Articolo e Fotoreportage di FRANCO LEGGERI-Roma- Municipi XIII- XIV-Il Castello di Bocceaanticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea). Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana ( Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone, Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria. –
-Fotoreportage di Franco Leggeri –Torretta di Porta Pertusa-
Fotoreportage di Franco Leggeri Torretta di Porta Pertusa-di questa Torre che si trova a Roma ,sulla via Aurelia vicino al Vaticano di fronte all’ingresso dell’Ospedale San Carlo di Nancy, esisteva una sola foto in B/N. risalente agli anni 1940.
La storia in beve-Il Tomassetti parla di questa Torretta e la chiama “torretta nei pressi di Porta Pertusiam…(1)”. Il Tomassetti cita gli Atti Capitolini e citazioni della Camera Apostolica.
Questa Torretta è l’ultima delle torri di avvistamento della via Aurelia immediatamente a ridosso , linea d’aria (100/150 metri) dalle mura vaticane proprio di fronte a Porta Pertusa in posizione strategica sopra a Via Baldo degli Ubaldi in posizione dominante Valle Aurelia e Valle del Gelsomino-Via Gregorio VII. Dalla Torretta era possibile vedere Villa Carpegna e la Torre Rossa,oggi non più esistente ma ricordata dalla via omonima (poi è stato scoperto che Torre Rossa è in essere e pubblicherò foto e storia..).La Torretta ha una altezza di circa 7 m. La base di 3 m. circa.
La torretta si trova all’interno della Villa Pacelli in via Aurelia civ. 290 di fronte all’ospedale San Carlo . Nel 1947 Pio XII donò la villa Pacelli alla Congregazione Oblati di Maria Immacolata che ancora la possiedono , la villa è sede Generalizia della Congregazione.
Per le foto si ringrazia Monsignor Gilberto Pinon Gaytàn- Padre Generale della Congregazione Oblati di Maria Immacolata che mi ha ricevuto e mi ha permesso di scattare le foto . Per ultimo allego anche la foto in B/N del 1940-
(1)- Durante la Repubblica Romana del 1849 i francesi cercarono, ma invano, di aprirla per attaccare Garibaldi il quale aveva piazzato l’artiglieria repubblicana nei giardini vaticani.
È strutturata su tre aperture: due accessi secondari posti ai lati del portale principale, contornato da un maestoso bugnato. Attualmente è murata, e si trova su viale Vaticano, vicino alla via omonima, in corrispondenza del torrione di San Giovanni (restaurato da papa Giovanni XXIII che vi risiedette negli ultimi tempi del suo pontificato) che costituisce il baluardo sud-occidentale delle originali mura leonine.
L’epoca di edificazione, come anche per la porta Cavalleggeri, è alquanto controversa. Come l’altra, sembra dover risalire al tempo del rientro dei papi dalla cattività avignonese, quindi verso la fine del XIV secolo, quando i pontefici, di ritorno a Roma da Avignone con un consistente seguito, fissarono definitivamente la loro dimora in Vaticano (abbandonando la precedente residenza del Laterano) e le tre aperture delle mura leonine[1] si rivelarono insufficienti a soddisfare le esigenze del conseguente incremento demografico ed edilizio. Venne aperta forando le mura originarie, da cui il nome, e sembra dovesse servire solo per un utilizzo da parte della Curia e non per il traffico cittadino. Stefano Piale, basandosi sul fatto che non ne esistono menzioni precedenti all’umanista Flavio Biondo, ritiene che fu aperta dall’antipapa Giovanni XXIII, facendola quindi risalire al primo quarto del XV secolo. Di contro, potrebbe invece esserci un riferimento in un documento del 1279.
Praticamente nessuna citazione fa riferimento alla posterula situata poco oltre la porta, della quale esiste una sola testimonianza che la definisce “porta Palatii”.
Il restauro più consistente, insieme a quello dell’intero tratto occidentale di mura, sembra si possa far risalire a papa Pio IV, nel 1565, che però non vide la fine dei lavori, sebbene presso la porta sia stata apposta, in memoria, una lapide con lo stemma dalla sua casata, i Medici.
Fu probabilmente chiusa e riaperta in varie occasioni, di una sola delle quali però si ha notizia, poiché un documento del 1655 riferisce che fu aperta per l’arrivo a Roma della regina Cristina di Svezia[2].
^Dalle cronache del Gigli per l’anno 1655 apprendiamo: “La sera delli 20 Decembre arrivò a Roma la Regina alle doi hore di notte, et entrò per porta Pertusa, la quale già stava murata, et allora fu aperta per tale effetto.” (L. G.Cozzi, “Le porte di Roma”, F.Spinosi Ed., Roma, 1968 – nota 13 pag. 363)
Bibliografia
Mauro Quercioli, “Le mura e le porte di Roma”, Newton Compton, 1982
Laura G. Cozzi, “Le porte di Roma”, F. Spinosi Ed., Roma, 1968
Charles-Henri Favrod è scomparso alle soglie dei novant’anni il «padre» del Museé de l’Elysée di Losanna.
