Stefania Portaccio- Circe di spalle. Per una dimora del femminile
Editore Mimesis
DESCRIZIONE
La complessità della figura di Circe continua a interrogare. Qui si sceglie di ascoltarla e di reagire tenendola non di fronte ma sguincia, in modo da registrare, più che domande e risposte, un campo di tensioni. Teso – tra invidia, ammirazione, polemica – è il campo della disputa tra Circe e Atena, avversario interno quanto esterno. Disputa che mostra la difficoltà del percorso della soggettività femminile, alle prese sia con l’immaginario che la definisce che con quello che la anima. A riflettere su questo percorso vengono convocati J. Joyce, V. Woolf, M. Atwood, M. Cunningham, N. Ginzburg; la filosofa E. Pulcini e la psicoanalista M.C. Barducci. A riflettere sull’anno trascorso con Circe – sospeso, ricco di altrove, di altrimenti – come metafora del tempo analitico, viene convocato lo stesso Odisseo, che però narra ai Feaci un’altra storia.
Icona del genio indomito e tormentato, Vincent van Gogh ha ispirato un’incredibile quantità di film e libri che ne hanno celebrato il mito soprattutto alla luce del tragico destino. È proprio da quel mito che Frédéric Pajak cerca di allontanarsi per indagare la parabola di un uomo che in dieci anni di forsennato apprendistato è passato dall’imperizia dei primi schizzi a carboncino all’esplosione di colori dei capolavori dell’ultimo periodo.
Van Gogh, una biografia ripercorre l’erranza esistenziale e artistica del grande pittore, setacciandone l’epistolario per riflettere sugli eventi meno noti o più fraintesi della sua vita. In questa accorata indagine, Pajak raccoglie anche un’altra sfida: affrontare da disegnatore i dipinti di uno dei più grandi artisti di ogni tempo. Ne nascono meravigliose tavole a china che valgono mille interpretazioni, realizzate recuperando le tecniche e gli strumenti – perfino i giunchi di palude – con cui il maestro olandese ha rivoluzionato il vocabolario della pittura.
Tra immagine e parola, un duplice omaggio, unico nel suo genere, alla lucida visionarietà di Vincent van Gogh.
Angelo Maria RIPELLINO-“Lo splendido violino verde”
a cura di Umberto Brunetti-Editore Artemide
DESCRIZIONE
“Lo splendido violino verde” è la raccolta della piena maturità di Ripellino, pubblicata con Einaudi nel 1976, due anni prima della morte prematura. Concepito sotto forma di un diario in cui «si riflette, associandosi ai crucci privati, il malessere, l’inclemenza dell’epoca», il libro orchestra i principali Leitmotive dello scrittore siciliano: la teatralità dell’esistenza, la poesia come talismano per ‘tenere a bada’ la morte, la «buffoneria del dolore». Il commento che accompagna i testi, grazie anche alla consultazione delle agende manoscritte di Ripellino, tenta di districare il fitto tessuto di rimandi e citazioni, che sconfinano nelle arti più disparate, dalla pittura di Chagall all’opera lirica di Donizetti, dal teatro di Čechov e Brecht, filtrato attraverso le regie strehleriane, fino al cinema di Keaton, Chaplin e Fassbinder. Alternando slanci di gioia a note di profondo dolore e giocando sul labile confine tra arte e vita, Ripellino intesse una poesia capace di trasformarsi essa stessa in spettacolo e di rifrangere, come un prisma, i raggi del suo sconfinato orizzonte culturale in un «ribaldo trappolío di colori». Con due scritti di Corrado Bologna e Alessandro Fo.
Raffaele Ingegno- LUX: La gestione della luce in fotografia –
Manuale completo sulla luce e la sua gestione in fotografia
DESCRIZIONE
LUX è un trattato completo sulla luce e la sua gestione in fotografia. Un punto di vista ed un metodo che ti permetterà di conoscere e gestire la luce in maniera pratica e professionale. Con questo manuale di facile lettura, troverai la metodologia giusta per realizzare fotografie efficaci. Raffaele Ingegno in questo libro illustra teoria e pratica di luce naturale, artificiale continua e artificiale flash, fornendo al lettore un percorso di apprendimento completo e stimolando la creatività con delle solide basi.
