Le foto sono state scattate a Roma in via dell’Arrone (Bivio di Fregene)
Piccola nota relativa all’Asino dell’Amiata.
L’Amiata è una razza di asino molto antica originaria del grossetano, in Toscana. Asini amiatini sono stati raffigurati anche da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova. nel ciclo di affreschi dedicato alle “Storie di Gesù e di Maria”. C’è persino una leggenda che spiegherebbe il perché del suo manto grigio con la croce nera che scende dal garrese fino alle spalle… Sarebbe il dono del Signore per averlo riscaldato da neonato nella grotta, accompagnato a Gerusalemme la Domenica delle Palme e seguito fino in cima al calvario, proprio sotto la croce. Le razze autoctone hanno un valore culturale e storico immenso, riflettono la millenaria simbiosi dell’uomo con gli animali, da ben prima che iniziassimo a distruggere la natura… Pensate che l’asino è stato addomesticato ancor prima del cavallo, tra il VI e il V millennio a.C. Nell’antico Egitto era stato addomesticato ed utilizzato per tirare l’aratro, far girare frantoi e mulini, sollevare l’acqua o trasportare merci e persone. Ma non solo… Una leggenda narra che la regina Cleopatra facesse ogni giorno il bagno nel latte di asina per esaltare il suo fascino e fosse proprio questo il segreto della sua pelle divina che tanto aveva impressionato gli antichi narratori. L’asino è stato da spesso definito come un animale testardo, stupido e poco socievole, io non conosco tutti gli asini del mondo per carità: ma quello amiatino è simpatico, tranquillo, amorevole, curioso e ha una grande capacità di apprendimento. I suoi compiti, per fortuna, nei secoli sono molto cambiati: oggi non c’è più bisogno che faccia lavori di fatica, ma finalmente può accompagnare l’uomo senza eccessivi sfruttamenti… Giocando con i bambini e facendo compagnia ai più grandi.
FIUMICINO (ROMA)-Il Borgo di TRAGLIATA e la sua Storia in pillole-
Fotoreportage di FRANCO LEGGERI
IL BORGO DI TRAGLIATA –Al km 29 della Via Aurelia, tra Torrimpietra e Palidoro, sulla destra, in direzione delle colline, si dirama la Via del Casale Sant’Angelo, che porta verso Bracciano.Percorrendo questa strada che si snoda in aperta campagna tra i grandi poderi coltivati o lasciati a pascolo per bovini e ovini, sulla destra al km 8,5 si diparte la via di Tragliata che porta al castello omonimo per terminare dopo pochi chilometri al crocevia con la Via di Santa Maria di Galeria, Via dell’Arrone e la Via di Boccea. Il toponimo di Tragliata, riportato in antichi documenti come Talianum o Taliata, sembra derivare da “tagliata”, nome dato ai sentieri scavati nel tufo di origine etrusca. Il Castello di Tragliata-Località molto suggestiva, abitata fin dall’antichità più remota, come testimoniato da ritrovamenti etruschi e romani inglobati nelle costruzioni successive. Il castello, eretto tra il IX e il X secolo, aveva una funzione di difesa e di avvistamento ed era collegato visivamente con altre torri circostanti, come la vicina Torre del Pascolaro; trasformato successivamente in un grande casale ad uso abitativo ed agricolo, in alcuni tratti si possono notare avanzi di muratura precedente appartenenti alle opere di sostegno del fortilizio. Allo stato attuale, Tragliata si presenta come un borgo in magnifica posizione elevata, situato com’è su di una specie di rocca isolata in mezzo alla vallata del Rio Maggiore, ed è costituito da vari fabbricati che si affacciano su di un grande spazio erboso.I fianchi della collina sono scavati in più parti dalle tipiche grotte, utilizzate nel corso dei secoli come magazzini o ricovero di animali. Di proprietà privata, il castello è stato recentemente convertito in azienda agrituristica adibita a ricezione. Interessanti i grandi silos sotterranei di epoca etrusca utilizzati per la conservazione dei cereali.
Le Erbe “Herbarie” il loro utilizzo una tradizione millenaria-La scoperta e ha origini molto lontane.
Pensate che il Grande Erbario Cinese, Pen Tsao, è fatto risalire al III millennio a. C., mentre in Egitto, alla fine del 1800, fu rinvenuto un trattato medico su papiro risalente al 500 a. C., intitolato “Libro per la preparazione dei rimedi per tutte le parti del corpo umano”, nel quale sono elencati oltre settecento medicamenti, tra cui mirra, scilla, edera, artemisia e maggiorana.
Anche la letteratura parla di rimedi naturali: Omero nell’Iliade, racconta che Achille ha curato l’amico Telefo ferito in battaglia tamponando la sua ferita con foglie e fiori di Achillea.
La vera svolta nello studio delle erbe e nel loro impiego nella vita quotidiana, si verifica con Ippocrate, padre della medicina occidentale, il quale con i suoli allievi, scopre numerosi rimedi vegetali per curare le malattie più disparate.
