ROMA Municipio XIII–Castel di Guido – 9 settembre 2022-Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri-Le prime notizie del ponte sull’Arrone si hanno già in un documento dell’XI secolo dove viene citato un “Pons de Arrone”, mentre in una bolla papale del 1019 è citato un “pons marmoreus qui est super Arronem”; si ha notizia del rinvenimento, nelle vicinanze, di una lapide la quale testimonia che un certo “Dorus Latro” aveva restaurato le sponde del fiume, come si legge nella scheda 35 del Quilici .
CASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.Foto B/N anni 1960-
Bibl.: La via Aurelia, scheda 35 ; Quilici, scheda 315; Brunetti Nardi, op.cit.,II,pag.64.
-Notizie Storiche del Fiume ARRONE-
Fiume della Comarca, il quale ha origine dal lago di Bracciano, essendo l’emissario naturale, e si scarica nel mare presso Maccarese. Esce dal lago a settentrione della Terra dell’Anguillara : passa sotto il ponte la Trave serve di limite ai tenimenti di Camoscie e Quarto s.Saba : traversa la via Claudia dopo la Osteria Nuova verso il XIV. Miglio da Roma: scorre sotto il Castello di Galera in un letto molto profondo, servendo di confine al tenimento di questo nome ed a quello di Centrone: traversa quelli di Monte Mario, e Buccèa: passa fra quelli di Testa di Lepre , Torrimpietra, Castel di Guido, e finalmente entra in quello di Maccarese, dove dopo aver servito allo irrigamento de’ campi entra in mare. Il ponte a due archi, sotto il quale attraversa la via Aurelia dopo Castel di Guido è antico e di massi quadrilateri. Quantunque negli scrittori greci e latini non si faccia menzione di questo fiume , null’altro il suo nome risente la origine etrusca, derivando probabilmente dalla stessa radice di ARUNS. Col nome di ARRONE viene ricordato l’anno 1053 in una bolla di Leone IX, nella quale fra i confini dei fondi Camelianum ,Olibula , Angellum, Pinum, Camaranum, Lauretum ec. Si pone così: a quarto (latere)rivum qui vocatur Arrone positum in territorio Galeriae . Veggasi il Bullarium Vaticanum T.L.
Si può vedere(foto allegate) il vecchio ponte dell’Arrone , ormai in disuso , il quale conserva il suo selciato originale .Nel parapetto si trova incorporato un blasone nobiliare medievale in marmo, mentre sono ancora visibili le vecchie paratie metalliche , vera archeologia industriale, le quali servivano per regolare il flusso dell’acqua destinata all’irrigazione della campagna circostante.
Lungo la strada che conduce a Fregene , sulla sinistra ,si vede il laghetto di “Mezzaluna” ed è proprio qui che Guido, Duca di Spoleto, condusse alla vittoria, contro i Saraceni nell856 d.C., le “milizie di Campagna” come le definì lo storico Prudenzio da Troyes.
-CURIOSITA’-
I volontari della Protezione Civile di Castel di Guido ,Capitanata dal Fondatore Attilio ZANIN, durante un lavoro di bonifica del canale di gronda dell’Aurelia che sversa le acque meteoriche nell’Arrone al Bivio di Fregene, hanno effettuato un lavoro di recupero molto interessante cioè quello di riportare alla “luce” le vecchie “CASEMATTE”. Queste strutture in c.a. furono costruite durante l’ultimo conflitto al fine di difendere Roma da possibili attacchi e neutralizzare l’avanzata di colonne motorizzate lungo la via Aurelia. Nota di colore sulla “CASAMATTA “. In una di queste strutture vi ha prestato servizio di guardia il musicista romano ARMANDO TROVAJOLI autore ,tra le altre melodie. della rivista musicale RUGANTINO .
Associazione CORNELIA ANTIQUA-Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri-per Ass.ne CORNELIA ANTIQUA
CASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERI
CASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERICASTEL di GUIDO-PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.-FOTO DI FRANCO LEGGERIAssociazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.:cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–Roma via Aurelia Bivio di Fregene vecchie “CASEMATTE”-Foto di Franco LeggeriRoma via Aurelia Bivio di Fregene vecchie “CASEMATTE”-Foto di Franco LeggeriRoma via Aurelia Bivio di Fregene vecchie “CASEMATTE”-Foto di Franco LeggeriRoma via Aurelia Bivio di Fregene vecchie “CASEMATTE”-Foto di Franco LeggeriAssociazione CORNELIA ANTIQUA– Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
-Il sorgere del sole ultimi giorni di agosto 2022 –
Fotoreportage di Franco LEGGERI
Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 – Fotoreportage di Franco LEGGERI-citando il Poeta Johann Wolfgang von Goethe che così dipinse la nostra Campagna Romana: “Armonia eterea, delle ombre chiare e azzurre, fuse nel vapore che tutto avvolge in una sinfonia di trasparenze lucenti”
Campagna Romana-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Etimologia
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
Note
^ Il Catasto Alessandrino è un corpus di 426 mappe acquerellate voluto nel 1660 dal Presidente delle strade, regnante Alessandro VII, che dimostra lo stato delle proprietà fuori dalle Mura aureliane, organizzato secondo le direttrici delle strade consolari. Lo scopo era di assoggettare a contribuzione fiscale i proprietari dei terreni serviti dalle strade fuori le mura, per assicurarne la manutenzione. Il risultato, per noi moderni, è una rappresentazione fedelissima, minuziosa e pittoricamente assai interessante, della situazione dell’Agro romano al momento della sua stesura. Nelle piante vengono riportati anche costruzioni, monumenti, acque ecc., successivamente modificati e/o scomparsi, nonché informazioni sulle tenute. I documenti, conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, sono stati digitalizzati e sono accessibili in rete, dietro autenticazione.
Poeta Johann Wolfgang von GoetheCampagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –Campagna Romana-Il sorgere del sole agosto 2022 –
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Il Borgo di TRAGLIATA-La Storia di Tragliata in pillole-Franco Leggeri Fotoreportage–Al km 29 della Via Aurelia, tra Torrimpietra e Palidoro, sulla destra, in direzione delle colline, si dirama la Via del Casale Sant’Angelo, che porta verso Bracciano.Percorrendo questa strada che si snoda in aperta campagna tra i grandi poderi coltivati o lasciati a pascolo per bovini e ovini, sulla destra al km 8,5 si diparte la via di Tragliata che porta al castello omonimo per terminare dopo pochi chilometri al crocevia con la Via di Santa Maria di Galeria, Via dell’Arrone e la Via di Boccea. Il toponimo di Tragliata, riportato in antichi documenti come Talianum o Taliata, sembra derivare da “tagliata”, nome dato ai sentieri scavati nel tufo di origine etrusca. Il Castello di Tragliata-Località molto suggestiva, abitata fin dall’antichità più remota, come testimoniato da ritrovamenti etruschi e romani inglobati nelle costruzioni successive. Il castello, eretto tra il IX e il X secolo, aveva una funzione di difesa e di avvistamento ed era collegato visivamente con altre torri circostanti, come la vicina Torre del Pascolaro; trasformato successivamente in un grande casale ad uso abitativo ed agricolo, in alcuni tratti si possono notare avanzi di muratura precedente appartenenti alle opere di sostegno del fortilizio. Allo stato attuale, Tragliata si presenta come un borgo in magnifica posizione elevata, situato com’è su di una specie di rocca isolata in mezzo alla vallata del Rio Maggiore, ed è costituito da vari fabbricati che si affacciano su di un grande spazio erboso.I fianchi della collina sono scavati in più parti dalle tipiche grotte, utilizzate nel corso dei secoli come magazzini o ricovero di animali. Di proprietà privata, il castello è stato recentemente convertito in azienda agrituristica adibita a ricezione. Interessanti i grandi silos sotterranei di epoca etrusca utilizzati per la conservazione dei cereali.
