Poesie di Simona Cerri Spinelli- Al centro dei rovesci– Interno Editoria –
C’è un grido che percorre i versi di Simona Cerri Spinelli. Una voce precipita e illumina le pagine di questa raccolta. Uno dei più grandi poeti italiani contemporanei come Giampiero Neri, scrive nella nota finale del libro come queste poesie “vengono da molto lontano, prive come sono di ornamenti, nude e non si possono ignorare”. Non si può non notare come “Al centro dei rovesci” rappresenti un chiaro invito a danzare il ballo della vita, a “non temere niente dai sogni”.
Goffa nel mio maglione nero a lato del binario
attonita nel vederti comparire,
la pena più lieve è guardare in fondo
la mano della ragazza
e le labbra pronunciano appena
che io ho perso il treno.
C’è qualcosa di intoccabile nella tua immagine
che ha resistito fino a oggi.
*
“Andiamo a prendere un po’ d’aria”.
Avrei voluto vederlo restare e piangere
nella strada di fango.
Non temere niente dai sogni,
se dormendo vedi qualcosa di terribile
non è un annuncio di catastrofe,
è il mio pensiero che affonda.
*
Sto in silenzio la maggior parte del giorno,
la casa mi scricchiola addosso.
Di notte osservo il brutto tempo.
Gli scherzi della mente,
io e te abbracciati
e tu parli.
Non dirmi che ancora, al posto tuo,
arriverà il mattino.
*
Arrivo presto al Caffè,
ti cerco negli occhi degli altri
che fanno colazione,
tua madre è lì da anni, non mi chiede
niente,
mi prende sotto braccio e dice:
“È andato via per primo”
“È sempre andato via per primo”.
Nota di lettura: Giampiero Neri
Collana: Interno Libri
ISBN: 9788885583030
Anno: 2018
Pagine: 64 Formato: 11×17 cm
Giorgio Girardet-Come canne al vento-Editore Claudiana
Descrizione del libro di Giorgio Girardet-Come canne al vento-Fatto prigioniero dopo l’8 settembre e deportato nei lager della Germania nazista per il rifiuto di continuare la guerra a fianco dei tedeschi e dei repubblichini di Salò, il giovane sottotenente valdese Giorgio Girardet tiene fortunosamente un diario, ritrovato quasi integro dalla figlia. Qui se ne propone la parte che va dal marzo 1944 al gennaio 1945 quando, nel campo di Sandbostel – lo stesso di Alessandro Natta, Giovannino Guareschi, Gianrico Tedeschi e tanti altri –, fu il pastore di una piccola rappresentanza evangelica e dove, sorretto da una grande fede e da una forte volontà di reazione, moltiplicherà le occasioni per incontri, gruppi di studio e stabilirà i primi rapporti “ecumenici” con alcuni dei cattolici più aperti presenti nel lager. In quei mesi getterà le basi per la sua lunga vita professionale di pastore, giornalista e studioso, sempre innovatore e sempre aperto al futuro. Al di là del valore di testimonianza storica, queste pagine, attraverso le lenti di una prospettiva certamente parziale, ci permettono di scoprire come alcuni protagonisti di una generazione ora rimpianta abbiano saputo in condizioni drammatiche confrontarsi e gettare le basi culturali e morali per la ricostruzione del Paese.
Giorgio Girardet-Come canne al vento
Indice testuale
Prefazione. Pensiero teologico e fede alla prova di Bruno Rostagno Introduzione di Hilda Girardet
1. Gli Internati Militari Italiani
2. L’antefatto: la resistenza a Lero
3. Silenzi e omissioni
4. Famiglia e formazione
5. Foto e parole: le tracce
6. Quali e quanti lager?
7. A Sandbostel: attività e personaggi
8. Tre sorprese Avvertenza
Parte prima. Lager di Sandbostel
Parte seconda
Parte terza. Studi, conferenze, interventi pubblici nel Lager
Postfazione. Che il mio spirito sia alto o basso, Signore, sii tu con me… di Mirella Abate
Giorgio Girardet-Pastore valdese e giornalista,ha diretto il Centro ecumenico di Agape (To), ha fondato e diretto il settimanale “Nuovi Tempi” e diretto l’Agenzia di Stampa NEV, ed è stato docente di Teologia pratica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Autore di numerose pubblicazioni, si ricorda la trilogia Cristiani perché, Bibbia perché, Protestanti perché, editi da Claudiana.
Hilda Girardet-Laureata in Pedagogia, è stata segretaria di redazione, docente elementare, ricercatrice ed esperta di Psicologia dell’Educazione presso l’Università La Sapienza di Roma. Specializzata nella didattica della storia, è autrice di alcune pubblicazioni sull’insegnamento della storia nella scuola di base.
Editore Claudiana S.r.l.
Via S. Pio V, 15 – 10125 Torino
Tel. 011.668.98.04
mail:info@claudiana.it
-Poesie di Fernanda Romagnoli –Interlinea Edizioni
Fernanda Romagnoli, dimenticata poetessa, è una delle più grandi voci del Novecento italiano, con il potere di folgorare il lettore con la sua poesia.
Falsa identità
Falsa identità Prima o poi qualcuno lo scopre: io sono già morta da viva. È di donna straniera la faccia tra i capelli in giù sporta che subito si ritira, l’ombra che dietro le tende s’aggira di sera, il passo che viene alla porta e non apre. Suo il canto che intriga i vicini coprendo i miei gridi sepolti. Qualcuno prima o dopo lo scopre. Ma intanto…
Lei a proclamarsi non esita, lei mostra il mio biglietto da visita. Io nel buio, in catene, a un palmo da voi di distanza, sul muro graffio questa riga contorta: testimonianza che mio era il nome alla porta, ma il corpo non ero io.
Il tredicesimo invitato
Grazie – ma qui che aspetto? Io qui non mi trovo. Io fra voi sto qui come il tredicesimo invitato, per cui viene aggiunto un panchetto e mangia nel piatto scompagnato. E fra tutti che parlano – lui ascolta. Fra tante risa – cerca di sorridere. Inetto, benché arda, a sostenere quel peso di splendori, si sente grato se alcuno casualmente lo guarda. Quando in cuore si smarrisce atterrito «Sto per piangere!» E all’improvviso capisce che siede un’ombra al suo posto: che – entrando – lui è rimasto fuori.
Ad occhi chiusi
E mentre dormi, e dura l’armistizio fra l’anima ed il corpo suo sudario, vorrei scenderti in petto, mescolarmi allo stormo dei palpiti al comizio dei sentimenti. In balìa, sorpreso senza sigilli: stai come un diario di bordo pieno d’isole e di venti, come un albero offerto al plenilunio. Terribile e indifeso (questo taglio fra i cigli, fino all’animia…) E non oso più decrifarti. Sacro – simile a morte – il tuo riposo. Meglio che incognite le sigle, che i cifrari siano confusi. Meglio ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.
Niente
Morte, se vieni per condurmi via, lascia che ombra su ombra io ripercorra la gente. In quest’incrocio di rotte casuali, ci siamo incontrati – fra vivi – così inutilmente. Per migliaia di giorni, ogni giorno: all’andata, al ritorno. Per migliaia di notti, ogni notte, coi ginocchi, coi fiati. Non ci siamo scambiati niente.
Lei
Lei non ha colpa se è bella, se la luce accorre al suo volto, se il suo passo è disciolto come una riva estiva, se ride come si sgrana una collana. Lo so. Lei non ha colpa del suo miele pungente di fanciulla, della sua grazia assorta che in sè non chiude nulla. Se tu l’ami, lei non ha colpa. Ma io – la vorrei morta.
Tu Tu, che chiamiamo anima.
Colore negro, odore ebreo. Tu profuga,
tu reietta, intoccabile. Tu transfuga
dal soffio dell’origine.
Non ti spetta razione, né coperta,
né foglio di reimbarco.
Per registri e frontiere
non esisti.
Ma in sere come queste, di cangianti
vaticini fra i monti,
ad ogni varco
può apparire improvvisa la tua faccia
d’eremita o brigante.
“Fronda smossa,
pietra caduta…” trasale in sé il passante
che la tua ombra assilla
di crinale in crinale,
mentre corri ridendo nell’occhiata
del cielo, che ti nomina e sigilla.
Capro espiatorio Uggiola alla fessura, cagna-luce.
Qualcuno il mio sonno ha legato
quattro zampe in un mazzo. All’aurora
chi aprirà? Voglio alzarmi. Ho paura.
