Poggio Nativo (Rieti)- L’Associazione Sabina Cultura e Ambiente
L’Associazione Sabina Cultura e Ambiente-
-Buona passeggiata lungo in fiume FARFA-
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-Buona passeggiata lungo in fiume FARFA-
Faustina Minore visse a Lorium attuale Castel di Guido-La storia antica, scritta dagli uomini, narra le imprese compiute dagli uomini, le donne appaiono solo in relazione ai loro padri,mariti, o figli. Raramente conosciamo i loro pensieri, la verità sulla loro vita coniugale, le loro gioie o infelicità. Spesso sono state riferite verità di comodo sul loro conto. Perciò ricostruire la biografia di personaggi femminili dell’antichità romana comporta numerose difficoltà perché la loro vita è passata attraverso il filtro di chi scrive e quello degli stereotipi che la società del tempo ha voluto trasmettere. Di una donna della Roma antica il più delle volte si è preferitoricordare la sua dedizione alla casa e alla cura dei figli, dunquerelegarla nel ruolo domestico e riproduttivo. Ma rappresentare un modello ideale di femminilità, incentrato sulla maternità e sulla subalternità, era da tempo diventato inattuale nella società romana, soprattuttonell’età imperiale perchéle donne erano colte, intraprendenti, potevano disporre del proprio patrimonio avuto indote, accumulare notevoli ricchezze e avere pertanto un ruolo di primo piano nella vita economica e politica.
I giudizi sulle donne potenti, emancipate, come le Auguste del II secolo d. C.,furono spesso malevolie hanno lasciato ai posteriuna fama tutt’altro che positiva, ma furono espressi non tanto per amore di verità, quanto per una misoginia di cui era affetta la società romana. Tali giudizi negativi sono tuttavia contrapposti alla diffusione ufficiale di immagini, monete, sculture che rappresentano anche le donne di poterenei loro ruoli di madri amorevoli o spose virtuose. Dobbiamo tenere presente tutto ciòquando consideriamo anche quanto è stato tramandato sulla figura di Faustina Minore, figlia di Antonino Pio e Faustina Maggiore.
“Dolce, amorevole, semplice”. Con queste parole l’imperatore Marco Aurelioha descritto nei suoi “Pensieri”(riflessioni in lingua greca, pubblicate anche con altri titoli:“Colloqui con sé stesso”, o “Meditazioni”, o “Ricordi”, o “A sé stesso”)la sua sposa Faustina Minore (che chiameremo in seguito semplicementeFaustina), adoperando nel descriverla i tradizionali stereotipi del modello ideale femminile, come si voleva che fosse la matrona ideale. Il loro matrimonio avrebbe garantito la continuità della dinastia, perchéla fanciulla rappresentava il passaggiodel potere dal padre Antonino Pio al marito Marco Aurelio.Nella biografia dell’imperatore scritta daGiulio Capitolino, uno degli autori della “Storia Augusta” è Marco Aurelio stesso ad affermare che la fanciulla gli “aveva portato in dotel’Impero”.
Il matrimonio fu celebrato con grande sfarzo, Antonino Pio distribuì ai soldati il consueto donativo che serviva a ottenere il consenso e la benevolenza degli eserciti. Per solennizzare ulteriormente l’avvenimento furono emesse monete in oro, argento e bronzo.
Faustina fu eccezionalmente prolifica, diede alla luce tredici figli dei quali molti morirono in tenera età. Cinque femmine raggiunsero l’età adulta, dei maschi sopravvisse soltanto Commodo, il futuro imperatore (il suo gemello era morto all’età di quattro anni). In occasione della nascita della primogenita, aFaustina fur iconosciuto il titolo di“Augusta”, che da un punto di vista giuridico non prefigurava un ruolo politico definito, ma sotto il profilo sociale era un onore di grande prestigio. La sua fecondità, di buon auspicio per la discendenza, era lodata e ammirata.
Secondo alcuni storici moderni, il matrimonio non poté certo definirsi felice, fu piuttosto un’unione di convenienza.Faustina era promessa a Lucio Vero, fratello adottivo di Marco Aurelio (Antonino li aveva adottati entrambi designandoli suoi successori). Anche Marco Aurelio aveva rotto il suo precedente fidanzamento per obbedire al volere di Antonino e poter diventare suo successore, come avvennenel 161. Egli divise il potere imperiale, come stabilito dal padre, con il fratello adottivo Lucio Vero di cui si tramanda fosse “assai meno virtuoso di lui”. Durante la guerra contro i Parti si abbandonò a una vita di divertimenti mentre i suoi luogotenenti si occupavano dell’impresa militare. Marco Aurelio tollerava le leggerezze del fratello, ma quando agli inizi del 169 Lucio Vero morì,egli poté governare più saggiamente senza dover nascondere i difetti delfratello. Sebbene amasse la pace fu costretto a sostenere molte guerre: contro i Parti, contro i Quadi e i Marcomanni, popolazioni germaniche che abitavano a nord del Danubio.
Faustina lo seguì in due spedizionie per aver accompagnato il marito in campagne di guerra, ricevette il titolo di “mater castrorum”,ossia “madre degli accampamenti militari”, con il quale compare su iscrizioni e monete, titolo che rappresentava un ruolo pubblico accanto all’imperatore, anche se Marco Aurelio, secondo il racconto del biografo della “Storia Augusta”,continuava a lodare le sue qualità domestiche, ringraziando gli Dei per avergli concessa una moglie così fedele, così amabile, e di una lodevole semplicità di costumi.Il ruolo di materna protettrice dei luoghi militari, e quindi dei soldati, era importante per rafforzare la loro lealtà nella protezione delle frontiere dell’Impero. Tuttavia,gli scrittori della “Storia Augusta”,con malevole voci la accusarono discarsa fedeltà coniugale, e in seguitoanche altri si mostrarono concordi nel tramandare la sua condotta libertina.
Edward Gibbon, storico inglese del XVIII secolo, ad esempio,nel suo famoso testo “Storia e decadenza dell’impero romano”, dà credito a tali maldicenze o verità manipolate e scrive:
“Faustina non è meno famosa per le sue disonestà che per la sua bellezza. La grave semplicità di quel Principe filosofo non era capace di fermare la licenziosa incostanza di lei, o di frenare quella sfrenata passione che le faceva spesso trovare un merito personale nel più vile degli uomini. Marco Aurelio pareva o insensibile ai disordini di Faustina, o il solo in tutto l’Impero che l’ignorasse. Ciò gli procurò disonore. Egli promosse molti degli amanti di lei a cariche onorevoli e lucrose, ma per trent’anni continui le diede prove invariabili della più tenera confidenza e di un rispetto che non terminò se non con la di lei vita.”
Faustina fuanche accusata di avere avuto una relazione con un gladiatore, da cui sarebbe nato Commodo. Gli scrittori della “Storia Augusta” raccontano che a Gaeta, residenza imperiale di villeggiatura, Faustina gradisse particolarmente la compagnia di marinai e gladiatori. Sempre secondo le stesse fonti, questa nascita illegittima avrebbe spiegato la totale depravazione di Commodo (il figlio che successe a Marco Aurelio), e la sua attrazione maniacale per gli spettacoli gladiatori durante il suo principato, al punto di scendere nell’arena e di combattere lui stesso.
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Altra notizia contraria alla buona fama di Faustina è riportata sia da Cassio Dione siadalla “Storia Augusta”: Faustina era coinvolta nell’usurpazione del 175 di Avidio Cassio. Quest’ultimo era un valido comandante militare di origine siriana, che aveva combattuto contro i Parti. Poiché Marco Aurelio era gravemente malato, Faustina avrebbe indotto segretamente Avidio Cassio a prepararsi per l’usurpazione in modo che, se fosse successo qualcosa al marito, il comandante avrebbe potuto sposarla e ottenere insieme a leiil potere. Diffusasi la falsa notizia della morte di Marco, Avidio Cassio si era proclamato imperatore. Quando si scoprì che l’imperatore era in vita, Avidio Cassio fu ucciso dai suoi soldati. Marco Aurelio si era rifiutato di leggere i documenti che avrebbero potuto comprovare la colpevolezza della moglie.A chi lo esortava a ripudiare la moglie, se proprio non voleva farla eliminare, egli ricordava che in tal caso avrebbe dovuto restituire la dote, cioè l’impero che gli era stato trasmesso dal matrimonio con la figlia di Antonino.
Cassio Dione riporta la notizia che Faustina poteva essere morta anche a causa del suo coinvolgimento nell’usurpazione del 175 d.C. e che si fosse suicidata.
Altre fonti, molto più tarde, ad esempio Giovanni Antiocheno (uno storico bizantino, cronista del VII secolo)confermano la versione che Avidio Cassio era stato istigato proprio dalla moglie di Marco Aurelio. La notizia di questo ruolo attivo di Faustina nell’usurpazione di Avidio Cassio,ripetuta più volte dagli scrittori antichiè oggi considerata frutto della volontà di metterla in cattiva luce. La complicità di Faustina nella rivolta di Avidio Cassio per alcuni studiosi moderninon merita alcuna credibilità, secondo altri, invece, Faustina aveva in mente un disegno politico ben preciso nel caso della morte del marito, mantenere il proprio potere fino a quando il figlio Commodonon fosse in grado di succedere al padre.
