DESCRIZIONE-Il 18 maggio 1911 muore Gustav Mahler.Questo libro rivela le chiavi per accedere al mondo interiore del più contemporaneo tra i Classici.
Mahler camminava con gli occhi fissi a terra, per non calpestare alcuna creatura vivente. Poteva darsi che in ogni infima creatura stesse imprigionata una grande anima. La sua idea del divenire nasceva da ciò che Johann Peter Eckermann, nelle Conversazioni con Goethe, fa dire al poeta che il Maestro venerò sopra ogni altro: “La convinzione della nostra immortalità nasce, per me, dal concetto dell’attività; poiché se io opero senza posa fino alla mia morte, la natura è obbligata ad assegnarmi un’altra forma di esistenza quando questa mia attuale non può più continuare a contenere il mio spirito”. Di questo perenne operare, Mahler fu profeta e martire. Nacque ebreo, divenne cattolico, ma nel suo intimo rimase sempre un panteista devoto al culto della Natura, sorgente di quella spaventosa, demoniaca e insieme angelica, energia che egli si dannò per trattenere nella propria musica. Senza di essa, sarebbe stato solo un epigono dei Romantici, non un neo-pagano con le radici immerse in un esoterismo così primigenio da esserci, oggi, più che mai inquietante.
Mahler, Gustav
Trionfo e crisi della sinfonia
Compositore e direttore d’orchesta austro-ungarico, Gustav Mahler visse tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ponendosi come sensibile interprete di un mondo in crisi e prossimo al disfacimento. Le sue sinfonie per orchestra e coro, di imponenti dimensioni, e i Lieder, per voce e pianoforte o voce e orchestra, portarono il linguaggio romantico a uno sviluppo estremo, aprendo la strada alla musica moderna
Dalla Boemia a Vienna
Gustav Mahler nacque nel 1860 a Kalischt, in Boemia, in una modesta famiglia ebrea molto numerosa. La morte di cinque dei suoi fratelli e il carattere violento e dispotico del padre contribuirono a sviluppare nel giovane Gustav quel forte senso del tragico, che pervade spesso la sua musica.
Riconosciuto il precoce talento musicale del figlio, fu tuttavia proprio il padre a incoraggiare e sostenere gli studi di Mahler, dapprima a Iglau, in Moravia, e dal 1875 al 1878 al Conservatorio di Vienna. Il periodo di studi viennese fu molto fecondo, per il confronto con l’intensa attività musicale della città austriaca, a quel tempo dominata dalle figure dei grandi musicisti Johannes Brahms e Anton Bruckner, con il quale Mahler entrò in contatto.
La carriera di direttore d’orchestra
Terminati gli studi, Mahler divenne direttore d’orchestra, professione che praticò per tutta la vita. Dotato di qualità fuori dal comune, ebbe una prestigiosa carriera che lo portò dai teatri di provincia a quelli di città come Praga, Lipsia, Budapest e Amburgo. Arrivò a ricoprire la carica di direttore dell’Opera di Vienna (1897-1907), ottenuta con l’appoggio di Brahms e dopo la conversione al cattolicesimo, e poi del Teatro Metropolitan di New York (1907-11), in anni dif;ficili per lui, colpito dalla morte della figlia e dall’insorgere di una malattia cardiaca.
Nonostante il successo internazionale e pur esercitando la direzione d’orchestra con rara serietà e perfezionismo, Mahler visse sempre in maniera conflittuale il rapporto con questa professione, ritenendo che essa sottraesse tempo alla sua attività di compositore.
La produzione liederistica
A parte poca musica da camera, Mahler compose Lieder e sinfonie. Il termine Lied, che nella nostra lingua corrisponde alle parole lirica, canzone, romanza, indica una composizione vocale-strumentale che unisce poesia e musica. Questo genere ebbe una lunga tradizione in area tedesca e una grande fioritura nel periodo romantico (romanticismo).
Tra i numerosissimi Lieder di Mahler vanno ricordati il ciclo dei Canti della giovinezza (1880-83 e 1887-90) i cui testi sono tratti in parte da Il corno meraviglioso del fanciullo, una raccolta di poesie popolari di Achim von Arnim e Clemens Brentano. Da tale raccolta Mahler trasse anche il ciclo omonimo, Il corno meraviglioso del fanciullo, nelle versioni per voce e pianoforte (1892-98) e per voce e orchestra (1892-95). Su testo proprio sono invece i Canti di un giramondo (voce e pianoforte, 1883-85; voce e orchestra, 1890-95). Agli ultimi anni della produzione di Mahler appartengono i Canti di bambini morti (1901-04) per voce e orchestra e il Canto della terra (1907-09), un esteso lavoro sinfonico-vocale che opera una fusione tra il Lied e la sinfonia.
Le sinfonie
Mahler compose nove sinfonie, mentre una decima rimase incompiuta. Egli considerava la sinfonia come l’espressione musicale più alta, manifestando così la sua fedeltà alla tradizione; allo stesso tempo ne rendeva evidente la crisi con un linguaggio complesso, talvolta intimo e sommesso, talvolta grandioso e drammatico, in cui è frequente l’inserimento di temi popolari e di atmosfere ispirate alla natura. Nelle sinfonie di Mahler il numero dei movimenti, la loro durata e l’organico vengono spesso dilatati fino a dimensioni insolite; inoltre la ricerca timbrica e strumentale è particolarmente innovativa. Tutto ciò rese Mahler un fondamentale punto di riferimento per i musicisti del Novecento.
Dopo la Prima sinfonia, poi detta Titano (1884-88), Mahler compose tre sinfonie per orchestra e voci soliste, scritte tra il 1884 e il 1900. La Quinta sinfonia (1901-02), la Sesta (1903-04) e la Settima (1904-05) sono invece solo per orchestra. L’Ottava sinfonia (1906), detta Sinfonia dei mille per l’imponente organico, costituisce un insieme omogeneo per linguaggio e ispirazione con la Nona (1908-09), il Canto della terra e l’Adagio della Decima (1910), sinfonia che Mahler non completò per la morte avvenuta nel 1911.
Poesie di Aldo Fabrizi- attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore
Aldo Fabrizi è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, è nato il 1 novembre 1905 a Roma (Italia) ed è morto il 2 aprile 1990 all’età di 84 anni a Roma (Italia). Nel 1988 ha ricevuto il premio speciale alla carriera al David di Donatello. Dal 1947 al 1988 Aldo Fabrizi ha vinto 4 premi: David di Donatello (1988), Festival di Venezia (1947), Nastri d’Argento (1951, 1975).
La Romanella
I Mì nonna, benedetta indó riposa,
se comportava come ‘na formica
e puro si avanzava ‘na mollica
l’utilizzava per un’antra cosa.
Perciò er dovere primo d’ogni sposa,
pure che costa un’oncia de fatica,
è d’esse sempre, a la maniera antica,
risparmiatrice, pratica e ingegnosa.
Si avanza un po’ de pasta, mai buttalla:
se sarta co’ un po’ d’acqua solamente,
pe’ falla abbruscolì senz’abbrucialla.
E la riuscita de ‘sta Romanella
che fa faville e che nun costa gnente
dipenne da ‘na semplice padella.
II Mò l’urtima invenzione è ‘na padella,
che quello che se còce poi se stacca,
mastice, colla, pece e ceralacca,
se rivorteno come ‘na frittella.
‘Sta novità sarà ‘na cosa bella,
ma dato che la Pasta nun attacca
in pratica sarebbe ‘na patacca
perché dev’esse mezz’abbruscatella.
Vedete, er gusto nun dipenne mica
dar fatto che diventa più odorosa,
ma dar sapore de padella antica.
E detto questo, porca la miseria,
fò a meno de la chiusa spiritosa,
perché ‘sto piatto qui è ‘na cosa seria!
Aldo Fabrizi
Pasta alla capricciosella
Provate a fa’ ‘sto sugo, ch’è un poema:
piselli freschi, oppure surgelati,
calamaretti, funghi “cortivati”,
così magnate senz’avé patema.
Pe’ fa’ li calamari c’è un sistema:
se metteno a pezzetti martajati
nell’ajo e l’ojo e bene rosolati,
so’ teneri che pareno ‘na crema.
Appresso svaporate un po’ de vino;
poi pommidoro, funghi e pisellini
insaporiti cor peperoncino.
Formaggio gnente, a la maniera antica,
fatece bavettine o spaghettini…
Bòn appetito e Dio ve benedica!.
Chi sarà stato?
Ho letto cento libri de cucina.
de storia, d’arte, e nun ce nè uno solo
che citi co’ la Pasta er Pastarolo
che unì pe’ primo l’acqua e la farina.
Credevo fosse una creazione latina,
invece poi, m’ha detto l’orzarolo,
che l’ha portata a Roma Marco Polo
un giorno che tornava dalla Cina.
Pe’ me st’affare de la Cina è strano,
chissà se fu inventata da un cinese
o la venneva là un napoletano.
Sapessimo chi è, sia pure tardi,
bisognerebbe faje… a ‘gni paese
più monumenti a lui che a Garibardi.
Aldo Fabrizi
La cottura
I Nun è ‘na cosa tanto compricata,
però bisogna sempre fà attenzione
perché ce vò ‘na certa proporzione
tra tipo e quantità che va lessata.
Me spiego: quella fina e delicata
va bene tutt’ar più pe’ du’ persone,
ma si presempio se ne fa un pilone
basta un seconno in più che viè incollata.
Insomma, c’è ‘na regola importante:
fino a tre etti se pò fà leggera
poi più s’aumenta e più ce vò pesante.