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Il Borgo di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATAI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataIl Borgo di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATAPietra miliare Via di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATAI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataIl Borgo di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATAIl Borgo di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATAOLYMPUS DIGITAL CAMERABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATASat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATAChiesa di SANT’ISIDORO Sat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATAChiesa di SANT’ISIDORO Sat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATAChiesa di SANT’ISIDORO Sat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATAChiesa di SANT’ISIDORO Sat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATAChiesa di SANT’ISIDORO Sat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATAChiesa di SANT’ISIDORO Sat’ISIDORO BORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATABORGO di TRAGLIATAFontanile della Campagna Romana di via di TragliataBORGO di TRAGLIATA
Diciamo subito che il termine Polledrara di Cecanibbio, Fotoreportage di Franco Leggeri, non si riferisce ad allevamenti di polli o similari che dir si voglia, ma bensì ad un recinto per cavalli (puledri) e che la località di Cecanibbio,Museo Paleontologico Polledrara di Cecanibbio ,nonostante il nome che sembrerebbe di fantasia, esiste davvero e si trova fra la via Aurelia e la Boccea a circa sei chilometri dall’incrocio che dalla statale porta a Fregene, andando però dalla parte opposta verso l’interno e non verso il mare.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
La Polledrara di Cecanibbio, la quale come luogo e nome alla maggior parte delle persone non dice assolutamente nulla essendo peraltro completamente sconosciuta ai più, gode invece di fama internazionale fra gli archeologi e i paleontologi di tutto il mondo per tutta una serie di motivi ed in particolare per alcuni che a seguire cercheremo di spiegare in maniera dignitosa. Nel Pleistocene medio- superiore (300.000 anni fa), la campagna romana si presentava come è oggi il cuore dell’Africa, ciò vuoi per motivi climatici, che per quelli ambientali con grande varietà e ricchezza di vegetazione ed una forte presenza di corsi d’acqua e di grandi zone paludose; un habitat questo che permise la sopravvivenza di una fauna estremamente varia ad iniziare dall’elefante antico (Palaeoloxodon antiquus), un gigante di circa 6 metri d’altezza con zanne di 4 metri e mezzo, per proseguire poi con rinoceronti, bufali (tanti stando ai ritrovamenti), lupi, cervi, cinghiali ed anche scimmie della specie macaco, per non dire poi di varie specie di rettili (tartarughe d’acqua e di terra incluse) e di uccelli particolarmente di specie acquatica.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Ma la Polledrara di Cecanibbio è famosa fra gli esperti soprattutto perché in una estensione di circa un chilometro quadrato si trova un grande accumulo di resti fossili degli animali succitati mantenutisi in maniera eccezionale ed ivi accumulati in un alveo torrentizio (un torrente di circa 40 metri di larghezza con una profondità di un metro e mezzo che le portò con le sue piene, una sorta quasi di Arrone ante litteram; Arrone che, attualmente, per inciso, scorre non lontano da lì) furono inglobati perfettamente nei sedimenti vulcanici ivi “sparati” dal vulcano Sabatino (ora lago di Bracciano – tutti i laghi del Lazio sono il frutto del riempimento acqueo di ex coni vulcanici) tali da conservarsi, fino ai nostri giorni, in maniera ineccepibile per la “gioia” degli specialisti di cui sopra e per la curiosità ed il piacere visivo dei visitatori di oggi.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
I primi indizi di questo ampio giacimento di fauna fossile si ebbero già nel 1984 quando in una ricognizione di superficie la Soprintendenza Archeologica individuò lungo i fianchi di una collinetta un gran numero di resti, con, a seguire, delle ricerche più approfondite, fatte in loco successivamente in vari periodi.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Nel corso degli anni l’area ha restituito resti non completi di una cinquantina di elefanti antichi, tra cui – per la prima volta in Italia – sette crani di individui adulti appartenenti a questa specie. Ma anche, tramite la campagna di scavo iniziata nel 2011, un reperto assolutamente straordinario (sempre di elefante antico) di cui vale la pena di parlare visto e considerato che si tratta di una vera e propria “tragedia” animale nella quale incappò un rappresentante di tale specie.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Ecco la stupefacente storia emersa dalle ricerche effettuate. Uno di questi elefanti giganti scivolò all’interno di una grande e profonda fossa completamente piena di vischioso fango e, purtroppo per lui, cadde dentro con le zampe messe in malo modo, in particolare quelle posteriori, tanto da non poter più spingersi in alto verso la liberazione, anzi, probabilmente quei pochi movimenti che riuscì a fare complicarono ulteriormente la sua situazione avviandolo verso una bruttissima fine ed anzi esponendolo ai brutali attacchi animali ed umani che mai si sarebbero verificati se fosse stato libero di muoversi disponendo a difesa, verso qualsiasi direzione, le sue tremende zanne e la sua potente proboscide. C’è da dire che l’esemplare fossile della Polledrara di Cecanibbio con il fatto che rimase bloccato in posizione anatomica verticale ha permesso degli studi particolarmente esaustivi su questa specie e delle precise comparazioni con gli elefanti dei nostri giorni.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
A proposito degli attacchi che l’elefante prigioniero subì vanno segnalati quelli che effettuò l’uomo preistorico nello specifico l’Homo Heidelbergensis (ritrovato, in prima battuta, presso Haidelberg in Germania ed antenato dell’Homo Sapiens) che stanziava anche lui nella zona, probabilmente proprio per le ampie opportunità di caccia che essa offriva. Anzi, come dimostrato dagli istrumenti rinvenuti intorno alla carcassa del grande animale, lo macellò letteralmente fratturandogli anche le ossa sia a scopo alimentare che per trarne strumenti appunto di quella natura. E di ciò vi è assoluta certezza in quanto le analisi effettuate al microscopio elettronico, pure tramite l’Università La Sapienza, hanno infatti evidenziato, su alcuni oggetti usati dall’Homo Heidelbergensis, delle sicure tracce lasciate dal taglio della pelle, della carne e dell’osso. Va anche detto che la capacità cerebrale dell’Homo Heidelbergensis è praticamente quasi uguale alla nostra per cui non si può escludere totalmente che il Palaeoloxodon antiquus fu spinto volutamente nella fangaia per poi poter infierire su di esso con il minor pericolo possibile considerando la mole la forza dell’animale che libero di muoversi sarebbe stato un avversario estremamente poderoso molto difficile da uccidere.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Fra l’altro non è da trascurare, sempre alla Polledrara di Cecanibbio, il fatto del ritrovamento dei resti fossili di bufali visto e considerato che, fino a questi rinvenimenti, mai nel Pleistocene medio – superiore tali animali erano stati, fino ad allora, documentati nell’Europa meridionale. Attualmente questo luogo, molto particolare e molto speciale, è visitabile dal pubblico sia in gruppi che singolarmente (guardare per informazioni orari e giorni su internet digitando “Polledrara di Cecanibbio”) in maniera estremamente intelligente attraverso delle funzionali passerelle aeree che evitano, in tal modo, il calpestio di questa interessantissima area preistorica. Dimenticavo di dire che dei grandi e bei pannelli illustrativi a colori fanno vedere come doveva presentarsi tutta la zona 300.000 anni fa sia in ambito botanico che animale.
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Articolo scritto dal Prof.Arnaldo Gioacchini – Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale Unesco
Foto di Franco Leggeri-
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOMUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICOCASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Franco Leggeri Fotoreportage-Chiesa Cattedrale Diocesi di Porto e S.Rufina-
STORIA del cinquantenario della Cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a la Storta.
-Nel 1957 – CINQUANTA ANNI FA…-
2007-il 27 ottobre,Il servo di Dio Papa Pio XII,
Visitava la Chiesa Cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a la Storta.
La Diocesi Suburbicaria di Porto – Santa Rufina, per desiderio e volontà del suo Pastore, il Vescovo Mons. Gino Reali, si appresta a ricordare il 50° anniversario della visita di Papa Pio XII alla Chiesa Cattedrale Diocesi di Porto e S.Rufina, avvenuta il 27 ottobre 1957.
La visita del Pontefice fu un avvenimento – eccezionale per quel tempo – che merita di essere ricordato in modo particolare.
Il Vescovo invitando l’intera Diocesi a celebrare il 50° sottolinea l’importanza del ricordo di quell’ evento come
Occasione per rendere grazie al Signore per aver donato alla Chiesa il “Pastor Angelicus”, il Papa della modernità e del grande Magistero.
