La rassegna , Teatro e Guerre , vuole stimolare una riflessione profonda sulle guerre e sui conflitti “Tutte le Guerre si Somigliano” è il nome della rassegna che tra novembre e dicembre sarà ospitata in tre comuni della Valle di Susa(To), con l’obiettivo di stimolare una riflessione profonda sulle guerre e sui conflitti.
Venerdì 15 novembre a San Didero, presso la Sala Polifunzionale, la compagnia Abaco Teatro porta in scena “L’ultima risata”, spettacolo che ricorda la storia dei comici ebrei che hanno fatto la grandezza del cabaret a Berlino negli anni ’30 del ‘900.
Alle 20.30 di venerdì 22 novembre al Salone Polivalente di Venaus sale sul palco la compagnia teatrale “Prometeo” che presenta una lettura delle testimonianze dirette dei deportati nel lager di Bolzano.
“Marta e Olmo, tutte le guerre si somigliano” va in scena venerdì 6 dicembre alla Sala Polifunzionale di San Didero, alle 20.30 con la storia delle “portatrici” carniche.
La rassegna si conclude sabato 7 dicembre a Chianocco con la proiezione del documentario “Crossing The Wall”, della regista Grazia Dentoni, che racconta le vicende della prima scuola di circo in terra Palestinese.
L’evento è organizzato dall’associazione Il Mutamento Zona Castalia di Torino in collaborazione con Terre di Nad a Chianocco (To) e la Pro Loco di San Didero(To).
Articolo di Susanna Ricci-
Fonte-Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
-Un racconto che ci invita a confrontarci su tematiche importanti-
Roma- al Teatro 7 va in scena 24 Ore-
Roma- al Teatro 7 va in scena 24 ore dl 12 novembre all’8dicembre 2024 – Sintesi e trama-Una valigetta di piccole dimensioni, pratica, non pesante, che potremmo riempire di ricordi, da recuperare con facilità all’occorrenza …24 ore è anche il nome di una competizione sportiva “di durata”, una corsa contro il tempo, che inesorabilmente scorre, senza tornare indietro…24 ore è la durata di una giornata, che spesso e volentieri se ne scappa via, nella convinzione che tanto ci sarà un dopo, un domani nel quale recupereremo le cose non fatte e, soprattutto, non dette…24 ore è l’arco temporale di questo racconto: sei storie intrecciate l’una con l’altra da legami affettivi; un racconto, anche molto divertente, che, nello stile degli autori, ci invita a confrontarci attraverso un sorriso, su tematiche importanti…
E sulle quali riflettere, almeno, per le successive 24 ore!
in scena dal 12 Novembre – all’8 Dicembre
COMPAGNIA TEATRO 7con Sergio Zecca – Tiko Rossi Vairo -Francesca Baragli – Maria Teresa Pascale – Cristina Odasso- Alessio Chiodini
di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli-regia Michele La Ginestra
orario spettacoli: dal martedì al sabato ore 21.00; domenica ore 18.00
sabato 7 dicembre h18 e h21
biglietti: intero € 25,00/€ 28,00; ridotto € 20,00/€ 22,00 (prev. compresa)
Roma al Teatro Manzoni -“Donne in pericolo”-Una commedia frizzante e irresistibilmente divertente-
Roma –Teatro Manzoni-Quando una donna di mezza età, reduce da un divorzio difficile, si fidanza e ritrova la passione, è sempre una gran bella notizia!
“La vita è in grado di riservare delle sorprese!“, “Non è mai troppo tardi!“, “A cinquant’anni ho ritrovato la mia femminilità!“, sono tutte frasi iconiche, stampate nell’immaginario collettivo, simbolo di speranza di un’esistenza piena, ricca e soddisfacente. Tutto bellissimo. Ma come la mettiamo con le amiche?
L’arrivo di un uomo rende tutte felici, anche solo per spirito di solidarietà femminile ma, diciamoci la verità, va anche a compromettere certe abitudini: c’è meno tempo a disposizione, ci si isola un po’ e questo può scatenare qualche forma di invidia o, peggio ancora, di gelosia.
È proprio quello che succede in DONNE IN PERICOLO, una commedia frizzante e irresistibilmente divertente, in cui Mary e Jo sono determinate a recuperare la loro amica, caduta nelle grinfie di un nuovo amore che la sta pericolosamente allontanando da loro. Tra inquietanti serial killer, strambi poliziotti e ragazzi un po’ troppo spregiudicati, si snoda una vera propria avventura fatta di tranelli, sospetti, frecciatine e colpi bassi, in cui la determinazione delle donne e la loro capacità di fare squadra, la fa da padrona.
Il messaggio agli uomini è molto chiaro: prima ancora di sedurre la donna che vi piace, conviene conquistare le sue amiche!
Tournée 2024-25
dal 7 al 24 novembre TEATRO MANZONI – ROMA
29 novembre TEATRO BORGATTI – FERRARA
30 novembre BELLUNO
1° dicembre TEATRO SAN DOMENICO – CREMA
13 dicembre AURORA CINEMA E TEATRO – CAMPODARSEGO (PD)
14-15 dicembre TEATRO VILLORESI- MONZA
28-29 dicembre TEATRO TEAM – BARI
9 gennaio TEATRO POLIETAMA- BRA (CN)
10 gennaio TEATRO COMUNALE – CASALMAGGIORE (CR)
11 gennaio TEATRO BELLINI – CASALBUTTANO (CR)
12 gennaio TEATRO GONZAGA ILVA – BAGNOLO IN PIANO (RE)
16 gennaio AUDITORIUM BENEDETTO XII – CAMERINO (MC)
17 gennaio CINE TEATRO LA PERLA -MONTEGRANARO (FM)
DONNE IN PERICOLO
DI WENDY MACLEOD
Con (in ordine alfabetico)
VITTORIA BELVEDERE – BENEDICTA BOCCOLI – DEBORA CAPRIOGLIO
Con ERMENEGILDO MARCIANTE
BEATRICE COPPOLINO e CLAUDIO CAMMISA
Regia di
ENRICO MARIA LAMANNA
Traduzione e adattamento
MARIOLETTA BIDERI – ENRICO MARIA LAMANNA
Roma- va in scena al Teatro Garbatella- Il sequestro degli innocenti-
Roma- Debutta nella magica cornice del Teatro Garbatella, il 13 e 14 novembre, la nuova commedia dei POST-IT 33, “IL SEQUESTRO DEGLI INNOCENTI“, scritta da Salvatore Riggi , per la regia fresca e frizzante di Post-it 33 e Dalila Aprile. La compagnia torna sulle tematiche sociali più scottanti con una nuova storia che parla di giovani e di un futuro pauroso, per quanto incerto.
