TRAMA-E se un giorno un politico cominciasse a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? Il politico in questione si chiama Michele Spagnolo, un nome forte, di quelli che comandano, ed ha tre figli: Riccardo, medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna, attrice di fiction senza alcun talento; Valerio, un buonannulla in carriera che deve tutto al padre. In oltre trent’anni di onorata carriera Michele ha sempre anteposto i suoi interessi personali a quelli della collettività ed è passato indenne attraverso i mille scandali che hanno flagellato il nostro paese. L’ultima cosa al mondo che dovrebbe succedere ad un uomo del genere è dire la verità…Eppure, dopo una notte trascorsa con una “promettente” soubrette televisiva, Michele viene colto da un malore, si salva, ma non senza conseguenze. L’apoplessia ha colpito proprio la parte del cervello che controlla i freni inibitori ed ora il politico dice tutto ciò che gli passa per la testa, fa tutto quello che gli va e non ha la minima cognizione della gravità delle sue azioni.
• ANNO: 2012
• REGIA: Massimiliano Bruno
• SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
• ATTORI: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Ambra Angiolini, Alessandro Gassmann, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Isa Barzizza, Rolando Ravello, Imma Piro, Camilla Filippi, Barbara Folchitto, Nicola Pistoia, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Stefano Fresi, Sergio Fiorentini, Remo Remotti
• • FOTOGRAFIA: Alessandro Pesci
• MONTAGGIO: Patrizio Marone
• MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
• PRODUZIONE: Italian International Film
Borgo Testa di Lepre-IL PALIO DEI FONTANILI – Guido da Spoleto e l’importanza della MILIZIA DI CAMPAGNA- Piccola ricerca storica per la ProLoco di Testa di Lepre-
Articolo di Franco Leggeri
Testa di Lepre- 12 luglio 2018- Guido da Spoleto e l’importanza della MILIZIA DI CAMPAGNA-
Ricerca Storica, di larga massima, sull’impiego delle Milizie della Campagna Romana-Milizie Rusticane. I fatti narrati avvennero nell’anno 846 d.C.
E’ a Lorium, nella Valle dell’Arrone zona fontanile di MezzaLuna e laghetti di MezzaLuna è intitolata una delle battaglie dimenticate dell’ antichità. Qui nell’ 846 d.C. i saraceni venivano sconfitti da “milizie della Campagna Romana” (come le definisce lo storico francese Prudenzio da Troyes)
Tra i vari documenti che ho consultato, il più esaustivo è stato quello che ho trovato scritto negli annali di Prudence de Troyes dove si legge testualmente:” Guy, magravede Spolète accurt l’appel du Pape Sergio II avec le concurs des Romaines il reporte une grande victoire sur les mecreants, battus par les milicies de la campanie romaine”.
Traduzione di Franco Leggeri: “ Guido, margrave di Spoleto, accorse all’appello del Papa Sergio II , e con il concorso dei Romani riporta una grande vittoria sui miscredenti, battuti con l’aiuto determinante delle Milizie della Campagna Romana-Milizie Rusticane”.
La vittoria suscitò ammirazione tra i Romani che iniziarono a chiamare questi luoghi Castrum Guidi, in ossequio a Guido I Duca di Spoleto e Camerino, quindi è questa l’origine del nome CASTEL di GUIDO. E a memoria del fatto che questa fu zona di pirateria restano le torri di avvistamento sparse nella campagna , denominate TORRI SARACENE-
La ProLoco di Testa di Lepre organizza il Primo Palio dei Fontanile al fine di rievocare la vittoria sui saraceni da parte delle Milizie contadine della Campagna Romana guidate da GUIDO I Duca di Spoleto e Camerino.
P.S. Voglio aggiungere una nota sull’impiego e importanza della MILIZIA CONTADINA-
La battaglia del Fiume TREBBIA. Dell’889 d.C. tra Berengario e Guido II da Spoleto –
Trascrivo la cronaca della seconda giornata, della guerra tra Berengario e Guido da Spoleto si legge testualmente Guerra del TREBBIA del’889 d.C:” Dopo una tregua, nella quale Guido poté rifare più numeroso e potente il suo esercito. La seconda giornata fu combattuta sul fiume Trebbia: stavano per Guido cinquecento fanti francesi capitanati da Ascanio di lui fratello, seicento cavalli sotto gli ordini di un Guaisino e di un Uberto, una schiera di giovani toscani, mille fanti di Camerino, cento pedoni guidati da un Alberico: un Ranieri guidava un’altra banda , trecento corazze un Guglielmo, e altre trecento un Ubaldo: seguivano parecchie migliaia di uomini di campagna( MILIZIA DI CAMPAGNA) più usati ,avvezzi, all’aratro che alle armi.Anche Berengario aveva con se tremila Friulani capitanati da Gualfredo, a cui aveva ceduto o promesso il marchesato del Friuli, mille e cinquecento corazze guidate da Unroco, mille e duecento cavalli tedeschi, altri cinquecento cavalli sotto gli ordini di un Alberico e una forte schiera di fanti e milizie rusticane.
