Roma-Parco Archeologico del Colosseo, apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo, sul Palatino-
Roma-Il Parco Archeologico del Colosseo apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo alle pendici meridionali del Palatino, portando quindi a compimento il primo dei dieci progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Caput Mundi nell’ambito della Missione 1 Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo. Un intervento articolato che ha coinvolto tutti gli aspetti della ricerca interdisciplinare, dalle indagini preliminari tramite prospezioni, ai rilievi fotogrammetrici 3d (ante e post operam), fino agli scavi archeologici, ai restauri conservativi delle superfici, alla valorizzazione illuminotecnica con la sponsorizzazione di iGuzzini e la predisposizione di una nuova rampa e vetrata per la migliore visione del mosaico e delle pitture che hanno dato il nome al contesto.
La Schola Praeconum si trova sulla terrazza più bassa del versante meridionale del Palatino, in una posizione che suggerisce un possibile collegamento in antico con il vicino Paedagogium. Pur appartenendo a epoche diverse (il Paedagogium è d’impianto domizianeo ma rimase a lungo in uso anche successivamente, mentre la Schola risale all’età severiana), entrambi gli edifici avevano funzioni legate ai servizi imperiali: il Paedagogium, come indica il nome, era una sorta di collegio per l’istruzione degli schiavi imperiali ed è oggi visibile lungo il percorso meridionale del Palatino, con i suoi pavimenti musivi originari restaurati. La Schola Praeconum, invece, era la sede della corporazione degli araldi, i praecones, incaricati di annunciare le pompae circensi.
Colosseo apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo sul Palatino
Costruita nel III secolo d.C. su edifici preesistenti, la Schola si inserisce nel progetto di ristrutturazione generale del versante meridionale del Palatino promosso dalla dinastiadei Severi. Il suo orientamento rispetta quello dell’asse del Circo Massimo. Dal punto di vista architettonico, la struttura era caratterizzata da una corte rettangolare circondata da un portico sorretto da pilastri (oggi non più visibili se non per lo spazio calpestabile), con un sistema tripartito di ambienti voltati. L’edificio rimase in uso fino al V secolo d.C., come testimoniato dalla sequenza degli apparati decorativi verticali e orizzontali.
Il primo intervento decorativo, risalente al 200-240 d.C., consisteva in pitture murali raffiguranti figure maschili in piedi, vestite con abiti servili e collocate all’interno di architetture ad edicole. Questi personaggi, che portano bastoni, mappe, serti o cassette, sono stati interpretati come tricliniarii. Successivamente, le pareti furono rivestite di lastre di cipollino, mentre sul pavimento venne posato un grande mosaico bianco e nero che ha dato il nome all’edificio. Questo mosaico, unico nel suo genere, raffigura otto figure maschili in corte tuniche, disposte in due gruppi di quattro, con in mano un caduceo, uno stendardo, un bastone. Si ritiene che il mosaico risalga agli inizi del IV secolo d.C., forse durante gli interventi di ristrutturazione avviati dall’imperatore Massenzio.
L’interpretazione delle figure rappresentate nel mosaico ha sollevato diversi interrogativi. Sono state viste come araldi (praecones), impiegati pubblici a servizio dello Stato (apparitores) o aurighi. Tuttavia, appare certo che l’edificio e coloro che vi ’abitavano’ svolgevano funzioni strettamente connesse con il Circo e le relative manifestazioni. Alcune ipotesi suggeriscono che la struttura potesse avere un secondo piano, utilizzato come tribuna imperiale per assistere agli spettacoli circensi.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
Descrizione del film “Una volta nella vita”, per celebrare il GIORNO DELLA MEMORIA -Ispirato a una storia vera. Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. Una professoressa, Anne Gueguen (Ariane Ascaride), propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti.
Bellissimo film da far vedere nelle scuole- Il film lo dovrebbero vedere anche tutti gli insegnanti.
“Bisogna ripartire dalla scuola”: Ariane Ascaride ci racconta Una volta nella vita.
Il suo volto particolare, al di fuori delle convenzioni cinematografiche, ha reso Ariane Ascaride una musa insolita per il suo compagno, il regista Robert Guédiguian. La metà della sua filmografia è segnata da questo rapporto sinergico, artistico oltre che sentimentale. Ma nel giorno della memoria esce in Italia un film in cui il marito non è coinvolto. Una volta nella vita è la storia vera – cosceneggiata da Ahmed Dramé, uno dei ragazzi che l’ha vissuta solo alcuni anni fa – di una classe apparentemente irrecuperabile di un liceo disagiato della banlieue parigina. Una professoressa, la stessa Aristide, non si arrende a darli per spacciati. Li convince pian piano a partecipare a un concorso sulla resistenza e la deportazione, indetto ogni anno dal governo francese. Occasione per guardare alla scuola in maniera positiva. Concorda l’attrice, che abbiamo incontrato qualche giorno fa a Parigi, in occasione dei Rendez-Vous di Unifrance.
“Soprattutto è una storia vera, non si può obiettare in alcun modo, è qualcosa che è accaduto. Una cosa così eccezionale che Ahmed ha voluto raccontarla. Non è stato solo un film, per me, ma un momento della mia vita.”
Le riprese immagino siano state effettuate in un clima particolare, con tutti quei ragazzi.
C’erano pochi attori, molti erano ragazzi che frequentano ancora la scuola. Si sono davvero sentiti coinvolti in questa storia. Dovevo trovare il modo giusto per relazionarmi con loro, in modo che avessero fiducia in me. Mi ha dato modo di capire quanto sia difficile fare l’insegnante, per cui ho grande ammirazione. Naturalmente giravamo solo un film, ma dovevo avvicinarli a me, stabilire un contatto in modo da rendere tutto credibile.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
Una classe piena di colori, religioni, esperienze diverse, come spesso accade nelle periferie.
Sono stati straordinari. Oltretutto abbiamo girato durante il ramadan, per cui in molti passavano la giornata senza mangiare né bere. La prima settimana mi guardavano come fossi veramente una professoressa, non sapevano bene quando si girava o no. Dopo una decina di giorni, fra un ciak e l’altro, non ero un’amica, ma neanche più la professoressa; piuttosto qualcuno con cui parlare e scoprire cose che non conoscevano.
Cosa comporta per un’attrice con tanti anni di esperienza lavorare con ragazzi non professionisti?
È formidabile, ti obbliga a un grande coinvolgimento, ponendoti molti interrogativi sul tuo lavoro. Sono così veri, sono alta tensione, e non puoi che essere reale anche tu. La mattina arrivavo e li guardavo, li seguivo, poi mi comportavo come una ballerina di tango: ad azione segue reazione. Due passi avanti, uno indietro. È andata così. Abbiamo girato durante l’estate nella vera scuola, il Liceo Léon Blum a Créteil, nella banlieue parigina. I ragazzi hanno presto preso le abitudini che avevano durante l’anno scolastico, mettendosi a fare confusione e a chiacchierare durante le pause. La sola cosa che dicevo era: “se sento ancora qualcuno urlare gli metto le mani alla gola”. Ecco, questo le professoresse non possono dirlo, ma io sì.
Ha incontrato la professoressa che interpreta?
Non prima delle riprese, soltanto dopo, e siamo diventate molto amiche.
Come mai non l’ha incontrata prima?
Perché non volevo riprodurla, volevo costruire il personaggio intorno a quello che avevo letto e alla sceneggiatura. Se avessi cercato solamente di riprodurla non sarei mai riuscita a farlo, non è questo il mio lavoro; devo creare il personaggio, non riprodurlo.
Spesso sulle prime pagine si parla della scuola solo come fonte di problemi. Lei è ottimista?
Non era un vostro grande intellettuale, Gramsci, che parlava di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà? La penso così. Se guardiamo bene il mondo viene da chiedersi come se la caveranno questi ragazzi, ma allo stesso tempo non voglio cedere a pensieri del genere. Sono pieni d’energia e di risorse, il mondo di domani è loro. Faranno delle proposte che noi neanche immaginiamo; ho una fiducia assoluta in loro, bisogna solo ascoltarli.
Lei è madre, questo l’ha portata a una maggiore identificazione con questi mesi bui, specie per i giovani?