“… Tre ragazzi vengono ingiustamente licenziati dall’azienda dove lavoravano. Afflitti dalla situazione, decidono di sequestrare il loro ex datore di lavoro per dare un segnale forte e chiaro all’Italia intera. Sì, ma come si sequestra una persona quando gli eventuali sequestratori sono fondamentalmente dei bravi ragazzi? …”
Teatro Garbatella- Il sequestro degli innocenti-
La condizione del giovane lavoratore in un Paese dove il debole soccombe sotto ogni aspetto. Assunzioni fatte solo se prima si firmano le dimissioni preventive, buste paga da tornare in parte ai datori di lavoro, la totale insicurezza sul futuro dei giovani italiani e l’ingiustizia sociale che regna sovrana. Questo è l’intreccio comico e il disagio sul quale si fonda “IL SEQUESTRO DEGLI INNOCENTI”. Una commedia che racconta un’amara condizione, un segreto di Pulcinella, e l’ipocrisia di una Nazione che vorrebbe trattenere i giovani, ma che non è capace e forse neanche ha la voglia di aiutarli per davvero e fino in fondo. “POST-IT 33” è una giovane compagnia di attori laureati presso l’Accademia internazionale di Teatro di Roma che ha fatto di Drammaturgie originali e di nuove forme di comicità la propria firma. Una realtà attiva in Italia e all’Estero dal 2017, con attori che, nonostante la giovane età, vantano numerose collaborazioni, regie e spettacoli con volti noti del Teatro Italiano e della Televisione tra cui: Marco Simeoli, Roberto Ciufoli, Simone Colombari, Luca Negroni, Stefano Masciarelli, Patrizia Loreti, Cinzia Maccagnano, Pietro De Silva.
Informazioni, orari e prezzi
TEATRO GARBATELLA
Piazza Giovanni da Triora, 15 – Roma
13 & 14 NOVEMBRE 2024 – ORE 21.00
INFO E PRENOTAZIONI: 389 312 7865 (Salvo) – 327 050 8733 (Giorgia) – 328 958 6340 (Mariano)
Roma-Che disastro di famiglia – La Regola del topo- al Teatro de’ Servi-
Roma- Va in scena al Teatro de’ Servi, dal 12 al 24 novembre, Che disastro di famiglia – La Regola del topo, commedia di N.L. White con la regia di Luca Ferrini.
“La Regola del Topo” è una vera e propria farsa comicissima, una “commedia delle porte” travolgente e dal ritmo forsennato. Marito e moglie aspettano l’arrivo del capo dell’ufficio adozioni per ottenere l’idoneità a diventare, finalmente, genitori. Peccato che il giorno scelto per questa delicata operazione non sia dei migliori! Lo zio ed il cugino di lui hanno, infatti, in serbo sorprese a non finire al limite della legalità che metteranno a serio rischio non solo l’adozione ma il sistema nervoso stesso della coppia di coniugi.
Tra gag esilaranti, immigrati clandestini, situazioni caotiche, bugie, pistole fumanti e contrabbando aggravato, i protagonisti si troveranno a fronteggiare situazioni tanto complicate quanto esilaranti, dando vita ad una inarrestabile ed esplosiva catena di spassosissimi colpi di scena. Dopo il grande successo de “Il teorema della Rana”, N. L. White torna a teatro più determinato che mai nel voler regalare al pubblico novanta minuti di risate scatenate e di frenetica comicità.
Alt Academy Produzioni
presenta
CHE DISASTRO DI FAMIGLIA
LA REGOLA DEL TOPO
di N.L. White
regia di Luca Ferrini | aiuto regia Andrea Verticchio
con Paolo Roca Rey, Alessandra Mortelliti, Luca Ferrini, Guglielmo Lello, Denis Persichini, Antonia Di Francesco, Davide Sapienza
DAL 12 AL 24 NOVEMBRE
TEATRO DE’ SERVI- ROMA
Informazioni, orari e prezzi
INFORMAZIONI GENERALI
Teatro de’ Servi
Via del Mortaro, 22 | 00187 Roma
Per informazioni e biglietti:
tel. 06.6795130 | info@teatroservi.it
Orari spettacoli:
da martedì a venerdì ore 21
sabato ore 17:30 e 21
domenica ore 17.30
Biglietti: 25 euro
Roma- Cyrano De Bergerac -Nella sua versione originale in versi al Teatro Cometa Off
Roma- Va in scena al Teatro Cometa Off- Cyrano De Bergerac- stronomo, filosofo eccellente. Musico, spadaccino, rimatore, Del ciel viaggiatore, Gran mastro di tic-tac, Amante — non per sè — molto eloquente Qui riposa Cirano Ercole Saviniano Signor di Bergerac, Che in vita sua fu tutto e non fu niente!” Edmond Rostand
Dopo il successo delle scorse stagioni con più di 2000 spettatori e un unanime riscontro di critica, Cyrano De Bergerac con la regia di Matteo Fasanella, torna in scena dal 13 al 17 Novembre 2024 al Teatro Cometa Off di Roma.
Nella sua versione originale in versi, il dramma di Edmond Rostand torna nella storica sala di Roma, che accoglierà l’immortale storia d’amore ispirata alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac, uno dei più estrosi scrittori del seicento francese.
A proporre il lavoro, partendo dalla versione originale, senza alterarne i versi ma apportando solo qualche taglio, è la DarkSide LabTheatre Company diretta da Matteo Fasanella, già definita dalla stampa “una fucina di giovani talenti”.
A farla da padrone, ovviamente – forte della poetica narrazione in versi – è una delle storie d’amore più belle che la letteratura abbia mai creato: l’amore, il genio, le virtù, l’uomo. La lucidità del personaggio maschile, viene ingannata dall’amore, che mette a nudo le fragilità di un uomo quasi perfetto, aldilà delle sue famigerate carenze fisiche. «Chi la vide sorridere conobbe l’ideale»: un ideale che porta Cyrano alla consapevolezza della sconfitta, ed egli affida il suo genio a un uomo che è in grado di soddisfare tutti i suoi sogni. «Se mi par che vi sia di speranza un’ombra, un’ombra sola»: la speranza, meravigliosa e vana, induce Cyrano a rendere questo amore, forse unico, palpitante. Egli utilizza tutte le sue virtù senza però mai slegarsi dalla maschera che lo protegge. Ne rimane talmente vincolato che, anche quando la verità viene a galla, preferisce immolarsi e concedersi alla sua vera musa ispiratrice: la libertà. Come può l’amore indurre a rinunciare al proprio volto? Come può l’amore portare un uomo a spalleggiare il proprio “nemico” nella conquista del proprio sogno? Interrogativi universali per un’opera altrettanto immortale!
Cyrano De Bergerac di Edmond Rostand – Con: Matteo Fasanella, Virna Zorzna, Alessio Giusto Lorenzo Martinelli e Nicolò Berti – Adattamento e Regia: Matteo Fasanella – Scene: Maurizio Marchini – Costumi: DarkSide e.t.s. – Aiuto Regia: Virna Zorzan – Foto: Christian Sicuro – Smm e Grafica: Agnese Carinci
La Città Futura-Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare nell’ultimo Brecht la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera.
Bertolt Brecht
Articolo di Renato Caputo-Per comprendere più in profondità che cosa leghi l’elemento ingenuo a quello dialettico, centrali nella riflessione estetica dell’ultimo Bertolt Brecht, bisogna considerarli dal punto di vista della teoria della conoscenza. A questo scopo sarebbe necessario poter risalire alle fonti di cui Brecht si è servito per mettere a fuoco degli elementi così importanti per la sua opera. Anche se forse non è possibile allo stadio attuale della ricerca individuare con certezza le fonti utilizzate da Brecht, una breve analisi storica del concetto di naïf può fornirci degli elementi utili per azzardare quantomeno un’ipotesi plausibile su di esse.