Quali argomenti potrai approfondire in questo libro:
Luce naturale
Luce artificiale con lampade continue
Luce artificiale con lampade flash
Relazione tra fonte di luce e macchina fotografica
Indicazioni tecniche sulle fonti di luce
Gestione della luce nel set fotografico
Modificatori di luce
Schemi di luce semplici e complessi
Software per progettare
Software per regolare le luci in post produzione
Inoltre:
Download di contenuti utili tramite link e qr-code ad integrazione del testo!
Se tutto ciò non bastasse, cerca Raffaele Ingegno sul web, potrai trovare il suo sito internet, o il suo profilo instagram, in modo da capire quali livelli potrai raggiungere con la sua esperienza.
This book presents the epic story of New York on nearly 600 pages of emotional, atmospheric photographs, from the mid-19th century to the present day. Supplementing this treasure trove of images are over a hundred quotations and references from relevant books, movies, shows, and songs. The city’s fluctuating fortunes are all represented, from the wild nights of the Jazz Age and the hedonistic disco era, to the grim days of the Depression and the devastation of 9/11 and its aftermath, as its brokenhearted but unbowed citizens picked up the pieces.
New York’s remarkable rise, reinvention, and growth are not just the tale of a city, but the story of a nation, From the building of the Brooklyn Bridge to the immigrants arriving at Ellis Island; from the slums of the Lower East Side to the magnificent art deco skyscrapers. The urban beach of Coney Island and the sleaze of Times Square; the vistas of Central Park and the crowds on Fifth Avenue. The streets, the sidewalks, the chaos, the energy, the ethnic diversity, the culture, the fashion, the architecture, the anger, and the complexity of the city are all laid out in this beautiful book. This is the greatest city in the world after all and great are its extremes, contradictions, and attitude.
More than just a remarkable tribute to the metropolis and its civic, social, and photographic heritage, New York: Portrait of a City pays homage to the indomitable spirit of those who call themselves New Yorkers: full of hope and strength, resolute in their determination to succeed among its glass and granite towers.
Features hundreds of iconic images, sourced from dozens of archives and private collections―many never before published―and the work of over 150 celebrated photographers, including Victor Prevost, Jacob Riis, Lewis Hine, Alfred Stieglitz, Paul Strand, Berenice Abbott, Walker Evans, Weegee, Margaret Bourke-White, Saul Leiter, Esther Bubley, Arnold Newman, William Claxton, Ralph Gibson, Ryan McGinley, Mitch Epstein, Steve Schapiro, Marvin Newman, Allen Ginsberg, Joel Meyerowitz, Andreas Feininger, Charles Cushman, Joseph Rodriguez, Garry Winogrand, Larry Fink, Jamel Shabazz, Allan Tannenbaum, Bruce Davidson, Helen Levitt, Eugene de Salignac, Ruth Orkin, Joel Sternfeld, Keizo Kitajima, and many more.
ENCICLOPEDIA TRECCANI-LODOVICI, Cesare Vico. – Nacque a Carrara, il 18 dic. 1885, da Egisto, industriale del marmo, e da Clementina Baldacci. Completò gli studi giuridici a Roma e negli anni immediatamente successivi alla laurea iniziò la pratica da avvocato. Nel 1911 lasciò la capitale trasferendosi a Lugano dove collaborò alla rivista Coenobium, nella quale, tra i primi, presentò al pubblico italiano l’opera di P. Claudel (Il teatro di Paul Claudel, 1914). Negli anni successivi visse a Milano, dove prese parte ai movimenti d’avanguardia che animavano la vita culturale della città. Il debutto del L. come autore teatrale avvenne a Pavia, nel 1912, con l’atto unico L’eroica.
