Rainer Maria Rilke, nome completo René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema.
È considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi (iniziate durante un soggiorno a Duino), i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge.
Poesia di Rainer Maria Rilke
La nascita di Gesú –
Se tu non fossi stata, in tua fattura, solo umiltà, — come poteva, o Donna, accader l’ineffabile prodigio, che illumina la Notte all’improvviso? L’Iddio che era in corruccio con le genti, s’è conciliato…. E viene al mondo in te.
Forse piú grande lo sognavi, Madre? Che vuol dire grandezza? Ogni oltre limite ed ogni oltre misura della terra, ch’Egli sovrasta e annulla, il suo destino va diritto nel mondo, ora, per vie finanche ignote ai trànsiti degli astri.
Guarda! Sono grandi questi Re. Travolsero innanzi al tempio del tuo Grembo santo i piú ricchi tesori della terra…. E tu forse stupisci, umile, ai doni. Ma guarda! Fra le pieghe dello scialle, il tuo Pargolo, già, tutto trascende. L’ambra che va lontano sui navigli, l’oro contesto in fulgidi gioielli, l’incenso che si esala e che c’inebria, passano, Donna. E lascian solamente amarezza d’inutili rimpianti….
Ma il Bimbo che ti splende, ora, nel grembo (domani lo saprai!) conduce e dona la Gioia che non passa e che si eterna.
Rainer Maria Rilke
(Traduzione di Vincenzo Errante)
da “La vita di Maria, 1912”, in “Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante”, Sansoni, 1941
∗∗∗
Geburt Christi
Hättest du der Einfalt nicht, wie sollte dir geschehn, was jetzt die Nacht erhellt? Sieh, der Gott, der über Völkern grollte, macht sich mild und kommt in dir zur Welt.
Hast du dir ihn größer vorgestellt?
Was ist Größe? Quer durch alle Maße, die er durchstreicht, geht sein grades Los. Selbst ein Stern hat keine solche Straße. Siehst du, diese Könige sind groß,
und sie schleppen dir vor deinen Schoß
Schätze, die sie für die größten halten, und du staunst vielleicht bei dieser Gift —: aber schau in deines Tuches Falten, wie er jetzt schon alles übertrifft.
Aller Amber, den man weit verschifft, jeder Goldschmuck und das Luftgewürze, das sich trübend in die Sinne streut: alles dieses war von rascher Kürze, und am Ende hat man es bereut.
Aber (du wirst sehen): Er erfreut.
Rainer Maria Rilke
da “Das Marien-Leben”, Leipzig: Insel Verlag, 1912
Dipinto allegato è Opera dell’Artista Hans Bachmann-Titolo:”A Christmas Carol In Lucerne” anno 1887 –
Rainer Maria Rilke, nome completo René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema.
È considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi (iniziate durante un soggiorno a Duino), i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge.
Rilke viene oggi riconosciuto come il maggior poeta tedesco dell’età moderna, come uno dei più grandi interpreti lirici della spiritualità moderna, ma la sua opera si ricollega più che altro al secolo precedente, ai simbolisti francesi (di cui tradusse anche diverse opere) e al clima decadente di fine Ottocento/inizio Novecento.
I temi di fondo delle opere di Rilke sono la religiosità, profondamente influenzata dall’ambiente cattolico della sua famiglia, ma che si modifica nelle opere seguenti ai viaggi in Russia in cui era venuto a contatto con l’anziano Tolstoj, cioè in Storie del buon Dio e nel Libro delle ore (in tedesco: Das Stundenbuch, 1899-1903).
Qui il Dio di Rilke appare panteistico e presente in tutte le cose, e la sua religiosità sembra più di tipo lirico-simbolico. Accanto a ciò l’altro grande elemento dell’uomo senza casa, presente anche in Franz Kafka, un uomo privo quindi delle certezze basilari sulla sua vita e che soffre profondamente per questa sua condizione.
A partire dal Libro delle immagini (Das Buch der Bilder, 1902 seconda edizione del 1906) la sua poesia prende una via nuova, sulla quale si sente l’influenza delle altre arti, pittura e scultura con le quali era venuto a contatto soprattutto nel suo soggiorno parigino; il poeta non vuole più parlare ma cerca una soggettività facendo parlare le cose, gli uomini, gli animali, ottenendo i suoi esiti più alti nelle Poesie Nuove (Neue Gedichte, 1907).
In seguito la produzione di Rilke sarà sempre più simbolica-profetica e filosofica, di non facile comprensione. Di particolare interesse per la sua poetica è il concetto di «spazio interno del mondo», quel «Weltinnenraum» che Rilke vede estendersi attraverso tutti gli esseri.
L’Olio di Oliva nella Mitologia-Un mito greco attribuisce ad Atena la creazione del primo Olivo che sorse nell’Acropoli a protezione della città di Atene.
La leggenda racconta che Poseidone ed Atena, disputandosi la sovranità dell’Attica, si sfidarono a chi avesse offerto il più bel dono al Popolo. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie ; Atena, colpendo la roccia con la sua lancia , fece nascere dalla terra il primo albero di Olivo per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione.
Zeus scelse l’invenzione più pacifica ed Atena divenne Dea di Atene. Un figlio di Poseidone cercò di sradicare l’albero creato da Atena, ma non vi riuscì, anzi si ferì nel commettere il gesto sacrilego e morì. Al British Museum di Londra si può ammirare una scultura del frontone occidentale del Partenone, dove l’artista Fidia ha rappresentato questo episodio mitologico. Secondo una leggenda riferita da Plinio e da Cicerone, sembrerebbe che sia stato Aristeno lo scopritore dell’Olivo e l’inventore del modo di estrarre l’olio all’Epoca fenicia. Lo stesso Plinio, invece, su altri suoi scritti, parlando dell’Italia, racconta che l’Olivo fu introdotto da Tarquinio Prisco quinto Re di Roma, questa ipotesi è la più verosimile visto che le più antiche tracce archeologiche finora raccolte sull’olivicoltura in Etruria risalirebbero al VII sec. a.C., descrivendo ben 15 metodi di coltivazione di questa pianta, che, ai suoi tempi, rappresentava già la base di importanti attività economiche e commerciali. L’olivicoltura era molto diffusa al tempo di Omero; l’Iliade e l’Odissea narrano spesso dell’Olivo e del suo Olio. A Roma l’Olivo era dedicato a Minerva e a Giove. I Romani, pur nella loro praticità di considerare l’Olio d’Oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare, mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell’olivo. Onoravano i Cittadini illustri con corone di fronde di Olivo; così pure gli sposi il giorno delle nozze e della loro prima notte nunziale; ed infine i morti venivano inghirlandati per significare di essere dei vincitori nelle lotte della vita umana. Nell’area islamica molte leggende fanno riferimento all’Olivo e al suo prodotto; tra le tante storie si vuole ricordare quella di Alì Babà ed i suoi 40 ladroni nascosti negli otri che dovevano contenere Olio di Oliva.