Charles Batteux è stato il primo pensatore a distinguere nettamente il concetto estetico di naïf da quello psicologico, individuandovi la componente essenziale di uno stile bello. Egli lo impiegava, infatti, per indicare, in polemica con il barocco, la semplicità dei classici, che utilizzavano nell’opera solo le parti necessarie allo sviluppo del pensiero, eliminando del tutto il superfluo. Questo termine è stato ripreso dall’illuminismo tedesco che se ne è servito per indicare una semplicità (Einfalt) strettamente connessa con la nobiltà (edel) dello stile. Esso era, quindi, considerato una componente essenziale per giudicare un’opera come pienamente compiuta dal punto di vista artistico. Come ha osservato Detlev Schöttker [1] la storia seguente della categoria del naïf è stata segnata dalla perdita progressiva del significato strutturale a favore di quello concettuale. Questa tendenza ha il suo compimento nell’utilizzo del concetto nell’opera di Friedrich Schiller Sulla poesia ingenua [naive] e sentimentale. Che l’importanza assegnata da Brecht al concetto di naïf potesse venire intesa come un implicito riferimento all’opera di Schiller è risultato evidente a tutti gli studiosi che si sono occupati di questa parte della sua produzione. Tuttavia diversi critici, preoccupati di mantenere ben evidenti le differenze tra Brecht critico del classicismo e i due “dioscuri” di Weimar, hanno mirato a evidenziare le differenze tra il concetto di naïf utilizzato da Brecht e quello di cui si è servito Schiller. Così, ad esempio, Hans Mayer in Brecht e la tradizione si è sforzato di dimostrare che il concetto di cui Brecht si era servito era incommensurabile con quello utilizzato da Schiller per indicare uno “stadio presentimentale”. Schiller, infatti, aveva contraddistinto la poesia moderna con il concetto di sentimentale per differenziarla dall’immediatezza implicita nel concetto di ingenuità che utilizzava per contraddistinguere la poesia degli antichi. Per Schiller, questa concezione ingenua della poesia sarebbe da ritenere oggi del tutto inadeguata a caratterizzare una società come la nostra, segnata da un’intima scissione.
È difficile dubitare che il concetto utilizzato da Brecht abbia un significato ben diverso da quest’ultimo. Tuttavia, benché Mayer non sembri accorgersene, il termine naïf era utilizzato da Schiller anche in un’altra accezione. Con quest’ultima Schiller intendeva caratterizzare la produzione di Johann Wolfgang von Goethe, di un autore cioè che, all’interno del mondo moderno, aveva cercato di riconquistare l’ingenuità caratteristica dell’arte antica. A tal fine non era stato possibile nemmeno per Goethe cancellare la scissione del mondo contemporaneo e della sua espressione artistica, ma era stato piuttosto necessario prendere l’avvio proprio da questa. Goethe, secondo la definizione che ne dà Schiller, sarebbe, dunque, uno spirito greco condannato a vivere in un mondo nordico, che può riconquistare la sua patria originaria solo attraverso “rationalen Wege”. Solo così egli poteva appropriarsi dell’ingenuità degli antichi, ingenuità che, tuttavia, aveva perduto per sempre il carattere di immediatezza che la aveva contrassegnata. Si trattava, infatti, di una Naivität di secondo grado, che doveva portare necessariamente in sé il momento della riflessione. È, quindi, con questa seconda accezione del termine che può essere paragonato il concetto usato da Brecht. Questi come Goethe utilizzerebbe, allora, la categoria di naïf nel senso originario di Batteux, cioè come recupero della semplicità classica. Si tratta, però, di una semplicità artificialmente riconquistata, che deve essere considerata di natura dialettica.
Quindi, sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera [2].
La tendenza inequivocabile del tardo Brecht a una classica essenzialità e immediatezza non significa, in nessun caso, una fuga di fronte alle contraddizioni laceranti della sua epoca in un’unitaria, ma astorica sfera dell’estetico, capace di ricucire la spaccatura tra essere e dover essere [3]. L’imperfezione e l’intima contraddittorietà della realtà devono costituire, al contrario, la premessa indispensabile per l’opera d’arte, la condizione di possibilità del suo carattere necessariamente riflessivo. Non solo perché l’opera non può più sottrarsi al compito di dar conto della crescente complessità del “reale”, ma soprattutto perché la frammentarietà dell’extra estetico e della sua indagine deve avere un riscontro puntuale al livello della struttura formale. A mutare negli ultimi anni, rispetto al precedente periodo avanguardistico, è l’atteggiamento di fronte alla frammentarietà del mondo e di ogni sua possibile analisi. Tensione al classicismo significa essenzialmente per Brecht virile negazione di ogni rassicurante arrendevolezza all’ineluttabilità della frammentarietà, alla metafisica del nichilismo. Il carattere di continuità e infondatezza della ricerca di una possibile e provvisoria soluzione deve restare, infatti, l’imprescindibile correlato etico di ogni esperienza estetica.
L’aspetto mimetico dell’opera, l’unico in grado di preservarne il carattere veritativo, non potendo più ingenuamente giustificarsi come copia – dato che tutti i “prototipi sono sprofondati” – deve conservare la tensione a un’organizzazione totalizzante del suo materiale, che non tema più di manifestare il suo carattere di autonomia e “sentimentalità” [4].
Bertolt Brecht
Note:
[1] Cfr. Detlev Schöttker, Bertolt Brechts Ästhetik des Naiven, J.B. Metzler Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 1989, p. 15.
[2] La nostra ipotesi interpretativa della concezione brechtiana dell’arte mira a mettere in evidenza quelli che ci sembrano essere i due aspetti fondamentali che la hanno da sempre caratterizzata: il lato espressionistico, demoniaco, “romantico”, e quello lineare, “scientifico”, “classico”. Questa commistione di “apollineo” e “dionisiaco” ci sembra, infatti, il tratto maggiormente in grado di caratterizzare l’intera opera di questo autore, e non solo, come troppo spesso si è scritto, la sua fase più matura. Una tale interpretazione dovrebbe consentirci di azzardare un’ipotesi di soluzione all’annosa questione della tradizione culturale a cui dovrebbe essere ricondotta l’opera brechtiana. Il “Wiesengrund” della sua produzione artistica potrebbe, infatti, venire indicato nella “viva” dialettica in essa presente, tra la tradizione dei classici e una tradizione anticlassica, ironico-popolaresca, che fa proprio della stilizzazione satiricheggiante della tradizione classica il suo elemento di forza. Il nostro compito consiste, allora, nell’illustrare la complessità e la disomogeneità della riflessione brechtiana sull’arte moderna, considerandola come luogo d’incontro di una tradizione legata a una concezione classica dell’arte avente i suoi referenti principali in Aristotele, Hegel e Goethe e una concezione che ha le sue origini nel romanticismo di Friedrich Schlegel e di Hölderlin e che giunge a Brecht attraverso Nietzsche, il giovane Lukács e Benjamin. Una concezione, cioè, che considera la possibilità stessa di un’opera d’arte moderna indissociabile dal momento della differenza, della rottura, dell’ironia.