Si deve aspettare però ancora molto tempo e l’opera di Plinio Gaio Secondo, per avere un’enciclopedia in 37 volumi, “Storia Naturale – Osservazione della natura”, che raccolga tutti i rimedi terapeutici, di origine naturale o animale fino ad allora conosciuti, oltre a numerosi altri argomenti. Il primo di questi libri comprende una prefazione e un indice, nonché una lista di fonti. La principale per la botanica è Giuba II di Mauretania, Re di Numidia, uomo dotto, artista e autore di numerosi trattati sulla letteratura, la pittura, il teatro, la storia e la medicina. A lui si deve la scoperta dell’Euforbia, che prende il nome dal suo medico personale e da cui si ricavano potenti prodotti emetici e catartici. Il suo trattato su questa pianta ispira successivamente diversi medici greci.
Le prime soluzioni a base di acqua o aceto ed erbe, in cui sono concentrati tutti i principi attivi estratti dalle piante, arrivano nel II secolo d. C., con i preparati galenici, inventati dal medico greco Galeno di Pergamo.
Oggi i farmaci galenici sono preparazioni farmaceutiche, spesso non conosciute, ma che fanno parte a pieno titolo del mondo della farmacia. I farmaci galenici sono realizzati in autonomia dal farmacista in un apposito laboratorio e per questa loro caratteristica si differenziano dai prodotti industriali, che ormai li hanno quasi completamente sostituiti.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e fino all’anno mille circa, lo studio delle erbe non fa grandi passi avanti. La fitoterapia, come viene definito nei tempi moderni l’utilizzo di piante o estratti di piante per la cura delle malattie o per il mantenimento del benessere psicofisico, diventa una pratica ad esclusivo appannaggio degli ordini monastici, che diventano i custodi dell’antico sapere.
I monasteri diventano centri di cura, hospitalia. Le erbe somministrate sotto forma di medicamento sono coltivate direttamente dai monaci negli orti dei semplici, dove i “semplici” sono quelle erbe da cui si traggono i principi attivi curativi offerti dalla natura. Nel mondo cristiano medioevale l’orto e il giardino rivestono un ruolo fondamentale: sono associati al Paradiso inteso come luogo di delizie e tendono a imitare i modelli dettati dalle Sacre Scritture.
Le piante officinali raccolte vengono essiccate nell’armarium pigmentariorum, spazio destinato all’essicazione e conservazione. Dalle foglie, cortecce, radici e fiori i medici-monaci ricavano i primi farmaci sotto forma di cataplasmi, tisane, unguenti.
Il monaco addetto a questo compito e alla preparazione e somministrazione delle medicine è chiamato monachus infirmarius.
L’opera dei monaci viene consolidata e diffusa dalla creazione della prima vera scuola medica autorizzata nata in Europa: la Scuola Medica di Salerno, probabilmente anch’essa legata ad un convento e dalla nascita di grandi Orti botanici come quelli di Firenze, Pisa, Padova e Bologna.
La catalogazione ordinata di tutte le erbe utilizzate avviene in libri chiamati Hortuli. Oltre a questi manoscritti, i monaci scrivono anche i Tacuina sanitatis, che riportano con precisione la descrizione delle proprietà delle piante officinali e la raffigurazione delle stesse in tutte le loro parti, i concetti di medicina tradizionale, i periodi migliori per la raccolta, ma anche stagioni, eventi naturali, moti dell’animo.
Un ruolo molto importante in quell’epoca è svolto Ildegarda di Bingen, monaca benedettina vissuta fra il 1098 e il 1179.
Ildegarda è stata una religiosa tedesca, ultima di dieci figli. Entrata in convento giovanissima a causa della sua cagionevole salute, prende i voti fra il 1112 e il 1115. Tutta la sua vita è accompagnata da visioni.
Studia sui testi dell’enciclopedismo medievale e si interessa di molte cose, ma noi la ricordiamo in questo frangente per le sue doti di guaritrice e naturalista. Durante la vita monastica, oltre a mantenere un contatto epistolare costante con Bernardo da Chiaravalle, redige importanti opere di medicina e scienze naturali.
Utilizza direttamente le erbe, ne studia gli effetti e le applicazioni. Tra le piante che preferisce troviamo la ruta, l’assenzio, la melissa, l’esotico zenzero che consiglia contro la peste e l’achillea, ottima per l’epilessia e il sangue dal naso.
I monasteri diventano centri di studio e sviluppo della farmaceutica officinale. Nell’abbazia di Montefiascone, nei pressi di Viterbo, le monache benedettine organizzano una delle piú importanti spezierie del tempo.
Ma al di fuori dei monasteri come vengono utilizzate le piante officinali? E soprattutto, da chi?
All’esterno le erbe sono considerate come una risorsa alimentare e terapeutica.
La loro gestione è affidata alle donne, definite Herbarie, cioè coloro che conoscono le proprietà curative delle piante.
Il sapere è tramandato di generazione in generazione, da tempi anteriori all’avvento del Cristianesimo, di madre in figlia, da donna a donna. Erbe per nutrire, per curare ma anche per uccidere.
Questa conoscenza spaventa gli uomini che vedono le donne con sospetto. Paura e superstizione. Da virtutes herbarum a strega il passo è breve.
Le guaritrici utilizzano analgesici, calmanti e medicine digestive, così come altri preparati per lenire le sofferenze di coloro che le interpellano. La Chiesa invita alla preghiera, all’accettazione del dolore.
Possono coesistere queste due visioni?
Il Concilio di Trento e la conseguente Controriforma, pone molti limiti alla medicina popolare e all’utilizzo dei medicamenti a base di erbe per curare le malattie. Le constitutiones regolano l’uso di tutte le piante officinali e dei loro derivati.
