Fotoreportage di Franco Leggeri -La Cappella di Santa Brigida di Svezia è stata costruita nel territorio di Castelnuovo di Farfa, si accede dall’Agriturismo Zucchegni, proprio sui ruderi dell’antico “ripostiglio” o “capanno”, dove Santa Brigida aveva trovato posto nel periodo in cui si trovò a Farfa. Quei ruderi, sopravvissero alle intemperie dei secoli successivi, e nel 2007 furono portati a termine i lavori per la costruzione della Cappella, che è ora luogo di culto per i gruppi che frequentano la Casa e per quanti desiderano recarsi sulle orme di Santa Brigida.
Nel corso di questi anni, le suore hanno continuato a pregare e a lavorare in questo luogo e il ricordo della figura di Santa Brigida è andato sempre più crescendo; nel 1993 il Santo Papa Giovanni Paolo II, visitando la Diocesi di Sabina-Poggio Mirteto, il 19 marzo, si fermò a Farfa, dove benedisse una statua di Santa Brigida. La statua è posta sul piazzale antistante la Cappella delle Suore, presso la foresteria del monastero.
Breve biografia della Santa-
Santa Brigida di Svezia, Brigida o Brigitta o Birgitta, nacque nel giugno 1303 nel castello di Finsta presso Uppsala in Svezia; suo padre Birgen Persson era ‘lagman’, cioè giudice e governatore della regione dell’Upplan, la madre Ingeborga era anch’essa di nobile stirpe. la prima parte della sua vita fu quella di una laica felicemente sposata,ebbe ben otto figli. Il suo ceto sociale le permise di studiare. La vita di corte la mette in contatto con la travagliata vita sociale del suo tempo e con la politica europea. Ebbe grande influenza sui giovani sovrani e finché fu ascoltata, la Svezia ebbe buone leggi e furono abolite ingiuste ed inumane consuetudini, come il diritto regio di rapina su tutti i beni dei naufraghi, inoltre furono mitigate le tasse che opprimevano il popolo. Ma poiché non ha mai smesso di pensare alla vita religiosa, studia la letteratura mistica, legge molto, principalmente le Sacre Scritture. Questa fu la sua vita per oltre vent’anni, finché il marito morì nel 1344. Dopo un pellegrinaggio a Santiago de Compostela Brigida diventa una grande mistica, è anche una donna molto pratica, quindi non appena stabilita a Roma nella casa di piazza Farnese, la adattò per i pellegrini che fossero giunti dai paesi scandinavi, a cui si offrivano ospitalità e alta spiritualità. La sua vita era molto austera, totale la sua povertà. Brigida ha una natura forte e volitiva.Per il Papa e per l’Europa si sentirà spinta a partire alla volta di Roma in occasione dell’anno santo del 1350 e da lì non se ne andrà più.
Per Brigida ora è il momento della svolta. Decide di indossare l’abito cinerino del Crocifisso della Verna, simbolo di povertà e penitenza. Ha fondato un Ordine contemplativo femminile e maschile, l’Ordine Suore Brigidine del SS.Salvatore – la cui Regola venne approvata nel 1370 – che disgraziatamente fu spazzato via in seguito alla Riforma protestante in Europa. Profetessa dei tempi nuovi, questa grande santa scandinava, lavorò instancabilmente per la pace in Europa. Morì dopo lunga malattia nel 1373.
Fonte Suore Brigidine dell’Abbazia di FARFA (RIETI)-
Il Castello di Boccea- Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri-Roma Municipio XIV-Il Castello sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea). Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria.
Brighton…..where else could you find such a variety in a small area in a short space of time-Brighton è una città balneare inglese. Dennis Hunt – Fotoreportage-Situata a circa un’ora in treno a sud di Londra, è una destinazione molto amata per le gite in giornata. La sua ampia spiaggia di ghiaia è caratterizzata da sale giochi ed edifici in stile regency. Il Brighton Pier, nella sezione centrale del lungomare, è stato inaugurato nel 1899 e ora ha di giostre e punti di ristoro. La città è nota anche per la vita notturna, la scena artistica, i negozi e i festival.
Il termine reportage viene utilizzato per indicare tutto ciò che riguarda lo studio degli eventi di cronaca, di conseguenza il fotoreportage è un tipo di stile fotografico basato sulle opere dei fotoreporter, ovvero di coloro che vanno a creare contenuti specifici per motivi di divulgazione.
In cosa consiste lo stile del fotoreportage
La fotografia permette di accompagnare alcuni dei momenti più belli della propria vita, come ad esempio le cerimonie e i matrimoni. Durante questi momenti è possibile scegliere uno stile fotografico a cui attenersi per andare a sviluppare poi un album fotografico pieno di momenti memorabili e significativi. Ecco esempi di fotoreportage di matrimonio.
Il fotoreportage è proprio uno di questi stili, che consiste nel catturare le circostanze più belle e memorabili dell’evento, cercando di documentare in maniera completamente autentica tutto ciò che accade.