Bertolt Brecht
[3] Nel teatro “borghese” moderno la progressiva perdita della funzione sociale del dramma – ben definita non solo nel teatro antico, ma anche nel medievale – aveva aperto la possibilità, gravida di nuovi sviluppi, ma allo stesso tempo estremamente pericolosa, di fare della rappresentazione scenica uno scopo in sé. Il teatro, rompendo del tutto i ponti con le sue origini rituali e perdendo i solidi legami con un’universale visione del mondo, rischiava di veder drasticamente ridotte le sue funzioni. In primo luogo, era messa a repentaglio la sua valenza pedagogica, la sua capacità di mediare elementi conoscitivi ed etici. In secondo luogo, si era venuta a creare una crescente spaccatura tra la scena ed il suo pubblico, che tendeva ad assumere un atteggiamento sempre più passivo di fronte a una rappresentazione che aveva perso progressivamente ogni contatto con la vita activa. In terzo luogo, si era sviluppata una profonda opposizione tra testo drammatico e azione scenica, tanto che un rafforzamento del primo sembrava mettere a repentaglio necessariamente la seconda.
[4] Lo scrittore realista, per rendere comprensibile la realtà al suo pubblico, non può limitarsi a trasmettergli delle impressioni sensoriali. Il suo ruolo, infatti, deve essere attivo per poter essere attivizzante. Egli deve intervenire sulla realtà, deve prestargli le sue forme e, con l’aiuto di tutte le tecniche letterarie e conoscitive a sua disposizione, deve rappresentare, per quanto è possibile, il suo conformarsi a leggi. Solo così si può trasmettere esemplarmente al proprio pubblico quell’atteggiamento critico che permette di intervenire sulla vita stessa, di trasformarla conoscendola. Proprio per questo motivo la drammaturgia non-aristotelica non si limita a presentare al proprio pubblico un’azione scenica, ma gli comunica un atteggiamento. In altri termini, la dialettica su cui si fonda l’opera è data proprio dalla tensione a rappresentare la realtà così com’è, ma solo per suggerire al pubblico che potrebbe essere diversamente, che è necessario interrogarsi sul come dovrebbe essere. E’ possibile rappresentare la realtà, infatti, unicamente nella sua infinita molteplicità, nella sua irriducibile distinzione di livelli, nel suo perpetuo movimento trasformativo, nella sua insopprimibile contraddittorietà. Presupposto indispensabile della rappresentazione è, allora, la lotta perpetua contro ogni forma di ideologia, di schematismo, di determinismo e di pregiudizio.
Amleto un eroe moderno –Articolo di Alberto Pellegrino-Shakespeare è il più grande genio teatrale di tutti i tempi, perché, come scrive il drammaturgo August Strindberg, egli “descrive gli uomini in tutti i loro aspetti, incongrui, contraddittori, lacerati, fragili, divisi, incomprensibili proprio come sono gli esseri viventi”. Tra le sue opere la tragedia di Amleto è la più affascinante e misteriosa, complessa e problematica, perché essa appare assolutamente moderna per la vitalità e la polivalenza del protagonista, un intellettuale tormentato dal dubbio che è solito rifugiarsi nello studio e nella riflessione per fuggire da una realtà che lo disgusta.
William Shakespeare
Oggetto di migliaia di analisi e interpretazioni, Amleto è uno dei grandi miti moderni per aver segnato il passaggio dell’Inghilterra dal medioevo all’età rinascimentale, per avere un protagonista che rappresenta il nuovo intellettuale borghese, l’uomo di Copernico e della Riforma, l’uomo con i caratteri tratteggiati da Machiavelli, Montagne e Cartesio, l’intellettuale che ha conosciuto l’Orlando furioso di Ariosto, il Don Chisciotte della Mancia di Cervantes ma soprattutto l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. In quest’ultima opera si parla di una “razionale” forma di pazzia che serve ad affrontare i ciarlatani, i parassiti, i mestatori, la stessa gente che affolla la reggia di Danimarca, la stessa follia che suggerisce al principe Amleto di assumere la maschera del pazzo, di recitare la parte del fool, una mitica figura del folklore popolare che è un buffone stravagante e un manipolatore di parole abile nel saper mescolare furbizia e follia. La figura di Amleto è ancora affascinante, perché riflette l’ambiguità, l’introspezione, lo smarrimento dell’uomo contemporaneo impegnato a cercare l’essenza della vita, ma sempre più solo di fronte alla propria coscienza e alla propria ragione.
William Shakespeare
Nella grande stagione del teatro elisabettiano gode di grande popolarità la tragedia di vendetta, fondata su alcuni elementi ricorrenti: l’apparizione di un fantasma che chiede di essere vendicato, il giuramento di chi ha questo compito, l’uso della pazzia come maschera per difendersi, l’occasione per vendicarsi offerta dallo stesso nemico, la corruzione del protagonista che, nel portare avanti il suo piano, scende allo stesso livello morale del nemico. La tragedia scespiriana, nonostante presenti delle analogie, si allontana da quel genere teatrale, perché contiene una visione innovativa della vendetta, non privilegiando l’azione ma il percorso interiore che conduce all’attuazione della vendetta stessa. Dalle società primitive fino alla società rinascimentale il principio “occhio per occhio, dente pe dente” era un dovere che spettava ai parenti prossimi dell’ucciso e in particolare al figlio maggiore ma quest’obbligo morale risulta estraneo ad Amleto che è tormentato dal dubbio, dal bisogno di arrivare alla conoscenza della verità, dal peso di problematiche morali che provocano un rapporto conflittuale con la sua coscienza.
La Danimarca è uno Stato nato dalla forza militare della nobiltà e fondato sulla violenza, governato da un re che è un guerriero sanguinario, anche se valoroso, il quale incarna la politica di conquista e di potere di una società dove vige la legge della vendetta e della ritorsione sanguinaria. Amleto esalta la figura del padre paragonandolo a un dio, nonostante stia scontando in Purgatorio i crimini politici e gli altri peccati che ha commesso.
In questo mondo vecchio e corrotto Amleto porta una ventata di novità, perché è un uomo di spada ma anche un intellettuale che ha studiato nell’Università di Wittenberg, centro della riforma, del razionalismo, del progresso moderno, dell’erudizione umanistica. Dotato di una grande sensibilità morale e di alti valori spirituali, egli rimane gravemente colpito e disgustato dall’assassinio del padre, dall’usurpazione del trono, dalla scoperta della condotta immorale della madre, tanto da avvertire una nausea che lo spinge fino alle soglie del suicidio rifiutato solo per la paura verso il mistero dell’aldilà (“Così questa troppo solida carne potesse fondersi e disciogliersi in rugiada: o che l’Eterno non avesse stabilito la sua legge contro l’uccisione di sé!…Come sono tediosi, vieti, insipidi e non profittevoli sembrano a me tutti gli usi di questo mondo! Come l’ho a schifo!”).