È la vicenda di una famiglia borghese che, in una villa “isolata e solitaria fra l’alpe Apuana e il mare”, attende la nascita di un bambino fra interessi egoistici e morbose aspettative di guadagno.
Nel 1912, un’altra pièce, intitolata significativamente La patria, andò in scena al teatro Diana di Milano (29 maggio), con mediocre successo; stessa sorte toccò al lavoro successivo, L’idiota (ibid., 17 sett. 1915), rappresentato dalla compagnia Talli-Melato.
Allo scoppio della prima guerra mondiale il L. si arruolò volontario e, dal 1915 al 1917, combatté al fronte, dove fu ferito e due volte decorato. Nel 1917 fu fatto prigioniero dagli Austriaci e trasferito nei campi di prigionia di Mauthausen e poi di Theresienstadt; qui il L. fu animatore del “teatrino dei prigionieri” (nel 1917 vi venne rappresentato un suo atto unico: Per scherzo) e portò a termine la prima stesura de La donna di nessuno, completata subito dopo il suo rientro dalla prigionia e destinata a rivelarlo all’attenzione della critica come una fra le voci più innovative del teatro italiano contemporaneo. Fu un successo non immediato, destinato inizialmente più agli addetti ai lavori che al grande pubblico, se è vero che la commedia, rappresentata per la prima volta al teatro dei Filodrammatici di Milano il 22 dic. 1919 (compagnia Borelli-Bertramo), rimase in cartellone non più di tre serate; le repliche non furono numerose neppure due anni più tardi, quando fu ripresa dalla compagnia di Emma Gramatica che ne fu protagonista. Eppure i tre atti scritti dal L. non passarono inosservati. Anzi, furono immediatamente accolti anche all’estero: tradotta in inglese da P. Sombart e pubblicata nell’autunno del 1922 nella rivista Poet Lore di Boston, La donna di nessuno giunse nei primi anni Venti anche in Francia, soprattutto grazie al significativo interessamento di J.-J. Bernard – a sua volta autore di un “teatro del silenzio” o “dell’inespresso” – e di sua moglie Georgette.
Protagonista de La donna di nessuno è la giovane pittrice Anna, circondata da quattro uomini: il fratello Dino, il pignolo e ombroso Cusano, Giampietro, “non intelligente ma abile”, e Giovannino, “bello come un raggio di sole”. L’amore di Anna è diviso fra Cusano e Giampietro, che finisce per sposare. Come ne L’eroica, è l’imminente nascita di un bambino a far precipitare il dramma. Anna, lacerata da passioni contrastanti, medita un aborto, poi ci ripensa, rinunciando anche all’amore per Cusano. Il L. riesce a costringere la torbida materia sentimentale negli equilibri di uno stile misuratissimo, che suggerisce piuttosto che declamare, cercando di sfuggire al contempo sia alla prosaicità del dialogo naturalista sia a una intonazione dannunziana.
In quegli stessi anni Venti il L. entrò in rapporto con E. Montale, R. Bazlen, G. Debenedetti e altri protagonisti della scena letteraria italiana, e strinse amicizia con scrittori di teatro quali L. Pirandello, P.M. Rosso di San Secondo, U. Betti, e M. Bontempelli. Proprio Pirandello, nel 1929, volle dirigere a Firenze, con Marta Abba nel ruolo della protagonista, Il grillo del focolare, una commedia che il L. aveva scritto in collaborazione con S. Strenkowsky, ispirandosi a un racconto di Ch. Dickens.
Nel 1926, il L., insieme con E. Somaré, fondò Il Quindicinale, fra le prime riviste a segnalare la recentissima pubblicazione degli Ossi di seppia di Montale (Torino 1925) e a ospitare i saggi dedicati dallo stesso Montale alla riscoperta dell’opera di I. Svevo (tra questi una celebre lettura di Senilità). Contemporaneamente, proseguiva un’intensa attività teatrale.