Il figlio di Guido I, Guido II aveva imparato dal padre l’importanza della Milizia di Campagna per vincere le battaglie come dimostra la cronaca sopra riportata.
Articolo di Franco Leggeri
NOTA IMPORTANTE Questo è un post per la pagina facebook CAMPAGNA ROMANA, quindi, non è esaustivo, analiticamente, storicamente, ma la ricerca più articolata e analitica la consegnerò alla ProLoco di Testa di Lepre.
N.B.Foto di Franco Leggeri- Le foto sono a disposizione di TUTTI e libere .
Altre foto sono su Facebook-CAMPAGNA ROMANA BENE COMUNE
TESTA di LEPRE-Edicola Madonnina degli Allevatori- via Arrone-BIVIO di FREGENE- Fiumicino (RM)
Piazzale Coop. Allevatori Bestiame TESTA di LEPRE–Edicola Madonnina degli Allevatori.
Testa di Lepre- 25 giugno 2018- Laboratorio della memoria -Eseguire una ricerca sui manufatti popolari che incarnano non solo lo spirito religioso ma anche la più antica visione cosmogonica delle comunità rurali, significa provare ad uscire da una lettura stereotipata degli elementi presenti sul territorio per coniugarla alle simbologie dell’immaginario che ancora è possibile trovare nella popolazione anziana locale. Le Croci: in legno, pietra o ferro battuto infisse a terra o su colonne di pietra. La croce sostituisce l’albero sacro, come supporto del divino.
EPIGRAFE “ LA NOSTRA MADRE CELESTE CI HA GUIDATI NELLA LUNGA E TORMENTATA VICENDA PER LA DIFESA DEI DIRITTI SULLE QUOTE LATTE DI TUTTI NOI ALLEVATORI-1997-2000”
Franco Leggeri–Ricerche per un Saggio Storico sulla Campagna Romana–
Fonti :
Ministero Beni Culturali-MIBAC;
Biblioteca Nazionale ;
Biblioteca Privata dei Principi ()-
Cartografia:
– EUFROSINO DELLA VOLPAIA 1547;
-Catasto Alessandrino;
-CABREO ;
RICERCHE SPECIFICHE :
-Storia dei fontanili e dispute sull’Acqua nel medioevo;
-Tasse e tributi nel medioevo ;
-Studi sulla condizione contadina nel medioevo.
Il lancio del trattore 180-90, uno dei modelli base di quella che viene definita “la serie 90 alta” di Fiatagri, risale al 1984. Fu senza dubbio il modello di maggior successo della gamma, elegante, aggressivo e potente, grazie al motore Fiat-OM 8365.25 a 6 cilindri turbo oilcooler da 8.102 centimetri cubi.
Questo motore, tarato in fabbrica a 180 cavalli a 2.200 giri, aveva un “difetto” particolare: poteva essere facilmente manipolato e portato a potenze ben superiori ai 200 cavalli. Ne furono trovati alcuni con 220 CV alla presa di forza, che corrispondevano a circa 240 CV al volano. Chiaramente, una trasmissione tarata per un massimo di 200 CV non poteva non risentire di tale sbalzo di potenza e questo spiega perché una parte di contoterzisti non “manipolatori” non abbia mai avuto problemi di affidabilità, mentre altri sì. Anche non manipolato il 180-90 “tirava” sul serio, e non era neppure asssetato di carburante: test ufficiali attestavano un consumo di 32 kg di gasolio per ora alla potenza massima, e di 23 a coppia massima: un buon risultato per un motore di 8,1 litri con quel rendimento.