William Shakespeare
Amleto condanna il comportamento della madre che ha scambiato un essere perfetto con un uomo ignobile, vile, ipocrita e fratricida come Claudio, il quale governa uno Stato in preda alla corruzione, all’ipocrisia, alla repressione. Il nuovo re, che nutre dei sospetti verso Amleto, guida tutti gli intrighi di corte; condanna il principe all’esilio in Inghilterra e ordina di ucciderlo appena giunto a terra; ordisce il complotto finale, coinvolgendo un Laerte assetato di vendetta per la morte del padre e della sorella Ofelia. Al fianco del re opera il primo ministro Polonio che incarna una politica fondata sulla macchinazione, la manipolazione, lo spionaggio: è lui a proporre di sorvegliare Amleto, perché la follia dei grandi non può rimanere senza controllo; a usare la figlia per circuire Amleto e strappargli la verità; a spiare l’incontro-scontro tra madre e figlio, stando nascosto dietro una tenda e pagando con la vita questa sua predisposizione all’intrigo.
Amleto, con la sua anima ferita e tormentata, s’interroga sul comportamento più giusto da seguire per assolvere il dovere della vendetta, sul confine tra il bene e il male, sulle ragioni per vivere il presente e per comprendere il destino ultimo dell’uomo. Senza più le certezze religiose e politiche del medioevo, egli avverte l’obbligo di sperimentare, sondare e capire le motivazioni del suo agire.
Amleto, regia e interpretazione di Laurence Olivier, GB, 1948
Amleto di William Shakespeare
Carmelo Bene-
in Amleto di Shakespeare
Nonostante le sue incertezze, egli trova il coraggio di avventurarsi in un mondo ingannevole di cui non conosce i confini, di accettare una sfida che lo carica di nuove responsabilità, di rinunciare al suo mondo giovanile, agli studi, agli amici, all’amore, al trono. I suoi dubbi lo spingono ad avere dei comportamenti contraddittori: a volte è un sognatore erudito e indolente, incapace di portare a termine un atto di vendetta; a volte è un assassino impulsivo e brutale; in alcune occasioni è tenero, amorevole, sensibile, raffinato, in altre è spietato, beffardo e perfino volgare.
Erving Goffman, nella sua opera La vita come rappresentazione, ci aiuta a capire questi modi di operare, quando dice che ogni individuo agisce trasmettendo il proprio io particolare per mezzo di comportamenti esteriori e di parole come fa un attore chiamato sulla scena a interpretare un ruolo. Noi siamo quello che recitiamo, perché comunichiamo attraverso la rappresentazione e l’interpretazione di una vasta gamma di ruoli che cambiano a seconda dell’uditorio e che richiedono delle capacità drammatiche per entrare pienamente nella parte che s’interpreta. Amleto, che è un profondo conoscitore dell’arte drammatica, si trova al centro di uno spettacolo che riflette la concezione scespiriana del teatro, che deve essere considerato lo specchio della natura, lo specchio della società, lo specchio del tempo con lo scopo di conferire un volto alle virtù e ai vizi dell’umanità. Con i materiali drammatici che ha a disposizione, egli riesce a trovare una parte da interpretare ogni volta che sale sul palcoscenico della vita, passando attraverso una successione di ruoli che gli consentono di apparire agli altri recitanti come un diverso, un estraneo, un pazzo, anche se, dietro i suoi vaneggiamenti, s’intravede un disegno razionale regolato da un preciso schema mentale finalizzato alla ricerca della verità.
In questo percorso verso la catarsi finale, troviamo al fianco di Amleto due donne che interpretano un ruolo importante: Gertrude e Ofelia. La regina Gertrude è la madre alla quale il figlio non perdona di essere passata con troppa rapidità da un letto all’altro, spinta dalla lussuria e vittima di una libidine che “si abbuffa vorace di sudiciume”. Amleto, rivolgendosi alla donna con il furore di un amante geloso e di un figlio tradito, le ordina di praticare l’astinenza sessuale, perché il suo non può essere un nobile sentimento amoroso; la prega di non rivelare a nessuno la sua finta follia e di riferire al re che suo figlio è veramente impazzito. La regina crede in questa finzione o in una reale follia? Difende e protegge suo figlio? In ogni caso asseconda i suoi piani e si riscatta salvandogli la vita, quando nel duello finale impedisce ad Amleto di bere il vino avvelenato che lei ha già bevuto.
Ofelia è una fanciulla innocente e sinceramente innamorata del principe e, quando lui entra nella sua stanza indossando la maschera del folle, la giovane sente vacillare il suo amore, respinge le sue lettere e le sue profferte amorose, corre dal padre per dirgli che Amleto è vittima di una follia che Polonio scambia per la pazzia propria di un innamorato respinto. A sua volta Polonio, dopo avergli ordinato di non cedere alle lusinghe del principe che, per gli obblighi del suo rango, non potrà mai essere il suo sposo, la manipola e la strumentalizza, inviandola a sondare lo stato mentale del principe. Amleto, pur amandola, vede in Ofelia una femmina soggetta a peccare e a generare altri peccatori, per cui sfoga su di lei la propria misoginia in una scena di brutale violenza: “Dio vi ha dato una faccia e voi vene fate un’altra. Ancheggiate, ondeggiate, bisbigliate. date nomignoli alle creature di Dio e spacciate la vostra impudenza per candore. Via non ne voglio più sapere. Mi ha reso pazzo. Dico che i matrimoni non s’hanno più da fare. Quelli che si sono sposati – tranne uno – vivranno. Gli altri resteranno come sono. Va, chiuditi in convento”.
Carmelo Bene- in Amleto di Shakespeare
Ofelia, sconvolta per la morte del padre e per l’abbandono dell’uomo che ama, si trova avvolta da una tragica solitudine che finisce per farla impazzire e farla morire affogata in un fiume, vittima innocente e sacrificale di una società violenta e crudele, specchio di un mondo marcio dove nessuno prega, nessuno si pente, nessuno perdona, dove a pagare sono gli esseri più deboli e indifesi, dove l’amore è una variabile che il teatro della vita non prevede e non comprende. Questa tragedia finisce praticamente di fronte alla tomba di Ofelia, quando Amleto confessa pubblicamente il suo amore e afferma il primato del suo dolore rispetto al fratello che lo accusa di aver fatto impazzire e spinto al suicidio la giovane.
La follia di Amleto realtà o finzione?
“Il tema della follia occupa in Shakespeare una posizione estrema nel senso che essa è senza rimedio. Niente la riporta mai alla verità e alla ragione: la follia, nei suoi vani ragionamenti, non è vanità; il vuoto che la riempie è un male molto aldilà della mia scienza, come dice il medico a proposito di Lady Macbeth; è già la pienezza della morte: una follia che non ha bisogno di medico” (Michel Foucault).
La pazzia di Amleto è vera o falsa? Amleto è folle o si finge folle? In ogni caso il principe, per mezzo della follia, si ritaglia uno spazio di libertà per arrivare attraverso la menzogna a scoprire la verità. La sua è una follia ambigua, simulata per trarne un vantaggio quando è solo o con gli amici è lucido e consapevole, è capace di profonde riflessioni; quando finge di essere folle assume il ruolo del vendicatore. In questo vortice di ragione e pazzia, Amleto è costretto a distinguere che cosa è reale e che cosa è apparenza, anche se le sue barriere psicologiche cominciano a vacillare, tanto da apparire gioioso e triste, comico e violento, un uomo dagli alti ideali che ama e odia la vita, una persona sensibile ma con una debole volontà. Dotato di una coscienza iperattiva, egli cade facilmente nella recriminazione e nell’autoflagellazione, soppesa e valuta ogni suo pensiero, non giustifica nessuna azione, per cui il suo percorso verso la verità arriverà a trovare una soluzione solo alla fine della storia. Sulla base di questi elementi si può avanzare l’ipotesi che Amleto soffra di una voluptas dolendi non patologica, ma derivante dalla sua condizione di figlio chiamato ad assolvere un compito che non sente come un dovere, di persona costretta a esplorare le radici più profonde della fragilità umana, a saldare il conto con il proprio destino.