Er sale è mejo poco, l’acqua assai,
un litro a etto, l’unica maniera,
perché la Pasta nun s’incolli mai.
II Un’antra cosa: mai bollilla stretta,
e quanno l’acqua è in piena bollitura,
se butta giù e la pila se riattura
pe’ fà riarzà er bollore in fretta in fretta.
Poi dopo un po’ s’assaggia: n’anticchietta;
appena è cotta, ancora bella dura,
se leva e je se ferma la cottura
coll’acqua fresca sotto la bocchetta.
Doppo girata un attimo, scolate:
quanno l’urtima gocciola viè fòri
conditela de prescia e scodellate.
Si c’è quarcuno attenti a controllavve:
« mangiate calmi, piano, da signori » ,
si state soli… attenti a nun strozzavve.
La Creazione
Dio disse: « Mò che ho fatto Cielo e Tera,
domani attacco Luce e Firmamento,
mercoledì fò er mare, doppo invento
farfalle e fiori pe’ la Primavera.
Pe’ giovedì fò er Sole, verso sera
fò li Pianeti, er Fòco, l’Acqua, er Vento,
così se venerdì nun vado lento,
faccio sabbato ingrese e bònasera! »
Finì defatti er sabbato abbonora.
« Mò » disse « vojo vede chi protesta
dicenno che er “Signore” nun lavora…
Ho sfacchinato quarant’ore… basta!
Domani ch’è domenica fò festa…
e prima de fa’ Adamo fò la Pasta! »
Aldo Fabrizi
La dieta
Doppo che ho rinnegato Pasta e pane,
so’ dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure…
me pare un anno e so’ du’ settimane.
Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe’ damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immaginà le svojature
co’ la lingua de fòra come un cane.
Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da ‘na tavola e ‘na sedia
pensanno che se deve da morì?
Nun è pe’ fà er fanatico romano;
però de fronte a ‘sto campà d’inedia,
mejo morì co’ la forchetta in mano!
Aldo Fabrizi
La panzanella
E che ce vo’
pe’ fa’ la Panzanella?
Nun è ch’er condimento sia un segreto,
oppure è stabbilito da un decreto,
però la qualità dev’esse quella.
In primise: acqua fresca de cannella,
in secondise: ojo d’uliveto,
e come terzo: quer di-vino aceto
che fa’ venì la febbre magnarella.
Pagnotta paesana un po’ intostata,
cotta all’antica,co’ la crosta scura,
bagnata fino a che nun s’è ammollata.
In più, per un boccone da signori,
abbasta rifinì la svojatura
co’ basilico, pepe e pommidori.
Aldo Fabrizi
Biografia di Aldo Fabrizi rappresenta l’anima di Roma, la cosiddetta Città Eterna,che l’ha sempre considerato il suo figlio prediletto. Del popolo romano l’attore ha canzonato in oltre cinquant’anni di carriera vizi e debolezze, con quel suo umorismo tanto cinico e disincantato, quanto dissacrante e tagliente, così caratterizzante del suo fare flemmatico e arguto. Sapeva scherzare su tutto, ma prima di tutto su se stesso, ed in particolar modo sul suo fisico corpulento, palese dimostrazione della sua smisurata passione per il cibo, e soprattutto per i piatti tipici della cucina romana, che egli stesso si deliziava nel preparare. Era la voce del “popolino”, dal quale egli proveniva e che ha sempre portato nel cuore. Attraverso i suoi tipici personaggi – con i quali ha conquistato le platee dell’Italia intera a partire dai suoi esordi teatrali nei primi anni Trenta, e che ha fortunatamente riproposto in televisione negli anni Settanta – come il vetturino il cui cavallo lo batte in fatto di stanchezza, il tranviere contro cui tutti i passeggeri si accaniscono, o il cameriere dai piedi stanchi, Fabrizi esprimeva il suo spirito caustico, e conduceva una sferzante satira sulla romanità, ma ancor più in generale sull’uomo qualunque del suo tempo. In cinema debuttò nel 1942, ma si sarebbe dovuto aspettare il 1945 perché egli avesse potuto dar prova di una profonda sensibilità artistica in un ruolo diverso dai soliti, stavolta drammatico, quello di un prete eroico che si fa fucilare dai tedeschi pur di non rivelare i nomi di alcuni partigiani, nel capolavoro di Rossellini, Roma città aperta. Il film – che lo vede per la terza volta al fianco dell’amica-nemica Anna Magnani, che in quanto a schiettezza e sfacciataggine riusciva a tenergli testa – gli offrì l’opportunità di fornire una struggente e sofferta interpretazione, densa di emotività, e carica di una coinvolgente naturalezza, dimostrando così di essere un attore a tutto tondo. La sua filmografia è sterminata: lo ricordiamo spesse volte al fianco dell’amico Totò, soprattutto nel film caustico-amaro Guardie e ladri (1951) di Steno e Mario Monicelli; e poi in una serie di svariati, e talvolta grotteschi personaggi, come il contadino furbo e bonario di Vivere in pace (1947) di Luigi Zampa, il padre egoista e protervo di Prima comunione (1950) di Alessandro Blasetti, lo sfortunato e bizzarro capofamiglia nella serie de “La famiglia Passaguai” (tre film dal 1951 al ’52), di cui egli stesso fu il regista, e il ricco e rozzo palazzinaro di C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola, deluso e disincantato ritratto della pseudo-impegnata generazione di sinistra del periodo post-secondo conflitto mondiale. Dopo tanti impegni come attore cinematografico, il teatro lo rivide incontrastato mattatore nella celeberrima commedia musicale di Garinei e Giovannini, Rugantino, portata per la prima volta in scena nel 1962, ripetuta diverse volte negli anni successivi, e portata addirittura a New York. Accanto ad interpreti del calibro di Nino Manfredi e Bice Valori, Fabrizi impersonò il tragicomico personaggio di Mastro Titta, un boia della Roma papalina, che dietro il suo aspetto burbero e rude, si dimostrava sensibile e bonario. Da ricordare infine le sua spassosissime apparizioni televisive, e le sue deliziose raccolte di ricette e poesie, spiritosamente intitolate La pastasciutta (1971), Nonna minestra (1974) e Nonno pane (1980). La Roma paciosa e scanzonata che lo vide nascere, se lo portò via, in una triste mattinata primaverile del 1990, quando “er sor Aldo” aveva da qualche mese compiuto ottantaquattro anni.
Franco Leggeri-Castelnuovo di Farfa “l’Acchiesola” e il paradosso dell’algebra astratta-
-Brano da “Murales Castelnuovesi” di Franco Leggeri-
Franco Leggeri-Castelnuovo di Farfa – Brano da Murales Castelnuovesi -“l’Acchiesola” e il paradosso dell’algebra astratta-Muoversi nelle intuizioni e immergersi nei problemi irrisolti . Era questa l’equazione che sia i bambini e sia i giovani castelnuovesi degli anni ’50 dovevano risolvere in assenza dei media : radio, televisione , giornali e cinema.I media che dovevano essere vitamina e “stimolatori” della fantasia e creatività per le giovani menti castelnuovesi non esistevano ancora per tutti, sino al giorno in cui fu aperta la “scatola magica” della “piccola-grande “ sala cinematografica “su nell’Acchiesola”, ora Aula consigliare .Questa sala fu una prima miniera della fantasia , in Bianco e Nero, per le giovani menti castelnuovesi. Fu il cinema, per la sua capacità di “parlare” ad ogni pubblico : dal proletario, la maggioranza di noi castelnuovesi, sino a quello “aristocratico” .Proprio per il suo linguaggio, il cinema è un luogo comune nel senso di condiviso. Il cinema è allo stesso tempo un formidabile mezzo per la trasmissione, sia di mentalità che di ideologie, sia che si presenti nella forma di documentario e sia come finzione. Con il cinema, molti di noi giovani scoprimmo la grande città e l’esotismo di luoghi lontani. Scoprimmo le melodie delle colonne sonore, la sottolineatura e il clima da suspense che solo la musica e il gioco delle luci sanno evidenziare. Il vento prese “voce” e scoprimmo il canto dei fiumi e del mare. Ho nella memoria una presenza reale dell’attesa per l‘inizio del film, poi il silenzio e le immagini “enormi” proiettate sullo schermo che ci raccontavano una storia . Devo dire che ero affascinato! Ricordo, per esempio ,la “fantasiosa e furbesca” storia di un assalto alla diligenza e gli spari delle “colt”. E così che provai a risolvere l’equazione del paradosso dell’algebra astratta. La fantasia veniva , man mano, trovando i passaggi giusti nelle semplificazioni, tra realtà, finzione ed emozione, sino al coinvolgimento e all’identificazione nei personaggi del film . Fu allora che scoprimmo il Far West ( poi imparammo che il West era l’Ovest delle grandi praterie) e fu così che riuscimmo, in questa “Grande-minuscola sala”, a provare l’emozione di essere partecipi di una avventura sino a scoprire che , alla fine, “arrivava sempre il settimo cavalleria” e tutto aveva un lieto fine.
P.S.“Su nell’Acchiesola” noi “monelli de Castellu” quelli della generazione del dopoguerra abbiamo votato per la prima volta, perché “l’Acchiesola” era adibita, sin dall’800 , a sede di seggio elettorale. E’ qui che per molti Castelnuovesi ebbe inizio la speranza del “biennio rosso” del 1919 -1921 ,con il voto al Partito Socialista Italiano di Filippo Turati . In questa sala fu pronunciato, per la prima volta a Castelnuovo, il voto alla Lista “Falce, Martello e Libro”. Di queste elezioni del 1919 ne ho raccolto e trascritto la testimonianza diretta così come mi è stata raccontata dal nostro compaesano Fiore Tancioni che , assieme ad altri compaesani da me intervistati, ne fu testimone . Ma questa è una storia che tratto in un capitolo del libro “Castenuovo, la riva sinistra del Farfa”.