Al momento del suo lancio erano offerte due trasmissioni meccaniche a marce e gamme sincronizzate: una 24+8 con superriduttore, con velocità da 0,2 a 31 km/h, oppure una 16+16 con inversore al posto del superriduttore e velocità da 2,2 a 31 km/h. Tuttavia i concorrenti in questa fascia di potenza, quasi tutti americani, offrivano già cambi idraulici in powershift, meno efficienti ma più moderni e versatili. Per questo motivo, a due anni dal lancio, alla Fiera di Verona del 1986, la Fiatagri aggiornò la serie 90 gamma alta rendendo disponibile a richiesta il cambio in powershift, il sollevatore elettronico e la presa di forza con sollevatore anteriore. Il powershift consentiva di inserire le quattro marce di ogni gamma sotto carico, in movimento, senza l’uso della frizione, e di adattare istantaneamente il trattore alle variazioni di sforzo di trazione, con vantaggi anche per l’affidabilità del cambio e per il comfort di guida.
Franco Leggeri Fotoreportage-Fiume ARRONE-Confine di Roma-Fiumicino
L’Arrone è un fiume del Lazio; scorre nella provincia di Roma, è lungo 35 chilometri, nasce nella parte sud-orientale del lago di Bracciano ad Anguillara Sabazia e sfocia a Fiumicino nel mar Tirreno tra Maccarese e Fregene. Il bacino misura 125 km² di superficie.
Pur configurandosi emissario del lago di Bracciano, il contributo del lago alla portata del fiume è esiguo, e in alcuni mesi dell’anno del tutto nullo. Nell’alto bacino sono presenti le sorgenti dell’Acqua Claudia.
Dall’estremità sudorientale del lago, a quota 164 nsln, il fiume si dirige da Nord Ovest a Sud Est per circa 3 km, poi si dirige a Sud per 12 km e quindi a Sud Ovest fino alla foce. In questo tratto confluisce il Rio Maggiore, affluente di destra. Subito a valle di questa confluenza il bacino dell’Arrone è attraversato dalla Strada Statale Aurelia.
Alla foce è presente un prezioso ambiente umido che, insieme a tutta l’area contigua coperta da macchia mediterranea detta Bosco Foce dell’Arrone, fa parte della Riserva naturale Litorale romano.
Curiosità
“Sulle rive dell’Arrone” è il titolo di una canzone di Daniele Silvestri, contenuta nell’album “Il Latitante” (2007), in cui si parla della prospettiva, raggiungibile dalle rive del fiume, con cui si riescono a vedere diversamente le cose.
All’Arrone accenna in tutt’altri termini lo spettacolo teatrale “Storie di scorie” di Ulderico Pesce, in cui si affronta il problema delle scorie nucleari, come quelle stoccate nel deposito nucleare alla Casaccia che avrebbero contaminato in passato anche il fiume, con danni incalcolabili all’ambiente.
della VILLA ROMANA delle COLONNACCE di Castel di Guido-
Fotoreportage di Franco Leggeri Associazione CORNELIA ANTIQUA-
ROMA MUNICIPIO XIII- Castel di Guido-I visitatori , anche a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, ospiti del GAR nella Villa Romana delle Colonnacce, sono stati guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana, molti partecipanti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi con alla base un cartello con la descrizione dell’essenza tratta dalle Opere di Plinio. Gli alberi costituiscono una riproduzione di un”GIARDINO ANTICO” e si trovano in un angolo in fondo all’area archeologica. Ne elenco alcuni esemplari : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui nella antica Villa Romana delle Colonnacce a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato un’occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
Articolo e foto sono di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
Nuraghi e pascolo arborato: alla scoperta del paesaggio culturale sardo-
Articolo di Elena Colombo per greenreport.it
Una nuova ricerca mostra come 4.000 anni fa la civiltà nuragica abbia contribuito a plasmare i servizi ecosistemici della Sardegna di oggi
[19 Maggio 2023]-Natura e cultura: quante volte le abbiamo pensate separate? Eppure, questa dicotomia non riflette né il mondo di oggi, né quello di ieri. Viviamo nella natura e siamo parte di essa, anche se non abbiamo una casa in campagna e non sappiamo distinguere una primula da un gelsomino. Lo sa bene la rivista People and nature – il cui nome stesso ci ricorda che le persone sono allo stesso livello della natura –, che di recente ha pubblicato una ricerca sui legami tra la civiltà nuragica e la vegetazione nel territorio sardo.