Ma le dicerie per denigrare Faustina non finiscono qui. Marco Aurelio aveva fatto sposare Lucilla, una delle figlie avute da Faustina,con Lucio Vero (suo fratello d’adozione, che era stato promesso sposo di Faustina, prima del suo fidanzamento con Marco Aurelio). Si vociferò allora che Faustina avesse commesso adulterio con il genero e che lo avesse poi avvelenato per vendicarsi di lui che aveva rivelato la loro relazione alla moglie Lucilla.
Tutte queste voci furono smentite dall’atteggiamento di Marco Aurelio.Nel 176, all’età di 56 anni,Faustina morì per malattia in Asia Minore, precisamente ad Halala, ai piedi della catena del Monte Tauro, che sarà ribattezzata Faustinopoli in suo onore. Marco Aurelio fu molto provato dalla sua morte.Il Senato la dichiarò Dea, la sua immagine fu rappresentata nei templi a lei dedicati con gli attributi di Giunone, di Venere e di Cerere, e fu decretato che i giovani sposi andassero nel giorno nuziale a porgere voti dinanzi all’altare della “diva Faustina”, protettrice delle nozze che si auspicavano prolifiche come quelle di lei.
Anche nelle lettere scambiate tra Frontone, scrittore e oratore, e Marco Aurelio, Faustina appareessere stata una buona madre, premurosa e attenta alla salute dei figli e una buona e virtuosa moglie di un imperatore filosofo.
Il ritratto malevolo di Faustina lasciato ai posteri è viziato sicuramente dalla propaganda negativa di chi voleva infangarla. Trenta anni di matrimonio accanto a un uomo di grande cultura e umanità, Marco Aurelio, tredici figli, due campagne al seguito del marito nella seconda delle quali morì, non sono elementi sufficienti per assolverla da tante accuse?Il figlio dato da Faustina a Marco Aurelio, Commodo, manifestò un carattere decisamentenegativo e tra i suoi eccessi si segnalò la passione per i giochi gladiatorii. Pernon far ricadere su Marco Aurelio il disonoredi aver generato un principe degenere,i misogini accusarono di adulterio Faustina attribuendole un amante gladiatore. L’imperatore era riabilitato a scapito del fango gettato sulla moglie. Anche la comprensione nei confronti delle malefatte della donna apportarono a lui un aura di superiore saggezza, e lo resero un modello di clemenza.
“Le accuse di dissolutezza appaiono assurde fino al ridicolo e all’irriverenza dinanzi alla romana fecondità di questa imperatrice che sembra in ciò rinnovare le matrone degli antichi templi.” Così la difende animosamente Ettore Paratore, illustre studioso della latinità, che per sottolineare le sue virtù di madre e di sposa ricorda un medaglione in cui l’Augusta Faustina è rappresentata con due suoi figlioli e un terzo sulle ginocchia. Posta sul retro è incisa questa didascalia “FecunditasAugustae” alludendo alla prolificità dell’Augusta Faustina nel cui volto Paratore vede “l’ultimo sorriso di quell’armonica esemplare civiltà romana che culturalmente trionfava sia in Marco Aurelio, sia in lei.”Nota: molti sono i ritratti di Faustina, nelle varie età della vita, quello qui riprodotto è di Faustina giovane, e si può ammirare nei Musei Capitolini
di Maria Pellegrini-
Foto- statue di Franco Leggeri-
Fonte Umbrialeft
Ricerca e trascrizione dal testo originario di Franco Leggeri
Foto originali di Franco Leggeri
Testi consultati,Papiri Diplomatici,Le origini delle Diocesi in Italia,Sedi Episcopali nell’antico ducato di Roma,Storia dell’Agro Romano.
Riassunto – In questa Ottava Campagna di scavo sono stati scoperchiati 70 mq della superficie frequentata dall’Uomo durante il Paleolitico inferiore ed i risultati conseguiti sostanzialmente non modificano quanto era stato notato in precedenza.-(Atti Soc. Tosc. Sci.Nat.,Mem.,Seria A,95 (1988)-
Abstract – The eight excavation at the Palaeolithic site 01 Castel di Guido. This excavation brought to light 70 p/m of an area which was frequented by human beings during the Lower Palaeolithic. The results of such an excavation do not alter what was previously pointed aut.
Key words – Acheulean industry, Lower Palaeolithic, Middle Pleistocene fauna, Latium.
Nel mese di settembre del 1988 ha avuto luogo l’ottava campagna di scavo nella stazione del paleolitico inferiore sita a Castel di Guido, a circa venti km da Roma sulla Via Aurelia. Hanno preso parte a questa campagna di scavo il tecnico del Dipartimento di Scienze Archeologiche Ivano Bigini, una decina di studenti dell’Università di Pisa e di Roma, alcuni membri dell’Archeo-Club pisano e il geologo Dott. Giovanni Boschian di Trieste.
Si è proceduto con gli operai ad asportare, su un’area di 70 mq, il deposito a tufite in direzione della presumibile testata della vallecola, tufite che copriva per circa un metro di spessore la superficie di calpestio dell’uomo del paleolitico inferiore. Questa tufite, nella campagna precedente non era stata asportata con i mezzi meccanici perché conteneva parte di almeno due carcasse di elefante antico, i cui resti erano disposti caoticamente, generalmente in posi-zione inclinata ; si rinvennero pure alcune zanne che con un’estremità arrivavano a contatto con la formazione a sabbia che costituisce, come noto, il piano di calpestio dei cacciatori del paleolitico inferiore.Lungo la zona situata alla base della parete est del deposito era- no presenti numerosi grossi clasti di tufo a scorie nere, alcuni giacenti direttamente sulla sabbia, al di sopra di uno stradello di tufite e infine alcuni sovrapposti. Questo fatto lascia adito all’ipotesi che l’alto morfologico naturale non debba distare molto dalla superficie di scavo ed inoltre dopo la formazione della valle per sgretolamento in diversi momenti del tufo, si sia avuta la deposizione di detti clasti sino alla copertura del deposito con la tufite la quale avrebbe trascinato gli ultimi frammenti di tufo che troviamo sovrapposti. In questa parte dello scavo vi sono scarsi i reperti lasciati dall’uomo che, pur giacendo direttamente sopra la sabbia, erano contenuti in una formazione di circa cinque cm di spessore, costituita da sabbie più o meno “ferrettizzate” e da minuti clasti lacustri, condizione di giacitura questa, per la quale si potrebbero anche avanzare alcune ipotesi. Allo stato attuale della ricerca preferisco, però, attendere lo scoperchiamento completo dell’alto sul lato est, che certamente porterà dati utili per l’interpretazione di questa situazione caotica rispetto alla regolare sedimentazione che si nota nella parte centrale e comunque distante dai due alti morfo- logici che delimitano ad est e ad ovest la vallecola. La superficie a sabbia presenta una lieve inclinazione, che era già stata notata nella campagna precedente (MALLEGNI et alii, 1986), da sud verso nord- est dove si nota una faglia inversa che ha determinato uno scalino di circa venti cm nella formazione a sabbia.
I dati emersi da questa ottava campagna di scavo nulla aggiungono, di nuovo, a quanto era stato rilevato con gli scavi del 1985 in merito al meccanismo di deposizione dei resti lasciati dall’uomo e precisamente «l’aspetto del giacimento quale noi lo conosciamo è in realtà l’assetto finale risultato di una dinamica evolutiva dipendente da un processo erosivo differenziale continuato; questo ha mantenuto esiguo lo spessore del giacimento asportando i materiali più sottili, sabbiosi, distruggendone altri, e provocando magari a più riprese il disseppellimento degli oggetti più grossolani. Questo processo avrebbe avuto come risultato una sorta di «compressione» dello spessore del giacimento: oggetti cronologicamente differenti, anche se culturalmente omogenei, verrebbero oggi a trovarsi affiancati; si potrebbe così spiegare la grande variabilità nell’aspetto superficiale»(PITTI et alii, 1986). Infatti, come già si è detto nelle precedenti Comunicazioni, (LONGO et alii, 1981; FORNACIARI et alii, 1982; PITTI et ahi, 1983, 1984, 1986; RADMILLI, 1985), spesso si rinvengono nei frammenti ossei e negli strumenti ricavati da osso caratteri superficiali completamente diversi che vanno da una patina molto fresca ad una patina che denota un alto grado di alterazione chimica. È verisimile, però, che l’alterazione chimica sia soprattutto dovuta al “percolato”, nel tempo, delle acque che attraversarono la tufite che ricoprì la superficie frequentata dall’uomo, anziché al fattore tempo, perché anche se non siamo in grado di valutare quanto a lungo la valle sia stata un luogo, seppure stagionale, di sosta dei cacciatori paleolitici è, altresì ,probabile che questo sito non sia stato frequentato per millenni.
Le caratteristiche fisiche superficiali degli oggetti avevano fatto dubitare, inizialmente, della loro posizione in sito, quindi, si è avuto il modo di accertare, data la vasta area finora scavata, che i reperti, siano essi manufatti o frammenti ossei, sono depositati direttamente sulla formazione a sabbia, cioè sulla superficie di calpestio dei cacciatori del paleolitico inferiore, che hanno una posizione orizzontale, in alcuni casi le ossa sono in connessione anatomica. Inoltre è molto significativo il fatto che ,spesso, gli strumenti ed i ciottoli calcarei sono stati rinvenuti in un’area ristretta. L’assenza degli scarti di lavorazione viene a documentare, come già si è detto (RADMILLI, 1985),che siamo in presenza di una stazione usata dai cacciatori paleolitici come luogo per la macellazione degli animali e ciò, fra l’altro, si rileva da alcune ossa che presentano i caratteristici segni dovuti alla macellazione, oltre al fatto che, per la posizione che occupavano nell’animale vivente, le ossa finora rinvenute vengono a documentare una selezione, ad opera dell’uomo, di parti dell’animale abbattuto che, staccate dal corpo, venivano portate nell’«accampamento».