Occasione per noi che ci obbliga ad uno speciale ricordo e senso di gratitudine verso un Papa che, attraverso il ministero dell’allora Vescovo, Sua Em.za il Cardinale Eugenio Tisserant, ha dimostrato verso la nostra Diocesi paterna condiscendenza e bontà.
E’ ancora occasione per ricordare e riconoscere la figura del grande Pontefice Pio XII di cui Sua Em.za il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha detto: “Oggi, liberida pregiudizi, si può riconoscere la grandezza e la completezza della figura di Papa Pacelli, la sua umanità e rivalutare il suo magistero”.
S.E. Monsignor Gino Reali ,Il Vescovo di Porto e Santa Rufina
Le celebrazioni in programma dal 23 al 28 ottobre prevedono:
-Il 23 alle ore 20.30 : Conferenza: Tavola rotonda – ( partecipano: Padre Federico Lombardi, Tornielli Andrea, Di Giacomo Filippo )
-Il 26 alle ore 20.30 : concerto polifonico in Cattedrale: “Te Deum dentro la storia della Cattedrale”, diretto d’Alvaro Vatri.
-Il 27 alle ore 20.30 : proiezione del filmato documentario: “Pio XII il Principio di Dio” di Luigi Bizzarri, presentato dello stesso autore.
-Inoltre, Domenica 28 una Solenne Concelebrazione Eucaristica, presieduta del Vescovo Mons. Gino Reali.
La visita di Papa Pio XII alla Chiesa Cattedrale di Porto – S. Rufina nel lontano 1957 venne quasi a conclusione del lungo e travagliato percorso compiuto nel dare alla Diocesi, dopo secoli, e finalmente nel suo territorio, la propria Chiesa cattedrale.
E’ bene qui ricordare le varie tappe e fasi succedutesi nella progettazione e costruzione della Cattedrale dall’inizio nel 1923 fino alla sua consacrazione nel 1950, cui seguì la visita del Papa nel 1957.
Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e Maria, Chiesa Cattedrale Diocesi Suburbicaria di PORTO-S.RUFINA.S.E. Monsignor Gino Reali-Vescovo di Porto – Santa Rufina
UN PO’ DI STORIA
1 – La cattedrale “ prima della Cattedrale “ (1926-1946)
a cura di Alvaro VATRI
La Cattedrale de La Storta ha le sue “radici” nel 1923, quando fu costituito il Comitato per la costruzione di un Santuario nel luogo dove S. Ignazio di Loyola aveva avuto, nel novembre 1537, la visione cosi importante per la nascita dell’Ordine dei Gesuiti e per il suo stesso nome: Compagnia di Gesù. Precedentemente c’erano stati dei tentativi di realizzare un tale progetto: “si penso dapprima ad un ampliamento della cappella attuale, e se ne fece il disegno col suo preventivo esistenti nell’Archivio della Compagnia di Gesù. Pero le strettezze del luogo non avrebbero permesso un ingrandimento sufficiente ai bisogni, e per questa ed altre ragioni il progetto fu abbandonato”. Necessità dunque di dare decoro al luogo tanto importante per il “gran Patriarca”, ma anche necessità di venire incontro ai bisogni religiosi della popolazione della Parrocchia di Isola Farnese di cui “il Santuario è il vero centro naturale. Lo stato di abbandono della popolazione, nei riguardi religiosi e sociali, ci costringe a dire che l’erezione di questo nuovo tempio è une vera necessità morale per soddisfare convenientemente ai grandi e urgenti bisogni degli abitanti”. Ecco dunque anche l’interessamento del “Sommo Pontefice Pio X che negli ultimi anni prima della guerra (la I Guerra Mondiale, n.d.r.) convocò i cappellani dell’Agro Romano per conoscerne lo stato ed i bisogni religiosi. In tale occasione gli furono esposte anche le condizioni della Storta ed il Santo Padre, informato dei bisogni urgenti di quella popolazione, promise di farvi costruire una bella chiesa, con la casa per il cappellano, stanziando a tale scopo la somma richiesta. Da parte dei proprietari fu gia allora offerto il terreno necessario per la nuova fabbrica. L’immane catastrofe della guerra e la morte del Papa fecero naufragare anche questo progetto”.
Monsignor Tito MANCINI(dietro vestito di nero) accompagna S.E. Cardinale EUGENIO TISSERANT nella inaugurazione del Collegio Sant’Eugenio –LA STORTA .
Il progetto del 1923
Nel mese di luglio del 1923 il Cardinale Antonio Vico, Vescovo di Porto e Santa Rufina, decise che si doveva mettere mano alla costruzione di una nuova chiesa a La Storta. Diede quindi incarico al Vicario Generale Monsignor Carlo Grosso di invitare gli interessati per dare concretezza al progetto. Tutti i proprietari dei territori attigui a quello de La Storta dettero il loro appoggio. “Cosi fu costituito nell’adunanza del 18 luglio 1923 il nuovo Comitato, di cui Sua Eminenza il Cardinale Vico assunse la presidenza onoraria.
antico santuario di S. Ignazio di Loyola
Trattandosi di un antico santuario di S. Ignazio di Loyola, si volle chiamare un suo figlio alla carica di presidente effettivo e quindi a questa fu eletto il P. Leopoldo Fonck S. J., Professore del Pontificio Istituto Biblico. Gli altri componenti il Comitato sono: Mgr. Carlo Grosso, Vicario Generale; Sac. D. Francesco Guglielmi, Arciprete Parroco dell’Isola Farnese, Segretario; Sac. D. Antonio D’Antoni; Comm. Ing. Carlo Grazioli; Cav. Stanislao Grazioli; Comm. Ing. Francesco Ceribelli; Avv. Cav. Luigi Filippo Re, Cameriere d’onore di Cappa e Spada di Sua Santità, Amministratore dell’Ecc.ma Casa Salviati”.
Dopo averne informato il Papa Pio XI, che accolse la notizia con grande soddisfazione, il Comitato passò alla fase operativa. Per il progetto fu interpellato l’architetto romano Giuseppe Astori che offrì la sua collaborazione come “personale e gratuito contributo alla iniziativa del Comitato”.
Nel novembre di quello stesso anno fu effettuato un sopralluogo per decidere il luogo dove erigere la chiesa e l’esame dei materiali per la sua costruzione. Quanti ai materiali gli esperti giudicarono di ottima qualità il tufo della grande cava appartenente all’Arcipretura dell’ Isola Farnese che pertanto fu offerto gratuitamente dal Parroco. La pozzolana dell’Arcipretura fu invece giudicata meno buona e quindi poco adatta ad una grande costruzione. Ma a tale necessità venne incontro il Sig. Mattaini, proprietario di una cava di pozzolana nella Valle della Storta, che donò il materiale ritenuto di ottima qualità. Per il trasporto dei materiali e delle altre cose i padroni delle tenute attigue a La Storta assicurarono che avrebbero messo a disposizione, “in quanto lo permetterebbero le circostanze, i loro carri, birrocci e camions. Inoltre si può sperare che dai coloni dei grandi fondi vicini, nei mesi più liberi da lavori urgenti, si presterà un opportuno aiuto per la mano d’opera richiesta”.
Quanto al luogo della erigenda chiesa, già precedentemente era stata individuata la collina attigua alla Cappella di S. Ignazio, tra la via Cassia e la ferrovia, che ha una superficie di circa 80.000 metri quadrati, di proprietà della duchessa Maria Salviati, come il luogo più adatto sia per motivi contingenti (la vicinanza, 15 metri in linea d’aria al luogo della Visione), sia in prospettiva in quanto punto di riferimento per il futuro quartiere che si sarebbe sviluppato inevitabilmente date le condizioni logistiche e urbanistiche (la via Cassia, la stazione ferroviaria, l’acquedotto dell’ Acqua Paola, la luce, il telefono e le poste) che la borgata presentava. La duchessa Maria Salviati donò circa 7000 metri quadri per la nuova chiesa e mise a disposizione del Comitato altri 7000 metri quadri a un prezzo di favore, per formare il piazzale davanti alla chiesa.
