ricchezze. Infine Jean Sibelius, il “grande dimenticato”, che deve la propria unicità al legame esistenziale con la natura finlandese, con i cicli della natura, con i silenzi e le attese, ponendosi quindi ben oltre la dimensione di rappresentante di una scuola nazionale.
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Roma-Scatti rubati di Matteo Casilli-La mostra alla Casa dell’Architettura :
”Un viaggio dietro le quinte dei film, attraverso una serie di fotografie di scena”
Roma-Nella sala centrale della Casa dell’Architettura, la mostra fotografica “Scatti rubati” di Matteo Casilli – La mostra proseguirà fino al 27 ottobre 2024
La mostra propone un viaggio dietro le quinte dei film, attraverso una serie di fotografie di scena scattate durante le riprese. Ogni immagine cattura l’essenza del cinema, rivelando momenti di intimità e magia che spesso restano nascosti agli occhi dello spettatore. Soggetti pensosi e sognanti che sembrano celare qualche impercettibile segreto.
Questa raccolta di foto è un omaggio al mondo del cinema, un racconto visivo che svela ciò che accade quando la macchina da presa smette di girare.
Evento all’interno del più ampio programma della terza edizione di Proiezioni, la rassegna cinematografica organizzata dalla Casa dell’Architettura in occasione della Festa del Cinema di Roma dal 16 al 27 ottobre 2024.
Scatti rubati – immagini di set
Vernissage e visita guidata alla mostra
16 ottobre 2024 ore 19.30-22.00
Casa dell’Architettura – sala centrale
complesso monumentale Acquario Romano
p.zza Manfredo Fanti, 47 – Roma
Articolo di Alfred Einstein per la Rivista PAN n°4 Aprile 1935
Biografia-Alfred Einstein, cugino del celeberrimo fisico Albert, iniziò la sua carriera come critico musicale del Berliner Tageblatt nel 1927. Si trasferì prima a Londra, nel 1933, poi in Italia dal 1935 al 1938, e in ultimo negli Stati Uniti a partire dal 1939. Negli USA insegnò presso lo Smith College di Northampton nel Massachusetts, alla Columbia University di New York, ad Ann Arbor, a Princeton e infine alla Julius Harrt School of Music di Hartford in Connecticut. Si ritirò dall’insegnamento nel 1950 per motivi di salute, dopo aver preso la cittadinanza statunitense nel 1945. Fu molto conosciuto all’epoca anche per l’approccio, dai toni spesso forti, tenuto nella sua attività di critico musicale.
JOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred Einstein
Biblioteca DEA SABINA- JOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA -Rivista PAN n°4 Aprile 1935
Alfred Einstein (Monaco di Baviera, 30 dicembre 1880 – El Cerrito, 13 febbraio 1952) è stato un musicologo, critico musicale e accademico tedesco naturalizzato statunitense
Alfred Einstein (Monaco di Baviera, 30 dicembre 1880 – El Cerrito, 13 febbraio 1952)
Alfred Einstein (Monaco di Baviera, 30 dicembre 1880 – El Cerrito, 13 febbraio 1952)
Biography
Einstein was born in Munich. Though he originally studied law, he quickly realized his principal love was music, and he acquired a doctorate at Munich University, focusing on instrumental music of the late Renaissance and early Baroque eras, in particular music for the viola da gamba. In 1918 he became the first editor of the Zeitschrift für Musikwissenschaft; slightly later he became music critic for the Münchner Post; and in 1927 became music critic for the Berliner Tageblatt. In this period he was also a friend of the composer Heinrich Kaspar Schmid in Munich and Augsburg. In 1933, after Hitler’s rise to power, he left Nazi Germany, moving first to London, then to Italy, and finally to the United States in 1939, where he held a succession of teaching posts at universities including Smith College, Columbia University, Princeton University, the University of Michigan, and the Hartt School of Music in Hartford, Connecticut.
Einstein not only researched and wrote detailed works on specific topics, but wrote popular histories of music, including the Short History of Music (1917), and Greatness in Music (1941). In particular, due to his depth of familiarity with Mozart, he published an important and extensive revision of the Köchel catalogue of Mozart’s music (1936). It is this work for which Einstein is most well known.[1] Einstein also published a comprehensive, three-volume set The Italian Madrigal (1949) on the secular Italian form, the first detailed study of the subject. His 1945 volume Mozart: His Character, His Work was an influential study of Mozart and is perhaps his best known book.
Saggi e contributi
Revisione del Catalogo Köchel delle opere di Mozart, 1937
Repertorio bibliografico di E. Vogel, 1945-1948
Studio sulla musica vocale profana stampata in Italia dal ‘500 al ‘700, 1945-1948
Opere
Musica tedesca per viola da gamba (Zur deutschen Literatur für Viola da Gamba im 16. und 17. Jahrhundert, Diss. München), 1903.