Il tema della follia ha fatto nascere diverse teorie psicoanalitiche che possono sembrare persino eccessive, tenuto conto che siamo di fronte a un personaggio nato dalla fantasia di un autore. Tuttavia, dopo la scoperta fatta nel 1896 dallo storico inglese Brandes, per il quale questa tragedia sarebbe stata scritta da Shakespeare agli inizi del Seicento, poco dopo la morte del padre, molti autori, compreso Freud, ritengono che dietro il personaggio di Amleto si celi la persona del suo creatore e che l’opera rappresenti una catarsi psicologica destinata a risolvere i problemi esistenziali del drammaturgo. Del resto è incontestabile che la tragedia, alla quale Shakespeare ha lavorato dal 1589 al 1601, rappresenti una svolta fondamentale nella sua vita e nella sua opera, perché appare completamente diversa dai precedenti drammi storici inglesi e ha pochi punti di contatto con i sedici grandi drammi scritti successivamente.
Lo psicanalista André Green sostiene che in Amleto sono presenti tre livelli di follia: il primo livello è al servizio dell’astuzia e si basa sulla dissimulazione, che il principe usa per realizzare il suo progetto di vendetta con un gioco destinato a inquietare i suoi nemici che non sanno più chi egli sia; il secondo livello è la passione malinconica che nasce dal lutto per la ferita inferta ai suoi sentimenti filiali, per il crollo dell’immagine idealizzata della madre degradata dal ruolo di madre a quello di prostituta; l’ultimo livello è la follia amorosa che porta Amleto a scaricare la sua misoginia e il suo odio su Ofelia e sulla madre. Amleto ha scoperto che il candore materno nasconde la sfrenatezza del peccato; ha intuito che Ofelia, immagine della purezza e della sincerità, è stata usata come esca per tendergli una trappola e la colpisce verbalmente con estrema violenza, gettando le premesse perché la fanciulla cada vittima di una vera follia.
Nell’analizzare il personaggio di Amleto, Freud ritiene che il suo inconscio desiderio di uccidere il padre e di giacere con la madre sia stato rimosso, facendo così rallentare la sua azione e facendo risvegliare in lui quelle pulsioni e quei desideri sopiti nel confronto con la realtà. “Il mito di re Edipo che uccide il padre e prende in moglie la madre, rivela il desiderio infantile, contro cui interviene più tardi la ripulsa della barriera conto l’incesto. La creazione poetica dell’Amleto di Shakespeare nasce sul medesimo terreno del complesso incestuoso, questa volta meglio mascherato…Nell’Edipo l’infantile fantasia di desiderio, su cui l’opera si accentra, viene evidenziata e portata a compimento come nel sogno; nell’Amleto resta rimossa e la sua presenza c’è rivelata unicamente, come avviene in una nevrosi, dagli effetti inibitori che ne sono la conseguenza. L’effetto prodotto nell’Amleto non esclude il fatto che si possa ignorare del tutto la personalità dell’eroe del dramma, che è costruito sulla sua riluttanza a compiere il gesto di vendetta assegnatogli; l’opera non ci dice il motivo di questa esitazione, né i più disparati tentativi di interpretazione hanno potuto indicarcelo” (Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni).
Secondo Freud, Amleto è un malato d’isteria e questo spiega sia la sua esitazione a uccidere lo zio per vendicare il padre, sia l’indifferenza con cui manda a morire due cortigiani e uccide Laerte: “La sua coscienza è il suo inconscio sentimento di colpa. E non sono forse isterici la sua freddezza sessuale quando parla con Ofelia, la sua reiezione dell’istinto di generare figli, e infine il suo transfert dell’azione da suo padre a Ofelia? E forse che alla fine non riesce, esattamente allo stesso singolare modo con cui lo fanno i miei isterici, ad attirare su di sé la punizione e a subire lo stesso destino del padre, quello di essere avvelenato dallo stesso rivale?” (Lettera a Wilhelm Fliess del 15 ottobre 1897).
Jung sposta l’attenzione dalla pulsione sessuale di Amleto verso la madre alla figura del Padre, sostenendo che l’emersione simbolica della figura paterna nei sogni diventa il veicolo di una normativa sociale (“Nei sogni, è da una figura di padre che provengono decisive persuasioni, proibizioni, consigli”). Jung ritiene che il nostro inconscio si serva di immagini (gli archetipi) che illustrano tutta una serie di tematiche psicologicamente connesse tra di loro. Nel caso di Amleto l’apparizione del fantasma paterno diviene un’apparizione dell’archetipo, una proiezione psichica che attraverso le immagini trova la sua voce, per cui questa irruzione del sovrannaturale nel mondo reale nasce dalle profondità inconsce dell’individuo.
Considerazioni finali su Amleto
Aldilà di tante analisi e valutazioni, possiamo affermare che nessun’altra opera teatrale contiene una così vasta gamma di sentimenti e di azioni, nessuna offre un’immagine così ricca e complessa dell’operare umano, nessuna sa meglio analizzare gli aspetti più segreti dell’anima, perché in questa tragedia sono rappresentate le vicende individuali e dello Stato, le amicizie e gli affetti, gli odi e le uccisioni, i tradimenti e le congiure, le pene d’amore e le perversioni sessuali, la razionalità e la follia dell’uomo. Incapace di dare delle risposte e delle certezze, Amleto rimane solo sul palcoscenico e affida a Orazio il compito di raccontare la sua vera storia, perché tutto “il resto è silenzio”. Perdonare Amleto è come perdonare noi stessi consapevoli che egli ha saputo colmare l’abisso tra il recitaredi esserequalcuno e l’esserequalcuno.
Shakespeare ha teatralizzato i valori della libertà e della responsabilità, ha introdotto l’idea che la volontà umana può essere libera senza essere inquinata dal peccato, perché l’individuo possiede il libero arbitrio senza il quale nessun uomo avrebbe la possibilità di scegliere il proprio destino. Amleto, a differenza di Edipo e di Oreste, non agisce sotto l’imposizione del Fato, ma è il principale artefice di se stesso, non si lascia imprigionare dalle circostanze nemmeno quando le scelte gli vengono imposte dall’alto. La sua è la storia di un giovane che prende coscienza di una malattia spirituale ancora presente in qualsiasi società, perché il “marcio” di Elsinore colpisce non solo la sensibilità del protagonista, ma la nostra attuale sensibilità. In questa sua tragedia Shakespeare ci mostra un eroe che il mondo crocifigge alla croce del tempo, condannandolo a vivere in una società dove essere, rispetto al non essere, richiede uno sforzo tremendo.