Vanno prima chiariti alcuni punti. Il nostro legame con la natura è in primo luogo dato dai servizi ecosistemici, cioè tutti quei benefici che l’umanità trae dal sistema naturale. Un esempio? La legna che viene poi usata per il camino.
Ogni ecosistema offre diversi tipi di risorse, che l’umanità sfrutta con maggiore o minore intensità. La situazione ideale per noi umani si crea quando siamo in grado di trarre dei vantaggi da un ecosistema senza alterarne l’equilibrio; non è così che ci siamo comportati negli ultimi decenni, ed eccoci qui, con una grave crisi climatica in corso.
Come rispondere per progettare un futuro migliore? Può essere utile dare uno sguardo al passato. La ricerca firmata da Marco Malavasi, Manuele Bazzichetto, Stefania Bagella, VojtěchBarták, Anna Depalmas, Antonello Gregorini, Marta Gaia Sperandii, Alicia T. R. Acosta e Simonetta Bagella fa un salto indietro e approfondisce la conoscenza della civiltà nuragica e di come sfruttava le numerose risorse del territorio sardo.
Lo studio, reso possibile dalla collaborazione con l’Università degli studi di Sassari, parte da una mappa, quella dei nuraghi, le antiche costruzioni in pietra che hanno dato il nome al popolo vissuto sull’isola nell’età del Bronzo.
«Osservando la mappa, abbiamo notato che la distribuzione dei nuraghi non è uniforme, ma è molto densa in alcune zone e meno in altre – spiega Marco Malavasi, ecologo e autore dell’articolo – perciò ci siamo chiesti come mai. I nuragici avevano delle preferenze? Abbiamo quindi testato in termini geostatistici la loro distribuzione nel territorio sardo e non è risultata casuale. Questa è la prova che ci sono dei criteri dietro le scelte nell’edificazione dei nuraghi. E se tra questi ci fosse anche la vegetazione?».
Perciò, sono state sovrapposte le mappe della biodiversità con le mappe che illustrano la presenza dei nuraghi in Sardegna. Ne sono risultate alcune corrispondenze interessanti: i nuraghi si trovano soprattutto all’interno di alcune “serie di vegetazione”, quelle delle querce da sughero e roverelle. Se ne deduce che la civiltà nuragica prediligeva questo tipo di flora per situare i propri insediamenti.
Secondo la ricerca, inoltre, sarebbe stato lo stesso popolo nuragico a plasmare il paesaggio sardo, creando il “pascolo arborato”, una condizione ambientale di alternanza tra strati erbacei e arborei.
«I nuragici – argomenta Malavasi – facevano agricoltura, pastorizia e raccolta della legna e dei frutti in un unico luogo, il pascolo arborato, senza fare agricoltura intensiva. Hanno quindi contribuito alla formazione di questo habitat, che è estremamente sostenibile in termini ambientali ed ecologici».
In altre parole, il sistema agrosilvo-pastorale oggi presente in Sardegna è stato quindi influenzato dalle scelte fatte dal dei nuraghi 4.000 anni fa.
L’impronta nuragica è pertanto visibile tuttora nel paesaggio sardo: il pascolo arborato è infatti un ambiente familiare a ogni abitante della Sardegna. “Quando il sardo vede il pascolo arborato, o dehesa, si sente a casa”: queste le parole usate da Marco Malavasi per spiegare l’importanza di un “paesaggio culturale”, così definito perché fornisce un senso di identità e connessione con l’ambiente. La differenza tra cultura e natura si fa quindi sempre più sottile, fino a diventare quasi invisibile.
La scoperta è rilevante anche perché, purtroppo, del popolo nuragico si sa ben poco, poiché non disponevano di un sistema di scrittura. Molto di ciò che conosciamo relativamente alle loro abitudini di vita sono deduzioni fatte a partire da scoperte archeologiche. In questo caso, è stata la collocazione dei nuraghi a testimoniare il ruolo essenziale delle sugherete come servizio ecosistemico per gli antichi abitanti sardi.
Il popolo dei nuraghi infatti traeva la legna dai sughereti, la usava come combustibile e pare che la sfruttasse anche per isolare i muri dei nuraghi e per conservare il cibo. Le aree naturali che circondano i nuraghi sono tra le migliori per l’agricoltura e venivano inoltre usate per la raccolta dei frutti e per la pastorizia, fondamentale risorsa per il popolo sardo – di ieri e di oggi.