Parigi.Charles-Henri Favrod In un’intervista rilasciata a «Le Temps» nel 2015, aveva detto: «Vi immaginate com’era il mondo prima di duplicarlo, prima di inventariarlo, prima di fotografare ognuna delle cose che lo costituiscono? La gente non aveva idea; come immaginare il Louvre quando si vive ad Angoulême? Ci sono due invenzioni fenomenali nel XIX secolo: la fotografia e la psicoanalisi, due fondamenti».
Scomparso a Morges lo scorso 15 gennaio, quasi novantenne, Charles-Henri Favrod (giornalista, fotografo, scrittore, storico, erudito, collezionista, direttore editoriale) torna qui a sottolineare l’enorme portata del cambiamento che ha travolto il mondo dopo l’invenzione della fotografia, arte alla quale ha dedicato buona parte della sua vita.
Nato a Montreux il 21 aprile del 1927, dopo gli studi umanistici all’Università di Losanna si dedica al giornalismo, sia come reporter per la «Gazette de Lausanne» sia come critico letterario per il supplemento «La Gazette littéraire». È corrispondente di guerra in Indocina e in Algeria, dove si impegnerà attivamente per la decolonizzazione del Paese, tanto da essere poi insignito della Médaille de la Reconnaissance algérienne. Dirige le Éditions Rencontre per le quali si occupa dell’enciclopedia Edma e degli «Atlas des voyages»: sono i primi anni Sessanta e Favrod lavora già in stretto contatto con i fotografi. Diventa responsabile de La Guilde du livre dell’editore Albert Mermoud, e a lui si deve la creazione della Fondation suisse pour la photographie nel 1974. «Ho passato il mio tempo a reclamare un museo della fotografia, prosegue nella stessa intervista, trovavo insensato che non esistesse alcun luogo per presentare la fotografia, e soprattutto per spiegarla. L’inizio delle mie proteste risale agli anni Cinquanta, il museo è nato nel 1985!».
Il museo in questione è il Musée de l’Elysée di Losanna, il primo in Europa a essere consacrato esclusivamente alla fotografia, e costruito su quello che era stato il Cabinet des estampes. «Desideravo esporre i più grandi come i più giovani, nell’idea di costituire una collezione, perché un museo senza collezione è un’assurdità». Nei suoi spazi passeranno le immagini dei più noti autori internazionali, da Capa a Man Ray, da Atget a Henri Cartier-Bresson, da William Klein a Robert Frank a Lee Friedlander.
E quando dopo dieci anni, come previsto dalla legge cantonale, deve lasciare la direzione dell’Elysée, è con qualche dissapore che si separa dalla sua creatura, anche se subito dopo la Fratelli Alinari lo incarica dell’apertura del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, che avverrà nel 2006. Favrod affida proprio al museo la conservazione della sua sterminata collezione, dalla quale provengono le opere che lui stesso seleziona per «Cento fotografi del XX secolo», la mostra con la quale nel 2007 l’istituzione fiorentina rende omaggio alla sua attività di collezionista. Intanto continuano a susseguirsi attività e pubblicazioni, a ribadire una passione per l’immagine che le sue parole spiegano bene: «La fotografia cattura il mio interesse perché mi fornisce delle informazioni. Desiderio di riconoscere, piacere di guardare. E senza dubbio anche perché essa permette d’ingannare un po’ la morte».
Franco Leggeri Fotoreportage–ROMA-chiesa di Santa Passera, la chiesa che ispirò “Uccellacci e uccellini” di Pier Paolo Pasolini-Santa Passera, chiesetta graziosa ma in cattivo stato – fra il Tevere e via della Magliana. Costruita nel V secolo nel luogo in cui le spoglie i santi alessandrini Giovanni e Ciro, in basso a destra, approdarono a Roma, la chiesa fu in seguito intitolata a Santa Passera, santa che non è mai esistita.
La chiesa di Santa Passera è una chiesa romana risalente agli inizi del V secolo, ristrutturata e ampliata nel XIV secolo, edificata sui resti di un mausoleo romano e di una cripta risalenti alla seconda metà del II secolo.
L’origine del nome della chiesa, ubicata nel quartiere Portuense di Roma, è incerta poiché non è mai esistita una santa di nome “Passera”.
Storia
Secondo la tradizione, essa fu costruita sulle rive del Tevere nel luogo in cui, agli inizi del V secolo, i resti di due santi alessandrini, Ciro e Giovanni, furono sbarcati, provenienti dall’Egitto, per essere trasferiti nella città di Roma. Dal secolo XI in poi appartenne al monastero di Santa Maria in Via Lata, e, nei documenti dell’XI–XIII secolo è chiamata Sancti Abbacyri oppure Sancti Cyri et Iohannis, in ricordo dei due santi per i quali fu costruita la chiesa. Nel XIV secolo al nome di Abbaciro si sostituì quello di Santa Pacera o Passera: così in un documento del 1317 si parla di un appezzamento posita extra portam Portuensem in loco qui dicitur S. Pacera.[1] Questo appellativo sarà poi prevalente nei secoli successivi.[2]
Sull’origine del nome “Passera”, santa che non è mai esistita nella storia del cristianesimo, l’ipotesi è che esso derivi dal titolo Abbàs Cyrus (“padre Ciro”), da cui il nome Abbaciro: dalla storpiatura popolare di questo termine sarebbero derivati Appaciro, Appàcero, Pàcero, Pàcera e infine Passera.[3]
A confondere ulteriormente l’onomastica della chiesa si aggiunge inoltre l’errore popolare che volle arbitrariamente assimilare la fantomatica “santa Passera” con santa Prassede e festeggiarne in tal luogo la ricorrenza il 21 di luglio[3] in concomitanza con le celebrazioni di quest’ultima martire.[4][5]
Nel XIV secolo l’antica chiesa fu completamente ristrutturata e sopraelevata.
