Inside Van Gogh: la grande Mostra multimediale a Teramo-
TERAMO-Dopo aver conquistato il pubblico di Roma, Milano, Firenze e altre importanti città italiane, “Inside Van Gogh” arriva a Teramo “Inside Van Gogh” è una mostra immersiva dedicata al genio di Vincent Van Gogh, che si terrà presso L’Arca – Laboratorio per le Arti Contemporanee dal 30 novembre 2024 al 30 marzo 2025.
Grazie alla straordinaria combinazione di proiezioni multimediali ad alta definizione, musica e narrazione, la mostra regala un’esperienza unica, trasportando i visitatori nel cuore pulsante delle opere e delle emozioni che hanno reso Van Gogh uno degli artisti più amati di tutti i tempi.
Un evento culturale unico a Teramo. La mostra rappresenta un’occasione imperdibile per il territorio, frutto dell’impegno del Comune di Teramo, in collaborazione con la Fondazione Bruno Ballone e la produzione di Crossmedia Group Firenze, leader nel settore delle esposizioni multimediali immersive.
Inside Van Gogh offre un viaggio straordinario attraverso i capolavori dell’artista olandese, presentati in una nuova luce, grazie alla tecnologia. La mostra offre un’esperienza unica non solo attraverso la sua esposizione multimediale, ma anche grazie alle attività didattiche interattive pensate per coinvolgere visitatori di tutte le età. I laboratori didattici permetteranno di esplorare il mondo artistico di Van Gogh attraverso la compenetrazione delle arti: dalla fotografia, alla musica, alla pittura, stimolando la creatività e l’immaginazione. I visitatori potranno sperimentare vari livelli di interazione, immergendosi nei colori vibranti, ma anche nelle suggestioni musicali che richiamano le emozioni delle opere del maestro. Queste attività arricchiranno la visita incoraggiando una partecipazione attiva.
Un evento che promette di affascinare cittadini, turisti e appassionati d’arte di ogni età e che rappresenta un punto di incontro tra arte e innovazione.
Informazioni utili:
• Date: Dal 30 novembre 2024 al 30 marzo 2025
• Luogo: L’Arca, Teramo
• Organizzazione: Comune di Teramo
• Partner: Fondazione Bruno Ballone
• Produzione: Crossmedia Group Firenze
Prezzi dei biglietti
• 10 euro – intero
• 6 euro – ridotto (ragazzi fino 25 anni e gruppi superiori alle 15 persone))
• 3,50 euro – studenti e gruppi scolastici
• Ingresso gratuito: insegnanti, diversamente abili e loro accompagnatori
I biglietti saranno disponibili presso L’Arca.
Dichiarazione del Sindaco Gianguido D’Alberto: “La mostra si allestisce in piena coerenza con il percorso che mira a favorire lo sviluppo museale cittadino, in particolare de L’Arca per la quale studiamo una nuova rinascita. Intendiamo costruire, anche con altre istituzioni, in primis l’università, un circuito per iniziative che valorizzino talenti locali ma che ci aiutino ad avvicinare anche artisti internazionali. Tutto questo ci consente di uscire progressivamente dalla logica di provincia per proiettarci in visioni più gradi. La collaborazione con i proponenti e gli operatori dell’evento, sottolinea il valore dell’appuntamento. Oggi la struttura del Polo museale e la creazione di una rapporto nuovo con la cooperativa che gestisce i servizi museali, ci consentono di potenziare l’offerta”.
L’Assessore alla Cultura, Antonio Filipponi: “Luci, animazioni, immagini musica, una mostra straordinaria, per la quale abbiamo stabilito l’ingesso a prezzi ridotti, per far si che tutti possano immergersi nell’universo di Van Gogh. Dopo Banksy, proseguono i grandi appuntamenti a Teramo. Si tratta di una mostra internazionale che in Italia ha già riscosso un enorme successo. Viene a Teramo grazie al lavoro di tutti: la Fondazione Ballone, lì’Ufficio Cultura, la società nel settore delle esposizioni multimediali immersive. Il percorso della mostra dura 40 minuti: nella prima sala l’immersione totale, nella seconda un viaggio con caschi 3D. L’appuntamento si iscrive nel cartellone del Natale Teramano”.
Sergio Di Sabatino, della Fondazione Ballone: “Dopo quella di Banksy, e dopo aver sondato il panorama, abbiamo pensato di organizzare una mostra di caratura internazionale, proponendola al sindaco e all’assessore, che l’hanno immediatamente recepita. Un bel regalo di Natale alla città. Un approccio all’arte che probabilmente farà innamorare di essa qualche giovane”
Gabriela Mistral: Le poesie più belle della poetessa cilena-
-Premio Nobel per la Letteratura nel 1945-
Breve biografia di Gabriela Mistral-Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, passata alla storia con il nome d’arte di Gabriela Mistral, nasce il 7 aprile 1889 a Vicuna, Cile del nord. La sua vita si rivela piena di complicazioni fin dall’infanzia: il padre Jeronimo Godoy Alcayaga Villanueva abbandona lei, la madre Petronila e la sorella Emelina quando Lucila ha appena 3 anni. Si trova quindi fin da subito a dover combattere una condizione di estrema povertà ma ciò nonostante, le difficoltà che deve affrontare nel quotidiano sembrano non riuscire ad affievolire la sua predisposizione per lo studio, per la letteratura e per la scrittura. I suoi testi sono avanguardisti, Lucila si schiera per l’istruzione gratis e la parità dei diritti, posizioni moderne che qualche anno più tardi le costeranno il rifiuto della sua domanda d’ammissione alla Scuola Normale per insegnanti. I suoi articoli, pubblicati da un quotidiano locale El Coquimbo de la Serena vengono infatti giudicati troppo sovversivi.
Prima donna sudamericana a vincere il Premio Nobel, nei suoi versi si fondono idealismo, anticonformismo e femminismo.
MADRE PIU’ DI UNA MADRE
Fa che io sia più madre di una madre nel mio amore e nella difesa del bambino che non è sangue del mio sangue. Aiutami affinché ognuno dei “miei” bambini diventi la poesia migliore. E nel giorno in cui non canteranno più le mie labbra, lascia dentro di lui o di lei, la più melodiosa delle melodie
Canto che amavi
Io canto ciò che tu amavi, vita mia, nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia, nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto, nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia.
Io non voglio restare più muta, vita mia. Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi?
Quale segnale, quale mi svela, vita mia?
Sono la stessa che fu già tua, vita mia. Né infiacchita né smemorata né spersa. Raggiungimi sul fare del buio, vita mia; vieni qui a ricordare un canto, vita mia; se tu questa canzone riconosci a memoria e se il mio nome infine ancora ti ricordi.
Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia, e avanza dritto fino a me, compagno.
Traduzione di Matteo Lefèvre Da Gabriela Mistral, Sillabe di fuoco, a cura di Matteo Lefèvre, con uno scritto di Octavio Paz, Bompiani 2020
Gabriela Mistral
Desolazione
La bruma spessa, eterna, affinché dimentichi dove
mi ha gettato il mare nella sua onda di salamoia.
La terra nella quale venni non ha primavera:
ha la sua notte lunga che quale madre mi nasconde.
Il vento fa alla mia casa la sua ronda di singhiozzi
e di urlo, e spezza, come un cristallo, il mio grido.
E nella pianura bianca, di orizzonte infinito,
guardo morire immensi occasi dolorosi.
Chi potrà chiamare colei che sin qui è venuta
se più lontano di lei solo andarono i morti ?
Tanto solo loro contemplano un mare tacito e rigido
crescere tra le sue braccia e le braccia amate!
Le navi le cui vele biancheggiano nel porto
vengono da terre in cui non ci sono quelli che sono miei;
i loro uomini dagli occhi chiari non conoscono i miei fiumi
e recano frutti pallidi, senza la luce dei miei orti.
E l´interrogazione che sale alla mia gola
al vederli passare, mi riscende, vinta:
parlano strane lingue e non la commossa
lingua che in terre d´oro la mia povera madre canta.
Guardo scendere la neve come la polvere nella fossa;
guardo crescere la nebbia come l´agonizzante,
e per non impazzire non conto gli istanti,
perché la notte lunga ora solo comincia.
Guardo il piano estasiato e raccolgo il suo lutto,
perché venni per vedere i paesaggi mortali.
La neve è il sembiante che svela i miei cristalli;
sempre sarà il suo biancore che scende dal cielo!
Sempre essa, silenziosa, come il grande sguardo
di Dio su di me; sempre la sua zagara sopra la mia casa;
sempre, come il destino che non diminuisce ne passa,
scenderà a coprirmi, terribile e estasiata.
Gabriela Mistral
La donna forte
Ricordo il tuo viso, fissato nei miei giorni,
donna con gonna azzurra e con fronte abbronzata;
quando nella mia infanzia, in terra mia d’ambrosia,
ti vidi aprire un solco nero in un ardente aprile.
Nella fonda taverna, l’impura coppa alzava,
chi un figlio appiccicò al tuo petto di giglio;
sotto questo ricordo, che t’era bruciatura,
cadeva dalla mano, serena, la semente.