Il quadro allegato rappresenta Dispute de Minerve et de Neptune, (1748)-Louvre,Parigi- “… e Atena ottenne di governare sull’Attica, poiché aveva fatto a quella terra il dono migliore, quello dell’ulivo……”
Roma-l’Elegance Cafè jazz club propone Suddenly it’s Christmas Time -Silvia Manco Xmas Special Trio-
Roma-Per scaldare la sera della vigilia del Natale, l’Elegance Cafè jazz club propone l’irresistibile e suggestivo repertorio internazionale legato al Natale, declinato in chiave jazz dal trio in edizione “Xmas Special” guidato della pianista e vocalist Silvia Manco.
La scelta dei brani è il risultato di un’accurata e ampia ricerca all’interno di diverse tradizioni musicali.
Non solo quella degli standard song americani ma anche quella più esotica del nord-est del Brasile, quella britannica dei Christmas Carols, quella Irish di origine folk e quella soulful del soul jazz afro-americano.
Sul palco la sera del 24 dicembre a Roma, la rilettura in chiave jazz conferirà unità di intento e coerenza sonora all’intero progetto restituendo un’atmosfera evocativa ma anche pervasa di ritmo ed energia.
Il disco uscito nel 2011 “Suddenly it’s Christmas time“, è disponibile su tutte le piattaforme digitali, da non perdere l’occasione per ascoltarlo dal vivo
Silvia Manco, piano e voce Francesco Puglisi contrabassso batteria e Valerio Vantaggio alla batteria.
SILVIA MANCO
La calda voce di Silvia Manco , pianista e cantante accompagnerà la cena della vigilia di Natale.
Il disco dedicato al Natale “Suddenly it’s Christmas time “è su tutte le piattaforme digitali , e poterlo ascolatare dal vivo la sera della Vigilia a Roma, sarà un’esperienza indimenticabile.
BIO
Pianista e cantante, oltre che compositrice e arrangiatrice, la passione e lo studio del pianoforte è stata di primaria importanza sin da quando era piccola
Le sue primissime esibizioni pubbliche sono avvenute in realtà accanto al padre che le fornirà davvero un repertorio straordinario e una scorta sempre così ricca di standard jazz, bossa nova e evergreen internazionali.
Spinta dal suo fascino per il jazz, a soli 19 anni si trasferisce a Roma, non solo luogo dove approfondirà dapprima lo studio del pianoforte jazz, dell’armonia e dell’arrangiamento.
Ma anche luogo dove incontra e conosce alcuni grandi artisti che non esiteranno ad incoraggiarla a dar vita ad un trio che porta il suo stesso nome, affiancando al ruolo di capogruppo quello di pianista in un gran numero di gruppi jazz della capitale.
Si è esibita in molte sedi internazionali in festival e jazz club in Europa, USA, Russia, Sud Africa, Montecarlo, Dubai.
Il trio, la cui figura rappresenta la ricerca di un suono ben radicato nella pura tradizione jazzistica, con uno sguardo penetrante a band capitanate da pianisti e vocalist come Nat King Cole, Shirley Horn e Blossom Dearie, si distingue per il repertorio di la canzone standard dal respiro ampio e melodioso
In tutti gli arrangiamenti, montati e confezionati dalla stessa pianista di questa band, è proprio il canto a tessere la trama su cui si svolge il dialogo tra le voci, il pianoforte e gli altri strumenti della sezione ritmica.
Le composizioni originali, i cui testi sono scritti in inglese, francese e italiano da Silvia Manco, virano armoniosamente verso lo stile moderno e sono intrise di musica contemporanea e influenza dell’autore, insieme all’abituale visita del jazz strumentale europeo e americano.
La costanza nelle fasi di scrittura, composizione ed elaborazione, allineate all’attività concertistica, contribuiscono alla pubblicazione del suo primo album, nel 2007, intitolato “Big City is for me”.
Seguito dal secondo album “Afternoon Songs” nel 2010 prodotto da Roberto Gatto, famoso batterista jazz italiano, nel 2011 “Suddenly it’s Christmas time”, nel 2012 “Casa Azul”.
L’ultimo cd uscito a febbraio 2019 si intitola “Hip! The Blossom Dearie Songbook”: in questo lavoro Silvia Manco con il suo trio americano basato a NY (Dezron Douglas al contrabbasso e Jerome Jennings alla batteria), e con il contributo di due straordinari special guest (Enrico Rava e Max Ionata), raccoglie l’eredità di Blossom Dearie, il più continentale dei pianisti/cantanti americani.
Silvia abbraccia questo repertorio senza tempo con un tocco di contemporaneità dimostrando un’attitudine da vera band leader.”
Informazioni, orari e prezzi
Siamo in Via Francesco Carletti, 5
ZONA OSTIENSE/PIRAMIDE
Ingresso € 40 con consumazione compresa nel prezzo.
PER L’ACQUISTO DRINK DELLA VIGILIA 24 DIC. ACQUISTANDO L’INGRESSO DAL BOTTON DI ACQUISTO DAL NOSTRO WEB.
Ingresso con prenotazione al tavolo per la cena, con 2 portate alla carta il concerto è incluso.
PER PRENOTARE LA CENA E CONCERTO (2 portate a scelta dal menu alla carta tra antipasti primi e secondo) E’ POSSIBILE FARLO VERSANDO UNA caparra di € 30 A PERSONA tramite il pulsante dal nostro sito web.
Piero Ciampi nasce a Livorno il 28 settembre del 1934. Il padre, Umberto, è un piccolo commerciante di pellami. Delle prime fasi della sua vita, complice il conflitto bellico, non si sa granchè [1]; le prime notizie si hanno dal momento in cui si iscrive alla facoltà di ingegneria dell’Università di Pisa. Quando si trova a circa metà degli esami decide di lasciare l’Università per ritornare a Livorno e provare l’avventura musicale[2]. Nel frattempo, per guadagnare qualche soldo, fa, qua e là, qualche lavoretto.