Di conseguenza i fattori che vanno ad influire maggiormente sullo stile del fotoreportage sono quelli che incidono sulla spontaneità dell’attimo ritratto in foto, i cui soggetti sono ripresi nei momenti più interessanti della cerimonia. Un tratto caratteristico del fotoreportage, inoltre, è l’utilizzo del bianco e nero, che permette di accentuare lo stile puramente documentarista e “di cronaca”.
Come avvengono le fotografie in stile reportage
Dato che l’obiettivo principale di questo stile è quello di ritrarre le situazioni nella loro naturalità più totale, uno dei fattori più importanti da prendere in considerazione per eseguire scatti in fotoreportage è cercare sempre di ritrarre le circostanze così come si presentano. Ciò significa che non c’è bisogno di organizzare lo sfondo, di pose stilistiche o di artifici di alcun genere.
Il fotoreporter professionista sa sempre quale angolo utilizzare per mettere in risalto i momenti salienti, senza andare a modificare la naturalezza dello scatto in alcun modo. Le doti di un buon fotografo vengono messe assolutamente alla prova in questo stile fotografico, perché è molto difficile riuscire a sviluppare degli scatti memorabili e allo stesso tempo esteticamente soddisfacenti senza andare ad influire in alcun modo sui soggetti ritratti.
I fattori positivi dello stile fotoreportage
Grazie al fatto che i momenti vengono ritratti così come avvengono, il fotoreportage è sicuramente il metodo migliore per immortalare i ricordi più memorabili in tutta la loro purezza.
Spesso gli album fotografici vengono riempiti di foto studiate a tavolino, che possono sicuramente rappresentare un buon prodotto per quanto riguarda il fattore estetico, ma che hanno poco da regalare per quanto riguarda invece la purezza del ricordo. Lo stile del fotoreportage ha proprio l’obiettivo di riuscire a catturare tutto ciò che accade all’improvviso, spesso senza la completa consapevolezza dei soggetti che vengono ritratti.
Si tratta di un espediente eccezionale per ritrarre alcuni momenti specifici, come un bacio o un abbraccio, oppure il momento della rivelazione di un regalo, della presentazione della sposa al marito e così via.
Campi di applicazione del fotoreportage
Alcuni esempi di fotoreportage possono essere proprio i giornali e i siti di divulgazione di fatti di cronaca, che utilizzano le foto scattate da reporter professionisti che sono riusciti a ritrarre l’argomento di cui si parla all’interno degli articoli di giornale. In queste foto i soggetti sono quasi sempre all’oscuro della presenza del fotoreporter, di conseguenza il loro comportamento non viene manomesso dalla sua presenza.
Inoltre un altro esempio molto affidabile di fotoreportage possono essere i ritratti in ambito bellico, che riescono a rappresentare le scene che si presentano al fotografo in tutta la loro crudezza. Per tutti questi motivi, lo stile del fotoreportage rappresenta sicuramente un ottimo compromesso per riuscire ad immortalare i propri ricordi così come sono avvenuti, senza manomissioni di alcun tipo.
Questo stile fotografico deve essere sicuramente sviluppato da un vero professionista, perché la scelta degli angoli, del dispositivo giusto, delle impostazioni della fotocamera e di tutti gli altri fattori tecnici che influiscono sulla qualità finale della foto vanno ponderati in maniera corretta e molto rapidamente
Trevignano Romano è uno dei tre borghi che sorgono sulle sponde del Lago di Bracciano (gli altri due sono per l’appunto Bracciano, che da il nome al lago, e Anguillara Sabazia). La particolarità si Trevignano, rispetto agli altri borghi che si sviluppano anche in altezza, è quella di avere un centro storico quasi interamente al livello del lago, molto comodo se si vuole unire una passeggiata tra i vicoli ad una sul lago senza dover ricorrere alla macchina e senza doversi inerpicare per salite infinite che, sopra tutto con un passeggino al seguito, non sono propriamente comode.Le foto sono state scattate :”Lungo il lago di Trevignano in un luminoso giorno della scorsa primavera ….”
Trevignano Romano
Antico borgo medievale sulle rive del lago di Bracciano-
Trevignano Romano ti aspetta con la sua Natura e la bellezza selvaggia dei sui dintorni, parti da qui per scoprire tutto-Alla scoperta di un borgo medievale sulle sponde del lago, tra cultura, religione e turismo… a Trevignano Romano
DOVE SI TROVA-a due passi dal lago e dalla Capitale
Il centro storico di Trevignano Romano è un piccolo borgo di epoca medievale ad appena 30 min da Roma. Il fascino di questo piccolo centro che si affaccia sul lago, al centro del moderno abitato, ti avvolgerà facendoti sentire in un ambiente familiare e sorprendente.