Il progetto dell’architetto Astori prevedeva una chiesa di 40 m. di lunghezza, 20 di larghezza e 18 di altezza. Egli stesso ne descrive lo stile: “La chiesa ha il tipo caratteristico del tardo Rinascimento italiano, quello che in Germania viene definito come “stilo gesuitico” (Jesuitenstil). Presenta perciò una sola navata con cappelle laterali, abside al fondo e copertura a volta… le esigenze della località hanno indotto ad aggiungere davanti all’ingresso un portico, perché l’entrata venga meglio difesa dalle intemperie… Nell’interno lasciano in evidenza grandi superficie piane, giacché intento dei promotori è di profittare nel modo più largo degli insegnamenti che la decorazione pittorica può fornire al pubblico semplice delle campagne”.Il Comitato prevedeva la dotazione anche di opere annesse: la casa del parroco con un bel giardino, alcune sale “per i circoli cattolici, un ricreatorio per i giovani, una grande sala per le conferenze popolari, un piccolo ufficio d’informazione per la gente di campagna, una sala per la biblioteca circolante… e inoltre alcuni locali da mettere, di comune accordo, a disposizione dell’Amministrazione comunale e del Comitato per le scuole dei contadini”. Conclude P. Fonck : “Ecco dunque ciò che vuol essere il Santuario di S. Ignazio alla Storta. Vuol soddisfare ad un duplice santo dovere. A gloria di Dio che accordò al Santo un così insigne favore nella povera cappella della Storta vuol degnamente onorare la memoria del gran Patriarca in un luogo che gli è rimasto sempre tanto caro e che si trova al presente in uno stato di triste abbandono. Nello spirito di Ignazio, e coi mezzi da lui suggeriti, e sotto il suo potente patrocinio celeste, vuol essere un centro benefico di attività rigeneratrice per il bene spirituale ed in un tempo pure per il progresso materiale di tutta la popolazione, della parrocchia, della diocesi, e di tutto l’Agro Romano”.Tre anni dopo la costituzione del Comitato, il 31 luglio 1926, fu posata la prima pietra della nuova chiesa, della quale nel frattempo era cambiato il progetto. La nuova costruzione fu progettata dall’Architetto Comm. Filippo Sneider. “L’architetto Sneider ha lavorato molto per il Vaticano al momento della Conciliazione. Contemporaneamente ai lavori a La Storta ha costruito sulla via Appia la Chiesa di Ognissanti, per don Orione, e c’è una grande somiglianza tra le due chiese, anche se quella è a croce latina, mentre la Cattedrale è a croce greca. Ma soprattutto c’è un elemento “stilistico” assolutamente identico: le finestre, che sono tre, inserite in un arco grande”.Ma poco dopo difficoltà di vario genere e mancanza di fondi dispersero il Comitato e costrinsero ad interrompere i lavori lasciando la costruzione allo stato di rudere, e in tale stato la trovò, nel 1946, il Cardinale Eugenio Tisserant divenuto vescovo della Diocesi[1].
Diocesi di Porto e Santa Rufina- Papa Pio XII visita la Cattedrale (29 ottobre 1957) ricevuto dal Cardinale Tisserant
2 – La nuova Cattedrale (1946-1957) – La visita di Papa Pio XII
Diocesi di Porto e Santa Rufina- Papa Pio XII visita la Cattedrale (29 ottobre 1957) ricevuto dal Cardinale Tisserant
a cura di don Adriano FURGONI
Ora è lo steso Cardinale Eugenio Tisserant che a più riprese racconta nelle sue lettere pastorali alla Diocesi (sono in tutto 20 lettere scritte dal 1946 al 1966) l’origine e la costruzione della nuova chiesa Cattedrale di Porto-S. Rufina dedicata ai SS. Cuori di Gesù e Maria.
Da S. Ippolito nell’Isola Sacra a La Storta sulla Via Cassia – Francigena
Diocesi di Porto e Santa Rufina-La Cattedrale S.Eccellenza Cardinale EUGENIO TISSERANT benedice la campana (24 marzo 1955)
Nella quarta lettera pastorale del 22 agosto 1947 cosi scrive:
“Mancanza di una chiesa cattedrale.
Non è tutto : nella Diocesi di Porto e Santa Rufina non vi è soltanto insufficienza o scarsezza di chiese parrocchiali: essa difetta pure di quella Chiesa che dovrebbe essere il centro della vita diocesana: voglio dire la Cattedrale.
La Cattedrale nostra che era dedicata a S. Ippolito nell’Isola Sacra, fu distrutta, a quanto pare, nella prima metà del secolo XI e non fu mai ricostruita. In quel tempo la vita si ritirava dal litorale, troppo spesso disturbato dalle scorrerie di corsari mussulmani , venuti dai porti barbareschi, mentre la malaria rendeva una larga zona inabitabile, cosicché il nome di Porto si trasferì nel Medio Evo a Castelnuovo di Porto, vicino al Tevere, ben lungi dal porto di Traiano, che era il luogo suo originale, ed all’altra estremità della Diocesi Suburbicaria, che era stata formata con la riunione della Diocesi di Porto con quella di Santa Rufina – Selva Candida.
Ora mentre sarebbe poco ragionevole tentare la costruzione della Cattedrale in un luogo così eccentrico com’è l’Isola Sacra soggetto ad alluvioni e dove il getto delle fondamenta sarebbe oltremodo costoso, la Provvidenza sembra averci preparato la possibilità di avere una Cattedrale nel centro geometrico della Diocesi con spese relativamente limitate, qualora vogliamo terminare la Chiesa cominciata nel 1926 in località detta “La Storta”, al Km. 17 sulla via Cassia. Tale Chiesa, la cui ubicazione fu scelta in relazione con un episodio della vita di S. Ignazio di Loyola, che ebbe colà una importante visione, si trova in un luogo bene elevato, a 170 m. sul livello del mare e in una posizione tale che si può scorgere da quasi tutti i punti della Diocesi. Il Tempio della Storta è stato lasciato in abbandono per più di 20 anni ma i muri sono in ottimo stato di conservazione ed i lavori recentemente eseguiti per rettificare il tracciato della via Cassia sono stati fatti in modo tale che la Chiesa vi ha guadagnato in grandiosità, perché resa accessibile a mezzo di un maestoso scalone. La Chiesa ed il terreno sul quale essa è fabbricata, sono proprietà della Diocesi. Mentre dunque mi sforzerò di ottenere aiuti anche fuori della Diocesi, vi domando di incoraggiarmi nel compito che son disposto ad assumermi, di dotare cioè la Diocesi di Porto e Santa Rufina della degna Cattedrale”
S.E.Cardinale EUGENIO TISSERANT
Con il patrocinio di Maria Pellegrina (Peregrinatio Mariae – 1950)
La nuova Cattedrale sulla via dei pellegrini
E’ ancora il Cardinale Tisserant che, nella sua settima lettera Pastorale del 1950 manifesta alla diocesi il suo canto di lode e di ringraziamento al Signore per il dono della nuova Cattedrale spiegando il doppio titolo della sua dedicazione:
“Il programma della nostra Peregrinatio Mariae è stato combinato in modo che si termini nel giorno dell’Annunziata. Principiata l’8 dicembre, quando la Chiesa commemora la creazione dell’anima purissima di Maria, preservata nella sua Concezione dalla macchia del peccato originale, la visita della Madonna alle parrocchie e cappelle della Diocesi si concluderà nel giorno in cui si celebra la venuta nel suo seno del Figlio di Dio. Quel giorno, a Dio piacendo, avrà luogo la consacrazione della chiesa della Storta, completata per diventare la Cattedrale della diocesi suburbicaria di Porto e Santa Rufina, e, alla sera, Maria vi farà il suo ingresso solenne, affinché il suo simulacro vi dimori esposto alla venerazione di tutti.