Penso di sì. Mia figlia è stata particolarmente sconvolta dopo il 13 novembre: ha perso dei cari amici. Non voleva più uscire di casa, per lei il mondo in cui è cresciuta è finito quella notte, non vuole più avere figli. Penso che mai come oggi il ruolo di madre sia di importanza cruciale.
Non pensa che nelle grandi manifestazioni, dopo Charlie Hebdo e gli attentati di novembre, siano mancate le banlieue?
È proprio questo il problema. Nelle periferie ci sono moltissimi giovani che lavorano, superano gli esami, che vogliono integrarsi, e si integrano, all’interno della società francese. Allo stesso tempo c’è una frangia di persone in sofferenza, senza armi se non la violenza, verbale o del tipo peggiore. Sono fascisti, assassini, folli. Uccidono dei giovani con cui magari sono andati a farsi un bicchiere sei mesi prima. Giovani esattamente come loro. L’errore dello stato francese è non aver compreso come mai siano diventati così, dell’abbandono di queste persone. Non sono che il risultato delle azioni dei nostri governi, i quali, quando non c’è stato più lavoro, li ha assistiti, con il sussidio di disoccupazione, cancellando la loro identità, rendendoli una massa informe.
In fondo nel film quello che fa il suo personaggio è proprio far emergere la specificità di ogni ragazzo, riconoscerlo, senza considerare tutti come un’unica classe problematica.
È esattamente riconoscere il termine giusto, quello che non facciamo. Lo sa che i ragazzi delle banlieue hanno paura di andare sugli Champs-Élysées, non per paura degli attentati, ma anche da prima?
Pensano non sia il loro mondo. Parlo di giovani nati qui, in Francia. È falso, ma gli abbiamo così tanto fatto sentire che non è il loro mondo, che i più fragili o perduti hanno ascoltato sirene mostruose finendo per uccidere altri giovani. Per questo la scuola è fondamentale: se la scuola va male, anche la società andrà male. Se sapesse da quanto tempo dico questa cosa; fino a che non si farà uno sforzo particolare nelle scuole, aiutando i professori, non cambierà niente. Fino a che ci saranno i licei ghetto e le scuole private, senza che i ragazzi si mescolino realmente, non accadrà niente di diverso. È complicato, soprattutto considerato che noi siamo andati a cercare il loro petrolio, tracciando dei confini senza sentire il loro parere. Abbiamo fatto di tutto e preso di tutto, e ora puntiamo il dito dicendo che sono cattivi.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
La storia e l’integrazione sono aspetti importanti della sua carriera.
Da figlia di immigrati italiani posso solo dire che è molto difficile essere un’immigrata. Una frase di mio padre la conservo sempre nella mia testa: è incredibilmente duro, perché sei insultato anche vivendo in una città mista come Marsiglia. Sei meno che niente, un ladro, di qualsiasi immigrazione tu faccia parte. È terribile. Tutto questo avendo la stessa religione, immaginate i musulmani. Provo una grande ammirazione per i giovani che riescono ad uscire da tutto questo, ci vuole un coraggio inimmaginabile. Io ho imparato l’italiano, ma non da mio padre, che non ha mai voluto parlarci in quella lingua. Voleva che fossimo francese. Gli scappavano delle parole in italiano solo quando si arrabbiava.
Un’artista e una donna appassionata, Ariane Ascaride. Colpita come tutti i francesi dagli attentati di novembre, ha scritto per “Le Monde” delle parole che suonano ancora più attuali oggi, giorno della memoria, mentre le prime targhe di marmo sui fatti di Charlie Hebdo sono entrate a far parte del tessuto urbano di Parigi, e il ricordo si confonde con l’attualità. Di seguito alcune delle sue parole.
“Obblighiamo i politici a riconsiderare il loro lavoro, le loro responsabilità storiche. I nostri figli non ci hanno chiesto di venire al mondo, tutti dobbiamo loro un rispetto totale e un mondo luminoso. Facciamo ascoltare la nostra voce in modo che conoscano ancora la spensieratezza della giovinezza. Obblighiamo quelli che nelle sfere privilegiate del potere tavolta se ne dimenticano, a considerare le vere ragioni che portano un giovane a uccidere una ragazza o un ragazzo, che magari ascoltano la sua stessa musica.
Parliamo alto e forte, parliamo a quelli che pensano al mondo nella stessa maniera. Cambiamo, impariamo uno dall’altro, salviamo i nostri figli”.
Il film GIORNO DELLA MEMORIA – Una volta nella vita
Un’immagine, una fotografia, alcune parole ci aprono a ricordi che pensavamo di aver dimenticato… Antonio Vivaldi –Qui è una lapide appesa ad una chiesa (si chiama della Pietà ed è ben visibile dalla Riva degli Schiavoni a due passi da Piazza San Marco) a ricordarmi chi in questo luogo passò gran parte della sua vita a suonare il violino e a dirigere i concerti che lui stesso componeva. Di lui oggi si sa quasi tutto anche se un oblio prolungato durato 200 anni ne aveva fatto scomparire la memoria. Forse avrete già intuito a chi alludo: lui è Antonio Vivaldi, uno dei più grandi compositori del suo tempo… (Venezia 1678-Vienna 1741).
Antonio VIVALDI
Ma non starò certo a raccontarvi la sua storia che, pur interessante, immagino già conoscerete, anche se certe parti della sua vita, forse, sono rimaste ancora nell’ombra. Quello che cercherò di fare sarà un breve viaggio nella Venezia della sua decadenza, alla ricerca del suo stile, tra quello spazio che va dalla fine del 1600 ai primi decenni del 1700, tempo in cui Vivaldi visse e dove seppe esprimere tutto il suo genio.
Sembrerà curioso sapere che, nonostante la città non fosse più la stessa dei secoli precedenti (in quanto a ricchezza e potenza bellica) e faccia fatica a fronteggiare le calamità verificatesi più volte (la più gravosa fu l’epidemia di peste che il secolo prima aveva decimato la sua popolazione) si aprono nuovi teatri, dove la gente si precipita: per divertirsi, o per dimenticare. Emergono figure di scrittori divenuti poi in seguito famosi: Carlo Goldoni, i fratelli Gozzi, Giacinto Gallina…
Ma quanto accade in città non è ancora, per Vivaldi, motivo di interesse. Iniziò qui la sua storia quando, uscito dal seminario, ha già 25 anni, ma soprattutto è un sacerdote. Sembra però che la vita ecclesiastica non sia stata quella adatta a lui. Il pretesto, o la causa, che lo allontana dai suoi obblighi sacerdotali è una malattia di cui soffriva fin da ragazzino e diagnosticata allora come « strettezza de petto » (un’asma bronchiale). Per il giovane Antonio la dispensa dal dire messa fu una vera fortuna che gli consentì di dedicarsi esclusivamente alla musica, unica ragione della sua vita. Ma al periodo passato in seminario Vivaldi sarà sempre grato: gli consentì di studiare e approfondire la conoscenza della musica, imparando a suonare il violino e a perfezionare una tecnica virtuosistica, da molti definita insuperabile.Ma, in cuor suo, Vivaldi si sente attratto dalla composizione. Scrive musica, anzitutto quella strumentale, che sottopone al padre (suona il violino nella Cappella Marciana, l’unica istituzione musicale della città), ma non trova estimatori. Il suo sogno di dirigere un giorno la Cappella Marciana si infrange quasi subito. Gli unici che si accorgono di lui sono i membri del direttivo dell’Oratorio della Pietà, luogo di carità istituito già nel lontano 1300. Lì verrà accolto nell’organico degli insegnanti come « maestro de violin » e compensato con 40 ducati annui, aumentati poi a 100 per l’incarico aggiuntivo di maestro concertatore.