A partire dalla fine del XV secolo, in corrispondenza con la pubblicazione le Malleus Maleficarum, gli uomini seguono alla lettera le regole prescritte all’interno del libro. Da guaritrici benevole a sacerdotesse di satana.
Herbarie, levatrici, guaritrici e sage – femmes sono perseguitate, accusate e processate anche a causa delle loro millenarie conoscenze.
L’antico sapere da amico diventa nemico, strumento del Demonio.
Il rinascimento, periodo di grande luce, non arriva nelle vallate alpine dove il buio della Santa inquisizione perseguita tutte queste donne fino alle soglie del XVIII secolo.
Articolo della Dott.ssa Rosella Reali
Bibliografia
Rangoni Laura – Le erbe delle donne – Piazza editore,2002
Damiano Daniela – La mia magia – Youcanprint editore, 2015
Paolini A. e Pavesi M. – Tisane e rimedi naturali – Edizioni Del Balbo, 2013
Testa di Lepre- 20 febbraio 2023-“Carnevale 2023 “Credo che oramai si possa dire che il Carnevale del Borgo di Testa di Lepre, assieme al Palio dei Fontanili, è un appuntamento radicato nel calendario degli eventi della Campagna Romana. Domenica pomeriggio abbiamo assistito ad una “imponente” sfilata dove le Contrade e i Gruppi mascherati si sono esibite in gare di bravura. Le sfide erano tra tecnica, creatività e scenografica, assieme all’impegno e all’aggregazione . Vorrei sottolineare che i carri avevano una componente realistica di scene che tengono presente anche la tecnica cinematografica . Come non evidenziare che in questa grande e colorata manifestazione, della durata di molte ore, i figuranti in maschera hanno animato i carri, trainati durante il tragitto dai pazienti e attenti “trattoristi” ai quali va il Grazie degli organizzatori . Il pubblico, stimato in varie migliaia di persone, ha decretato il successo di questa manifestazione che, nata nel 2018, ha oramai basi solidissime per le future edizioni. Un carnevale diverso, lontano dall’urbanizzazione selvaggia e dalle auto infestanti. Festa salutare nella Campagna Romana dove, parafrasando Pasolini, “Lo sguardo buca l’orizzonte”. La Protezione Civile di Castel di Guido, capitanata dal Presidente Attilio Zanini, ha garantito la sicurezza durante tutta la manifestazione. Le Contrade: BORGO, COLONNACCE, MALVICINA e PRATARONI hanno permesso il successo dell’evento .Il successo del Carnevale 2023 è frutto della regia e dell’organizzazione del Direttivo Pro Loco, del suo Presidente Anna Rita Rastelli e del Priore del Palio dei Fontanili Luigi Conti.
Articolo di Franco Leggeri
Il Carnevale è una festa mobile e un periodo dell’anno cattolico/cristiano[1] che precede il tempo liturgico della Quaresima e prevede celebrazioni pubbliche a febbraio o all’inizio di marzo, includendo eventi come parate, giochi di strada e altri intrattenimenti, che combinano alcuni elementi di un circo.[2][3][4][5]Costumi e maschere consentono alle persone di mettere da parte la loro individualità quotidiana e sperimentare un accresciuto senso di unità sociale. I partecipanti spesso indulgono nel consumo eccessivo di alcol, carne e altri cibi che saranno messi da parte durante la prossima Quaresima. Questo festival è noto per essere un momento di grande indulgenza prima della Quaresima con il bere, l’eccesso di cibo e varie altre attività di indulgenza. Ad esempio, frittelle, zeppole, ciambelle e altri dolci vengono preparati e mangiati per l’ultima volta. Durante la Quaresima si mangiano meno prodotti animali e gli individui hanno la possibilità di fare un sacrificio quaresimale, rinunciando così a un certo oggetto o attività del desiderio.[6][7]
Altre caratteristiche comuni del Carnevale includono battaglie simulate con i coriandoli, espressioni di satira sociale, costumi grotteschi, e un generale capovolgimento delle regole e delle norme quotidiane. La tradizione italiana di indossare maschere risale al Carnevale di Venezia nel XV secolo e per secoli è stata un’ispirazione per la commedia dell’arte.
Storia
Etimologia
Secondo la più accreditata interpretazione la parola ‘carnevale’ deriverebbe dal latinocarnem levare (“eliminare la carne”),[8][9] poiché indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima[10][11][12][13]. In alternativa si è ipotizzato che il termine possa invece aver tratto origine dall’espressione latina carne levamen (avente l’analogo significato di “eliminazione della carne”), oppure dalla parola carnualia (“giochi campagnoli”) o ancora dalla locuzione carrus navalis (“nave su ruote”, quale esempio di carro carnevalesco)[14] se non addirittura da currus navalis (“corteo navale”), usanza di origine pagana e occasionalmente sopravvissuta fino al XVIII secolo tra i festeggiamenti del periodo[15]. Le prime testimonianze dell’uso del vocabolo “carnevale” (detto anche “carnevalo”) vengono dai testi del giullareMatazone da Caligano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi verso il 1400.[16]
I festeggiamenti maggiori avvengono il giovedì grasso[senza fonte] e il martedì grasso, ossia l’ultimo giovedì e l’ultimo martedì prima dell’inizio della Quaresima. In particolare il martedì grasso è il giorno di chiusura dei festeggiamenti carnevaleschi, dato che la Quaresima nel rito romano inizia con il Mercoledì delle ceneri.