Geschichte der Musik, Berlin, Teubner, 1917.
Heinrich Schütz, Kassel, Bärenreiter, 1928.
Gluck. La vita – Le opere (Gluck, 1936), Milano, Fratelli Bocca Editori, 1946. – I Dioscuri, 1990.
Breve storia della Musica (A Short History of Music, 1937; rev. 1938; 1947), traduzione di E. Pasquali, Firenze, La Nuova Italia, 1960. – Milano, BUR, 1979; Milano, SE, 2008; Milano, Mondadori, 2011.
Canzoni Sonetti Strambotti et Frottole. Libro Tertio (Andrea Antico, 1513), 1941.
Greatness in Music, Oxford University Press, 1941.
Golden Age of the Madrigal: Twelve Five-Part Mixed Choruses. G. Schirmer, Ney York, 1942.
W.A. Mozart. Il carattere e l’opera (Mozart: His Character, His Work, 1945), traduzione di L. Lotteri, Milano, Ricordi, 1951.
La Musica nel periodo romantico (Music in the Romantic Era: A History of Musical Thought in the 19th Century, 1947, rev. 1949), traduzione di Adele Bartalini, Firenze, Sansoni, 1952.
The Italian Madrigal (3 voll.), Princeton University Press, 1949.
Schubert (Schubert. A Musical Portrait, 1951), Edizioni Accademia, 1970.
Relationship to Albert Einstein
While one source (1980) lists Alfred as a cousin of the scientist Albert Einstein,[2] another claims (1993) that no relationship has been verified.[3] Some websites claim they were both descended from a Moyses Einstein seven generations back, hence they were sixth cousins.[4] In 1991, Alfred’s daughter Eva stated that they were not related.[5] On the other hand, she wrote in 2003 that they were fifth cousins on one side, and fifth cousins once removed on the other, according to research by George Arnstein. They were photographed together in 1947 when Albert Einstein received an honorary doctorate from Princeton, but they did not know that they were distantly related.[6]
Works
Gluck (Master Musicians Series-Series Editor Eric Blom), translated by Eric Blom, J. M. Dent & Sons LTD, 1936
A Short History of Music, translation of Geschichte der Musik, 1937, rev. 1938, 1947
Canzoni Sonetti Strambotti et Frottole. Libro Tertio ( Andrea Antico, 1517). Smith College: Northampton, MA, 1941
Golden Age of the Madrigal: Twelve Five-Part Mixed Choruses. G. Schirmer: New York, 1942
Greatness in Music, translation of Grösse in der Musik by César Saerchinger, Oxford University Press, 1941
Mozart: His Character, His Work, translated by Arthur Mendel and Nathan Broder, Oxford University Press, 1945
Music in the Romantic Era: A History of Musical Thought in the 19th Century, 1947, rev. 1949
The Italian Madrigal, translated by Alexander H. Krappe, Roger H. Sessions, and Oliver Strunk, Princeton University Press, 1949 (3 volumes)
Schubert, translated by David Ascoli, Cassell & Co., 1951
Roma-Henry Mancini, nome d’arte di Enrico Nicola Mancini è stato un compositore, direttore d’orchestra e arrangiatore statunitense.
In particolare di musica da film, nonché autore di brani celeberrimi come Moon River (in Colazione da Tiffany), Baby Elephant Walk (dal film Hatari!), il tema della Pantera Rosa, e Peter Gunn Theme.
Invece l’ex bambino prodigio, che a otto anni teneva i primi concerti per pianoforte, finì per suonare in una dance band. Interrotti gli studi a causa della Seconda guerra mondiale, si arruolò nell’Air Force modificando progetti e ambizioni.
Dopo qualche anno di orchestre da ballo Henry Mancini cominciò a lavorare nel 1951 alla Universal Pictures, per lo più come ghost composer e uscendo dall’oscurità solo in veste di arrangiatore.
Roma-Henry Mancini- all’Elegance Cafè Jazz Club
Il film invece fu trascurato, la sua musica ignorata e Mancini rimase, per l’Universal Pictures, il compositore di fiducia di Bud Abbott e Lou Costello (in Italia, Gianni e Pinotto): Lost in Alaska (1952; Gianni e Pinotto al Polo Nord) di Jean Yarbrough, Abbott and Costello go to Mars (1953; Viaggio al pianeta Venere), Abbott and Costello meet the mummy (1955; Il mistero della piramide), entrambi di Charles Lamont.
Un ‘classico’ della commedia sofisticata, accompagnato da una musica brillante e da una canzone rimasta popolarissima “Moon river” grazie alle quali M. nel 1962 ottenne i suoi primi due Oscar.