Questa situazione, si capisce, non esclude la possibilità che alcune delle ossa provengano dalla tufite soprastante che aveva trascinato quanto rinveniva nel suo movimento, ivi compresi i resti ossei ed i manufatti, culturalmente omogenei a quelli della nostra stazione, che erano presenti sulla superficie soprastante la nostra valle. Infatti, anche se con una percentuale minima (2%) (controllabile perché su di ogni reperto è stato posto un segno distintivo della sua giacitura) la posizione verticale o inclinata, la giacitura seppure su un sottile velo di tufite di alcune ossa e manufatti, la posizione di alcune zanne di elefante che furono trovate al di sopra di alcune ossa più piccole direttamente a contatto con la sabbia, sono tutte prove della provenienza di alcuni oggetti dalla tufite.
Ma da questa situazione al dire, com’è stato detto agli studenti da un mio amico geologo “Quaternarista”, che la tufite è paragonabile alla pasta di una torta nella quale i pinoli vanno sempre a fondo (non i pinoli, in realtà, ma l’uvetta) e pertanto non si tratta di una giacitura primaria dei reperti poggianti sulla formazione a sabbia, bensì della loro provenienza dalla tufite è se non altro azzardato, perché il nostro geologo «ghiottone» visitò lo scavo quando i reperti erano stati asportati e pertanto non ha avuto il modo di accertare le condizioni della loro giacitura, ché ,altrimenti, avrebbe certamente emesso un altro giudizio, non lasciando, così, nell’incertezza alcuni studenti e purtroppo anche alcuni dei miei collaboratori.
Lo scavo ha restituito cinquecento settantuno reperti tra frammenti ossei e manufatti e questi ultimi costituiscono il 10% sul totale degli oggetti rinvenuti. Le ossa appartengono in prevalenza ad un elefante antico, quindi, al bove primigenio, al cavallo ed a rari cervi, cioè a specie la cui presenza, con le stesse percentuali, era stata notata già nelle precedenti campagne di scavo. I reperti provenienti dalla tufite sono rappresentati, per la loro caratteristica deposizione, da due zanne di elefante, da un frammento di cranio e una mandibola ,sempre di elefante, da due frammenti ossei di Bos e da tre manufatti. Tutti gli altri oggetti sono in sito.
Nella categoria degli strumenti sono presenti manufatti su calcare selcioso, su selce, questi ultimi generalmente di piccole e piccolissime dimensioni quali un bifacciale di selce il cui asse maggiore è di 4,4 cm, e su osso. Per la lavorazione degli strumenti su osso venivano usati “scheggioni” staccati da ossa lunghe di elefante ed in due bifacciali il tallone laterale presenta le tipiche caratteristiche della tecnica del distacco di tipo clactoniano. Quest’anno sono stati rinvenuti cinque bifacciali, di cui quattro con patina fresca, ed il quinto con superficie alterata per azione chimica. Mentre nei bifacciali su osso, che erano stati rinvenuti nelle precedenti campagne di scavo, era sempre presente il tallone conservato, quest’anno, invece, due esemplari presentano il tallone asportato mediante distacco di schegge ed in tutte e cinque gli esemplari la lavorazione conferisce loro un profilo lievemente sinuoso (Fig. 3). Abbiamo così ancora una volta la prova che per avere una conoscenza quanto più vicina alla realtà sulle caratteristiche della tipologia e della tecnologia dei manufatti necessita scavare su un’area quanto più vasta possibile. I bifacciali finora rinvenuti a Castel di Guido, sia quelli su osso, che quelli su calcare selcioso rientrerebbero, per la tecnica di lavorazione, nell’acheuleano medio ma oggi noi sappiamo, soprattutto dopo lo studio dell’industria acheuleana di Torre in Pietra come per la distinzione in acheuleano antico, medio e superiore o evoluto non siano sufficienti le sole caratteristiche tecnologiche e tipologiche, perché proprio a Torre in Pietra sono stati trovati associati bifacciali che per la loro tecnica di lavorazione apparterrebbero sia all’acheuleano medio che a quello superiore.
Fra gli strumenti ossei sono presenti alcuni che hanno un ritocco molto scadente lungo uno dei margini e alcuni esemplari confermano il distacco delle schegge dalla diafisi mediante la tecnica clactoniana. Nell’industria litica, oltre ai consueti ciottoli non lavo- rati, alcuni di siltite, e quindi in cattivo stato di conservazione, sono stati trovati una ventina di strumenti ricavati da piccoli ciottoli, per la cui definizione tipologica mi sembra necessario sia opportuno ultimare lo scavo e avere così una visione completa di questa «micro industria» che sappiamo accompagnare i “macro strumenti” in alcune industrie del paleolitico inferiore. Sono stati, inoltre, rinvenuti alcuni ciottoli rotti a metà lungo l’asse minore, un chopper, un chop – ping tool, quattro ciottoli con ritocco lungo un margine ed un bifacciale su calcare selcioso. Un altro esemplare proviene dalla tufite soprastante . Anche quest’anno, come nelle campagne precedenti, alcuni brevi tratti della superficie di calpestio erano privi di reperti ed il significato di questa assenza probabilmente si potrà conoscere a scavo e studio ultimati.
BIBLIOGRAFIA
RADMILLI A.M., MALLEGNI F., LONG a E., MARIANI R. (1980) – Reperto umano con industria acheuleana rinvenuto presso Roma. Atti Soc. Tosc. Se. Nat., Mem., Ser. A, 86, 203-214.
LONG a E., PITTI C., RADMILLI A.M. (1981) – Prima campagna di scavo nella stazione del paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. Se. Nat., Mem., S e r . A, 87, 443-449.
FORNACIARI G., MALLEGNI F., PITTI C., RADMILLI A.M. (1982) – Seconda campagna di sca- vo nella stazione del paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. Se. Nat., Mem., Ser. A, 88, 287-301.
PITTI C., RADMILLI A.M. (1983) – Terza campagna di scavo nella stazione del paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. Se. Nat., Mem., Ser. A, 89, 179-187.
MALLEGNI F., MARIANI-COSTANTINI R., FORNACIARI G., LONGO E., GIACOBINI G., RAOMILLI A.M. (1983) – New european fossi! hominid material from an acheulean site near Rome (Castel di Guido). Am. lour. Phys. Anthrop., 62, 263-274.
PITTI C., RAOMILLI A.M. (1984) – Quarta campagna di scavo nella stazione del Paleoliti- co inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. SCoNat., Mem., Ser. A, 90, 319-325 .
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PITTI C., RAOMILLI A.M. (1986) – Sesta campagna di scavo nella stazione del Paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. SCo Nat., Mem., Ser. A, 92, 339-350.
MALLEGNI F., RAOMILLI A.M. (1987) – Settima campagna di scavo nella stazione del Paleolitico inferiore a Castel di Guido presso Roma. Atti Soc. Tosc. SCoNat., Mem., Ser. A, 93, 235-251.
MALLEGNI F., RAOMILLI A.M. (1988) – Human temporal bone from the lower Palaeolithic site of Castel di Guido, near Rome, Italy. Am. lourn. Phys. Anthrop., 76, 175-) 82.
(ms. preso il 15 dicembre 1988; ult. bozze il 31 dicembre 1988)
Ricerca in Biblioteca di Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua
Premessa:
Nell’anno scolastico 1915-16, aveva inizio a Palidoro l’attività della scuola materna . La prima maestra che vi prese servizio fu una giovane svizzera che, conseguito il diploma in Italia, aveva una sede, anche disagiata, nella quale l’opera della scuola fosse particolarmente necessaria. Fu così che Irene Bernasconi di Chiasso, nel Canton Ticino, lasciò la sua famiglia benestante e si immerse in una realtà sociale e umana molto diversa da quella che si lasciava alle spalle. In pagine di diario, documentò tali sue esperienze e quelle che successivamente ebbe modo di vivere in altri luoghi, sempre animata da un alto spirito umanitario e professionale. Presentiamo qui alcune parti dell’inedito Diario di Palidoro (ringraziando la figlia dell’Autrice, la Signora Linda Gabrielli Socciarelli che ce ne ha offerto l’opportunità), dalle quali emerge lo stato di miseria , ma anche la genuinità di quegli abitanti di Palidoro di altri tempi. (N.d.R.)