Origine
I caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, come per esempio le Dionisie greche e i Saturnali romani, durante le quali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza. Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente.[17] Il ciclo preso in considerazione è, in pratica, quello dell’anno solare. Nel mondo antico romano la festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’Impero romano, comporta la presenza di gruppi mascherati, come attesta lo scrittore Lucio Apuleio nelle Metamorfosi (libro XI). Presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurio Veturio[18].
Durante le antesterie passava il carro di colui che doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale.[19] In Babilonia poco dopo l’equinozio primaverile veniva riattualizzato il processo originario di fondazione del cosmo, descritto miticamente dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat che si concludeva con la vittoria del primo. Durante queste cerimonie si svolgeva una processione nella quale erano allegoricamente rappresentate le forze del caos che contrastavano la ri-creazione dell’universo, cioè il mito della morte e risurrezione di Marduk, il salvatore.
Nel corteo c’era anche una nave a ruote su cui il dio Luna e il dio Sole percorrevano la grande via della festa – simbolo della parte superiore dello Zodiaco – verso il santuario di Babilonia, simbolo della terra. Questo periodo, che si sarebbe concluso con il rinnovamento del cosmo, veniva vissuto con una libertà sfrenata e un capovolgimento dell’ordine sociale e morale. Il noto storico delle religioni Mircea Eliade scrive nel saggio Il Mito dell’Eterno Ritorno: “Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la[20] presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine dell’anno e nell’attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia”[21].
Più oltre Eliade afferma che “allora i morti potranno ritornare, poiché tutte le barriere tra morti e vivi sono rotte (il caos primordiale non è riattualizzato?) e ritorneranno giacché in questo momento paradossale il tempo sarà annullato ed essi potranno di nuovo essere contemporanei dei vivi”.[22] Le cerimonie carnevalesche, diffuse presso i popoli indoeuropei, mesopotamici, nonché di altre civiltà, hanno perciò anche una valenza purificatoria e dimostrano il “bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente abolendo il tempo trascorso e riattualizzando la cosmogonia”.[23]
Eliade scrive che “l’orgia è anch’essa una regressione nell’oscuro, una restaurazione del caos primordiale; in quanto tale, precede ogni creazione, ogni manifestazione di forme organizzate”.[24] L’autore aggiunge poi che “sul livello cosmologico l’orgia corrisponde al Caos o alla pienezza finale; nella prospettiva temporale, l’orgia corrisponde al Grande Tempo, all’istante eterno, alla non – durata. La presenza dell’orgia nei cerimoniali che segnano divisioni periodiche del tempo tradisce una volontà di abolizione integrale del passato mediante l’abolizione della Creazione.
La confusione delle forme è illustrata dallo sconvolgimento delle condizioni sociali (nei Saturnali lo schiavo è promosso padrone, il padrone serve gli schiavi; in Mesopotamia si deponeva e si umiliava il re, ecc.), dalla sospensione di tutte le norme, ecc. Lo scatenarsi della licenza, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, ad altro non mirano che alla dissoluzione del mondo – la comunità è l’immagine del mondo – e alla restaurazione dell’illud tempus primordiale (“quel tempo”, il Grande Tempo mitico e a – storico delle origini; N.d.A.), che è evidentemente il momento mitico del principio (caos) e della fine (diluvio universale o ekpyrosis, apocalisse). Il significato cosmologico dell’orgia carnascialesca di fine d’anno è confermato dal fatto che al Caos segue sempre una nuova creazione del Cosmo“[25].
Il carnevale si inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce a una dimensionemetafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, quando la terra comincia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi (anche Arlecchino ha una chiara origine infera). Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significatoapotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell’essere “soprannaturale” rappresentato.