Un anno dopo giunse il terzo Oscar per Days of wine and roses (1962; I giorni del vino e delle rose), occasionale incursione di Edwards nel genere melodrammatico, tradotta da Mancini nella struggente canzone che dà il titolo al film.
Il 1964 segnò il suo più grande successo: The Pink Panther (La Pantera rosa), con il suo popolarissimo leitmotiv per sassofono.
SUL PALCO AD OMAGGIARE L’IMMENSO PATRIMONIO ARTISTICO DEL GRANDE HENRY MANCINI CI SARANNO
Mimma Pisto voce
Riccardo Fassi piano
Pietro Iodice batteria
Steve Cantarano contrabasso
Informazioni, orari e prezzi
Siamo in Via Francesco Carletti,5
ZONA OSTIENSE/PIRAMIDE
Ingresso €25 con consumazione compresa nel prezzo.
Ingresso con prenotazione al tavolo per la cena, con 2 portate alla carta il concerto è incluso.
Se viene riconosciuta la carriera di Agnes Varda (1928-2019) come regista e artista plastica, la sua attività fotografica rimane ancora da esplorare. Tuttavia, la fotografia lo accompagna sin dai suoi inizi, dall’apertura del suo laboratorio-laboratorio Rue Daguerre a Parigi e dal suo status di fotografo ufficiale del National Popular Theater, ai suoi numerosi progetti personali. Nel corso della sua vita, continuerà a sperimentare i diversi usi del mezzo. I suoi “occhi curiosi” la porteranno in giro per il mondo
Nel 1956 la fotografa intervistò il Portogallo, affermando il suo gusto per i ritratti e i soggetti in movimento, operai del campo e del mare.
Agnès Varda, nata Arlette Varda (Ixelles, 30 maggio 1928 – Parigi, 29 marzo 2019), è stata una regista, sceneggiatrice e fotografa belga.
AGNES VARDA
Articolo da Blog –UNA DONNA AL GIORNO-
Sono femminista perché credo nei diritti delle donne, nell’intelligenza delle donne, nelle loro capacità, nel posto che devono ricoprire nella società e nella famiglia.
Quello che mi sciocca è che ci si renda conto solo ora che il problema esiste. È legato al potere sociale innanzitutto e gli uomini ne sono complici. Quello che cambierà è che ne prenderanno coscienza. Bisogna determinare la dose di femminismo da inculcare ai ragazzi: ecco cos’è importante. Questa battaglia dobbiamo portarla avanti insieme, uomini e donne uniti.
Agnès Varda, regista francese di origine belga.
Ha raccontato le complessità dell’animo femminile portato sullo schermo i volti, le vite, i pensieri di tante donne, ascoltandone la voce e assecondando la sua volontà di autrice, senza cedimenti a vincoli esterni. Un modo di fare cinema intimo e personale. Viene considerata la prima regista femminista.
Nata con il nome di Arlette, il 30 maggio 1928 a Ixelles, in Belgio, madre francese e padre greco, ha passato la sua infanzia in Belgio. Giovanissima si è trasferita a Parigi e divenne fotografa al Theatre National Populaire di Jean Vilar, il creatore del Festival di Avignone. In questo ambiente ha incontrato l’uomo che divenne suo marito, il regista Jacques Demy.
Unica donna del gruppo originario coté rive gauche della Nouvelle Vague francese, nonostante ne abbia sempre rifiutato l’etichetta. Ha sempre mantenuto un’indipendenza teorica e poetica, che l’ha portata a praticare la sua arte con grande libertà di generi e formati.
Nel 1954 ha girato il suo primo film La Pointe Courte che portò un soffio di libertà nel cinema francese.
Il suo primo lungometraggio è stato Cléo dalle 5 alle 7, del 1962, affascinante ritratto femminile di una cantante ribelle che vagabonda per Parigi in attesa di sapere dai medici se ha una malattia mortale. È il suo film più vicino alla Nouvelle Vague ma anche uno dei più personali di quella gloriosa stagione.
AGNES VARDA
Nel 1965 ha vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino con Il verde prato dell’amore, che le ha portato maggiore visibilità in Europa e negli Stati Uniti.
Dal 1968 ha soggiornato per lunghi periodi a Los Angeles dove ha girato Lions Love e realizzato il documentario Black Panthers dedicato al processo agli esponenti delle Pantere Nere, organizzazione rivoluzionaria afroamericana.
Nel 1971, a Parigi, conobbe e divenne amica di Jim Morrison, leader dei Doors, trasferitosi lì con la fidanzata Pamela Courson. È stata una delle pochissime persone presenti alla sepoltura del musicista prima che la notizia della sua tragica morte venisse diffusa alla stampa.