Papa PAOLO VI-S.E. Cardinale EUGENIO TISSERANT
Vi rammento brevemente la storia della nostra futura Cattedrale. Quando i pellegrini di Roma, che procedevano dal Nord attraverso il Viterbese arrivavano a quel tratto della Via Cassia, che per lasua sagoma diede alla località il nome di “Storta”,usavano salire sul monticello che dominava la strada ad occidente. Di là scorgevano a sinistra di Monte Mario la pianura di Roma e dal 1588 in poi, a destra dello stesso monte, la parte superiore della cupola di San Pietro. Potete immaginare la gioia di coloro che dopo giorni e giorni di penoso viaggio,
in carri, a cavallo o a piedi, vedevano finalmente a poche miglia la mèta della foro fatiche. Un canto di ringraziamento,un tripudio di lodi prorompeva dai loro petti: Te Deum, Benedictus, Magnificat, e ringraziavano con una preghiera ardente il Signore e la Sua Beata Madre, che li avevano protetti in mezzo a tanti pericoli su strade non sempre sicure, e conservati in salute. Una cappella era stata eretta sul cucuzzolo della collinetta, che non servendo per il ministero abituale dei pochissimi abitanti della zona era divenuto presto fatiscente.Verso la fine di novembre 1537 alla Storta passava s. Ignazio di Loyola, che procedeva verso Roma accompagnato da Pietro Fabro e da Giacomo Lainez; passava alla Storta e vi riceveva da Dio promesse per l’avvenire della sua Società.
La memoria della visione di S. Ignazio è rimasta fissata nella cappella che sorge sull’orlo della Via Cassia, ma tale cappellina sembrò insufficiente ad un Gesuita tedesco, il compianto P. Leopoldo Fonck, che, professore a Roma, amava far frequenti camminate attraverso l’Agro Romano e volentieri si raccoglieva alla Storta nel ricordo del suo beato Padre. Egli era devotissimo del Sacro Cuore e della Suora Visitandina che ricevette nel 1673 il Suo messaggio, S. Margherita Maria Alacoque, la cui canonizzazione era vicina quando il Padre tornò a Roma alla fine della prima guerra mondiale. P. Fonck sogno allora di fabbricare alla Storta, pensando anche alla cura pastorale dei contadini dell’Agro Romano, la prima chiesa che sarebbe stata dedicata alla Santa prediletta del S. Cuore di Gesù dopo la sua canonizzazione e cominciò a raccogliere fondi. Ma il suo piano era troppo grandioso e nel 1926 dovette abbandonare la costruzione senza poterla terminare, morendo poi nel 1930, fuori Roma.
Oggi, parecchie chiese sono state dedicate nel mondo a S. Margherita Maria e lo scopo che si era prefisso P. Fonck è caduto da sé. Siccome poi le somme spese dal 1946 a tutto’oggi superano assai quelle raccolte dal P. Fonck, ho deciso di dedicare la nostra nuova cattedrale al Redentore ed alla Sua amata Madre, sotto il doppiotitolo che manifesta tanto bene il loro amore per l’umanità, dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. La nostra Madonna Pellegrina vi ha mostrato durante le ultime settimane le ricchezze del suo Cuore, tanto graziosamente additato dal Bambinello sorretto dal suo braccio sinistro: per il simulacro di Maria disporremo perciò un degno trono e vi ringrazio fin d’ora di quanto avete offerto per la decorazione della cappellina in cui sarà eretto”.
Le fatiche sopportate per la costruzione del nuovo Tempio
Dopo dieci anni di episcopato, nella 13 lettera pastorale del 15 aprile del 1956, il Cardinale Tisserant apre ancora il suo cuore di padre e pastore per raccontare alla sua chiesa diocesana le cure prestate nella costruzione della nuova Cattedrale, del campanile e del complesso sant’Eugenio:
“Quando, ancora prima di optare in Concistoro,mi ero informato sulla situazione della Diocesi, mi ero posto subito il quesito: come intensificare la vita religiosa, senza una Cattedrale ed un centro diocesano? Il titolo di cattedrale era attribuito allora alla cappella dell’antica residenza dei Vescovi, vicina al Porto di Traiano; ma quella cappella era di cosi modeste dimensioni che non si prestava, né alla maestà delle cerimonie pontificali, né alla convocazione di adunanze numerose. Per di più, la stessa residenza aveva cessato di essere proprietà diocesana, da quanto il mio predecessore, il Cardinal Baggiani, l’aveva ceduta all’Istituto dei Figli di S; Maria Immacolata.
Ora accade che, proprio nei primi mesi del 1946 ricevetti l’invito di recarmi l’anno seguente negli Stati Uniti d’America in occasione del secondo centenario della fondazione di una Università, con la quale avevo avuto relazioni come addetto al governo della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il Santo Padre mi autorizzò ad assentarmi anche per un lungo periodo e cominciai a sognare che quell’invito poteva fornirmi l’occasione di risorse, con cui attuare la costruzione di una cattedrale. C’era a La Storta il rudere di una grande chiesa cominciata nel
1926 ed abbandonata da venti anni. La Storta si trovava al centro geometrico della Diocesi, almeno come questa si presentava prima dello smembramento delle due parrocchie di Grotta Rossa e Prima Porta. L’ubicazione del santuario sulla sommità di un cucuzzolo isolato e alto, conveniva ad una chiesa, destinata a diventare il centro spirituale di una vasta zona, dominata fino ai suoi primi margini dall’altura in questione.
Perciò quando, pochi giorni dopo la mia presa di possesso, fui autorizzato dal Santo Padre a cedere al Governo italiano una striscia di terreno, che doveva servire a rettificare il tracciato della Via Cassia, potei porre come condizione che il muro di sostegno avesse carattere monumentale, cosi come la scala di accesso alla futura cattedrale. Non ho domandato alla Diocesi nessun contributo per la costruzione della Cattedrale, consacrata il 25 marzo 1950, né per quella del campanile, terminato soltanto nel 1955, non per mancanza di fiducia nel vostro senso di collaborazione, ma perché sapevo che in molte parrocchie, se non in tutte, sarebbe stato necessario mettere in programma costruzioni di chiese o cappelle,rese indispensabili dal continuo aumento della popolazione dal 1900 a questa parte, e volevo lasciare integre le possibilità di concorsi finanziari locali.
Alcune circostanze provvidenziali mi hanno permesso di raccogliere i fondi per edificare la cattedrale, il suo campanile e la prima parte del Collegio Seminario, sviluppato poi, dall’Opera del Cenacolo nell’Istituto S. Eugenio; ho potuto, anche per altre costruzioni, interessare benefattori estranei alla Diocesi, la cui generosità merita la nostra viva riconoscenza”.
Diocesi di Porto e Santa Rufina- Papa Pio XII visita la Cattedrale (29 ottobre 1957) ricevuto dal Cardinale Tisserant
Il grande evento della visita di Papa Pio XII alla Cattedrale
Proprio 50 anni fa, il 27 ottobre del 1957 il Papa Pio XII compie il suo viaggio più lungo fuori delle mura Vaticane e da Castel Gondolfo.Ma lasciamo che sia ancora il Cardinale Tisserant nella sua 15 lettera pastorale del 1958 a raccontarci la straordinarietà e il significato di quella visita: “Si compiono in questi giorni dodici anni, da quando ho preso la responsabilità del governo della Diocesi di Porto e S. Rufina. In questo ultimo anno, oltre la solenne celebrazione del Sinodo diocesano, molto altro lavoro è stato compiuto. Sono fatti ed opere importanti, ma c’è stato quest’anno un avvenimento, che merita di essere ricordato in modo particolare, ed è la venuta del Sommo Pontefice a S. Maria di Galeria, per l’inaugurazione del nuovo centro radiofonico della Santa Sede, con la Sua visita alla Cattedrale della Diocesi di Porto e S. Rufina. Non potremo mai essere abbastanza riconoscenti a Pio XII, per quell’atto di sovrana condiscendenza. La bontà del papa per la Diocesi, manifestatasi già tante volte ed in tanti modi, ci obbliga ad uno speciale senso di gratitudine e spero che la vostra riconoscenza si manifesterà con una maggiore, affettuosa deferenza per l’augusta persona di Sua Santità ed una più perfetta ubbidienza a tutte le direttive, date dal Papa stesso o dalle autorità della Curia Romana, che sono interpreti del Suo volere. Soprattu pregherete per il Santo Padre, perché Iddio lo conservi in buona salute e Lo protegga contro tutti i pericoli, per il maggior bene della nostra Santa Chiesa.Affinché i nostri posteri rimangano edotti dal favore, che ricevemmo il 27 ottobre 1957, una lapide sarà inaugurata fra poco nella Cattedrale de La Storta, con un’iscrizione latina, che vi diamo qui in traduzione.“In questo tempio Cattedrale della diocesi di Porto e S. Rufina, cominciato nel 1926 dal P. Fonck S.J. e nel 1950 condotto a termine e consacrato dal Card. Eugenio Tisserant, Decano del S. Collegio e Vescovo della stessa diocesi, il 27 ottobre 1957 sosto molto volentieri il Sommo Pontefice Pio XII, diretto alla non lontana Galeria; il Quale volle cosi, con la Sua stessa augusta presenza, testimoniare all’Eminentissimo Cardinale, quanta compiacenza e quale benevolenza nutrisse verso di lui, sia per la costruzione del sacro tempio, si, e molto più per l’ammirabile zelo spiegato nel governo dei suoi fedeli.