Il pascolo arborato era ed è tuttora un sistema sostenibile con un alto livello di biodiversità. In queste aree coesistono moltissime specie, non c’è erosione del suolo né desertificazione, le falde acquifere rimangono ricche di nutrienti.
Negli ultimi anni, però, il pascolo arborato sta progressivamente scomparendo, minacciato dai cambiamenti climatici, culturali e sociali. I pascoli vengono abbandonati e il rischio è che si perda una preziosa interazione di uomini e animali. La ricerca ha tra i suoi obiettivi quello di ampliare la prospettiva dei decisori politici, per stimolare una visione più sostenibile sul lungo termine.
In questa ricerca troviamo uno dei primi esempi di un uso non convenzionale delle mappe della biodiversità, nato dall’idea di un “ecologo annoiato dagli approcci settoriali”, come si autodefinisce Malavasi, e di Simonetta Bagella, anch’essa ecologa e autrice dell’articolo.
Mescolare le mappe richiede cautela, perché «tutte le mappe hanno dei rischi, contengono degli errori. La mappa è un testo e in quanto tale è retorico: implica una selezione dei contenuti, che non è neutrale», ci ricorda Malavasi.
Per raccogliere questi dati, dunque, l’archeologia ha avuto un ruolo di primo piano. Si tratta di una novità importante, perché legare archeologia e servizi ecosistemici non è impresa facile. «Per scrivere il paper ho dovuto studiare: per sei mesi sono diventato un po’ un archeologo», sottolinea Malavasi. La comunicazione tra ecologi e archeologi non è sempre stata semplice: questi ultimi hanno collaborato come garanti, dando conferme e smentite laddove necessario.
L’approccio transdisciplinare può essere un percorso in salita: «Nel processo di revisione ci sono state alcune critiche che denotavano una scarsa conoscenza dell’ecologia. Per capirle ho dovuto fare un passo indietro: è stato faticoso, ma il paper finale ne è uscito molto arricchito. Essere tolleranti per capire il punto di vista dell’altro: questa è la transdisciplinarietà», osserva Malavasi.
Per chi ha la fortuna di conoscere la lingua sarda, e vuole approfondire l’argomento, c’è qualcosa in più. Per la prima volta, l’abstract dell’articolo di ricerca, ovvero la breve sintesi dei contenuti che accompagna l’articolo stesso, non è riportato solo in inglese, ma è stato tradotto in Limba Sarda Comuna. Perché anche la lingua è un’espressione della biodiversità, questa volta in ambito (bio)culturale: e come dice Malavasi, «tutto ciò che è biodiverso è sempre sano».
Articolo di Elena Colombo per greenreport.it
Rielaborazione del research article: Malavasi, M., Bazzichetto, M., Bagella, S., Barták, V., Depalmas, A., Gregorini, A., Sperandii, M. G., Acosta, A. T. R., &Bagella, S. (2023). Ecology meets archaeology: Past, present and future vegetation-derived ecosystems services from the Nuragic Sardinia (1700–580 BCE). People and Nature, 00, 1– 12. https://doi.org/10.1002/pan3.10461
Le foto sono state scattate a Roma in via dell’Arrone (Bivio di Fregene)
Piccola nota relativa all’Asino dell’Amiata.
L’Amiata è una razza di asino molto antica originaria del grossetano, in Toscana. Asini amiatini sono stati raffigurati anche da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova. nel ciclo di affreschi dedicato alle “Storie di Gesù e di Maria”. C’è persino una leggenda che spiegherebbe il perché del suo manto grigio con la croce nera che scende dal garrese fino alle spalle… Sarebbe il dono del Signore per averlo riscaldato da neonato nella grotta, accompagnato a Gerusalemme la Domenica delle Palme e seguito fino in cima al calvario, proprio sotto la croce. Le razze autoctone hanno un valore culturale e storico immenso, riflettono la millenaria simbiosi dell’uomo con gli animali, da ben prima che iniziassimo a distruggere la natura… Pensate che l’asino è stato addomesticato ancor prima del cavallo, tra il VI e il V millennio a.C. Nell’antico Egitto era stato addomesticato ed utilizzato per tirare l’aratro, far girare frantoi e mulini, sollevare l’acqua o trasportare merci e persone. Ma non solo… Una leggenda narra che la regina Cleopatra facesse ogni giorno il bagno nel latte di asina per esaltare il suo fascino e fosse proprio questo il segreto della sua pelle divina che tanto aveva impressionato gli antichi narratori. L’asino è stato da spesso definito come un animale testardo, stupido e poco socievole, io non conosco tutti gli asini del mondo per carità: ma quello amiatino è simpatico, tranquillo, amorevole, curioso e ha una grande capacità di apprendimento. I suoi compiti, per fortuna, nei secoli sono molto cambiati: oggi non c’è più bisogno che faccia lavori di fatica, ma finalmente può accompagnare l’uomo senza eccessivi sfruttamenti… Giocando con i bambini e facendo compagnia ai più grandi.