Queste forze soprannaturali creano un nuovo regno della fecondità della Terra e giungono a fraternizzare allegramente tra i viventi. “Le maschere che incarnano gli antenati, le anime dei morti che visitano cerimonialmente i vivi (Giappone, mondo germanico, ecc.), sono anche il segno che le frontiere sono state annientate e sostituite in seguito alla confusione di tutte le modalità. In questo intervallo paradossale fra due tempi (= fra due Cosmi), diventa possibile la comunicazione tra vivi e morti, cioè fra forme realizzate e il preformale, il larvale”.[26] Il carattere infernale e diabolico delle maschere è riconoscibile in particolare in certe maschere come il già citato Arlecchino (maschera policroma e fiammante vestito a losanghe policrome), Pulcinella (volto metà bianco e metà nero e camice bianco), Zanni (tunica e calzoni bicolori). Tra le maschere regionali italiane che maggiormente testimoniano l’origine infero-demoniaca ci sono i mamuthones e gli issohadores in Sardegna.[27] Alla fine il tempo e l’ordine del cosmo, sconvolti nella tradizione carnevalesca, vengono ricostituiti (nuova Creazione) con un rituale di carattere purificatorio[28] comprendente un “processo“, una “condanna“, la lettura di un “testamento” e un “funerale” del carnevale[29] il quale spesso comporta il bruciamento del “Re carnevale” rappresentato da un fantoccio (altre volte l’immagine – simbolo del carnevale è annegata o decapitata). Tale cerimonia avviene in molte località italiane, europee ed extraeuropee (sulla morte rituale del carnevale si veda anche Il ramo d’oro di James George Frazer[30]). Il processo e la messa a morte del Carnevale, sul quale si addossano tutti i mali della comunità, è la parodia di un vero e proprio processo con imputato, avvocato difensore, pubblico ministero ed altri personaggi. Il Carnevale fa testamento, ma altre volte il testamento viene fatto da un suo equivalente.[31]
“La ripetizione simbolica della cosmogonia, che segue all’annientamento simbolico del mondo vecchio, rigenera il tempo nella sua totalità”[32].[33]
Più prosaica l’analisi dell’antropologo sociale James C. Scott, che individua nel carnevale una parentesi volta a ribadire chi detiene in fondo il potere nel resto dell’anno, a guisa di panem et circenses.[34]
Nel XV e XVI secolo, a Firenze i Medici organizzavano grandi mascherate su carri chiamate “trionfi” e accompagnate da canti carnascialeschi, cioè canzoni a ballo di cui anche Lorenzo il Magnifico fu autore. Celebre è Il trionfo di Bacco e Arianna scritto proprio dal Magnifico. Nella Roma del regno pontificio si svolgevano invece la corsa dei barberi (cavalli da corsa) e la “gara dei moccoletti” accesi che i partecipanti cercavano di spegnersi reciprocamente.[35]
L’antica tradizione del carnevale si è mantenuto anche dopo l’avvento del Cristianesimo: anche a Roma stessa, capitale del Cristianesimo, la maggiore festa pubblica tradizionale è stata il Carnevale Romano fino alla sua soppressione negli anni successivi all’Unità d’Italia. In alcune aree centro-europee è maggiormente legato ad aree di tradizione cattolica rispetto a quelle protestanti, come nel caso della regione storica tedesca del Baden, divenuta parte del Land del Baden-Württemberg fin dopo l’avvento della Repubblica di Weimar.
Data
L’inizio del periodo carnevalesco è tradizionalmente fissato il giorno successivo alla domenica del Battesimo del Signore[senza fonte]. Finisce il martedì precedente il mercoledì delle ceneri che segna l’inizio della quaresima, con l’eccezione del carnevale ambrosiano (che termina nel giorno di sabato, in quanto la Quaresima comincia dalla prima domenica) e della tradizione della Tabernella nell’arcidiocesi di Lucca (prima domenica di Quaresima). Il momento culminante si ha dal giovedì grasso fino al martedì, ultimo giorno di carnevale (Martedì grasso). Questo periodo, essendo collegato con la Pasqua (festa mobile), non ha ricorrenza annuale fissa ma variabile. In realtà la Pasqua cattolica può cadere dal 22 marzo al 25 aprile (calcolo della Pasqua) e intercorrono 46 giorni tra il Mercoledì delle ceneri e Pasqua. Ne deriva che in anni non bisestili martedì grasso cade dal 3 febbraio al 9 marzo. Per questo motivo i principali eventi si concentrano in genere tra i mesi di febbraio e marzo.
-Castel di Guido-Il Fienile del Casale della Bottaccia-
La costruzione del Fienile iniziò nel 1781 nell’area antistante il Casale della Bottaccia . I relitti del Fienile sono visibili dalla vecchia via Aurelia ora via di Castel di Guido. Durante la costruzione del Fienile vennero riportati alla luce molti marmi come scrive il Tomassetti :” molti marmi ed una inscrizione di T. Saquinius.” Del Fienile oggi rimangono solo le parti basamentali e porzioni minime di muri perimetrali .
I resti del vecchio Fienile , come si può vedere dalle foto allegate, sono ricoperti da una fitta vegetazione.
Fonti Bibliografiche-(G. Tomassetti, La campagna romana antica, medioevale e moderna-via Appia, Ardeatina ed Aurelia, vol II, a cura di L.Chiumenti, F. Bilancia, L. S. Oloschki, Firenze 1979)
Foto e ricerche storiche in varie biblioteche di Franco Leggeri per Associazione CORNELIA ANTIQUA
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA-
ROMA MUNICIPIO XIII-Associazione CORNELIA ANTIQUA-Castel di Guido-La Villa Romana Olivella
Roma Municipio XIII-All’interno della tenuta agricola di Castel di Guido, è da mettere in relazione con l’antico insediamento di Lorium
Il territorio di Castel di Guido non è certo privo di sorprese. Oltre alle 300 tombe che si trovano nell’area compresa tra il Castello, la scuola di via Sodini e la vecchia via Aurelia che dovranno essere, prima o poi, portate alla luce oltre alla Villa Romana localizzata alle spalle della Chiesa del Santo Spirito, la Villa delle Colonnacce affidata alle cure del Gruppo Archeologico Romano, nella zona denominata “Colle Cioccari- Quarto della Vipera”, si sta portando alla luce il complesso archeologico di Villa Olivella.
La Villa Olivella, sita all’interno della tenuta agricola di Castel di Guido, è da mettere in relazione con l’antico insediamento di Lorium, noto dagli antichi itinerari (Tabula Peutingeriana e Itinerarium Antonini), come prima stazione sull’antica via Aurelia al XII miglio da Roma, ”Casale della Bottaccia”.