Nel pozzo del cranio
– senza uscita –. Nel buio sacrario
sconsacrato. (La luce come un’unghia
sotto le porte). Capro espiatorio
già caduto sul fianco, otre di sangue
già mezzo vuoto – come scalci ancora
forte, mia vita.
Oggetti I piccoli oggetti, i piccoli
amici schiavi, che tirano
troppo in lungo la vita! Miei cari,
vi licenzio in tronco. È più dura
forse per me: ma chi monco,
chi gobbo, chi spelato da lebbra;
e il mazzo di chiavi risputato
da ogni serratura.
Gli ipocriti inermi! Bisbigliano
aiuto, pietà.
E s’uncinano a tutti gli appigli,
a tutti i ricordi come labbra
s’attaccano, come vermi.
Giù nel sacco – un tonfo – coraggio!
Non sarà un lungo viaggio.
In cantina, il bel dormitorio.
Col teatrino dei topi, il tanfo
del vino, la grata
(tarlata) del parlatorio
per la piuma, per la foglia di passo.
Tra vecchi fratelli… Diciamo
che a noi padroni va peggio,
quand’è l’ora nostra… Ma adesso
muoviamoci, andiamo.
Fernanda Romagnol
Fernanda Romagnoli, dimenticata poetessa, è una delle più grandi voci del Novecento italiano, con il potere di folgorare il lettore con la sua poesia.
Nata a Roma il 5 novembre 1916, si diploma in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia della capitale.
Nel 1943 pubblica la sua prima raccolta, Capriccio, con l’editore Signorelli.
Nel frattempo fa parte della redazione di alcune riviste del tempo, come La Fiera Letteraria. Nel 1973 pubblica per Guanda Confiteor, raccolta premiata da Vittorio Sereni.
Sette anni dopo, Attilio Bertolucci, da lei considerato il proprio maestro, la consacra facendo pubblicare con Garzanti Il tredicesimo invitato, la sua opera più importante.
Sempre Bertolucci, in un’intervista del 1991, afferma: «Preferisco non fare nomi. O forse potrei limitarmi a due donne di sicuro valore: Alda Merini e Amelia Rosselli, cui vorrei aggiungere Fernanda Romagnoli che è una poetessa che è morta e non ha ancora avuto quello che merita».
Purtroppo, infatti, la poetessa viene via via dimenticata, si ammala di epatite e si spegne a Roma nel 1986.
C’è nella poesia di Fernanda Romagnoli una forte tensione emotiva, una potenza inaspettata. La forza nel verificare arriva all’estremo travolgendo chiunque legga.
Donatella Bisutti curatrice della nuova versione de Il tredicesimo invitato e altre poesie (2003) descrive la poesia della Romagnoli in questo modo: «È una poesia dell’anima, dello spirito, dell’energia incontenibile dello spirito.»
Da ciò non comprendiamo come sia possibile che tale autrice possa essere accantonata. Allo stesso tempo è vero che la poetessa, già in vita, rifiutava qualsiasi salotto letterario, rimanendo nella sua Roma. Gli unici contatti con alcuni letterati degli anni (Bertolucci in primis, o Nicola Lisi) lì ebbe attraverso delle lettere.
Sembra quasi un’autopunizione inflittasi, dettata forse dal matrimonio con un militare o da un carattere taciturno e introverso che trova il suo linguaggio, la sua esplosione nella scrittura. Questo lo deduciamo anche solo dai titoli scelti per le raccolte pubblicate. Il Confiteor, ad esempio, è la preghiera penitenziale della celebrazione eucaristica, Il tredicesimo invitato indica qualcuno che non dovrebbe esserci, perché semplicemente porta sfortuna.
Allo stesso tempo non si può dire che la poesia della Romagnoli sia pacata, stretta nello schema di una vita vissuta in solitaria. È chiaro, quindi, che la poetessa trova nel verseggiare la propria vocazione, il modo per rendere visibile quel genio, quel valore insito in lei.
È in poesie come Falsa identità che dà prova di questo. Fernanda si distacca da un mondo che non le appartiene (io sono già morta / da viva) e ricalca il tema della morte, molto spesso trattato. In una poesia dedicata al padre la poetessa, invece, scrive:
Così mio padre mi s’accende accanto nel buio che mi fascia. “Vieni per dare o per chiedere?” m’affanno “È la medesima cosa!
Quindi la poesia di Fernanda marca quell’oltre che le fu precluso nella vita. Il grido della poetessa giunge ancora chiaro e comprensibile.
Senza pietà, senza pietà, Signore, il Tuo immenso lasciarmi. Senza fine, senza fine il mio grido Ti voglio!
scrive in Senza requie, oppure:
ed io, abbagliata, più non mi difendo – confitta nel limo terrestre come uno spino -.
in Quando.
Un grido lacerante, soffocato, che solo nel pensiero della morte trova come uscire fuori, prepotente, invadendo il resto.
– io – che piangete morta. Invaderò la casa: un solo giro come fa il lampo.
in Avvento
E tu già stavi disciolta da noi vivi. Verso incerte balugini dischiusa. Maturavi sola – nella placenta della morte
in Sola.
È una terribile pena quella a cui Fernanda è stata condannata. Una donna che viva si ritrova morente, sepolta ancora fremente.
otre di sangue già mezzo vuoto – come scalci ancora forte, mia vita.
Da Capro espiatorio
Quella donna dal viso indifeso Un poco sfiorita- che passa nello specchio in una scolorita veste rossa, senza fruscio, di fretta, rialzando sul capo i capelli con mano distratta: quella donna dall’anima dimessa dicono che son io.
Ed anche l’amore è un sentimento sofferto, fatto di gelosie quasi adolescenziali, che definiscono meglio il quadro caratteriale della poetessa
Se tu l’ami, lei non ha colpa. Ma io – la vorrei morta.
in Lei.
o da perentorie esclamazioni di colpevolezza:
Meglio ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.
Donatella Bisutti, grande estimatrice della Romagnoli, ci mette di fronte ad una certezza dicendo: «Forse lo spirito di Fernanda ha ancora bisogno di placarsi e non riesce a farlo. Forse è ancora alla ricerca di un perdono.»
Anche noi lo crediamo, come crediamo che questo spirito abbia bisogno di essere riscoperto e mai più nascosto.
Fortunatamente per la rivista Nuova Corrente di Interlinea è uscito recentemente “Ogni gloria e misura sconvolgendo.” Studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, un volume che propone una rilettura della sua poesia con alcuni inediti e approfondimenti.
Nuova corrente 161. «Ogni gloria e misura sconvolgendo». Studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli Copertina flessibile – 1 luglio 2018
Un destino di silenzio, lo definì qualcuno. E così sembra essere stato il destino di Fernanda Romagnoli. Assente in molte antologie, dimenticata, ignorata. Eppure Paolo Lagazzi la definisce “una poetessa grandissima”. E una poeta così grande non può e non deve rassegnarsi a un destino di silenzio. Non può e non deve essere un’ombra nella Storia.
Prima o poi qualcuno lo scopre:/io sono già morta/da viva.
Nasce a Roma il 5 novembre 1916. A diciotto anni si diploma in pianoforte al conservatorio di S. Cecilia, e a vent’anni conclude gli studi magistrali, da privatista. Tra il 1941 e il 1944 lavora come impiegata nel Consiglio Nazionale delle Ricerche.
La sua prima raccolta di poesie, Capriccio, viene pubblicata nel 1943, edizione Signorelli, con la prefazione di Giuseppe Lipparini. L’anno successivo si trasferisce a Erba con la famiglia, e poi torna a Roma nel 1946. Si sposa con Vittorio Raganella, un ufficiale di cavalleria con il quale dal 1948 al 1965 vive a Firenze, Pinerolo e Caserta. Infine Roma.
Tra il 1961 e il 1965 è maestra in alcune sedi di montagna. Ma perlopiù sarà moglie, madre, e poeta. Ruoli che non s’intersecano, abiti che Romagnoli indossa scompagnati. Come se la vita e la scrittura fossero due strade parallele, e questo la porta a vivere costanti sensi di colpa.
Fernanda Romagnol
Io nel buio, in catene, a un palmo/da voi.