VIENI A CONOSCERE IL CENTRO STORICO DI TREVIGNANO ROMANO
Passeggia con noi tra i vicoli e ammira gli scorci sul lago
Vieni a conoscere con noi il centro storico, iniziamo da Piazza Vittorio Emanuele III. Nella piazza centrale del paese, catturerà la tua attenzione l’elegante palazzo comunale costruito in epoca rinascimentale, nella facciata trovi lo stemma comunale composto dalle tre vigne, simbolo di uno dei prodotti locali del nostro territorio, le bande araldiche rosse e bianche appartenenti alla famiglia Orsini, antica famiglia romana che possedeva questo territorio ed infine le onde di un lago azzurro sfumato simbolo univoco della nostra cittadina. Ora inizia la passeggiata varcando l’antica porta dell’orologio, porta principale del borgo sovrastata da un antico orologio del XVIII sec., ed entrerai in un mondo nuovo fatto di colori, profumi e sensazioni uniche. Passeggiando lungo la via principale Umberto I, scoprirai come la strada principale si intreccia con le numerose vie e viuzze che ricordano i luoghi simbolo di Trevignano Romano; ad esempio la prima via sulla sinistra prende il nome di Via del castello.
VIA DEL CASTELLO
Alla scoperta delle antiche strade del centro storico di Trevignano Romano
Percorrendo via del castello scoprirai scorci di vita quotidiana e piccoli balconi che guardano direttamente alla piazza principale offrendoti un panorama inedito. Continuando a salire lungo la tortuosa via arriverai appena dietro la chiesa dell’Assunta all’inizio del percorso per raggiungere le antiche rovine del castello, e tanto sarà lo stupore quando capirai di essere al centro della storia.
LUNGO LA VIA CENTRALE
Continua su Via Umberto I e scopri gli antichi mestieri
Continuando sulla via centrale del borgo, sarai meravigliato dai mille colori che arredano le piccole e strette viuzze che scendono verso il lago o salgono verso il monte. A pochi metri dalla porta dell’orologio, sul lato sinistro, incontrerai due botteghe storiche, la prima di uno scultore e la seconda di un rigattiere. Fuori dalla prima bottega il sig. Mariano sarà felice di illustrarti le suo opere di stile moderno ma che tanto ricordano la storia e le tradizioni del nostro paese. Subito dopo, dal sig. Sauro potrai imparare i mille segreti dei pianoforti e di alcuni strumenti antichi indispensabili nei tempi passati. Continua poi lungo la via centrale per raggiungere una piccola piazzetta da cui puoi raggiungere la Chiesa dell’Assunta.
Scopri gli illustri personaggi di Trevignano
Continuando lungo via Umberto I, scoprirai che il tempo in questo piccolo borgo si è fermato all’epoca medievale, dove i portoni d’entrata delle case venivano costruiti rialzati per evitare che la polvere, il fango e la pioggia entrassero nelle case e anche per evitare che le ruote dei carri potessero provocare spiacevoli incidenti; mentre le botteghe avevano l’entrata direttamente a terra per poter meglio ospitare le derrate alimentari e il pescato.
Tommaso Silvestri, il primo educatore italiano dei sordumuti
Continua fino a piazza Tommaso Silvestri.
Proprio in questa piazzetta devi immaginare il nostro illustre compaesano, l’abate Tommaso Silvestri, mentre accoglieva le suppliche dei fedeli che bisognosi di aiuto potevano contare su di lui. Tommaso Silvestri è stato il primo educatore italiano dei sordomuti nato e morto nei palazzi del centro storico di Trevignano. Tommaso Silvestri, abate del nostro piccolo borgo, nacque a Trevignano agli inizi del 1700, ultimo di sette figli fin da bambino sentì la vocazione per la fede. Dopo un apprendistato tra Roma e la provincia, aiutato da un suo amico francese si trasferisce a Parigi per studiare il metodo fonetico, nuovo metodo per aiutare i sordomuti ad interagire con il mondo. Una volta imparato il metodo, tornò a Roma dove proprio il Papa Pio VI gli chiese di aprire una scuola per sordomuti, scuola che ancora oggi esiste. Intorno al 1789, affetto da una grave malattia, tornò a Trevignano per passare gli ultimi mesi della sua vita. Dalla piazzetta scendendo verso il vicolo con l’arco di Truman potrai uscire di fianco al palazzo dove per anni ha vissuto la famiglia di Tommaso Silvestri e dove l’abate ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita.
Il nostro borgo, luogo amato dagli stranieri
L’arco di Truman…ma chi è Truman? Truman era un signore americano che negli ultimi anni della sua vita decise di vivere a Trevignano divenendo famoso per i tanti aneddoti che gli piaceva raccontare. Scomparso a 109 anni, il suo spirito continua ad aleggiare nel piccolo borgo, come dimostra la sua sedia rimasta lì dove l’ha lasciata, accanto alla finestrella della bottega dove poteva godere del fresco dell’aria gelida che dagli antichi cunicoli medievali del castello arriva fino in strada…metti la mano nella finestra attraverso la grata, e in alcuni giorni potrai goderne anche tu!
Tanti sono gli abitanti stranieri che amano vivere nel piccolo centro storico, tanti da creare una piccola comunità! Ad esempio proseguendo poco più avanti sulla destra troverai lo studio di un noto pittore francese che compone ed espone opere in tutto il mondo!