Lorium è ricordato dagli scritti degli storici dell’antica Roma come sede del palazzo imperiale degli Antonini, in particolare di Antonino Pio (vi morì nel 161 d.C), e della presenza di Marco Aurelio che sposò Faustina “la giovane” figlia dell’Imperatore Antonino Pio. Una nota curiosa che emerge dagli antichi scritti (Frontone) è che Marco Aurelio si lamentava per la sconnessione dei basoli della via Aurelia i quali facevano “inciampare e scivolare il suo cavallo”.
Numerosi e preziosi i ritrovamenti segnalati da scavi (tra cui statue, capitelli, iscrizioni) nel il 1649. Il Saulnir segnala: ” essersi trovate medaglie ed una statua di Cibele assisa sopra un leone”. Nel 1815 vennero trovati, nei pressi del Castello, due frammenti d’iscrizione, in uno dei quali si leggeva:” FAUSTIN. AUGUSTUS “. Durante gli scavi del 1824, come scrive il Nibby: “Si trovarono varie statue tra cui una Giunone Velata, una Livia in forma di Pietà ed una Domizia in abito di Diana, conservate al Museo Clementino in Vaticano”, che consentono di confermare l’ipotesi che nell’area compresa tra Castel di Guido e la Tenuta della Bottaccia fosse localizzato un praetorium e il palazzo imperiale.
Le ripetute segnalazioni, anche da parte della Guardia di Finanza, di scavi clandestini e le numerose segnalazioni di presenze archeologiche hanno spinto la Soprintendenza ad un intervento di scavo in località Olivella. L’area è oggetto da alcuni anni (campagne 2007-2010) di un vasto progetto condotto in collaborazione tra la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (responsabile Dott.ssa Rossi), l’Università di Roma La Sapienza (Cattedra di Topografia Antica, Scuola di Specializzazione in Archeologia Prof. Sommella), l’Università di Foggia (Cattedra di Topografia Antica, Prof.ssa M.L. Marchi).
Il complesso finora evidenziato è costituito da una serie di ambienti pertinenti un edificio termale e si sono finora messi in luce alcuni ambienti riscaldati (calidaria e tepidaria) con relativi praefurnia, il frigidarium con pavimento musivo. Di particolare interesse e pregio la presenza di abbondanti quantità di marmi e paste vitree che fanno presupporre rivestimenti pregiati in opus sectile.
L’impianto termale è localizzato a fondovalle ed è possibile che si tratti di un corpo di fabbrica separato connesso ad una vicina fonte o corso d’acqua. La parte residenziale del complesso si localizza ad Ovest, sempre nella valle, come sembrano confermare anche i materiali ceramici e da costruzione e le strutture individuate, attraverso alcuni saggi effettuati a corona intorno all’area di scavo principale, nell’arco di alcune decine di metri.
I dati forniti dal rinvenimento di diversi bolli laterizi sembrano confermare l’orizzonte di II-III d.C., testimoniato anche dagli apparati decorativi rinvenuti: in uno compare Stertinia Bassula figlia di Stertinius Noricus, consul suffectus nel 113 d.C. e proprietaria di praedia suburbani, mentre in due bolli è menzionato un personaggio legato all’imperatore Antonino Pio, Marcus Pontius Sabinus, dominus figlinarum, consul suffectus nel 153 e poi amministratore nella Misia superiore nel 159-160, infine un bollo di Faustina, moglie di Antonino Pio.
I materiali e, soprattutto, gli apparati decorativi marmorei e vitrei e i pavimenti musivi, testimoniano un complesso di notevoli dimensioni e ricchezza, con un momento di particolare sviluppo inquadrabile tra la metà del II e il III secolo d.C. L’ambito cronologico e la presenza di paste vitree relative a rivestimenti parietali o pavimentali che sembrano avere uno stringente confronto con quelle provenienti dalla villa di Lucio Vero all’Acqua Traversa, permettono di ricollegare il complesso con il palazzo imperiale degli Antonini nel comprensorio di Lorium.
La scoperta che tutti si attendono è quella del ritrovamento della Villa Imperiale di Antonino Pio.
Roma Municipio XIII- Perché il nome Castel di Guido?
Se percorri la strada con l’auto in corsa vedi solo una tabella che indica Castel di Guido-Comune di Roma e non ti chiedi dove sei ed il perché del nome del Borgo medioevale che attraversi così velocemente. Io me lo sono chiesto ed ho iniziato a fare delle ricerche per mio conto ed ho sbagliato subito l’approccio perché , ingenuamente, sono andato a consultare il libro di Cicerone “ LA TOPICA”, sempre perché qualcuno mi aveva detto che questo è un sito che nell’antichità era denominato LORIUM. Ma, poi mi sono reso conto che molto spesso i nomi che vengono dati ad un territorio , borgo ecc derivano da eventi accaduti molti secoli prima, dunque se questo luogo all’epoca dell’antica Roma era chiamato Lorium ,dovevo spostare le mie ricerche verso l’anno mille e finalmente ci sono arrivato. Tra i vari documenti che ho consultato, il più esaustivo è stato quello che ho trovato scritto negli annali di Prudence de Troyes dove si legge testualmente” Guy, magravede Spolète accurt l’appel du Pape avec le concurs des Romaines il reporte une grande victoire sur les mecreants, battus par les milicies de la campanie romaine”. Trad. “ Guido, margrave di Spoleto, accorse all’appello del Papa, e con il concorso dei Romani riporta una grande vittoria sui miscredenti, battuti con l’aiuto delle milizie della campagna romana”. I fatti narrati avvennero nell’anno 846. La vittoria suscitò ammirazione tra i Romani che iniziarono a chiamare questi luoghi Castrum Guidi, in ossequio a Guido I Duca di Spoleto e Camerino, quindi è questa l’origine del nome CASTEL di GUIDO. Dopo questa breve ricostruzione mi sono domandato:” Ma i Saraceni superstiti dove sono andati a finire ?” Sembrerebbe nella località sita sulla via Tiburtina che prese, appunto, il nome di SARACINESCO….. O No?