Trascrizione del testo e ricerca foto a cura di Franco Leggeri
per WWW.ABCVOX.INFO-Agenzia REDREPORT
Dal Diario
La mattina del 6 dicembre 1915 giungevo a Palidoro. Una mattina fredda, grigia, malinconica. Non pioveva, ma nell’aria c’era umidità e le staccionate del grande viale di olmi avevano un leggero strato di muschio; nelle cunette , ai lati dell’antica via Aurelia, vi era del fango e i ciottoli squadrati del fondo stradale apparivano lucidi. Nella notte era venuto un acquazzone . Che silenzio suggestivo nella sterminata Campagna Romana! Non una persona per strada; la capanne di canne, le prime che vedevo, mi parvero disabitate; i <rimessini> coi bovi dalle <lunate corna> e i rozzi bufali erano immagini nuove per me ; guardavo tutto con occhi sgranati. La bellezza selvaggia, l’indicibile calma, la torre silenziosa che si ergeva sul mugghiante Tirreno come una sentinella, le persone diverse da noi settentrionali nelle linee del viso e nei costumi (che avevo notato appena scesa dal treno), i cavalli snelli, i bufali, le pecore, i somari, il vasto orizzonte che in quel primo giorno mi impressionò e quasi mi faceva paura, la linea azzurra rigida del mare a ponente… tutto mi conquise!
Avevo scelto di fare scuola in un posto dove non voleva andare nessuno, fra gente primitiva, bisognosa di affetto; fra bambini anche sporchi, scalzi, stracciati: Bambini vicini alla terra. In questo posto perduto nel fondo di qualche valle poco conosciuta o in un luogo abbandonato nelle desolate lande della maremma… e Palidoro è, al dire dei ciociari, la < Maremmaccia>. Era il posto che faceva per me , quello che andavo cercando … Mi dissi fortunata di averlo trovato e decisi di restare.
Il giorno 8 dicembre a mezzodì, un buttero della tenuta aveva recato da Rom i commestibili e il vasellame per la refezione scolastica; la mattina del 9, alle ore 8 e mezzo, l’asilo, o meglio < la casa dei bambini secondo il metodo Montessori> apriva, per la prima volta , i battenti per ricevere 27 iscritti che, nel marzo del 1916, arrivarono a 36; nella maggior parte si trattava di figli di richiamati alle armi.
La scuola era costituita da due locali abbastanza capaci: uno era l’aula, l’altro la cucina; a questi si accedeva da un piccolo atrio e, attraverso una porticina a vetri, ci si immetteva in una specie di corridoio che aveva gli attaccapanni e che in origine era un pollaio; da questo, per mezzo di pochi gradini, si scendeva nel prato percorso dalla <marana>: il gabinetto dei miei piccoli scolari.
Non tardai molto ad accorgermi che la scuola era una vera manna per questa gente nomade che, lasciate le case di Ciociaria, viene qui a lavorare ogni autunno per fuggirsene via all’inizio dell’estate scacciata dallo spettro della malaria.
11 dicembre, sabato. Parlano in modo per me incomprensibile; chiedo spiegazioni alla cuciniera che mi chiarisce il linguaggio a modo suo : si inquieta perché non comprendo e le sembra impossibile che io non sappia che cosa sia la <pizza> che i piccoli chiedono ad ogni istante . <Ammàppete-dice-manco sai che è la pizza? Ma è la pizza ,la pizza>. Io resto perplessa e allora si leva da tasca del grembiule un pezzo di pane di granoturco e me lo mostra:<Eccola la pizza>.
L’apparizione della prima scodella di minestra era stata salutata da un rumoroso picchiare di piedi , da manine protese, da visi rasserenati, da lunghi e profondi sospiri, da tante voci:<A me, a me!>.
Poveri piccoli cari! Le piccine, a refezione ultimata, non volevano levarsi la “bavarola” e i maschi nascondevano il cucchiaio.
5 gennaio, mercoledì. Noto che in questi piccini ( ma anche nei grandicelli di 8, 10 12 anni che vedo per strada) un nonnulla basti a scatenare l’istinto aggressivo; e non mi lascio sfuggire le occasioni per dire di essere gentili , usare cortesia con tutti, di volersi bene; ma in genere fanno ciò solo quando vedono in mano a un compagno qualche ghiottoneria della quale sperano di essere messi a parte , sia pure in minima dose.
Mi sento più scoraggiata nel rilevare questi loro modi di fare che non quando me li vedo comparire davanti orribilmente sporchi.
8 gennaio, sabato. Mattina uggiosa: l’Elementare non ha aperto i battenti e così anche i miei piccoli, quelli che abitano lontano e che vengono accompagnati dai fratelli più grandi , si sono concessa una vacanza. Alla fine , prima di lasciare che i pochi venuti tornassero a casa, vincendo una certa ripugnanza, ho indossato un grembiule da cucina e….avanti! Ho lavato loro il viso, il collo, gli orecchi, le mani, le braccia.
Penso : ciò che adesso si fa con amore, al fine di condurre queste persone a tenere un altro regime di vita, vale ben poco , è seme gettato sull’argilla.
La casa e l’ambiente in cui vivono queste creature, così colme d’una naturale freschezza interiore, distruggono ciò che alla scuola si edifica.
Non si potrebbe fare per questa gente qualche casetta, anche di legno, a due, a quattro locali? Allora sì che l’individuo potrebbe cambiare un po’ i costumi. Ma, col vivere in massa in questi porticati, lassù all’Osteriaccia, a Statua, come possono migliorare? I bambini vivono due esistenze ben distinte che non si integreranno mai a formare la loro personalità.
Talvolta mi sento scoraggiata, ma poi guardo all’avvenire, a quel futuro del dopoguerra e scorgo una speranza.
21 gennaio, venerdì. Amalia è stata tutta la mattinata con la testina sul banco; tossiva con urli strazianti; l’ho portata al casale sul tardi : ardeva di febbre, che occhi lucidi aveva!
Angelo e Mariannina Paparozzi sono andati, con la madre, in montagna, probabilmente non ritorneranno che a Pasqua.
24 gennaio, lunedì. A Toto è morto un fratellino di pochi giorni e stamane gli ho chiesto:< Ti dispiace che sia morto il tuo fratellino?>.
Subito si è rizzato sul sedile e, spalancando gli occhi, mi ha risposto tutto d’un fiato, come se avesse fretta di dirlo:< E’ meglio che è morto se no io dovevo dormire sulla panchina con il cappotto>.
Parole dure, e forse non del tutto estranee alla lotta per la sopravvivenza che si svolgeva sotto quei porticati.
12 febbraio, sabato. Poveri piccini, alle volte mi fanno proprio compassione: sono lì pieni di freddo, col nasino moccioso, con le dita fuori dalle cioce, vestiti, o meglio coperti con stracci di cotonina.
E in che modo parlano? Ancora non si sono abituati a dire <faccia> invece di <muso>; alcuni si puliscono bravamente il naso con le mani.
E’ certo che qui bisogna vincere ogni ripugnanza, rimboccarsi le maniche e… avanti col cuore sereno.
8 marzo, mercoledì. Peppinella è morta…. Nel guardarla mi si stringeva il cuore; la cicatrice del labbro superiore quasi non si notava, la morte l’aveva fatta più bella.
I pochi bambini presenti l’accompagnavano in chiesa portando ceri…..
9 marzo, giovedì. Ho una sensazione di sfacelo: Armando Bellardi, dopo 10 giorni di malattia, stanotte è spirato…. Una ghirlanda di rose di stoffa, di colore chiassoso, la stessa che avevo visto sulla testolina di Peppinella, posava sul capo, una veste da neonato, bianca, lunga con merletto, lo copriva interamente. Le mani gliele avevano accomodate in atto di preghiera e fra le dita gli avevano posto una piccola croce formata da due ceri sottili.
11 marzo, sabato. Stamane Checchinello è venuto tardi, gliene ho chiesto il motivo e ha risposto :< Mamma è malata, Nerina deve cucinare e l’acqua pe’ sciacquarmi non c’era; so’ sceso , ho cercato una pozza pe’ ‘l viso e le mani e ho fatto tardi>. Non voleva presentarsi sporco.
Pure Angelo Bellardi ieri mattina non voleva venire a scuola perché < mamma non teneva l’acqua pe’ sciacquarmi il muso>.
E’ già un bel passo avanti, forse il più importante, il primo per arrivare ad altri.
13 marzo, lunedì. Il morbillo si estende sempre più e degenera in polmonite.
Alfredo Toppi è morto; non sono andata a vederlo, è uno spettacolo troppo triste!
Santino è venuto alla scuola sudicio; gli ho fatto osservare il grembiulino sporco e le dita dei piedi che uscivano dalle cioce mal legate; si è messo un dito in bocca e mi ha guardato dicendo :< Sai, signorì , Marianna è morta e mamma le ha fatto un cuscino di paglia>.
20 marzo, lunedì. Anche Checchinello si è ammalato; ormai non sono che cinque i presenti; si dovrebbe chiudere, ma come si fa? Penso che questi poverini stiano meglio nella scuola che lassù, in quei portici affumicati dove il vento fischia e giuoca a suo talento. Almeno qui trovano una buona e fumante minestra e…..l’acqua non scarseggia: si lavano così volentieri, adesso, che è un piacere il constatarlo.
15 aprile, sabato. Toto guarda sempre con occhi avidi i compagni che mangiano. A merenda si mette davanti a quelli che hanno qualche ghiottoneria ( cipolle, carciofi, lardo, aglio) appoggia i gomiti sul banco, affonda il mento nelle mani, gira gli occhi da un compagno all’altro e si affretta a raccogliere le briciole che cadono. Lo fa per pura golosità, perché la mamma gli prepara perfino la frittata con le erbe, ma lui si ingozza per finire in fretta e poi assaggiare un pochino di tutto ciò che recano i compagni. In uno dei passati giorni, per avere un pezzetto di pizza da Anito si strappo un bottone dalla giacchettina e glielo dette in paga.