Piero Ciampi – Canzoni e poesie
IL TUO RICORDO
Il tuo ricordo è una strada piena di luce, una cometa luminosa, mi segue sempre, ovunque vada, sempre. Ora che non ci sei più credo ancora di averti vicina e torno ogni sera dove tu stringevi la mia mano. Ed il tuo viso è una sera piena di ombre ed il ricordo dei tuoi passi mi segue sempre, ovunque vada, sempre. Ora che tu non ci sei più io desidero silenzi, infiniti silenzi, infiniti deserti, usignoli tutti bianchi e pensieri sereni su una strada piena di luce che non ha mai fine.
…..
L’ULTIMA VOLTA CHE LA VIDI
I miei occhi erano pieni del suo sguardo, poi vidi i suoi passi allontanarsi sulla spiaggia… e fu l’ultima volta che la vidi L’ultima volta che la vidi mi chiese di fermare il tempo e mi dette uno scrigno pieno di comete. Io non posso ormai più andare tra i sorrisi della gente né chiedere alle cose un posto in mezzo a loro. L’ultima volta che la vidi mi chiese di fermare il tempo e mi dette una mano piena di carezze. Fu una lacrima candida e lunga che cadendo sopra un fiore mi fece ricordare che se bianco è bianco e nero è nero in questa vita io sono uno straniero. Senza di lei il giorno non ha né alba né tramonto e l’arcobaleno e il canto degli usignoli sono cose perdute…. Ed ogni sera ritornano su quella spiaggia processioni di stelle e di comete come l’ultima volta che la vidi.
….. ADIUS
Il tuo viso esiste fresco mentre una sera scende dolce sul porto. Tu mi manchi molto, ogni ora di più. La tua assenza è un assedio ma ti chiedo una tregua perchè un cuore giace inerte rossastro sulla strada e un gatto se lo mangia tra gente indifferente ma non sono io, sono gli altri. E così… Vuoi stare vicina? nooo? Ma vaffanculo. Sono quarant’anni che ti voglio dire… ma vaffanculo. Ma vaffanculo te e tutti i tuoi cari. Ma come? Ma sono secoli che ti amo, cinquemila anni, e tu mi dici di no? Sai che cosa ti dico? va-ffan-culo. Te, gli intellettuali e i pirati. Non ho altro da dirti. Sai che bel vaffanculo che ti porti nella tomba? Perché io sono bello, sono bellissimo, e dove vai? Ma vaffanculo. E non ridere, non conosci l’educazione, eh? Portami una sedia, e vattene.
….. MISERERE
A mille anni ho dimenticato in treno la mia borsa, dentro: le poesie, una camicia e qualche fazzoletto. Ho messo a soqquadro mezza polizia, la stazione, e mi guardavano co- me un pazzo. A Ponte Sisto ho bevuto sei litri al cubo, in Piazza del Biscione… sono morto. Questo è un miserere per te, per me, che non abbiamo saputo amarci. Noi, per colpa di quattro scemi, abbiamo dovuto subire l’equivoco e siamo soli. Questo è un miserere per te e per me, che non abbiamo mai capito che dovevamo difenderci. Gli uomini quando sono scemi sono nemici, tu non l’hai capito ed ora sei sola. Questo è un miserere per te e per me
….. TU CON LA TESTA IO CON IL CUORE
Tu, tu mi hai amato con la testa. Io, io ti ho amato con il cuore. Forse il tuo amore è più giusto forse il mio è più forte. Io ho paura della tua memoria perché fai troppi conti col passato e castighi i miei errori ignorando i tuoi e poi tu hai sposato il tuo orgoglio con la vanità. La nostra è una battaglia molto dura perché noi non ci concediamo mai un perdono, io col sentimento ti spavento tu con la logica mi sgomenti. Se dici che siamo soli su questa terra cerchiamo di evitare un addio: andiamo avanti con questo amore andiamo avanti tu con la testa, io con il cuore. Questo nostro amore è una cosa… una delle tante della vita. Noi stiamo rovinando tutto con le parole queste maledette parole…
….. L’AMORE E’ TUTTO QUI
Se sono solo come mai, non ho una lira e tu lo sai, perdonami; sono uno strano uomo che può frequentare solo te, abbracciami. Non sono morto e tu lo sai, se ti procuro tanti guai perdonami. Il dolce non lo mangi mai ma qualche volta ti rifai, abbracciami. tutte le cose che non hai accanto a me le troverai nel mondo dell’illusione. Tu vai sicura, vai così, perché io sono sempre qui qui!
….. VA
Va il suo corpo in ogni cuore, sembra un coltello. Lei apre senza pietà altre ferite oltre la mia e va con il suo corpo lungo la strada ed il cemento, è un teatro per le sue gambe sempre pronte ad una danza. Se ritardi, così viene l’attesa, la mia unica arma è un lungo silenzio. Io tra milioni di sguardi che si inseguono in terra ho scelto proprio il tuo ed ora tra miliardi di vite mi divido con te. Se perdi la pazienza grazie a un sorriso ritorni mia, poi apri la tua mano in un disegno sovrumano. La tua anima sta giocando in giardino, mi nascondo e la scruto ma il tuo corpo dov’è? Noi per nutrire l’amore ci sfidiamo a duello, sarà sempre così. Ma amore, non esiste un nemico più bello di te.
….. L’INCONTRO
Domani la mia camicia sarà pulita, le mie pupille bianche, il mio passo fermo, i calzoni stirati, le scarpe lucide, e la mano non deve tremare, costi quel che costi. Non ti potrò baciare perché anche tra noi due l’attesa è sacra e la diffidenza necessaria. Forse comincerò a prenderti la mano, poi non saprò come continuare, farò di tutto perché tu non capisca l’indifferenza che in questo mondo ci perseguita. Stanotte allenerò le mie labbra a sorridere e dovrò quindi pensare a lavarmi fino alla morte i denti. Vorrei piacerti come un tempo ma la mia pelle è stanca e non posso nascondere il mio volto. Dovresti essere forte e dirmi, lasciandomi alla mia vita di sempre, che ormai per te sono un estraneo e che ha ragione la gente quando dice che merito la solitudine. Ma guarda tu che cosa ti dico; sarebbe molto meglio per te che te ne andassi prima di incontrarmi.