È del 1965 la seconda raccolta di versi, Berretto rosso, pubblicato da Sestante. Sono i primi anni Settanta che la vedono amica di Carlo Betocchi e Nicola Lisi, e nel 1973 esce la terza raccolta di poesie, Confiteor, edita da Guanda. Questo fu possibile grazie ad Attilio Bertolucci che dirà della sua poetica “uno scontro tra il quotidiano e il visionario”.
Io distendo le mani, che vi piova la chiarità…/tu aprimi i capelli/o brezza di levante.
Romagnoli passa dallo stampo ottocentesco della prima raccolta, a liriche visionarie e metafisiche. Una poetica che all’inizio parla di comunione di elementi, la natura percepita a livello sensoriale, un’atmosfera panica che ricorda D’Annunzio e Pascoli, con reminiscenze quasi leopardiane.
[…] i grandi fiori/dissetati splendevano, che un tempo/come piccoli pugni si serravano/per resistere a un marzo di gran vento.
Negli anni Settanta, Fernanda Romagnoli collabora con alcune riviste letterarie, «La Fiera Letteraria» e «Forum Italicum», per la radio Approdo. Scrive quelle che saranno le poesie de Il tredicesimo invitato che uscirà nel 1980 per Garzanti. La poesia che dà il titolo alla raccolta riporta a quel destino, al vivere in disparte.
Grazie – ma qui che aspetto? /Io qui non mi trovo. Io fra voi/sto come il tredicesimo invitato, /… E all’improvviso capisce/che siede un’ombra al suo posto:/che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.
Il senso di inadeguatezza e l’estraneità alla vita sociale che Romagnoli vive, e soffre, sono espliciti, tangibili, e ne scaturisce un’insoddisfazione che la fa sentire scomoda dentro qualunque ruolo. Moglie, madre e poeta. Ruoli che non riuscirà mai a gestire come vorrebbe.
Fernanda Romagnol
Avrà un difficile rapporto con la figlia, con la quale non farà in tempo a spiegarsi veramente. Scrive una poesia per lei, che fa così:
Si stringe chiusa, dura, /come nelle sue ciglia/la margherita sotto il temporale… Ma il mattino /dritta come una pianta, /spensierata, m’è presso il capezzale/che con l’aroma del caffè mi canta/ “sveglia”, col carillon del cucchiaino.
Vive ogni ruolo con sensi di colpa, che serpeggiano nelle sue poesie. Poesie che, tralasciate le atmosfere naturalistiche, si concentrano sugli oggetti di uso quotidiano. Oggetti da cui ci separiamo a fatica, così vicini ma al tempo stesso così estranei. La poesia Oggetti è dedicata proprio a loro.
I piccoli oggetti, i piccoli/amici schiavi, che tirano/troppo in lungo la vita! … Gli ipocriti inermi! Bisbigliano/ aiuto, pietà.
Talvolta gli oggetti sono intrisi di significati metaforici, come nella poesia Bruco, dove Romagnoli osserva con lucidità e freddezza una vita che finisce. Solo un feroce distacco dalle cose le permette di sopportare il pensiero della morte.
Tagliato in due col suo frutto/il bruco si torce, precipita/nel piatto, ove un attimo orrendo /sopravvive al suo lutto.
Questo scrivere delle piccole cose di tutti i giorni ricorda la poetica di Kavafis. Ma il quotidiano è una tenaglia che stringe forte e Romagnoli si trova a vivere un continuo conflitto interiore, un conflitto dell’anima, e un senso di precarietà che la farà sentire estranea alla vita stessa.
Tu, che chiamiamo anima. Tu profuga, /reietta, indesiderabile. Tu transfuga/dal soffio dell’origine. /… Per registri e frontiere:/non esisti.
Fernanda Romagnoli si muove tra un forte desiderio di ribellione e un’amara rassegnazione al quotidiano.
Morte, se vieni per condurmi via, /lascia che ombra su ombra/io ripercorra la gente. /In quest’incrocio di rotte/casuali, ci siamo incontrati/ – fra vivi – così inutilmente.
Paragonata a Salinas, Caproni e Carducci, Romagnoli viene accostata anche a un’altra poeta, Emily Dickinson. Entrambe propense all’isolamento, a quel vivere in disparte, un certo distacco dal resto del mondo. Un distacco totale per Dickinson che vivrà tra le mura domestiche, reclusa nella propria stanza, mentre Romagnoli, pur non arrivando a questo estremo, vivrà in disparte, silenziosa, come un ospite che non vuole disturbare. E, come per Dickinson, nella poetica di Romagnoli emerge la tensione al divino.
Con Lui non abbiamo contatti. /Firma e sigillo: l’impronta del suo pollice…/ Le finestre non guardano che pietre, / da che segarono l’albero e l’uccello/portò altrove il suo canto.
Fernanda Romagnol
Quella di Romagnoli è stata definita una poesia dell’anima. Anima che ha bisogno di evadere, spaziare, essere libera.
Così a portata d’anima! / «Tu aspettami!» /Non udì. Sfavillò vuota la cruna. /Anima – o forma umana:/ah, già svanita.
Ma c’è un altro aspetto che ci fa ricordare Dickinson: il dolore, la malattia. Proprio il dolore, a partire dagli anni Settanta, sarà un compagno sgradito ma fedele di Fernanda Romagnoli. Un’epatite contratta nel periodo bellico la costringerà, nel 1977, a subire un intervento chirurgico al fegato. Nonostante i ripetuti ricoveri, Romagnoli non trascura la poesia.
Poi ti raggiungerò/là dove – abbandonata/la via terrestre, simile/a rotaia in disuso – s’incammina lo spirito, esitante.
In questo verso la vita viene paragonata a una rotaia in disuso, una similitudine come se ne trovano tante nelle sue liriche. E si trovano anche metafore, anafore, rime e assonanze.
Questo cuore mio, gonfio di pietre, / suona ancora conchiglie/ e il sudore dell’anima concima praterie di camelie.
E ancora:
…se tu l’ami, lei non ha colpa. /Ma io la vorrei morta.
Se in vita Romagnoli ebbe un breve periodo di notorietà, veloce come una meteora, dopo la morte sprofondò nell’oblio.
Voglio alzarmi. Ho paura. /Nel pozzo del cranio/ – senza uscita -. Nel buio sacrario/sconsacrato.
Alcune poesie inedite saranno pubblicate poco prima della sua morte dal quotidiano «Reporter», grazie a Ginevra Bompiani e Gianfranco Palmery, e dalla rivista «Arsenale».
Fernanda Romagnol
Ma sarà solo nel 2003 che Donatella Bisutti, dedicandoci anima e corpo, riuscirà a far ripubblicare, dall’editore Sheiwiller, Il tredicesimo invitato. Ma fu un’altra meteora, poi ancora quel destino che ritorna, di nuovo il silenzio. Di nuovo l’oblio. È per questo che abbiamo voluto scrivere di lei, e per lei. Perché ancora una volta potesse uscire da quel silenzio.
E affacciati guardando fluttuare/questa frangia di sera sui palazzi, /che di sprazzi vermigli ci colora.
Riportiamo il pensiero di Barbara Lanati circa la sua biografia su Emily Dickinson, facendolo nostro e dedicandolo a Fernanda Romagnoli.
Avrei voluto che fosse stata lei a parlare di sé. Lei tuttavia non c’è. Nonostante la sua assenza, non voglio attribuirle ciò che lei non avrebbe voluto le fosse attribuito. Né voglio offrirne un’immagine in cui non avrebbe voluto riconoscersi.
Fernanda Romagnoli muore all’età di settant’anni, a Roma, presso l’Ospedale Sant’Eugenio. È il 9 giugno 1986.
Fu feroce/il dettato di resa. In un minuto/la tua carne divenne un ectoplasma/dai gesti incomprensibili…/Maturavi/sola – nella placenta della morte.
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Ogni gloria e misura sconvolgendo, studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, «Nuova Corrente»
«Poesia», rivista trimestrale di poesia
Donatella Bisutti, Il fantasma di Fernanda, in «Le Voci della Luna», quadrimestrale di Informazione e Cultura Letteraria e Artistica
Emilia Sirangelo, Fernanda Romagnoli: l’esilio di un poeta
Pozzo-Martini
PAOLA POZZO Ottenuto il diploma presso lo Ied, illustra libri per ragazzi in Italia e all’estero, ed. San Paolo e Grimm Press di Tawian; lavora nella moda per Giorgio Kauten; disegna biglietti augurali e carte regalo per La Carterie di Panini e Auguri Mondadori. Illustra poesie per B. Mondadori Scolastica.