Franco Leggeri, Castelnuovese
Castelnuovo di Farfa -Centro Storico–Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di Farfa -Centro Storico- Via Garibaldi-Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di Farfa -Centro Storico-Via Coronari-Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma , la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) Panorama (prima del 1935)Castelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via GaribaldiCastelnuovo di Farfa (Rieti) Via Coronari
Carlo Vecce-Il Decameron di Pasolini, storia di un sogno-
Il Decameron di Pasolini, storia di un sogno
Carocci editore -Roma
Descrizione in breve-Il Decameron (1971), punto di svolta della poetica di Pasolini, è un’opera in movimento, aperta, che per essere compresa va analizzata in tutte le fasi del processo creativo, all’interno del laboratorio dell’autore, dalla prima ideazione fino alla realizzazione del film; ed è allo stesso tempo un capolavoro del cinema e uno straordinario documento della ricezione di Boccaccio nella cultura del Novecento. Il volume, attraverso un accurato esame dei materiali preparatori – il trattamento, la sceneggiatura e soprattutto il copione di scena utilizzato sul set –, ne ripercorre la storia prima, durante, dentro e (in misura limitata) anche dopo. Un’attenzione speciale viene riservata ai luoghi scelti per le riprese, agli interpreti, ai riferimenti iconografici, alla colonna sonora, alla contaminazione degli stili, delle lingue e dei linguaggi.
Ebbe diversi problemi con la censura, che sequestrò e dissequestrò il film e aprì anche un processo, che alla fine vide giudicati non colpevoli gli imputati (tra cui il regista stesso). Ad ogni modo, fu un successo tanto in Italia quanto nel resto d’Europa; vinse anche l’Orso d’argento al Festival di Berlino 1971.
Dal 2000, il film è vietato ai minori di 14 anni.[senza fonte]
Elenco delle novelle
Segue l’elenco delle nove novelle tratte dal “Decameron” nell’ordine in cui appaiono nel film.
Il giovane Andreuccio viene truffato due volte, ma finisce col diventare ricco.[1]
Una badessa riprende una consorella ma è a sua volta ripresa per il medesimo peccato[2]
Masetto si finge sordo-muto in un convento di curiose monache.[3]
Peronella è costretta a nascondere il suo amante quando suo marito torna improvvisamente a casa.[4]
Ciappelletto si prende gioco di un prete sul letto di morte.[5]
L’allievo di Giotto aspetta la giusta ispirazione (divisa in 2 momenti).[6]
Caterina dorme sul balcone per incontrare il suo amato la notte.[7]
I tre fratelli di Lisabetta si vendicano del suo amante.[8]
Il furbo don Gianni cerca di sedurre la moglie di un suo amico.[9]
Due amici fanno un patto per scoprire cosa accade dopo la morte.[10]
Trama
Andreuccio da Perugia
Ninetto Davoli nel ruolo di Andreuccio
Il giovane Andreuccio si reca a Napoli dalla lontana Perugia per comperare alcuni cavalli. Ma non si accorge che una ragazza di origini siciliane lo ha adocchiato con la sua borsa di monete ed intende rubargliele con un astuto stratagemma. Infatti Andreuccio, non soddisfatto dalla merce del mercato, si addentra per le vie della città quando incontra una ragazza che lo invita a salire in casa. Si tratta della residenza dell’imbrogliona che racconta ad Andreuccio di essere sua sorella illegittima concepita da un amore clandestino del padre con una matrona sicula; e lo invita a passare la notte in casa. Andreuccio è felice dell’invito e chiacchiera con la ragazza, mentre un fanciullo entra in bagno e sega una trave del pavimento per mettere in azione la trappola.
Infatti, arrivata la sera, Andreuccio ha dei dolori di pancia e si reca al bagno per fare i suoi bisogni. Quando mette il primo piede sul pavimento la trave di legno cede e il giovane cade nella latrina dalla quale riesce ad uscire solo per miracolo. Andreuccio si cala da una finestrina e chiede alla serva di farlo entrare, ma questa lo scambia per pazzo. Andreuccio allora capisce l’imbroglio e comincia a gridare, venendo però zittito e scacciato via dalle matrone del quartiere. Senza un soldo e completamente ricoperto di poltiglia puzzolente, Andreuccio non sa dove andare, quando vede due viandanti e, vergognandosi della sua situazione, va a nascondersi dentro una botte. I due viaggiatori si avvicinano alla cassa, attirati dall’odore nauseabondo e scoprono il giovane. I due, che in realtà sono dei ladri, gli propongono di venire con loro nella chiesa vicina dove è stato seppellito da poco in una tomba un famoso vescovo, cosicché possano aprire la cassa e rubargli le vesti e in particolare un anello di grande valore.
Andreuccio è d’accordo, ormai disposto a tutto pur di essere risarcito e va con i due. Aperta la bara i ladri fanno entrare dentro Andreuccio che si mette all’opera. Il ragazzo ha sfilato al cadavere ogni cosa che possa essere di valore, tenendo l’anello per sé. Quando i due gli ordinano di buttare fuori l’anello, Andreuccio dice che lì dentro non c’è nessun anello e i ladri indispettiti lo rinchiudono nella cassa di marmo. Poco dopo sopraggiungono altri due banditi assieme al sagrestano intenti a compiere lo stesso furto. Aprono la cassa, ma Andreuccio addenta immediatamente la gamba del sagrestano che stava per entrare. L’uomo urla di dolore e di paura, facendo scappare i giovani complici e Andreuccio finalmente può tornare a Perugia con l’anello.
La novella della suora con l’amante
Nella città di Napoli un vecchio sta raccontando una storia. In un convento una suora ha rapporti sessuali con un amante segreto, ma gli incontri notturni vengono scoperti dalle altre suore che si precipitano il giorno dopo dalla Madre Superiora per raccontare lo scabroso evento. Tuttavia, al contrario delle loro aspettative, la Madre sta facendo l’amore con il sacerdote e quando sente bussare alla porta, per la fretta, si mette al posto del copricapo le brache dell’amante. Così accade che la sorella, pur essendo punita dalla Madre Superiora, ottiene il permesso, così come tutte le altre sorelle, di ricevere ogni notte in cella il proprio amante.
Masetto l’ortolano nel convento
Masetto è un contadino che pensa solo al piacere che si può provare facendo l’amore. Essendo impaziente pensa di travestirsi da bracciante sordomuto e di entrare in un convento poco distante dal campo. Le suore vedendolo rimangono sorprese ed entusiaste allo stesso momento dato che a un uomo, fuorché al sagrestano, non era concesso entrare in un monastero di monache; e cominciano a formulare pensieri licenziosi. Infatti qualche giorno dopo mentre Masetto sta potando un albero due suore lo chiamano invitandolo in un piccolo ripostiglio degli attrezzi per avere a turno un fugace rapporto amoroso, mentre le altre scorgono la scena dalle finestre del monastero. Anch’esse, nelle loro celle, ricevono una alla volta il giovane per intrattenervi un rapporto sessuale. Alla fine anche la Madre Superiora cede alla tentazione e porta Masetto nel capanno, ma prima del momento supremo l’uomo si rifiuta e dichiara di essere esausto per i tanti rapporti, rivelando così di non essere sordomuto. La Madre, per non far uscire la notizia dal convento, decide di dichiarare miracolato il ragazzo, facendolo rimanere nel convento per soddisfare i desideri delle suore.
Peronella e l’orcio
Angela Luce nel ruolo di Peronella
A Napoli, Donna Peronella sta aspettando il ritorno del proprio marito e nel frattempo sta facendo l’amore con Giannello, venditore di orci e giare. Il marito torna a casa e Peronella fa nascondere l’amante nella grande giara in giardino. L’uomo si presenta alla moglie assieme ad un mercante dichiarando di aver concluso con lui un affare per la vendita di una giara per 5 denari. Peronella tuttavia per liberarsi del compratore comunica al marito di averlo già venduto per 7 denari; allora il coniuge congeda il mercante e si reca con Peronella nel giardino. Giannello esce fuori dal recipiente affermando che l’interno della giara è sporco e che bisogna pulirlo, altrimenti l’affare non potrà essere concluso. All’istante lo sciocco marito di Peronella si cala dentro a pulire, mentre Giannello ha un rapporto con la donna che rimane affacciata sul bordo della giara a controllare il lavoro del marito.
Ser Ciappelletto (o Cepparello) da Prato
Ser Ciappelletto è già comparso due volte nel film: la prima all’inizio quando è intento a gettare da una rupe un sacco contenente un cadavere, la seconda mentre un vecchio racconta ad un gruppo di persone la novella di Masetto; Ciappelletto propone un rapporto sessuale ad un bel giovanetto in cambio del denaro che ha appena sottratto dalla cintura di uno degli ascoltatori. In questa novella il protagonista si reca da Prato in Germania per essere ospitato da due fratelli napoletani usurai. Ciappelletto ha passato un’intera vita di imbrogli, truffe, raggiri, rapporti sessuali con prostitute e omosessuali, bestemmie e ingiurie nei confronti della Chiesa. Giunto in città viene ospitato dai due fratelli mentre viene inquadrata una festosa sagra nel prato fuori dalla città. Ciappelletto entra in sala e mangia con loro fino a che non si sente male e crolla a terra.