Io ti vidi in gennaio segare il grano al figlio,
e in te, senza capire, trovai quegli occhi fissi,
ugualmente ingranditi da meraviglia e da pianto.
E ancora bacerei il fango dei tuoi piedi,
perché tra cento donne non ho visto il tuo volto,
e l’ombra tua nei solchi,
seguo ancora nel mio canto.
Dammi la mano
Dammi la mano e danzeremo
dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
con lo stesso passo ballerai.
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami Rosa ed io Speranza
però il tuo nome dimenticherai
perché saremo una danza
sulla collina e niente più.
DAMMI LA MANO
Dammi la mano e danzeremo
Dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
allo stesso passo danzerai
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami rosa e io speranza
ma il tuo nome dimenticherai
perchè saremo una danza
sulla collina e niente più.
Gabriela Mistral e Paplo Neruda
Gocce di fiele
Non cantare: resta sempre attaccato
sulla tua lingua un canto;
quello che doveva essere trasmesso.
Non baciare: resta sempre per una strana maledizione
il bacio che non viene su dal cuore.
Prega: pregare è dolce: però sappi
che la tua lingua avara non giunge
a dire il solo Padre Nostro che ti salvi.
E non chiamare come clemente la morte,
perché nel corpo di bianchezza immensa
resterà un vivo brandello che sente
la pietra che ti soffoca
ed il vorace verme che ti fora.
NINNA NANNA
Il mare le sue mille onde culla divino; odo i mari innamorati mentre cullo il mio piccino. L’errabondo vento, a notte, culla le spighe; odo i venti innamorati mentre cullo il mio piccino. Iddio Padre i mille mondi culla senza un brusio. Sento il gesto suo nell’ombra mentre cullo il bimbo mio.
L’amore che tace
Se ti odiassi, il mio odio ti darei
con le parole, rotondo e sicuro;
ma ti amo e il mio amore non si affida
a questa lingua umana, così oscura!
Tu lo vorresti mutato in un grido,
e vien così dal fondo che ha disfatto
la sua ardente fiumana, sfinito
prima ancora della gola e del petto.
Io sono come uno stagno ricolmo
ed a te sembro una sorgente inerte,
per questo mio silenzio tormentoso
più atroce che entrare nella morte!
Gabriela Mistral
Intima
Non stringere le mie mani.
Verrà il tempo infinito
di riposare con molta polvere
ed ombra tra le dita intrecciate.
E tu dirai:
‘Non posso
più amarla; le sue dita
si sgranarono come le spighe’.
La mia bocca non baciare.
Verrà l’istante pieno
di spenta luce, senza labbra
starò sotto un umido suolo.
E tu dirai: ‘L’amai, ma non posso
amarla più, ora che non aspira
l’odore di ginestre del mio bacio’.
E mi rattristerò nell’udirti;
tu parlerai come un cieco ed un pazzo,
perché la mia mano sarà sulla tua fronte
quando le dita si spezzino,
e scenderà sopra il tuo volto
pieno d’ansia, il mio respiro.
Non mi toccare dunque. Mentirei
nel dirti che ti dono
il mio amore nelle braccia mie protese,
nella mia bocca, nel mio collo,
e tu, credendo d’averlo esaurito
ti sbaglieresti come un bambino ingenuo.
Perché il mio amore non è solo questo
stanco e restio covone del mio corpo,
che trema tutto offeso dal cilicio
e in ogni volo mi resta indietro.
È ciò che sta nel bacio e non nel labbro,
ciò che spezza la voce e non il petto:
ma è un vento di Dio, che passa lacerando
nel suo volo, la polpa delle carni.
AMO LE COSE CHE NON EBBI MAI
Amo le cose che mai non ebbi,
insieme alle altre che non ho più:
tocco un’acqua silenziosa,
distesa su freddi prati,
che senza vento rabbrividiva
in un orto che era il mio orto.
La guardo come la guardavo;
mi viene uno strano pensiero
e lenta gioco con quest’acqua
come con pesce o mistero.
Paradiso
Distesa lamina d’oro
e nell’adagiarsi dorato
due corpi come gomitoli d’oro;
un corpo glorioso che
ascolta e un corpo
glorioso che parla nel
prato in cui nulla parla;
un respiro che va al respiro e
un volto che trema d’esso, in un prato in cui nulla trema.
Ricordarsi del triste tempo in
cui entrambi avevano
Tempo e da esso vivevano
afflitti,
nell’ora del chiodo d’oro
in cui il Tempo restò alla
soglia
come i cani vagabondi…
Gabriela Mistral
-Biografia di Gabriela Mistral-
Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, passata alla storia con il nome d’arte di Gabriela Mistral, nasce il 7 aprile 1889 a Vicuna, Cile del nord. La sua vita si rivela piena di complicazioni fin dall’infanzia: il padre Jeronimo Godoy Alcayaga Villanueva abbandona lei, la madre Petronila e la sorella Emelina quando Lucila ha appena 3 anni. Si trova quindi fin da subito a dover combattere una condizione di estrema povertà ma ciò nonostante, le difficoltà che deve affrontare nel quotidiano sembrano non riuscire ad affievolire la sua predisposizione per lo studio, per la letteratura e per la scrittura. I suoi testi sono avanguardisti, Lucila si schiera per l’istruzione gratis e la parità dei diritti, posizioni moderne che qualche anno più tardi le costeranno il rifiuto della sua domanda d’ammissione alla Scuola Normale per insegnanti. I suoi articoli, pubblicati da un quotidiano locale El Coquimbo de la Serena vengono infatti giudicati troppo sovversivi.
Il primo riconoscimento per l’arte poetica
Ma Lucila non si arrende e non abbandona né la vocazione di scrittrice né quella per l’insegnamento. Grazie all’aiuto della sorella Emelina, già maestra, riesce ad ottenere un posto come docente in alcuni istituti minori. È in questi anni che conosce un impiegato delle ferrovie, Romeo Ureta Carvajal, con cui dà vita a una relazione tormentata e controversa. Il suicidio dell’amato sarà al centro di un’opera, Sonetos de la Muerte, che le varrà il primo premio in una competizione letteraria nazionale svoltasi a Santiago nel dicembre del 1904. Lucila ora è Gabriela Mistral, una poetessa destinata al successo. Lo testimonia anche il suo nome d’arte del resto, un omaggio a due figure letterarie molto amate, il Vate Gabriele D’Annunzio e Frederic Mistral, poeta, quest’ultimo, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1904.
Gabriela Mistral è stata la prima donna sudamericana a ricevere un premio Nobel ed è anche una delle poche (tredici donne totali) che fino ad ora hanno avuto questo onore (contro i 101 vincitori uomini). Ma sarebbe forse potuto essere differente, del resto, il destino di una scrittrice che con il suo nome d’arte omaggia due tra i più grandi poeti della storia? Probabilmente no. Gabriela Mistral è passata alla storia senza dubbio per la sua eccelsa arte poetica ma soprattutto in quanto intellettuale idealista, appassionata, impegnata, sincera e soprattutto avanguardista.
Finalmente il Nobel
Gabriela Mistral Cerimonia premiazione Premio Nobel 10 dicembre 1945
Il 10 dicembre 1945 l’arte poetica di Gabirela Mistral le vale il Premio Nobel per la Letteratura, la sua vittoria è accompagnata da queste parole di motivazione: “La sua opera lirica che, ispirata da potenti emozioni, ha reso il suo nome un simbolo delle aspirazioni idealiste di tutto il mondo latino americano”.
Gli ultimi anni (anticonformisti)
Anche negli ultimi anni della sua vita Gabirela Mistral ha fatto scalpore e si è dimostrata come sempre anticipatrice dei tempi futuri, in particolare a dare adito a critiche e pettegolezzi in questo caso fu la sua relazione con una donna, Doris Dana, non vista di buon occhio. È il 10 gennaio 1957 quando la poetessa si spegne all’età di 67 anni a Long Island, sconfitta da un cancro al pancreas. La sua eredità più grande sopravvive nelle sue meravigliose poesie. Femministe, appassionate, intrise di amore per i suoi affetti più cari, la sua terra, le figure chiave della sua vita. Ma anche segnate dal dolore, dagli ideali disillusi e a volte anche da una certa spiritualità.
Roma Capitale-Magico Natale District nella Coffee House di Palazzo Colonna-
Arte, moda, solidarietà e letteratura il 6, 7 e 8 dicembre 2024
Roma Capitale-Magico Natale District torna anche quest’anno con la quinta edizione rinnovata di ben tre giorni tra arte, moda, artigianato, solidarietà, design, beauty e letteratura. Venerdì 6, sabato 7 e domenica 8 dicembre 2024 la settecentesca Coffee House di Palazzo Colonna, a Piazza SS. Apostoli 67, sarà nuovamente la consueta e prestigiosa sede di una kermesse natalizia molto amata dal pubblico romano e non solo. La suggestiva location, in pieno centro di Roma con affaccio su Piazza Venezia, verrà aperta straordinariamente e gratuitamente al pubblico per la speciale occasione. Due interi piani del nobile palazzo saranno dedicati allo shopping d’autore natalizio artigianale, all’arte e novità di questa edizione anche alla letteratura e poesia. Tanti espositori tra artigiani, creativi e artisti proporranno il regalo di Natale giusto, originale, ricercato e personalizzato. Nelle tre giornate sarà possibile acquistare le famose stelle di Natale dell’AIL (Associazione Italiana contro la leucemie-linfomi e mieloma), piante e cioccolato, il cui ricavato sarà destinato alla ricerca scientifica.