Per le ed. San Paolo pubblica un libro per ragazzi sulla pace.
Giornalista pubblicista, scrive recensioni presso una rivista. Vince vari concorsi letterari di narrativa breve, tra cui GialloMilanese e Keltia edizioni.
Pubblica racconti su tre antologie di genere Steampunk.
Vive a Milano.
Un destino di silenzio, lo definì qualcuno. E così sembra essere stato il destino di Fernanda Romagnoli. Assente in molte antologie, dimenticata, ignorata. Eppure Paolo Lagazzi la definisce “una poetessa grandissima”. E una poeta così grande non può e non deve rassegnarsi a un destino di silenzio. Non può e non deve essere un’ombra nella Storia.
Prima o poi qualcuno lo scopre:/io sono già morta/da viva.
Nasce a Roma il 5 novembre 1916. A diciotto anni si diploma in pianoforte al conservatorio di S. Cecilia, e a vent’anni conclude gli studi magistrali, da privatista. Tra il 1941 e il 1944 lavora come impiegata nel Consiglio Nazionale delle Ricerche.
La sua prima raccolta di poesie, Capriccio, viene pubblicata nel 1943, edizione Signorelli, con la prefazione di Giuseppe Lipparini. L’anno successivo si trasferisce a Erba con la famiglia, e poi torna a Roma nel 1946. Si sposa con Vittorio Raganella, un ufficiale di cavalleria con il quale dal 1948 al 1965 vive a Firenze, Pinerolo e Caserta. Infine Roma.
Tra il 1961 e il 1965 è maestra in alcune sedi di montagna. Ma perlopiù sarà moglie, madre, e poeta. Ruoli che non s’intersecano, abiti che Romagnoli indossa scompagnati. Come se la vita e la scrittura fossero due strade parallele, e questo la porta a vivere costanti sensi di colpa.
Io nel buio, in catene, a un palmo/da voi.
È del 1965 la seconda raccolta di versi, Berretto rosso, pubblicato da Sestante. Sono i primi anni Settanta che la vedono amica di Carlo Betocchi e Nicola Lisi, e nel 1973 esce la terza raccolta di poesie, Confiteor, edita da Guanda. Questo fu possibile grazie ad Attilio Bertolucci che dirà della sua poetica “uno scontro tra il quotidiano e il visionario”.
Io distendo le mani, che vi piova la chiarità…/tu aprimi i capelli/o brezza di levante.
Romagnoli passa dallo stampo ottocentesco della prima raccolta, a liriche visionarie e metafisiche. Una poetica che all’inizio parla di comunione di elementi, la natura percepita a livello sensoriale, un’atmosfera panica che ricorda D’Annunzio e Pascoli, con reminiscenze quasi leopardiane.
[…] i grandi fiori/dissetati splendevano, che un tempo/come piccoli pugni si serravano/per resistere a un marzo di gran vento.
Negli anni Settanta, Fernanda Romagnoli collabora con alcune riviste letterarie, «La Fiera Letteraria» e «Forum Italicum», per la radio Approdo. Scrive quelle che saranno le poesie de Il tredicesimo invitato che uscirà nel 1980 per Garzanti. La poesia che dà il titolo alla raccolta riporta a quel destino, al vivere in disparte.
Grazie – ma qui che aspetto? /Io qui non mi trovo. Io fra voi/sto come il tredicesimo invitato, /… E all’improvviso capisce/che siede un’ombra al suo posto:/che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.
Il senso di inadeguatezza e l’estraneità alla vita sociale che Romagnoli vive, e soffre, sono espliciti, tangibili, e ne scaturisce un’insoddisfazione che la fa sentire scomoda dentro qualunque ruolo. Moglie, madre e poeta. Ruoli che non riuscirà mai a gestire come vorrebbe.
Avrà un difficile rapporto con la figlia, con la quale non farà in tempo a spiegarsi veramente. Scrive una poesia per lei, che fa così:
Si stringe chiusa, dura, /come nelle sue ciglia/la margherita sotto il temporale… Ma il mattino /dritta come una pianta, /spensierata, m’è presso il capezzale/che con l’aroma del caffè mi canta/ “sveglia”, col carillon del cucchiaino.
Vive ogni ruolo con sensi di colpa, che serpeggiano nelle sue poesie. Poesie che, tralasciate le atmosfere naturalistiche, si concentrano sugli oggetti di uso quotidiano. Oggetti da cui ci separiamo a fatica, così vicini ma al tempo stesso così estranei. La poesia Oggetti è dedicata proprio a loro.
I piccoli oggetti, i piccoli/amici schiavi, che tirano/troppo in lungo la vita! … Gli ipocriti inermi! Bisbigliano/ aiuto, pietà.
Talvolta gli oggetti sono intrisi di significati metaforici, come nella poesia Bruco, dove Romagnoli osserva con lucidità e freddezza una vita che finisce. Solo un feroce distacco dalle cose le permette di sopportare il pensiero della morte.
Tagliato in due col suo frutto/il bruco si torce, precipita/nel piatto, ove un attimo orrendo /sopravvive al suo lutto.
Questo scrivere delle piccole cose di tutti i giorni ricorda la poetica di Kavafis. Ma il quotidiano è una tenaglia che stringe forte e Romagnoli si trova a vivere un continuo conflitto interiore, un conflitto dell’anima, e un senso di precarietà che la farà sentire estranea alla vita stessa.
Tu, che chiamiamo anima. Tu profuga, /reietta, indesiderabile. Tu transfuga/dal soffio dell’origine. /… Per registri e frontiere:/non esisti.
Fernanda Romagnoli si muove tra un forte desiderio di ribellione e un’amara rassegnazione al quotidiano.
Morte, se vieni per condurmi via, /lascia che ombra su ombra/io ripercorra la gente. /In quest’incrocio di rotte/casuali, ci siamo incontrati/ – fra vivi – così inutilmente.
Paragonata a Salinas, Caproni e Carducci, Romagnoli viene accostata anche a un’altra poeta, Emily Dickinson. Entrambe propense all’isolamento, a quel vivere in disparte, un certo distacco dal resto del mondo. Un distacco totale per Dickinson che vivrà tra le mura domestiche, reclusa nella propria stanza, mentre Romagnoli, pur non arrivando a questo estremo, vivrà in disparte, silenziosa, come un ospite che non vuole disturbare. E, come per Dickinson, nella poetica di Romagnoli emerge la tensione al divino.
Con Lui non abbiamo contatti. /Firma e sigillo: l’impronta del suo pollice…/ Le finestre non guardano che pietre, / da che segarono l’albero e l’uccello/portò altrove il suo canto.
Quella di Romagnoli è stata definita una poesia dell’anima. Anima che ha bisogno di evadere, spaziare, essere libera.
Così a portata d’anima! / «Tu aspettami!» /Non udì. Sfavillò vuota la cruna. /Anima – o forma umana:/ah, già svanita.
Ma c’è un altro aspetto che ci fa ricordare Dickinson: il dolore, la malattia. Proprio il dolore, a partire dagli anni Settanta, sarà un compagno sgradito ma fedele di Fernanda Romagnoli. Un’epatite contratta nel periodo bellico la costringerà, nel 1977, a subire un intervento chirurgico al fegato. Nonostante i ripetuti ricoveri, Romagnoli non trascura la poesia.
Poi ti raggiungerò/là dove – abbandonata/la via terrestre, simile/a rotaia in disuso – s’incammina lo spirito, esitante.
In questo verso la vita viene paragonata a una rotaia in disuso, una similitudine come se ne trovano tante nelle sue liriche. E si trovano anche metafore, anafore, rime e assonanze.
Questo cuore mio, gonfio di pietre, / suona ancora conchiglie/ e il sudore dell’anima concima praterie di camelie.
E ancora:
…se tu l’ami, lei non ha colpa. /Ma io la vorrei morta.
Se in vita Romagnoli ebbe un breve periodo di notorietà, veloce come una meteora, dopo la morte sprofondò nell’oblio.
Voglio alzarmi. Ho paura. /Nel pozzo del cranio/ – senza uscita -. Nel buio sacrario/sconsacrato.
Alcune poesie inedite saranno pubblicate poco prima della sua morte dal quotidiano «Reporter», grazie a Ginevra Bompiani e Gianfranco Palmery, e dalla rivista «Arsenale».