Nello stesso tempo l’autore propone una nuova ricchezza di pensieri e di emozioni, un nuovo modo di rappresentare il dolore, chiamando Amleto a decidere tra stoicismo e attivismo, tra la scelta di morire e l’impegno di vivere, tra l’attrazione per l’ignoto e il pensiero che la morte non costituisce la fine di un’esistenza travagliata, ma l’inizio di un nuovo tormento. Nel suo celebre monologo è assente ogni segno di follia, perché esso contiene una profonda saggezza rappresentata da parole che sono la discesa nel più profondo mistero dell’umanità, la più drammatica riflessione sulla vita.
Per leggere la tragedia
William Shakespeare, Amleto, traduzione di Eugenio Montale, Vallecchi, Firenze, 1949, Mondadori, 1977
William Shakespeare, Amleto, traduzione di Cesare Garboli, Einaudi, 2009
Bibliografia essenziale
Giorgio Melchiori, Shakespeare, Laterza, 1994
Isabella Imperiali (a cura di), Shakespeare al cinema, Bulzoni, 2000
Harold Bloom, Shakespeare. L’invenzione dell’uomo, Rizzoli, 2001
Andrew C. Bradley, La tragedia di Shakespeare. Storia, personaggi, analisi, Zizzoli, 2002
Aldo Carotenuto, L’ombra del dubbio. Amleto nostro contemporaneo, Bompiani, 2005
Nadia Fusini, Di vita si muore. Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare, Mondadori, 2010
Film consigliati
Amleto, regia e interpretazione di Laurence Olivier, GB, 1948
Amleto, regia e interpretazione di Carmelo Bene, Italia, 1973
Hamlet, regia e interpretazione di Kenneth Branagh, GB-USA, 1996
Amleto, regia e interpretazione di Laurence Olivier, GB, 1948
LA TRAMA
Nel XVI secolo, nel castello di Elsinore in Danimarca, due sentinelle avvertono Orazio che, nelle ultime notti, è apparso loro a mezzanotte un fantasma. Orazio vede a sua volta lo spettro e rimane colpito dalla somiglianza con il defunto Re Amleto, per cui decide di avvertire il principe Amleto. Intanto è salito al trono Claudio, fratello del re e zio di Amleto, che si è immediatamente sposato con Gertrude, la regina rimasta vedova. Un matrimonio che Amleto non ha accettato, per cui è triste e indignato per la scelta della madre. Dopo avere appreso della comparsa dello spettro, Amleto raggiunge Orazio sugli spalti del castello e il fantasma fa intendere di voler parlare solo con Amleto e gli annuncia la terribile verità: a parlare è lo spirito di Re Amleto, tornato sulla Terra per chiedere al figlio di vendicarlo. La sua morte non è stata casuale: Claudio, approfittando del sonno del re, ha versato nel suo orecchio un veleno mortale, facendo credere a tutti che la morte del re sia stata provocata dal morso di un serpente. In questo modo Claudio si è impossessato del trono e della moglie del defunto sovrano, con la quale già intratteneva una relazione adultera. Lo spettro chiede ora ad Amleto di punire l’assassino. Finito il colloquio con il fantasma, il giovane ordina di mantenere il segreto sulle apparizioni. Preoccupato per la tristezza del nipote, il nuovo sovrano cerca di scoprirne le cause, servendosi di Ofelia, la figlia di Polonio che sta accuratamente evitando Amleto perché diffida dalle sue dichiarazioni d’amore. Mentre il re, la regina e Polonio sono nascosti in un angolo, Ofelia incontra Amleto che, nel frattempo, tra sé e sé sta recitando il monologo “Essere o non essere”. Turbato dalla scoperta dell’assassinio del padre, Amleto le nega il suo amore e le consiglia di entrare in convento. Amleto è particolarmente entusiasta per l’arrivo di una compagnia di attori: il giovane decide di modificare la sceneggiatura del loro spettacolo, aggiungendo delle parti per mettere in scena l’assassinio del padre per osservare le reazioni del Re Claudio e poterlo così smascherare davanti a tutti. Purtroppo il piano di Amleto con la rappresentazione teatrale dell’omicidio del padre va a buon fine: Claudio esce indignato dalla sala e la regina Gertrude decide di avere un colloquio con il figlio per comprendere le ragioni della sua condotta, ma è duramente rimproverata dal figlio. Polonio, che si è nascosto nella camera della regina per riferire tutto al re, è scambiato per Claudio e viene ucciso da Amleto. Sempre più convinto che Amleto sia un pericolo per la corona, il re decide di spedirlo in Gran Bretagna con l’ordine che egli sia ucciso non appena arrivato in terra inglese. Intanto Laerte, fratello di Ofelia, avuta la notizia della morte del padre Polonio, ritorna in Danimarca per vendicarsi. Il re gli propone di sfidare a duello Amleto (che intanto è sfuggito alla morte ed è ritornato a Elsinore), intingendo nel veleno la punta della sua spada e avvelenando la coppa del vincitore in caso Amleto ottenga comunque la vittoria. Ofelia, resa folle dal dolore causatogli dal rifiuto di Amleto e dalla morte del padre, si uccide gettandosi in un fiume. Il duello sarà all’ultimo sangue: Amleto vince il primo assalto e la regina, brindando alla sua salute, beve dalla coppa avvelenata. Intanto i duellanti, nella confusione che segue, si scambiano più volte i fioretti e vengono entrambi colpiti dalla punta imbevuta nel veleno. Morta la regina, Laerte decide di rivelare tutta la verità ad Amleto che, preso dall’ira, si getta sul re e lo trafigge con la spada incriminata, costringendolo poi a bere dalla coppa che ha ucciso la madre. Prossimi alla morte, i duellanti si riconciliano e Orazio è incaricato da Amleto di raccontare la sua vicenda.
–Articolo di Alberto Pellegrino-Fonte-Lettere dalla Facoltà – Bollettino dalla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche
Napoli e il cinema di Elvira Notari-Edizione italiana a cura di Maria Nadotti.
Quodlibet Editore-Macerata-Roma
Il libro di Giuliana Bruno-Una grande città, Napoli – con le sue strade, le sue vedute, il suo universo iconografico, la sua vocazione filmica – guardata a distanza di anni attraverso gli occhi di due donne. Elvira Coda Notari (1875-1946), la prima e più prolifica cineasta italiana, tra il 1906 e il 1930 realizza più di sessanta lungometraggi, un centinaio di corti di «attualità» e numerosi brevi documentari commissionati da emigrati napoletani trasferiti in America, finché la censura fascista e la transizione al sonoro costringono la sua casa di produzione, la Dora Film, a cessare le attività. Giuliana Bruno, napoletana, si trasferisce a New York negli anni Ottanta e lì inizia a ricostruire un momento particolare della storia della sua città di origine; quello in cui, insieme al cinema, nasceva la modernità, con i suoi innovativi linguaggi di movimento, i nuovi mezzi di trasporto, le gallerie o passages e le altre trasformazioni tecnologiche e urbanistiche che rivoluzionarono le modalità della percezione tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. A partire da frammenti filmici, fotogrammi, copioni e scritti emersi da una lunga ricerca d’archivio condotta in Italia e negli Stati Uniti tra quanto è rimasto a documentare la pionieristica opera di Elvira Notari e della Dora Film, Rovine con vista fa propria la visione del mondo di una regista dimenticata, che con la sua cinepresa ha cercato di catturare la città e le sue forme di vita «dal vero». Ne deriva una ricognizione trasversale che coinvolge il cinema e la fotografia, la letteratura e la storia dell’arte, la cultura popolare, i palcoscenici, le riviste, l’architettura e la storia della medicina.