Dai soggiorni americani sono nati Mur murs, documentario sui murales di Los Angeles, il graffitismo ai tempi era un’arte di pura avanguardia e Documenteur, cronaca dello sradicamento d’una donna francese, temporaneamente separata dall’uomo che ama e sola in America insieme al figlio.
È stata tra le firmatarie del Manifesto delle 343 la dichiarazione pubblicata il 5 aprile 1971 dalla rivista Nouvel Observateur in cui 343 donne ammettevano di aver avuto un aborto, esponendo se stesse alle relative conseguenze penali. In Francia vigeva una legge del 1920 che multava con pene fino a sei anni chi avesse abortito o procurato aborti. Il manifesto fu un importante esempio di disobbedienza civile.
Il 1985, le ha consegnato il suo più ampio successo di pubblico, Senza tetto né legge, vita e morte di una ragazza alla deriva nel freddo d’una Francia opaca e respingente che ha vinto il Leone d’oro a Venezia.
Avendo prodotto autonomamente i suoi film con Ciné-Tamaris, Agnès Varda è riuscita a mantenere intatta la propria indipendenza e i diritti sui film suoi e del marito.
AGNES VARDA
In digitale ha girato Les Glaneurs et la glaneuse nel 2000, un racconto-documentario sulle persone che cercano tesori o sussistenza rovistando nelle campagne o tra la spazzatura delle città, che ottenne critiche entusiaste e riconoscimenti internazionali.
Nel 2003, alla Biennale di Venezia, ha firmato alcune installazioni visive che hanno inaugurato una nuova fase della sua vita artistica. È del 2008 il suo originale autoritratto nel documentario Les plages d’Agnès.
Nel 2017 è uscito Visages Villages un viaggio attraverso la Francia rurale a bordo di un camion-macchina fotografica con lo street artist JR. Il film ha vinto il premio de L’Œil d’or al Festival di Cannes 2017 e ricevuto la candidatura nella categoria “miglior documentario” agli Oscar 2018. Con questa candidatura Agnès Varda è diventata la persona più anziana a venire candidata in gara a un Oscar.
Per la cineasta, l’arte cinematografica è sempre stata collegata alla realtà, per questo nella sua filmografia non ha mai lasciato da parte il genere documentario. I suoi lavori hanno affrontato spesso tematiche riguardanti la condizione femminile nella società. Nella sua lunga carriera, ha continuato instancabile a girare film diversi per formato e misura, sempre interessata alla cronaca umana e all’osservazione poetica e politica del mondo. Ha lavorato fino alla fine dei suoi giorni, continuando a sperimentare nuove tecnologie.
Insignita di un Premio César onorario nel 2005, è stata la prima regista nella storia del cinema a ricevere l’Oscar alla Carriera nel 2017. Alla cerimonia degli Oscar e poi a Cannes si è schierata apertamente con il movimento Me Too.
Roma Capitale-Villa Borghese- Riapre al pubblico la Loggia dei Vini-
Roma Capitale-A Villa Borghese -Riapre al pubblico la Loggia dei Vini-L’apertura, ad accesso gratuito per tutti, sarà valorizzata dal progetto d’arte contemporanea LAVINIA, a cura di Salvatore Lacagnina, concepito per dialogare con lo spazio della Loggia e con tutte le fasi di rifacimento.
Il progetto, realizzato da Ghella e promosso da Roma Capitale, Assessorato della Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con la collaborazione di Zètema Progetto Cultura, è stato presentato alla presenza dell’assessore alla Cultura di Roma Capitale Miguel Gotor, della direttrice della Direzione Patrimonio artistico delle Ville storiche della Sovrintendenza Capitolina Federica Pirani, del direttore dei Rapporti Istituzionali, Comunicazione e Sostenibilità di Ghella Matteo d’Aloja e del curatore Salvatore Lacagnina.
Il nome LAVINIA è un omaggio a Lavinia Fontana, tra le prime artiste riconosciute nella storia dell’arte, presente nella collezione Borghese dai primi del Seicento. Il progetto prevede l’esposizione, fino al 26 gennaio 2025, delle opere site specific degli artisti Ross Birrell & David Harding, Monika Sosnowska, Enzo Cucchi, Gianni Politi, Piero Golia, Virginia Overton.