Passano alcuni giorni ma Ciappelletto è sempre più grave finché si riduce in fin di vita. I due fratelli, sotto le suppliche di Ciappelletto, convocano un santo frate che possa assolverlo dai peccati. Il sacerdote giunge in casa e inizia la confessione mentre i due uomini ascoltano fuori dalla porta, ridendo della confessione di ser Ciappelletto e commentando tutte le sue malefatte. L’astuto Ciappelletto si dimostra disperato dei suoi peccati confessando di aver sputato in chiesa e di aver ingiuriato la madre. Il frate, credendo di trovarsi di fronte all’uomo più pio che abbia mai conosciuto, decide di dargli subito l’assoluzione e di farlo venerare come un santo. Ciappelletto muore di lì a poco e viene portato nella chiesa principale dove tutti i pellegrini si recano a rendergli omaggio toccando la sua salma.
L’allievo di Giotto
In tutta la regione si sta parlando di un certo pittore (Pasolini) che ha frequentato la scuola del famoso Giotto. L’uomo deve recarsi a Napoli nella chiesa di Santa Chiara per affrescare la parete dell’altare. Arrivato, l’uomo comincia tutti i preparativi sistemando il ponteggio e diluendo i colori con i compagni. Mentre incomincia a dipingere il quadro continuano le altre storie del Decameron.
Caterina di Valbona e Riccardo
Giuseppe Zigaina nel ruolo del sacerdote nella novella di Ser Ciappelletto
In un paese vicino a Napoli la nobile Caterina ama il giovane Riccardo, ma ha paura di dichiararlo al padre. Per questo, con la scusa del caldo torrido dell’estate, dichiara alla madre di voler dormire per un po’ sulla terrazza affinché possa rinfrescarsi. I genitori acconsentono e così il bel Riccardo quella notte può salire per fare l’amore con Caterina. Il giorno dopo molto presto, i genitori della ragazza si svegliano e salgono su per vedere come sta la figlia e la trovano nuda con Riccardo. La madre sta per gridare, ma il marito la rassicura spiegandole che il giovane potrebbe essere un buon partito e quindi pensano di farli sposare al più presto. E ciò avviene: i due genitori fanno svegliare la coppia e li convincono a sposarsi proprio in quel momento sulla terrazza e poi lasciano che Riccardo e Caterina se ne tornino a dormire beatamente abbracciati.
Il pranzo dell’allievo
Qui vi è un secondo intermezzo delle storie: l’allievo di Giotto viene invitato dai frati a mangiare per rifocillarsi un po’, ma l’uomo trangugia tutto in pochi minuti e si precipita di nuovo a lavorare, scherzando sempre con i giovani aiutanti.
Elisabetta (o Lisabetta) da Messina e Lorenzo
Elisabetta è la sorella di tre ricchi mercanti i quali pensano solo a far soldi. Ma la ragazza è innamorata di un giovane garzone: Lorenzo e con lui ha appassionanti rapporti sessuali. Ma i tre lo vengono a sapere e pensano di ucciderlo. Infatti qualche giorno dopo i tre fratelli invitano l’ignaro Lorenzo a giocare insieme nel giardino lì vicino e lo pugnalano alle spalle. Fatto ciò comunicano a Elisabetta che il suo Lorenzo si è recato in Sicilia per affari e che sarebbe tornato qualche settimana dopo. Ma Lorenzo non fa ritorno ed Elisabetta passa le intere notti a piangere invocando il suo nome. Una di queste notti il fantasma di Lorenzo le appare in sogno comunicandole di essere stato ucciso e che il suo corpo è stato seppellito nel giardino. Il giorno dopo Elisabetta chiede ai fratelli il permesso di uscire e si reca in giardino con una serva. Dissotterrato il corpo di Lorenzo, Elisabetta ne recide la testa e la porta in camera sua, nascondendola dentro un vaso di basilico.
Gemmata e la cavalla
Guido Alberti nel ruolo del mercante
Un vecchio contadino incontra a Napoli l’amico Gianni e i due decidono di riprendere il viaggio verso il paesello. Durante il tragitto il contadino propone a Gianni di ospitarlo, in virtù dell’amicizia che li lega e, soprattutto, per ricambiare il favore (dato che anche il contadino era stato ospite di Gianni). Donna Gemmata, moglie del contadino, riceve la visita del coniuge e di Gianni il quale, spacciandosi per una sorta di stregone indovino, sostiene che una donna si possa tramutare con un suo sortilegio in cavalla e, se si vuole, farla ritornare alle sue sembianze. L’obiettivo di Gianni è di avere un rapporto sessuale con Gemmata dato che è bellissima ed è oggetto di tutte le attenzioni del villaggio. Marito e moglie ingenuamente credono a questa magia e invitano Gianni a casa loro, facendolo dormire nella stalla coi cavalli.
Il giorno dopo all’alba, Gemmata si sveglia e chiede al marito, dato che sono molto poveri, se può essere tramutata in cavalla cosicché possa aiutarlo nell’arare i campi. Il marito acconsente e la porta da Gianni, comunicandogli il desiderio di Gemmata. Gianni subito prende al volo l’occasione e dichiara al coniuge che, durante il rito, deve stare zitto senza proferire parola. Infatti secondo il sortilegio, la parte più difficile è quella di “attaccare alla donna la coda”. Fatto ciò Gianni fa spogliare nuda Gemmata e la fa mettere carponi, mentre egli si accinge ad un rapporto da terra. Durante l’operazione però il marito, fremente di rabbia, comincia ad urlare e Gianni, con faccia affranta, dichiara fallito il rito perché il coniuge non ha rispettato il silenzio.
L’ultima novella di Tingoccio e Meuccio e il completamento dell’affresco
Mentre l’allievo di Giotto sta per finire l’opera, i due popolani Tingoccio e Meuccio sono ansiosi di capire cosa ci sia dopo la morte e soprattutto come siano il Paradiso o l’oscuro antro dell’Inferno; ma i due sono un po’ riluttanti perché credono che sia peccato avere rapporti sessuali con le amiche e quindi non vorrebbero finire all’inferno. Tingoccio propone che chi muore per primo visiti in sogno l’altro per rivelargli i segreti dell’aldilà. Arrivata la notte però, mentre Meuccio cerca in tutti i modi di morire concentrandosi in preghiera, Tingoccio ha un rapporto sessuale con la comare e poi si reca dall’amico, raccontandogli l’avventura. Meuccio gli rinfaccia che ormai è condannato, perché, secondo lui, ha commesso un grave peccato contro Dio. Dopo qualche tempo Tingoccio muore e quella stessa notte appare in sogno a Meuccio che gli domanda in che mondo sia stato collocato.
Tingoccio risponde che si trova in una specie di “limbo” in attesa di essere condotto nell’Inferno o nel Purgatorio e che in quella zona non si scontano pene per aver avuto nella vita rapporti con la comare. Di seguito prega Meuccio affinché il popolo di Napoli lo veneri e faccia celebrare messe in suo onore per raccogliere denaro che gli sarà d’aiuto nella vita ultraterrena. Contentissimo, Meuccio corre dalla comare per soddisfare i suoi desideri.
Nella chiesa di Santa Chiara, nel frattempo, il pittore che sta dormendo fa un sogno in cui gli appare la Vergine Maria con in braccio il bambino Gesù e tutta la schiera di angeli e santi, possibile ispirazione per finire l’affresco. Il sogno si interrompe ed il giorno dopo il pittore completa finalmente l’affresco, decidendo però di omettere il suo ultimo sogno, e mentre tutti i frati e i sagrestani festeggiano l’avvenimento, il pittore commenta la mancanza della sua visione nell’opera finale dicendo: “Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?”.
Produzione
Sceneggiatura
In una lettera della primavera del 1970, Pasolini spiegava al produttore Franco Rossellini di aver modificato la sua originaria idea di ridurre l’intero Decameron a quattro o cinque novelle di ambiente napoletano e di voler dare invece «un’immagine completa e oggettiva del Decameron» attraverso la scelta del maggior numero possibile di racconti. Al gruppo centrale dei racconti ambientati nella Napoli popolare avrebbero dovuto aggiungersene altri per rappresentare lo «spirito interregionale e internazionale» dell’opera di Boccaccio, con l’ambizione di realizzare «una specie di affresco di tutto un mondo, tra il medioevo e l’epoca borghese». Il film avrebbe dovuto durare almeno tre ore ed essere diviso in tre tempi, ognuno dei quali rappresenti un’unità tematica.[11] Il primo trattamento elaborato dall’autore era dunque costruito su questa struttura tripartita (15 novelle suddivise in tre tempi, ognuno dei quali racchiuso da un racconto cornice, con protagonisti rispettivamente Ser Ciappelletto, Chichibio e Giotto), che voleva rispecchiare la complessa architettura narrativa dell’opera di Boccaccio.