Ma sarà solo nel 2003 che Donatella Bisutti, dedicandoci anima e corpo, riuscirà a far ripubblicare, dall’editore Sheiwiller, Il tredicesimo invitato. Ma fu un’altra meteora, poi ancora quel destino che ritorna, di nuovo il silenzio. Di nuovo l’oblio. È per questo che abbiamo voluto scrivere di lei, e per lei. Perché ancora una volta potesse uscire da quel silenzio.
E affacciati guardando fluttuare/questa frangia di sera sui palazzi, /che di sprazzi vermigli ci colora.
Riportiamo il pensiero di Barbara Lanati circa la sua biografia su Emily Dickinson, facendolo nostro e dedicandolo a Fernanda Romagnoli.
Avrei voluto che fosse stata lei a parlare di sé. Lei tuttavia non c’è. Nonostante la sua assenza, non voglio attribuirle ciò che lei non avrebbe voluto le fosse attribuito. Né voglio offrirne un’immagine in cui non avrebbe voluto riconoscersi.
Fernanda Romagnoli muore all’età di settant’anni, a Roma, presso l’Ospedale Sant’Eugenio. È il 9 giugno 1986.
Fu feroce/il dettato di resa. In un minuto/la tua carne divenne un ectoplasma/dai gesti incomprensibili…/Maturavi/sola – nella placenta della morte.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Fernanda Romagnoli
Ogni gloria e misura sconvolgendo, studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, «Nuova Corrente»
«Poesia», rivista trimestrale di poesia
Donatella Bisutti, Il fantasma di Fernanda, in «Le Voci della Luna», quadrimestrale di Informazione e Cultura Letteraria e Artistica
Emilia Sirangelo, Fernanda Romagnoli: l’esilio di un poeta
Descrizione del libro Le liriche di Jane Hirshfield, una tra le più note voci poetiche americane, aprono un varco per la riflessione e il cambiamento, invitando alla consapevolezza etica e stabilendo un delicato equilibrio. Molteplici sono i temi di questa importante antologia. Il tempo è quel borseggiatore perpetuo che agilmente se la cava con tutto, da pochi momenti indifesi a interi anni della nostra vita. Anche la malattia e la mortalità fanno la loro comparsa, forze brute che ci privano della libertà, dell’identità e alla fine della vita stessa. Ma il nostro bisogno di salvaguardare ciò che marchiamo come nostro ci espone solo a quel che ogni buddhista teme: l’attaccamento e tutte le sofferenze che ne derivano. Interessante è la risposta di Hirshfield a questa possibilità di perdita: la coltivazione di una voce poetica che combina equanimità e una tranquilla passione, per sottolineare che ciò che la pratica buddhista e la poesia insegnano, è dire di sì a tutto al livello più profondo, compreso il difficile, che si tratti di perdita, rabbia, confusione. Hirshfield cattura questa idea frase dopo frase, immagine dopo immagine, in un linguaggio al tempo stesso misterioso, sorprendente e comprensibile.
Jane Hirshfield
Breve biografia di Jane Hirshfield (New York City, 1953) è una delle voci più importanti della letteratura americana contemporanea. È autrice di 9 libri di poesie e di 2 raccolte di saggi.Dopo la laurea a Princeton, ha studiato al San Francisco Zen Center, dove ha ricevuto l’ordinazione laica nel 1979. Ha scritto di lei Czesław Miłosz: “Una profonda empatia per la sofferenza di tutti gli esseri viventi… È questo che ammiro nella poesia di Jane Hirshfield. Il soggetto della sua poesia è la nostra vita quotidiana, i nostri continui incontri con gli altri e con tutto ciò che la Terra ci porta: alberi, fiori, animali e uccelli… Nella profonda sensibilità dei suoi dettagli, la sua poesia illumina la virtù buddhista della consapevolezza”.
Jane Hirshfield
Alcune Poesie di Jane Hirshfield
Oggi che non potevo fare niente
Oggi che non potevo fare niente,
ho salvato una formica.
Doveva essere entrata con il giornale,
ancora consegnato
a chi deve stare a casa.
Un giornale è ancora un servizio essenziale.
Io non sono un servizio essenziale.
Ho caffè e libri,
tempo,
un giardino,
silenzio abbastanza da riempire cisterne.
Dapprima deve aver camminato
sul giornale, come inchiostro sbavato
che prendeva la forma di una formica.
Poi attraverso il portatile- caldo-
poi sul retro di un cuscino.
Piccola formica nera, sola,
che attraversava un cuscino blu,
si muoveva veloce perché è quello che poteva fare.
Messa fuori al sole,
non avrebbe potuto ritrovare il suo nido.
Allora che cosa ho salvato?
Non sembrava che avesse paura
nemmeno quando camminava sulla mia mano
che la muoveva rapida nell’aria.
Formica, sola, senza compagne,
il cui cuore di formica non potevo comprendere-
come ti va la vita- volevo chiedere.
L’ho sollevata e messa fuori.
Questo primo giorno in cui non potevo fare niente,
contribuire a niente
oltre a stare distante dal mio stesso genere,
ho fatto questo.
*
Today, When I Could Do Nothing
Today, when I could do nothing,
I saved an ant.
It must have come in with the morning paper,
still being delivered
to those who shelter in place.
A morning paper is still an essential service.
I am not an essential service.
I have coffee and books,
time,
a garden,
silence enough to fill cisterns.
It must have first walked
the morning paper, as if loosened ink
taking the shape of an ant.
Then across the laptop computer—warm—
then onto the back of a cushion.
Small black ant, alone,
crossing a navy cushion,
moving steadily because that is what it could do.
Set outside in the sun,
it could not have found again its nest.
What then did I save?
It did not look as if it was frightened,
even while walking my hand,
which moved it through swiftness and air.
Ant, alone, without companions,
whose ant-heart I could not fathom—
how is your life, I wanted to ask.
I lifted it, took it outside.
This first day when I could do nothing,
contribute nothing
beyond staying distant from my own kind,
I did this.
Together in a Sudden Strangeness: America’s Poets Respond to the Pandemic, 2020
Versione tradotta in italiano da Stefania Zampiga
Jane Hirshfield
PIOGGIA A MAGGIO
Il ferro annerito
della stufa
si raffredda ticchettando
alle prime gocce
che iniziano a incontrare il tetto.
È tardi: la notte
s’è fatta scura così
come un frutto –
un sùbito
aroma di pere riempie la stanza.
Giusto prima dell’alba
ritorna più forte,
un bianco, costante rullio di pioggia diurna
preso nel secchio profondo della luna.
Una luce di latta ammaccata
trabocca di oceano e cielo,
colle che s’apre sul colle davanti,
e mi sveglio a un semplice desiderio,
ciò che voglio da quest’ora comune,
da questa terra comune
che in passato fu sposa del tempo:
sentire come un granchio sente l’onda,
forte come un secondo cuore;
vedere come una cosa verde vede il sole,
con l’attenzione esclusiva dell’amore cieco.
Prendi il cuore logoro come un sasso
e lancialo lontano.
Presto non ne rimarrà nulla.
Presto l’ultima increspatura si esaurirà
tra le erbacce.
Una volta a casa, affetta carote, cipolle, sedano.
Glassali in olio prima di aggiungere
le lenticchie, acqua e odori.
Poi le caldarroste, un po’ di pepe, sale.
Completa con formaggio di capra e prezzemolo. Mangia.
Puoi farlo, davvero, ti è concesso.
Ricomincia la storia della tua vita.
Tratta da “Ogni felicità assediata dai leoni” di Jane Hirshfield, traduzione e cura di Loredana Foresta e Andrea Sirotti
DOPO UN LUNGO SILENZIO
La cortesia sbiadisce,
un piccolo bagliore d’acciuga
abbandona la pentola capovolta nello scolapiatti
dopo che la luna s’è dileguata dalla finestra.
Una delle ultime libertà, là nel buio.
Gli avanzi della zuppa messi via.
Le distinzioni contano. Se il muso
quieto di una capra debba dirsi nobile
o indifferente. La differenza tra un giusto rigore e l’orgoglio.
Il pensiero intraducibile dev’essere il più preciso.
Eppure le parole non sono la fine del pensiero, ma là dove comincia.