Antonio VIVALDI
Questa assunzione presso l’oratorio sarà la sua fortuna. Tra l’impenetrabile silenzio delle sue mura, lavorerà per decenni portando avanti la sua non dichiarata “rivoluzione musicale”, dando vita a tutto il suo estro creativo, mettendo la sua musica su un piano che allora, ma anche oggi, sorprese tutti per le evidenti novità che introdusse. Dagli studi fatti al seminario Vivaldi si era accorto di come tutto ciò che aveva appreso appartenesse ad un’epoca ormai spenta. Le dinamiche espressive dei concerti che ascoltava risentivano della lentezza con cui venivano eseguiti. Certi strumenti, come il clavicembalo, non potevano esprimere più nessuna nuova potenza sonora, ragione che lo spinse, progressivamente, ad escluderlo dagli strumenti della sua orchestra a favore degli archi e dei fiati di cui intravvedeva nuovi e più importanti sviluppi. Nelle sue partiture emergono nuovi simboli dove si riconoscono ben tredici graduazioni che stabiliscono le intensità dei “piani” e dei “forti”. Nel solo tempo “allegro”, 18 sono le variazioni sonore a riprova che tutto era stato da lui vagliato e migliorato.
Dentro all’Oratorio spetta a lui scegliere tra le allieve le più meritevoli (non sorprenda questo fatto ma l’istituto raccoglieva solo ragazze, abbandonate in tenera età). Per disciplina interna sono tenute al rispetto e all’obbedienza e lui non chiede di più: l’impostazione musicale ottenuta porterà nel giro di qualche anno le sue allieve al massimo grado di perfezione, superando, per capacità, l’orchestra ed il coro della stessa Cappella Marciana. A Vivaldi molti guarderanno con rinnovato interesse. Dall’estero gli giungeranno richieste per poter partecipare alle sue lezioni, domande che non sempre furono concesse.
Antonio VIVALDI-Venezia-Calle della Pietà-Lapide Vivaldi-Foto-Giovanni Dall’Orto
Dal libro di Walter Kolneder Vivaldi (edit. Rusconi), a proposito della sua musica, leggo : «… le prime opere di questo genere dovettero apparire al pubblico come rivelazioni di una nuova umanità, l’ampiezza degli sviluppi dovette produrre un effetto tale da mozzare il respiro».
Che cosa aveva di così travolgente la musica di Vivaldi su chi l’ascoltava? Anzitutto quella gran massa di suoni eseguiti a ritmi elevati per quei tempi (ma ci sorprendono anche oggi!), poi le variazioni tonali, l’uso degli archi così sorprendente, frutto di una tecnica eccelsa in possesso delle sue allieve, e le novità messe in atto dallo stesso Vivaldi che aggiungeva difficoltà crescenti allo svolgimento dei suoi concerti. Sorpresero tutti le “martellate”, così definite allora, quelle specie di frustate buttate addosso alle corde degli archi, con gesti eseguiti soprattutto dalle violiniste, che le impegnarono anche fisicamente, in una fatica nuova ma esaltante. Tutto, alla fine, produceva un effetto estraniante, che stordiva piacevolmente chi ascoltava.
Antonio VIVALDI
Nel corso degli anni successivi, Vivaldi comincerà a comporre anche per le corti europee più importanti. La sua musica aveva raggiunto le vette più alte guadagnata in anni di silenzioso lavoro. Il re di Francia Luigi XV per il compleanno del figlio Delfino chiese a Vivaldi una cantata. “La Senna festeggiante”, così si chiama, fu composta ed eseguita nel 1726, tra la compiaciuta contentezza dei convenuti.
Ma ad impreziosire i suoi rapporti di quegli anni va ricordata l’amicizia e stima di J. S. Bach il quale intuì, e fu forse l’unico, l’enorme portata del rinnovamento messo in campo dal “prete rosso”; lo apprezzò così tanto che trascrisse alcune sue sonate portandole alla sola voce del clavicembalo (Bach era innamorato di questo strumento scrivendo per lui decine e decine di pezzi). Si sa della loro corrispondenza e di come Bach studiasse gli spartiti di Vivaldi. Tracce dell’influenza vivaldiana si possono trovare nei Concerti Brandeburghesi.
Di Vivaldi esiste un unico disegno fatto da Pier Leone Ghezzi nel 1723 quando giunse a Roma. Aveva allora 45 anni. Dal profilo si nota la grande massa dei suoi capelli (erano rossi e arricciati), gli cadono sulle spalle. L’ampia fronte fa scendere lo sguardo sul naso aquilino, poi sulle labbra, forse sottili. Più volte ho cercato di immaginarlo Vivaldi. Alto circa un metro e settanta, dentro al suo lungo abito nero, col breviario stretto sotto al braccio, la mente che inseguiva le sue musiche, il suo passo veloce per tornare all’Oratorio e metterle nel foglio pentagrammato. Di lui Charles De Brosse disse che era più veloce a scrivere un concerto di quanto non facesse un copista a ricopiarlo…
Tralascio ciò che fece Vivaldi nei decenni successivi dove si dedicò quasi esclusivamente alla musica profana, scrivendo più di 90 fra opere e cantate. Potrà sorprendere questo cambio di indirizzo, ma Vivaldi aveva capito che le nuove tendenze che circolavano in città volevano altro. La musica sacra, che gli aveva dato la notorietà, non era più richiesta come prima. In questa sua nuova veste Vivaldi si dedicherà anima e corpo in un lavoro che sembrava non aver mai fine. La grande produzione del “prete rosso” ammonta a più di 750 composizioni, ma ciò non deve sorprendere perché ogni compositore dell’epoca aveva come requisito necessario, quello di saper scrivere musica con continuità. Allora, nelle chiese e nelle sale da concerto, non era previsto che una stessa musica fosse suonata due volte.
Vivaldi avverte che il suo tempo sta per scadere. A Venezia altri sono i compositori le cui musiche trovano maggiori consensi. Si fanno largo Benedetto Marcello, Tommaso Albinoni e per Vivaldi gli spazi si vanno restringendo. Molti non approvano che un prete, come continuava ad essere lui, dovesse vestire anche i panni dell’impresario e uomo d’affari. (Per gli accordi presi con il Teatro di S. Angelo e per garantire i contratti con le maestranze con cui era venuto a collaborare, Vivaldi si prese cura di tutta la gestione). Ma erano troppe le voci contrarie per poter respingere i pregiudizi più velenosi.
Vivaldi lasciò per sempre Venezia accogliendo l’invito di Carlo VI d’Asburgo che lo volle alla sua corte a Vienna. Era il 1728. Nella capitale asburgica rimase fino al 1741, anno della sua morte, un anno dopo la morte del sovrano Carlo VI che lasciò il nostro Vivaldi in condizioni economiche precarie. Fu sepolto nel cimitero dell’ospedale in una fossa comune. Le note del suo funerale , trascritte nel registro parrocchiale così dicono: «Si è constatata la morte del molto reverendo Sig. Antonio Vivaldi prete secolare età 60 anni, avvenuta per infiammazione interna, nella casa Satler presso la porta di Carinzia.» Si concluse così la vita di uno dei più grandi musicisti del 700.
Ed il suo stile? Vi chiederete. Già… Sta tutto nei fogli pentagrammati, negli ascolti ripetuti che ce lo rivelano puntualmente. Se confrontati con altre composizioni dell’epoca, si potrà intuire quasi subito nei duetti fra l’assolo del violino e l’orchestra, fra soprano e contralto, fra flauto dolce e orchestra.
Per quanti volessero farsi un’idea più precisa della musica di Vivaldi potrei suggerire l’ascolto di alcuni brani che, a mio avviso, sono tra i più significativi della sua arte.
Tra le Quattro Stagioni scelgo L’Estate (LINK). Poi passo ai Concerti di Dresda, allo Stabat Mater (Philippe Jaroussky LINK), al Concerto Grosso in fa minore, il Concerto per flauto dolce e orchestra RV 443, la Cantata Juditha Triumphans. Aggiungo, e lo consiglio vivamente, il bellissimo documentario girato dalla BBC che ha per titolo Gloria at Pietà. All’ascolto del celeberrimo brano, si aggiungono le immagini, e la ricostruzione fedele delle atmosfere dei concerti vivaldiani all’interno della chiesa della Pietà.
Massimo Rosini
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.
Pierluigi Panza- La Scala- Architettura e città- Marsilio Arte-
Il libro La Scala di Pierluigi Panza ci restituisce il fascino e la complessità di un teatro che è uno dei centri culturali più importanti del mondo.