-Associazione “Cornelia Antiqua” sulle tracce del dio Mithra:Casale della Bottaccia conferme e una interpretazione-
ROMA MUNICIPIO XIII-“Nel dicembre 1987, a circa 300 metri dal Casale della Bottaccia, in seguito a lavori agricoli che hanno provocato lo sprofondamento di una volta, si sono scoperti alcuni ambienti ipogei. L’ispezione, condotta da tale pertugio improvvisato da parte del dottor Sergio Mineo, evidenziava un complesso articolato “in tre ambienti distinti di forma quadrangolare, paralleli e di diversa lunghezza … la cui altezza media è di m. 2,30. I tre vani, dei quali non è stato individuato il piano di calpestio antico, sono coperti da una volta a botte e … raccordati tra loro da passaggi più stretti … L’ambiente C è il più interessante in quanto la sua parete di fondo presenta un bassorilievo scolpito nel tufo … raffigurante, a destra, un serpente, a sinistra un elemento di difficile interpretazione (un albero fortemente stilizzato?) e, in alto, al centro della composizione, una testa, raffigurante probabilmente il volto della divinità, i cui tratti sono del tutto abrasi” (Sergio Mineo, “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma”, vol. 93, 1989-1990).
Il complesso cultuale è stato identificato, con buona probabilità, quale mitraico.
La scorsa settimana “Cornelia Antiqua” ha rinnovato la spedizione presso tali ambienti sotterranei. La visita ha confermato i rilievi del 1987: con qualche novità.
In effetti il volto centrale del bassorilievo è assai poco riconoscibile e purtuttavia il serpente già indica un atmosfera mitraica; e ciò sembra confermata da una nostra umile e personale rilettura dell’elemento a sinistra: non già un albero, benché stilizzato, bensì la raffigurazione d’una pigna, simbolo d’eternità e immortalità, e oggetto ricorrente in sei figurazioni mitraiche (“pomme de pin”) riportate nella celebre compilazione di Franz Cumont Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, 2 voll. 1896 – oggetto, quindi, non casuale, ma caratterizzante tale divinità.
Altra conferma verrebbe da un gruppo in marmo bianco raffigurante, senza dubbio, proprio il dio nella sua versione tauroctona (ovvero Mithra nell’atto di uccidere il toro). Tale gruppo marmoreo sarebbe stato rinvenuto nel 1825 proprio nel nostro mitreo dagli allora proprietari, i nobili Pamphili, che la tolsero a un sonno millenario aggiungendola alla propria straordinaria collezione (oggi esso è visibile alla Galleria Doria-Pamphili di via del Corso).
Lo stesso Cumont ci informa di tale ritrovamento nel secondo volume dell’opera succitata: “26. Composizione in marmo bianco [lunghezza m. 0,29; altezza m. 0,43] trovato nel 1825 sulla via Aurelia attorno all’undicesimo miglio nella tenuta denominata il Bottaccio, là dov’era situato senza dubbio Lorium, la celebre villa degli Antonini. Oggi è visibile alla galleria Doria … Mithra tauroctono con il cane (in parte nascosto dietro il dadoforo a destra), il serpente, lo scorpione e i due tedofori, uno, a sinistra, con in mano la sua torcia alzata, l’altra, a destra, abbassata. Una cinghia o un’ampia cintura circonda il corpo del toro. Restauri: il mantello fluttuante (dove probabilmente era appollaiato il corvo imperiale) e parte del cappello Frigio di Mitra, la torcia e le due mani del dadoforo sinistro. Mediocre lavoro“.
Nella composizione marmorea rinveniamo tutti gli elementi consueti della drammaturgia mitraica: Mithra che pugnala il toro, il serpente e il cane a lambire la ferita, lo scorpione che si avventa sui testicoli dell’animale morente, i due portatori di fiaccola Cautes e Cautopates (il primo la innalza, il secondo la rivolge a terra) che formano col dio una trinità, il corvo, la fertilità del sangue.
Se davvero, come è altamente probabile, tale gruppo proviene dai nostri vani ipogei, e se è sostenibile l’identificazione dell’elemento del bassorilievo quale pigna, è possibile definire, con ottimo grado di approssimazione, l’ambiente quale mitraico.
Se poi verrà confermata la presenza di una nicchia quale ospite del gruppo marmoreo stesso (dovrebbero risultare compatibili le misure anzidette) allora l’approssimazione si tramuterà in certezza.
CARTOLINE DALL’INFERNO-Il Degrado del Sito Archeologico Casale della Bottaccia.
Castel di Guido-12 marzo 2022-Il Casale della Bottaccia è, risulta, in stato di abbandono già dal 1964, come documentato da una foto in possesso della soprintendenza dei BB.CC.; in tale foto si vede anche la presenza di alcuni infissi e dei tetti oggi tutti crollati e del fienile di cui oggi rimane solo la parte basamentale.
