ELIO BOTTEGA- Le ragioni della pittura -Dario De Bastiani Editore
Biblioteca DEA SABINA
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Sant’Oreste -27 novembre 2022- Oggi, noi dell’Associazione Cornelia Antiqua assieme all’Associazione Sotterranei di Roma, siamo stati in visita al Bunker del Monte Soratte.
Il Monte Soratte è situato nel territorio del Comune di Sant’Oreste a circa 45 km a nord di Roma, il monte è un rilievo di natura calcarea, la cui vetta più alta raggiunge quasi i 700 mt. di altezza e domina la Valle del Tevere.
Nell’antichità il Monte Soratte era considerato Sacro dalle popolazioni preromane e costituiva il centro del culto del dio Soranus, il cui tempio era situato sulla vetta.
Una caratteristica del Soratte sono i Meri, tre grandi voragini di origine carsica, comunicanti tra loro, profonde decine di metri nel calcare, essi si trovano alla base orientale del monte. I Meri dovevano apparire come vere e proprie porte degli inferi, erano frequentati dagli Hirpi Sorani, questi misteriosi sacerdoti ,vestiti con pelli di lupo, veneravano Soranus il dio lupo del mondo selvatico.
Oltre a costituire un Monte Sacro fin dall’antichità, il Monte Soratte è stato protagonista, nella recente storia d’Italia, per essere il luogo dove fu realizzato il grande Bunker .
Sin dal 1937, infatti, quando la seconda guerra mondiale sembrava imminente, per volere di Mussolini, fu iniziata la costruzione del Bunker, al fine di proteggere il comando dell’Esercito Italiano in caso di guerra.
Per nascondere i lavori di costruzione del Bunker, si utilizzò la copertura di una fabbrica di armi della Società Breda; i lavori per il completamento dell’Opera si protrassero fino al 1943.
Il Bunker inizialmente fu utilizzato dall’esercito italiano per passare , poi, sotto il comando nazista.
Nel 1967 , in piena guerra fredda, furono apportate ulteriori modifiche al fine di trasformare il Bunker in un rifugio antiatomico per essere utilizzato , in caso di emergenza, dal Presidente della Repubblica e dal Governo italiano.
Nel 2004 il Bunker fu dismesso e, quando i militari se ne andarono, la popolazione locale finalmente scoprì la vera natura del sito, che fino allora era rimasto un’area militare segretata ed interdetta ai civili.
Il Bunker del Soratte costituisce una delle più grandi e imponenti opere d’ ingegneria militare presenti in Europa, con più di 4 km di tunnel, di cui circa un chilometro e mezzo, per volere della NATO, è stato trasformato in rifugio antiatomico. Il Bunker, quindi, possiede ,oltre ad un enorme valore storico, anche una grande importanza dal punto di vista della applicazione e realizzazione della tecnologia militare .
Per questo motivo ,dal 2010, gli abitanti di Sant’Oreste, decisero di eseguire dei lavori per il recupero del Bunker e dell’area annessa, al fine di trasformarlo in un Museo.
Oggi le gallerie sono visitabili grazie al costante lavoro dell’Associazione Culturale “Bunker Soratte”, la quale si occupa di promuovere e valorizzare il Bunker e la sua storia.
L’Associazione ha recuperato e reso agibili e visitabili la maggior parte delle gallerie, cura tutto l’allestimento museale e organizza e gestisce, con grande professionalità, le visite all’interno dell’ex base militare ipogea.
L’Architetto Gregory Paolucci Presidente dell’Associazione “Bunker Soratte”, ha guidato la nostra Associazione Cornelia Antiqua assieme all’Associazione Sotterranei di Roma nella visita al Bunker.
L’Arch. Gregory Paolucci, santorestese di nascita, grazie alle sue profonde conoscenze e alla sua immensa passione, ci ha illustrato un capitolo della storia italiana, dal fascismo alla fine della Guerra Fredda.