Descrizione
Il complesso di Santa Passera è composto di tre piani sovrapposti.
La chiesa
La chiesa superiore del XIV secolo è a pianta rettangolare ad un’unica navata, con abside e soffitto ligneo, edificata su di un edificio preesistente, un mausoleo romano, le cui caratteristiche architettoniche ancora si distinguono esternamente sul lato sinistro della chiesa; l’edificio presenta tratti molto simili al cenotafio di Annia Regilla, quest’ultimo risalente alla seconda metà del II secolo d.C..[2] La facciata della chiesa si trova in una posizione elevata, preceduta da una terrazza a cui si accede tramite una doppia rampa di scale. All’interno un presbiterio semicircolare che custodisce l’immagine del Cristo in compagnia di uno stuolo di santi. Un’altra pittura raffigura sempre il Cristo con i santi Ciro e Giovanni.[6]
L’oratorio
Al piano inferiore i resti sotterranei dell’oratorio medievale del V secolo cui si accede da una porta esterna sotto elevata rispetto al terreno. L’oratorio si compone di quattro locali costruiti con mattoni e intercomunicanti. Sulla porta campeggia l’iscrizione che testimonia l’antico utilizzo della struttura quale sepolcro dei santi Ciro e Giovanni:[2]
(LA)«CORPORA SANCTI CYRI RENITENT HIC ATQVEE IOANNIS
QVOÆ QUONDAM ROMÆ DEDIT ALEXANDRIA MAGNA.»
(IT)«Qui risplendono i santi corpi di Ciro e Giovanni
che un giorno la grande Alessandria dette a Roma.»
(Iscrizione sulla porta d’ingresso della cripta[5])
La cripta
Dall’oratorio una scaletta consente di scendere nella stretta criptaipogea a pianta rettangolare che originariamente custodiva i resti dei due santi martirizzati. L’ambiente, interrato dopo il 1706, riscoperto nel 1904, è databile tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo. La poca illuminazione proviene da un’apertura nella volta e dalle scale. Difficilmente visibili sulle pareti tracce di decorazioni pittoriche, in parte ammalorate dalle innumerevoli piene del vicino Tevere, e in parte vandalizzate. Si intravedono ancora tracce di decorazioni a carattere funerario: sulla volta alcuni glifi e stelle. Sulla parete nord era rappresentata, con in mano la bilancia, la dea Dike, quindi un uccello e un pugile. Sulla parete sud si intravede una pecora e alcuni tratti in pigmento rosso. Verso la fine XIII secolo fu dipinta una Madonna col Bambino, asportata e trafugata nel 1968.[2]
Nella cultura di massa
La corrispondenza del nome dell’ipotetica santa con quello dell’organo sessuale femminile, così come noto nel dialetto romanesco e citato dal poeta Giuseppe Gioachino Belli, ha spesso dato origine a doppi sensi e giochi di parole diffusi popolarmente.[6][7][8]
^Santa Prassede di Roma, in Santi, beati e testimoni – Enciclopedia dei santi, santiebeati.it.
Antonio Bosio, Roma sotterranea opera postuma di Antonio Bosio romano antiquario ecclesiastico singolare de’ suoi tempi, a cura di Giovanni Severani da S. Severino, Roma, Lodovico Grignani, 1650.
Lilia Berruti, Santa Passera: una chiesa per una Santa che non c’è, in Capitolium. Rassegna di attività municipali, anno XL, n. 5, Roma, Arti Grafiche Vecchioni & Guadagno, 1965.
Claudio Rendina, Le Chiese di Roma, Roma, Newton & Compton, 2007, p. 290, ISBN978-88-541-0931-5.
Fotoreportage Piazza del Popolo di Roma Capitale è l’ente territoriale speciale[2], dotato di particolare autonomia, che amministra il territorio comunale della città di Roma in quanto capitale della Repubblica Italiana.
Istituito nel 2010 in attuazione dell’articolo 114 comma 3 della Costituzione, l’ente ha soppiantato il preesistente Comune di Roma, lasciando comunque invariati i confini amministrativi e il livello di governo.[3
Il territorio di Roma Capitale si estende su un’area di 1285,31 km² e presenta tre tipologie di suddivisioni: amministrativa, urbanistica e storica.