«La maggior parte degli amanti dell’opera rimane sorpresa quando vede il Teatro alla Scala per la prima volta. A prima vista si rimane colpiti dalla sua bellezza formale, dall’equilibrio tra una pretesa di opulenza (i drappeggi, le colonne, la cornice del palcoscenico, il palco centrale, il lampadario) e una certa sobrietà (gli stucchi, l’illuminazione, le parti dorate che non sembrano mai eccessive). Dopo pochi secondi, è impossibile non pensare agli artisti, ai compositori, ai coreografi, ai direttori d’orchestra, ai cantanti e ai ballerini che, sera dopo sera, hanno forgiato la leggenda del Teatro alla Scala». Dominique Meyer, Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro alla Scala.
Nel volume La Scala. Architettura e città, Pierluigi Panza racconta la storia architettonica del Teatro alla Scala, dalla nascita con Giuseppe Piermarini agli scenari attuali con Mario Botta a quelli futuri. Il teatro è sempre stato specchio delle trasformazioni della città, della società, del gusto e le ha, a sua volta, determinate. La pubblicazione, edita da Marsilio Arte, ripercorre la storia dell’edificio dai tempi di Maria Teresa d’Austria a quelli di Napoleone, poi del Regno d’Italia e della Repubblica. Rispetto per la storia e spirito di innovazione sono stati gli elementi dello sviluppo del teatro attraverso trasformazioni strutturali, tecniche ed estetiche che lo hanno mantenuto fedele alla propria identità, pur modernizzandosi e modellandosi ai riti e ai costumi dei tempi.
Nella prefazione, Dominique Meyer sottolinea il perfetto equilibrio tra sobrietà e opulenza, nonché l’efficienza tecnica di un luogo che ha contribuito a rendere Milano un raffinato e prestigioso polo artistico-culturale nel panorama europeo. Meyer instaura un parallelismo tra la società milanese, «più preoccupata del fare che dell’apparire», e la struttura architettonica dell’edificio.
Il volume, introdotto da Mario Botta, si articola in 11 capitoli, che ripercorrono più di tre secoli di storia: costruito nel 1776, il Teatro nasce a seguito di due distruzioni e due rifiuti. La prima distruzione fu accidentale – l’incendio del teatro che sorgeva all’interno di Palazzo Ducale (poi chiamato Palazzo Reale), la seconda fu voluta – la decisione di abbattere la chiesa di Santa Maria alla Scala. I rifiuti furono quelli di Luigi Vanvitelli e Christoph Willibald Gluck, i quali permisero l’arrivo alla corte di Milano, rispettivamente, di Giuseppe Piermarini (1734-1808) e Antonio Salieri (1750-1825).
Il racconto di Panza prende in esame le tappe fondamentali e le vicissitudini del Teatro, passando per l’epoca risorgimentale e romantica, il Novecento sino alla contemporaneità. Particolare attenzione è dedicata all’ultimo ventennio, caratterizzato da continue opere di ammodernamento, restauri e ampliamenti. Durante l’intervento di realizzazione del 2002 e 2004 Mario Botta ha realizzato i due nuovi volumi dell’ellisse e della torre scenica, mentre l’interno è stato oggetto di un restauro conservativo e del rifacimento del palcoscenico. Ora si sta concludendo la seconda fase dei lavori, con gli ammodernamenti che richiede la società globale e con l’apertura della nuova torre su via Verdi, all’interno della quale la Sala prove dell’orchestra è uno scrigno alto quattordici metri, posto a meno diciotto dal livello stradale.
Il volume è arricchito da un cospicuo corredo fotografico e didascalico, indispensabile per comprendere l’evoluzione di un edificio: schizzi, disegni, bozze di progetti, fotografie degli esterni e degli interni, rendering sono alcuni degli strumenti adoperati per rendere la pubblicazione un vero e proprio omaggio a quello che Stendhal definiva «il più bel teatro del mondo».
Pierluigi Panza, autore del volume pubblicato da Marsilio Arte e intitolato “La Scala. Architettura e città”, ripercorre insieme a noi la vicenda della celeberrima istituzione milanese-
Pur avendo alle spalle una storia secolare e alterne fortune, il Teatro alla Scala resta un emblema di Milano. A narrare il suo legame con la città e la sua veste architettonica è Pierluigi Panza, autore del libro targato Marsilio Arte. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
Il Teatro alla Scala è da sempre un simbolo e una destinazione della vita culturale di Milano. Come descriverebbe, in poche righe, la storia delle sue trasformazioni?
Le trasformazioni del Teatro alla Scala seguono quelle politico-sociali e, a loro volta, si plasmano e determinano lo sviluppo urbano della città. Milano si riflette nella Scala e la Scala in Milano. L’episodio più evidente di questa relazione è la nascita, a metà Ottocento, di piazza della Scala per dare un adeguato spazio antistante al teatro e per far sì che i due poli del centro laico della città ‒ costituiti dal palazzo del Comune e dal teatro ‒ si affacciassero uno di fronte all’altro. Anche la scelta di ricostruire la Scala come primo edificio pubblico distrutto dai bombardamenti nel 1943 testimonia questo legame.
Il volume pubblicato da Marsilio Arte offre una “rivisitazione storico-morfologica della Scala”, come l’ha definita Mario Botta nell’introduzione. Che cosa l’ha ispirata a compiere questa impresa editoriale e come ha costruito la narrazione che la caratterizza?
Riassumo nella mia figura almeno due caratteristiche necessarie per realizzare questo volume: dal punto di vista accademico sono uno storico dell’architettura e per il Corriere della Sera seguo da trent’anni anche le attività del Teatro alla Scala. Dunque, quando si è avanzata l’opportunità di scrivere una storia della Scala a conclusione dei lavori condotti da Mario Botta, del quale sono anche amico, ero persona indicata e ho svolto il compito. Ho cercato, secondo le mie convinzioni, di scrivere una storia dell’architettura come correlazione e conseguenza della storia culturale e sociale, come credo che l’architettura sia sempre interpretabile e debba essere affrontata. In questo caso ho tenuto particolarmente conto che il testo fosse narrativo e non tecnico: l’architettura va raccontata come fatto culturale non in maniera autoreferenziale.
Quale ruolo gioca il Teatro alla Scala, dal punto di vista architettonico e non solo, nel panorama milanese odierno?
Dopo gli interventi che si sono susseguiti dal 2002, la Scala costituisce una risposta alle necessità di trasformazione richieste dalla società e dallo sviluppo tecnologico orientata al rispetto per la storia della città europea. Il teatro nasce su un’area religiosa sviluppata in età medioevale, conferisce il nuovo volto neoclassico della Milano teresiana, reca le tracce dei cambiamenti politici ottocenteschi che portano alla nascita dello Stato unitario quindi i travagli del “Secolo breve” fino alla postmodernità. Al contrario di altre aree del mondo nelle quali il globalismo finanziario opera, più facilmente, per demolizioni e sostituzioni, qui si tiene tutto. La città europea è un territorio della memoria e anche il teatro ha cercato di essere – non sempre riuscendoci nella sua storia – un palinsesto di stratificazioni successive. Noi parliamo spesso del teatro del Piermarini, ma dopo Giuseppe Piermarini sono stati molti gli architetti che hanno dato forma al teatro e voglio ricordarne, almeno, altri tre: Alessandro Sanquirico, Luigi Lorenzo Secchi e, appunto, Mario Botta.
Come immagina il futuro del Teatro alla Scala?
Il futuro è già partito. La sovrintendenza di Dominique Meyer ha colto le sollecitazioni che, di nuovo, venivano dalla società globale come quella della ecosostenibilità, della inclusività, della trasformazione digitale e della trasmissione in streaming. Nel Terzo millennio l’architettura non si confronta più solo con lo spazio fisico, ma anche con le componenti immateriali. Sarà questa la prospettiva che dovranno seguire anche i nuovi laboratori della Scala che si dovranno costruire nell’ex zona industriale di Rubattino. Questo sarà l’intervento del prossimo futuro che riguarderà il teatro.
Intervista a cura di Arianna Testino
Nota Biografica Pierluigi Panza, scrittore, giornalista e critico d’arte e d’architettura, scrive per il Corriere della Sera e insegna al Politecnico di Milano. Ha all’attivo molte pubblicazioni di storia dell’arte, è membro delle principali accademie italiane e vincitore di numerosi riconoscimenti.