Nel 1992 i tetti sono mancanti in alcune parti del fabbricato come si vede dalla foto in “Elisabetta Carnabuci, Antiche Strade – Lazio- Via Aurelia, I.P.Z.S., Roma 1992”; dalla quale si nota anche come a quel tempo le aperture non fossero ancora state murate e la tettoia all’ingresso fosse ancora in piedi. Nello stesso volume si afferma che la proprietà sembra essere ancora della famiglia Pamphili.
Oggi (2018) dopo appelli ,anche d’ITALIA NOSTRA, e tante promesse di politici in cerca di voti, il Sito Archeologico Casale della Bottaccia è ancora in stato di abbandono , di degrado e regno incontrastato della prostituzione.
-Associazione CORNELIA ANTIQUA-
-Associazione CORNELIA ANTIQUA-
CARTOLINE DALL’INFERNO-Castel di Guido-Il Degrado del Sito Archeologico Casale della Bottaccia.
Roma- Municipio XIII-CASTEL DI GUIDO – L’Istituto di Antropologia e Paleontologia umana dell’Università di Pisa conduce, dal 1980 durante il mese di settembre, delle Campagne di scavo, in Castel di Guido. Le monografie degli scavi sono pubblicate in “ Atti della Società Toscana di Scienze Naturali”, a cura dei Professori C.Pitti e A.M. Radmili. Al Dott. Ernesto Longo, alla sua esperta indagine visiva è dovuto l’avvistamento e la localizzazione dell’attuale parco paleontologico di Castel di Guido.
La presentazione di questa brevissima traccia storica della nostra contrada, partendo da tanto lontano , potrebbe apparire presuntuosa e addirittura ingenua; ma di fronte a tanta autorità scientifica e in forza dei risultati ottenuti, il silenzio poteva ancor più sembrare irriverente.
Una notizia è certa: su queste colline anche la specie Homo del paleolitico inferiore (400.000 anni fa) ci stava bene.
La prima testimonianza, la più significativa e purtroppo ancora l’unica è costituita dal rinvenimento , ad opera del Dott. Longo e del Sig. A.Barbattini, di un frammento di diafisi di femore; questo avveniva nel settembre del 1979. L’antropologo Francesco Mallegni ha eseguito uno studio accurato sul reperto arrivando alla seguente conclusione:” sono senza dubbio propenso ad ammettere per la diafesi, la appartenenza al genere Homo; data l’arcaicità dell’industria litica e della fauna, credo che si debba considerare il reperto come appartenente ad un rappresentante del genere Homo, di una specie sicuramente antecedente all’antiquus nearderthalensis”
Nelle successive Campagne di scavo è stata aperta una trincea di circa 300mq. Dove sono apparsi frammenti ossei di animali e manufatti della primitiva industria litica dell’uomo.
“L’associazione di strumenti su ciottoli con strumenti piccoli su scheggia e con oggetti di osso conferiscono all’industria di Castel di Guido, come a quella di Malagrotta, una fisionomia particolare che le differenzia dalle altre industrie finora conosciute del paleolitico inferiore italiano”.
Nella terza Campagna , ad esempio, furono rinvenuti ben seicentododici oggetti; di cui centrotrentadue sono denti, frammenti ossei e cornei e i rimanenti sono oggetti litici. La particolarità di questa Campagna fu il rinvenimento del “Cervus megeros” e quindi strumenti, manufatti con becchi e puntine , schegge con ritocco denticolato, grattatoi e raschiatoi. L’uso e la presenza documentata della lavorazione dell’osso dimostra la tipologia tipicamente clastica della conformazione geologica di Castel di Guido: un terreno ad impasto di detriti, compattato nel tempo. Mentre nell’industria neolitica di Torre in Pietra, giacimento probabilmente coevo, manca del tutto la lavorazione su osso. Nella Quinta Campagna di scavo ebbe rilievo il rinvenimento , sempre nella stessa ristretta area, di tre “Crani di Bos primigenius”.
Su tutto il panorama domina l’interpretazione che il luogo si prestasse egregiamente come spazio per l’agguato e la vulnerazione di questi animali. Le conseguenti tracce di pasti consumati illustrano in maniera particolare il confermato gusto di questi primitivi e la loro capacità nel costruire utensili idonei ad estrarre il midollo animale dagli ossi di custodia. Tutti i reperti sono raccolti in uno stand del Museo Pigurini di Roma-Eur-
Le verdi colline che oggi ci appaio a perdita d’occhio , in quella epoca erano quasi sicuramente chieriche boscose lambite in alto dal mare , come a tutt’oggi ci dimostra la loro forma a terrazza.
Questo Parco Paleontologico si trova sull’ultima collina , alla confluenza di via di Castel di Guido con il km. 20+500 della via Aurelia a nord-est del Camping-Lorium, proprio al disopra delle piste dove si svolgeva il Palio della Mezzaluna.
N.B. Le foto sono in B/N e sono state scattate nel 1982. . la n.1 è una veduta dello scavo della terza Campagna di Scavo –Le foto n.2 e n.3 sono di strumenti su punta di zanna di elefante ritrovati nel corso degli scavi a Castel di Guido- la n.4 Suolo abitazione con tre crani di Bos primigenius rinvenuti nel corso della quinta Campagna di Scavi a Castel di Guido-
Fonte e Foto – Castel di Guido , un luogo una storia – Edizione a cura del Comune di Roma
Ricerca e trascrizione di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA
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