L’evento prevederà la presenza dell’attore Giulio Greco e della sua casa editrice Giuliano Ladolfi Editore, che nasce dall’esperienza della rivista di poesia e critica letteraria Atelier. Un lavoro trentennale contraddistinto da una profonda dedizione del valore del testo unita all’impegno delle relazioni umane. Sabato 7 dicembre alle ore 16,30 Greco presenterà dieci autori della sua casa editrice spaziando tra poesia, filosofia e narrativa. Domenica 8 dicembre alle 16,30 Giuliano Ladolfi e Giulio Greco presenteranno il poeta georgiano Dato Magradze, due volte candidato al premio Nobel.
Questa edizione sarà ricca di talenti creativi provenienti da ogni parte d’Italia e non solo. Per la moda sartoriale e l’abbigliamento artigianale diversi espositori a rappresentare il settore; dalla preziosa maglieria artigianale di Livia di Mario, alla produzione di capi e accessori in filato di alpaca di Soratte Alpaca, dagli abiti vintage di Anna Bruna Moda, alle collezioni di lingerie artigianali di Muymako Handmade lingerie. Spazio anche allo stile minimal della designer Chiara Baschieri, alla sartorialita’di Laura Giordano. Gli originali gioielli di MAVI De Nigris dallo stile essenziale affiancheranno i maxi bijoux di Federica Riccardi destinati a essere notati per la loro opulenza, senza trascurare le delicate creazioni provenienti da Arezzo de il Giardino Fiorito. Le ultime tendenze internazionali di abbigliamento per le feste sono quelle che proporrà la famosa buyer internazionale Eire Mota Fashion Expert che presenterà nel suo salottino tra affreschi e velluti la nuova linea Majon. Dalla Campania gli abiti eleganti di alta sartoria MRV, ma anche occasioni da regalo confezionate con tessuti pregiati grazie alle proposte della designer Maria Rosaria Venditto. Accessori artigianali e borse in lana sono le proposte de Lostudietto di Irene, mentre la Boutique Maison di Emanuela Romagnoli proporrà coloratissime sciarpe e borse in tessuto. Sempre per le borse artigianali un gradito ritorno quello di Giulia Riccardi con le sue baguette e borse in crochet ispirate alle grandi griffe.
Per il design molto di effetto le lampade di lights up realizzate con materiali da riciclo e i quadri e complementi di verde stabilizzato di NaturePops. Sabato 7 e domenica 8 dicembre la talentuosa make up artist Simona Augieri sarà a disposizione del pubblico per dei consigli di trucco e beauty.
Si potranno ammirare anche le lampade di design Roman The light of Roma Icona, la lampada artigianale a forma di Colosseo, un’opera unica che unisce arte e funzionalità, interamente realizzata a mano. Una vasta scelta di oggettistica natalizia e presepi artigianali costituirà come da tradizione il tema centrale dell’evento natalizio, insieme alle dolci specialità di ZAPPONINI 1905 una tradizione romana da generazioni in tema di dolci natalizi e praline. Presente anche l’azienda di apicoltura del monte Soratte con il suo miele e prodotti derivati e l’Acetaia Leonardi, azienda di aceto di eccellenza modenese.
Sabato 7 e domenica 8 dicembre proseguirà l’esposizione d’arte Sinestesia, con il format Violino di Vino, ideata dell’art manager Michele Crocitto. La mostra vanterà la presenza di numerosi artisti, tra questi: Silvia Di Pietro, Paola Pierini, Michele Straface, Daniela Ciarrocchi, María Ludovica Pennacchia, Angeli Fabrizio, Lillo Sauto, Guglielmo Zamparelli, Alessandro Pellegrini, María Pia Gigliofiorito, Claudia Delfini, Danilo D’IgndiVinoazio, Maša (Masha Guseva), Svetlana Bolshunova, Polina Samulenkova, Iurii Golikov, Anna Butakova, Nadezda Larina, Elena Zvereva, Aigul Gabdrakhmanova, Liana Darenskaya, Svetlana Hinz, Iskander Ilyazov, Marat Mucin, Mariia Semenova, Samal Baimakhanova, Katerina, Doljancevic, Stephanie Leontiev, Mirella Ventura, Ah! Sasha e special guest la pittrice e influncer Anfissa Vassè. Ad esporre le sue opere anche lo stilista, studioso e astrologo Massimo Bomba con le sue famose allegorie dedicate ai segni ed ai simboli.
Come sempre ci sarà uno sguardo alla solidarietà, anche verso i nostri fedeli amici a quattro zampe, grazie alla presenza dell’Associazione Un Tesoro di Cane Onlus che si occupa del recupero e dell’adozione dei cani abbandonati nei canili del Sud Italia. Nello stand dell’associazione si potranno acquistare dolcì natalizi di produzione artigianale aiutando così i loro progetti animalisti.
Per maggiori informazioni:
Venerdì 6 dicembre 2024 ore 11.00-19.00
Sabato 7 dicembre 2024 ore 11.00-20.00
Domenica 8 dicembre 2024 ore 10.00-20.00
Coffee House Palazzo Colonna: Piazza SS. Apostoli 67, Roma
(accanto il Museo delle Cere)
Ingresso gratuito senza prenotazione
Roma-Sarà in scena al TeatroBasilica dal 5 al 8 dicembre 2024 lo spettacolo “Gassa d’amante“, da un’idea di Sofia Guidi, composizione scenica e drammaturgia a cura di Valerio Leoni, direzione attorale a cura di Sofia Guidi.
In scena Sofia Guidi, Juliana Azevedo, Mattia Parrella, João Silva, Davide Ventura. Uno spettacolo di Labirion Officine Trasversali.
Uno spazio vuoto, cosmico. Onde di placido mare in lontananza. Due stelle, confuse dalle orbite, tracciano coordinate di presenti indeterminati. Una donna porta sulle spalle il peso del tempo che fu e che sarà.
Due pescatori, al sicuro su di un pontile, attendono un sogno. Una strada, sporca. Vociare indistinto tutt’intorno. Una madre insegna al proprio figlio a parlare, a camminare, a sopravvivere. Masse di donne e di uomini si spogliano di ogni sentire. Due pescatori, all’asciutto su di un pontile, muoiono di fame.
LA RICERCA CHE HA PORTATO ALLA REALIZZAZIONE DELLO SPETTACOLO.
Il mondo complesso in cui viviamo è articolato da leggi naturali e fisiche che ci permettono la sua lettura e decodificazione. Nel nostro panorama culturale, percepire gli eventi in un ordine temporale e dal fluire costante rappresenta la concezione più diffusa ed integrata di cosa sia la Realtà. Ma non sempre ciò che vediamo è come appare. La Realtà è infatti instabile. Si manifesta e si nasconde nello stesso momento. Di conseguenza, ogni evento si determina a seconda del luogo dal quale lo stesso viene osservato, cambiando la sua natura se ne percepiamo la manifestazione concreta, l’apparenza che assume o l’esperienza che ne deriva. Luogo, non punto di vista, espressione comunemente associata al senso di opinione o di giudizio di merito, snaturando il suo principio etimologico di appartenenza spaziale, che apre lo sguardo alla specificità del parziale nascondendolo alla complessità dell’intero. Ed ecco l’instabilità della Realtà, e la sua complessità.
Quale luogo scegliere così da rendere possibile una vista aperta sugli avvenimenti della nostra esistenza? È possibile astrarsi dall’opinione e porsi davanti al tutto? Il sistema di valori morali che caratterizza ognuno di noi determina la nostra massa, la nostra densità, ed ogni nuova scintilla di principio etico (così come ogni suo dissolvimento) cambia la topografia della struttura sociale che abitiamo, generando tensioni e relazioni differenti che, come campi gravitazionali, ci attraggono e respingono, determinando la nostra distribuzione nello spazio e nel tempo.
Il processo che accompagna questo lavoro tende alla generazione di un’astrazione, ridistribuendo la realtà
in porzioni più piccole di senso, ciascuna godibile da un determinato luogo di vista. Come in un poliedro dalle molteplici facce verranno mostrati e nascosti elementi, sezioni, colori e movimenti diversi, a seconda della rotazione e della rivoluzione in atto, superfici visibili ed oscure di corpi celesti in movimento.