….. CHIEDER PERDONO NON E’ PECCATO
Buongiorno, amore: sei ritornata, niente è cambiato, siamo gli stessi innamorati come una volta, tu sei la stessa, quella che amavo, le stesse mani, lo stesso viso, la stessa ansia nei nostri cuori. Quando mi hai visto tu hai sorriso: chieder perdono non è peccato. Sei ritornata, niente è cambiato, siamo gli stessi innamorati.
tratte da “Canzoni e poesie”
Lato side, Roma, 1980
La vita agra, 53 poesie di Piero Ciampi
L’unico Ciampi a cui dovremmo dedicare piazze e strade in ogni angolo d’Italia è Piero, perché era tutto quello che non vogliamo più che gli artisti siano: l’amarezza della vita agra, il dolore di essere meschini e non saper essere altro, il sarcasmo, il cinismo, talvolta pure la violenza, in versi, narrata, che è la violenza più dannata, contro quel problema volgare che ci attanaglia tutti: andare, camminare, lavorare. Campare. E farlo per quegli spiccioli con cui comprarsi un’ora di sollievo sopra il collo di una bottiglia, tra le cosce di una sconosciuta, dentro un taxi per nessuna parte o una frittata di cipolle, «cose che non ho mai avuto tutte insieme», raccontò in un’intervista: la felicità è una sigaretta consumata; se arriva, arriva a mozziconi.
Piero Ciampi era un Modigliani anacronistico, uno nato nella città giusta – a Livorno, in via Roma, praticamente di fronte alla casa natale di Modì – ma pareva avesse sbagliato epoca pur azzeccandola in pieno. Non c’è niente di romantico o decadente nella sua vita raminga e balorda, da bohémienne ottocentesco fuori tempo massimo. Non era uno scapigliato o un dandy; tendeva piuttosto a un epicureismo istintivo e dannato, da eterno insoddisfatto che se ne fotteva della ricerca estetica: era lui stesso l’estetica, la sua vita, la disperazione che gli tallonava il culo, sulla strada, come i poeti beat. Ciampi era il Majorana di Sciascia in fuga dal proprio talento, uno della genia dei Morselli o dei Campana, quelli che faticano a starsi dietro. La sua esistenza accadde tutta dentro al proprio tempo, fu tragicamente novecentesca e tragicamente italiana. Lo intuiva probabilmente pure lui, che non a caso nei primi dischi degli anni sessanta si firmava con lo pseudonimo di Piero Litaliano, tutto attaccato perché la sua era grammatica da osteria, una zuppa preparata con gli scarti di senso. Gliel’avevano dato i francesi, quel soprannome, accentando la O finale, in virtù del pathos tipicamente italico che infondeva alle sue interpretazioni canore. In realtà dentro quella voce, prima ancora che l’Italia, c’era Livorno; e nemmeno tutta: c’era soprattutto il quartiere Pontino dove Ciampi era nato tra il profumo del cacciucco e quello delle puttane, le urla dei portuali e le proteste dei disoccupati, quei vicoli che portavano nomi di canzoni come «via della Disperazione», strada senza autore in attesa del suo Bob Dylan. Processione di un’umanità dolente, assetata di tutto, affamata dalla miseria ma pure da qualcosa che si trova fuori dallo stomaco, fuori dalla pelle, fuori persino dal creato.
È l’umanità protagonista di canzoni che sovvertono Dickens intorno a un fuoco natalizio dove l’apologo si fa cenere per rinascere controfavola (Il Natale è il 24), che evocano Edgar Allan Poe in una nuova ornitologia dell’orrore, l’orrore squallido dello stentare quotidiano (Il merlo), che erigono monumenti all’artista solo se l’uomo è un irredimibile, un irrecuperabile, un irregolare (Ha tutte le carte in regola). Per certi versi Piero Ciampi è stato il nostro Céline – che conobbe durante il periodo di vagabondaggio in Francia nei locali in cui si esibiva Georges Brassens – il primo punk italiano, però con la chitarra classica: mentre Celentano e Buscaglione accoglievano l’America nel rock’n’roll e nello swing, Ciampi se l’andò a prendere in Francia. Nella sua carriera è venuto alle mani con Califano al bancone di un bar, ha insultato i giurati del premio Tenco, ha mandato a fare in culo il mago Silvan e più volte il proprio pubblico, soprattutto quello dei circoli d’élite, i borghesi, gli intellettuali, di cui gli interessavano solo i soldi. Una volta a Firenze abbandonò il palco dopo aver eseguito a malapena il primo brano, e non sazio sbeffeggiò il pubblico proclamandosi «il cantante più pagato d’Italia, trecentomila lire per mezza canzone»; un’altra volta dilapidò l’anticipo in contanti dalla RCA, ottenuto grazie all’intercessione dell’amico Gino Paoli, spendendolo tutto all’osteria di via dell’Oca, metà in vino e un’altra metà regalata a una prostituta «così stasera puoi fare a meno di lavorare». Era insofferente al successo, più che cercarlo sembrava fuggirlo. Spariva per mesi interi, diceva agli amici di essere in partenza per Tokyo o per l’America, ma poi lo ritrovavano ubriaco al porto di Livorno, isola-mondo di cui si sentiva il Robinson Crusoe; altre volte invece partiva davvero, improvvisamente, senza dire niente a nessuno, per Barcellona, per Stoccolma, per Dublino. A causa di queste fughe mandò in vacca numerose occasioni di svoltare la carriera, come quella volta nel 1974 quando a cercarlo fu Ornella Vanoni e lui risultava irrintracciabile anche al fido collaboratore Gianni Marchetti.
Era un emarginato, Ciampi, sapeva di esserlo e forse voleva esserlo; si definiva un arrabbiato, descrivendosi con tre aggettivi che sono un preciso identikit caratteriale – livornese, anarchico e comunista – però sul passaporto, alla voce professione, ci fece scrivere «poeta».
Come poeta Ciampi realizzò una sola raccolta, 53 poesie; gliela pubblicò nel 1973 Ennio Melis per la RCA in un’edizione elegante e spartana, dalla copertina totalmente bianca come il White Album dei Beatles. Resta forse il primo e unico caso in Italia in cui un’etichetta discografica abbia pubblicato un libro di poesie di un cantautore, riaffermando con una sola operazione editoriale quella continuità tra poesia e canzone ben presente alla tradizione romanza, dai trovatori provenzali agli stilnovisti, e poi sdoppiatasi in diramazioni distinte seppur tangenti. Quel volumetto torna adesso in libreria grazie a Lamantica Edizioni, arricchito da una premessa di Enrico De Angelis, curatore dell’ultima pubblicazione in cui vennero ristampate le 53 poesie (Piero Ciampi. Tutta l’opera. Arcana, 1992), un’introduzione critica di Diego Bertelli – che analizza l’esclusività della poetica ciampiana e la sua distanza tanto dalla tradizione lirica italiana quanto dalla sperimentazione novecentesca, mettendo altresì in risalto le affinità tematiche col concittadino Caproni e con la versificazione frammentata di Ungaretti – e una postfazione dell’editore Giovanni Peli.