FIUMICINO (ROMA)-Il Borgo di TRAGLIATA e la sua Storia in pillole-
Fotoreportage di FRANCO LEGGERI
IL BORGO DI TRAGLIATA –Al km 29 della Via Aurelia, tra Torrimpietra e Palidoro, sulla destra, in direzione delle colline, si dirama la Via del Casale Sant’Angelo, che porta verso Bracciano.Percorrendo questa strada che si snoda in aperta campagna tra i grandi poderi coltivati o lasciati a pascolo per bovini e ovini, sulla destra al km 8,5 si diparte la via di Tragliata che porta al castello omonimo per terminare dopo pochi chilometri al crocevia con la Via di Santa Maria di Galeria, Via dell’Arrone e la Via di Boccea. Il toponimo di Tragliata, riportato in antichi documenti come Talianum o Taliata, sembra derivare da “tagliata”, nome dato ai sentieri scavati nel tufo di origine etrusca. Il Castello di Tragliata-Località molto suggestiva, abitata fin dall’antichità più remota, come testimoniato da ritrovamenti etruschi e romani inglobati nelle costruzioni successive. Il castello, eretto tra il IX e il X secolo, aveva una funzione di difesa e di avvistamento ed era collegato visivamente con altre torri circostanti, come la vicina Torre del Pascolaro; trasformato successivamente in un grande casale ad uso abitativo ed agricolo, in alcuni tratti si possono notare avanzi di muratura precedente appartenenti alle opere di sostegno del fortilizio. Allo stato attuale, Tragliata si presenta come un borgo in magnifica posizione elevata, situato com’è su di una specie di rocca isolata in mezzo alla vallata del Rio Maggiore, ed è costituito da vari fabbricati che si affacciano su di un grande spazio erboso.I fianchi della collina sono scavati in più parti dalle tipiche grotte, utilizzate nel corso dei secoli come magazzini o ricovero di animali. Di proprietà privata, il castello è stato recentemente convertito in azienda agrituristica adibita a ricezione. Interessanti i grandi silos sotterranei di epoca etrusca utilizzati per la conservazione dei cereali.
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
ROMA-La Torre della Bottaccia è sita sulla via Aurelia Antica, Municipio XIII- Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.In Italia esistono luoghi, se pur carichi di storia per le Città e i Borghi dove sorgono, lasciati nel degrado e nella più completa rovina. Le Torri della Campagna Romana non sono “pietre disperse” e senza storia , ma sono sicuramente edifici, porzione di edifici, dal passato antico che per qualche ragione sconosciuta non godono dei “diritti” di recupero e restauro come di altri luoghi simili esistenti nella Roma Capitale d’Italia.La Torre della Bottaccia è forse condannata a una fine ignobile, soffocata dai suoi stessi calcinacci?
A proposito delle Torri della Campagna Romana il Tomassetti scrisse:”…pensi il lettore , contemplandole ora così poeticamente desolate, quasi giganti feriti ed impietriti sul posto , a ricostruire la Storia con l’immaginazione , e figurarsi le feste, gli armamenti, le battaglie, tutto ciò che formò la vita agiata della Campagna Romana nel Medioevo; ed egli dovrà convenire con me che esse esercitano grande seduzione nella nostra mente. Pensino pertanto i proprietari dell’Agro Romano a conservare gelosamente questi ruderi dell’Arte e della Poesia; ne impediscano ai pecorari e ai contadini la continua malversazione; pensi il Governo a farne compilare l’esatto elenco ed a farne regolare consegna ai proprietari, come dei Monumenti Antichi, sia perché hanno aspetto pittoresco , sia perché appartengono alla Storia; e col tempo la posterità domanderà conto alla presente generazione del non aver arrestato e posto fine ai guasti dovuti all’ignoranza dei nostri predecessori ”.Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
Campagna Romana.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della Bottaccia Foto di Franco Leggeri
Disegno copiato dal catasto Alessandrino del secolo XVII.
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