E così gli eventi, o come meglio descrive la meccanica quantistica gli avvenimenti, esisteranno e potranno essere considerati reali solo entrando in relazione con qualcosa d’altro, scalando dallo specifico al generale e viceversa, in unità di scarto che porteranno la realtà ad astrarre sé stessa, verso direzioni poetiche ed evocative. Nel corso del lavoro le tre dimensioni dello spazio, integrate alla quarta dimensione del tempo, subiranno metamorfosi sceniche concrete al variare degli avvenimenti e dei luoghi di vista, in un susseguirsi di distorsioni, increspature, arresti e trasformazioni.
LA VISIONE
Una prospettiva scientifica, una rivoluzione copernicana che, con brutale onestà, apra in senso ellittico la percezione di un avvenimento: cosa davvero ci muove, in un’epoca di smarrimento e di trasformazione etica?
Cosa vuol dire, se esiste ad oggi, il concetto di verità? E cos’è quindi la bellezza, se perde il legame
con l’eterna sorella? Chi sono io, chi sei tu, e cosa rimane di ognuno di noi, se tutto ciò in cui abbiamo creduto e crediamo ci viene tolto? In una vita che è un battito di ciglia, in cui possiamo essere, nello stesso momento, impercettibili e determinanti, esploriamo affamati i confini dell’esperienza umana.
RESA SCENICA
Il dispositivo scenico prevede la compresenza di tre luoghi, i quali verranno determinati dal lavoro attorale e dalla modulazione di elementi di scenografia, attrezzeria, dei costumi e dalla gestione diegetica delle luci, che andranno di volta in volta ad illuminare porzioni di palco in maniera diversa. Per permettere la mutabilità di volumi e masse, le materie utilizzate saranno il legno, la corda e la carta, ricorrendo largamente all’utilizzo di origami. Le scene saranno così costruite in concomitanza col procedere dello spettacolo, nella concretezza di un’attività manuale, metafora della realtà pratica e fisica che ci circonda.
Nel dettaglio i luoghi d’azione saranno:
-un mondo di sotto, habitat della massa, caratterizzata dalla condizione umana più radicale ed estrema.
– un mondo di sopra, dove si collocano le costanti k, leggi fisiche in grado di abbattere i veli agli occhi degli osservatori.
– una linea di raccordo, interspazio di sogno, fluttuante luogo di collisione ed epifania.
Le funzioni che abiteranno questo reticolato spazio-temporale che si flette, si storce e si incurva sono:
– m: massa intesa come quantità di materia, o meglio di valore contenuta in un corpo, portatrice della componente individuale
– M: massa intesa come gruppo di individui, o coro, portatrice della componente collettiva
– su e giù, qua e là: cardini che tirano gli assi cartesiani e determinano dunque lo spazio scenico, portatrici della componente descrittiva
– t: distensione, rallentamento ed accelerazione del tempo, portatrice della componente sonora, melodica e ritmica
– p1 e p2: pescatori, inservienti delle dimensioni e delle tempistiche, lavoratori ed esploratori delle profondità spaziali e marine, portatrici della componente narrativa
– l1 e l2: fonti di calore che, seguendo il principio della termodinamica, si moduleranno con il fluire degli eventi, passando attraverso i diversi piani spaziali, portatrici della componente poetica
Queste funzioni verranno interpretate da due attrici e tre attori: i passaggi tra le varie componenti avverranno a vista, attraverso una mutazione dichiarata di costume e di spazio scenico, così da mettere in risalto il momento del cambio del luogo di vista.
TEMI
Concetto di fame, apporto tra realtà ed Illusione, rapporto tra verità ed opinione, concetto di valore nella società contemporanea.
ISPIRAZIONI
Albert Einstein, Teorie della Relatività (generale e ristretta)
Principio di indeterminazione di Heisemberg
Geometria non Euclidea
Carlo Rovelli, opera divulgativa
Don McCullin, opera fotografica
Dylan Thomas, poesie
Italo Calvino, Le Cosmicomiche (libro)
Christopher Nolan, Interstellar (film)
Liberato, Ultras (album)
Daniela Pes, Spira (album)
CAMPI D’INDAGINE
Scardinamento dei pattern di movimento dei performer coinvolti, la loro educazione fisica, con l’obiettivo di attraversare nuove forme e nuovi corpi in relazione prossemica.
Ricerca espressiva su articolazione boccale, mimesi, azione vocale e verbale.
Costruzione manuale in itinere delle scene ed utilizzo diegetico della luce.
Rapporto creativo/musicale con gli elementi scenici, studiati e costruiti per essere suonati dal vivo.
Scarti poetici a partire da attività quotidiane e loro deriva surreale.
Elementi di multidisciplinarietà e contaminazione con altri linguaggi della scena quali teatro di maschera, danza contemporanea e dei dervisci, clownerie, canto popolare e musica dal vivo.
Labirion Officine Trasversali è un Centro di Ricerca, Formazione e Produzione Teatrale fondato e diretto da Sofia Guidi (attrice, formatrice e regista) e Valerio Leoni (regista, drammaturgo e formatore).
Il lavoro della compagnia residente del centro, composta dai due direttori e dai performer Sara Giannelli, Sharon Tomberli e Davide Ventura, si sviluppa lungo il confine tra teatro fisico e minimalista con incursioni nelle arti di strada e cogliendo le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, soprattutto nel campo dell’arte visiva digitale. Le produzioni, i lavori di ricerca e i progetti formativi del centro sono stati ospitati da festival italiani e internazionali come Biennale Teatro, Estate Romana, ARTErie, StradArte, Opulentia Festival, In Altre Parole, IPPT International Platform for Performer Training (EU), Voilà Europe Theatre Festival (UK), NTL Festival (DK) e da istituzioni come Grotowski Institute (PL), University of Kent e University of East London (UK), Eamt (EE). Lo spettacolo “Cuspidi”, prodotto da La Biennale di Venezia con il supporto esterno dell’Università di Coventry e diretto da Valerio Leoni, ha debuttato a Giugno 2023 nell’ambito del 51° Festival Internazionale del Teatro quale vincitore del bando “Biennale College Teatro Regia Under 35 (2022/2023)”.
Lo spettacolo “RUINS|Souvenirs”, scritto e diretto da Valerio Leoni, è stato presentato in anteprima presso il Teatr Laboratorium del Grotowski Institute (PL) con il sostegno di “Movin’Up Spettacolo”, a cura di MIBACT, GAI, Regione Puglia e GA/ER”.
Informazioni, orari e prezzi
INFORMAZIONI
Il “TeatroBasilica” è diretto dall’attrice Daniela Giovanetti, il regista Alessandro Di Murro. Organizzazione del collettivo Gruppo della Creta e un team di artisti e tecnici. Supervisione artistica di Antonio Calenda. Tutte le info sul TeatroBasilica a questo link: https://www.teatrobasilica.com/chi-siamo
-Valdrada ed Affabulazione presentano: eXtra FESTIVAL-
Roma – Municipio X-Torna la seconda edizione di eXtra FESTIVAL, la rassegna che unisce danza, teatro, musica e formazione ideata dalle Associazioni Affabulazione e Valdrada, che si sviluppa in diverse aree territoriali del Municipio X tra il 30 novembre e il 30 dicembre. La manifestazione vede coinvolte istituzioni locali, associazioni, enti del Terzo Settore, e spazi teatrali e formativi del territorio di Ostia, Acilia e Dragoncello per 27 laboratori formativi, 3 spettacoli teatrali e 2 giornate evento per un totale di 135 appuntamenti tutti gratuiti. A legare gli eventi proposti un unico fil rouge: una programmazione interamente dedicata all’infanzia e all’adolescenza con laboratori e progettualità artistiche, di teatro, musica, danza, arti visive per tutte le fasce d’età dai 0 ai 18 anni.
I laboratori si terranno presso il Centro Culturale Affabulazione, Teatroinstalla, il Teatro Dafne, il Teatro Fara Nume, il Teatro Pegaso, l’Accademia Santa Rita, il Teatro Domma , Emozioninteatro, Essenza Teatro, The Act, Opera aps, Ile Flottante, Readarto e il Teatro del Lido.
Proprio il Teatro del Lido sarà protagonista di tre spettacoli per ragazzi, sempre gratuiti, a partire dall’11-12 dicembre, ore 11:30, con MARCO NON C’È (perché Laura se n’è andata) con Francesca Anna Bellucci, Giorgia Conteduca, Monika Fabrizi, Giorgia Remediani e Giulia Vanni per la regia di Giorgia Conteduca. La commedia, già sold out, propone un racconto tutto al femminile che esplora in modo leggero e divertente cosa accade nel nostro corpo, in particolare nel cervello, nei momenti cruciali della vita. La rappresentazione teatrale è arricchita da laboratori interattivi e creativi, in cui i ragazzi tra 12 e 16 anni scoprono il processo di creazione dello spettacolo.
Segue il 20 dicembre, ore 10.30, STOP BULLYING, uno spettacolo adatto a ragazzi tra gli 11 e i 18 anni e le loro famiglie, con Francesca Gaspo, Daniele Mariotti, Tommaso Paolucci, Elena Pelliccioni, Gaia Sampietro, Stefano Tomassini e allievi/e della scuola di EmozioniTeatro, per la regia di Gaia Sampietro e Stefano Tomassini. L’opera, anche questa già sold out, sottolinea l’importanza di rompere il silenzio contro le manifestazioni di bullismo e trovare una voce per il cambiamento.