Le suddivisioni amministrative, definite anche strutture territoriali, consistono nella divisione dell’ampio territorio negli attuali 15 municipi. Questi sono l’evoluzione delle 20 circoscrizioni istituite nel 1972[4] secondo il riordino e gli accorpamenti effettuati nel 2013.
Le zone urbanistiche rappresentano una ripartizione dei municipi in 155 suddivisioni. Sono state istituite nel 1977 a fini statistici e di pianificazione e gestione del territorio, secondo criteri di omogeneità dal punto di vista urbanistico. I confini sono individuati lungo le soluzioni di continuità più o meno marcate del tessuto urbano.
La suddivisione storica è composta di 116 comprensori toponomastici organizzati in quattro gruppi:
35 quartieri che circondano il centro storico fuori dalle Mura aureliane, a cui si aggiungono i tre quartieri del litorale;
6 suburbi, ossia i territori adiacenti ai quartieri;
53 zone scarsamente popolate a cavallo del GRA e fino ai confini comunali, che compongono l’Agro romano.
Il territorio di Roma Capitale si estende su un’area di 1285,31 km² e presenta tre tipologie di suddivisioni: amministrativa, urbanistica e storica.
Le suddivisioni amministrative, definite anche strutture territoriali, consistono nella divisione dell’ampio territorio negli attuali 15 municipi. Questi sono l’evoluzione delle 20 circoscrizioni istituite nel 1972[4] secondo il riordino e gli accorpamenti effettuati nel 2013.
Le zone urbanistiche rappresentano una ripartizione dei municipi in 155 suddivisioni. Sono state istituite nel 1977 a fini statistici e di pianificazione e gestione del territorio, secondo criteri di omogeneità dal punto di vista urbanistico. I confini sono individuati lungo le soluzioni di continuità più o meno marcate del tessuto urbano.
La suddivisione storica è composta di 116 comprensori toponomastici organizzati in quattro gruppi:
35 quartieri che circondano il centro storico fuori dalle Mura aureliane, a cui si aggiungono i tre quartieri del litorale;
6 suburbi, ossia i territori adiacenti ai quartieri;
53 zone scarsamente popolate a cavallo del GRA e fino ai confini comunali, che compongono l’Agro romano.
Monumentale ed elegante Piazza del Popolo di Roma Capitale è al vertice in cui si incontrano via del Babuino, via di Ripetta e via del Corso, le tre arterie principali del centro storico di Roma.
L’urbanizzazione dell’area inizia nella seconda metà del Cinquecento, con la realizzazione di una prima fontana, la fontana del Trullo, su progetto di Giacomo Della Porta, oggi in piazza Nicosia, e con la successiva collocazione dell’obelisco Flaminio, alto circa 24 metri, e spostato dal Circo Massimo per ordine di Sisto V nel 1589; fu il primo obelisco a essere trasferito a Roma, al tempo di Augusto, per celebrare la conquista dell’Egitto.
La facciata esterna dell’odierna Porta del Popolo (l’antica Porta Flaminia) fu commissionata da papa Pio IV a Michelangelo, che però trasferì l’incarico a Nanni di Baccio Bigio, il quale realizzò l’opera tra il 1562 e il 1565. “Felici faustoque ingressui MDCLV” (“Per un ingresso felice e fausto”): è questo il messaggio inciso sulla facciata interna, realizzata da Bernini per Alessandro VII, in occasione dell’arrivo a Roma di Cristina di Svezia nel 1655.
Nel corso del ‘600, furono realizzate le due chiese gemelle, Santa Maria in Montesanto, nota anche come “Chiesa degli Artisti”, e Santa Maria dei Miracoli, progettate originariamente da Carlo Rainaldi, ed entrambe successivamente completate da Gian Lorenzo Bernini, con la collaborazione di Carlo Fontana. Ideate dal Rainaldi come costruzioni simmetriche, per problemi di spazio presentano planimetrie differenti e diverse cupole: ottagonale per Santa Maria dei Miracoli e dodecagonale per Santa Maria in Montesanto. Ciò nonostante, dalla piazza, grazie a un puro effetto ottico, appaiono identiche.
Sul lato opposto della piazza sorge la splendida Basilica di Santa Maria del Popolo, risalente al Quattrocento, arricchita e modificata nel corso dei secoli dall’intervento di numerosi architetti e artisti. Al suo interno conserva straordinari capolavori: la Cappella Chigi, realizzata su progetto di Raffaello dal 1513, terminata tra il 1652 e il 1656 con l’intervento di Gian Lorenzo Bernini; la Cappella Cerasi, che ospita la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo, opere di Caravaggio; la pala d’altare raffigurante l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci e la Cappella del Presepio o della Rovere, realizzata dall’architetto Andrea Bregno, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, decorata con magnifici affreschi attribuiti a Pinturicchio e alla sua bottega. La leggenda narra che sul Colle degli Ortuli, dove sorge la Basilica, vi sia la tomba maledetta di Nerone, l’imperatore morto suicida, le cui ceneri vennero sepolte in un’urna di porfido sotto un noce. Vicino all’altare maggiore della chiesa sono presenti dei bassorilievi che ricordano la vicenda.