Tratta da “Ogni felicità assediata dai leoni” di Jane Hirshfield, traduzione e cura di Loredana Foresta e Andrea Sirotti
Jane Hirshfield
Speranza e Amore
Per tutto l’inverno l’airone azzurro ha dormito tra i cavalli. Non so le abitudini degli aironi, non so se siano solitari per natura, o se quello attendesse un richiamo da chi non c’era – senza neanche rendersene conto – tra i suoni spiranti nella notte. So che la speranza è l’amore più duro che portiamo. Ha dormito con il collo lungo ripiegato, come una lettera messa via.
***
Hope and Love
All winter the blue heron slept among the horses. I do not know the custom of herons, do not know if the solitary habit is their way, or if he listened for some missing one— not knowing even that was what he did— in the blowing sounds in the dark, I know that hope is the hardest love we carry. He slept with his long neck folded, like a letter put away.
DESCRIZIONE-del libro di Roberto Ciccarelli-L’odio dei poveri -Biblioteca DEA SABINA Una rigorosa inchiesta politico-filosofica sul welfare. Che cos’è l’«odio dei poveri» che dà il titolo a questo libro? È l’odio verso i poveri o il loro odio verso chi li definisce tali, confermandone e approfondendone la subalternità? A partire da questa doppia definizione, “L’odio dei poveri” si rivela non un semplice saggio su quello che un tempo si sarebbe chiamato «odio di classe», ma una disamina acuta e originale dei conflitti sociali e di potere che indirizzano il nostro linguaggio: termini taglienti e spesso di difficile comprensione come «occupabili», «inclusione attiva», «reddito di cittadinanza», «povertà assoluta» e «relativa» e soprattutto il bicefalo «workfare» – la versione impoverita del welfare – rappresentano in Occidente l’arma più astuta usata dal sistema per governare la precarietà delle vite. In un momento in cui lo slittamento a destra dell’assetto politico sembra non aver fine (e in Italia il governo Meloni svela il suo lato più inquietante e punitivo ai danni dei poveri), Roberto Ciccarelli decostruisce un importante pezzo di storia e di microfisica del potere attuale, fornendo nuovi strumenti all’opposizione politica.
Roberto Ciccarelli-L’odio dei poveri
La recensione
Miseria e povertà-Articolo di Emiliano Sbraglia
Ponte alle Grazie pubblica “L’odio dei poveri” di Roberto Ciccarelli: analisi spietata di una società diseguale, gestita nel nome del workfare
Il titolo di questo volume, L’odio dei poveri (Ponte alle Grazie, pp. 316, euro 18), viene spiegato nella sua doppia accezione all’inizio del capitolo primo: “L’odio dei poveri, in entrambi i sensi del genitivo, attivo e passivo. Nel senso che il povero è odiato e può odiare”. A scriverlo Roberto Ciccarelli, filosofo e giornalista, che nelle riflessioni sul tema per “il manifesto” aveva già dato ai suoi lettori l’opportunità di entrare tra i meandri di un’analisi affatto semplice, come semplice non è l’argomento di cui tratta.
Avvalendosi anche di una ricerca condotta negli ultimi anni per il dipartimento di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre riguardante il reddito di cittadinanza in Italia, e alle relative politiche pubbliche per l’occupazione, Ciccarelli mette insieme i segmenti sparsi della società contemporanea, non solo italiana, raccolti sotto l’ombrello di un neoliberalismo che per l’autore è un nuovo liberalismo politico e non soltanto economico, come viene solitamente analizzato dai comunicatori di professione, e che può esser definito come una “variante politica del rapporto tra democrazia e capitalismo basato su un progetto classista”.
Affermatosi attraverso diverse strategie di potere, che alternano indifferentemente colpi di stato a elezioni almeno in apparenza democratiche, il neoliberalismo dei nostri giorni utilizza principalmente lo strumento del workfare, versione subdola e volutamente impoverita del welfare, che consente a chi governa di mantenere lo stato delle cose come meglio conviene a pochi, sempre più ricchi, o di modificarle sempre a loro vantaggio, a scapito dei molti, della moltitudine. Una moltitudine sempre più povera anche se lavora, ed è proprio questo uno tra gli elementi costitutivi del sistema di workfare utilizzato, che nell’utilissimo glossario posto in appendice viene descritto come “un’espressione che indica lo Stato sociale conservatore”, e dunque “un insieme di istruzioni tecniche, norme e politiche socio-assistenziali, ispirate alle condizionalità del welfare”.
Tutto questo comporta, per chi tenta di uscire dalla sua condizione di povertà, l’involontario assorbimento all’interno di un groviglio da cui è sempre più complicato dipanarsi, perché la formula delle “politiche attive del lavoro” ormai troppo spesso si rivela poco altro che un metodo di assistenzialismo da accettare e basta, all’interno di un sistema passivo che ti vuole passivo, perché in realtà non concede potenziali e nuove opportunità professionali, e dunque esistenziali, elargendo soltanto quanto basta per una sopravvivenza che definire dignitosa diviene ogni giorno più complicato.
Accanto ai working poor, categoria da qualche tempo riconoscibile non soltanto nel nostro Paese (l’autore ci invita a riguardare con maggior attenzione critica la pellicola del 2016 di Ken Loach “Io, Daniel Blake”), ci sono poi i poveri-poveri, quelli che incrociamo per la strada, che facciamo finta di non vedere o che guardiamo soltanto un attimo, per attutire un istintivo senso di colpa, di dubbia provenienza, che mette direttamente in discussione i rapporti sociali, i rapporti tra le persone.
Ecco perché forse la prospettiva comune dovrebbe essere quella di un commonfare, termine che si incontra nelle conclusioni al libro, non a caso titolate “Non c’è un’ora X”, perché non esiste un tempo stabilito per cambiare l’attuale (dis)ordine delle cose, ma esiste un tempo per tentare di liberare la forza-lavoro, per una liberazione della forza lavoro, restituendo a noi stessi la dignità delle proprie esistenze. Potrebbe accadere così, nella “liberazione del tempo sociale”, che niente potrebbe essere più importante per un essere umano della vicinanza con un altro essere umano.
Torneremmo in questo modo a intendere la povertà come sinonimo di solidarietà, una solidarietà costruita su azioni concrete per tentare di cambiare la realtà quotidiana delle persone, lasciando la miseria a chi è misero nelle sue intenzioni, quelle di continuare a ottenere immensi profitti per pochi a scapito di tutti gli altri.
Il Museo del Colle del Duomo di Viterbo ospiterà la nuova installazione di Stefano Cianti-
Il Museo del Colle del Duomo di Viterbo si prepara ad accogliere “Anima Stremata”, la nuova installazione di Stefano Cianti. L’opera, un omaggio alla scultrice Camille Claudel, che da giovanissima intrecciò una relazione tormentata con Auguste Rodin, sarà visitabile fino al 30 marzo 2025.
L’inaugurazione è prevista per il giorno 8 marzo alle ore 17:00. Si tratta di una data simbolica, tutt’altro che casuale: l’iniziativa, che coincide con la Giornata internazionale dei diritti delle donne, si allinea perfettamente con l’attenzione che il museo riserva a questo tema.
L’evento sarà arricchito da una performance artistica di Stefano Cianti e dalla lettura di un testo poetico, scritto dallo stesso Cianti e recitato dall’attore Manuele Pica, con un intervento musicale del maestro Giammarco Casani.
“Anima Stremata”, la nuova installazione di Stefano Cianti
Chi è Stefano Cianti?
Stefano Cianti è un artista poliedrico che esplora numerose tecniche e linguaggi dell’arte visiva. Si diploma maestro nel settore “ceramica” presso l’Istituto d’Arte di Civita Castellana, e si iscrive all’Accademia di Belle Arti “Lorenzo da Viterbo” dove, nel 1997, consegue il diploma di laurea in Pittura.
Tra le sue ultime esposizioni personali spiccano Umanità Interiore, presso Palazzo degli Alessandri a Viterbo, Ecce Homo, nella Cripta della Cattedrale “Santa Maria Assunta” di Sutri, e Pietre Vive, presso il Museo Colle del Duomo di Viterbo.
La ricerca pittorica dell’artista
La ricerca artistica di Stefano Cianti si evolve nel tempo, e spazia tra la ritrattistica e il figurativo moderno. Nel 2015 si concretizza una nuova fase della sua poetica, onirica e sperimentale. Dando voce alla dimensione più intima e sacra della vita, si serve di materiali extra pittorici, come il legno, il bambù e la foglia d’oro; e ancora, il vetro, le pietre e gli specchi.