Il 27 e il 29 dicembre, dalle 16, va in scena LA STORIA DI ALIGASPÙ, di e con Viviana Mancini per la regia di Cristiano Petretto. Il gabbiano Aligaspù, primo della sua specie a volare, affronta paure, scopre l’amore e impara a superare e rispettare i propri limiti. Lo spettacolo, un viaggio tra semplicità e meraviglia, è il primo di teatro di figura interamente realizzato attraverso la tecnica degli origami giapponesi e si ispira alla filosofia del Karumi (leggerezza, sobrietà, empatia) per creare un’esperienza poetica e universale.
eXtra Festival propone poi due appuntamenti speciali all’aperto per il 21 e 28 dicembre che si terranno lungo l’arco di tutta la giornata. Il primo, presso Piazza Anco Marzio di Ostia, prevede alle ore 10.00 la lettura animata con Monika Fabrizi di NATALE NEL MONDO, adatto a bambini dai 4 agli 8 anni e alle loro famiglie; a seguire lo spettacolo clown SMISURATE DIVAGAZIONI con Chien Barbù Mal Rasè. Alle ore 16 è la volta di X NEW BEAT, a cura di Federica Delair con il concerto del giovane cantautore Caffa e gli interventi di Federica Perelli, Giulio Berardi, Alessandro Marasca, Nucleo Creativo Armato.
Segue alle ore 19.00 LUCI DEL VARIETA’ con Karma B, Daniele Fabbri, Chiara Becchimanzi, Martina Catuzzi, Le Radiose, Y Generation di Germana Cifani: artisti di fama nazionale, reduci da successi live e televisivi, capitanati da Chiara Becchimanzi, MC d’eccezione e artista del territorio, in uno sfavillante varietà con musica dal vivo, danza, teatro, stand up comedy e arte drag.
Il 28 dicembre tornano le letture animate di Giorgia Conteduca con NATALE DAL MONDO a partire dalle 10.00 presso Piazza Capelvenere di Acilia, cui seguirà LA STRANA STORIA DEL PESCE PALLA, uno spettacolo di teatro di figura, di e con Gianni Silano, Marionettista Viviana Mancini, musiche e canzoni originali di Gianni Silano, con la regia Gianni Silano e Alessandro Accettella. Dopo il consueto appuntamento con la X NEW BEAT con Caffa, che tornerà in concerto, Valentina Coletta, Marco Bertes, Federica Perelli, Alessandro Marasca, Annalisa Costantino, The Act. Seguirà alle ore 19.00 B.L.U.E.tte – il musical “da camera” completamente improvvisato, con protagonisti I Bugiardini, una delle più note compagnie di improvvisazione teatrale in Italia.
Affabulazione è composta da un folto gruppo di artisti e manager culturali che si occupano professionalmente della realizzazione e della programmazione di eventi culturali, spettacoli e workshops attraversando molteplici discipline (teatro, musica, danza, cinema). Affabulazione ha dato ospitalità ad artisti di varie discipline, tra gli altri: Ascanio Celestini, Odin Theatre, Mario Pirovano, Andrea Cosentino, Francesco Randazzo, Sarina Aletta, Teatro dei Venti, Teatro Ridotto, Taiko Do, Giulia Varley, Accademia degli Artefatti, Antonio Rezza, teatro del Piccione, Tiriteri teatro, Arierritos, Michele Abbondanza, Paco Gonzales, Compagnia Rosso Levante. Affabulazione è socio fondatore dell’associazione di associazioni Teatro Del Lido, che gestisce la programmazione artistica del teatro (TIC – Teatri in comune).
Valdrada è attiva dal 2010, ed è interamente gestita da giovani artiste in maggioranza under 40. L’Associazione si occupa di: – Produzione di spettacolo dal vivo per adulti e ragazzi (“Le Intellettuali di Piazza Vittorio” – “Epic Fail – trilogia della contemp-umanità”, “Dionisiaca – opera buffonesca”; “Principesse e sfumature” “Quanto sei bella Roma”; “Sogno di un mattino d’inverno”, “Marco non c’è perché Laura se n’è andata”, “Da fuori tutto bene – il can can del cancro” format “Rigenerazioni”); – Formazione teatrale per bambini/e e ragazzi/e e per adulti; – Progettazione e realizzazione eventi culturali. Valdrada lavora anche, da sempre, alla costruzione di nuovi immaginari e modelli alternativi, per una cultura libera, accessibile, partecipata e viva, sempre con particolare attenzione alle giovani generazioni. All’interno dell’Associazione di Associazioni che si occupa della programmazione del Teatro del Lido pubblico e partecipato.
Il progetto è sostenuto dal Municipio X di Roma Capitale – Assessorato alla scuola e alle politiche giovanili e Assessorato alle Politiche sociali e pari opportunità
Dal 30 novembre al 30 dicembre 2024 presso:
Teatro del Lido di Ostia, Via delle Sirene, 22, 00121 Lido di Ostia RM
Piazza Anco Marzio, Piazza Anco Marzio, 26, 00122 Lido di Ostia RM
Piazza Capelvenere, Largo del Capelvenere, 00126 Acilia RM
e altri 15 spazi in tutto il Municipio X
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Creare la pace Una voce dal buio gridò, “I poeti devono donarci immaginazione di pace, per scacciare la violenta, consueta immaginazione del disastro. Pace, non solo l’assenza di guerra”. Ma la pace, come una poesia, non esiste prima di esserci, non si può immaginare prima che sia creata, non si può conoscere se non nelle parole di cui è fatta, grammatica di giustizia, sintassi di mutuo soccorso. Un’ impressione, la vaga intuizione di un ritmo, è tutto quello che abbiamo finché non cominciamo a pronunciarne le metafore, a scoprirle mentre parliamo. Un verso di pace potrebbe forse nascere se riformuliamo la frase della nostra esistenza, cancelliamo la sua riaffermazione di profitto e potere, mettiamo in discussione i nostri bisogni, ci prendiamo lunghe pause . . . Un ritmo di pace potrebbe forse reggersi su quel fulcro diverso; la pace, una presenza, un campo di forza più intenso della guerra, potrebbe allora palpitare, strofa dopo strofa nel mondo, ogni gesto di vita una sua parola, ogni parola un fremito di luce – facce del cristallo che si va formando.
Denise Levertov
da Collected Poems, New Directions, 2013
traduzione di Paola Splendore
Toccare il centro
“Sono un paesaggio” dice lui
“un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità”.
“Lo so”, dice lei. “Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianchi, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante”.
“Avevamo un vecchio cane, dice lui, quand’ero ragazzo”,
un buon cane, socievole. Ma aveva una ferita
sulla testa, se ti capitava
di toccarla appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso a un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo”.
“Nessuno sa dove si trova” dice lei,
“e nessuno la tocca neppure per sbaglio.
È dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa -“
“oppure mi fermo
appena in tempo”.
“Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce, mai.”
Zeroing In
“I am a landscape,” he said,
“a landscape and a person walking in that landscape.
There are daunting cliffs there,
And plains glad in their way
Of brown monotony. But especially
There are sinkholes, places
Of sudden terror, of small circumference
And malevolent depths.”
“I know,” she said. “When I set forth
To walk in myself, as it might be
On a fine afternoon, forgetting,
Sooner or later I come to where sedge
And clumps of white flowers, rue perhaps,
Mark the bogland, and I know
There are quagmires there that can pull you
Down, and sink you in bubbling mud.”
“We had an old dog,” he told her, “when I was a boy,
A good dog, friendly. But there was an injured spot
On his head, if you happened
Just to touch it he’d jump up yelping
And bite you. He bit a young child,
They had to take him to the vet’s and destroy him.”
“No one knows where it is,” she said,
“and even by accident no one touches it:
It’s inside my landscape, and only I, making my way
Preoccupied through my life, crossing my hills,
Sleeping on green moss of my own woods,
I myself without warning touch it,
And leap up at myself”
“or flinch back
Just in time.”
“Yes, we learn that
It’s not terror, it’s pain we’re talking about:
Those places in us, like your dog’s bruised head,
That are bruised forever, that time
Never assuages, never.”
*
Presagio
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L’albero svettante,
quello che l’alba tingeva d’oro
è stato abbattuto – quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando
so che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
Denise Levertov
Intimation
I am impatient with these branches, this light.
The sky, however blue, intrudes.
Because I’ve begun to see
there is something else I must do,
I can’t quite catch the rhythm
of days I moved well to in other winters.
The steeple tree
was cut down, the one that daybreak
used to gild – that fervor of birds and cherubim
subdued. Drought has dulled
many a green blade.
Because
I know a different need has begun
to cast its lines out from me into
a place unknown, I reach
for a silence almost present,
elusive among my heartbeats.
*
Due montagne
“Avvertire l’aura di una cosa che guardiamo significa dotarla della capacità di rispondere al nostro sguardo.”