25 aprile, martedì. Arrivano tutti con mezze pagnotte di pizza odorante di anice; la pizza di Pasqua rappresenta per questi bambini il dolce più squisito che ci possa essere .
Oggi hanno fatto la gara nel raccontarmi quello che fecero durante le vacanze. Toto e Rosina sono andati a Roma a trovare il papà che è militare:< Quante case e quanti tramve!>.
Peppinello no:<Nessuno me porta a Roma, mamma ha sciacquato li panni e io stavo co’ Attilio solo>.
Checchinello ha ricevuto dolci da una zia che abita lontano :< Il paese c’è, ma non lo so il nome suo>.
Bellardi ha mutato la camicia:< Tengo la camicia e la giacchettina lavati da mamma e li bottoni elloli (eccoli)>.
Remo e Irma sono stati al mare ed hanno portato un fazzoletto pieno di conchiglie:< Le cucchiole che ci hanno dentro il mare>.
Anito e Suntarella sono venuti con una pezzuola da naso nuova e Anito non finiva mai di stenderla per terra, così che ogni volta che la usava lasciava del sudiciume sul viso.
Pasqualina con un abituccio bianco e delle mutandine candide:< Sai, papà mio ha magnato troppo e mò gli ha ripigliato la febbre>.
Nel pomeriggio , mentre mi salutava per ritornarsene al casale, Peppinello mi ha detto:< Non c’eri in chiesa quando faceva festa , perché? A lu loco teo non ci stevi, perché?>.
Ho risposto che ero andata a Roma.
<Dalla mamma tea?>.
<No , la mia mamma è lontano, lontano>.
Nel dire così mi è venuto il magone; se ne è accorto il piccino, mi ha baciato la mano, povero caro , e :< Mmbèh, te vojo bene!>. i suoi occhi grandi, vivi, espressivi, la personcina infagottata nei poveri panni ebbero, in quel momento, il potere di confortarmi tanto, tanto.
3 maggio, mercoledì. Appena sentono, anche se da molto lontano, il rumore delle automobili, che passano sovente, i maschietti corrono fuori tutti festosi a salutare e gridare: <La benzina corre pe’ la strada romana (l’Aurelia) quanta polvere!>.
4 maggio, giovedì. Con un gran mazzo di margherite fissato in uno strappo della giacca, è comparso stamane Augusto Bellardi : le ciocie mal legate, le calze a buchi, una nera, l’altra a righe nere e marrone, i calzoni che mostravano la pelle , il cappello troppo grande e tutto sforacchiato con una margherita in ogni foro. Teneva in mano due fette di pizza, cotta da chissà quanto tempo, si è avvicinato con un sorriso furbo, le guance rosse, lo sguardo vivo , certo che in mente aveva qualcosa; mi ha porto la mano senza parlare, ha posato la pizza, si è seduto vicino a Remo che stava contando le conchiglie e, approfittando di una distrazione del compagno , si è cacciato in tasca , con incredibile tre conchiglie. Poco dopo, si è alzato invitando fuori Anito per fare <piccichino> con lui.
19 maggio, venerdì. Checchino sta poco bene, ricominciano le febbri; i suoi occhi hanno delle fissità strane come se il suo pensiero fosse fermo su cose dolorose: è stanco , mi si appoggia, mi accarezza, mi guarda, ma non una sola parola esce dalla sua bocca. Quando far sta male la malaria!
20 maggio, sabato. Nelle prime ore pomeridiane, i grandicelli cantano le canzoncine religiose che ascoltano in chiesa ; i bambini dell’Osteriaccia formano un gruppo a parte e cantano le litanie e una preghiera per la < Madonna del Divino Amore che fa le grazie a tutte l’ore >, la stessa preghiera che la sera, sul tardi, le mamme e le sorelle cantano davanti ad una immagine della Vergine che hanno appesa all’esterno di una delle porte del casale , mentre arde un lumicino ad olio.
30 maggio, martedì. Nella prima quindicina di questo mese, come ho già detto, le donne del casale dell’Osteriaccia si riunivano per cantare le litanie in onore di Maria. Cantavano con una bella voce robusta, con cadenza molle, davanti ad una sacra immagine fissata sul muro , dove è pure attaccato il pezzo di una pagina del < Giornale d’Italia>, e incorniciata da una ghirlanda di fiori campestri. Però, da oltre una settimana, non fanno più sentire i loro canti; stamane ne chiesi il motivo ai bambini che vengono da lassù e Peppino mi rispose che le < le ragazze sono stanche e non tengono la fantasia per cantare>.
Bellardi, invece, mi disse:<Sai? Non cantano perché li fiori si sono seccati>. E Amelia:< Ma che fiori! Io lo saccio, non cantano perché non c’è più l’olio per il lume>.
2 giugno, venerdì. Stamane Angelino è venuto accompagnato da una sua sorella grande; una ragazza che avevo sempre vista disordinata nell’abito e sporca più di tutte le altre del casale, spettinata al punto che il viso le restava nascosto , ma che , questa mattina, appariva linda e pettinata, tanto da sembrare quasi un’altra persona. Mi ha detto:< Va bene così signorina?>. Al mio sguardo compiaciuto, ha ripreso:< Ho sciacquato Angelino e nel barattolo grande mi sono pulita da sola per lu loco alla marana>.
Ogni anno, terminata la mietitura, questi contadini lasciano la tenuta, così che Palidoro resta quasi deserto; se ne vanno in montagna ad Anticoli Corrado, perché qui, come a Maccarese, la malaria impera più che in ogni altro luogo dei dintorni. Lassù, la loro abitazione deve essere migliore di quella che hanno qui; così credo stando ai discorsi che mi fanno i piccoli e poi< l’aria è boona, non ci stanno le zanzare>. Peppinello mi ha detto che ad Anticoli ha una casa bella con cinque finestre e che adesso, quando vi tornerà, metterà i fiori alla finestra della camera,< ma no la camera in dove stemo a dormi, no, quella indove tenemo lu tavolo e le scodelle>.
Augusto Bellardi racconta che ci stanno tre chiese: una della Trinità, una di S.Giuseppe e l’altra di :Rocco col cane, < se tu senti come so belle le messe a Anticoli!>.
Anito s’è fatto buono, non bestemmia , non morde più.
5 giugno, lunedì. Cari piccoli! Mi parlano di Anticoli Corrado con una marcata punta di nostalgia nelle parole, nel timbro della voce mentre gli occhi s’illuminano e il pensiero corre lassù in montagna . <Quando me ne rivado in montagna vieni pure tu-mi ha detto Anito- io ti faccio posto agliu treno e alla casa mea, sa, ci sta lo “cucciaro” (cucchiaio) perché ti mangi le “ciammaruche” (lumache)>
10 giugno, sabato. Mario mi si siede vicino e racconta dei lavori che fanno i bifolchi e le donne in campagna :< Stanno a prepara i fienili e già le macchine legano l’avena; è bello si lavora così, si suda, si diventa rossi, ma il padrone ti dà il pane, cipolle e una fojetta di vino, hai voglia a finire tutto quel vino!>.
21 giugno, mercoledì. Ieri Toto non è venuto perché è andato con la madre a mietere il grano; stamane, appena entrato , ha chiamato i compagni e, in gran segreto, ha rivelato loro che in campagna si sta meglio perché < se magna la zuppa di vino!>.
22 giugno, giovedì. Sono venuti i bambini di Statua per una mezz’ora perché i fratelli maggiori dovevano recarsi in dispensa a comprare del petrolio e così hanno creduto bene lasciare i piccoli alla mia scuola. Quando sono tornati , c’era con loro pure la figlia di Gigi lo zampognaro, quello che ogni anno, a Natale, viene chiamato a corte per suonare. La ragazza è una bella ciociara robusta che mi ha detto:< E’ vero che te ne rivai?>.
<Si>. <Allora vieni pure a Statua a salutacce, sa(i) ricòrdatelo, non te lo scordà(re)>.
La bontà di questa gente mi commuove.
27 giugno, martedì. Qualcuno mi rimproverò la confidenza che uso quando mi reco nelle capanne di canna di Statua, all’Osteriaccia, dai ciociari:<Come fa ad andare da quella gente; ci vuole del fegato, con tante pulci che ci sono>.
Non capisco; perché non dovrei fare quattro chiacchere con quei lavoratori? Sono così contenti quando vado lassù al casale; mi vedono da lontano e mi chiamano:< Signorì, vieni e sbrigate, stasera ti metti a sède(re) alla porta mea, nevvero nì?> Non poche volte ebbi occasione di notare che i vecchi, appena mi scorgono, vanno frettolosamente dietro le capannelle per pulirsi il naso a modo loro, prima di venirmi davanti; le donne si sbattono il grembiule, con le mani danno un colpo ai capelli, si aggiustano il corsetto e sempre dicono:< I nostri fiarelli ti vogliono bene e noi pure>.
29 giugno, giovedì. Oggi, alle due del pomeriggio, le ragazze hanno accompagnato i pochi bambini alla stazione, per salutarmi; tutti avevano nelle mani dei rami di ginestra, delle spighe di lavanda, dei mazzetti di frumento… il treno si è mosso….< Addio, addio, signorì, rivieni, t’aspettamo, addio, addio…>.