LA SALITA VERSO LA CHIESA
Dalla piazzetta centrale del borgo sali verso la chiesa e le rovine del castello
Dalla piazzetta al centro del borgo sali sulla sinistra su Via della parrocchia e potrai arrivare al cortile della chiesa dell’Assunta e all’inizio del percorso per andare sulla Rocca di Trevignano.
La chiesa si staglia davanti a te imponente e maestosa. Al centro della facciata è la porta d’entrata che permette di immergersi in un mondo nuovo, spirituale. La chiesa venne eretta agli inizi del 1500 su un preesistente edificio. Venne eretta a seguito della battaglia di Papa Alessandro VI Borgia che decise di conquistare i territori degli Orsini. Trevignano e la sua popolazione cercarono di contrastare l’imponente esercito ma purtroppo il borgo venne completamente distrutto e il castello messo a ferro e fuoco. Quando gli Orsini tornarono in possesso dei territori decisero di omaggiare la fedele comunità con la costruzione della chiesa.
Entrando dal piccolo portone ti troverai in un ambiente semplice, aulico e la tua attenzione verrà rapita dal grande affresco dell’abside.
RAFFAELLO A TREVIGNANO
L’arte del maestro dalla mano dell’allievo
Di grandi dimensioni, l’affresco venne dipinto da un allievo di Raffaello…Pellegrino da Modena.
Ti colpirà subito l’immagine crudele di un personaggio con le mani tagliate vicino alla vergine. La storia rappresentata è l’antica leggenda aurea che ricorda come due sacerdoti ebrei cercarono di prendere il corpo della Vergine, ma vennero fermati da un angelo che gli tagliò le mani. In alto è dipinta l’incoronazione della Vergine mentre sui lati due profeti tramandano l’accaduto. Interessante è il disegno dell’antico castello dipinto sul lato sinistro appena sopra l’ebreo in fuga.
Le altre opere
Nelle cappelle di sinistra ti segnalo un affresco appena restaurato che rappresenta la Vergine col bambino e donatore accompagnato da due santi. Il donatore potrebbe essere un esponente della famiglia Orsini.
Nella cappella successiva un trittico bizantino forse proveniente da Roma e rappresentante il Cristo in trono con la vergine e San Giovanni Battista. il trittico è composto da tre tavole decorate finemante con colori pregiati su sfondo dorato.
il alto allentrata è l’organo del 1700 da poco restaurato, mentre vicino al portone d’uscita puo nammirare un tabernacolo marmoreo di epoca rinascimentale con al centro la figura di cristo trionfante. nel lato opposto del poertone è, invece, il quadro della Vergine che viene portato in processione il 15 di Agosto, festività molto sentita in paese.
UN PANORAMA MOZZAFIATO
Saliamo sulla Rocca di Trevignano Romano
Uscendo dalla chiesa, alla fine della piazzetta, appena a sinistra segui il percorso che sale verso la rocca. La lunga e comoda passeggiata vi farà raggiungere in pochi minuti le rovine del castello. salendo lungo il percorso ammirate lo splendido panorama che il lago ti offre, sembrerà come poter volare sulle acque cristalline del lago. Ad ogni gradino potrai apprezzare il lago con colori diversi, ottimi per i vostri selfie.
Arriavndo nel castello sarai sorpreso ed emozianato sapendo che in quelle stesse stanze un tempo vivevano i nostri avi.
Rra uno scorcio e laltro potrai scendere seguendo il medesimo percorso dell’andata.
Non ti resta che venire a trovarci, Ti Aspettiamo!!!
Raccontare l’Afghanistan è come fare un viaggio tra conflitti, umanità, violenza e droga. I signori della guerra, padroni del paese, hanno fatto dell’Afghanistan la loro cassaforte personale, oltre che spogliato la popolazione civile di qualunque diritto e futuro. Dal 1979, anno dell’invasione sovietica, non c’è mai stato un solo giorno di pace. Guerre e massacri sono da allora l’aspra quotidianità di chi è costretto a vivere in condizioni provvisorie e inventarsi una possibilità di sopravvivenza. Dopo la cacciata dell’Armata Rossa nel 1989, i Talebani presero il potere a metà degli anni ‘90 e lo mantennero fino al 2001, anno dell’abbattimento delle Torri Gemelle.
Massud “il leone del Panshjir”, artefice della vittoria sui sovietici e successivamente contro i talebani con il suo esercito dei Mujaheddin, venne eliminato dai servizi segreti occidentali per impedirgli di realizzare una rivoluzione in proprio, che sarebbe stata destabilizzante per i molteplici interessi economici in gioco.
Nel 2001 intervennero l’Alleanza del Nord e i contingenti internazionali per cercare di imporre un assetto politico che garantisse loro un’adeguata presenza sul territorio. Un territorio che è stato da sempre appetibile, da Alessandro Magno agli Inglesi, e anche oggi chi controlla l’Afghanistan controlla di fatto i confini di Cina, Pakistan, India e Russia.