Walter Benjamin
Per un mese (un attimo)
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. ‘Una facciata di roccia’ si dice
senza pensare a un’espressione o a un volto –
un’astrazione.
Ma si dice anche
‘un uomo dal volto di pietra’, oppure ‘si è chiusa
in un silenzio di pietra.’ Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L’altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che (da me non avvertita)
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l’aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Denise Levertov
Two Mountains
“To perceive the aura of an object we look at means to invest it with the ability to look at us in return.”
Walter Benjamin
For a month (a minute)
I lived in sight of two mountains.
One was a sheer bastion
of pale rock. ‘A rockface’, one says,
without thought of features, expression –
it’s an abstract term.
But one says, too,
‘a stony-faced man’, or ‘she maintained
a stony silence.’ This mountain,
had it had eyes, would have looked always
past one or through one; its mouth,
if it had one, would purse thin lips,
implacable, ceding nothing, nothing at all.
The other mountain gave forth
a quite different silence.
Even (beyond my range of hearing)
it may have been singing.
Ravines, forests, bare rock that peaked, off-center
in a sharp and elegant cone or horn, had an air
of pleasure, pleasure in being.
At this one I looked and looked
but could devise
no ruse to coax it to meet my gaze.
I had to accept its complete indifference,
my own complete insignificance,
my self
unknowable to the mountain
as a single needle of spruce or fir
on its distant slopes, to me.
Denise Levertov
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Paola Splendore
Paola Splendoreha insegnato Letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli e all’Università di Roma Tre, occupandosi in prevalenza di letterature post-coloniali e di letteratura migrante. Tra le sue aree di studio vi è anche la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa scritta da donne. Ha pubblicato saggi sull’opera di scrittori indiani, sudafricani e caraibici, oltre ad aver curato le edizioni italiane di opere di Virginia Woolf, del filosofo Raymond Williams e del premio Nobel J.M. Coetzee. Per Donzelli ha tradotto poesie di Sujata Bhatt (Il colore della solitudine, 2005), Ingrid de Kok (Mappe del corpo, 2008), Karen Press (Pietre per le mie tasche, 2012) e Moniza Alvi (Un mondo diviso, 2014); ha inoltre curato con Jane Wilkinson l’antologia di poesia sudafricana Isole galleggianti (2011) e tradotto una raccolta di poesie di Jo Shapcott (Della mutabilità, 2015). Dal 2016 a oggi ha coordinato il gruppo di traduttrici di un poemetto di Philip Schultz (Erranti senza ali) e ha curato le edizioni italiane di sillogi poetiche di Hardi Choman (La crudeltà ci colse di sorpresa, 2017), Philip Schultz (Il dio della solitudine, 2018) e Ruth Padel (Variazioni Beethoven, 2021).
La Chiesa valdese di Roma presenta la Mostra di arti grafiche e visive
“ARTE PER I DIRITTI UMANI”
Roma (NEV), 3 dicembre 2024 – La Chiesa valdese di Roma piazza Cavour presenta la Mostra di arti grafiche e visive “ARTE PER I DIRITTI UMANI”. In memoria di coloro i cui diritti umani siano stati lesi”. L’iniziativa gode del patrocinio di Amnesty International e IDHAE (Istituto per i Diritti dell’Uomo. Avvocati Europei). Il vernissage si terrà domenica 8 dicembre a partire dalle 16. Per l’occasione è stata anche organizzata una conferenza di Emanuela Claudia del Re, rappresentante speciale europea per il Sahel (ISPI).
Chiesa valdese di Roma- Mostra “ARTE PER I DIRITTI UMANI”
Si legge nel comunicato stampa di lancio dell’iniziativa:“Sono migliaia le donne e gli uomini rinchiusi in carceri malsane, che regolarmente vengono torturati, stuprati, privati di cure mediche, privati della visita dei congiunti e della possibilità di avere un avvocato difensore. Sono tantissime le persone di ogni ceto sociale prese e detenute senza motivo, o comunque
illegalmente, per governare con il terrore in nome del danaro e del potere. E se è giusto, come è giusto, che le grandi stragi e le sofferenze del passato siano ricordate, e qui vogliamo in particolare riferirci alla persecuzione degli Ebrei nell’ultima guerra, allora sarà altrettanto giusto far uscire dall’ombra i nomi, i volti e le storie delle persone perseguitate oggi, a volte solo per avere espresso una opinione. Nemmeno i bambini e i giovani si salvano da questo Museo dell’Orrore.
La Chiesa Valdese di Piazza Cavour in Roma, da sempre attiva nel campo della difesa dei diritti umani, non potendo più rimanere indifferente alle atrocità che Governi non illuminati stanno perpetrando in moltissimi paesi del mondo, ha deciso di reagire, in modo pacifico, organizzando una Mostra dedicata ai diritti umani. Questa mostra vuole dare un sia pur minuscolo contributo per far uscire dall’ombra della morte e dal gelo del carcere le persone ingiustamente detenute, altri esseri umani in questo momento avvolti dal terrore di essere dimenticati da quel mondo per il quale si sono sacrificati. C’è un pensiero di Benenson, fondatore di Amnesty International, che ben si attaglia a questa mostra: Meglio accendere una candela che rimanere al buio”.
Appuntamento in via Marianna Dionigi, 59 (Piazza Cavour – Roma)
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli, Giuseppe. – Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Restauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaProf.Giuseppe Lugli – Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);PAN- 1935-Prof.Lugli Giuseppe Restauro del Tempio di Venere e Roma
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
Marco Mondini- Roma 1922 -Il fascismo e la guerra mai finita
Editore Il Mulino
Descrizione del libro di Marco Mondini-Roma 1922 -Il fascismo e la guerra mai finita «I fascisti erano ossessionati dal potere, e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani, anche a costo di eliminare tutti quelli che non erano d’accordo con loro. […] Le armi non sarebbero state deposte, fino al compimento di questa missione.» L’ascesa al potere del fascismo e il suo atto culminante, la cosiddetta marcia su Roma, possono essere capiti solo all’interno di un quadro più vasto, quello di un’Europa incapace di chiudere i conti con la Grande guerra. E se furono soprattutto i paesi sconfitti a scoprire che uscire dalla cultura dell’odio e della violenza quotidiana non era facile, frustrazione, scontento e desiderio di rivalsa si impossessarono anche degli italiani che pure – almeno formalmente – la guerra l’avevano vinta. Marco Mondini compone la storia corale e implacabile di un’Italia in cui la lotta politica si trasforma in guerra civile e che scivola via via verso il lungo ventennio della dittatura fascista.
Breve biografia di Marco Mondini-Storico
Marco Mondini al Giffoni Film Festival 2024
Si è laureato all’Università di Pisa in storia militare nel marzo 1998, e nel novembre dello stesso anno si è diplomato alla Scuola Normale Superiore in discipline storiche. Ha conseguito il perfezionamento (dottorato) in storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore nel 2003[1]. Tra 1999 e 2000 ha prestato servizio nell’Esercito Italiano come ufficiale di complemento, prima alla Brigata “Tridentina” e poi, come ufficiale incaricato della pubblica informazione, presso il Comando Truppe Alpine.
Dal 2003 al 2005 è stato borsista di post-doc all’Università di Padova. Nel 2006 è stato borsista della Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Dal 2006 al 2010 assegnista di ricerca in Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore. Dal 2011 al 2017 è stato ricercatore all’Istituto storico italo Germanico-FBK di Trento, dove ha diretto il gruppo di ricerca “1914-1918” (FBK – Università di Trento), e dove dal 2017 è affiliated fellow.[2] Negli stessi anni è stato anche visiting fellow all’ENS di Parigi, all’università di Lille “Charles De Gaulle”, all’università di Paris 7 “Diderot”, all’Oberlin College (USA) e allo US Army War College di Carlisle (Pennsylvania, USA) ed è stato nominato chercheur associé al CNRS e all’Università di Paris-Sorbonne[3]. Dal 2017 è diventato prima ricercatore e poi professore associato presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova, dove insegna History of conflicts e Storia contemporanea e dove, dal 2023, è Delegato alla comunicazione e alla terza missione [3]. Dal 2019 è membro del Comité directeur del Centre International de Recherche dell’Historial de la Grande Guerre di Péronne.
Durante il Centenario della Grande Guerra, ha fatto parte come consulente della Struttura di missione anniversari nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.[4] Collabora con Il Corriere della Sera, con Il Foglio e con Rai Storia, per la quale ha scritto e condotto diversi documentari e le trasmissioni “Archivi. Miniere di Storia” (2018-2019) e dal 2020 al 2024, quando il rapporto tra i due si è interrotto, insieme a Michela Ponzani, “Storie Contemporanee”.[5] Dalla sua prima stagione, è ripetutamente ospite della trasmissione Passato e Presente condotto da Paolo Mieli (Rai 3 – Rai Storia) [6]Nella stagione 2023/2024 e 2024/2025 ha collaborato con Aldo Cazzullo per alcune puntate della trasmissione Una giornata particolare(La7).[7] Nel 2023 ha partecipato al documentario “La caduta”, condotto da Ezio Mauro per La7, sul 25 luglio 1943.[8] Nel 2024 è consulente e tra le voci narranti del documentario “I survived the Holocaust” diretto da Sanela Prašović Gadžo, presentato al Sarajevo Film Festival e allo Stockolm Film Festival.[9]
Gli sono stati attribuiti diversi riconoscimenti tra cui il premio nazionale “Friuli Storia” (2017) per la biografia di Luigi CadornaIl Capo, e il premio “Acqui Storia. Storico in TV” (2022) per il documentario L’ultimo eroe. Viaggio nell’Italia del Milite Ignoto (RAI Storia[10]), scritto e condotto insieme a Nicola Maranesi e Fabrizio Marini.