La scelta delle novelle appariva ancora caratterizzata da estrema eterogeneità. Solo tre novelle del Decameron sono di ambientazione partenopea; Pasolini rafforzava la “napoletanità” della propria rivisitazione trasferendone altre, di ambientazione toscana, a Napoli e dintorni.[12] Rispetto al trattamento, nella sceneggiatura, datata 26 agosto 1970,[13] Pasolini allentò il rigido schema tripartito, eliminando cinque novelle «orientali» o «nordiche» e aggiungendone due nuove, e cercando di bilanciare il rischio dell’eccessiva frammentarietà con una maggior omogeneità d’ambiente (napoletano e popolare).[14]
Dalla sceneggiatura alla forma definitiva del film, il cambiamento più importante riguardò la sostituzione dello schema tripolare con quello bipolare.[14] Furono eliminati il racconto-cornice di Chichibio e altre due novelle (tra cui quella di Alibech, nel trattamento definita dall’autore di «grazia sublime»,[15] ma ritenuta dissonante rispetto al resto del film e comunque eliminata solo all’ultimo, tanto che gli interpreti appaiono comunque accreditati nei titoli di testa), e furono effettuati degli spostamenti strutturali che diedero maggior coesione all’insieme. Malgrado l’apparente eterogeneità dell’intreccio, il film mostra una logica interna e una sostanziale omogeneità,[16] a cui contribuisce la napoletanità che pervade tutti i dialoghi. In merito a questa scelta linguistica, Pasolini affermò: «Ho scelto Napoli contro tutta la stronza Italia neocapitalistica e televisiva: niente babele linguistica, dunque, ma puro parlare napoletano».[17]
Un’importanza particolare riveste, fin dal trattamento e poi nelle elaborazioni successive, il racconto di Giotto che si reca a Napoli per affrescare la chiesa di Santa Chiara. L’artista figura in effetti nella novella 5 della VI giornata, che però è ambientata nei dintorni di Firenze e ha andamento aneddotico. Nel progetto pasoliniano, invece, la vicenda giottesca costituisce uno dei racconti-cornice delle (progettate tre, e poi effettive due) parti dell’opera. Inoltre, e fin dalla prima stesura, a Giotto è affidato l’explicit del film: guardando la sua opera compiuta, nel trattamento l’artista «ha un lieve, ingenuo e misterioso sorriso»;[18] nella sceneggiatura «nel suo viso è stampato – come una leggera ombra, non priva di malinconia – il sorriso dolce, misterioso e ingenuo con cui l’autore guarda la sua opera finita»;[13] mentre nel film (in cui Giotto diventa «un allievo di Giotto», forse contestualmente alla decisione di Pasolini di interpretare in prima persona il personaggio)[19] pronuncia, di spalle, la battuta «Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?», aggiunta dal regista direttamente sul set.[20]
Rosa Balistreri, dalla Sicilia la prima cantautrice e cantastorie italiana-
Rosa Balistreri è una cantautrice siciliana, la prima cantastorie italiana. È stata una donna dalla vita tragica, una figura unica nel panorama culturale del nostro paese, che ha saputo cantare come pochi altri la sua terra, la Sicilia.
Rosa Balistreri
La vita di Rosa Balistreri, un film senza autore
Il poeta siciliano Ignazio Buttita ha definito la vita di lei: “Un dramma, un romanzo, un film senza autore” . Rosa Balistreri nasce a Licata, in provincia di Agrigento, il 21 marzo del 1927. Viene da una famiglia poverissima. Trascorre tutta l’infanzia in stato di fortissima indigenza. Suo padre è un falegname, un uomo molto irrequieto e violento. Lavora sin da piccolissima come spigolatrice e come operaia nell’industria della conservazione del pesce. Non frequenta la scuola, cammina scalza perché un paio di scarpe non può permettersele. Le prime scarpe le comprerà solo a 15 anni per andare a cantare in chiesa. A 16 anni è costretta a un matrimonio combinato con quello che lei definisce un “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”, ovvero un “ladro, giocatore e ubriacone”. Questo perde praticamente tutto al gioco e Rosa lo aggredisce con un coltello, per andarsi poi a costituire dai carabinieri e affrontare sei mesi di detenzione. Una volta libera vive vendendo in strada capperi, lumache e fichi d’India per le strade di Licata. Si trasferirà poi a Palermo per andare al servizio di una famiglia nobile, ma subirà abusi e incolpata di rubare in casa dei padroni, finirà nuovamente in prigione. Vivrà poi a Firenze, dove assisterà al femminicidio della sorella. A 32 anni impara a leggere e a scrivere.
Incontra il pittore Manfredi Lombardo, con il quale vive per dodici anni. Grazie a lui entra in contatto con ambienti culturali e artistici incredibilmente stimolanti. Conosce Guttuso, Sciascia, Camilleri e intellettuali italiani come Dario Fo. Mario de Micheli, accademico e critico d’arte, le dà la possibilità di incidere il suo primo disco. Nel 1973 si presenta al Festival di Sanremo con la canzone “Terra che senti”. Viene esclusa perché il testo del brano non era inedito. Per protesta organizza un controfestival e va in giro con la sua chitarra, cantando per piazze e per mercati. Nel 1974 partecipa a Canzonissima. Nel 1987 intraprende un tour mondiale da cantautrice, esibendosi in Svezia, Germania e America.
Rosa Balistreri
La prima cantastorie italiana
Rosa Balistreri rivoluziona l’immagine della donna nella musica popolare italiana. In Sicilia era molto diffusa la figura del cantastorie, ovvero di colui che suonando la chitarra cantavano veri e propri pezzi di cronaca, fatti di sangue e di politica. Cantavano di rabbia e di ingiustizia sociale. All’epoca era praticamente impossibile immaginare una donna nel ruolo di cantastorie. Le donne non cantavano sulla pubblica piazza. In Italia ovviamente c’erano molte cantanti di sesso femminile, ma queste erano quasi unicamente cantanti di lirica, oppure soubrette del varietà. Una figura come quella Rosa Balistreri non si era mai vista.
La sua fisicità si imponeva sul palco, la sua voce aveva una forza e una profondità unica. Era ruvida, era straziata e straziante. Era simile a un pianto, ma non era remissiva. Era indomita. Chi ascoltava la sua voce non la dimenticava. Il suo carisma era magnetico, nessuno poteva restare indifferente di fronte a lei e al suo dolore. In fondo a tanta disperazione, c’era comunque l’energia della speranza, la forza di chi si auspica un cambiamento. C’era l’amore per una terra, la Sicilia, difficile, ma meravigliosa.
Cantava in siciliano contro la mafia, denunciava le ingiustizie del mondo del lavoro, la durezza del lavoro dei contadini dei minatori e dei lavoratori a giornata. Le sue canzoni parlavano di miniere di zolfo e di campi, di carcere, di violenza sulle donne e di nostalgia per la terra lontana abbandonata. Ogni frase delle sue canzoni è un pensiero compiuto, che arriva diretto all’ascoltatore.
La cantautrice siciliana Carmen Consoli, parlando di Rosa Balistreri, racconta che sin dall’infanzia suo padre le cantava le sue canzoni. La paragona a Janis Joplin e ad Aretha Franklin: “Era blues, quello che cantava Rosa”. Qualcuno la associata a una grandissima artista della musica folk portoghese, Amalia Rodriguez, la cantante del fado.
Negli ultimi anni le sono stati dedicati vari tributi, concerti e non solo. Nel 2017 Rai Storia ha trasmesso il documentario “Rosa Balistreri – un film senza autore” di Marta La Licata, con la regia di Fedora Sasso, per omaggiare la storia di questo personaggio siciliano unico nel suo genere. Franco Battiato l’ha definita “una interprete di radici talmente profonde da arrivare dall’altra parte del globo“.
Si può fare politica e protestare in mille modi, io canto. Ma non sono una cantante… sono diversa, diciamo che sono un’attivista che fa comizi con la chitarra.
Rosa nasce in una famiglia poverissima; la madre lavora in casa mentre le uniche entrate di denaro provengono dai piccoli lavori di falegnameria del padre. A sedici anni viene data in sposa a Gioacchino Torregrossa, un uomo che, molti anni dopo, in un concerto, Rosa avrebbe definito “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”.
Il matrimonio, da cui nasce l’unica figlia oggi vivente, Angela Torregrossa, finisce in tragedia il giorno in cui Rosa, avendo scoperto che il marito aveva perso al gioco il corredo della figlia, lo aggredisce con una lima e, credendo di averlo ucciso, va a costituirsi dai carabinieri: sconterà sei mesi di galera.
Per mantenere la figlia e aiutare la sua famiglia di origine Rosa fa molti lavori: dapprima in una vetreria, poi come raccoglitrice e venditrice di lumache, capperi, fichi d’india, sarde e infine a servizio in una famiglia nobile di Palermo, dove mette la figlia in collegio. In questo periodo impara a leggere e scrivere.
Si innamora del figlio del padrone e rimane incinta; Rosa si vede costretta a fuggire e poi a scontare altri sei mesi di carcere, perché accusata di furto. Uscita dal carcere trova lavoro come sagrestana e custode della chiesa degli Agonizzanti a Palermo; vive in un sottoscala insieme a suo fratello Vincenzo, invalido, che impara a fare il calzolaio. Non avendo ceduto alle molestie del prete viene mandata via e lei, rubati i soldi delle cassette dell’elemosina, parte col fratello Vincenzo per Firenze: lui lavorerà in una bottega di calzolaio e lei a servizio in case signorili.
Richiamata a Firenze anche la madre e una delle due sorelle, Rosa apre con loro un banchetto di frutta e verdura al mercato di San Lorenzo. La sorella Maria li avrebbe raggiunti in seguito, scappando coi figli alle prepotenze del marito. Ma, poco dopo la fuga, l’ex marito la uccide. In seguito alla tragedia il padre di Rosa si toglie la vita impiccandosi.