In seguito a una nuova sistemazione urbanistica, progettata dall’architetto Giuseppe Valadier agli inizi dell’Ottocento, la nuova Piazza del Popolo si presenta come una grande ellisse attorno all’obelisco egizio, impreziosita e incorniciata da sculture, giardini e fontane. Al centro della piazza, si trova la fontana dei Leoni dello stesso Valadier, che sostituisce la fontana cinquecentesca di Della Porta e si sviluppa intorno all’obelisco Flaminio. Ha vasche rotonde di travertino, dominate da leoni di marmo bianco in stile egizio, dalle cui bocche sgorgano i getti d’acqua.
Al centro dell’emiciclo orientale è collocata la fontana della Dea Roma, ornata da un grande gruppo scultoreo costituito da una statua della dea armata, affiancata da due statue raffiguranti il Tevere e l’Aniene – i due fiumi di Roma – e ai cui piedi si trova la lupa che allatta i gemelli. Alle spalle, si trova il parco del Pincio, splendida passeggiata urbana, dalla cui terrazza si ammira un tramonto spettacolare.
Esattamente al centro dell’emiciclo opposto, si erge l’imponente gruppo scultoreo che adorna la fontana del Nettuno: una statua di Nettuno con il tridente nella mano destra, ai cui piedi sono posti due tritoni con delfini, domina un’ampia vasca di travertino di forma semicircolare, sopra la quale una grande valva di conchiglia raccoglie l’acqua riversata da un piccolo catino in alto. Entrambe le fontane dei due emicicli furono ideate da Valadier e scolpite da Giovanni Ceccarini.
Completano l’assetto della piazza, le due fontane sarcofago, poste in sostituzione di un abbeveratoio e un lavatoio, che fino al Settecento conferivano all’area un aspetto rurale. Una è addossata alla chiesa di Santa Maria del Popolo, reca il ritratto di due coniugi e risale alla metà del III secolo d.C.; l’altra si trova a ridosso dell’opposta caserma “Giacomo Acqua”, già delle guardie pontificie, presenta una decorazione con solo un personaggio maschile togato ed è databile all’ultimo quarto dello stesso secolo.
Fino al XIX secolo, la piazza era uno dei luoghi dove si svolgevano le esecuzioni capitali per mano del famoso boia Mastro Titta. Come ricordato da una lapide apposta nel 1909 sulla caserma, qui furono ghigliottinati i due carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari, “rei di lesa maestà e ferite con pericolo”.
Rappresentazione del mecenatismo papale rinascimentale, antica sede di giochi, fiere e spettacoli popolari, Piazza del Popolo è sicuramente una delle piazze più famose al mondo. Le sue bellezze artistiche, i suoi caffè, le sue botteghe e i locali commerciali adiacenti, anticamente frequentati da personaggi come Trilussa, Guttuso e Pasolini, ne fanno l’emblema culturale della “romanità” e scenografico ingresso al cuore della capitale.
ROMA Municipio XI-Ponte Galeria-La Necropoli della Piana del Sole-via Castel Malnome
Fotoreportage di Franco Leggeri
– foto del 3 giugno 2017-
ROMA- Municipio XI(ex-XV) Ponte Galeria-foto e articolo pubblicato il 3 giugno 2017-Piana del Sole-Fregene-Percorrendo la congiungente Via della Muratella, che da Ponte Galeria costeggia la Piana del Sole in direzione Fregene, all’altezza di Via di Castel Malnome, su di un’area di circa 3000 metri quadrati, è possibile vedere gli scavi archeologici che hanno portato alla luce 300 tombe di una Necropoli romana risalente al II secolo d.C. Grazie all’intervento della Guardia di Finanza, e precisamente al II Gruppo operativo al comando del Tenente Colonnello Pirluigi Sozzo, è stato possibile recuperare monete d’oro, boccali, olette in ceramica,degli orecchini d’oro, lucerne e una collana e altri elementi di corredo delle tombe che erano state depredate dai tombaroli. Bisogna evidenziare che la Guardia di Finanza ha scarsissime risorse a disposizione per questo tipo di attività, ma nonostante ciò riesce a conseguire sempre ottimi risultati nella salvaguardia del nostro immenso Patrimonio Archeologico. La Dott.ssa Laura Cianfruglia, responsabile archeologico del XI (ex-XV)Municipio, ha dichiarato che:” Grazie a questo ritrovamento è oggi possibile, in parte, arricchire il quadro delle nostre conoscenze e precisamente l’aspetto che questo tratto di campagna doveva avere in età romana. Con l’età imperiale e la realizzazione poco più a nord del Porto di Claudio e, successivamente, il porto di Traiano, tutta l’area venne investita da un processo di profonda trasformazione, funzionale alla nuova vocazione dell’area.”
Il Sopraintendente Dott. Angelo Bottini ha precisato che: “La quantità dei materiali ritrovati non è molto rilevante , ma grandi sono le possibilità di approfondire la ricerca storica”.
L’area della Piana del Sole è ricca di siti archeologici che vanno dall’età preistorica, all’età del ferro sino all’epoca etrusca e poi romana.