Opere
Veneto in armi. Tra mito della nazione e piccola patria 1866-1918, Collana Le guerre, Gorizia, LEG, 2002, ISBN 978-88-869-2853-3.
Armi e potere. Militari e politica nel primo Dopoguerra, Quaderni della Fondazione Luigi Salvator, Roma, Aracne, 2006, ISBN978-88-548-0745-7.
La politica delle armi. Il ruolo dell’esercito italiano nell’avvento del fascismo, Collana Quadrante, Roma-Bari, Laterza, 2006, ISBN 978-88-420-7804-3.
Dalla guerra alla pace. Retoriche e pratiche della smobilitazione nell’Italia del Novecento, con Guri Schwarz, Collana Nord-Est. Nuova serie, Verona, Cierre, 2008, ISBN 978-88-831-4439-4.
Alpini. Parole e immagini di un mito guerriero, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza, 2008, ISBN 978-88-420-8652-9.
Venezia, Treviso e Padova nella grande guerra, con Lisa Bregantin e Livio Fantina, Collana 900 Veneto. La Grande Guerra, Istresco, 2008, ISBN978-88-888-8039-6.
Fiume! Scene, volti, parole di una rivoluzione immaginata 1919-1920, con Alessio Quercioli e Fabrizio Rasera, Museo Storico Italiano della Guerra, 2010, ISBN 978-88-322-6612-2.
Generazioni intellettuali. Storia sociale degli allievi della Scuola Normale Superiore di Pisa nel Novecento (1918-1946), Edizioni della Normale, Pisa, 2011, ISBN 978-88-764-2405-2.
La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-1918, Collana Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2014, ISBN 978-88-152-51633.
De Gasperi e la Prima guerra mondiale, con Maurizio Cau, FBK Press, 2015, ISBN978-88-989-8923-2.
Andare per i luoghi della grande guerra, Collana Ritrovare l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2015, ISBN 978-88-152-5794-9.
Il capo. La Grande Guerra del generale Luigi Cadorna, Biblioteca Storica, Bologna, Il Mulino, 2017, ISBN 978-88-152-7284-3. [Audiolibro letto da Ezio Bianchi, Feltre, Centro Internazionale del Libro Parlato, 2017], traduzione in tedesco: Der Feldherr. Luigi Cadorna im Grossen Krieg 1915-1918, Berlino / Boston, De Gruyter 2022 ISBN 978-3-11-069342-3
Fiume 1919. Una guerra civile italiana, Collana Aculei, Roma, Salerno Editrice, 2019, ISBN978-88-697-3364-2. – Collana Itinerari nella storia n.24, Milano, RCS MediaGroup, 2024.
Tutti giovani sui vent’anni. Una storia di alpini dal 1872 a oggi, Collezione Le Scie. Nuova serie, Milano, Mondadori, 2019, ISBN 978-88-047-1224-4.
Roma 1922. Il fascismo e la guerra mai finita, Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2022, ISBN 978-88-152-9927-7.
Il ritorno della guerra, Collana Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2024, ISBN978-88-153-8810-0.
Curatele
Armi e politica. Esercito e società nell’Europa contemporanea, con J.F. Chanet, D. Ceschin, H. Kuprian, C. Jahr, A. Argenio, numero monografico di “Memoria e Ricerca”, 2008, 28.
Narrating War. Early Modern and Contemporary Perspectives, con M. Rospocher, Duncker&Humblot – Il Mulino, Berlino-Bologna, 2013.
Manuale di archeologia dei paesaggi A cura di Franco Conti
Manuale di archeologia dei paesaggi- Metodologie, fonti e contesti –
A cura di Franco Conti-Carocci Editore-Roma
Descrizione del libro Manuale di archeologia dei paesaggi-Il libro affronta il tema della metodologia archeologica utile alla ricostruzione dei paesaggi del passato, attraverso lo studio di contesti geografici di diversa estensione. Rivolto agli studenti di archeologia, il libro intende fornire una sorta di introduzione ragionata ai modi di approccio alle forme dei paesaggi antichi, alle procedure utilizzate, alle tecnologie di indagine e di elaborazione. Il testo passa in rassegna aspetti e temi diversi della pratica archeologica: le tipologie delle fonti da utilizzare, la scelta del contesto geografico-storico, la ricognizione del terreno come procedura di acquisizione di masse critiche di dati nuovi, la elaborazione e trasformazione dei dati in informazione archeologica, la loro visualizzazione cartografica. I capitoli conclusivi sono dedicati all’interpretazione degli insediamenti, al delicato rapporto fra archeologia e geografia umana, alla illustrazione sintetica di casi di studio e di ricostruzione di paesaggi del passato.
Contatti
Carocci editore
Viale di Villa Massimo, 47
00161 Roma
Tel. 06 42 81 84 17
L’archeologia dei paesaggi è la disciplina che studia, utilizzando fonti, metodologie e procedure diverse, i paesaggi del passato e il loro stratificarsi nei diversi ambiti o comprensori geografici e a seconda del periodo storico. Fra un concetto spaziale come quello di comprensorio e un concetto prevalentemente storico come quello di territorio sono sottesi nessi innumerevoli. Questi nessi sono sufficienti a sintetizzare i contenuti storico-culturali di una ricerca e le strutture geografiche che da questi sono originate.
Cause che portano alla mutazione del paesaggio
Le formazioni della storia e le strutture geografiche in senso letterale rappresentano un binomio fecondo nelle fasi di più intensa interazione. Questa interazione genera a sua volta, senza soste, paesaggio, anzi multiformi paesaggi. In senso archeologico il paesaggio va inteso come il prodotto della storia, che dissemina comprensori e territori, a seconda dei momenti e delle formazioni politiche, istituzionali, economiche, sociali e culturali, di strutture che antropizzano i comprensori e i territori medesimi. È la storia a costruire paesaggi diversi, paesaggi con limiti cronologici frastagliati, confini geografici approssimativi e una tendenza spiccata a presentarsi in forme variabili a seconda dello spazio locale. Percorrendo la strada che attraversa il Chianti, oggi si percepisce nettamente il paesaggio della monocolturavitivinicola e dell’agriturismo assai più che il fatto di essere in questo o quel territorio comunale, in questa o quella provincia. Si tratta, in questo caso, di uno spazio regionale che ha costruito in maniera prepotente il paesaggio contemporaneo e l’immagine che intende rappresentarne all’esterno.
Le ville romane come esempio concreto
Lo stesso ragionamento può esser fatto riguardo al fenomeno della villa romana di età tardo-repubblicana. In questo caso le nostre principali fonti per l’individuazione di ville romane sul terreno sono: la letteratura antica (Cicerone, Varrone ed altri), le iscrizioni, la toponomastica, lo studio delle immagini remote (aeree e satellitari) e così via, fino ad arrivare alla ricognizione archeologica. Da tutte queste fonti emerge con altrettanta prepotenza un paesaggio della villa romana che può esser cominciato prima (II secolo a.C.) in certe zone (Lazio, Campania settentrionale ed Etruria meridionale) rispetto ad altre ed essersi sviluppato più tardivamente ancora (I secolo a.C.) altrove (Puglia, Calabria) magari anche in maniera incompleta. Questo paesaggio segna con particolare vigore le regioni dell’Italia centrale tirrenica, lo scenario nel quale i relitti di quegli assetti sono ancora oggi percettibili malgrado tante e tanto profonde alterazioni e manomissioni. Le mutazioni del paesaggio della villa sono tali e tante che, anche all’interno della stessa regione storica, possono strutturarsi paesaggi assai differenti. La costa dell’Etruria meridionale compresa fra la foce del Tevere e il golfo di Talamone, per esempio, è molto ricca di ville romane e le piccole valli aperte verso il mare hanno ospitato decine di questi lussuosi edifici. A nord di Talamone, in corrispondenza con l’inizio del territorio di Roselle e di quella che comunemente viene chiamata Etruria settentrionale, le ville romane si rarefanno. A nord di Grosseto e del lago di Bolsena le ville romane sono poche in rapporto a quelle enormi estensioni di terreno e privilegiano soltanto alcuni specifici habitat, particolarmente attraenti.