Molti dei versi qui raccolti nacquero originariamente come estensioni delle canzoni, alcuni vennero pubblicati nei libretti allegati ai dischi, altri recitati da Ciampi nei concerti tra un brano e l’altro, altri ancora furono direttamente integrati alle canzoni, quasi che quei versi fossero protesi, rinforzi, aggiunte senza le quali la forma-canzone iniziale sarebbe rimasta monca, in qualche modo incompleta. Nell’universo lirico di Ciampi non c’è soluzione di continuità tra i due codici espressivi, poesia e canzone sono forme bastarde, promiscue come un fiammifero / ed una latta di benzina / fanno l’amore / sotto il tetto / di una mano. Si rincorrono a vicenda, l’una strattona l’altra a sé: se nelle canzoni ciampiane la melodia doveva farsi marcia irregolare per stare al passo di una metrica dispari, etilica, frantumata – un mucchio d’ossa raccolte dentro un fosso – in queste poesie i versi cantano da soli, senza musica, echeggiando la voce barcollante e insolente del loro autore.
Anche nella forma lirica pura la poetica di Ciampi rimane quello che è sempre stata: fragilità in rivolta, vita come strage continua, stupore amaro di animali chini «a sverginare stelle». E quando certi versi d’amore appaiono un po’ troppo aggressivi, è perché l’amore si dà in relazione, e la relazione è sangue e merda: un insetto che disfa «la nostra sottile e dolorosa ragnatela», dolori che si aggiungono addosso, mani che sfuggiranno sempre. E se per Ciampi non c’è redenzione nell’amore, tanto meno ce n’è in Cristo, figura poetica che ritorna spesso nelle sue poesie, ma è il Cristo di un ateo, il figlio di un cane non certo di Dio: ora muore investito da un’automobile, ora crepa di emorragia, ora si impicca in mezzo a scimmie che lo emulano. È lo stesso Cristo tra i chitarristi di una sua canzone, un acrobata in bilico su un tubo da cui cade di continuo, un viaggiatore incerimonioso che dimentica la valigia su quel treno schifoso da cui non voleva scendere:
«A mille anni
ho dimenticato
in treno
la mia borsa.
Dentro
le poesie
una camicia
e qualche fazzoletto.
Ho messo a soqquadro
mezza polizia
la stazione
e mi guardavano
come un pazzo.
A Ponte Sisto
ho bevuto
sei litri
al cubo.
In Piazza del Biscione
sono morto»
Piero Ciampi nasce a Livorno il 28 settembre del 1934. Il padre, Umberto, è un piccolo commerciante di pellami. Delle prime fasi della sua vita, complice il conflitto bellico, non si sa granchè [1]; le prime notizie si hanno dal momento in cui si iscrive alla facoltà di ingegneria dell’Università di Pisa. Quando si trova a circa metà degli esami decide di lasciare l’Università per ritornare a Livorno e provare l’avventura musicale[2]. Nel frattempo, per guadagnare qualche soldo, fa, qua e là, qualche lavoretto.
Chiamato al servizio militare, Piero parte per il CAR (Centro Addestramento Reclute nella terminologia del servizio di leva obbligatorio) a Pesaro. Durante le libere uscite va a suonare nei piccoli locali pesaresi, dove suscita l’interesse di Gianfranco Reverberi, che ne coglie la vena artistica e successivamente proverà ad inserirlo nel difficile mondo musicale. Inizialmente Piero suona il contrabbasso (suo primo strumento musicale che aveva imparato a suonare da autodidatta) in alcune orchestre del posto, ma in realtà si sente un cantautore e un poeta.
Nel 1957 senza soldi, con solo una chitarra e un biglietto di sola andata in mano, passa prima a Genova, dove va a trovare Reverberi, poi prosegue per Parigi, dove stringe amicizia con Louis-Ferdinand Céline, e va ad ascoltare il grande Georges Brassens. È proprio in Francia che nasce il “Ciampi chansonnier”.
Nel 1959 ritorna nell’amata Livorno, sempre senza alcun soldo in tasca. Per un mese se ne sta in giro per la città, ubriacandosi e pensando di fare il pescatore, ma l’amico Reverberi se lo porta a Milano convincendolo a lavorare per lui. Quando Crepax, amico di Reverberi, passa alla CGD, si porta dietro Piero Ciampi come cantautore “di scuderia”; gli fa incidere alcuni dischi e prova pure a venderli, con il nome artistico di Piero Litaliano. Nel 1963, comunque, “Piero Litaliano”, pubblica il suo primo LP che contiene, tra le altri, Autunno a Milano, Fino all’ultimo minuto e, soprattutto, Lungo treno del sud. Da questo momento però inizia il suo isolamento, un po’voluto dai suoi colleghi, che mal sopportano il suo carattere poco incline alla conciliazione, e molto cercato e voluto da Piero Ciampi stesso. La critica, a parte qualche eccezione, è severissima e stronca l’album, che infatti non ha successo (sarà poi inaspettatamente ristampato dalla CGD nel 1990). Piero allora lascia Milano e ritorna a Livorno, da dove, abbandonato il nome “Piero Litaliano”, inizia a scrivere e cantare con il proprio nome e cognome.
È questo però un periodo di non alta produzione artistica: produce un 45 giri di Georgia Moll e una canzone per Gigliola Cinquetti (“Ho bisogno di vederti“). Quello che Ciampi sembra non riesca a smettere è vagabondare (Svezia, Spagna, Inghilterra e probabilmente anche Giappone, tra le sue mete) e bere.
La sua vita amorosa è ugualmente difficile: dopo il fallito matrimonio con Moira – donna irlandese che, dopo meno di un anno di matrimonio, andrà via portandosi dietro il loro figlio Stefano (nato nel 1966) – anche con Gabriella, che gli darà una figlia, Mira, la convivenza finisce ben presto [3].