Bambini di Palidoro, faccine gialle, piccoli malarici dagli occhi di fuoco, ciociaretti insaccati in povere vesti, piccini di appena due anni, ometti e donnine di quattro di cinque anni, dal passo silenzioso, dal grave portamento; piccoli cari che, con la vostra rude dolcezza, con la vostra esuberanza d’affetto, con la freschezza gioconda delle vostre trovate (che non trovai nei bambini del settentrione), mi faceste tornare fanciulla, vi incontrerò ancora sul mio cammino?
Bifolchi di Palidoro, butteri di Castel Campanile, ragazze buone, premurose, mamme affettuose e riconoscenti, vi vedrò ancora?
Troverò ancora l’animo squisitamente cortese e buono di quella egregia Signora che si chiama Teresina Bozzi? E la cara Compagnia che mi tenne con tutta l’ottima famiglia, per non farmi sentire troppo la nostalgia della mia casa? (Erano affittuari della tenuta).
L’augurio migliore che mi posso fare è quello di tornare in quella landa dell’Agro Romano. Un lavoro caro mi aspetta laggiù.
Ricordo quando la domenica mi recavo nei casali a chiedere alle mamme alcune notizie riguardanti i bambini: l’anno di nascita, le malattie avute, il numero dei componenti la famiglia , l’eventuale consanguineità dei genitori; lo facevo per tentare la compilazione di una carta anagrafica per mio uso, ma confesso che potei ricavare ben poco.
A una madre chiesi quanti figli avesse, mi rispose :< Ne ho fatti tanti che manco mi ricordo, certi sono morti>. A un’altra chiesi quanti anni avesse:< Che vuoi che sappia quanti anni tengo, manco è ora d’andà(re) agli cipressi>.
Una terza mi fu larga di dati, chiesi:< Siete perente con vostro marito?>. E lei:< Che te devo dì, so’ nata a Maenza vicino a Terracina, dopo pochi giorni m’hanno portata all’Ospedale di Santo Spirito a Roma, pure mio marito viene da Santo Spirito>.
Come altre donne non ricorda il proprio cognome da ragazza.
Nei sette mesi trascorsi a Palidoro, ho avvertito il bisogno che ha l’Agro di avere scuole , insegnanti affettuose e con qualche iniziativa propria , perché non né detto che qui si debba procedere col programma delle Normali sul tavolo.
Ho cercato di fare il mio dovere, ma ora mi si permetta una confessione: ebbi modo di leggere alcuni diari di <Case dei Bambini> nei quali le Signorine vantavano modi <graziosi> dei loro allievi. Non lo nascondo , rimasi male; i miei piccoli non sanno essere sgarbati tra di loro, usano modi cortesi raramente e solo quando non trovano ostacoli al loro volere, e ciò nonostante i miei sforzi per migliorarli in questo senso. Io ne soffro e, per rasserenarmi un poco, mi dico: i bambini dell’Agro sono naturali, più sinceri! Se non riuscii a rendere più graziosi i loro modi , sono però fiera di constatare che questi piccoli, i quali in principio venivano sporchi e assai trascurati nell’abito e nella persona, e di ciò non sembra darsi pena, ora chiedono grembiulini e bavarole sempre puliti.
Trascrizione del testo e ricerca foto a cura di Franco Leggeri per WWW.ABCVOX.INFO-Agenzia REDREPORT
Un libro ricco di bellissime foto e illustrazioni completamente a colori che contiene le schede riguardanti le erbe più utilizzate e i consigli su come catalogarle e sfruttare appieno le loro proprietà, tramite applicazioni, decotti e persino declinazioni gastronomiche.
Nella località di Sprea, in Valpolicella, una figura ben nota si guadagnò per anni la stima e l’affetto dei cittadini: si tratta del “Prete di Sprea”, don Zocca, esperto erborista con un particolare ruolo di “guaritore” tramite l’uso delle erbe medicinali.
Oggi questa tradizione continua attraverso Angelo Murari: appassionatosi alla raccolta delle erbe dapprima per far fronte alle necessità alimentari del dopoguerra, si è poi dedicato a studi più approfonditi che gli hanno permesso di lavorare sia al fianco della nipote di don Zocca stesso, sia in proprio, elaborando ricette ad hoc e riprendendo quel ruolo che da tempo mancava alla comunità.
In questo libro ha unito non solo le ricette del “Prete da Sprea” ma anche le nozioni derivanti dai suoi studi e dalla sua personale esperienza.
Presentazione
Introduzione
Le erbe commestibili & medicinali
Achillea, Aglio, Alloro, Artemisia, Asparago, Assenzio, Bardana, Capelli di mais, Carciofo, Centinodia, Cicoria, Cipolla, Coda cavallina, Finocchio selvatico, Frangola, Frassino, Genziana, Gramigna, Iperico, Lichene, Liquirizia, Luppolo, Malva, Menta, Noce, Ortica, Paglia di avena, Parietaria, Piantaggine, Prezzemolo, Pungitopo, Quercia, Rabarbaro cinese, Raperonzolo, Rosmarino, Rosolaccio, Salvia, Sambuco, Sedano, Sena, Silene, Tarassaco, Valerianella, Veronica Acquatica
Le ricette originali di Don Zocca
Le ricette
Prima parte: le ricette della signora Ada
Seconda parte: le ricette di Don Zocca scritte da Ada
Terza parte: il quaderno del chierichetto
Le erbe come alimento
La dieta
Indice delle erbe in ordine alfabetico
Indice delle ricette in ordine alfabetico
Una vita tra le erbe:
“Sono nato in un freddo dicembre ad Arbizzano di Valpolicella, comune di Negrar, provincia di Verona.
Mia madre mi aveva raccontato che in quell’anno il freddo era stato molto intenso, tanto da far temere per la mia salute nel giorno in cui dovevo essere portato in chiesa per il Battesimo. Comunque andò tutto bene, perché a distanza di oltre cinquantanni sono qui a raccontare questa mia storia che si intreccia con le erbe commestibili e officinali.”
Angelo Murari
PROMOZIONI IN CORSO
Angelo Murari è nato ad Arbizzano di Negrar (Verona), dove vive occupandosi della propria campagna. Erborista diplomato all’Università di Perugia, da tempo si applica allo studio delle erbe selvatiche commestibili e officinali e ai loro effetti sull’alimentazione. Incoraggiato dai successi ottenuti in questo settore dai tempi di Sprea ad oggi, propone, in questa pubblicazione metodi di cura con le erbe suggeriti dalla signora Ada, la nipote di don Zocca, oltre a ricette e consigli sull’uso delle erbe come alimento.
DESCRIZIONE-Dal 1956 il Poligono Interforze Salto di Quirra (PISQ) situato nella provincia dell’Ogliastra ha visto coesistere addestramento e sperimentazione militare – con conseguenti emissioni inquinanti, chimiche e fisiche –, con tradizionali attività agropastorali condotte nei territori confinanti e anche al suo interno. Gli agenti inquinanti sono molteplici e le esposizioni, multifattoriali. Nel testo sono riportati gli effetti tossicologici per l’ambiente e la salute umana di tali agenti, emessi anche in conseguenza della distruzione di armamenti obsoleti mediante brillamenti. Gli studi epidemiologici condotti sulle popolazioni esposte sono stati limitati. I risultati delle ricerche riportate nel libro sono scaturiti da un’indagine avviata nel 2011 dal Procuratore della Repubblica di Lanusei che si è avvalso delle consulenze fornite dalle ricerche sperimentali e dalle valutazioni condotte da vari esperti sui soggetti esposti nei territori del PISQ. Nel 2012 il Parlamento ha approvato la relazione della Commissione d’Inchiesta sull’inquinamento militare che prevedeva, oltre alle bonifiche e alla cessazione delle attività militari inquinanti, anche la drastica riduzione del territorio militarizzato in Sardegna. L’inchiesta della Procura di Lanusei, attraverso l’udienza preliminare, ha rinviato a giudizio alcuni responsabili militari del Poligono per “omissione dolosa e aggravata di cautele contro infortuni e disastri”. Il processo di 1° grado si è concluso in data 10 novembre con l’assoluzione di tutti gli imputati “perché non c’è prova idonea che abbiano commesso il fatto contestato”
Formato 15×21 cm., 584 pagine.
Pubblicato a dicembre 2021.
INDICE
Premessa. In ricordo di Mauro Cristaldi
a cura di Angelo Baracca ed Ernesto Burgio
Appendici
Ia) Schede tossicologichei – Ib) Valutazione degli effetti biologici del particolato – II) Valutazione della relazione peritale del prof. Mario Mariani, incaricato dal Gup Nicola Clivio – IIIa) – Sentenza dell’ufficio del Giudice per l’udienza preliminare, Tribunale di Lanusei – IIIb) – Decreto dell’ufficio del Giudice per l’udienza preliminare, Tribunale di Lanusei
Poesia di Rainer Maria Rilke
La nascita di Gesú –
Se tu non fossi stata, in tua fattura,
solo umiltà, — come poteva, o Donna,
accader l’ineffabile prodigio,
che illumina la Notte all’improvviso?
L’Iddio che era in corruccio con le genti,
s’è conciliato…. E viene al mondo in te.
Forse piú grande lo sognavi, Madre?
Che vuol dire grandezza? Ogni oltre limite
ed ogni oltre misura della terra,
ch’Egli sovrasta e annulla, il suo destino
va diritto nel mondo, ora, per vie
finanche ignote ai trànsiti degli astri.