Nota e Report fotografico di Franco Leggeri pubblicato del 3 giugno 2017-–
“Torre della Residenza Aurelia”-Conosciuta anche come Torre della Dea DEMETRA
Franco Leggeri-Fotoreportage–Roma Municipio XIII dalla raccolta:“Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana”–La TorreAurelia oTorre della Dea DEMETRAè sita all’interno del Consorzio Residenza Aurelia , zona residenziale del Comune di Roma nel XIII Municipio. Si raggiunge dalla vecchia via Aurelia, ora via di Castel di Guido . La Torre sorge nel punto più alto della Valle Galeria e si trova di fronte alla Torre della Bottaccia e al sito archeologico Casale della Bottaccia.La Torre per un periodo è stata sede del Circolo LA Torre della Dea DEMETRA.
La Campagna Romana o Agro Romano, in senso storico o tradizionale, non coincide con nessuna delle odierne suddivisioni amministrative e neppure con l’area che potrebbe definirsi come banlieue di Roma. Essa comprende il comune di Roma (1507,6 km2) eccetto l’area occupata dalla città coi quartieri e suburbî (222 km2) cioè 1285,6 km2 cui sono peraltro da aggiungere il comune di Aprilia (177,6 km2) costituito nel 1937, e parte dei comuni di Anzio, Nettuno, Pomezia e Marino; in quest’ultimo comune si trova l’aeroporto di Ciampino coi nuclei abitati dipendenti, compresa la così detta Città giardino Appia (v. ciampino, in questa App.). Il fatto più notevole che caratterizza l’ultimo ventennio è il progressivo rapido ripopolamento della Campagna. Limitandoci al territorio pertinente al Comune di Roma, i 62.500 ab. (residenti) del 1936, sono divenuti 120.781 nel 1981 e 161.886 nel 1956. L’incremento è dovuto non tanto al moltiplicarsi delle case sparse, quanto al costituirsi di nuclei che sono spesso antichi casali trasformati, dotati di chiesa, scuola, stazione sanitaria, ovvero di nuove unità rurali, o infine di veri e proprî centri. Di questi il più recente censimento ne annovera 42, dei quali uno, il Lido di Ostia è ormai una cittadina di circa 20.000 ab., altri due o tre hanno popolazione superiore a 5000 ab. (oltre a Ciampino) e sette o otto popolazione superiore a 1000 ab. Il richiamo della popolazione verso il mare è evidente. Dopo il Lido, il centro più popoloso è Fiumicino, che acquisterà nuovo incremento con l’apertura al traffico (1961) del grande aeroporto intercontinentale; a nord di Fiumicino è Fregene; a sud del Tevere Tor Vaianica, a prescindere dalle altre recenti “marine” che si succedono fino ad Anzio. Altra ben visibile trasformazione della Campagna, del resto connessa con la precedente, è la riduzione delle aree pascolive a vantaggio delle coltivazioni. Tra queste predomina ancora il grano, ma nelle zone periferiche compare la vite (anche per frutto), altri alberi fruttiferi, prati da foraggio e, in plaghe più ricche di acqua, colture orticole. La Campagna comprende due grandi bonifiche effettuate secondo piani predisposti, la bonifica di Maccarese e quella di Porto-Isola Sacra, oltre ad altre minori; comprende anche taluni grossi centri di allevamento, come Torrimpietra. L’allevamento bovino si sviluppa, quello ovino declina a causa della accennata riduzione del pascolo naturale. Manifesta è anche la trasformazione o integrazione della rete stradale. Le antiche vie consolari irraggianti dalla città che ancora costituiscono lo schema fondamentale, sono collegate da vie trasversali (a cominciare dal “grande raccordo anulare” corrente a 11-15 km dal centro di Roma), da collegamenti secondarî, da strade vicinali e di bonifica.
La parte della Campagna più vicina alle aree suburbane viene a poco a poco assorbita dalla espansione del Suburbio stesso sia verso il mare (dove i quartieri dell’EUR sono, secondo il reparto del 1951, ancora fuori del Suburbio), sia verso est (via Tiburtina), sia verso sud-est (vie Prenestina e Casilina), sia anche verso nord (via Cassia).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana
La dea Demetra e la sacralità della natura
(perché per gli antichi l’ambiente era la loro casa)
Erisittone aveva abbattuto senza alcun rispetto gli alberi di un bosco sacro a Demetra: la reazione della dea e il senso degli antichi per la natura.Fu così che Erisittone, bulimico, più mangiava più aveva fame, divorava tutto quello che gli capitava davanti agli occhi e un giorno mangiò anche il gatto di casa. E continuò sino a mandare la sua casa in rovina.
Ecologia è un calco costruito sul greco e (come anche economia) contiene la parola oikia, la casa, l’ambiente in cui viviamo e che dobbiamo proteggere.Ambiente ed ecologia sono parole moderne, ambiente viene dal verbo latino ambire, che vuol dire andare intorno, ed è un nome che indica lo spazio che ci circonda e nel quale ci muoviamo e viviamo assieme agli altri.
Curioso che ambiente e ambizione derivino dallo stesso verbo latino ambire che nel senso più positivo del termine è un desiderio legittimo di migliorarsi.