Roma Capitale-Villa Borghese – la Loggia dei Vini
La Loggia dei Vini a Villa Borghese, originale ed elegante architettura a pianta ovale impreziosita da decorazioni e affreschi, edificata tra il 1609 e il 1618 per volontà del cardinale Scipione Borghese e utilizzata per riunioni e feste conviviali durante il periodo estivo. La Loggia dei Vini fa parte di un complesso architettonico che comprende anche la sottostante Grotta, destinata alla conservazione dei vini e collegata al Casino Nobile di Villa Borghese attraverso un passaggio sotterraneo. Da tempo chiusa al pubblico, dopo alcuni interventi compiuti nel corso del Novecento, la Loggia torna ora a rivivere al termine del primo dei tre lotti di restauro che ha interessato la volta interna, con le cornici in stucco e l’affresco centrale – realizzato dal pittore Archita Ricci e raffigurante Il Convito degli dei – i pilastri, danneggiati da infiltrazioni d’acqua e le scale d’accesso.
Il restauro, realizzato grazie a una donazione di Ghella, con la cura scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è effettuato da R.O.M.A. Consorzio. I prossimi due interventi saranno dedicati alla restituzione degli intonaci dei pilastri interni e della parte esterna dell’edificio, al ripristino dell’emiciclo e della sua pavimentazione in cotto.
Per dare ulteriore valore al progetto di restauro e far dialogare il pubblico con la Loggia, lo spazio sarà animato con opere, performance, letture, laboratori e attività didattiche, orchestrate secondo una narrazione unitaria.
Per questo nasce LAVINIA, un nuovo programma d’arte contemporanea concepito per dialogare con lo spazio della Loggia e con le fasi di restauro. LAVINIA aspira a entrare silenziosamente nella vita quotidiana, si rivolge a chi passeggia nel parco, evitando qualsiasi forma di «auctoritas». Mette in discussione le nozioni di arte pubblica e di tradizione, il rapporto fra arte e architettura, apre al potenziale dello storytelling.
Roma Capitale-Villa Borghese – la Loggia dei Vini
Nella Loggia, suggestivo luogo di ricevimenti, venivano serviti, al fresco della penombra, vini pregiati e prelibati sorbetti; proprio per questo, ogni inaugurazione di LAVINIA sarà associata a un gusto di gelato ideato appositamente per l’occasione. Il primo gusto è “arancia e erba cedrina”.
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
LAVINIA – LOGGIA DEI VINI A VILLA BORGHESE
Dal 19 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025
Ingresso gratuito
Orari: dal giovedì alla domenica
dalle 9:00 alle 19:00 fino al 26 ottobre 2024
dalle 9:00 alle 17:00 dal 27 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025
La masseria delle allodole-Film sul genocidio armeno
Dai fratelli Taviani un coraggioso recupero della storia. Il loro genocidio armeno parla di tante altre tragedie
Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Descrizione del Film sul genocidio armeno -E’ la saga dei due fratelli Avakian, che facendo scelte di vita diverse, preparano due destini tragicamente opposti di vita e di morte, per i loro figli. Il fratello maggiore, Assadour, lascia l’Armenia da ragazzo per andare a studiare medicina a Venezia. Diventa un medico di successo a Padova, si sposa con una nobildonna e ha due figli. Il fratello più tranquillo, Aram, legato alle tradizioni familiari, nella sua farmacia nel villaggio natale in Anatolia, fa conoscere le novità occidentali, ma la sua numerosa famiglia incarna i valori e la cultura del popolo armeno. Dopo molti anni di lontananza, nel 1915 i due fratelli combinano una rimpatriata: Assadour con la famiglia si prepara a tornare in Anatolia con due automobili, carico di doni e di nostalgia. Aram arreda con eleganza la “masseria delle allodole”, la villa in campagna, preparando per tutti loro un’accoglienza memorabile. Ma l’incontro con questi familiari italiani non avverrà mai. Si scoprirà più tardi, infatti, che sono stati coinvolti nell’orrendo genocidio perpetrato sugli armeni dai turchi, alleati dei tedeschi, nel corso della prima guerra mondiale.
Tratto da: liberamente ispirato al romanzo omonimo di Antonia Arslan
Produzione: GRAZIA VOLPI PER AGER 3, RAI CINEMA, EAGLE PICTURES, NIMAR STUDIO (SOFIA), SAGRERA TV, TVE (MADRID), FLACH FILM, FRANCE 2 CINEMA, CANAL+, 27 FILMS PRODUCTION, ARD DEGETO (PARIGI)
Distribuzione: 01 DISTRIBUTION
Data uscita: 2007-03-23
La masseria delle allodole
NOTE
PRESENTATO COME EVENTO SPECIALE AL 57MO FESTIVAL DI BERLINO (2007).- FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI MIBAC.- CANDIDATO AI NASTRI D’ARGENTO 2007 PER: MIGLIOR SCENOGRAFIA E COSTUMI.