Diocesi di Porto e Santa Rufina-Calici donati da Papa Pio XII in visita alla Cattedrale (29 ottobre 1957)
Dall’ Osservatore Romano
L’ Osservatore Romano del 28-29 ottobre 1957 titolava in prima pagina, corredata da grandi foto dell’evento: Il Sommo Pontefice benedice ed inaugura con un suo messaggio al mondo il nuovo Centro della Radio Vaticana in Santa Maria di Galeria.
Fu proprio nel viaggio da Catelgandolfo a Santa Maria di Galeria, il viaggio più lungo fatto dal Pontefice, che il Papa, transitando per la via Cassia, si fermò a la Storta e visitò la Cattedrale ancora non del tutto ultimata.
Nella seconda pagina del giornale, nella cronaca del viaggio papale leggiamo il racconto della Visita: “Sua Santità partiva da Castelgandolfo verso le ore 9.00 in forma strettamente privata…il Santo Padre è stato acclamato lungo il percorso, dalla popolazione di Castelgandolfo e da numerosi gruppi di fedeli che attendevano sull’Appia, l’Appia Pignatelli, Ponte Garibaldi, il Lungotevere fino a Piazza della Rovere ,il Ponte Duca d’Aosta, Piazza Pasquale Paoli, il Lungotevere fino all’altezza di Valle Giulia, Ponte Flaminio, la Via Cassia Nuova e la Cassia Vecchia e la Braccianese. Particolarmente entusiastico il saluto dei malati di Villa San Pietro all’ingresso della clinica dei Fatebenefratelli. A la Storta, che fa parte della Diocesi Suburbicaria di Porto e Santa Rufina, Sua Santità è giunto alle ore 9.50 ed ha compiuto una breve sosta, salutato da una folla plaudente. Sulla porta della Cattedrale, consacrata il 25 marzo 1950, e dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, attendeva l’Emm.mo Cardinale Decano del Sacro Collegio, Eugenio Tisserant, Vescovo di Porto e Santa Rufina. Erano con l’Emm.mo Cardinale il suo Vescovo Ausiliare, S. E. Mons. Pietro Villa e il Capitolo Cattedrale. Presente all’ingresso, S. E. Rev.ma Mons. Angelo Dell’Acqua., Sostituto della Segretaria di Stato. Il Cardinale porgeva l’acqua benedetta al Sommo Pontefice che, segnatosi, aspergeva la folla ed entrava nella Cattedrale,tra le filiali acclamazioni del popolo, recandosi ad adorare i Santissimo. Sua Emm.za Rev.ma il Cardinale Tisserant, illustrava quindi succintamente il tempio all’Augusto Pontefice, il Quale si soffermava pure esprimendo il Suo paterno compiacimento, dinanzi alle artistiche stazioni della Via Crucis,eseguite dal nipote del cardinale Prof. Albert Serrure, il quale ha riprodotto fedelmente il paesaggio e le varie località dei Luoghi Santi. Uscito dalla Cattedrale il Supremo Pastore, mentre le Associazioni di Azione Cattolica e la popolazione Gli rinnovano con entusiastica manifestazione l’attestato del loro filiale devotissimo affetto, dopo avere percorso in vettura parte del perimetro esterno della chiesa, proseguiva per Santa Maria di Galeria , ove giungeva alle ore 10.20”.
S.E. Monsignor Tito Mancini, Vescovo Ausiliare per la Diocesi di Porto e Santa Rufina. con il Cardinale EUGENIO TISSERANT
Una memorabile “ottobrata” romana :Racconto di un testimone
Tra i testimoni di quella Visita il Parroco di allora, Mons. Garlo Bessonnet che, nonostante la
sua veneranda età – quest’anno ha celebrato il 60° anniversario di ordinazione sacerdotale –
ricorda benissimo, in tutti i particolari, la visita del papa alla Cattedrale. Gli abbiamo chiesto di
raccontarla. La racconta come una “ Memorabile ottobrata romana”.
“Tante sono le chiese e i luoghi visitati dagli ultimi papi a partire da Giovanni XXIII che difficilmente si possono contare. Prima di papa Roncalli non era così; per quasi un secolo, dal 1870 fino agli anni 1960, i Sommi Pontefici sono stati molto sedentari.
In fondo alla nostra chiesa cattedrale, a destra del portone centrale, una lapide , scritta in latino, riporta l’evento.
L’avvenimento aveva allora un carattere singolare, eccezionale.
L’anno 1957 fu molto importante per la nostra Cattedrale.
Nei primi giorni di agosto, in coincidenza con il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del Cardinale Vescovo Eugenio Tisserant, vi si tenne il Sinodo diocesano: per tre giorni consecutivi tutto il clero è stato impegnato in un lavoro intenso di celebrazioni, discussioni, votazioni, ecc. portato avanti con slancio malgrado il gran caldo.
Nel cuore dell’estate giunse la notizia che il Santo Padre Pio XII, nel recarsi dalla sua residenza estiva di Castel Gandolfo a Santa Maria di Galeria per inaugurare il nuovo Centro trasmittente della Radio Vaticana, avrebbe fatto una sosta alla Storta.
Siccome allora, come l’abbiamo detto sopra, i Papi uscivano poco l’annuncio suscitò molto entusiasmo: La Storta sarebbe stata una tappa del più lungo viaggio effettuato da Papa Pacelli durante i quasi venti anni del suo pontificato! Fu deciso di addobbare sfarzosamente con tappeti e drappeggi la cappella del SS.mo Sacramento davanti al quale il Papa doveva fermarsi in adorazione. Le forze di sicurezza vennero per un sopralluogo minuzioso. Lo spazio destinato ai fedeli fu limitato al transetto destro della chiesa; molti parrocchiani della Storta dovettero accontentarsi di stare lungo la Via Cassia per vedere passare il Papa in macchina.
La domenica 27 ottobre fu una splendida giornata di sole. Nel cuore della mattinata, al suono delle campane inaugurate da poco, la macchina targata “SCV 1” si fermò davanti al portone centrale. Ossequiato dal Cardinale Eugenio Tisserant e accompagnato da Mons. Angelo Dell’Acqua, sostituto della Segreteria di Stato, Sua Santità Pio XII fece il suo ingresso dirigendosi poi a sinistra verso l’altare del SS.mo. Tutti si inginocchiarono; dall’altare maggiore sul quale era stato aperto il messale, in qualità di parroco io ebbi l’onore di cantare in latino l’orazione “pro Papa”. Dopo un momento di adorazione in silenzio, il Santo Padre impartì la Benedizione Apostolica, poi si fermò ad ascoltare con compiacimento alcune spiegazioni che gli diede il Cardinale prima di presentargli il suo vescovo ausiliare Mons. Pietro Villa, il cancelliere vescovile Mons. Tito Mancini e i membri del Capitolo Cattedrale, intervenuti al completo.
La visita durò poco più di un quarto d’ora.
Nel vedere l’aspetto fisico del Papa, che stava nel suo ottantunesimo anno di età, nessuno poteva prevedere che meno di un anno dopo, il 9 ottobre 1958, doveva morire.
Abituati come siamo ora, a partire dalla seconda metà del 20° secolo, allo stile pastorale delle visite dei papi possiamo rimanere sorpresi dal carattere protocollare della sosta di Pio XII. Tale gesto era comunque un segno di alto riconoscimento per lo zelo e la generosità del Cardinale Decano del Sacro Collegio a favore della Diocesi Portuense e fu al contempo un valido incentivo ed incoraggiamento per i sacerdoti e gli operatori pastorali di allora. Il Papa fece dono alla Cattedrale di un bel calice.