Il L. tentò di andare oltre l’intimismo un po’ asfittico delle prime commedie, intessendo rapporti con l’opera di maestri come A. Čechov, M. Maeterlinck, Bernard, D’Annunzio: gli esiti appaiono incerti, ed è probabilmente proprio l’assorbimento poco convinto e convincente di stilemi dannunziani a rendere disarmonico e provvisorio lo stile dei testi composti dal L. in questo periodo.
Scarso successo ottenne anche la commedia forse più nota di questa fase, La buona novella (Roma, teatro Quirino, ottobre 1923, compagnia Alda Borelli), storia di tre sorelle in un grigio interno di provincia esplicitamente ispirata alle Tre sorelle cecoviane.
Gli esperimenti degli anni Venti fecero, tuttavia, da prologo a futuri successi: Ruota, pièce in cui la sperimentazione di nuove (anche se non più nuovissime) forme sceniche si salda a una cifra stilistica pienamente matura, venne rappresentata a Roma il 23 genn. 1933 (teatro Valle, compagnia di Marta Abba) e si segnalò subito all’attenzione della critica.
“È stata la più bella vittoria riportata, fino ad oggi da Lodovici a teatro” – scrisse S. D’Amico, all’indomani della prima – “Riconosciamo assai lietamente che nel prologo la tecnica cecoviana prediletta dal Lodovici ha dato i risultati migliori: dai piccoli suggerimenti, dalle stucchevoli cadenze, dalle cose grigie e dai suoni indistinti, qui si è creato un clima, espressa una desolazione”. Protagonista della vicenda è Maria, donna ancor giovane e sposata da dieci anni a un marito rozzo e dispotico. Sulla scena l’autore rappresenta la sua reclusione domestica (primo atto) e la sua evasione nel sogno (il secondo, che oggettiva per scene giustapposte le sue fantasie oniriche), fino al drammatico epilogo del terzo atto. Maria, trascinata dalle sue allucinazioni, si getta con trasporto fra le braccia del marito, ma quando torna a rendersi conto della realtà, si suicida gettandosi sotto la macina del mulino.
Nel 1937, al successo di Ruota fece seguito quello de L’incrinatura, subito ribattezzata Isa dove vai? (Genova, teatro Margherita, 19 genn. 1937).
La trama di questa commedia in tre atti appare una sorta di sintesi delle precedenti: al centro dell’attenzione, ancora una volta, un rapporto amoroso ma a tre, quello composto da Isa, suo marito Marco e Luca, un amico di infanzia. L’amichevole intimità fra Isa e Luca, che dura da anni, a un tratto inizia a destare sospetti nel marito, che manifesta alla moglie la sua gelosia; Isa, pur non avendo colpe e pur provando rancore nei confronti di Marco, gli obbedisce, rinunciando per sempre a Luca.
Nel 1935 il L. si trasferì a Roma, dove assunse l’incarico di consulente artistico presso l’Ispettorato del teatro, che mantenne fino al 1953. Dopo il successo di Isa dove vai?, sintesi ed epilogo di un itinerario teatrale, tentò la strada, a lui meno congeniale, del dramma storico. La rappresentazione del Vespro siciliano (Roma, teatro Argentina, luglio 1940) fu accolta tiepidamente sia dal pubblico sia dalla critica; il L. tornò sulle scene solo dieci anni dopo, con un’opera d’occasione, la Caterina da Siena rappresentata da E. Zareschi nel giugno 1950 sul sagrato del duomo della città toscana.
A partire dagli anni Trenta il L., sfruttando la duttilità del suo linguaggio teatrale e la sensibilità stilistica acquisita, aveva intensificato il lavoro di traduzione cui si era dedicato sin dagli anni giovanili.