Nei primi anni Sessanta Rosa incontra il pittore fiorentino Manfredi Lombardi, e con lui vivrà per dodici anni. Durante questo periodo allarga la cerchia delle sue amicizie e viene a contatto con il mondo degli intellettuali del suo tempo. Nel 1966 partecipa allo spettacolo di canzoni popolari portato sulle scene da Dario Fo, dal titolo Ci ragiono e canto. Ha quarant’anni, il volto segnato da una vita tanto intensa e faticosa, gli occhi limpidi e sicuri di chi porta fino in fondo le proprie battaglie; la sua voce ha un timbro arcaico e diretto: la sua presenza drammatica rimane ben impressa negli spettatori, come le canzoni popolari siciliane che interpreta, nelle quali si racconta non solo la miseria ma anche l’orgoglio e lo sdegno del popolo.
Ho imparato a leggere a trentadue anni. Dall’età di sedici anni vivo da sola. Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi, gli onesti avranno un po’ di pace terrena.
Rosa Balistreri
Così si presenta Rosa a un giornalista che l’intervista nel 1973 in seguito alla mancata partecipazione al Festival di Sanremo, dove la sua canzone dal titolo Terra che non senti era stata esclusa all’ultimo minuto. Questo episodio suscita molto fragore, al punto che Rosa viene considerata da molti la vera vincitrice del Festival di quell’anno:
Li ho messi tutti nel sacco. Le mie storie di miseria provocheranno guai a molti pezzi grossi il giorno in cui l’opinione pubblica sarà più sensibile ad argomenti come la fame, la disoccupazione, le donne madri, l’emigrazione, il razzismo dei ceti borghesi… Finora ho cantato nelle piazze, nei teatri, nelle università, ma sempre per poche migliaia di persone. Adesso ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie. Era questo il mio scopo quando ho accettato di cantare a Sanremo. Anche se nessuno mi ha visto in televisione, tutti gli italiani che leggono i giornali sanno chi sono, cosa sono stata, tutti conoscono le mie idee, alcuni compreranno i miei dischi, altri verranno ai miei concerti e sono sicura che rifletteranno su ciò che canto. 1
Dopo la partecipazione a Ci ragiono e canto, inizia a incidere dischi. Nel 1971 si trasferisce a Palermo, dove frequenta persone come il pittore Guttuso e il poeta Ignazio Buttitta, che scrive per lei numerose liriche andatesi ad aggiungere al suo già vastissimo repertorio, e che diceva di lei:
Ogni volta che cercheremo le parole, i suoni sepolti nel profondo della nostra memoria, quando vorremo rileggere una pagina vera della nostra memoria, sarà la voce di Rosa che ritornerà a imporsi con la sua ferma disperazione, la sua tragica dolcezza.
Dopo la sua morte, avvenuta a Palermo nel 1990, la memoria di Rosa Balistreri si è appannata, ma negli ultimi anni i suoi eredi (in particolare il nipote Luca Torregrossa) lavorano per recuperarne il valore e la fama. Inoltre l’editore Francesco Giunta sta raccogliendo in CD la sua vastissima produzione, sparsa in molte registrazioni di concerti e in dischi delle più svariate case discografiche. Grazie al suo interessamento, nel 2008 Palermo e Firenze hanno dedicato a Rosa Balistreri un concerto con quattro importanti cantanti della canzone popolare italiana (Lucilla Galeazzi, Clara Murtas, Fausta Vetere e Anita Vitale), accompagnate dall’ensemble I pirati a Palermo.
In un’intervista a «Noi Donne» la cantante Lucilla Galeazzi ha detto a proposito del modo di cantare di Rosa:
Fare politica attraverso la canzone popolare non è solo qualcosa di esplicito e legato ai fatti del momento, ed è nel “come” non solo nel “cosa”. Lei portava avanti la voce del popolo, cantava le canzoni che appartengono a tutti, che sono “comuni” fin dalla loro radice e alle quali non è possibile apporre alcun tipo di copyright. […] A me Rosa piace come canta e cosa canta, cose che non vanno mai distinte, anche la ninna nanna è contestataria: la ninna nanna non la canta certo la donna borghese che può permettersi la balia, ma la mamma proletaria che l’indomani deve svegliarsi alle quattro di mattina per andare a lavorare, e si sente disperata perché il bambino non vuole dormire. Ecco allora che Rosa aveva la capacità di trasmettere la disperazione, di renderti compartecipe del lamento di questa donna: e anche questo è fare politica.
Per ascoltarla (particolarmente toccante è Buttana di to’ mà)
Discografia
La voce della Sicilia, Tauro Record 1967
Un matrimonio infelice, Tauro Record 1967
La cantatrice del Sud, RCA ried. de La voce della Sicilia 1973
Amore tu lo sai la vita è amara, Cetra Folk 1971
Terra che non senti, Cetra Folk 1973
Noi siamo nell’inferno carcerati, Cetra Folk 1974
Amuri senza amuri, Cetra Folk 1974
Vinni a cantari all’ariu scuvertu, Cetra Folk 1978
Concerto di Natale, PDR 1985
Rosa Balistreri, Teatro del Sole 1996 – ried. in CD de La voce della Sicilia
Un matrimonio infelice, Teatro del Sole 1997 – ried. in CD
Rari e Inediti, Teatro del Sole 1997
Amore tu lo sai la vita è amara, 2000, Teatro del Sole – ried. in CD
Terra che non senti, 2000, Teatro del Sole – ried. in CD
Noi siamo nell’inferno carcerati, 2000, Teatro del Sole – ried. in CD
Vinni a cantari all’ariu scuvertu, Teatro del Sole 2000, ried. in CD
Collection .. la raggia, lu duluru, la passione, Lucky Planets 2004
Rosa canta e cunta – Rari e
Inediti, Teatro del Sole 2007
Amuri senza amuri, Lucy Planet dove (con l’inedito E vui durmiti ancora), 2011
Altre segnalazioni
Omaggio a Rosa Balistrieri, Etnafest 2008, Catania, in collaborazione con Carmen Consoli: Ornella Vanoni, Paola Turci, Giorgia, Marina Rei, Tosca, Nada, Patrizia Laquidara, Rita Botto, Etta Scollo hanno cantato in siciliano le canzoni di Rosa Balistrieri
Mostra di effetti personali e foto su Rosa presso il monastero dei benedettini, Catania, 2010
Referenze iconografiche:
Tutte le immagini sono pubblicate per gentile concessione di Luca Torregrossa.
Seconda e terza immagine: Rosa Balistreri in concerto
Quarta immagine: La biografia ufficiale di Rosa Balistreri “L’amuri ca v’haju”, scritta da Luca Torregrossa.
Giovanna Providenti
È autrice di Goliarda Sapienza, NovaDelphi Edizioni, 2016 (http://www.novadelphi.it/passatopr_providenti_sapienza.html) e La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza (premio Calvino 2009, Villaggio Maori Edizioni, 2010). Si è laureata in lettere e filosofia a Milano e dottorata in Dottrine politiche e questione femminile all’Università Roma Tre. Ha collaborato per anni al mensile «Noidonne» e al master in gender studies di Roma. Oggi continua a scrivere e insegna lettere nelle scuole superiori. Ha pubblicato racconti e numerosi saggi in riviste e libri e curato due volumi: La nonviolenza delle donne (Lef, 2006) e Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze (Franco Angeli, 2003).
Roma-l’Elegance Cafè jazz club propone Suddenly it’s Christmas Time -Silvia Manco Xmas Special Trio-
Roma-Per scaldare la sera della vigilia del Natale, l’Elegance Cafè jazz club propone l’irresistibile e suggestivo repertorio internazionale legato al Natale, declinato in chiave jazz dal trio in edizione “Xmas Special” guidato della pianista e vocalist Silvia Manco.
Silvia Manco Xmas Special Trio
La scelta dei brani è il risultato di un’accurata e ampia ricerca all’interno di diverse tradizioni musicali.
Non solo quella degli standard song americani ma anche quella più esotica del nord-est del Brasile, quella britannica dei Christmas Carols, quella Irish di origine folk e quella soulful del soul jazz afro-americano.
Sul palco la sera del 24 dicembre a Roma, la rilettura in chiave jazz conferirà unità di intento e coerenza sonora all’intero progetto restituendo un’atmosfera evocativa ma anche pervasa di ritmo ed energia.
Il disco uscito nel 2011 “Suddenly it’s Christmas time“, è disponibile su tutte le piattaforme digitali, da non perdere l’occasione per ascoltarlo dal vivo
Silvia Manco, piano e voce Francesco Puglisi contrabassso batteria e Valerio Vantaggio alla batteria.
SILVIA MANCO
La calda voce di Silvia Manco , pianista e cantante accompagnerà la cena della vigilia di Natale.
Il disco dedicato al Natale “Suddenly it’s Christmas time “è su tutte le piattaforme digitali , e poterlo ascolatare dal vivo la sera della Vigilia a Roma, sarà un’esperienza indimenticabile.
BIO
Pianista e cantante, oltre che compositrice e arrangiatrice, la passione e lo studio del pianoforte è stata di primaria importanza sin da quando era piccola
Le sue primissime esibizioni pubbliche sono avvenute in realtà accanto al padre che le fornirà davvero un repertorio straordinario e una scorta sempre così ricca di standard jazz, bossa nova e evergreen internazionali.
Spinta dal suo fascino per il jazz, a soli 19 anni si trasferisce a Roma, non solo luogo dove approfondirà dapprima lo studio del pianoforte jazz, dell’armonia e dell’arrangiamento.
Ma anche luogo dove incontra e conosce alcuni grandi artisti che non esiteranno ad incoraggiarla a dar vita ad un trio che porta il suo stesso nome, affiancando al ruolo di capogruppo quello di pianista in un gran numero di gruppi jazz della capitale.