L’inaugurazione di “Anima Stremata” sarà l’occasione per immergersi nell’intimità dell’artista e vivere un’esperienza unica.
Un’opera sensazionale che, celebrando il talento di Camille Claudel, offre un momento per riflettere su relazioni desiderate, intense e sofferte. Stefano Cianti omaggia il ruolo della donna, la sua centralità in ambito artistico, religioso e iconografico.
L’installazione, così come il Museo Colle del Duomo, è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00; sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura).
Museo del Colle del Duomo
Fondato in occasione del Giubileo del 2000, fa parte del Polo monumentale del Colle del Duomo di Viterbo che comprende il palazzo dei Papi e ambienti della cattedrale di San Lorenzo. Il museo è suddiviso in tre sezioni:
Sezione archeologica, con manufatti databili tra il periodo villanoviano e medievale molti dei quali ritrovate durante i lavori nei locali, oggi sede del museo.
Sezione storico-artistica, con opere provenienti dalle diverse parrocchie della diocesi di Viterbo e collocabili in un ampio arco cronologico che va dalla fine del XII secolo al XX secolo. Quasi tutte sono realizzate da autori originari di Viterbo anche se operanti in diverse regioni d’Italia ed Europa.
Sezione arte sacra, suddivisa in tre reparti: paramenti sacri, dei quali si conservano principalmente quelli di vescovi, cardinale e pontefici; reliquiari, realizzati in forme e materiali diversi; calici, e altri oggetti utilizzati per le funzioni religiose, realizzati in metalli preziosi tra il XV ed il XX secolo.
Roma- LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
debutta al Teatro le Sedie e in replica al Teatro Planet
Roma-Debutta a Roma al Teatro le Sedie il 14 e 15 marzo e in replica il 21 marzo al Teatro Planet, LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA, spettacolo scritto e diretto da Andrea Benfante.
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
Lo spettacolo rappresenta il percorso di una delle più controverse icone femminili del cinema americano e racconta la storia della sua tentata emancipazione come donna indipendente: da attrice ad emarginata fino alla consacrazione di icona pop del fumetto. Una donna colta e coraggiosa che tuttavia è stata schiacciata dal suo stesso voler essere libera e ribelle, da pregiudizi e stereotipi. Sono gli anni quaranta: Louise Brooks vive in una stanza ammobiliata facendo la squillo per sopravvivere. Dal proprio passato verrà a trovarla Schigolch, personaggio equivoco ed enigmatico che, per aiutarla a rinfrancarsi le porterà un vaso di Pandora contenente la Speranza salvifica che Louise otterrà solo ripercorrendo tutti i suoi eccessi. Comincia così il viaggio a ritroso della donna: dagli abusi sessuali subiti da bambina, al suo sogno di diventare ballerina, dai film hollywoodiani a quelli europei con Pabst, dall’alcolismo e l’emarginazione alla riscoperta negli anni settanta.
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
Dimenticare è diventato qualcosa di pericolosamente attuale. In una società dove si è ibernati in un eterno presente e privi – persino – di un passato prossimo, la Storia tende ad essere congedata velocemente dalle menti senza dare modo alla Cultura di formarsi nella coscienza delle nuove generazioni. Louise Brooks è la Diva dimenticata per eccellenza. Il problema sorge quando si comincia a dimenticare anche Valentina, l’icona pop creata su sua immagine dal genio di Guido Crepax. Oltre all’esigenza di tener vivo il ricordo di una donna particolare e di tutte le contraddizioni e debolezze umane che ce la rendono così familiare eppure così distante, l’affermazione del genere femminile su quello maschile è un altro focus fondamentale. Un disperato senso d’emancipazione di Louise impartito subdolamente dallo show businness inventato dagli uomini di Hollywood, non dalle donne. Il desiderio d’affrancarsi senza riuscire, fallendo miseramente ad ogni tentativo. O meglio: facendo in modo che tutto vada a rotoli tramite un perverso auto sabotaggio masochistico. Le violenze subite da bambina che non la lasceranno mai in pace. Una grandissima umanità costellata di
una solitudine soffocante. La consapevolezza che un giorno di lei e di tutto il suo mondo non rimarrà più nulla.
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
Note di regia.
La piéce si pone a metà tra immaginazione fantastica e rievocazione onirica della protagonista femminile che, dimenticata per anni, torna a vivere grazie all’interesse di un nuovo pubblico che la consacra ad icona di uno stile. Ma a fare i conti con lei c’é l’età, implacabile, che l’attende spietata dentro al vaso di Pandora. Troverà Louise la sua vera essenza e quindi la pace? Lo spettacolo è costruito come un sogno, dove Louise ripercorre in un libero flusso di coscienza i suoi tormenti e mette a nudo il suo animo tra i ricordi del successo e della caduta, interloquendo con gli uomini, rievocati da lei, che l’hanno innalzata e sfruttata e mostrandoci il volto oscuro della scintillante Hollywood.
TEATRO LE SEDIE_ Via Veientana Vetere, 51- Roma
Ingresso: € 12; tessera associativa: € 3 info e prenotazioni: info@teatrolesedie.it – 3201949821 link della loro pagina: https://www.teatrolesedie.it/eventi/louise-brooks-e-il-vaso-di-pandora/
TEATRO PLANET_ Via Crema,14- Roma
Ingresso: € 12; tessera associativa: € 3; info e prenotazioni WA +39 339 522 3492
Poesie inedite di Martina Maria Maria Mancassola pubblicate dal blog L’Altrove
Martina Maria Mancassola è una scrittrice, poetessa e operatrice certificata di scrittura terapeutica, oltre che insegnante di Yoga Nidra e facilitatrice di mindfulness. La sua scrittura esplora l’introspezione emotiva, la ricerca interiore e la bellezza nascosta nei dettagli quotidiani, utilizzando un linguaggio evocativo e metafore potenti. Ha pubblicato Diario delle Fragilità con New Book Edizioni (2024) e le sue poesie sono apparse su Bottega della poesia – La Repubblica di Bari, L’incendiario, e L’Altrove. Martina è anche la creatrice del podcast “A Cuore Aperto” su Spotify e gestisce il canale YouTube “Yoga con Martina”, dove condivide pratiche di Yoga Nidra e meditazione, aiutando le persone a trovare equilibrio e consapevolezza interiore.
Martina Maria Mancassola
Quando inizio a danzare
Sposto il mondo di un centimetro
In là
Tu vieni vicino
E mi tendi la mano
Ma io cerco – nelle mani di un uomo –
La verità
Una storia mai narrata a nessuno
Una virgola che cambia senso alla frase
Un verbo infinito entro cui stare
Senza dover sottostare a coniugazioni
Che trasformano i miei confini in limiti
E i tuoi occhi in diavoli
Voglio poter ballare nelle tue mani
Sopra il tuo corpo
Sentirmi cielo che non scompare
All’orizzonte
Essere pioggia che cade
Nella notte
E bagna chi incontra
Mescolarmi al passato della gente
Camminare sul profilo delle montagne
Entrare nei boschi a cercare gemme
O stelle
Addormentarmi nella rugiada dell’erba
E quando avrò fatto tutto questo
Ripartirò
Perché chi non vuole ricominciare
Perde tutte le vite che non ha.
________________________________________
Se saprai abbracciarmi
Senza schiacciarmi
Sfiorarmi senza toccarmi
Le nostre anime riveleranno
L’una all’altra
Le forme di chi siamo stati
Prima di noi
Tu lo sai che chi incontriamo
Cambia il nostro dna
In una parte così infinitesimale
Che gli scienziati non se ne sono accorti
Ma io si
Perché quando ti ho toccato
Non ero più
Sono diventata il tempo che cambia
Che ha aspettato me.
________________________________________
Mi troverai dietro un’ombra che balla
O forse dietro una porta
Sempre occupata a nascondermi
Perché la vita non mi colpisca
Arriverai per amarmi
O per ferirmi?
Non sono un pezzo di pane
Che spezzi, mangi o butti via
Sono un bocciolo in fioritura
E ho bisogno di luce
Ancor di più di vento dell’est
Che mi porti al mare
Per trasformarmi in una barca
E imparare a nuotare
Mi tufferò per raccogliere perle
Da portare alla donna del mare
Che vive contando conchiglie
E costruendo nuovi mari sul fondale
Mi chiederà di restare
Tu puoi diventare amore e arrivare
E se non verrai
Sarò la fanciulla del regno
Senza qualcuno da amare.