La vastissima attività in questo campo va dal teatro antico (Aristofane, Plauto) a quello spagnolo (P. Calderón de la Barca, Tirso de Molina, M. de Cervantes), a quello francese (da Molière ad A. Gide) a quello inglese contemporaneo (nel 1940 tradusse Assassinio nella cattedrale di T.S. Eliot); il nome del L. resta comunque legato soprattutto alla traduzione, completata in un ampio arco di anni, di tutto il Teatro di W. Shakespeare (pubblicata integralmente da Einaudi nel 1964).
Significativa è anche l’attività del L. in campo musicale; scrisse infatti libretti per diverse opere, tra cui La scuola delle mogli, da Molière, musicata da V. Mortari (1930; rappr., dopo una revisione: Milano, Piccola Scala, 17 marzo 1959) e La donna serpente, dalla favola di C. Gozzi, musicata da A. Casella (Roma, teatro dell’Opera, 17 marzo 1932).
Nel 1937 il L. aveva debuttato nel cinema scrivendo il soggetto di La fossa degli angeli, regia di C.L. Bragaglia, dramma ambientato nelle cave di marmo di Carrara. Successivamente diede il suo contributo a diversi soggetti e sceneggiature tra cui Ettore Fieramosca di A. Blasetti (1938, collaborando alla sceneggiatura); Tutta la vita in una notte di C. D’Errico (1938, soggetto) trasposizione della sua commedia Ruota; I trecento della Settima di M. Baffico (1942 soggetto).
Nel 1941 venne pubblicata a Roma l’unica raccolta del Teatro del L. (comprendente Ruota, L’incrinatura e La donna di nessuno). Nel secondo dopoguerra il L. assunse l’incarico di critico teatrale per il quotidiano La Giustizia, organo ufficiale del Partito socialista democratico italiano (PSDI). Fino agli ultimi giorni proseguì l’intensa attività di traduttore per Einaudi.
Il L. morì a Roma, il 24 marzo 1968.
Fin dalle opere giovanili appaiono alcune costanti della scrittura teatrale del L.: l’approfondimento dei rapporti fra i personaggi, l’inchiesta sentimentale, la predilezione per le protagoniste femminili, uniche a staccarsi dal coro degli altri personaggi; tutte le sue commedie più importanti si basano su un intrigo sentimentale e sull’analisi psicologica della protagonista. L’intenso rapporto con le avanguardie e i movimenti culturali del primo Novecento non si riflette immediatamente nella sua scrittura teatrale; il primo modello delle sue appassionate indagini di drammi domestici e intrecci amorosi sono autori della fine dell’Ottocento: H. Ibsen e i russi, in particolare Čechov e F. Dostoevskij. L’attenzione per le nuove forme drammatiche si rivela, piuttosto, nella proposta, mai plateale, di innovazioni strutturali e sceniche, nella costante ricerca di un linguaggio vibrante e musicale, in un percorso non scontato, che dalla vicinanza con il caos futurista conduce all’invenzione del “teatro del silenzio”. “Considero l’autore di teatro, se fa sul serio, un umile artigiano, votato a un duro destino” – scrisse il L. (v. Il Messaggero, 4 ag. 1940) in una lettera polemica indirizzata a E. Contini dopo la sua recensione di Vespro siciliano – “C’è bisogno di un coraggio da disperati per non perdersi d’animo giorno per giorno. Altro che rifare Shakespeare!”. Nella stessa lettera il L. indica “una via di salvezza dal teatro egocentrico” – quello delle sue prime opere – “in un ritorno a modelli universali e, specialmente per noi, a quelli del teatro che ha dato il Seicento europeo”.