Nel 1967 produce un disco intero per Lucia Rango; Gino Paoli, uno dei suoi pochi “amici-colleghi” prova a portarlo con sé alla RCA, ma Piero, dopo aver preso un anticipo del contratto, non scriverà nemmeno una canzone. Nel frattempo coltiva anche la passione per la poesia, e in effetti egli si sente più un poeta che un cantante; scrive poesie scarne e brevi, quasi che fossero una metafora della sua vita.
Gli anni fra il 1973 e il 1974 avrebbero veramente potuto essere quelli della svolta artistica, ma i problemi con l’alcool e quelli con l’ambiente musicale in cui si deve confrontare, hanno oramai raggiunto un punto di non ritorno: sono di questo periodo diversi litigi con artisti di svariati campi. Tra i cantautori apprezza solo Fabrizio De André. Trova comunque il tempo per scrivere Io e te, Maria (rifiutata in un primo momento da Nicola Di Bari, che poi però la inciderà…), Bambino mio (cantata da Carmen Villani e scritta con Pino Pavone, un cantautore calabrese). Nel 1974 Ornella Vanoni vorrebbe produrre un album intero con canzoni di Ciampi, ma alla fine non se ne farà niente. Piero si ritrova a cantare in piccoli locali, dove non manca di insultare il ricco pubblico pagante.
Nel 1976 registra una serata al Club Tenco, che anni dopo viene pubblicata anche su CD. Tra la fine del 1976 e gli inizi del 1977 Ciampi si esibisce in concerto, senza tuttavia molto successo, con una serie di artisti conosciuti alla RCA: Paolo Conte, Nada e Renzo Zenobi; viene anche registrata una trasmissione televisiva, che però la Rai non trasmetterà mai. In compenso, in questi stessi anni diviene molto popolare agli ascoltatori di Radio Capodistria (emittente jugoslava all’epoca molto seguita in Italia centro-settentrionale), visto che non passa giorno che non venga mandato in onda un suo brano.
Negli ultimi anni Piero Ciampi torna sempre più frequentemente a Livorno. Il 19 gennaio1980, ricoverato a Roma, muore per un cancro alla gola, assistito da un medico-cantautore: Mimmo Locasciulli (che per ricordare l’amico Piero inciderà anni dopo una delle sue più belle canzoni: Tu no).
Articolo di Cristina Valentini -Livornese, classe 1934, Piero Ciampi è stato uno dei cantautori più importanti del ‘900 italiano.
Oggi, 19 gennaio, in occasione dell’anniversario della morte del poeta, abbiamo voluto ricordarlo così.
Anticoformista, controcorrente e senza ombra di dubbio riconoscibile come poeta maledetto a tutti gli effetti. Ci teneva così tanto da essersi fatto scrivere “poeta” alla voce “professione” sul passaporto.
Come cantante non raccoglie mai i favori della critica, nonostante le stupende pubblicazioni insieme all’amico di sempre Reverberi e al maestro Marchetti. L’attività di paroliere sembra invece regalargli più soddisfazioni: nel 1965 la sua Ho bisogno di vederti, cantata da Gigliola Cinquetti, arriva seconda al festival di Sanremo; negli anni ’70 invece scrive testi per Nada, che avrà poi un grande successo nel mercato discografico.
Ciampi passa la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 a vagabondare per i paesi più disparati. Nel ’57, a 23 anni, parte per la Francia senza una lira in tasca, ma riesce in qualche modo a mantenersi cantando le sue poesie per strada. Qui diventa un conoscitore ed estimatore della chanson francese e gli viene affibbiato il nome d’arte che lo accompagnerà durante i primi passi della sua carriera: “L’italianó“, poi trasformato in “Piero Litaliano“.
“Ha tutte le carte in regola per essere un artista: ha un carattere melanconico beve come un irlandese se incontra un disperato non chiede spiegazioni divide la sua cena con pittori ciechi, musicisti sordi, giocatori sfortunati, scrittori monchi”
Ha tutte le carte in regola (per essere un artista)è il manifesto artistico e culturale di Piero, dove l’autore parla del suo stile di vita assolutamente e incofutabilmente lontano dai canoni della società occidentale.
Le sue canzoni sono delle vere e proprie poesie. Malinconiche ma capaci di affondarti e affascinarti sin dal primo ascolto.
Ciampi è il perfetto esempio di tutta quella schiera di artisti incompresi in vita e celebrarti e osannati dopo la loro morte.
Dal 1995 proprio a Livorno è nato il Premio Ciampi, concorso riservato a canzoni inedite. Sono assegnati inoltre un premio per la miglior cover di una canzone di Piero, il premio al miglior esordio discografico dell’anno e un premio alla carriera.
Un bohémienne livornese, patrimonio artistico e culturale del nostro paese da consevervare e tramandare alle future generazioni, con cura.
I dipinti etruschi di Cerveteri in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Firenze-
Cerveteri-“Dal 20 dicembre 2024 al 7 aprile 2025 il Museo Archeologico Nazionale di Firenze propone la mostra Visioni di miti e riti etruschi a Firenze, a cura di Daniele Federico Maras etruscologo e direttore del museo. Per l’occasione saranno esposte quattro lastre dipinte intere, risalenti alla fine del VI secolo a.C., recuperate a Cerveteri nel 2019 dalla Guardia di Finanza.
La rassegna è frutto della collaborazione tra il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, il Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Roma della Guardia di Finanza – Sezione Tutela Beni demaniali e di interesse pubblico, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale, in accordo con la Direzione regionale Musei nazionali della Toscana.
Le lastre dipinte
Le quattro lastre di terracotta dipinte, ricostruite da una serie di frammenti, furono recuperate nell’estate del 2019 dalla Guardia di Finanza, nel corso di un’operazione di contrasto al commercio clandestino di reperti archeologici. Sono state prodotte negli ultimi decenni del VI secolo a.C. in un’officina della città etrusca di Caere (l’odierna Cerveteri), probabilmente per decorare le pareti di un tempio. Il fregio della parte superiore, comune a tutte e quattro, raffigura un meandro spezzato che incornicia riquadri con uccelli acquatici e motivi floreali a stella. La superficie è stata danneggiata dai maldestri tentativi di pulizia dei ladri d’arte che le hanno strappate al loro contesto.