Biografia-Sono Martina Maria Mancassola, ho 28 anni e vivo a Verona.
Sono laureata in giurisprudenza con 110/110 ed attualmente sono specializzanda presso la Scuola di Specializzazione Per Le Professioni Legali delle Università di Verona e Trento. Nel 2009 ho conseguito il diploma di quinto anno di pianoforte e triennale di solfeggio presso il Conservatorio Dall’Abaco di Verona.
Nel tempo libero curo i miei due blog letterari – su Instagram @jane_austen_92 e @stoleggendo.mancassolamartina – in cui diffondo le mie poesie del cuore, i passaggi di classici e contemporanei che hanno rappresentato per me occasione di riflessione e di crescita.
Ho un grandissimo difetto: non smetto mai di acquistare libri! Mi perdo nelle librerie della città e nei mercatini dell’usato, in cui trovo sempre una vecchia edizione da custodire ed abbracciare. Amo sognare e leggendo libri ho vissuto tantissime altre vite!
Sono follemente innamorata del Sud Italia ed appena posso mi reco da nonna a Catanzaro Lido per ritrovare la pace contemplando il mare ed ammirando il volo dei gabbiani.
Il mezzo attraverso cui esprimo pienamente me stessa è la scrittura. Ho pubblicato varie raccolte di poesia e brevi scritti in prosa. Amo le parole perché nulla chiedono e tutto donano!
Amo la musica, i miei cantautori del cuore sono De André e Guccini. Ammiro e ricerco l’arte in tutte le sue forme, che sia pittura, scultura o letteratura.
D’estate lavoro come corifea – comparsa donna – presso la Fondazione Arena di Verona; l’opera lirica è un’altra mia grande passione.
Organizzo gruppi di lettura mensili tramite il mio canale Telegram Gruppo di lettura con Jane, sono green friendly, amo viaggiare, camminare in mezzo alla natura e meditare… il resto lo scoprirete curiosando nei miei blog
Rivista L’Altrove
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Dalila e Daniela, le fondatrici.
Per informazioni: laltrovepoet@outlook.it
La British School at Rome è lieta di presentare Spring Open Studios 2025
La British School at Rome è lieta di presentare Spring Open Studios 2025, un evento dedicato alle visite agli studi dellə artistə in residenza presso la BSR.
Lɜ artistɜ saranno presenti con alcune delle loro opere e risponderanno alle domande del pubblico, condividendo la loro ricerca: Catherine Ferguson – Abbey Fellow, Can Gun – Abbey Scholar, Abigail Hampsey – Rebecca Scott Rome Resident, Sophio Medoidze – Sainsbury Scholar, Laura Ní Fhlaibhín – Derek Hill Foundation Fellow, Cathie Pilkington – Bridget Riley Fellow, Ash Tower – Samstag Scholar in the Visual Arts.
Spring Open Studios 2025 sarà un’occasione per mettere in luce alcuni aspetti della ricerca che sta alla base del lavoro dellɜ artistɜ, tra cui Morandi e il Barocco; l’esplorazione degli approcci visivi utilizzati nella rappresentazione del paesaggio, sia fittizio che geografico; l’indagine sulla malattia che mette a rischio la vita dei pini domestici di Roma; l’esplorazione grafica della tensione tra oggetto e immagine nella scultura a rilievo; la sceneggiatura di un film dedicato a Medea; lo studio delle carestie in Italia in epoca moderna e il loro rapporto con il folklore e la fantasia; l’interdipendenza degli atteggiamenti britannici e italiani nei confronti dell’immigrazione.
L’evento rappresenta un modo diverso di vivere la ricerca in corso, che mira a dare al pubblico una visione più ampia del lavoro dellə artistə, a scoprire i loro progetti di residenza, le loro pratiche creative e, soprattutto, a capire come un nuovo ambiente, gli incontri e la rete con la comunità artistica locale, possano dare origine a nuove sperimentazioni.
Roma-CHROMOTHERAPIA. La fotografia a colori che rende felici all’Accademia di Francia
Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, CHROMOTHERAPIA. La fotografia a colori che rende felici. Di scena sino al 9 giugno 2025, la mostra che vede come curatori Maurizio Cattelan e Sam Stourdzé, ripercorre la storia della fotografia a colori lungo tutto il XX secolo attraverso lo sguardo acuto di 19 artisti. L’itinerario espositivo, articolato in 7 sezioni, ci trasporta in mondi vibranti e saturi in cui il colore colpisce la retina e mette in gioco l’intelletto.
Spesso denigrata e raramente presa sul serio, la fotografia a colori ha in realtà permesso agli fotografi di sbizzarrirsi, di mettere mano alla loro tavolozza per ridipingere il mondo. Sono in tanti a essersi liberati dai vincoli documentaristici del mezzo fotografico per esplorare le comuni radici dell’immagine e dell’immaginario, flirtando con il pop, il surrealismo, il bling, il kitsch e il barocco.
La conquista del colore in fotografia segue di poco l’invenzione del mezzo con i primi esperimenti a scopo scientifico a metà del XIX secolo. Nel 1907 fu messo a punto il primo procedimento fotografico industriale a colori grazie all’autochrome, creato dai fratelli Lumière. È l’inizio di un secolo di sperimentazione cromatica: dalle scene ordinarie alle riflessioni filosofiche e politiche, il colore trascende il semplice strumento per diventare elemento narrativo essenziale.
Tutte queste innovazioni del quotidiano rivelano un’immagine surreale, iperreale che reinventa i generi – dalla natura morta al ritratto – offrendo una visione gioiosa e colorata del mondo. Tra gli artisti in mostra, William Wegman (1943, Holyoke, USA) immortala con tenerezza i suoi cani, trasformando i simpatici amici a quattro zampe in icone artistiche, Juno Calypso (1989, Londra, UK) stravolge le convenzioni visive del cinema e della pubblicità per mettere in discussione le imposizioni che affliggono la femminilità, mentre Arnold Odermatt (1925, Oberdorf – 2021, Stans, CH), fotografo poliziotto, documenta gli incidenti stradali in composizioni meticolose, dove la poesia si sostituisce al dramma; e Walter Chandoha (1920, Bayonne – 2019, Annandale, USA), soprannominato “The Cat Photographer”, rivela una qualità umana nei gatti che fotografa su sfondi saturi, trasformando questi animali domestici in icone fotografiche. Ouka Leele (1957-2022, Madrid), dal canto suo, utilizza toni vibranti per cogliere la liberazione dei corpi nel contesto della rivoluzione culturale e sociale della Movida, e Martin Parr (1952, Epsom, UK), grande testimone dei nostri paradossi contemporanei, dirige il suo obiettivo su vassoi di patatine fritte, suggerendo ironicamente la bulimia del mondo moderno. Negli anni dieci del Duemila, il magazine Toiletpaper, ideato da Maurizio Cattelan (1960, Padova, IT) e Pierpaolo Ferrari (1971, Milano), al tempo stesso erede e precursore, degno discendente di questi artisti e assolutamente trasgressivo, dialoga e si nutre di questa piccola storia sfavillante e cromatica.
Che si tratti di amplificare i dettagli di una scena quotidiana, di ridefinire i codici di bellezza delle riviste o di immortalare soggetti impegnati, la fotografia a colori offre una visione intensamente cromatica del mondo. Tale varietà di sguardi e di pratiche rivela un comune filo conduttore: la volontà di mostrare le cose in modo diverso, infondendo nelle immagini la vita e l’emozione che solo il colore può trasmettere.
Maurizio Cattelan è uno dei principali artisti italiani della scena contemporanea. Da oltre trent’anni, le sue opere mettono in luce i paradossi della società e offrono una riflessione acuta sugli scenari politici e culturali. Attraverso l’uso di immagini iconiche e di un linguaggio visivo caustico, le sue creazioni provocano un vivace dibattito pubblico, stimolando uno spirito di partecipazione collettiva. Per CHROMOTHERAPIA, Maurizio Cattelan aggiunge una nuova freccia al suo arco e diventa curatore di mostra.
Sam Stourdzé è specialista dell’immagine contemporanea e del rapporto tra arte, fotografia e cinema. Curatore di mostre è anche autore di innumerevoli opere di riferimento. Dal 2020, dirige l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, di cui in passato è stato borsista. In precedenza è stato direttore dei Rencontres d’Arles e del musée de l’Élysée di Losanna, nonché redattore capo della rivista di fotografia ELSE.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.