La masseria delle allodole
CRITICA
“‘La masseria delle allodole’ è molto, molto interessante, ricco di meravigliose immagini, recitato da un cast internazionale (i più bravi sono André Dussolier e Mohamed Bakri). E segnato dall’inconfondibile grandioso stile dei Taviani, inasprito dal senso di rivolta verso la persecuzione degli armeni e verso gli assassinii di massa dei giorni nostri.” (Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Forte, sincero, pietoso: ecco ‘La masseria delle allodole’, l’atteso film dei fratelli Taviani sul genocidio degli armeni. (…) Nessuna pressione esterna e, alla fine, solo il silenzio con cui i giornalisti in sala hanno accompagnato lo sguardo su questo film dall’argomento forte, scenograficamente calligrafico e teatralmente interpretato. Una pellicola dagli alti additivi di fiction e di pathos che, pur articolandosi anche lungo microcosmi familiari allargati e storie d’amore ‘miste’, cerca il rimbalzo per arrivare a rappresentare il capitolo tragico di un intero popolo, senza per questo ideologizzarne la memoria, ma senza nemmeno risparmiare qualche crudezza nella messinscena. (…) E allora niente premeditazioni politiche, solo il tentativo di raccontare una verità documentata storicamente per farla riemergere dalla feritoia-tabù in cui era stata inabissata, abbracciando una prospettiva defilata e sentimentale.” (Lorenzo Buccella, ‘L’Unità’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“‘La masseria delle allodole’ non ha nulla dei film che hanno reso giustamente illustre, anche se spesso contestato, il nome dei Taviani. Inquadrature sempre ravvicinate uso tv; doppiaggio alla meno peggio degli attori non italiani (Tchéky Karyo, Moritz Bleibtreu, Angela Molina, André Dussollier, Paz Vega, Arsine Khanjan) e recitazione enfatica degli altri; provincialismo dei bambini (si sente un ‘subbito’); sfondi di cartapesta; inverosimiglianze. Questi sarebbero pessimi requisiti in ogni circostanza, ma sono micidiali quando si pretende di ricostruire, con tanta disinvoltura, un ‘genocidio’ che i turchi tuttora negano. Comunque, se i prossimi film che si occupano della controversia, avranno la forza drammatica della ‘Masseria delle allodole’, l’onore di Enver Pascià – considerato il promotore delle stragi di armeni – sarà al sicuro. Coproduzione italo-bulgaro- spagnola, ‘La masseria delle allodole’ ha da una parte l’impronta anonima dei film per tutti fatti per non piacere a nessuno; dall’altra – specie nell’inizio arcadico – evoca il ‘Giardino dei Finzi Contini’, che Vittorio De Sica, ormai vecchio, diresse addormentandosi sulla macchina da presa, dopo notti insonni al casinò. Però vinse l’Oscar. Ai fratelli Taviani si può solo fare lo stesso augurio.” (Maurizio Cabona, ‘Il Giornale’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Forse non bisognerebbe cercare di rinchiudere tragedie così grandi, come il massacro degli Armeni, in un film, in una storia: si rischia sempre di dire troppo o troppo poco, di banalizzare o di schematizzare. Succede anche con ‘La masseria delle allodole’, che i fratelli Taviani hanno tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan. Forse per una scelta di stile che guarda soprattutto a una destinazione televisiva di tipo generalista. E che finisce per evidenziare quella mancanza di originalità e rigore che in passato aveva contraddistinto le letture storiche fatte dai due registi. Adottando per questo film il punto di vista del romanzo, che fa vivere il dramma del genocidio attraverso le peripezie della famiglia Avakian, i Taviani scelgono di ‘spiegare’ per immagini una tragedia epocale, con diverse sfumature di coinvolgimento nelle file turche e contraddittori atteggiamenti in quelle armene, ma finiscono irrimediabilmente per stemperarne la forza emotiva e spettacolare. Solo in una scena la capacità di sintetizzare in un’immagine tanti discorsi torna a farsi ammirare: è quando una madre, che ha partorito un maschio durante la deportazione verso Aleppo, è costretta a chiedere aiuto a un’amica perché le è stato ordinato di uccidere il neonato. Basta quell’inquadratura senza parole per dire l’atrocità del genocidio armeno. Il resto è solo inerte illustrazione.