Guarda! Sono grandi questi Re. Travolsero
innanzi al tempio del tuo Grembo santo
i piú ricchi tesori della terra….
E tu forse stupisci, umile, ai doni.
Ma guarda! Fra le pieghe dello scialle,
il tuo Pargolo, già, tutto trascende.
L’ambra che va lontano sui navigli,
l’oro contesto in fulgidi gioielli,
l’incenso che si esala e che c’inebria,
passano, Donna. E lascian solamente
amarezza d’inutili rimpianti….
Ma il Bimbo che ti splende, ora, nel grembo
(domani lo saprai!) conduce e dona
la Gioia che non passa e che si eterna.
Rainer Maria Rilke
(Traduzione di Vincenzo Errante)
da “La vita di Maria, 1912”, in “Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante”, Sansoni, 1941
∗∗∗
Geburt Christi
Hättest du der Einfalt nicht, wie sollte
dir geschehn, was jetzt die Nacht erhellt?
Sieh, der Gott, der über Völkern grollte,
macht sich mild und kommt in dir zur Welt.
Hast du dir ihn größer vorgestellt?
Was ist Größe? Quer durch alle Maße,
die er durchstreicht, geht sein grades Los.
Selbst ein Stern hat keine solche Straße.
Siehst du, diese Könige sind groß,
und sie schleppen dir vor deinen Schoß
Schätze, die sie für die größten halten,
und du staunst vielleicht bei dieser Gift —:
aber schau in deines Tuches Falten,
wie er jetzt schon alles übertrifft.
Aller Amber, den man weit verschifft,
jeder Goldschmuck und das Luftgewürze,
das sich trübend in die Sinne streut:
alles dieses war von rascher Kürze,
und am Ende hat man es bereut.
Aber (du wirst sehen): Er erfreut.
Rainer Maria Rilke
da “Das Marien-Leben”, Leipzig: Insel Verlag, 1912
Dipinto allegato è Opera dell’Artista Hans Bachmann-Titolo:”A Christmas Carol In Lucerne” anno 1887 –
Marcello è il primo essere umano della storia ed è anche il primo contadino dell’umanità. Il libro ripercorre tutta la storia dell’umanità vista attraverso gli occhi e le gesta di Marcello, che inventa prima l’agricoltura, perché si rende conto di non essere adatto a quel mondo primordiale e selvaggio, poi il fuoco, per cucinare il primo cinghiale che riesce a catturare dopo che l’ungulato gli ha distrutto le prime coltivazioni, dando così il via a tutta l’umanità, fino ai giorni nostri. Scopriremo come nasce la zappa e l’importanza fondamentale che tale strumento avrà nella nostra evoluzione, ma si parla anche del problema legato alla comparsa sul pianeta dei primi esseri “Non Contadini” che di fatto cambieranno totalmente gli equilibri e la vita di Marcello che, sempre più disorientato, senza rendersene conto si troverà in una società totalmente scollegata dalla natura e dalla terra, una società che diviene “moderna”, nella quale i supermercati nascono ovunque e si moltiplicano a dismisura grazie anche ai loro reparti di “Sfrutta e Verdura”.
Si vedrà Marcello alle prese con i vegani armati di seitan fino all’arrivo sulla scena di Carlo Cracco e la sua cucina stellata, che darà il colpo finale al capostipite dei contadini e ad una storia durata millenni. Le vicende di Marcello si alternano con le “flessioni e riflessioni agricole” dell’autore, un contadino del secondo millennio che con ironia e leggerezza tenta di portare avanti la propria personale idea di umanità, cercando di trattare temi anche molto seri come il valore dei prodotti agricoli e lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura. L’idea di umanità che l’autore tenta di presentarci viene definita da lui stesso come “Naturale”, fermo restando che di “Naturale” nell’essere umano c’è ben poco. Se è vero che errare ed arare sono le caratteristiche che più di tutte differenziano l’essere umano dagli animali, non riesco a capire perché tutti quanti errano ma soltanto in pochissimi arano!
Formato 13,5×21 cm | pagine: 160 | Prezzo: € 14,00 |
AGRO ROMANO PATRIMONIO A RISCHIO:
A) PONTI ROMANI;
B) TORRI MEDIOEVALI;
C) CASALI STORICI E VILLE RINASCIMENTALI E BAROCCHE.
Punto 19-Castel di Guido –Casale della Bottaccia.
Italia Nostra lancia un SOS urgente per segnalare alle amministrazioni (Comuni, Municipi, e Provincia) e alle Sovrintendenze competenti il patrimonio a rischio dell’Agro romano, il cui ambito storico va oltre i confini del Comune di Roma.
Ci sono dieci ponti romani, 15 torri medioevali e 28 casali da salvare, il cui crollo (o la saturazione edilizia dell’area in cui sono collocati) comporta in ogni caso la perdita e l’ulteriore imbarbarimento dell’Agro.I casi più eclatanti sono due. Il primo è villa Catena, importante complesso tardo-rinascimentale situato nel Comune di Poli, il cui bellissimo Parco (di 80 ettari) con fontane, ninfei, alberature secolari e padiglioni, corre il rischio di essere lottizzato con ville di lusso a carattere speculativo!
Come villa Pamhili negli anni Sessanta salvata dalla dura battaglia di Italia Nostra, così la battaglia per salvare villa Catena deve diventare la battaglia- simbolo del 2008 della nostra Associazione per salvare quello che resta dell’Agro romano.
L’altro caso è quello di Tor Chiesaccia, importante fortilizio medioevale, antica domus-culta posta al decimo chilometro della via Laurentina, minacciata da un nuovo insediamento che rischia di accerchiarla e di renderla di fatto invisibile dagli assi stradali !
Le domuscultae erano antiche circoscrizioni agricole intorno a Roma, oggi la nuova circoscrizione, l’XI Municipio e il Comune, deve dare a Tor Chiesaccio la tutela che merita, salvaguardando l’identità delle nostre periferie minacciata dal dilagare di un’edilizia anonima e priva di qualità.
Non c’è soltanto il centro storico da tutelare, attorno a Roma c’è un territorio altrettanto “storico”, perché intimamente legato alla storia della
Censimento a cura di Luigi Cherubini, già Consigliere della sezione romana di Italia Nostra, le nuove emergenze sono indicate da asterisco
città, chiamato “Agro romano”. Che non è formato soltanto da un insieme disorganico di borgate, da una periferia intensiva di palazzoni, da “non luoghi”, come i nuovi centri commerciali. C’è tutta un’intelaiatura, una trama, formata da antichi percorsi, di monumenti minori, purtroppo a rischio.
A) PONTI ROMANI
Erano considerati una delle sette meraviglie del mondo antico eppure, sia che si tratti di ponti di acquedotti che di ponti stradali, neanche la vetustà e la nobiltà dell’origine li salva dal degrado che nei casi più drammatici può portare al crollo del manufatto (il ponte della Mola di San Gregorio di sassola crollò nel ’65, il ponte Amato vicino Gallicano nel ‘46 ).
1. Ponte Barucelli (via della Baroccella, località “Valle Martella”, comune di Gallicano) o “Diruto” sono i 2 ponti dell’Aniene Nuovo e dell’Acqua Claudia legati fra loro sul fosso dell’Acqua Nera. Soffocati dalla vegetazione e in degrado.
2. Ponte del Diavolo (Canale Monterano, località Prati di Canale) su diverticolo della Clodia sul fosso del Diavolo…Minaccia crollo (al confine tra i comuni di Monterano e Manziana)
3. Ponte del Diavolo (2 km a nord dell’osteria di Nerola) della Salaria. Reso invisibile dalla vegetazione (comune di Scandriglia)
4. Ponte del Fienile (dell’Aniene Nuovo sull’Acqua Traversa) reso invisibile dalla vegetazione (comune di Gallicano)
5. Ponte della Selciatella * (ponticello stradale ad una arcata della Prenestina-Polense sull’Acqua Rossa) in VIII Municipio, soffocato
dalla vegetazione e completamente dimenticato, benché accompagnato da una strada romana ad antichi poligoni di basolato, non viene riportato nemmeno dalla Carta dell’Agro.
6. Ponte di Nona (km 14,5 Prenestina) al IX miglio della via, a 6 arcate sul fosso omonimo Insediamenti presso le arcate (V Municipio) mancanza di cartellonistica
7. Ponte della Valchetta (stazione di Labaro) della Flaminia sul Cremera (o Valchetta) a due arcate. Fortemente degradato e dimenticato tra gli svincoli e la vegetazione infestante (XX Municipio)
8. Ponte S.Antonio (san Gregorio di sassola) dell’Aniene Nuovo sull’Acqua Raminga, lungo 120 mt. alto 30. Minacciato da fenditura (comune di San Gregorio da Sassola)
9. Ponte San Pietro (San Vittorino) dell’Acqua Marcia sul fosso della Mola, reso invisibile dalla vegetazione (comune di San Gregorio da Sassola)
10. Ponti sul Fosso Scuro* (Zagarolo, località Colle Pizzuto) sono due ponti affiancati della Claudia e della Marcia, sul Fosso Scuro, completamente obliterati, giacciono in fondo alla scarpata tra la moderna lottizzazione di Colle Pizzuto (dove nessuno li conosce!) e la bretella Fiano San Cesareo, tra una vegetazione infestante e discariche di immondizia, sono un simbolo dell’imbarbarimento in cui è caduto l’Agro Romano.