E uno dei nostri desideri più forti, sin da giovani, è la casa, il nostro posto in cui stare bene nel mondo, un posto da proteggere, l’ambiente nel quale cresciamo ogni giorno e facciamo crescere i nostri figli.
In fondo scriviamo ambiente, ma leggiamo casa.Nota di Cristina Dell’Acqua (pubblicato su corriere.it del 3 dicembre 2021)
Il commento di Carlo Crovella Il mio professore di liceo mi assicurava che la cultura classica aveva già spolverato l’intero palinsesto dell’esistenza. Nei miti greci e latini c’era già “tutto” quello che riguarda la vita umana, caratteri, vizi, difetti, i pochi pregi. E c’era già l’intero universo. All’inizio ero perplesso: come potevano sapere, secoli e secoli fa, cosa sarebbe accaduto “dopo”, con la tecnologia, l’evoluzione, il progresso? Semplice: il lupo perde il pelo, ma non il vizio. La specie umana era già così. Il “dopo” ha solo amplificato gli effetti negativi dei suoi difetti per la combinazione fra progresso tecnologico e crescita esponenziale degli individui. Altro che un bosco, ci divoriamo oggi! Intere colline di silice sono state completamente spianate per utilizzare quel componente da inserire nei telefonini e pc.: saremo anche noi condannati alla stessa pena eterna di Erisittone? Peggio, siamo destinati all’estinzione: non riusciremo letteralmente più a sfamarci perché avremo consumato tutte le risorse del pianeta. Un’altra considerazione si lega al mito classico. Come ho già raccontato, purtroppo io non ho il dono di una profonda fede religiosa. Non sono proprio ateo, sono piuttosto un “laico”, credo in principi etici a-religiosi (correttezza, rigore, senso del dovere, ecc.). Tuttavia percepisco un che di sacro nell’essenza stessa nell’ambiente, è imperniato di qualcosa di “divino”. La nostra bulimia di risorse, oltre a distruggere noi stessi, ha un carattere addirittura blasfemo: uccidiamo Dio.
Franco Leggeri Fotoreportage -Roma Municipio XIII-Torre della Bottaccia di Castel di Guido –
ROMA Municipio XIII-Franco Leggeri Fotoreportage -La Torre della Bottaccia è sita sulla via Aurelia Antica, Municipio XIII- Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.In Italia esistono luoghi, se pur carichi di storia per le Città e i Borghi dove sorgono, lasciati nel degrado e nella più completa rovina. Le Torri della Campagna Romana non sono “pietre disperse” e senza storia , ma sono sicuramente edifici, porzione di edifici, dal passato antico che per qualche ragione sconosciuta non godono dei “diritti” di recupero e restauro come di altri luoghi simili esistenti nella Roma Capitale d’Italia.La Torre della Bottaccia è forse condannata a una fine ignobile, soffocata dai suoi stessi calcinacci?
A proposito delle Torri della Campagna Romana il Tomassetti scrisse:”…pensi il lettore , contemplandole ora così poeticamente desolate, quasi giganti feriti ed impietriti sul posto , a ricostruire la Storia con l’immaginazione , e figurarsi le feste, gli armamenti, le battaglie, tutto ciò che formò la vita agiata della Campagna Romana nel Medioevo; ed egli dovrà convenire con me che esse esercitano grande seduzione nella nostra mente. Pensino pertanto i proprietari dell’Agro Romano a conservare gelosamente questi ruderi dell’Arte e della Poesia; ne impediscano ai pecorari e ai contadini la continua malversazione; pensi il Governo a farne compilare l’esatto elenco ed a farne regolare consegna ai proprietari, come dei Monumenti Antichi, sia perché hanno aspetto pittoresco , sia perché appartengono alla Storia; e col tempo la posterità domanderà conto alla presente generazione del non aver arrestato e posto fine ai guasti dovuti all’ignoranza dei nostri predecessori ”.Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
Campagna Romana.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della Bottaccia Foto di Franco Leggeri
Disegno copiato dal catasto Alessandrino del secolo XVII.
Francia-Santuario di Lourdes -Per Flaminia Leggeri la fotografia è uno strumento di narrazione. Narrare con le immagini, comunicare e curiosare per Flaminia Leggeri è costruire una piccola o tante piccole storie di persone di varia umanità così come amava il grande Scrittore e Regista Mario Soldati, ma in questo caso i bambini hanno attirato la fotocamera e “l’obiettivo” di Flaminia e, con queste innocenti foto, ha saputo cristallizzare l’attimo di libertà e di curiosità così bella nei bambini. L’obiettivo è fuori dalla “normalità ovvia” dell’immenso Santuario di Lourdes. La domanda e la curiosità della fotografa sono: cosa fanno i bambini ? Come utilizzano le pause negli attimi in cui i genitori concedono la ”Tana Libera Tutti”? Fotografare l’attimo di vera innocenza e tranquillità dei bambini che sono nell’abbraccio della Vergine Maria e coperti dal suo manto. Flaminia con la fotocamera cerca di superare la “parola” con le immagini che, appunto, diventano “forza espressiva” in questa Oasi di Pace all’interno dell’immenso Santuario.