Oltre agli interessi strategici militari, geopolitici ed economici, fondamentale è il controllo del traffico di eroina, che attualmente rappresenta circa l’80% del PIL nazionale e che fa dell’Afghanistan un narco-Stato. L’Afghanistan è infatti un paese strozzato da un’economia sempre più povera: agricoltura e pastorizia (un tempo principali risorse) sono state compromesse da un territorio disseminato di mine antiuomo e quindi difficilmente coltivabile.
A Kabul, l’ospedale della Croce Rossa, diretto da Alberto Cairo, ospita centinaia di vittime di queste mine costruite con l’intento di non uccidere ma di mutilare mani, braccia e gambe.
Questo, a grandi linee, è il panorama politico e umano che costringe l’Afghanistan a sopravvivere al “grande gioco” che le potenze straniere decidono non per portare la pace e la democrazia, ma per una cinica visione del mondo.
In tale scenario, le donne afgane rappresentano la parte sana di una società che subisce gli eventi. Lavorano, crescono i figli, si scontrano spesso contro una realtà che le vorrebbe sottomesse ed invisibili. Questa loro forza produce futuro
Ugo Panellaha iniziato la carriera di fotogiornalista documentando i conflitti del Centro America alla fine degli anni ’70, in particolare la guerra civile in Nicaragua e più tardi quella in Salvador.
La sua passione per la fotografia di denuncia e di impegno civile lo ha in seguito portato in vari luoghi del mondo, dove la vita quotidiana è fatta di violenza e dove la dignità umana non ha valore.
In Egitto, al Cairo, ha raccontato la vita in un cimitero abitato da un milione di senzatetto che hanno fatto delle tombe la loro dimora; in Bangladesh, la fatica di migliaia di uomini che nel porto di Chittagong smantellano navi cargo a due dollari al giorno. Sempre in Bangladesh, in collaborazione con Renata Pisu, l’inviata di Repubblica, ha fatto conoscere all’opinione pubblica mondiale la condizione di migliaia di ragazze sfigurate dall’acido solforico perché rifiutano le “avances” di uomini violenti. L’inchiesta, ripresa dalle maggiori testate internazionali, ha costretto il governo di quella nazione ad introdurre pene gravissime per chi si rende responsabile di tali crimini.
Con Soleterre Onlus (soprattutto in Ucraina, ma anche in Marocco, Salvador e Guatemala) ha realizzato un reportage sui tumori infantili derivanti da disastri ambientali, illustrando i progetti sanitari e l’assistenza alle famiglie dei bambini malati; mentre in Italia grande scalpore ha destato la sua foto-inchiesta nell’istituto psichiatrico Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, in Calabria, dove centinaia di persone vivevano in condizioni di abbandono. Quest’ultimo progetto è stato poi tradotto nel libro fotografico “In direzione ostinata e contraria” e in una mostra itinerante.
Ugo Panella è un profondo conoscitore dell’Afghanistan e delle persone che ci vivono, tra paura e resistenza tenace a un regime che toglie diritti e libertà. Da molti anni documenta i progetti di microcredito della Fondazione Pangea Onlus in quel paese.
Ha lavorato anche in Albania, India, Sri Lanka, Filippine, Oman, Cipro, Palestina, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Iraq, Ucraina e Sierra Leone. Il suo ultimo lavoro è dedicato ai flussi migratori in Africa, soprattutto da Mali, Nigeria, Gambia e Senegal.
Nel 2009, a Sarzana, ha ricevuto il premio al fotogiornalismo Eugenio Montale.
CARLA CERATI è stata una fotografa e scrittrice italiana.
CARLA CERATI muore a Bergamo il 19 febbraio 2016, comincia la professione nel 1960 come fotografa di scena, poi si dedica al reportage e al ritratto “… con la macchina fotografica non puoi raccontare il passato ma solo il presente. Con la scrittura puoi scavare nella memoria, puoi inventare e puoi ricostruire”.
Nel 1969 la casa editrice Einaudi pubblica, insieme a Gianni Berengo Gardin, il volume “Morire di classe” a cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro dove appaiono toccanti foto prese in vari manicomi italiani. Il libro diventa presto, secondo Franca Ongaro, un documento ormai storico nel reportage sugli ospedali psichiatrici. “Morire di classe” documentava la situazione manicomiale degli internati di alcuni ospedali psichiatrici dove due grandi fotografi, Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, coinvolti nell’impresa avevano avuto il permesso di entrare e fotografare. Prima di allora non era possibile farlo, per non ledere – si diceva – la dignità dei malati. Sono immagini dure di donne e di uomini prigionieri, incarcerati, legati, puniti, umiliati «ridotti a sofferenza e bisogno» (Primo Levi). Sul Corriere della Sera nel 2005, Carlo Arturo Quintavalle scriverà a commento del libro: “E si vedano le foto di Carla Cerati che riprende un’immagine divenuta emblematica: l’uomo, mani sulla testa rapata, accovacciato contro un muro (1968); sono queste foto, e quelle di Luciano d’Alessandro (1965-68), insieme all’impegno dei Basaglia e di molti altri con loro, che faranno chiudere i manicomi, luoghi di terribile segregazione fino ad allora ignorati”.