Si è esibita in molte sedi internazionali in festival e jazz club in Europa, USA, Russia, Sud Africa, Montecarlo, Dubai.
Il trio, la cui figura rappresenta la ricerca di un suono ben radicato nella pura tradizione jazzistica, con uno sguardo penetrante a band capitanate da pianisti e vocalist come Nat King Cole, Shirley Horn e Blossom Dearie, si distingue per il repertorio di la canzone standard dal respiro ampio e melodioso
In tutti gli arrangiamenti, montati e confezionati dalla stessa pianista di questa band, è proprio il canto a tessere la trama su cui si svolge il dialogo tra le voci, il pianoforte e gli altri strumenti della sezione ritmica.
Le composizioni originali, i cui testi sono scritti in inglese, francese e italiano da Silvia Manco, virano armoniosamente verso lo stile moderno e sono intrise di musica contemporanea e influenza dell’autore, insieme all’abituale visita del jazz strumentale europeo e americano.
La costanza nelle fasi di scrittura, composizione ed elaborazione, allineate all’attività concertistica, contribuiscono alla pubblicazione del suo primo album, nel 2007, intitolato “Big City is for me”.
Seguito dal secondo album “Afternoon Songs” nel 2010 prodotto da Roberto Gatto, famoso batterista jazz italiano, nel 2011 “Suddenly it’s Christmas time”, nel 2012 “Casa Azul”.
L’ultimo cd uscito a febbraio 2019 si intitola “Hip! The Blossom Dearie Songbook”: in questo lavoro Silvia Manco con il suo trio americano basato a NY (Dezron Douglas al contrabbasso e Jerome Jennings alla batteria), e con il contributo di due straordinari special guest (Enrico Rava e Max Ionata), raccoglie l’eredità di Blossom Dearie, il più continentale dei pianisti/cantanti americani.
Silvia abbraccia questo repertorio senza tempo con un tocco di contemporaneità dimostrando un’attitudine da vera band leader.”
Informazioni, orari e prezzi
Siamo in Via Francesco Carletti, 5
ZONA OSTIENSE/PIRAMIDE
Ingresso € 40 con consumazione compresa nel prezzo.
PER L’ACQUISTO DRINK DELLA VIGILIA 24 DIC. ACQUISTANDO L’INGRESSO DAL BOTTON DI ACQUISTO DAL NOSTRO WEB.
Ingresso con prenotazione al tavolo per la cena, con 2 portate alla carta il concerto è incluso.
PER PRENOTARE LA CENA E CONCERTO (2 portate a scelta dal menu alla carta tra antipasti primi e secondo) E’ POSSIBILE FARLO VERSANDO UNA caparra di € 30 A PERSONA tramite il pulsante dal nostro sito web.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione-
Roma, 22 dicembre 2024 – A conclusione dei lavori di manutenzione della Fontana di Trevi, curati dalla Sovrintendenza Capitolina nell’ambito del programma di interventi PNRR Caput Mundi, è stata oggi restituita alla cittadinanza una delle aree più simboliche della città, tra le più amate e visitate al mondo.
Gli interventi si sono resi necessari a causa dei fenomeni di degrado che hanno interessato il monumento, situato in una zona ad alta frequentazione pedonale e sottoposto a particolari condizioni microclimatiche che hanno favorito la formazione di patine biologiche, vegetazione infestante e depositi calcarei sulle parti più esposte al contatto con l’acqua.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
L’intervento, della durata di circa tre mesi e del costo di 327mila euro, ha previsto un’attività di pulitura approfondita delle superfici lapidee della parte inferiore del monumento, in particolare della scogliera e della zona tra il bordo della vasca e le gradinate di accesso. Sono state riparate le stuccature dei giunti in varie zone della fontana per preservarne l’integrità strutturale ed estetica ed è stata impermeabilizzata la vasca.
Inoltre ACEA per ottimizzare la circolazione dell’acqua ha effettuato una manutenzione straordinaria su tutto l’impianto di ricircolo, pompe, apparecchiature elettromeccaniche, sostituendo anche gli organi di manovra presenti.
Il monumento recuperato sarà visitabile secondo una nuova modalità che consentirà di ammirarlo senza il sovraffollamento che ne ha sempre caratterizzato la fruizione.
L’esperienza fatta con la passerella installata durante l’intervento di manutenzione ha evidenziato il gradimento dei cittadini e dei turisti per una visita di qualità e più diretta. Grazie alla nuova gestione dei flussi sarà possibile anche garantire l’appropriata fruizione della fontana, da sempre sottoposta a un’intensa presenza antropica non regolamentata ed eccessivamente invasiva per i delicati materiali che la compongono.
L’accesso, garantito a un numero massimo di 400 persone circa in contemporanea, è previsto dalla scalinata centrale mentre l’uscita si trova presso il varco dal lato di via dei Crociferi.
La visita sarà regolamentata con le seguenti modalità: tutti i giorni dalle 9 alle 21 (ultimo accesso ore 20.30); il lunedì e il venerdì dalle 11 per consentire le operazioni di raccolta delle monete; ogni due lunedì dalle 14 alle 21 per lo svuotamento e la pulizia della vasca. Accesso libero dalle ore 21.
All’entrata, all’uscita e all’interno del monumento sarà presente personale dedicato all’accoglienza e alla sicurezza. Il servizio è affidato a Zètema Progetto Cultura.
I visitatori potranno liberamente circolare negli spazi dell’invaso della fontana, ma non sarà consentito sedersi sul bordo della vasca, mangiare, bere, fumare.
Nella pannellistica informativa all’ingresso e nei totem sui lati della piazza è presente un qr code che consente di ottenere informazioni storiche sulla fontana.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
CENNI STORICI
La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso da cui emerge vincitore l’architetto Nicola Salvi (1697-1751). Il monumento, concepito come mostra dell’acquedotto Vergine e addossato alla facciata del retrostante Palazzo Poli, è articolato come un arco di trionfo e digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.
Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (cui è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l’ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014-2015 grazie a un contributo di FENDI.
Fontana di Trevi, mostra dell’acqua vergine
Mostra terminale dell’acquedotto Vergine – unico degli acquedotti antichi (19 a.C.) ininterrottamente in uso fino ai nostri giorni – è la più nota delle fontane romane e la più famosa nel mondo per la sua scenografica monumentalità.
Documentata nel medioevo, la sua denominazione deriva da un toponimo in uso nella zona già dalla metà del XII secolo (regio Trivii), oppure dal triplice sbocco dell’acqua dell’originaria fontana.
Nel 1640 per volontà di papa Urbano VIII (1622-1644), in concomitanza con l’ampliamento della piazza, Gian Lorenzo Bernini progetta una nuova fontana orientata come l’attuale, la cui costruzione si limita alla messa in opera di un basamento ad esedra con una vasca antistante, addossato agli edifici poi inglobati nel palazzo Poli.
La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso al quale partecipano i maggiori artisti dell’epoca. Il pontefice sceglie tra i progetti dell’architetto Nicola Salvi (1697-1751) quello più monumentale e “di minor pregiudizio per il retrostante palazzo” sulla cui facciata si inserisce l’intera mostra con uno studio meditato delle proporzioni e delle decorazioni.
La fontana, articolata come un arco di trionfo, con una profonda nicchia, digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante e dallo scorrere spettacolare dell’acqua. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. Si fondono così magistralmente nell’opera del Salvi storia e natura intese in un rapporto dialettico, quale veniva affermato dal nascente illuminismo.
La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.
Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (ad esso è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l’ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014 grazie a FENDI, concludendosi dopo diciassette mesi nel 2015, con inaugurazione il 3 novembre. Maggiori informazioni
L’intervento di manutenzione straordinaria del 2024
Tra i mesi di ottobre e dicembre 2024 è stato effettuato un intervento di manutenzione della Fontana di Trevi nell’ambito del programma PNRR – Caput Mundi (Manutenzione straordinaria di alcune fontane monumentali del Centro Storico di Roma, n. 323). Tale attività si pone in una posizione intermedia tra le operazioni di pulitura e manutenzione ordinaria che periodicamente vengono effettuate con lo svuotamento delle vasche, e gli interventi strutturali di restauro (come quelli del 1989-90, 1999 e 2014) mirati a eliminare il calcare e le patine biologiche che si depositano sui materiali. L’intervento è stato finalizzato a rimuovere localmente gli elementi che determinano un rischio di conservazione dell’opera stessa, agendo sulle superfici lapidee della parte inferiore del monumento, in particolare la zona tra il bordo della vasca e le gradinate di accesso, sottoposta a una pulitura approfondita.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
L’operazione, condotta a cura della Sovrintendenza Capitolina, è parte di un programma che ha interessato anche la Fontana del Quirinale, della Barcaccia, delle Tartarughe e delle Tiare, per un importo complessivo di 1,187 milioni di euro.
L’indagine preliminare sui materiali
Propedeutica a ogni intervento di manutenzione o restauro è la fase conoscitiva del monumento, con analisi diagnostiche non invasive atte a indagare lo stato di conservazione del bene.
La Fontana di Trevi è costituita da un insieme eterogeneo di materiali, quali ad esempio marmo di Carrara, travertino, stucco e metalli. La loro analisi e il confronto con campioni di riferimento permette di quantificare gli effetti del degrado e stabilire gli interventi più opportuni, atti a rimuovere ad esempio patine e incrostazioni.
Il travertino della Fontana di Trevi in particolare è caratterizzato da una predominante composizione calcarea, con elevata concentrazione di calcio e, in quantità minori, ferro e stronzio. La patina rossa visibile sulla superficie della scogliera dimostra un notevole aumento della concentrazione di ferro, evidenziando un’alterazione significativa rispetto al travertino di riferimento.