Una lastra raffigura il duello tra Achille e Pentesilea: l’eroe greco a sinistra, racchiuso in una pesante armatura, si ripara dietro lo scudo e si prepara a colpire la regina delle Amazzoni, che si scaglia verso di lui brandendo una spada insanguinata. Un’altra raffigura un uomo che brandisce un ramo dalle foglie dorate mentre insegue una donna dalla chioma riccia armata di arco: potrebbe trattarsi di Apollo e Artemide con i rispettivi attributi divini, oppure della vergine cacciatrice Atalanta sfidata alla corsa dal suo futuro sposo Melanione, che vinse la gara lasciando cadere tre mele d’oro per distrarla. Un’altra ancora raffigura il Giudizio di Paride: il messaggero degli dèi Hermes, dalle ali variopinte e con in mano uno scettro, precede Hera, prima delle tre dee in lizza per scegliere la più bella tra loro. In origine le altre due dee (Atena e Afrodite) e il giovane Paride chiamato a giudicare erano raffigurati su due lastre adiacenti, purtroppo andate perdute. E infine, sull’ultima lastra è raffigurato un giovane sacerdote dai capelli lunghi che ha appena completato un rito di divinazione osservando gli uccelli con il lituo (il bastone ricurvo che ora tiene sulla spalla) e sta comunicando la volontà degli dèi al suo compagno, il quale si affretta tenendo in mano un ramoscello con dei frutti rossi.
“Grazie a iniziative espositive come questa, che fa seguito a una breve anteprima nella primavera del 2024 a Vetulonia, si porta a compimento il ciclo della tutela per le quattro lastre, dalla protezione (assicurata dalla Guardia di Finanza), alla conservazione (resa possibile dalla Soprintendenza) fino alla valorizzazione (garantita nel contesto del Museo). Solo così lo sguardo etereo di Pentesilea, l’esuberante vitalità della coppia in corsa, l’esplosione di colori delle ali di Hermes, i gesti enigmatici degli aruspici torneranno a svolgere la funzione per cui sono stati creati: comunicare con il pubblico e trasmettere la voce degli artisti del passato”, ha dichiarato Maras, sin dall’inizio all’interno del gruppo di lavoro della Soprintendenza che ha studiato le lastre per renderle visibili al pubblico.
Chiara Colombini-Storia passionale della guerra partigiana-
Editori Laterza-Bari
DESCRIZIONE del libro di Chiara Colombini -Storia passionale della guerra partigiana-A partire dall’8 settembre 1943 fino all’aprile del 1945 migliaia di giovani e meno giovani abbandonarono la loro vita abituale, presero le armi e si gettarono in un’avventura che stravolte la loro esistenza.
Perché lo fecero? Quali furono i sentimenti e le passioni che li spinsero ad un passo del genere e li sostennero in quei venti mesi?
Amore e odio, speranza e vendetta, dolore e felicità: osservare le passioni della resistenza ‘in diretta’ significa avvicinarsi a quella esperienza in modo quasi viscerale ed eliminare le distorsioni prospettiche che inducono a giudicare le scelte di allora con il metro del nostro presente.
Amore e odio, speranza e vendetta, dolore e felicità: osservare le passioni della Resistenza ‘in diretta’ significa avvicinarsi a quella esperienza in modo quasi viscerale ed eliminare le distorsioni prodotte dal passare del tempo.
Le passioni e i sentimenti, lo sappiamo, hanno un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Ci fanno compiere scelte improvvise, ci fanno gioire e soffrire. Alimentano un fuoco che non può essere spento. Passioni e sentimenti certamente mossero le donne e gli uomini che scelsero la strada della ribellione e della Resistenza durante la guerra. Possiamo comprenderle davvero noi che viviamo un altro tempo e un’altra storia? È quanto prova a fare Chiara Colombini, cogliendo, attraverso diari, lettere e carteggi, queste passioni ‘in diretta’, nel loro erompere durante quei venti mesi, tenendo sullo sfondo ciò che solo lo svolgersi della storia ha permesso di razionalizzare. In un tempo condizionato dall’eccezionalità che deriva dall’intreccio tra guerra totale, occupazione e guerra civile, i partigiani si innamorano, coltivano ambizioni, si accendono di entusiasmo o si arrovellano nell’insoddisfazione. Una condizione in cui, oltre alla vita, è in gioco ciò che si è scelto di essere. E, a quasi ottant’anni di distanza, emerge intatto il fascino di quell’esperienza così centrale per la storia di questo paese, la sua dimensione di profonda umanità, il prezzo pagato da uomini e donne direttamente nelle loro esistenze, il loro lascito.
L’Autrice
Chiara Colombini, storica, è ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”.Ha curato, tra l’altro, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con Aldo Agosti, Edizioni SEB27 2012) e gli Scritti politici. Tra giellismo e azionismo (1932-1947) di Vittorio Foa (con Andrea Ricciardi, Bollati Boringhieri 2010) ed è autrice di Giustizia e Libertà in Langa. La Resistenza della III e della X Divisione GL (Eataly Editore 2015).
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
Roma- La via Appia antica vista da due illustri viaggiatori del 1700.
Montesquieu:“ Avvicinandoci a Roma s’incontrano tratti della Via Appia, ancora integri. Si vede un bordo o margo che resiste ancora, e credo che abbia più di tutto contribuito a conservare questa strada per duemila anni: ha sostenuto le lastre dai due lati ed ha impedito che cedessero lì, come fanno le nostre lastre in Francia, che non hanno alcun sostegno ai bordi. Si aggiunga che queste lastre sono grandissime, molto lunghe, molto larghe, e molto bene incastrate le une nelle altre; inoltre questo lastricato, poggia su un altro lastricato, che serve da base. Le strade dell’imperatore sono fatte di ghiaia messa su una base lastricata, ben stretta e compressa. Dopo, vi hanno messo un piede o due di ghiaia. Questo renderà la strada eterna. C’è da stupirsi che in Francia non si sia pensato a costruire strade più resistenti? Gli imprenditori sono felici di avere un affare del genere ogni cinque anni”.
Montesquieu, Viaggio in Italia, 1728-1729.