Nel 1974 pubblica, con l’editore Mazzotta, un nuovo volume che comprende 34 foto dal titolo “Forma di donna”.
Come narratrice esordisce nel 1973 con “Un amore fraterno”. Ha pubblicato numerosi romanzi che, tradotti in diverse lingue e accolti con pieno successo da pubblico e critica, sono stati vincitori di alcuni noti premi.
Più della metà dei suoi romanzi fino ad ora pubblicati (2008) hanno avuto l’attenzione di premi letterari di importanza nazionale dimostrando qualità narrative non comuni.
Nel 1975 pubblica il romanzo “Un matrimonio perfetto”, finalista al Premio Campiello; nel 1977 scrive La condizione sentimentale vincendo il Premio Radio Montecarlo; nel 1990 pubblica La cattiva figlia e ottiene il prestigioso Premio Comisso; nel 1992 con La perdita di Diego giunge finalista al Premio Strega; nel 1994 con L’intruso le viene assegnato il Premio Feudo di Maida, il PremioSpeciale Il Molinello e il Premio Vincenzo Padula-Città di Acri; nel 1996 con L’amica della modellista vince il Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo nella sezione narrativa.
Franco Leggeri Fotoreportage chiesa di Santa Maria in Celsano
sita nel borgo agricolo di Santa Maria di Galeria
-Le prime notizie su Santa Maria di Galeria , su questa chiesa risalgono all’XI secolo, ma nel corso degli anni ha spesso cambiato struttura ed è stata sottoposta a diversi restauri, il cui ultimo, tra il 1800 e il 1900, la ha trasformata in stile neogotico. La chiesa di S. Maria in Celsano, che prende il suo nome da un’antica leggenda che narra del ritrovamento dell’immagine miracolosa della Madonna, conservata nella chiesa, su di un albero di gelso, che, storpiato, divenne celso, da cui celsano. Sull’altare maggiore della Chiesa è custodita un’immagine della Vergine Maria col Bambino risalente al XII secolo in stile bizantino.
Questa si formò in epoca etrusca, trovando il suo massimo sviluppo nel periodo che va dal medioevo fino al XVII secolo, quando la popolazione cominciò a trasferirsi nel vicino casale Celsano (Celisanum) e nel borgo di Cesano, fino a svuotarla completamente verso il XIX secolo.
L’8 ottobre 1951 fu siglato un accordo[9] tra lo Stato italiano e la Santa Sede per l’assegnazione di una vasta area (424 ettari), nel territorio di Santa Maria di Galeria, per la costruzione di un nuovo Centro Trasmittente per la Radio Vaticana. I lavori cominciarono nel 1954 e il centro fu inaugurato il 27 ottobre 1957 da papa Pio XII.
L’area di trasmissione delle antenne di Radio Vaticana a Santa Maria di Galeria,, gode del privilegio dell’extraterritorialità a favore della Santa Sede.[10]
Articolo scritto per la Rivista PAN n°8 del 1935 diretta da Ugo Ojetti
Rivista Pan (sottotitolo: «Rassegna di lettere, arte e musica») fu una rivista di lettere, arte e musica, fondata da Ugo Ojetti nel 1933.
Descrizione
La rivista professava un sollecito ossequio a tutte le forme del regime, condivideva gli obiettivi di grandezza nazionale e di ordine nuovo da instaurare nella società italiana e dava il suo pieno consenso ai miti della civiltà latino-mediterranea e del fascismo universale.
Redatta da Giuseppe De Robertis e dal giovane scrittore Guido Piovene per la milanese Rizzoli, Pan, rispetto alla rivista Pegaso che l’aveva preceduta, allarga gli orizzonti a interessi più ampi, spaziando dalla letteratura greca e latina, alla storia, alle arti figurative, secondo un ideale di Humanitas completamente antinovecentesco e filofascista che venne espresso nel numero del gennaio 1934 nell’Avvertenza al lettore.
L’allineamento al regime di Pan passa dai contributi dell’architetto ufficiale del regime Marcello Piacentini e del compositore Ildebrando Pizzetti, alle adulazioni di Ojetti che nel suo articolo Scritti e discorsi di Benito Mussolini, febbraio 1935, ne esalta l’oratoria e altre virtù.
Per quanto riguarda la musica classicistica e antiavanguardista, Mario Labroca esalta la “ricchezza ritmica, chiarezza, logicità di linguaggio” dello stile musicale di Stravinskij.
A parte le specializzazioni differenti, le due riviste di Ojetti sono sostanzialmente simili. Pan terminerà le pubblicazioni nel 1935.