«Un bellissimo libro… Rovine con vista può essere letto come racconto di un viaggio. Ci si mette in movimento e si seguono due piste: una, rigorosa e preziosissima, è la accurata ricostruzione analitica del cinema di Elvira Notari. L’altra, appena dissimulata da un filtro critico “alto” ma non impervio, è la tensione personale della donna che ha scritto il libro. Parlando da regista, è come se adesso esistesse un testo che potrebbe persino invitarmi alla trasposizione cinematografica, cioè a un impossibile remake, di un film che di fatto nessuno può più vedere. Oltre che per il suo impegno critico, è di questa tensione creativa e vitale che sono grato a Giuliana».— Mario Martone
Indice
Premessa all’edizione italiana
Ringraziamenti
Introduzione. Coordinate di una ricerca
Parte prima. Elvira Coda Notari e il cinema napoletano: panorama storico
1. Problemi di storia e di cinema nella cultura italiana
2. Riviste di cinema e storiografia filmica
Parte seconda. Cinema su sfondo urbano: topoanalisi della spettatorialità
3. Passeggiando attorno alla caverna di Platone, ovvero l’inconscio ha trovato casa
4. Incorporamenti spettatoriali: anatomie del visibile e corpo-paesaggio femminile
Parte terza. La fabbrica della cultura cinematografica
5. Dora Film: una casa di produzione cittadina
6. Donne al lavoro: la manifattura filmica
7. La Dora Film d’America: donne ed emigranti nel sogno americano
8. Censura: tagliare le ali al desiderio
Parte quarta. Il tessuto metropolitano
9. Frammenti di un discorso analitico: lacune
10. L’architettura del melodramma pubblico: la corporeità della strada
11. Tra festa e legge: la carnevalizzazione del racconto
12. Vedute urbane: città-paesaggio cinematografica, prospettiva artistica e viaggio turistico
Parte quinta. Geografie femminili
13. Anatomia di un’analisi. Il noir d’autore
14. Cinema popolare e letteratura delle donne: il transito del discorso femminile
15. Figure della medicina: isteria e lezione d’anatomia
16. Topografie di oscuri piaceri femminili
17. Scritto sul corpo: erotismo, morte e agiografia
Postfazione. La mappa in rovina, riconnessa
Filmografia
Elenco delle illustrazioni
Indice dei nomi
L’autore Giuliana Bruno
Giuliana Bruno, nata a Napoli, vive a New York. È titolare della cattedra di Visual and Environmental Studies alla Harvard University ed è nota a livello internazionale per la sua ricerca che esplora le intersezioni tra arti visive, architettura e media. Con Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema (Bruno Mondadori, 2006; Johan & Levi, 2015) ha introdotto la categoria interpretativa della «geografia emozionale» e ha vinto il Premio Kraszna-Krausz per il miglior libro sulle immagini in movimento. Tra i suoi volumi si ricordano Pubbliche intimità. Architettura e arti visive (Bruno Mondadori, 2009) e Superfici. A proposito di estetica, materialità e media (Johan & Levi, 2016). Il suo ultimo libro è Atmospheres of Projection. Environmentality in Art and Screen Media (University of Chicago Press, 2022). Nel 2020 è stata insignita di un dottorato honoris causa dall’Institute for Doctoral Studies in the Visual Arts.
Quodlibet srl via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi 23 62100 Macerata tel. +39 0733 26 49 65 / fax 0733 26 73 58
Sede di Roma: via di Monte Fiore, 34 00153 Roma tel. +39 06 5803683 / 06 5809672
Roma Capitale-Gabriele Lavia va in scena al Teatro Argentina con Re Lear di William Shakespeare-
Roma Capitale al Teatro Argentina va in scena Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri del teatro italiano, torna al Teatro Argentina con uno dei ruoli più rappresentativi della drammaturgia shakespeariana: Re Lear di William Shakespeare. In scena con lui un cast imponente, per indagare la fragilità del potere, la follia e la devastazione delle passioni umane.
Gabriele Lavia al Teatro Argentina con Re Lear di William Shakespeare
Re Lear dal 26 novembre – 22 dicembre 2024
di William Shakespeare
traduzione di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari
regia Gabriele Lavia e con Gabriele Lavia
e con Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Federica Di Martino, Silvia Siravo, Giuseppe Benvegna, Ian Gualdani, Giovanni Arezzo, Jacopo Venturiero, Beatrice Ceccherini, Eleonora Bernazza, Gianluca Scaccia, Jacopo Carta, Lorenzo Volpe
Lo spettacolo
Re Lear è una storia di “perdite”.
Perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità.
Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente. La tempesta della mente dell’umanità, la morte dell’uomo che ha abbandonato il suo Essere. Ed ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza. Gabriele Lavia
Crediti
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
luci Giuseppe Filipponio
musiche Antonio Di Pofi
suono Riccardo Benassi
assistenti alla regia Matteo Tarasco, Enrico Torzillo
assistente alle scene Michela Mantegazza
assistente ai costumi Giulia Rovetto
suggeritore Nicolò Ayroldi
foto di scena Tommaso Le Pera
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera s.r.l, LAC – Lugano Arte e Cultura
Info e orari
prima, martedì, venerdì, mercoledì 27 novembre e giovedì 12 dicembre ore 20.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
lunedì riposo
INFO BIGLIETTERIA
Teatro Argentina – Largo di Torre Argentina
Biglietteria aperta dal lunedì al sabato dalle ore 11.00 alle ore 19.00 e la domenica tre ore prima dell’inizio dello spettacolo. In assenza di spettacolo la domenica la biglietteria resterà chiusa. (biglietteria@teatrodiroma.net – tel. 06 684000311/314)
Nella biglietteria è sempre possibile acquistare i biglietti per tutti gli spettacoli del Teatro di Roma in programmazione.
La biglietteria, come consuetudine, si dedicherà da un’ora prima dell’inizio degli spettacoli alla sola vendita dei biglietti degli spettacoli in scena. La biglietteria è dotata di terminale POS.
Biografia di Gabriele Lavia
Nasce a Milano da genitori siciliani, ma cresce a Torino, dove il padre — dipendente del Banco di Sicilia — era stato trasferito per lavoro dopo il breve lasso di tempo trascorso nel capoluogo lombardo.[1] Figura tra le più rappresentative del teatro italiano degli ultimi quarant’anni, debutta come attore teatrale nel 1963 dopo il diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica. Si rivela al grande pubblico recitando nello sceneggiato televisivoMarco Visconti (con Raf Vallone e Pamela Villoresi), per la regia di Anton Giulio Majano, nella parte di Ottorino Visconti. Ha preso altresì parte allo sceneggiato Aut Aut – Cronaca di una rapina (1976), interpretando un rapinatore protagonista di un colpo a una banca.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.