Grazie alla narrazione dell’Arch. Gregory Paolucci, siamo saliti sulla “macchina del tempo “e , con emozione, abbiamo viaggiato in una scenografia originale tra arredi, dormitori, uffici, mappe, attrezzature militari, armi tradizionali e missili, uniformi, tutto materiale perfettamente conservato.
Sì è vero, oggi ,lo confesso, ho vissuto un’esperienza di grande valenza storica ed è per queste sensazioni , vibrazioni, che ho provato per cui consiglio a tutti di provarle andando a visitare il Bunker Soratte.
Chioso questa nota , seppur sommaria, evidenziando il grande lavoro svolto dall’Associazione Bunker Soratte al fine di preservare e valorizzare questo importantissimo e originale Museo, testimonianza tangibile della nostra storia recente.
GRAZIE e Complimenti all’Ass. Culturale “Bunker Soratte”.
Articolo e Foto di Cristian Nicoletta, Presidente dell’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
Il 21 novembre (dunque questo lunedì) si festeggia la giornata nazionale degli alberi. Bello. Nelle scuole si spiegherà ai bambini quanto sono importanti i boschi, quanto gli alberi fanno per noi fornendoci ossigeno, riparo, cibo, materia prima.
In epoca di mutamenti climatici – a cui non si sta mettendo alcun freno, stante il fallimento dell’ennesima inutile conferenza internazionale, ancora in corso – non c’è alcun dubbio che gli alberi siano visti come l’unica vera possibilità di salvare noi stessi (più che il pianeta, che se la caverà in qualche modo).
Il problema vero è che per ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera in modo efficace, dovremmo piantarne mille miliardi. Michi fischi.
Soprattutto, osservo, dovremmo smettere di tagliarli, altrimenti la faccenda, già complicata (basti pensare che i vivai non producono piantine a sufficienza, almeno al momento) diventerà impossibile. E invece si incrementano le stufe a pellet, si punta sulle biomasse forestali per produrre energia, in generale si taglia, si taglia, si taglia.
Al punto che ci sono aree, anche in Italia, dove per trovare un bosco vero (non quelle distese di stuzzicadenti che qualcuno osa ancora definire bosco) devi faticare non poco. Ad esempio dove vivo io, nella Tuscia.
Ora, è vero che il legno è un materiale ecologico e rinnovabile, ma visto che gli alberi ci servono vivi, e possibilmente organizzati in boschi vitali e ben strutturati, dovremmo non solo piantare alberi per ridurre gli effetti dei mutamenti climatici (e rendere il mondo un posto più bello e vivibile), ma anche come materia prima, alberi “ready to cut” come si usa dire.
Dunque a quei mille miliardi aggiungiamone diciamo un altro mezzo miliardo.
Si stima che solo in Italia per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario riforestare praticamente tutte le aree attualmente sfuggite alla speculazione edilizia o che non sono più coltivate. Sarebbe bellissimo, ma non mi sembra che si vada in quella direzione. Anzi, la nuova legge forestale quasi obbliga i proprietari di terreni boscati a provvedere al taglio. E c’è ancora chi sostiene che un bosco se non viene tagliato “muore” (ovviamente sono quelli che dal taglio ci guadagnano). Mi scuserai dunque se sono piuttosto pessimista in merito. Io adoro gli alberi, ho scritto un piccolo saggio sullo star bene grazie agli alberi (“Mettere Radici”, è disponibile su Amazon) e ho anche realizzato un libro fotografico su di loro (“Lucus”, esaurito da tempo), ma foto di alberi entrano in quasi tutti i miei progetti.