Ricerca bibliografica e Fotoreportage di Franco Leggeri
Torre di Acquafredda si trova sulla VIA omonima al civ. 88/a all´interno del parco naturale dell’Acquafredda.Pubblicazione per riassunto e parziale dalla Monografia di Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana – Edizione DEA SABINA-
Il nome di Acquafredda (fundus Aque frigidule) si legge per la prima volta in una bolla del 1176 di Papa Alessandro III che conferisce questa tenuta ai monaci di San Pancrazio. Il nome deriva dal torrente Algidon, ora Acquafredda, che affluisce nel fiume Magliana. La Torre fu costruita nel XIII secolo sui resti di una villa romana. Nel secolo XVI, quando il possedimento era affittato a Giovanni Consolo da Rognano, la torre fu inglobata in un casale.
La Torre ha pianta rettangolare, i muri sono costruiti con pietre di selce miste a spezzoni di marmo. La parte superiore è stata modificata in epoca moderna, come si può desumere dal tetto inclinato. Nella tenuta di Acquafredda, come narra lo storico latino Procopio nel Bellum Gothicum, Totila, il re dei Goti, eresse qui nel 547 d.C. il suo accampamento, prima di sferrare l´attacco contro Roma.
All´interno della tenuta Acquafredda la presenza dell´uomo risale alla Preistoria. Molto probabilmente vi è stata la presenza degli Etruschi: si sta infatti studiando una grotta che, presumibilmente, è una tomba rupestre ipogea. E´ scavata nel tufo ed è costituita da un camerone iniziale, sorretto da un grande pilastro di tufo, da cui parte un lungo corridoio, ai cui lati si aprono a coppia, in forma simmetrica, quattro cappelle laterali. I contadini l´hanno sempre chiamata la “grotta”, ma la struttura è quella di una tomba etrusca del VII secolo a.C.
LA TESTIMONIANZA DI PROCOPIO Secondo una teoria abbastanza diffusa, nel 547 re Totila avrebbe stanziato le truppe gotiche nei pressi della zona oggi conosciuta come Acquafredda (non lontano dal km 10 dell’Aurelia), nel corso delle operazioni per togliere Roma ai bizantini. L’ipotesi è fondata sul brano della Guerra Gotica di Procopio di Cesarea (libro III, 22-23) in cui si narra di quando Totila minacciò di radere al suolo Roma come ritorsione per la sconfitta subita in Lucania. Com’è noto, per evitare questa sventura, il generale bizantino Belisario scrisse a Totila una famosa lettera (che riportiamo per intero nella sezione di Letteratura),che ebbe il felice esito di far demordere Totila dal suo proposito. A quel punto il re goto – o perché irretito dalle parole di Belisario o perché non aveva mai avuto la volontà reale di dare seguito alle minacce ventilate – decise non di attaccare direttamente Roma, bensì di limitarsi a impedire gli approvvigionamenti di viveri provenienti da Portus; per perseguire tale obiettivo, fece dunque accampare il proprio esercito in una località che Procopio chiama Algido (Αλγηδών), ovvero gelido. Giuseppe Tomassetti, sulla scorta di un suggerimento di Carlo Busiri, ritenne dunque che Algidon indicasse proprio (sotto forma di traduzione in greco) la tenuta d’Acquafredda, che trae il nome dal fosso omonimo che sgorga lì nei pressi a una temperatura piuttosto bassa.
LA TESTIMONIANZA DI GREGORIO MAGNO L’intuizione potrebbe in effetti essere giusta, se non fosse che Gregorio Magno (Dialogorum Libri IV, III, 11) scrisse che Totila pose il proprio accampamento ad locum qui ab octavo hujus urbis milliario Merulis dicitur. Noi sappiamo per certo che Campo Merlo (Campo Merule) in realtà non si trova lungo l’Aurelia, bensì sulla Portuense, subito dopo la tenuta della Muratella in direzione di Ponte Galeria, nei pressi del punto in cui il Tevere disegna un sinuoso meandro. Va sottolineato che il brano di Gregorio Magno è ignorato da chi pone l’accampamento nella Tenuta di Acquafredda, mentre è preso in considerazione dal Gregorovius, che però non cita il passo di Procopio (saltiamo a pie’ pari chi poi – anche di recente! – ha incautamente posto l’accampamento gotico sui Colli Albani). Vero è che Gregorio Magno scrive mezzo secolo dopo gli avvenimenti narrati e vero è che il tema trattato (un miracolo avvenuto nel campo gotico) non rassicura affatto sulla veridicità del racconto, però la citazione toponomastica è troppo ben circostanziata per non tenerne conto. Inoltre un aspetto che né il Tommasetti, né gli studiosi che hanno fatto propria la sua ipotesi sembrano aver considerato è che strategicamente non aveva molto senso posizionare le truppe sull’Aurelia per bloccare i rifornimenti da Portus, dato che da qui il modo più rapido e comodo per raggiungere Roma era o la Portuense (soprattutto nella sua diramazione bassa, corrispondente all’attuale via della Magliana) o la navigazione del fiume (magari risalendo la corrente con la tecnica dell’alaggio).