I fattori di degrado
Esposta all’aperto, la Fontana di Trevi è soggetta a un insieme di fattori di degrado quali la presenza di inquinanti e agenti atmosferici, acqua e umidità che esplicano la propria azione attraverso processi di natura chimica, fisica e biologica.
L’utilizzo del ferro per le staffe di sostegno ai gruppi scultorei, ad esempio, se da un lato garantisce vantaggi in termini di stabilità e resistenza meccanica, dall’altro pone dei problemi legati ai processi di ossidazione cui il metallo va incontro, con formazione di ruggine e, di riflesso, alterazioni estetiche del travertino.
Un altro fattore di degrado è la presenza costante di acqua e umidità, che comportano rischi di erosione e la formazione di un habitat favorevole allo sviluppo di flora e fauna microbiche, dannose per la pietra e gli altri materiali costitutivi.
Un ruolo, infine, è giocato dagli inquinanti atmosferici, solo in parte mitigati dalla semi-pedonalizzazione della piazza. Piccole particelle si depositano continuamente sulle superfici, richiedendo costante monitoraggio e pulizia.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Gli interventi
Gli interventi sulle superfici lapidee si sono sviluppati attraverso tre fasi:
Pulitura. Disinfezione da microrganismi e rimozione dei depositi superficiali incoerenti e parzialmente aderenti, croste nere, strati carbonatati e ossidi di ferro.
Consolidamento. Ripristino della coesione, riadesione di scaglie e frammenti ed esecuzione e riparazione delle stuccature.
Applicazione di protettivo. Applicazione di uno strato protettivo sulle superfici per contrastare l’azione degli agenti atmosferici e inquinanti.
Sugli elementi metallici è stato eseguito un trattamento per l’arresto dell’ossidazione al fine di prevenire la corrosione di perni, grappe, staffe e cerchiature.
Nell’area di rispetto si è svolta un’attività di diserbo, disinfezione e lavaggio, la revisione delle stuccature alterate e il riposizionamento degli elementi pavimentali divelti a causa della frequentazione pedonale della piazza.
Nella vasca principale e in quelle secondarie, infine, sono stati applicati rivestimenti impermeabilizzanti al fine di proteggere il materiale lapideo dalle infiltrazioni.
La passerella: un modo nuovo di ammirare la Fontana
Nell’ottica di garantire la fruibilità del monumento e offrire al visitatore una prospettiva nuova da cui poter ammirare la Fontana di Trevi, nel primo mese di cantiere è stata allestita una passerella temporanea che ha consentito di osservare a pochi metri di distanza i celeberrimi apparati scultorei, nonché le operazioni di manutenzione in corso. La passerella ha offerto inoltre l’occasione per acquisire nuovi dati sulla frequentazione, utili a risolvere i problemi di sovraffollamento dell’area.
di 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 – Regia 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 e 𝗣𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗠𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶 – Con 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗮 𝗗𝗲 𝗣𝗮𝘀𝗰𝗮𝗹𝗶𝘀 e con Francesco 𝗟𝗮𝗽𝗽𝗮𝗻𝗼, Elisa 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗵𝗶, Nicole 𝗠𝗮𝘀𝘁𝗿𝗼𝗶𝗮𝗻𝗻𝗶, Federico 𝗣𝗮𝗽𝗽𝗮𝗹𝗮𝗿𝗱𝗼, Giulia 𝗧𝗮𝗺𝗯𝘂𝗿𝗿𝗶𝗻𝗶, Elena 𝗕𝗮𝗿𝗯𝗮𝘁𝗶, Andrea 𝗟𝗮𝗺𝗶, Greta 𝗣𝗼𝗹𝗶𝗻𝗼𝗿𝗶, Dannis 𝗖𝗮𝗿𝗹𝗲𝘁𝘁𝗮, Jacopo 𝗕𝗮𝗿𝗴𝗻𝗲𝘀𝗶 𝗛𝗮𝘀𝘀𝗮𝗻. Musiche a cura di 𝐅𝐞𝐝𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐏𝐚𝐩𝐩𝐚𝐥𝐚𝐫𝐝𝐨 – Coreografie 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐋𝐚𝐩𝐩𝐚𝐧𝐨
Roma-Teatro Arcobaleno “𝐂𝐈𝐍𝐃𝐄𝐑𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐖𝐈𝐍𝐆”-
Produzione: CTM CENTRO TEATRALE MERIDIONALE
Dopo il grande successo della precedente edizione, torna a grande richiesta 𝐂𝐈𝐍𝐃𝐄𝐑𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐖𝐈𝐍𝐆, la 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲 ampliata e arricchita di nuovi elementi. La favola di 𝐂𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐨𝐥𝐚 chi non la conosce? Cosa sarebbe successo se fosse nata nei primi anni del 𝟏𝟗𝟎𝟎? Quale principe avrebbe trovato? Come sarebbe stata la Fata madrina? Narrata in centinaia di versioni in gran parte del mondo, in questa pièce, la celebre favola è ambientata negli anni ‘𝟐𝟎 ’𝟑𝟎 del ‘𝟵𝟬𝟬, in uno 𝐬𝐰𝐢𝐧𝐠 𝐜𝐥𝐮𝐛, dove si cimenterà nel ballo e nel canto una 𝗖𝗲𝗻𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗼𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗮𝗿𝗹𝗲𝘀𝘁𝗼𝗻, simpatica e intraprendente, che enfatizza il riscatto femminile di una donna che non cede al conformismo e realizza il suo sogno. Le musiche, cantate e suonate dal vivo, animano travolgenti coreografie, che ci riportano nell’epoca d’oro in cui lo 𝘀𝘄𝗶𝗻𝗴 era la colonna sonora. Un’emozionante rivisitazione della favola originale in 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲, dove coreografie, canzoni dal vivo e personaggi esilaranti daranno vita ad uno spettacolo appassionante, pieno di risate, romanticismo e magia!
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina-
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina | 31 dicembre 2024 – 1 gennaio 2025
Reduce dal successo de “I 7 re di Roma”, in scena al Teatro Sistina di Roma (dove vi resterà fino a domenica 1 dicembre) Enrico Brignano festeggia con il suo pubblico anche la fine dell’anno e l’inizio del 2025 con “Speciale Capodanno”
Un doppio e unico appuntamento, che andrà in scena il 31 dicembre dalle ore 21.30 (con il brindisi di Mezzanotte) e il 1 gennaio dalle ore 18.
Enrico Brignano torna sé stesso e riveste i panni dello showman a tutto tondo per un Capodanno tra divertimento e spensieratezza. Come ama dire sempre, leggerezza non è superficialità, ma solo un modo per ridere di noi stessi e del nostro modo di essere, non senza qualche spunto di riflessione tra una risata e l’altra. Con la sua band di fiducia, capitanata dall’inseparabile maestro Andrea Perrozzi, Brignano traghetterà il pubblico verso il 202. Non mancheranno i lustrini, non mancherà il buonumore, non mancherà il brindisi di mezzanotte
‘Speciale Capodanno’ è scritto dallo stesso Brignano con Manuela D’Angelo. In scena anche Pasquale Bertucci e Michele Marra. Scene di Marco Calzavara, disegno luci di Marco Lucarelli.
QuandoDal 31/12/2024 al 01/01/2025 31 dicembre ore 21,30 – 1 gennaio ore 18
Roma-Al Teatro Ghione-We call it Ballet: La Bella Addormentata in uno spettacolo di danza e luci-
Roma-Al Teatro Ghione- Preparati per We call it Ballet a Roma! Vivi ‘La Bella Addormentata’ come mai prima d’ora, mentre ballerini in costumi fluorescenti danno vita a questo classico sul palco.
Punti Salienti
🩰 5 straordinari ballerini illuminano il palcoscenico
🌟 I costumi fluorescenti creano uno spettacolare gioco di luci, dando vita alla storia
📖 Un amatissimo classico, La Bella Addormentata, reimmaginato in uno spettacolare splendore
🤩 Una fusione unica tra arte tradizionale e tecnologia moderna
Informazioni generali
📍 Luogo: Teatro Ghione, Via delle Fornaci, 37, 00165 – Roma
⏳ Durata: circa 60 minuti. Le porte aprono 30 minuti prima dell’inizio dell’evento. Non sono ammessi ritardi
👤 Requisito di età: dagli 8 anni in su. I bambini sotto i 16 anni devono essere accompagnati da un adulto
♿ Accessibilità: il luogo è accessibile alle sedie a rotelle
❓ Per maggiori informazioni, consulta le FAQ di questa esperienza qui
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🪑 I posti sono assegnati in base all’ordine di arrivo. Ti consigliamo di arrivare presto.
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Al Teatro Ghione- Preparati per We call it Ballet a Roma
Descrizione
Vivi La Bella Addormentata come mai prima d’ora in questo spettacolo di danza e luci. Goditi una fusione unica tra balletto classico e tecnologia moderna, dove ballerini locali illuminano letteralmente il palco con coreografie scintillanti e costumi fluorescenti. La storia senza tempo della principessa maledetta risvegliata dal bacio del vero amore prende vita sul palco, mentre piroette e salti mozzafiato creano un caleidoscopio di colori nello spazio. È una produzione bellissima che non vorrai perdere! Acquista ora i tuoi biglietti per We call it Ballet a Roma: La Bella Addormentata in uno spettacolo di danza e luci!
Al Teatro Ghione- Preparati per We call it Ballet a Roma
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