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Tutti sappiamo o crediamo di sapere molto della Shoah avendo letto al riguardo migliaia di parole e visto montagne di immagini, fisse o in movimento, autentiche o fittizie. Mentre sul massacro degli armeni ma il discorso vale per molte pagine atroci, anche recenti abbiamo quasi sempre nozioni vaghe. Parole, più che immagini. Dati, più che emozioni. In questo senso il film che i fratelli Taviani hanno tratto dal romanzo omonimo di Antonia Arslan, ‘La masseria delle allodole’, dovrebbe fare finalmente da apripista, per così dire, a una maggior conoscenza del genocidio armeno. Impossibile, dopo averlo visto, dire non sapevamo, non immaginavamo. Nella storia (vera) della famiglia Avakian c’è infatti tutto (o quasi) ciò che occorre sapere. (…) Eppure a questo film sontuosamente ambientato e fotografato manca qualcosa di fondamentale al cinema (un po’ meno in tv, che ci sembra la destinazione più naturale dell’opera). E cioè quel sapore di verità che a volte si condensa in un gesto, una voce, uno sguardo, ma che raramente troviamo in questa grande coproduzione europea interpretata da un cast italo-franco-ispano-tedesco cui si aggiunge la armeno-canadese Arsinée Khanjian, moglie e musa di quell’Egoyan che con ‘Ararat’ raccontò, più che la tragedia degli armeni, la difficoltà del raccontarla.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 15 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Purtroppo il film tende a schematizzare la rilettura storico-sentimentale, un po’ sulla scia delle fiction da guardare distrattamente in tv durante la cena domenicale: le tragiche peripezie della famiglia Avakian, corredate dagli svariati atteggiamenti in seno al popolo armeno e dai differenti gradi di coinvolgimento dei turchi «pulitori etnici», riescono solo sporadicamente a centrare l’ambizioso obiettivo artistico. Nonostante l’apprezzabile impegno degli interpreti – tutti dignitosi, con note particolari di merito per Paz Vega, Alessandro Preziosi, Mohammad Bakri, Mariano Rigillo e Christo Jivkov – le sequenze che impongono un segno stilistico forte alla sbrigativa routine (spesso a macchina fissa) degli sfondi e dei dialoghi si contano sulle dita di una mano.” (Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 15 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
Articolo di Massimo Monteleone-23 marzo, 2007-Come sempre, nel cinema dei fratelli Taviani, il dramma storico-politico-collettivo viene raccontato attraverso le vicende e i destini di alcuni personaggi, dei componenti di una famiglia, di un nucleo ristretto. Perchè la Storia è fatta dalle persone, su cui però troppo spesso si accanisce la disumanità di strategie politico-ideologiche che annullano ogni rispetto etico e umano. La masseria delle allodole, tratto dal romanzo dell’italo-armena Atonia Arslan, non vuole essere – secondo i due registi – un accurato quadro storico. Anche se la denuncia del genocidio armeno nel 1915 da parte del partito dei “Giovani Turchi” è centrale nella narrazione, risulta evidente che i Taviani guardino al massacro del passato come esempio negativo e radice di analoghe intolleranze e tragedie posteriori: dall’Olocausto degli Ebrei ad opera dei nazisti fino alla “pulizia etnica” nell’ex-Jugoslavia e ai conflitti politico-religiosi del presente. La didascalia alla fine del film ricorda che “Il popolo armeno attende ancora giustizia” per ciò che ha subìto durante la Grande Guerra. Il romanzo e il film fanno riemergere questa verità taciuta e rimossa colpevolmente dalla Turchia. Un film necessario, dunque, con pagine dure di forte tensione e macabra crudezza (la strage dei maschi – bambini e adulti – rifugiatisi nella masseria e ancora ignari dell’ordine di sterminarli). Fra gli interpreti del cast multilinguistico si distinguono per intensità Paz Vega, Tcheky Karyo, Arsinee Khanjian, Andrè Dussolier e Mohammad Bakri. L’impegno e la moralità dell’opera sono fuori discussione. Però, trattandosi di una coproduzione europea che coinvolge enti televisivi, i Taviani hanno preferito un registro espressivo realistico che tende alla “fiction” TV. Hanno tralasciato quasi del tutto (ad eccezione dell’iniziale presagio di sangue e di certe inquadrature oniriche) lo stile che li ha resi maestri fra gli anni ’60 e gli ’80: il realismo trasfigurato in Mito, lo straniamento epico-brechtiano, le visioni metaforiche e meta-storiche, l’insolito connubio fra tentazione mélo e pamphlet politico-letterario. In una parola: la poesia. La masseria delle allodole non è Allonsanfan, Kaos o La notte di San Lorenzo. Certo, la tragedia evocata surclassa per importanza le esigenze dell’Arte. Ma i capolavori dei Taviani testimoniano che si può essere poeti drammatici e non solo narratori.
-Enrico Brignano in scena al Teatro Sistina con “I 7 Re di Roma”
Enrico Brignano in scena al Teatro Sistina con “I 7 Re di Roma”
Roma-A trentacinque anni dalla sua storica prima rappresentazione, Enrico Brignano riporta sul palco del Teatro Sistina la leggendaria opera musicale “I 7 Re di Roma”, scritta da Gigi Magni e musicata da Nicola Piovani. Questa attesissima nuova edizione debutterà proprio sul palco del prestigioso Teatro Sistina di Romadall’8 ottobre al 1° dicembre 2024, regalando al pubblico romano un’esperienza unica e coinvolgente.