IL FOSSO DI ACQUAFREDDA In realtà non è detto che Gregorio e Procopio siano in contraddizione. È infatti possibile che lo storico palestinese non intendesse indicare con Algido una località specifica, bensì volesse semplicemente dire che le truppe gotiche si stanziarono in un punto – non meglio specificato – lambito dall’Algido inteso sic et simpliciter come corso d’acqua. In verità, quello che noi chiamiamo Fosso di Acquafredda è in realtà parte integrante di un complesso bacino idrico di circa 18 km che ha inizio con il nome di Fosso della Palmarola (dalla zona da cui sgorga, nei pressi della borgata Ottavia); dopo circa due chilometri riceve un affluente da sinistra (il Fosso della Polledrana) e a valle della confluenza assume il nome di Fosso della Maglianella; dopo circa 8 chilometri, riceve infine il Fosso dell’Acquafredda: a valle della confluenza il rivo assume il nome di Fosso della Magliana. Ora, va osservato che il Fosso della Magliana (oggi purtroppo noto per essere il fosso più inquinato del Comune di Roma) è affluente del Tevere e vi confluisce giusto nei pressi del Campo Merlo.
A questo punto non soltanto non è illegittimo identificare l’Algido procopiano con il fosso di Acquafredda e con la sua diretta continuazione (l’attuale Fosso della Magliana), ma anzi possiamo far concordare le testimonianze di Procopio e di Gregorio Magno individuando il luogo dell’accampamento gotico in un’area prossima alle foce del Fosso della Magliana, non lontano da dove oggi sorge il rinascimentale Castello della Magliana; come può facilmente desumersi osservando la Mappa della Campagna Romana di Eufrosino della Volpaia (1547), si tratta di una zona di grande valore dal punto di vista strategico, che ben si accordava all’obiettivo bellico che il re Totila si era prefisso.
Fonte e bibliografia-Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana Edizione DEA SABINA- Giuseppe e Francesco Tomassetti -LA CAMPAGNA ROMANA- sito web WWW.ABCVOX.INFO-Il Suburbio di Roma-GAR-XVIII Circoscrizione – Associazione SestoAcuto-TENUTA DELL’ACQUAFREDDA- MURA LEONINE- INVASIONI BARBARE- Thomas Ashby-Biblioteche private-Biblioteca Nazionale-Fonti e Memorie-dell’Agro Romano- Catasto di Pio VI-
Foto originali di Franco Leggeri per Associazione Cornelia Antiqua-
DEASCRIZIONE-In Metafisica concreta Giovanni Maria Sacco compie un affascinante viaggio fotografico attraverso l’Italia. Il libro è ricco di fotografie in bianco e nero, molte su pellicola di grande formato, che ricostruiscono i tratti dell’architettura razionalista italiana e di luoghi misteriosi e stranianti.
Sono immagini caratterizzate da un forte impatto emotivo, nonostante edifici, monumenti e chiese siano privi di decorazioni, completamente nude, a significare la loro vera essenza, che va oltre il tempo perché la verità delle cose è eterna. L’autore si avvicina alle cose attraverso la fotografia per rivelare ciò che esiste oltre l’apparenza. La metafisica si occupa di ciò che va oltre l’universo fisico che noi percepiamo: in questo lavoro la macchina fotografica diventa uno strumento per creare metafore e per descrivere quella che per l’autore è la metafisica o, come suggerisce il titolo attraverso un ossimoro, una metafisica concreta. I vari archetipi architettonici, dall’arco ai pilastri e le colonne, sono immuni allo scorrere del tempo.
Infine, la condizione umana. Nelle fotografie di Metafisica concreta spiccano le architetture – gli edifici razionalisti di Tresigallo, il cretto di Burri o la terrazza Mascagni di Livorno – ma è assente l’uomo.
Giovanni Maria Sacco (nato a Roma nel 1954) è stato professore universitario di informatica per trent’anni, fino a quando si è dimesso per seguire la sua passione per la fotografia. Le sue fotografie abbracciano molti temi diversi: rovine moderne (grandi fabbriche, soprattutto), architettura, nature morte, ritratti, nudi, ecc. In tutti questi temi, ciò che Sacco cerca è la bellezza che trova sia nell’impermanenza e nel declino delle umane cose, sia nell’impassibilità delle costruzioni architettoniche. Applica alle sue immagini il rasoio di Ockham: tutto e solo ciò che serve, niente di più, niente di meno. La composizione delle sue fotografi e è anche profondamente influenzata dal suo interesse per la pittura, da Duccio ai pittori contemporanei. Nel 2023 ha pubblicato il libro Silent Theaters con Kehrer Verlag. Dal 2015 ha ricevuto più di cento premi nei più importanti concorsi internazionali: Architecture Master Prize, International Photo Awards (IPA), Fine Art Photography Awards (FAPA), Prix de la Photographie Paris (PX3), tra gli altri. Le sue opere sono state esposte a Torino, Milano, Roma, Trieste, Venezia, Arles, Glasgow, New York, Miami, Dali (Cina), Dubai, Tokyo e Zurigo. Utilizza macchine fotografiche digitali e a pellicola da 6×6 a 20x25cm.
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