Relazione di Daines Barrington alla Royal Society, 28 novembre 1769
Ricevuta il 28 novembre 1769
VIII. Relazione circa un notevolissimo giovane musicista. In una lettera dell’onorevole Daines Barrington F.R.S. a Mathew Maty, M.D. Segr. R.S.
Letta il 15 febbraio 1770
Signore,
Se vi inviassi una ben circostanziata relazione circa un ragazzo alto sette piedi all’età di neppure otto anni, essa potrebbe essere considerata non immeritevole dell’attenzione della Royal Society. Il caso, che ora desidero voi riferiate a codesta dotta istituzione, di una precoce manifestazione dei più straordinari talenti musicali, sembra forse richiamare allo stesso modo la sua attenzione.
Johannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart nacque a Salisburgo, in Baviera, il 17 gennaio 1756. Un musicista e compositore assai competente mi ha informato di averlo visto spesso a Vienna, quando aveva poco più di quattro anni.
A quell’epoca non soltanto era in grado di eseguire brani sul suo strumento preferito, il clavicembalo, ma ne componeva pure alcuni, semplici per stile e gusto, ma particolarmente apprezzati.
[…]
Gli portai un duetto manoscritto, composto da un gentiluomo inglese su alcune celebri parole tratte dall’opera Demofoonte di Metastasio.
L’intera partitura era in cinque parti, ossia l’accompagnamento di un primo e un secondo violino, le due parti vocali e un basso.
Devo inoltre menzionare che le parti della prima e della seconda voce erano scritte in quella che gli Italiani chiamano chiave di contralto; la ragione per prendere nota di questo particolare apparirà tra breve.
Portando con me questa composizione manoscritta, avevo intenzione di ottenere una prova inoppugnabile della sua abilità come esecutore a prima vista, essendo assolutamente impossibile che potesse aver mai visto quella musica in precedenza.
Non appena la partitura fu collocata sul suo leggio, cominciò a suonare la sinfonia nella maniera più magistrale, tanto nel tempo quanto nello stile, nel pieno rispetto delle intenzioni del compositore.
Faccio menzione di questa circostanza, perché i più grandi maestri spesso trascurano questi particolari alla prima prova.
La sinfonia terminò ed egli prese la parte superiore, lasciando a suo padre quella inferiore.
La sua voce, nel tono, era esile e infantile, ma nulla potrebbe superare la maniera magistrale in cui egli cantò.
Suo padre, che nel duetto eseguì la parte inferiore, sbagliò una o due volte, sebbene i passaggi non fossero più difficili di quelli nella parte superiore; in tali occasioni il figlio si voltò a guardarlo con una certa irritazione, mostrandogli gli errori e correggendolo.
[…]
La sua capacità di improvvisazione, della quale sono stato testimone, dimostra che il suo genio e la sua inventiva devono essere stati strabilianti. Però temo di diventare eccessivo nel tessere le sue lodi, per cui permettetemi di firmarmi, signore,
il vostro più fedele
umile servitore,
Daines Barrington-
Questo è l’estratto di una lunga, curiosa, e interessantissima relazione del 28 novembre 1769. Se volete leggerla integralmente (ne vale la pena!) ecco il link del cofanetto nel formato cartaceo:
Arturo TOSCANINI -Concerto del 14 gennaio 1920 al Teatro AUGUSTEO di ROMA-
Arturo Toscanini Direttore d’orchestra (Parma 1867 – New York 1957). Iniziò la sua carriera come violoncellista, ma si affermò presto come direttore sino a raggiungere un’enorme celebrità. L’interpretazione direttoriale di T., sia in campo teatrale sia in campo concertistico, era caratterizzata da una lucida lettura del testo musicale, associata alla concezione dell’orchestra intesa come uno strumento che deve sempre vibrare in tutte le sue parti. Il suo repertorio era assai vasto, rivelando peraltro una particolare predilezione per i musicisti del sec. 19º, da Beethoven a Brahms, da Verdi a Wagner.
Vita e opere
Studiò nei conservatori di Parma e di Milano, e iniziò la sua carriera come violoncellista nell’orchestra Teatro Regio di Parma e di altre, in Italia e nell’America Meridionale. Diresse per la prima volta a Rio de Janeiro nel 1886, e si affermò successivamente nei maggiori teatri d’Europa e d’America, sino a raggiungere una celebrità e una considerazione superiori a quelle di qualsiasi altro direttore. Chiamato alla Scala di Milano (1898), vi diresse fino al 1928, anno in cui fu nominato “principal conductor” dell’Orchestra Filarmonica di New York. Direttore al Metropolitan di New York (1908-15), rientrò in Italia nel 1915; nel 1931, essendosi rifiutato di eseguire gli inni ufficiali prima di un concerto a Bologna, fu schiaffeggiato da un gruppo di fascisti. Emigrò allora negli USA, dove fu a capo (1937-54) dell’Orchestra della National Broadcasting Company, costituita appositamente per lui. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, tornò saltuariamente in Italia, e inaugurò la Scala ricostruita dopo i bombardamenti che l’avevano gravemente danneggiata (1946). T. diresse, inoltre, la prima esecuzione assoluta di numerose opere, tra le quali: La Bohème, La fanciulla del West, Turandot di G. Puccini; Nerone di A. Boito
Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920
Arturo Toscanini nasce a Parma il 25 marzo 1867, da Claudio e Paola Montani Toscanini. Il padre, sarto, ha combattuto per l’Unità d’Italia. Per il suo patriottismo ha scontato anche tre anni di carcere, ha perso tutti i denti e fatica a condurre una vita stabile.
Arturo, che da piccolo è molto gracile forse a causa della celiachia, si diploma in Musica al Regio Conservatorio di Parma nel 1885, con i massimi voti in Composizione e Violoncello.
Dopo il diploma, si unisce a una compagnia operistica itinerante come violoncellista. Mentre si trova in tournée in Brasile, viene chiamato a sostituire il direttore d’orchestra durante una rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi. Toscanini, che ha imparato a memoria lo spartito, regala al pubblico una brillante esecuzione. Dato il suo trionfo, è assunto per il resto della stagione, affermandosi dunque per i propri talenti ed abilità d’esecuzione a soli 19 anni.
Debutta in Italia nel novembre 1886, a Torino. Nel proprio Paese d’origine firma molte direzioni d’orchestra, tra cui ad esempio le prime mondiali dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (1892) e della Bohème di Giacomo Puccini (1896), come pure la prima italiana del Crepuscolo degli dei di Richard Wagner (1895).
Nel 1896, Toscanini conduce per la prima volta a La Scala di Milano un concerto comprendente tra l’altro una sinfonia di Franz Joseph Haydn e lo Schiaccianoci di Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Il suo successo cresce quando viene scelto come direttore d’orchestra principale de La Scala nel 1898.
Nel 1897 sposa Carla De Martini. La coppia ha due figli maschi, Walter e Giorgio (che morirà di difterite nel 1906), e due figlie, Wally e Wanda. Wanda sposerà il pianista Vladimir Horowitz, collaboratore del padre.
Nel 1908, Toscanini lascia La Scala per andare a dirigere la New York Metropolitan Opera. Qui conduce un’altra prima mondiale di Puccini, La fanciulla del West, nel 1910. Tornerà in Italia durante la prima guerra mondiale, e suonerà gratuitamente per beneficienza per i soldati al fronte fino alla fine della guerra. Dopo il conflitto, Toscanini porta l’orchestra de La Scala in tournée in Europa, in Canada e negli Stati Uniti. A partire dal 1921 si allontanerà volontariamente dalla direzione de La Scala, che gli costa troppa energia, e soprattutto dall’Italia, dove il fascismo guadagna sempre maggiori consensi. Continua a dirigere in America, apparendo come direttore d’orchestra della New York Philharmonic Orchestra nel 1926. Lavorerà con questa orchestra fino al 1936.
Toscanini si oppone fieramente all’avanzata del fascismo in Europa. In Italia, nel 1931, viene schiaffeggiato per avere rifiutato di eseguire l’inno fascista Giovinezza. È il primo non tedesco a dirigere un’orchestra al festival dedicato a Wagner a Bayreuth, in Germania, ma nel 1933 sceglie di non recarsi a questo evento per protesta contro il regime nazista. Questa vicenda è una delle tante manifestazioni del successo del Maestro Toscanini. Infatti il capillare controllo che il nazismo esercitava su tutte le opinioni, e il fatto che il regime avesse ritenuto Toscanini “incapace di resistere alla propaganda antigermanica”, non avevano impedito che alcuni giornali esprimessero rammarico per la sua mancata partecipazione al festival, e il divieto di trasmettere la sua musica alla radio tedesca fu per qualche tempo sospeso, per convincerlo a cambiare idea.