Detesto i luoghi in cui non ci siano alberi. Gli alberi mi danno un senso di sicurezza, di forza, di benessere appunto. Credo siano gli organismi più eleganti ed efficienti che siano mai apparsi sul pianeta Terra, e d’altra parte è solo grazie a loro che anche io e te siamo qui. Niente alberi, niente vita. Come minimo dovremmo guardarli con animo grato, e invece li maltrattiamo, specialmente in città, perché “sporcano” (loro!!!) e rialzano l’asfalto con le loro radici, o perché impicciano, danno fastidio, tolgono spazio alle auto. E poi se ci parcheggi sotto gli uccelli che si posano sui rami ti cagano sulla carrozzeria.
Come dicevo, non ce la possiamo fare.
Tuttavia, visto che alla fine lunedì saremo inondati da messaggini elegiaci su “quanto bene ci fanno gli alberi”, allora sarà meglio partecipare all’evento in modo meno ipocrita. Magari facendo una passeggiata ripetiamo l’antico gesto apotropaico di abbracciare un albero, uno qualsiasi, il primo che ci capita a tiro. A me capita di abbracciarli spesso, con gratitudine. Sarà una cosa scema, sicuramente lo è, ma chi se ne frega. E sempre viva gli alberi vivi!
Via Papa Giovanni Paolo II, 9, TUSCANIA, VT 01017
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ARCHIVIO di STATO di RIETI-PERGAMENE CHE PASSIONE!
RIETI-Studiosi, esperti, famiglie e appassionati curiosi hanno riempito i due appuntamenti della nostra “Domenica di Carta”, dedicata, in questa occasione, al patrimonio membranaceo che custodiamo.
Dalla mostra “I gamberi del papa” fino alle tecniche di restauro, è stato possibile capire i compiti di tutela, conservazione, studio e valorizzazione della nostra preziosa documentazione, con la storia che si rivela anche agli occhi meno abituati.
Roma- 23 agosto 2022–Tutti i Paesi europei che hanno avuto Colonie, in Africa, in Oriente o nelle Americhe, hanno portato via molti manufatti, esposti in Musei ed in raccolte private. Molto spesso non si tratta solo di “oggetti” belli o in qualche modo interessanti, ma di vere “opere d’arte”, che raccontano la Storia e la Cultura dei Paesi colonizzati, i quali, pertanto, non hanno più un pezzo del loro passato.
Probabilmente l’Africa è il continente più “saccheggiato”. In particolare, dall’Africa Centrale, soprattutto dal Congo, che è nato nel XIX secolo come “possedimento personale del Re Leopoldo del Belgio”, sono stati sottratti circa 180.000 manufatti artistici.
Inoltre, dall’antico Regno del Benin, attuale Sud della Nigeria, sono stati portati via più di 4.000 oggetti, soprattutto sculture in legno, alcune anche antiche in quanto realizzate nei secoli passati.
Inoltre, dal Kenya sono state portate via oltre 300 statue commemorative in legno, conservate anche in vari Musei americani, anche universitari, che le hanno acquistate sul mercato internazionale delle opere d’arte.
Il manufatto artistico africano più costoso è la scultura, proveniente dal Camerun, che rappresenta la regina Bangwa, venerata come una divinità dalla sua gente, che è stata portata via dalla sua sacra dimora dall’esploratore tedesco Gustav Conrau.
Negli ultimi decenni vari Musei ed Università hanno restituito una parte dei manufatti artistici posseduti. Al riguardo, l’Università di Yale ha restituito migliaia di manufatti portati via dal Perù.
La restituzione delle opere d’arte trafugate durante il periodo coloniale è un’azione doverosa perché serve alle Autorità dei Paesi dai quali sono state portate via, e che oggi sono degli Stati indipendenti, per ricostruire la loro Storia e la loro Cultura, e quindi la loro identità nazionale. Invece, molto spesso questi manufatti, conservati nei Musei o nelle raccolte private, anche se hanno un valore economico, talvolta anche grande, o sono ammirati per la loro bellezza artistica, non hanno alcun “significato” storico o culturale per chi li possiede e quindi, come si usa dire, sono “privi di vita”.