Il set fotografico scelto da Flaminia è statala spianata accanto al santuario della Madonna di Lourdes, con l’imponente ruota della basilica superiore che sale sopra la grotta. Il santuario della Madonna di Lourdes è un santuario e un luogo di pellegrinaggio “cattolici mariani” nella città di Lourdes Francia. Il Santuario comprende diversi edifici religiosi e monumenti intorno alla Grotta di Massabielle dove si sono verificate le apparizioni della Vergine Maria tra cui 3 basiliche : la Basilica della Madonna dell’Immacolata concezione,della Basilica del Rosario e della Basilica di San Pius X, note, rispettivamente, come basilica inferiore superiore e sotterranea.
A beneficio dell’obiettivo e fotocamera di Flaminia non potevano mancare persone con abbigliamenti diversi in una giornata di pioggia. Poi, sul fiume Gave,l’angolo dove “le paperelle” (Germano reale) che vivono in tranquillità e soddisfano la curiosità dei milioni di pellegrini che le osservano e danno loro da mangiare. Da notare la foto che ritrae la signora la tra i cespugli, nei pressi della Grotta, raccoglie erbe e “cattura” l’Escargot, il nome francese delle lumache.
Flaminia Leggeri Fotoreportage-“Lourdes in attimo infinito”
La giovanissima fotografa Flaminia Leggeri, ha realizzato un Fotoreportage ”il Santuario di Lourdes” in un set difficilissimo e super fotografato :”il Santuario di Lourdes” . Cosa si poteva scoprire di non ancora fotografato ? Flaminia ha cercato nel Santuario di Lourdes i particolari , ha portando la fotocamera nel silenzio dei luoghi “ovvi” ,ma nella “controra”, e ha puntato l’obiettivo e fotografato e cercato di interpretare , quasi dialogare , con i 39 Ritratti e i 52 “gemmaux” cosi belli e fortemente sottovalutati nella immensa e sotterranea Basilica San Pio X. –
I “gemmaux” e i ritratti sono stati ,per la giovane Flaminia ,un laboratorio di interpretazione, analisi e dialogo con i colori che attraggono fortemente. Le figure dei “gemmaux” meritano attenzione emanano spiritualità. Credo che Flaminia Leggeri abbia cercato “la carne” dello spirito nei colori e nelle figure cosi mimetizzate , sfuggevoli, ma presenti, silenziose, ma “parole” concrete per il pellegrino .Credo che la giovane fotografa abbia saputo , con capacità istintiva, raccontare e rappresentare questa bellezza che si può ammirare nella Basilica progettata dall’’architetto Pierre Vago e l’ingegnere Eugène Freyssinet, inventore del cemento precompresso
Notizie sulla Basilica sotterranea di San PioX. di Lourdes
Consacrata nel 1958, la basilica sotterranea di San Pio Le sue dimensioni molto grandi (una forma ovale di 201 m di lunghezza per 81 di larghezza) permettono di ospitare fino a 25.000 persone su una superficie di 12.000 m². Questo, preservando i corridoi di traffico.
Ha la forma dello scafo di una nave rovesciata, il fatto che sia sotterraneo non pregiudica il paesaggio del santuario. L’architetto Pierre Vago e l’ingegnere Eugène Freyssinet, inventore del cemento precompresso, hanno infatti utilizzato il cemento integrando cavi metallici tesi nelle zone di trazione per sostenere i carichi ed evitare pilastri che avrebbero compromesso la visibilità. Il progetto è stato completato in tempi record.
Dal punto di vista ornamentale, la basilica conta 39 dipinti raffiguranti santi e una cinquantina di gemmaux. Lourdes ha una collezione di gemme molto importante. Gemmail è stato inventato dal pittore Jean Crotti negli anni ’30 in collaborazione con Roger Malherbe-Navarre. Nel 1939, Jean Crotti creò la parola gemmail unendo i termini gemma e smalto. René Margotton ne ha realizzato uno sul tema delle apparizioni nella basilica di Saint-Pie-X di Lourdes, dove sono stati eseguiti 20 brani tra il 1989 e il 1993.
La basilica di S. Pio X a Lourdes. Struttura e architettura
La Basilica sotterranea San Pio X ha una superficie di circa 12000 m² . La sua pianta forma un ovale di 201 metri per 81 metri. Questa basilica, che ha una capienza massima di 25000 persone, è stata consacrata il 25 marzo 1958 per il centenario delle Apparizioni dal futuro Papa Giovanni XXIII. E’ ornata da 39 ritratti che rappresentano diversi santi e beati, nonché da 52 gemmaux (quadri in cristalli speciali e illuminati).La basilica di San Pio X (in francese: basilique Saint-Pie X), anche conosciuta anche con il nome di basilica sotterranea, è una chiesa di Lourdes, in Francia situata all’interno del santuario di Nostra Signora di Lourdes. Consacrata nel 1958, appartiene alla diocesi di Tarbes e Lourdes; ha la dignità di basilica minore.
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