Nel 1936, Toscanini va in Palestina per dirigere un gruppo di musicisti ebrei che, in collaborazione con il musicista polacco Bronislaw Huberman, ha aiutato a fuggire dall’Europa.
David Sarnoff, il direttore della NBC, fonda la NBC Symphony Orchestra specificamente per Toscanini nel 1937. Toscanini sarà direttore di questa orchestra per 17 anni, ma troverà il tempo di suonare con altre orchestre, da una riva all’altra dell’Atlantico.
Nel 1947 partecipa con entusiasmo alla rinascita de La Scala dopo le distruzioni belliche. È tuttavia già molto anziano.
Sua moglie Carla muore nel 1951. Toscanini dirigerà il suo ultimo concerto dal vivo alla Carnegie Hall il 4 aprile 1954, con l’orchestra sinfonica della NBC. Negli ultimi anni riesaminerà le proprie registrazioni ancora inedite. Il 16 gennaio 1957, all’età di 89 anni, anche Arturo si spegne a casa sua nel quartiere Riverdale di New York.
Giardini che onorano Arturo Toscanini
Benevento – Liceo scientifico Rummo
Cittadella
Fiumicino – IC Colombo
Frattamaggiore – Liceo Miranda
Roma – Auditorium Parco della Musica
Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920
St. Andrew’s Church di Roma-MALIA Concerto Spettacolo
Roma – St. Andrew’s Church -MALIA – Il Salotto Musicale dell’800. Concerto Spettacolo. Le più belle arie da salotto di Francesco Paolo Tosti e Canzoni Napoletane d’autore.Una serata all’insegna della leggerezza e della raffinatezza, per un originale spettacolo di notevole qualità artistica, creato con l’intento di dare corpo alle suggestioni (di volta in volta appassionate, tristi, allegre ed esilaranti) evocate dall’ambiente e dalla situazione, ricreando, con l’esecuzione di arie da camera e romanze da salotto, valzer, canzoni napoletane d’autore e la lettura di poesie e brani letterari, quella che era la tipica atmosfera dei salotti borghesi e nobiliari dell’ottocento.
Locandina-St. Andrew’s Church -Roma-MALIA – Il Salotto Musicale dell’800- Concerto Spettacolo.
The most famous Salon Romances by Francesco Paolo Tosti end the Masterpieces of the Neapolitan Song (Copyright 2025)
A very nice show which will take you in a 1800 musical living room with musicians in original dresses
IL Salotto Musicale dell’800
Le più belle arie da salotto di Francesco Paolo Tosti e Canzoni Napoletane d’autore (Copyright 2025)
Sabato 25 gennaio 2025 ore 19.30
Sabato 29 Marzo 2025 ore 19.30
Sabato 31 Maggio 2025 ore 19.30
St.Andrew’s Church of Scotland – Chiesa Scozzese
Via XX Settembre 7, 00187 Roma
“Una serata all’insegna della leggerezza e della raffinatezza, per un originale spettacolo di notevole qualità artistica, creato con l’intento di dare corpo alle suggestioni (di volta in volta appassionate, tristi, allegre ed esilaranti) evocate dall’ambiente e dalla situazione, ricreando, con l’esecuzione di arie da camera e romanze da salotto, valzer, canzoni napoletane d’autore e la lettura di poesie e brani letterari, quella che era la tipica atmosfera dei salotti borghesi e nobiliari dell’ottocento.
Calatevi in questa deliziosa atmosfera d’epoca…
Vi aspettiamo! Siete tutti invitati!!!”
“An evening of gracefulness and elegance, for an original show of remarkable artistic quality, created with the intention of giving substance to the suggestions (from time to time passionate, sad, cheerful and hilarious) evoked by the environment and by the situation, to recreate the typical atmosphere of the bourgeois and noble salons of the nineteenth century, with the execution of chamber and salon music, arias, waltzes, Neapolitan writer’s songs and the reading of poems and literary passages.
Come into this delightful period atmosphere …
We are waiting for you! You’re all invited!!!”
(Tutti i dirittti riservati/All rights reserved)
Bruna Tredicine, soprano
Tiziana Pizzi, contralto
Massimo Simeoli, baritono
Emilia Nigro, violino
Mirco Roverelli, pianoforte
Biglietto intero/Full price ticket – euro 20
Ridotto/Reduced for under 18/over 65 – euro 15
Ridotto under 10 e invalidi civili/reduced for under 10 and disabled civilians – euro 10
Biglietto promoxdue/promotickets for two – euro 35
Biglietto promoxtre/promo for three minigroup or family (minigruppo o famiglia) – euro 50
*I biglietti possono essere acquistati direttamente al botteghino, ma è possibile anche effettuare prenotazioni e pagamenti dei biglietti scelti tramite l’indirizzo Paypal info@amrds.it, comunicandoci numero e tipologia dei biglietti ed effettuando poi direttamente l’ingresso (tramite nominativo).
*Tickets can be purchased directly at the box office, but it is also possible to make reservations and payments for the chosen tickets with the Paypal address info@amrds.it, by letting us know the number and type of tickets and then entering directly (with name).
Apertura botteghino ore 19.00/Box office opens at 7.00pm
Ingresso Pubblico dalle ore 19.00/Public entrance at 7.00pm
N.B. per motivi organizzativi vengono accettati pagamenti solo in CONTANTI; unico pagamento online disponibile, Paypal.
N.B. for organizational reasons, payments are only accepted in CASH; the only online payment available is PayPal.
Biglietti disponibili anche su: Classictic – Eventbrite – Billetto – OOOH Events
Frosinone, al Teatro Vittoria va in scena “Famiglia micidiale”
Frosinone-Prosegue la nuova stagione di prosa autunnale al Teatro Vittoria, organizzata dall’Amministrazione Mastrangeli mediante gli assessorati alla Cultura (Simona Geralico) e Centro storico (Rossella Testa) in collaborazione con Good Mood.Cinque i prossimi appuntamenti in programma, fino ad aprile 2025.
Giovedì 23 e venerdì 24 gennaio sarà di scena alle 21 “Famiglia micidiale”, con Enzo Casertano, Beatrice Fazi, Gianni Ferreri e Alessandra Merico.
Frosinone, al Teatro Vittoria va in scena “Famiglia micidiale”
La trama dello spettacolo teatrale
La famiglia Moscetti ha un grande astio nei confronti dei vicini, i Longobardi. Ogni cosa diventa un motivo di sfida tra le due famiglie, soprattutto in occasione delle festività: luminarie migliori, addobbi più appariscenti, pranzi e feste più riuscite.
Ma anche nel quotidiano si intrattengono invidie e gelosie: acquisti di macchine, vacanze più lussuose, vestiti firmati, persino la razza del cane diventa motivo di competizione.
Un giorno però a casa dei vicini avviene un fatto drammatico. I Moscetti vivono un momento di scarsa compassione per il lutto immediatamente interrotto da un nuovo motivo di invidia: i Longobardi sono improvvisamente sotto l’occhio dei riflettori nazionali. I Longobardi sono diventati famosi. I Moscetti però non vogliono essere secondi a nessuno e studiano un piano per il contrattacco. Ci riusciranno? Una commedia esilarante ricca di colpi di scena, un giallo comico che vi terrà incollati alle poltrone!
Info&Biglietti
Prevendita online su https://www.ciaotickets.com/it/comune-di-frosinone. L’abbonamento valido per tutti gli spettacoli, per la platea, è adesso in vendita al costo di 90 euro; quello per la galleria a 50.
I biglietti e gli abbonamenti possono essere acquistati anche presso la biglietteria del Teatro Comunale Vittoria a partire dalle tre ore antecedenti lo spettacolo; il pagamento potrà essere effettuato solo tramite pos.