Fonti e Bibl.: F.M. Martini, Cronache teatrali, Firenze 1924, pp. 247-252; S. D’Amico, Il teatro italiano, Milano 1932, pp. 265-268; R. Simoni, Isa dove vai?, in Corriere della sera, 3 febbr. 1937; D. Fabbri, Vespro siciliano, in Controcorrente, 1940, n. 11; C.V. Lodovici, Una lettera, in Il Messaggero, 4 ag. 1940; D. Fabbri, Il teatro di C.V. L., in Riv. italiana del dramma, V (1941), 3; A. Fiocco, C.V.L., uno e due, in Il Dramma, XVII (1941), 360, p. 48; B. Curato, Sessant’anni di teatro in Italia, Milano 1947, pp. 230-235; I. Sanesi, La commedia, Milano 1954, II, pp. 520 s.; R. Rebora, Il teatro di L., in Sipario, XIII (1955), 111; S. D’Amico, Cronache del teatro, II, Bari 1964, pp. 228-232; R. Radice, Un maestro del silenzio, in Corriere della sera, 26 marzo 1968; D. Fabbri, Il teatro di L., in Persona, settembre-ottobre 1968; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1587-1589.
Eugenia Huici Arguedas de Errázuriz mecenate cilena e leader del modernismo a Parigi-
Eugenia Huici Arguedas de Errázuriz (15 settembre 1860 – 1951)è stata una mecenate cilena del modernismo e un leader dello stile di Parigi dal 1880 al XX secolo, che ha aperto la strada all’estetica minimalista modernista che sarebbe stata ripresa di moda da Coco Chanel . La sua cerchia di amici e protetti comprendeva Pablo Picasso, Igor Stravinsky, Jean Cocteau e il poeta Blaise Cendrars. Era di origine basca.
Eugenia era famosa fin dalla tenera età per la sua bellezza; Le suore francesi hanno supervisionato l’educazione della ragazza. La giovane donna accrebbe la sua eredità nella miniera d’argento sposando José Tomás Errázuriz; un giovane e facoltoso paesaggista di una nota famiglia di produttori di vino.
La coppia si stabilì a Parigi, dove Eugenia attirò un seguito di alto profilo. Nell’autunno di quell’anno, incontrarono John Singer Sargent mentre erano in visita a Venezia, forse in luna di miele, e vedevano il fratello di José che aveva preso uno studio con Sargent a Palazzo Rezzonico. Descritta come una bellezza straordinaria, con un naso sottile e capelli corvini, è stata dipinta da Sargent che divenne molto affezionato a Madame Errázuriz e l’avrebbe dipinta diverse volte. Oltre a Sargent, è stata dipinta anche da Jacques-Emile Blanche (pittore francese 1861-1942), Giovanni Boldini, Paul Helleu, Augustus John, Ambrose McEvoy e Pablo Picasso.
Dopo che gli Errázuriz si stabilirono a Parigi, divennero amici di molti nella stessa cerchia dei Subercaseaux (Juan Subercaseaux Errázuriz, Pietro Suber, Tora Suber, Luis Subercaseaux, “Esuberanza”.) : l’ereditiera americana Winnareta Singer; il compositore francese Gabriel Fauré; I pittori francesi Joseph Roger-Jourdain, Ernest Duez e Paul Helleu; e l’artista italiano Giovanni Boldini.
Eugenia era un’appassionata sostenitrice delle arti e cercò artisti, sostenendo sia Stravinsky che Diaghilev a un certo punto, e stabilendo amicizie con scrittori e musicisti famosi come W. R. Sickert, Baron de Meyer, Jean Cocteau e Cecil Beaton.
La sua villa, La Mimoseraie, era il laboratorio di design in cui elevava la semplicità a forma d’arte. Nel 1910, scriveva Richardson, “si distingueva già per la scarsità non convenzionale delle sue stanze, per il suo disprezzo per i pouf e le palme in vaso e per la troppa passamaneria …. Apprezzava le cose molto belle e semplici, soprattutto i tessuti di lino cotone, arredi in abete o pietra, la cui qualità migliorava con il lavaggio o lo sbiadimento, lo strofinamento o la lucidatura. Ha curato il più piccolo dettaglio nella sua casa “. Per lei Elegance significa eliminazione. Errazuriz ha appeso tende di lino sfoderato e ha imbiancato le pareti come una casa di contadini – un approccio di decorazione scioccante nel 1914. Amo la mia casa perché sembra molto pulita e umile! lei si vantava di questo.