B) TORRI MEDIOEVALI
Sono uno dei simboli dell’Agro e hanno dato il nome a tanti quartieri e località periferiche.Tralasciando quelle in degrado, le torri medioevali attualmente in pericolo di crollo (ricordiamo che nel ’51 crollò in parte Tor Tre Teste e nel ‘70 torre Appia, ormai dimenticata) sono:
1. Due Torri (a 300 mt. sulla sin. del km 10,5 Casilina) ne resta in piedi solo una (VIII Municipio)
2. Tor Chiesaccia * (a 100 metri sulla sin del km 10 della via Laurentina) questa antica domus culta dell’XI Municipio corre il rischio di essere nascosta da un nuovo insediamento.
3. Tor Chiesaccio (via di Tor Pagnotta) assai malridotta accanto a elettrodotto (XI Municipio)
4. Torre Cornazzano (2000 mt a sud del km 10 Claudia) già semi- crollata. Circolo ippico nei paraggi (Comune di Anguillara Sabazia)
5. Torre dei Santi Quattro * (a 300 metri sulla sin km 13,3 Tuscolana) VIII Municipio mortificata da nuove costruzioni, questa bellissima torre sormontata da merli ghibellini (a coda di rondine) corre il rischio di venire completamente accerchiata dalle case e diventare invisibile
6. Torre del Bosco (200 mt sulla ds del km 26,5 Cassia) o “Torraccia del Bosco”, avanzato degrado e pericolo di crollo (XX Municipio), in contatto visivo con il casale-torre della Merluzza
7. Torre di Acqua Raminga (dintorni San Vittorino) dimezzata
verticalmente da un crollo, fu sede dei partigiani dei Castelli
(Comune di San Gregorio da Sassola)8. Torre di Centocelle* (ds km 8,3 Casilina) VIII Municipio
minacciata da nuove costruzioni.9. Torre di Pietra Pertusa* (100 metri sulla sin km 18 Flaminia) villa
privata, resa praticamente invisibile da nuove alberature (XX
Municipio10. Tor di Quinto (da non confondere con Tor di Quinto Lazzaroni
trasformata in villa di lusso) (via omonima) al V miglio da Roma, presso il ponte dell’Acqua Traversa della Flaminia, vedetta di ponte Milvio, ora semidiruta (XX Municipio)
11. Torre di Procoio ( su un’altura sulla sin. del chilometro 8,5 Tiberina) semidiruta (Comune di Riano)
12. Torre di S. Eusebio (a 800 mt sulla ds del km 12 Tiburtina, via Affile) o “Torraccio”, assai malridotta con vistosa fenditura sul lato nord (V Municipio) vicino torre moderna della Mercedes
13. Torre Fiora (sul fosso omonimo, tra Cretone e Monterotondo) assai malridotta con imminente pericolo di crollo (comune di Palombara Sabina)
14. Torre La Pasolina (su un poggio a ovest di Colonna) diroccata e pericolante (comune di Colonna)
15. Torretta della Marcigliana (ds della via omonima) a guardia del fosso Formicola, semidiruta (IV Municipio)
16.Torre della Bottaccia a guardia del Casale della Bottaccia ,semidirutta (XIII MUNICIPIO)
C) CASALI STORICI E VILLE RINASCIMENTALI E BAROCCHE
Anche i casali, le abitazioni più tipiche dell’Agro, sono spesso in abbandono e in degrado. Sia che si tratti di casali-torre, che di casini di caccia e di villeggiatura in luoghi ameni e panoramici che di osterie lungo le strade, malgrado l’importanza storica e paesaggistica, le pubbliche amministrazioni non se ne curano.
Qui si segnalano i casi più gravi, dato l’imminente pericolo di crollo e di perdita definitiva (ricordiamo la scomparsa di tanti casali caratteristici, come l’Osteria degli Spiriti all’intersezione Appia Nuova/Latina), ma anche di incuria che alla lunga porta al degrado strutturale dell’edificio. Eppure si tratta di casali storici, che per secoli hanno caratterizzato il paesaggio suburbano e agricolo romano conferendogli un’impronta inconfondibile.
1. Belvedere Righetti (Trullo, collina di monte Cucco) singolare padiglione cilindrico del 1825, in degrado (XV Municipio)
2. Casal Castruccio (tra Poli e Gallicano) casale-torre medioevale in degrado (comune di Poli)
3. Casal Nuovo (Villalba, a 700 mt sulla sin. km 25 Tiburtina) o “Bernini” del XVII sec., casale-torre con due garitte, della famiglia Consorti, in degrado (comune di Guidonia-Montecelio)
4. Casal Vecchio o delle Vittorie* sulla destra km 16 via Palombarese (Comune di Fonte Nuova) casale-torre in abbandono
5. Casale del Barco o Barco D’Este (a 100 metri sulla ds del km 24,5 Tiburtina) casino di caccia degli Este (attribuito all’ arch. ferrarese Galvani! Datato 1550 circa, su torre medioevale) ora dell’impresa di travertino Caucci e in degrado. Un tetto sfondato in mezzo alle cave. (Comune di Tivoli)
6. Casale della Caffarella (via omonima) o “Vacchereccia”, costruito dalla fam.Caffarelli nel 1586, rivendita latticini: tetti sfondati e in degrado (XI Municipio)
7. Casale de’Pastini* (Villalba) casale-torre in abbandono in mezzo alla cave di travertino (Comune di Guidonia-Montecelio)
8. Casale Faustiniano* (via Faustiniana, Comune di Poli) bel casale- torre medioevale in abbandono
9. Casale Pietralata (via di Pietralata) casale-torre in degrado (V Municipio)
10. Casale S.Antonio (100 mt sulla ds. del km 17 Nomentana) o “Saccoccia”, su torre medioevale era di proprietà dei monaci di S.Antonio, ora privato, (la tenuta è lottizzata e tra poco uno dei casali-torre più belli della campagna romana sarà soffocato da nuove abitazioni). (comune di Guidonia Montecelio)
11. Casale San Giovanni in Camporazio (100 mt sulla ds del km 32,8 via Polense) ora Barberini, cinquecentesco, costruito in calcare rosa sulle tracce di antico castello medioevale, con ponticello d’accesso del 1911 e cascata, in abbandono (VIII Municipio)
12. Casale Torlonia* (via Appia Antica, civico 240) l’ epigrafe del 1853 è minacciata da rampicanti (XI Municipio)
13. Casino Aureli (Palombara a ds della strada per Marcellina) XVIII sec. (Epigrafe Heic Dulcis Otia Ruris) in abbandono vicino al “Palazzetto” (comune di Palombara Sabina)
14. Casino Colonna* (Marino, ingresso) il casino è reso invisibile da un’edilizia anonima anni Ottanta mentre su uno dei portali seicenteschi (attribuiti all’architetto Girolamo Rainaldi!) recentemente è addossato un garage (Comune di Marino)
15. Castel Giubileo (sin km 12 Salaria) casale diroccato su una collina boscosa, difesa per tre lati dall’ansa del Tevere, era un antico castello pare costruito per il 1° giubileo del 1300 (IV Municipio)
16. Cervelletta (via di Tor Cervara) palazzetto del ’600 su torre del XIII sec., i casali rustici dai tetti sfondati sono in abbandono (V Municipio)
17. Colle Canoro (Castel Madama ds A 24) XVIII sec. ora rimessa di legna, in abbandono (comune di Castel Madama)
18. Falcognana di Sotto (ds km 15 Ardeatina) o “Falcognana vecchia” antico castello Cenci in abbandono (XII Municipio)
19. La Bottaccia (via di Castel di Guido) o “Bottacchia”, già casale di caccia dei Pamphili, c’era una carrozza-ambulanza per portare a Roma i malati della campagna, ora diroccata e in avanzato degrado (XIII Municipio)
20. La Certosa (via di Pavona, 300 mt a nord di Palazzo Morgano) di origine conventuale, in abbandono e in degrado (XII Municipio) 21. Osteria del Pavone (Cassia/via di Campagnano) dalla
caratteristica insegna di un pavone, ora abbandonata e in degrado
(comune di Campagnano)22. Osteria del Tavolato* (in mezzo alla via Appia Nuova, dopo
Tor Fiscale) autoricambio (un’osteria storica delle più famose
dell’Agro è dimenticata e in abbandono) (X Municipio)23. Osteria della Moletta (Palombarese/via di Mentana) ormai
semi-diroccata (comune di Fonte Nuova)24. Palazzo Morgano (via di Pavona) in abbandono e in degrado
(XII Municipio)25. Torre Nova (ds km 12,5 Casilina) ristrutturato nel 1601 da
Giovanni Fontana per gli Aldobrandini (iscrizione Clemente VIII
Pont Opt) Il casale con la chiesa sono in degrado (VIII Municipio) 26. Triangolo Barberini* (Palestrina, lungo l’Olmata di Palestrina) attribuito all’arch. Francesco Contini singolare costruzione a forma di Triangolo, in abbandono con i casali della
tenuta (Comune di Palestrina)27. Villa Catena* (Poli, via Polense) (attribuito arch. Annibal Caro
fine XVI sec.) in abbandono, il grande parco con i casini nobili corre
il rischio di essere lottizzato per ville di lusso (Comune di Poli)28. Villa York* (XVI Municipio, zona Bravetta) attribuita arch. Giovanni Antonio De Rossi (Seicento) in abbandono con i casali
della tenuta