La Notizia.net è un quotidiano di informazione libera, imparziale ed indipendente che la nostra Redazione realizza senza condizionamenti di alcun tipo perché editore della testata è l’Associazione culturale “La Nuova Italia”, che opera senza fini di lucro con l’unico obiettivo della promozione della nostra Nazione, sostenuta dall’attenzione con cui ci seguono i nostri affezionati lettori, che ringraziamo di cuore per la loro vicinanza. La Notizia.net è il giornale online con notizie di attualità, cronaca, politica, bellezza, salute, cultura e sport. Il direttore responsabile della testata giornalistica è Lucia Mosca, con direttore editoriale Franco Leggeri.
La poesia del cinema contro le imposizioni del potere
– articolo di Alberto Corsani-
Il regista Andrej Tarkovskij a trentasei anni dalla scomparsa-La spiritualità di derivazione ortodossa è ben presente nel cinema di Andrej Tarkovskij, come egli stesso attesta nei propri diari (Diari. Martirologio, ed. della Medusa, 2002 e seg.), benché compaia inaspettatamente, nei dettagli, fuori da ogni sistematicità programmatica; ma sono talmente tanti nelle sue opere i retaggi definibili come «spirituali» che la componente «religiosa» è da considerarsi affiancata ad altre, alcune delle quali certamente di tradizione russa (il senso della natura, la poesia intrecciata alla storia) e altre legate alla passione viscerale del regista per la cultura occidentale: si pensi alla pittura italiana (particolarmente in Toscana), alla musica sacra (Bach, ma anche Pergolesi e Purcell), alla magia commista alla scienza (nel capolavoro Lo specchio, 1974, la levitazione della mamma del protagonista, l’ipnosi che serve a guarirlo, da ragazzo, dalla balbuzie).
Andrej Tarkovskij
Ora che lo ricordiamo a trent’anni dalla precoce scomparsa, avvenuta all’età di 54 anni a Parigi, dove aveva lottato per mesi con la malattia, cogliamo forse meglio il fatto che non uno solo di questi elementi, ma proprio la loro continua commistione sanciscono il fascino dei suoi film, mentre la maestria che aveva nel creare l’inquadratura, dilatare i tempi, lavorare sul sonoro lo rendono amatissimo dagli addetti ai lavori.
Il grande tema che percorre i film di Tarkovskij è l’identificazione di un popolo, quello russo, con la tradizione: tutta la tradizione, quella religiosa e quella civile, come somma magmatica di contraddizioni. Vivere di una identificazione significa tuttavia anche lottare con l’eredità di cui si gode. Tarkovskij non idealizza mai il passato di cui peraltro riconosce il carattere indispensabile: Andrej Rublëv (1966) racconta la vita del celebre pittore quattrocentesco di icone, e il momento più emozionante è la lunghissima sequenza della fusione della campana, estenuante scena di massa in cui tutto il popolo e i maggiorenti assistono al «miracolo» tecnico e umano. Solaris (1972) racconta, a partire dal romanzo fantascientifico del polacco Stanislaw Lem, di un pianeta sul quale gli scienziati che vi lavorano vedono materializzarsi i propri ricordi e i propri cari; Nostalghia (1983), ambientato in Toscana, e Sacrificio (1986, anno della morte), ripropongono esplicitamente il tema del sacrificio di sé, come ricerca di una possibile espiazione dei mali del mondo, non solo in chiave cristiana.
Il cinema di Tarkovskij, benché il primo film, L’infanzia di Ivan, risalga al 1962, ha fatto irruzione lasciando le proprie tracce nel nostro ambiente culturale soltanto a partire dalla fine degli anni ‘70: Lo specchio è giunto nelle sale italiane solo nel 1979, poco dopo arrivava Stalker. Ma anche gli scritti teorici del regista, figlio del poeta Arsenij, sono stati tradotti in quegli anni (Scolpire il tempo, Ubulibri, 1988 e sgg.), e sono di una ricchezza concettuale notevolissima, appena turbata dalla vis polemica che percorre anche i Diari, soprattutto rivolta ai burocrati di stato che hanno sempre minato le sue produzioni, considerandolo un dissidente pericoloso.
Lo era, in effetti, pericoloso: non per un’attività politica esplicita e diretta, ma perché quella che chiamiamo la sua spiritualità, o anche la sua poesia, incrinavano le rigidità e le sovrastrutture grottesche dei regimi: come in un episodio de Lo specchio, quando la protagonista (correttrice di bozze in una tipografia) rievoca l’angoscia provocatale dal dubbio di essersi lasciata sfuggire un errore orrendo sull’edizione del giornale andata in stampa, un errore che avrebbe accostato il nome di Stalin a un animale «screditato». Nel racconto del film l’errore poi non sussiste, ma l’averlo adombrato ci dice, sottilmente, quanto il potere fosse in realtà un gigante dai piedi d’argilla.
Ma quali forze potevano metterlo in crisi? Beh, proprio quelle che si dicevano prima, un po’ arbitrariamente comprese in una categoria abbastanza arbitraria e approssimativa come quella della spiritualità (ben studiata da S. Salvestroni, Il cinema di Tarkovskij e la tradizione russa, Biella, Qiqajon, 2006): la creatività umana, l’appartenenza alla terra, la poesia (ricorrono spesso, ne Lo specchio, i versi del padre Arnesij Aleksandrovic), la mistica di un mestiere da imparare, la gestione gelosa dei propri sentimenti; a volte questi elementi possono entrare in conflitto («Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà» – Luca 9, 24): certo, tutti sono temuti dal potere, da qualunque forma di potere, dalle ideologie e dai loro bracci operativi. Tarkovskij reagiva a modo suo, con il linguaggio delle immagini, a ogni imposizione triviale finalizzata ad annichilire le coscienze. Ma non si pensi che solo ai regimi comunisti fosse da riferirsi la sua critica poetica: tutto ciò che rende l’uomo una macchina, inquadrabile e riconducibile a parametri esclusivamente numerici può essere messo in crisi dalle sequenze dei suoi film. La battaglia è tuttora in corso, purtroppo senza di lui.
RIGOLETTO di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave
RIGOLETTO di Giuseppe Verdi
Rigoletto è un melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma “Le Roi s’amuse” (“Il re si diverte”) dello scrittore francese Victor Hugo.Trama-In breve...Durante una festa a Palazzo, il Duca di Mantova confida a Borsa di voler corteggiare una giovane ragazza (Gilda), non sapendo però trattarsi della figlia del deforme Rigoletto (il buffone di Corte). Fa irruzione il Conte di Monterone maledicendo il Duca per aver disonorato sua figlie, e Rigoletto per essersi beffato del suo dolore di padre. Finita la festa, il Duca va a casa della giovane Gilda sotto mentite spoglie. I due si giurano amore eterno. Intanto Marullo, Borsa, il Conte di Ceprano e un gruppo di cortigiani partono per rapire Gilda (che credono essere l’amante di Rigoletto), per vendicarsi del buffone. Con l’inganno fanno partecipare al rapimento anche lo stesso ignaro Rigoletto. Il Duca vede quindi la giovane Gilda condotta a palazzo e ne approfitta per attentare alla sua virtù. Rigoletto giura vendetta verso il Duca per aver disonorato sua figlia.
Rigoletto assolda quindi Sparafucile – un sicario – per uccidere il Duca. Maddalena (sorella di Sparafucile) dovrà attirare il Duca in una locanda fuori Mantova, poi Sparafucile lo ucciderà. Maddalena però si innamora del giovane e propone al fratello di uccidere il primo straniero che bussi alla porta della locanda e ingannare così Rigoletto. Gilda – avendo ascoltato tutto e provando ancora un profondo sentimento per il Duca – si sacrifica, bussando alla porta della locanda. Rigoletto, preso il sacco in cui Sparafucile ha messo il corpo, si reca al fiume per gettarlo; solo allora si rende conto che il corpo non è del Duca bensì della sua amata figlia.
RIGOLETTO di Giuseppe Verdi
ATTO I
Nella sala del Palazzo Ducale di Mantova è in corso una festa. Cavalieri, Dame e Paggi si accompagnano a musica e scrosci di risa.
Il Duca di Mantova svela al fido Borsa il suo intento: insidiare una giovane ragazza che da tre giorni vede uscire dal Tempio e che ha già seguito fino a casa. Il Duca però ancora non sa che trattasi di Gilda, la figlia di Rigoletto (il deforme buffone di Corte).