Cecil Beaton notò i pavimenti di piastrelle rosse che erano privi di moquette ma perfettamente puliti. Ha anche scritto di lei in The Glass of Fashion: Il suo effetto sul gusto degli ultimi cinquant’anni è stato così enorme che l’intera estetica della moderna decorazione d’interni, e molti dei concetti di semplicità … generalmente riconosciuti oggi, possono essere a fronte della sua straordinaria sobria eleganza. Il suo tavolo da tè offriva piatti semplici (niente torte “volgari”), secondo Beaton, che notò che il suo toast “era un’opera d’arte”. Sua nipote era entusiasta, tutto in casa di zia Eugenia aveva un odore così buono. È stato riferito che gli asciugamani odoravano di lavanda e che si è lavata i capelli con l’acqua piovana. Errazuriz detestava i set di mobili, soprammobili e cimeli abbinati. Spietata in materia di disordine, anche nei cassetti dell’ufficio, ha ordinato: gettando via e continuando. Questa era un’estensione della sua convinzione nella necessità di un cambiamento costante: una casa che non cambia, amava dire, è una casa morta. Errazuriz ha proiettato il suo stile purista in ogni angolo della sua vita. Se la cucina non è ben tenuta come il salone. . . non puoi avere una bella casa, ha dichiarato.
Il designer Jean-Michel Frank è diventato il suo discepolo più dotato. Jean Cocteau le presentò Blaise Cendrars, che si dimostrò un mecenate solidale, anche se a volte possessivo. Intorno al 1918 visitò la sua casa e fu così preso dalla semplicità degli arredi, fu ispirato a scrivere la sequenza di poesie D’Oultremer à Indigo (From Ultramarine to Indigo). Alloggia con Eugenia nella sua casa di Biarritz, in una stanza decorata con murales di Pablo Picasso.
Una delle amicizie più importanti e durature di Eugenia è stata con il pittore americano espatriato John Singer Sargent a un passaggio nelle memorie del pianista Arthur Rubinstein che ha ricordato l’alta lode di Sargent per Eugenia:
“Non ho mai conosciuto nessuno con il gusto immancabile e misterioso di questa donna. Che si tratti di arte, musica, letteratura o decorazione d’interni, vede, sente, odora, il vero valore, la vera bellezza.”
In tarda età, Eugenia Errázuriz divenne una francescana terziaria (una suora laica), vestita con un semplice abito nero disegnato da un altro minimalista, Coco Chanel. Un ambiente adatto per questo guardaroba non è mai stato costruito. Sebbene Le Corbusier sia stato incaricato di progettare la sua casa sulla spiaggia in Cile, lasciò scadere il progetto prima di morire a Santiago nel 1951, investita da un’auto mentre attraversava una strada all’età di 91 anni. Villa Eugenia, fu infine costruita in Giappone.
FIUMICINO-Borgo PALIDORO-Torre Perla sarà il museo Salvo d’Acquisto
Torre Perla di Palidoroospiterà il museo dedicato a Salvo d’Acquisto. Lo ha deciso la Regione Lazio approvando una specifica richiesta avanzata i primi di ottobre dal comune di Fiumicino.
“Siamo davvero felici, ha detto ieri il Sindaco di Fiumicino, Esterino Montino che la Giunta Regionale abbia approvato la delibera con cui autorizza la concessione della Torre di Palidoro, a favore di questa Amministrazione. Il 7 ottobre 2015 avevo scritto all’assessore regionale alle Politiche del Bilancio e Patrimonio, Alessandra Sartore, chiedendo la concessione della Torre, dell’area circostante e dei fabbricati prospicienti. Con il provvedimento firmato oggi il Comune di Fiumicino, d’intesa con il Comando generale dei Carabinieri, porrà le basi per la costituzione di un museo dedicato al vicebrigadiere Salvo d’Acquisto, medaglia d’oro al valor militare e figura che il nostro territorio vuole celebrare come merita”.