Per molto tempo in Cattedrale nelle sante messe dell’ultima domenica di ottobre, suffragando la sua anima, si fece memoria del “Pastor Angelicus” Eugenio Pacelli nel ricordo del suo ultimo viaggio, una bella e indimenticabile ottobrata romana”.
[1] Tutte le citazioni da Leopoldo Fonck S.J “La Storta” Un antico santuario di S. Ignazio di Loyola alle porte di Roma. Roma, 1924.
FOTO GALLERY-Le Foto originali sono di Franco Leggeri
S.E.Cardinale EUGENIO TISSERANTS.E. Monsignor Gino Reali ,Il Vescovo di Porto e Santa RufinaMons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994)S.E. Mons. GINO REALI -Vescovo di Porto e Santa Rufina e Mons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994)S.E. Mons. GINO REALI -Vescovo di Porto e Santa RufinaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaS.E. Mons. GINO REALI -Vescovo di Porto e Santa Rufina e Mons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994) e Don Matteo MorettiCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaMons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994)Cattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaS.E. Monsignor Gino Reali ,Il Vescovo di Porto e Santa RufinaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaParrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaS.E. Mons. GINO REALI -Vescovo di Porto e Santa RufinaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaCattedrale-Diocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi di Porto e Santa Rufina Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaMons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994)Cattedrale- Campanile-Diocesi di Porto e Santa RufinaDiocesi Suburbicaria di PORTO-S.RUFINA Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaDiocesi Suburbicaria di PORTO-S.RUFINA Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaS.E. Mons. GINO REALI -Vescovo di Porto e Santa Rufina e Mons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994)Mons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994)Diocesi di Porto e Santa Rufina Chiesa Cattedrale Diocesi Suburbicaria di PORTO-S.RUFINA Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e MariaCattedrale della Diocesi di Porto e Santa Rufina a La Storta la tomba del Cardinale Eugenio Tisserant , Monsignor Luigi Martinelli, Monsignor Pietro Villa e Vescovo Andrea PangrazioCattedrale della Diocesi di Porto e Santa Rufina a La Storta la tomba del Cardinale Eugenio Tisserant , Monsignor Luigi Martinelli, Monsignor Pietro Villa e Vescovo Andrea PangrazioParrocchia dei SS Cuori di Gesù e Maria, Chiesa Cattedrale Diocesi Suburbicaria di PORTO-S.RUFINA.Mons. Diego BONA- Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina
S.E. Mons. GINO REALI -Vescovo di Porto e Santa Rufina e Mons. Diego Bona – ex-Vescovo di Porto e Santa Rufina (1985 – 1994) e Don Matteo Moretti
Diocesi di Porto e Santa RufinaDiocesi di Porto e Santa Rufina
Diocesi di Porto e Santa RufinaDiocesi di Porto e Santa Rufina
Diocesi di Porto e Santa Rufina
FOTO GALLERY-Le Foto originali sono di Franco Leggeri
ROMA-Castel di Guido-Scavi Archeologici nella Villa Romana delle Colonnacce
CASTEL DI GUIDO-Roma Municipio 13- Villa Romana delle Colonnacce .
I Volontari del Gruppo Archeologico Romano (GAR) nel Fotoreportage di Franco Leggeri nella Villa Romana delle Colonnacce.I Volontari capitanati dall’Arch. VALERIA GASPARI hanno ripreso, a pieno ritmo, gli scavi nella Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido. La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale. La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono, catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Contessa di Bertinoro dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “. Ricordiamo il recente, superbo, lavoro della Dott.ssa Daniela Rossi nel quartiere Massimina sulla via Aurelia. La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela.Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Note a margine dell’articolo-
Oggi erano presenti, tra gli altri, il mitico Archeologo VINCENZO ARNESE, ATTILIO PASSERINI in rappresentanza del CRSA –SOTTERRANEI di ROMA- il simpaticissimo NICOLA CURCIO e alla sua prima uscita sul campo la Dott.ssa ALESSIA NATALE-Oggi è venuto a visitare gli scavi anche il Dott. STEVE BASLEY famoso ornitologo inglese.
Associazione CORNELIA ANTIQUA– Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
Si consiglia anche la visita all’Oasi Lipu di Castel di Guido, adiacente alla Villa romana, la Direttrice dell’Oasi è la Dott.ssa Alessia de Lorenzis-
Contatti -Tel.328 55 69123-e.mail:. oasi.casteldiguido@lipu.it
Articolo e Foto di FRANCO LEGGERI per Associazione CORNELIA ANTIQUA
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.mitico Archeologo VINCENZO ARNESEVolontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? 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Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? 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Franco Leggeri Fotoreportage -L’Alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’Alba nella Campagna Romana
La Campagna Romana-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma. Il paesaggio
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne. Territorio
Dal libro: Fotoreportage per raccontare Roma e la sua Campagna Romana
di Franco Leggeri.
La bellezza, la poesia e la “bioarchitettura” del Viale dei pini nella Campagna Romana. V.le del sito Archeologico Torre della BOTTACCIA-Brano e Fotoreportage tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
L’ecologia è un concetto che fa parte della coscienza universale, di cui dobbiamo essere ogni giorno sempre più consapevoli. Il grande scienziato della natura e poeta Goethe riassume tale consapevolezza con queste parole: “Nulla si impara a conoscere, se non ciò che si ama, e più forte è l’amore tanto maggiore sarà la conoscenza”. Imparare a “godere” dello spazio naturale che ci circonda è uno strumento di straordinario valore per diffondere e sedimentare nell’agire una vera e propria cultura della sostenibilità. In tal senso, probabilmente la più spontanea e potente istanza pedagogica è proprio il paesaggio, capace di impartire una sua prima e fondamentale educazione implicita: il paesaggio è infatti come scrive , molto bene, nel suo saggio ”Paesaggio Educatore” il Regni R. “ maestro di una cultura dell’ascolto dell’armonia dell’uomo e del cosmo, propria di un ambiente come realtà da condividere e non solo come qualcosa a cui badare”(Ed.Armando -2009). L’ammirazione per lo splendore della natura è il motore che genera e, conseguentemente, moltiplica in ognuno di noi , sin dalla più giovane età, i sentimenti di affezione , rispetto e curiosità verso il patrimonio ambientale che ci circonda. D’altra parte tale affezione e desiderio di cura tutela non può che scaturire dalla conoscenza e dalla relazione . Ci è istintivamente estraneo ciò che non conosciamo, con cui non possiamo dialogare per assenza di codici condivisi e a cui non siamo socializzati . L’estraneità si supera a mio avviso, solo attraverso un flusso comunicativo e relazionare che deve essere continuamente alimentato e che dà luogo ad una empatia prodromica a comportamenti di cura , tutela e di salvaguardia . Per recuperare i “codici” che ci consentono , nell’ascolto, di comprendere il linguaggio della natura bisogna , infatti, conoscere quest’ultima, perché solo coltivando una conoscenza profonda e radicata , ma anche istintiva, di qualcosa possiamo affezionarci ad essa, amarla e far crescere in noi il desiderio spontaneo di difenderla e preservarla.
Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Campagna romana
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Franco Leggeri-Fotoreportage -Roma Municipio XIII- MUSEO PALEONTOLOGICO:” La Polledrara di Cecanibbio”-
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Franco Leggeri-Fotoreportage -Roma Municipio XIII- MUSEO PALEONTOLOGICO:” La Polledrara di Cecanibbio”-Articolo scritto dalla Dott.ssa Anna Paola Anzidei, Soprintendenza Archeologica di Roma–Il giacimento pleistocenico de Museo Paleontologico “la Polledrara di Cecanibbio” è ubicato a circa 20 km a Nord-Ovest di Roma tra la via Boccea e la via Aurelia , ad una quota di circa 83 metri s.l.m., nell’ambito dei rilievi periferici del Vulcano Sabatino. Il sito, venuto alla luce a seguito dell’erosione naturale di un pendio di collina, è stato parzialmente disturbato dall’aratura moderna. In base ai dati forniti dallo scavo archeologico, iniziato nel 1985 dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e tuttora in corso e che ha rimesso alla luce un’area di oltre 700 mq, il giacimento è stato associato al paleo alveo ed ai margini di un piccolo corso d’acqua, presente in un paesaggio a lieve gradiente ,caratterizzato da canali fluviali a percorso instabile e da acque stagnanti . Il tratto dell’alveo conservato, inciso in un banco di tufite granulare compatta, raggiunge la larghezza massima di 40-50 m. Sulla paleo superficie erano irregolarmente distribuiti oltre 9000 (novemila) reperti faunistici fossili associati a circa 400 strumenti litici e a pochi strumenti su osso, attribuibili culturalmente al Paleolitico inferiore. L’associazione faunistica è costituita prevalentemente da Elefante antico e Bue primigenio; scarsa invece la presenza di altre specie quali il cervo, il cavallo, il lupo , il rinoceronte. Pochi i resti di microfauna e di uccelli acquatici. Le ossa erano accumulate in più livelli nel canale centrale , mentre nelle aree periferiche pianeggianti erano sparse su di un unico livello, con alcune concentrazioni in piccoli avvallamenti . Lo stato di conservazione è ottimo; le ossa presentano un buon grado di fossilizzazione ed un aspetto delle superfici vario, da quello molto fresco nei reperti che hanno subito poco o meno trasporto, a quello fortemente fluitato per quelli di minori dimensioni trascinati dalla corrente . I reperti erano stati successivamente seppelliti, in un tempo relativamente breve, da uno strato di tufite , derivata da prodotti vulcanici rimaneggiati. La distribuzione caotica del materiale, causata dai processi di trasporto e di deposizione che avvengono in un percorso d’acqua, è stata in parte determinata , soprattutto nelle aree marginali, dall’attività di animali da preda quali il lupo , e dall’intervento dell’uomo. Questi doveva avere frequentato le sponde del corso d’acqua , intensamente popolate da animali di varie specie, sia per procacciarsi il cibo , come è testimoniato dalla presenza di strumenti e dalle numerosissime ossa metapodiali di Bue primigenio fratturate per estrarne il midollo . Le ossa di Elefante sono in assoluto le più abbondanti, con la presenza di tutti gli elementi dello scheletro ; alcuni crani quasi completi sono di particolare interesse in quanto offrono una più ampia conoscenza sulla morfologia degli esemplari di Elefante antico nella penisola italiana. Numerose le zanne , le mandibole, i denti isolati e le ossa dello scheletro postcraniale , attribuibili ad almeno 25 individui prevalentemente adulti. Nel corso delle ultime campagne di scavo è stato parzialmente rimesso in luce un microambiente, di poco successivo all’episodio fluviale, caratterizzato da acqua a lentissimo scorrimento. In quest’area sono stati identificati i resti ossei di almeno due elefanti, in parziale connessione anatomica e con le superfici in perfetto stato di conservazione. Finora sono stati rimessi in luce un cranio ed alcune ossa dello scheletro postcraniale : una zampa anteriore, le ossa di una mano, le tibie e peroni, alcune vertebre e costole. Accanto alle vertebre di una degli esemplari vi erano i resti di un lupo , anch’essi parzialmente in connessione. Evidentemente le carcasse degli animali erano rimaste intrappolate nella melma e le ossa non avevano quindi subito spostamenti di rilievo. Sparsi tra i reperti faunistici sono stai raccolti 400(quattrocento) strumenti litici culturalmente riferibili al Paleolitico inferiore. La materia prima, costituita da piccoli ciottoli silicei e calcareo-silicei di colore variabile dal grigio al grigio scuro, non appartiene all’ambiente fluvio-palustre ricostruito, ed è stata evidentemente trasportata dall’uomo. Questi si procurava il materiale nei livelli a ghiaie attribuibili alla Formazione Galeria, i cui affioramenti sono attualmente individuabili alla quota di 40-45 metri s.l.m. lungo la parte terminale dei fossi Arrone e Galeria, ad una distanza minima di km 3 (tre) dal giacimento de La Polledrara. L’industria è caratterizzata dalla presenza di strumenti su ciottolo, in particolare choppers e raschiatoi , molti dei quali con il margine ottenuto con ritocco erto. Numerosi i denticolati , i grattatoi e gli strumenti con caratteri tipologici non ben definiti. Comunemente i manufatti presentano più margini ritoccati; tale sfruttamento intensivo dei ciottoli era probabilmente dovuto proprio alla difficoltà di reperimento della materia prima. Non sono presenti fino ad oggi strumenti bifacciali , comuni negli altri siti dell’area Nord-Ovest di Roma (Castel di Guido, Malagrotta, Torre in Pietra). Vario è la stato fisico dei manufatti; molti dei quali presentano le superfici alterate dal trasporto in acqua. Alcuni strumenti litici , rinvenuti associati alle ossa di elefante in connessione anatomica nell’ambiente di tipo palustre, presentano invece un aspetto fisico freschissimo e margini taglienti. L’analisi delle tracce d’uso ha permesso di riscontrare la presenza di tracce prodotte dal contatto di tessuti animali (ossa, carne e pelle) nel corso della macellazione delle carcasse. Pochi sono gli strumenti su osso, ricavati tutti da frammenti di diafisi di ossa lunghe di elefante , con estremità o margini laterali resi taglienti mediante il distacco di grosse schegge . In occasione del Giubileo dell’anno 2000 è stata attuata una struttura museale , dell’estensione di 900 (novecento) mq, per la fruizione , da parte del pubblico, della paleo superficie rimessa in luce e restaurata.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Anna Paola Anzidei, Soprintendenza Archeologica di Roma-
Dal Volume- CASTEL DI GUIDO dalla Preistoria all’Età moderna. Edizione PALOMBI- ed. 2001-
Foto originali di Franco Leggeri
Bibliografia
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Il giacimento è attualmente aperto al pubblico e può essere visitato dietro prenotazione da effettuare telefonando al numero +06.39967700 (lunedì-sabato 9-13.30 e 14.30-17), o collegandosi al sito www.archeorm.arti.beniculturali.it
MUSEO PALEONTOLOGICO
Un affascinante viaggio alla scoperta della paleontologia, vi accompagna in un affascinante viaggio alla scoperta della paleontologia, illustrata da pannelli didattici , reperti e fossili.Imparerete così che cosa sono i fossili, dove si rinvengono e come si scavano. Scoprirete che cosa ci raccontano le orme. Vedrete:uno scavo paleontologico e un angolo di museo per la conservazione dei reperti.
Proverete a immaginare l’aspetto in vita di un animale vissuto nel passato e saprete come Arte e Scienza collaborino per restituire ricostruzioni attendibili.Infine, sarete proiettati nel passato remotissimo del pianeta Terra attraverso il tempo geologico e gli esseri viventi primordiali.
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Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Franco Leggeri Fotoreportage-
Roma Capitale-CASTEL DI GUIDO-
GAR-Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce-
Roma- 30 marzo 2017-Sabato 22 aprile dalle ore 9:00 alle ore 17:00-I Volontari del Gruppo Archeologico Romano saranno presenti a Castel di Guido, presso l’Azienda Agricola Comunale di Roma Capitale e OASI della LIPU, per condurre gli scavi nella Villa Romana delle Colonnacce.La Villa Romana è databile tra il III sec. a.C. e il III sec. d.C. ed è costituita da strutture sia di epoca repubblicana sia imperiale.
Foto di FRANCO LEGGERI per REDREPORT
Per ulteriori informazioni si prega di contattare la segreteria del GAR: Gruppo Archeologico Romano Via Contessa di Bertinoro 6, Roma Tel. 06/6385256 info@gruppoarcheologico.it
Descrizione della Villa Romana delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione della Dott.ssa Daniela Rossi- Archeologa .
Castel di Guido- La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale. La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Baldo degli Ubaldi dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “.
N.B. Franco Leggeri:”La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel Borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .”
FOTO GALLERY -Villa Romana delle Colonnacce-Foto di Franco Leggeri
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.GAR-Gruppo Archeologico RomanoVolontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.VILLA ROMANA DELLE COLONNACCEVILLA ROMANA DELLE COLONNACCEVolontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Arch. VALERIA GASPARI Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Visita Villa Romana delle ColonnacceVisita Villa Romana delle ColonnacceCastel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
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