Enrico Brignano, con la sua ineguagliabile comicità e presenza scenica, interpreterà i sette re di Roma, in un susseguirsi di travestimenti che porteranno il pubblico a rivivere le epoche e le storie della fondazione della Città Eterna. L’adattamento del testo, curato da Manuela D’Angelo, garantisce una fusione perfetta tra il rispetto per l’opera originale e la sensibilità moderna, assicurando uno spettacolo adatto al pubblico contemporaneo.
Sul palco, Brignano sarà affiancato da un cast stellare, tra cui Michele Gammino nel ruolo di Giano, una figura divina e narratore che guiderà il pubblico in questo viaggio tra mito e realtà. Accanto a loro, talenti del calibro di Pasquale Bertucci, Giovanna D’Angi, Ludovica Di Donato, Michele Marra, Simone Mori, Ilaria Nestovito, Andrea Perrozzi, Andrea Pirolli, Emanuela Rei ed Elisabetta Tulli. Quando
Data/e: 8 Ottobre 2024 – 1 Dicembre 2024
Orario: 20:30 – 22:30 (La domenica alle 16.00)
Dal 1998 al 2000 interpreta il ruolo di Giacinto in Un medico in famiglia; la serie TV gli offre una maggiore visibilità e soprattutto un riconoscimento da parte del pubblico che lo segue anche in teatro; del 1999 è il primo spettacolo tutto suo, Io per voi un libro aperto, da Ostia Antica, trasmesso in diretta anche da Mediaset su Canale 5. Nel 2000 gira il suo primo film da regista e protagonista Si fa presto a dire amore, al fianco di Vittoria Belvedere. Inizia l’ascesa nel mondo dello spettacolo grazie alle tournée estive di teatro e cabaret e nel 2001 Carlo Vanzina lo sceglie per il ruolo di Francesco nel film South Kensington, dove recita al fianco di Rupert Everett.
Interrompe la carriera cinematografica per dedicarsi maggiormente alla sua vera passione, il teatro, e così scrive e interpreta diversi spettacoli prima di tornare nuovamente sul grande schermo al fianco di Vincenzo Salemme e Giorgio Panariello con i quali girerà altri film negli anni successivi. Nel 2007 conduce un quiz su Rai 2, dal titolo Pyramid, con Debora Salvalaggio. Dal 2007 al 2011 fa parte del cast dei comici di Zelig. Nel 2008 interpreta una piccola parte nel film Asterix alle Olimpiadi, e insieme a Fiorello e Fabrizio Frizzi, ha partecipato ad un progetto a sfondo benefico per realizzare un centro di supporto ai bambini affetti da gravi patologie e alle loro famiglie.[2]
Inoltre è una seconda volta ospite (e vittima) a Scherzi a parte, condotto questa volta da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Sabato 28 aprile 2012 ha fatto parte della giuria speciale nel talent show Amici di Maria De Filippi. Grazie al successo ottenuto dal suo primo monologo, sarà presente nel programma in tutte le serate successive in veste di comico. Il 19 maggio durante la finale all’Arena di Verona condanna gli assassini dell’attentato alla scuola di Brindisi: “Non siete uomini e non siete nemmeno bestie perché loro queste atrocità non le commettono. Mi auguro che finiate nella caldaia dell’Inferno”.
Il 17 agosto 2013 riceve a Catanzaro il “Riccio d’argento” della 27ª edizione di Fatti di musica per il nuovo spettacolo Il meglio d’Italia. Sempre nel 2013 viene scelto per doppiare il pupazzo di neve parlante Olaf nel film DisneyFrozen – Il regno di ghiaccio. Dal 28 febbraio 2014 conduce per quattro venerdì il programma su Rai 1Il meglio d’Italia.
Dopo aver fatto il giurato a 60 Zecchini e Italia’s Got Talent ed essere stato una presenza costante a Che tempo che fa,[3] nel 2020 su Rai 2 lancia Un’ora sola vi vorrei, one man show che riprende il suo spettacolo teatrale partito nel 2019 e al quale partecipa anche la compagna Flora Canto. Due anni dopo su Prime Video viene pubblicato un suo spettacolo registrato all’Auditorium Parco della Musica di Roma dopo lo stop dovuto alla pandemia COVID-19. Nello stesso periodo torna a teatro con un nuovo show, Ma … diamoci del tu!.[4] Lo spettacolo viene riproposto anche negli anni seguenti e nel 2024 si allarga ai palcoscenici di diverse paesi stranieri (Paesi Bassi, Germania, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Svizzera e Spagna).[5]
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