Charles de Brosses:“E’ questo, o mai più, il momento di parlarvi della Via Appia, cioè il più grande,il più bello e il più degno monumento che ci resti dell’antichità; poiché, oltre alla stupefacente grandezza dell’opera, essa non aveva altro scopo che la pubblica utilità, credo che non si debba esitare a collocarla al di sopra di tutto quanto hanno mai fatto i Romani o altre nazioni antiche, fatta eccezione per alcune opere intraprese in Egitto, in Caldea e soprattutto in Cina per la sistemazione delle acque. La strada, che comincia a Porta Capena, prosegue trecentocinquanta miglia da Roma a Capua e a Brindisi, ed era questa la strada principale per andare in Grecia e in Oriente. Per costruirla hanno scavato un fossato largo quando la strada fino a trovare uno strato solido di terra……Codesto fossato o fondamento è stato riempito da una massicciata di pietrame e di calce viva, che costituisce la base della strada, la quale è stata poi ricoperta interamente di pietre da taglio che hanno una rotaia. E tanto ben connesse che, nei posti dove non hanno ancora incominciato a romperle dai bordi, sarebbe molto difficile sradicare una pietra al centro della strada con strumenti di ferro. Da ambedue i lati correva un marciapiede di pietra. Sono ben quindici o sedici secoli che non soltanto non riparano questa strada, ma anzi la distruggono quanto possono. I miserabili contadini dei villaggi circostanti l’hanno squamata come una carpa, e ne hanno strappato in moltissimi luoghi le grandi pietre di taglio, tanto dei marciapiedi che del selciato. E’ questa la ragione degli amari lamenti che fanno sempre i viaggiatori contro la durezza della povera Via Appia , che non ne ha nessuna colpa; infatti, nei posti che non sono stati sbrecciati, la via è liscia, piana come un tavolato, e persino sdrucciolevole per i cavalli i quali, a forza di battere quelle larghe pietre, le hanno quasi levigate ma senza bucarle. E’ vero che, nei luoghi dove manca il selciato, è assolutamente impossibile che le chiappe possano guadagnarsi il paradiso, a tal punto vanno in collera per essere costrette a sobbalzare sulla massicciata di pietre porose e collocate di taglio, e in tutti i sensi nel modo ineguale. Tuttavia, nonostante vi si passi sopra da tanto tempo, senza riparare né aggiustare nulla, la massicciata non ha smentito le sue origini. Non ha che poche o punte rotaie ma solo, di tanto in tanto, buche piuttosto brutte”.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
di 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 – Regia 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 e 𝗣𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗠𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶 – Con 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗮 𝗗𝗲 𝗣𝗮𝘀𝗰𝗮𝗹𝗶𝘀 e con Francesco 𝗟𝗮𝗽𝗽𝗮𝗻𝗼, Elisa 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗵𝗶, Nicole 𝗠𝗮𝘀𝘁𝗿𝗼𝗶𝗮𝗻𝗻𝗶, Federico 𝗣𝗮𝗽𝗽𝗮𝗹𝗮𝗿𝗱𝗼, Giulia 𝗧𝗮𝗺𝗯𝘂𝗿𝗿𝗶𝗻𝗶, Elena 𝗕𝗮𝗿𝗯𝗮𝘁𝗶, Andrea 𝗟𝗮𝗺𝗶, Greta 𝗣𝗼𝗹𝗶𝗻𝗼𝗿𝗶, Dannis 𝗖𝗮𝗿𝗹𝗲𝘁𝘁𝗮, Jacopo 𝗕𝗮𝗿𝗴𝗻𝗲𝘀𝗶 𝗛𝗮𝘀𝘀𝗮𝗻. Musiche a cura di 𝐅𝐞𝐝𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐏𝐚𝐩𝐩𝐚𝐥𝐚𝐫𝐝𝐨 – Coreografie 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐋𝐚𝐩𝐩𝐚𝐧𝐨
Produzione: CTM CENTRO TEATRALE MERIDIONALE
Dopo il grande successo della precedente edizione, torna a grande richiesta 𝐂𝐈𝐍𝐃𝐄𝐑𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐖𝐈𝐍𝐆, la 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲 ampliata e arricchita di nuovi elementi. La favola di 𝐂𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐨𝐥𝐚 chi non la conosce? Cosa sarebbe successo se fosse nata nei primi anni del 𝟏𝟗𝟎𝟎? Quale principe avrebbe trovato? Come sarebbe stata la Fata madrina? Narrata in centinaia di versioni in gran parte del mondo, in questa pièce, la celebre favola è ambientata negli anni ‘𝟐𝟎 ’𝟑𝟎 del ‘𝟵𝟬𝟬, in uno 𝐬𝐰𝐢𝐧𝐠 𝐜𝐥𝐮𝐛, dove si cimenterà nel ballo e nel canto una 𝗖𝗲𝗻𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗼𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗮𝗿𝗹𝗲𝘀𝘁𝗼𝗻, simpatica e intraprendente, che enfatizza il riscatto femminile di una donna che non cede al conformismo e realizza il suo sogno. Le musiche, cantate e suonate dal vivo, animano travolgenti coreografie, che ci riportano nell’epoca d’oro in cui lo 𝘀𝘄𝗶𝗻𝗴 era la colonna sonora. Un’emozionante rivisitazione della favola originale in 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲, dove coreografie, canzoni dal vivo e personaggi esilaranti daranno vita ad uno spettacolo appassionante, pieno di risate, romanticismo e magia!
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina-
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina | 31 dicembre 2024 – 1 gennaio 2025
Reduce dal successo de “I 7 re di Roma”, in scena al Teatro Sistina di Roma (dove vi resterà fino a domenica 1 dicembre) Enrico Brignano festeggia con il suo pubblico anche la fine dell’anno e l’inizio del 2025 con “Speciale Capodanno”
Un doppio e unico appuntamento, che andrà in scena il 31 dicembre dalle ore 21.30 (con il brindisi di Mezzanotte) e il 1 gennaio dalle ore 18.
Enrico Brignano torna sé stesso e riveste i panni dello showman a tutto tondo per un Capodanno tra divertimento e spensieratezza. Come ama dire sempre, leggerezza non è superficialità, ma solo un modo per ridere di noi stessi e del nostro modo di essere, non senza qualche spunto di riflessione tra una risata e l’altra. Con la sua band di fiducia, capitanata dall’inseparabile maestro Andrea Perrozzi, Brignano traghetterà il pubblico verso il 202. Non mancheranno i lustrini, non mancherà il buonumore, non mancherà il brindisi di mezzanotte
‘Speciale Capodanno’ è scritto dallo stesso Brignano con Manuela D’Angelo. In scena anche Pasquale Bertucci e Michele Marra. Scene di Marco Calzavara, disegno luci di Marco Lucarelli.
QuandoDal 31/12/2024 al 01/01/2025 31 dicembre ore 21,30 – 1 gennaio ore 18
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