Salvo d’Acquisto:«Se muoio per altri cento, rinasco altre cento volte: Dio è con me e io non ho paura!»
La Torre-
La torre, a pianta quadrata e alta circa 20 metri, risale al periodo delle invasioni saracene e serviva, insieme a diverse altre torri costiere, tutte erette tra l’VIII e il IX secolo, ad avvistare l’avvicinarsi delle navi nemiche. La torre di Palidoro, nota anche come torre Perla, è una fortificazione costiera di avvistamento realizzata tra l’VIII ed il IX secolo a difesa del territorio dell’Agro romano dalle scorribande saracene che a partire dall’VIII secolo d.C. flagellarono le coste del Tirreno fino a giungere a minacciare Roma. Proprio davanti alla torre il 23 settembre 1943, il vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo d’Acquisto, comandante della stazione locale sacrificò la propria vita per salvare 22 persone rastrellate dopo un attentato contro le truppe tedesche e per questo destinate alla fucilazione.
Giacomo Leopardi :“L’uomo si allontana dalla natura, e quindi dalla felicità, quando a forza di esperienze di ogni genere, ch’egli non doveva fare, e che la natura aveva provveduto che non facesse (perché s’è mille volte osservato ch’ella si nasconde al possibile, e oppone milioni di ostacoli alla cognizione della realtà); a forza di combinazioni, di tradizioni, di conversazione scambievole ec. la sua ragione comincia ad acquistare altri dati, comincia a confrontare, e finalmente a dedurre altre conseguenze sia dai dati naturali, sia da quelli che non doveva avere. E così alterandosi le credenze, o ch’elle arrivino al vero, o che diano in errori non più naturali, si altera lo stato naturale dell’uomo; le sue azioni non venendo più da credenze naturali non sono più naturali; egli non ubbidisce più alle sue primitive inclinazioni, perchè non giudica più di doverlo fare, nè più ne cava la conseguenza naturale ec. E per tal modo l’uomo alterato, cioè divenuto imperfetto relativamente alla sua propria natura, diviene infelice.L’uomo può essere anche infelice accidentalmente per forze esterne, che gl’impediscano di conformar le azioni alle credenze, cioè di far quello ch’egli giudica buono per lui, o non far quello ch’egli giudica e crede cattivo. Tali forze sono le malattie, le violenze fattegli da altri individui, o da altre specie, o dagli elementi ec. ec. ec. Quest’infelicità non entra nel nostro discorso. Essa è appresso a poco l’infelicità antica”.
TRAMA-E se un giorno un politico cominciasse a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? Il politico in questione si chiama Michele Spagnolo, un nome forte, di quelli che comandano, ed ha tre figli: Riccardo, medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna, attrice di fiction senza alcun talento; Valerio, un buonannulla in carriera che deve tutto al padre. In oltre trent’anni di onorata carriera Michele ha sempre anteposto i suoi interessi personali a quelli della collettività ed è passato indenne attraverso i mille scandali che hanno flagellato il nostro paese. L’ultima cosa al mondo che dovrebbe succedere ad un uomo del genere è dire la verità…Eppure, dopo una notte trascorsa con una “promettente” soubrette televisiva, Michele viene colto da un malore, si salva, ma non senza conseguenze. L’apoplessia ha colpito proprio la parte del cervello che controlla i freni inibitori ed ora il politico dice tutto ciò che gli passa per la testa, fa tutto quello che gli va e non ha la minima cognizione della gravità delle sue azioni.
• ANNO: 2012
• REGIA: Massimiliano Bruno
• SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
• ATTORI: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Ambra Angiolini, Alessandro Gassmann, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Isa Barzizza, Rolando Ravello, Imma Piro, Camilla Filippi, Barbara Folchitto, Nicola Pistoia, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Stefano Fresi, Sergio Fiorentini, Remo Remotti
• • FOTOGRAFIA: Alessandro Pesci
• MONTAGGIO: Patrizio Marone
• MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
• PRODUZIONE: Italian International Film
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