Borsa cerca di dissuaderlo, facendogli notare tutte le belle dame presenti alla festa. Il Duca torna quindi a corteggiare la Contessa di Ceprano, donna su cui ha già puntato gli occhi.
Il Duca e la Contessa si allontanano insieme, provocando le ire del Conte che li segue. Rigoletto – assistendo alla scena – sbeffeggia il Conte.
Marullo intanto, racconta ad un gruppo di astanti, la nuova notizia: ha visto il gobbo e deforme Rigoletto insieme ad una donna, probabilmente sua amante.
Il Duca parla con Rigoletto dei problemi che sta avendo ad avvicinare la Contessa di Ceprano senza che il Conte li infastidisca. Rigoletto propone allora al Duca di esiliarlo o decapitarlo. Il Duca rimprovera il buffone di prendere troppo alla leggera le parole e di estremizzare lo scherzo. I due non sanno però che il Conte di Ceprano ha ascoltato questa loro conversazione.
Irrompe nella sala l’anziano Conte di Monterone; vuole vendicare l’onore di sua figlia, sedotta anch’ella dal Duca di Mantova.
Rigoletto segue la scena deridendo l’anziano uomo. Il Conte allora rivolge una maledizione verso il Duca di Mantova e verso Rigoletto, rimproverandolo di deridere il dolore di un padre. Due alabardieri portano via il Conte di Monterone, mentre Rigoletto rimane profondamente turbato da quelle parole.
Mentre ritorna a casa ripensando alla serata, Rigoletto viene avvicinato da Sparafucile. Il sicario gli offre i suoi servigi, offrendogli l’uccisione dei suoi nemici in cambio di denaro. Gli racconta di come utilizzi sua sorella Maddalena per attirare gli uomi in cerca di avventure, e poi li uccida. Rigoletto però lo allontana e torna a casa.
Entrato in casa viene accolto dalla figlia Gilda. Rigoletto ha paura che possa succederle qualcosa (il suo ruolo di buffone di Corte lo espone a farsi molti nemici). La giovane lo rassicura dicendogli che da quando si è trasferita lì (tre giorni prima) è uscita di casa solo per andare al Tempio. Gilda non conosce ancora il nome del padre, nè tantomeno è a conoscenza del suo ruolo a Corte.
Rigoletto raccomanda a Giovanna – la custode della giovane ragazza – di vegliare su di lei e proteggerla.
Rigoletto esce a controllare se qualcuno l’abbia seguito; furtivamente il Duca di Mantova entra in casa inosservato e scopre che Gilda è in realtà la figlia di Rigoletto.
Porge una borsa a Giovanna per farla tacere comprandone il silenzio. Raggiunge Gilda la quale, vedendolo, riconosce in lui il bel giovane che ha attirato la sua attenzione al Tempio. I due si giurano subito amore. Quando la ragazza chiede quale sia il suo nome, il Duca risponde di essere un povero studente di nome Gualtier Maldè.
Udendo dei rumori all’esterno, il Duca si allontana, credendo che Rigoletto stia rientrando in casa.
Intanto Marullo, Borsa, il Conte di Ceprano e altri cortigiani armati si stanno recando verso casa di Rigoletto per rapire quella che loro credono l’amante del buffone di Corte e così vendicarsi di lui. Lungo il tragitto incrociano proprio Rigoletto; al buio fitto egli non riconosce il gruppo di persone, solo Marullo si fa avanti. Gli dice che sono diretti a casa della Conte di Ceprano, per rapire la Contessa e portarla al Duca. Rigoletto – rassicurato – decide di unirsi a loro. Il gruppo di cospiratori lo obbliga a indossare una maschera e una benda che lo rendono incapace di vedere e udire.
Giunti sotto casa, piazzano una scala per salire sul terrazzo ed entrare nella casa; Rigoletto rimane fuori a tenere la scala per gli assalitori.
Il gruppo entra e rapisce la giovane Gilda, lasciando cadere in strada lo scialle della giovane. Dopo un po’ di tempo, non vedendo tornare gli assalitori, Rigoletto si toglie maschera e benda; riconosce allora la sua casa e vede in terra lo scialle della figlia.
Preso dalla disperazione, ripensa alla maledizione lanciata dal Conte di Monterone.
RIGOLETTO di Giuseppe Verdi
ATTO II
L’indomani mattina, il Duca di Mantova scopre che la sua amata Gilda è stata rapita: giura vendetta verso i rapitori. Poi però Marullo, il Conte di Ceprano, Borsa e gli altri entrano nel salotto del Palazzo Ducale, raccontando al Duca di aver rapito e condotto a Palazzo “l’amante” di Rigoletto.
Il Duca trasale, capendo subito trattarsi della sua amata Gilda. Si allontana dunque per incontrare la sua amata.
Rigoletto entra a Palazzo, fingendo indifferenza, cercando di scoprire dove i rapitori hanno nascosto sua figlia. Capendo che è in compagnia del Duca, si getta verso la porta della camera, ma i cortigiani si frappongono per bloccarlo.
Alla fine Gilda esce dalla camera e abbraccia il padre: gli confessa di aver perso l’onore e essersi innamorata di quello che credeva essere un povero studente.
Rigoletto giura dunque vendetta verso il Duca.
RIGOLETTO di Giuseppe Verdi
ATTO III
Una locanda diroccata, appena fuori dalla città di Mantova. Rigoletto e Gilda sono lì fuori in attesa; all’interno solo Sparafucile.
Gilda confessa al padre di amare il Duca di Mantova. Rigoletto le spiega che non è l’uomo che lei crede, che corteggia molte donne e poi le abbandona.
All’interno della locanda intanto entra il Duca di Mantova vestito da semplice Ufficiale di Cavalleria, chiedendo una stanza e del vino.
Sparafucile dà un segnale e sua sorella Maddalena entra nella locanda. Il Duca si lancia nel corteggiamento della giovane donna.
All’esterno Rigoletto e Gilda assistono alla scena. La giovane innamorata rimane scioccata dall’udire quelle stesse parole – una volta indirizzate a lei – rivolte a un’altra donna. Rigoletto le intima di partire in sella a un cavallo e andare a Verona; lui l’avrebbe raggiunta il giorno successivo.
Sparafucile esce dalla locanda per parlare con Rigoletto: riceve da lui una parte del denaro per portare a compimento l’uccisione del Duca. Rigoletto si allontana, impartendo al sicario un ultimo ordine: vuole essere lui stesso a gettare nel fiume il corpo senza vita del Duca.
Intanto la giovane Maddalena sta cedendo al fascino del Duca, tanto da provare un sentimento per lui. Sparafucile rientra nella locanda e fa accomodare il Duca in una stanza per la notte.
RIGOLETTO di Giuseppe Verdi
Gilda – non potendo sopportare di abbandonare il suo amato – torna verso la locanda, travestita da mendicante.
All’interno sente Sparafucile e Maddalena che parlano dell’imminente uccisione del Duca. Maddalena si è invaghita del giovane e vorrebbe salvarlo, proponendo al fratello di uccidere invece Rigoletto e rubargli il resto del denaro. Viste le rimostranze del fratello, Maddalena propone una soluzione alternativa: se qualcuno fosse entrato nella locanda prima di mezzanotte, l’avrebbero ucciso al posto del Duca e intascato il resto dei soldi da Rigoletto.
Sentendo queste parole, Gilda capisce che anche Maddalena è innamorata del giovane Duca. Decide allora di immolare la sua vita per risparmiare quella del suo amato: bussa alla porta della locanda e va incontro alla sua fine.
Rigoletto fa ritorno alla locanda: consegna il denaro a Sparafucile e riceve un sacco con dentro quello che pensa essere il corpo del Duca.
Parte verso il vicino fiume per gettarvi il cadavere. Arrivato alla sponda del fiume, ode però una voce in lonatananza: quella del Duca.
Rigoletto apre allora il sacco per vedere cosa contiene: vi scopre la figlia ormai moribonda. Gilda chiede al padre di perdonare questo suo gesto d’amore e di perdonare il suo amato Duca. Con queste parole la giovane si spegne.
Rigoletto urla il suo dolore contro la maledizione del Conte di Monterone e si accascia sul corpo senza vita della figlia.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.