L’importanza del paesaggio
Il concetto di “paesaggio” in archeologia può quindi essere strumento utile alla definizione e alla comprensione del dispiegarsi sul terreno di una particolare situazione storica (in questo caso la vocazione fondiaria delle aristocrazie senatorie) e delle tipologie processuali dai vari fenomeni seguite. Detto che esiste un certo tipo di paesaggio, occorrerà naturalmente tenere presente che possono esserci delle varianti fra il sistema della villa, configuratosi in maniera diversa nelle regioni centrali rispetto a quelle periferiche dell’Italia antica, più lontane da Roma. Non diversamente, prima dei paesaggi delle ville, altri se ne sono avuti, ora più ora meno complessi e articolati (si pensi alle frequentazioni di epoca etrusca) e lo stesso è accaduto dopo (i villaggi, i castelli, la mezzadria) fino ad arrivare all’industrializzazione e al paesaggio dell’agriturismo ancora sotto i nostri occhi. Non si intende qui per paesaggio una determinata situazione geografica, circoscritta, descritta da un pittore o da uno scrittore (saggi in De Seta 1982), sorgente dall’ispirazione e alla funzione che un determinato paesaggio deve svolgere nell’ambito della narrazione. Il paesaggio dell’artista serve dunque a sostenere l’ambientazione di vicende umane con le quali può avere un rapporto stretto e determinante oppure di pura coincidenza. Il paesaggio dell’arte cessa di essere contenitore di storia, prodotto di processi storici e rappresentazione scenica e diviene funzionale alle vicende che si vogliono rappresentare.
Il concetto di paesaggio
Nella geografia il concetto di paesaggio evoca immediatamente il libro di Emilio Sereni, edito nel 1976. Nel titolo del libro la parola “paesaggio”, al singolare, è seguita dall’attributo “agrario”, dall’autore visto non soltanto come immagine ma come esito di una serie di situazioni storiche, ovvero come convergenza degli eventi che fanno la storia di un comprensorio plasmandone la superficie, sommando, sottraendo, costruendo, distruggendo. In questo sta la novità. Per l’archeologo i paesaggi sono, o dovrebbero essere, complesse stratificazioni da leggere studiando un comprensorio in estensione. L’archeologia dei paesaggi ambisce a studiare i paesaggi stratificati di un comprensorio. La storia produce paesaggi, operando sui quadri ambientali naturali attraverso le azioni dell’uomo. Queste, strutture e infrastrutture necessarie alla vita, all’agire economico, culturale e spirituale, in maniera diversa e con diversa complessità si sovrappongono al substrato naturale e si inseriscono in un’eredità storica che va progressivamente arricchendosi, secondo un processo paragonabile alle trasformazioni inarrestabili del patrimonio genetico di un individuo, che continuano, anche dopo la sua morte, nelle generazioni successive.
L’impatto dell’uomo sul paesaggio
L’uomo che, per definizione, ha maggiore impatto sul paesaggio è l’uomo economico, che abita, produce, consuma, costruisce, coltiva, fabbrica, traffica. Questa visione contiene molte verità ma è incompleta, in quanto condizionata dal punto di osservazione dei moderni, che dal XVI secolo vivono un mondo profondamente segnato dalla grande avventura del capitalismo e dai suoi esiti nel XX secolo, fino ad arrivare all’epoca post-industriale. In realtà, il complesso gioco dei fattori che generano i paesaggi storici non può essere circoscritto alla sola economia. La tentazione economicistica e materialistica, rischiosa per i paesaggi del nostro tempo, diviene distorcente per i paesaggi antichi. In questo senso il concetto di “paesaggio” espresso da Sereni appare parziale, almeno da un punto di vista archeologico. I paesaggi possono infatti stratificarsi anche per cause diverse e per fattori non propriamente o non direttamente economici, come avviene nei casi di alcune importanti aree sacre dell’Italia antica, situate nei boschi o nei pressi di un villaggio di scarsa entità, talvolta marginali, se osservate dal punto di vista delle grandi città o delle grandi vie di comunicazione. In questi casi la marginalità si fa centralità e queste aree erano spesso i centri, religiosi, culturali e sociali, di ampi spazi geografici. Talvolta esse finivano per essere anche i centri di un potere istituzionale ed economico, mutuato attraverso i villaggi e gli abitati. In questa prospettiva, che si discosta dalla mentalità moderna e che si avvicina a quella antica, anche una montagna isolata diventava luogo centrale e spesso punto di tangenza dei confini fra territori diversi. I fenomeni di antropizzazione, meno marcati in senso materiale, procedevano attraverso i quadri ambientali naturali con forme di preservazione. Ancora in età romana, certi paesaggi sacri, esclusi dalle centuriazioni, non coltivati né popolati, erano al tempo stesso antropizzati in senso immateriale e quindi preservati. In questo modo il tema della definizione del paesaggio archeologico può essere reimpostato su basi più concrete.
La rilevanza economica di un comprensorio indica che la struttura del comprensorio è in grado di sostenere elevati livelli produttivi in determinati settori e che le potenzialità economiche possono attrarre forza lavoro e sono sfruttate in modo soddisfacente da gruppi umani e compagini sociali attrezzate per farlo. All’opposto, le aree sacre montane rappresentano casi tipici di paesaggi sorti per impulsi almeno entro certi limiti svincolati dall’economia oppure non direttamente legati ai fattori economici. Questo invito al superamento delle visioni troppo restrittive degli spazi geografici ha lo scopo di far emergere anche gli intrecci più nascosti fra le pieghe dei paesaggi antichi. Forse non esistono leggi che regolino i processi di formazione di un paesaggio o, forse, è preferibile ammettere che non sempre eventuali leggi possono essere individuate e interpretate. Sarà, in ogni caso, apprezzabile che sin dall’inizio vengano stabilite le regole del gioco, ovvero i principi che guideranno la ricerca. La prima regola da fissare dovrà descrivere le idee e i motivi che hanno ispirato la scelta del contesto. L’ambiente entra solo marginalmente in questo ragionamento. Si tratta, infatti, di un concetto quasi paradossale nell’ambito della archeologia dei paesaggi. In quanto formazione storica operante in uno spazio dato, il paesaggio è fattore di trasformazione profonda dell’ambiente naturale.
L’antropizzazione del paesaggio
Il concetto di ambiente antropizzato appare superfluo perché l’uomo con l’ambiente si è sempre dovuto misurare e l’ambiente (antropizzato) è comunque la somma di condizioni naturali e di condizioni storiche. Oggi tutte le zone della terra, in misura diversa, possono essere considerate “paesaggi” o somme di paesaggi diversi, non esistendo più aree del pianeta che possano essere considerate “naturali”. L’azione umana, oggi come nel passato, non si è mai limitata a grattare la superficie terrestre usandone limitatamente le risorse ma, anche quando è stata circoscritta nell’intensità e nella portata, ha innescato processi di trasformazione con effetti millenari e profondi. L’archeologo dei paesaggi si trova di fronte, più che a un ambiente naturale, ad una catena di ecofatti, o di componenti dei diversi paesaggi stratificati, variamente distribuiti nel tempo e nello spazio. Gli ambienti, anche quando appaiono naturali, sono comunque prodotti di processi storici di varia durata. Negli ecofatti si riflettono tracce e potenzialità ambientali che caratterizzano un determinato spazio geografico e che sono attrattori nei confronti gruppi umani e formazioni sociali: cave di pietra da costruzione o di argilla, distretti minerari, lagune pescose, valli favorevoli alla viticoltura. Anche gli ecofatti si intrecciano inestricabilmente con il paesaggio e con le sue sorti. Il concetto di paesaggio appare dunque, una volta di più, indispensabile non tanto nell’ambito della programmazione della ricerca, trattandosi di una definizione già fortemente interpretativa e non potendo prescindere da un’avanzata fase di raccolta dei dati, quanto nella rappresentazione finale, nella sintesi ultima della storia di un particolare spazio locale. La complessità dell’intreccio ha acquisito rilevanza con il nostro tempo e con le tensioni che lo attraversano. Solo fino a mezzo secolo fa, nessuno, o pochissime persone, nella politica, nell’economia e nella cultura, riuscivano a comprendere che la natura, l’ambiente, le stesse ricchezze paesaggistiche potessero esaurirsi. Il dibattito nelle scienze geografiche nel dopoguerra appariva concentrato in gran parte sui temi delle risorse e delle fonti di energia. La consapevolezza che le risorse primarie del pianeta fossero meno rinnovabili di quanto si pensasse si è fatta strada con il tempo e si è consolidata negli anni settanta del secolo scorso. Al tempo, un’altra definizione si è affermata, quella dei beni culturali, e quindi dei paesaggi, urbani e rurali che fossero, da considerare non soltanto come prodotti di processi storici di variabile durata, ma anche come beni, appunto, ovvero risorse (apparentemente) rinnovabili, da sfruttare e da far fruttare. La risorsa “paesistica” è divenuta un’attrattiva, in senso storico-culturale e naturale, che i diversi comprensori possono offrire, fonte di ricchezza per le comunità post-industriali. A pochi decenni di distanza anche questo tipo di approccio appare logoro, come appare dai nostri centri storici soffocati dai flussi turistici e dalle nostre coste e campagne, svendute e svilite nel nome delle denominazioni di origine controllata e del profitto senza scrupoli.
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