Il nostro Paese ha provveduto da alcuni decenni, non senza polemiche, a restituire alcune opere d’arte prelevate dalle ex colonie africane. L’oggetto più famoso è la Stele di Axum, un obelisco realizzato tra il I ed il IV secolo, alto 23 metri e pesante 150 tonnellate, portato via da quella sacra località dell’Etiopia il 3 maggio 1935 (durante la guerra fatta dal regime fascista) e collocata solennemente il 28 ottobre 1937 (15° anniversario della “Marcia su Roma”) a Piazza di Porta Capena, davanti alla nuova sede del Ministero delle Colonie (che dal dopoguerra ospita la sede internazionale della FAO, l’Agenzia ONU per la lotta contro la fame nel Mondo).
La Stele è stata restituita al Governo etiope il 28 ottobre 2003 e, dopo essere stata restaurata a nostre spese, è stata ricollocata solennemente ad Axum nel 2008.
Egualmente è stato restituita nel 1960 al Governo etiope la statua in bronzo dorato, denominata il Leone di Giuda, opera dello scultore francese Georges Gardet, che la realizzò nel 1930 per la incoronazione dell’Imperatore Ha‘ilé Selassié, e che era stata portata via nel 1936 e collocata solennemente l’8 maggio 1937 (per il primo anniversario della proclamazione dell’Impero, dopo la conquista dell’Etiopia) davanti al Monumento agli Eroi di Dogali (i 430 soldati caduti nella omonima battaglia del 26 gennaio 1887 durante la Guerra contro l’Abissinia per il possesso dell’Eritrea), vicino alla Stazione ferroviaria “Termini” di Roma. La statua è statua ricollocata nella Capitale etiopica Addis Abeba, ma non nell’ex Palazzo imperiale, bensì su un basamento in un giardino vicino alla stazione ferroviaria.
Sarebbe un’azione molto dignitosa da parte del nostro Governo la restituzione di altre opere d’arte “trafugate” dalle colonie africane prima che ne sia fatta la richiesta ufficiale da parte dei Governi interessati. In questo modo il nostro Paese dimostrerebbe al Mondo di aver “fatto i conti” con il proprio passato coloniale, almeno in parte, perché rimane il problema del riconoscimento della nostra responsabilità per le tragedie che la nostra “dominazione coloniale” ha comportato per quei Paesi, in primo luogo le oltre 500.000 vittime (circa 350.000 in Etiopia e 100.00 in Libia), per le quali si dovrebbe almeno “chiedere scusa”. In questo modo il nostro Paese potrebbe sedere a testa alta nel consesso delle Nazioni democratiche.
Ecco una foto-gallery che ritrae alcuni momenti della troupe al lavoro nell’antica Badia. Tra questi anche l’intervista della presentatrice 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗠𝗲𝗱𝗮𝗴𝗹𝗶𝗮 al 𝗥𝗲𝘃.𝗺𝗼 𝗣. 𝗣𝗿𝗶𝗼𝗿𝗲 𝗘𝘂𝗴𝗲𝗻𝗶𝗼 𝗚𝗮𝗿𝗴𝗶𝘂𝗹𝗼 e al bibliotecario dell’Abbazia farfense 𝗥𝗶𝗰𝗰𝗮𝗿𝗱𝗼 𝗦𝗶𝗺𝗼𝗻𝗲𝘁𝘁𝗶.
Pittura e scultura. Le opere di Wolfgang Alexander Kossuth verranno esposte al pubblico. Sabato 30 luglio sarà inaugurata la mostra “Ritratti” alle Rimesse del Palazzo Vescovile, Città della Pieve (Perugia), nella principale via Vannucci.
La città, in cui l’artista è morto nel 2009 e da cui la sua produzione artistica ha preso vita, ospiterà la mostra. L’installazione, realizzata per rendere omaggio alla personalità ecclettica del maestro Kossuth, comincerà alle ore 21. Un percorso artistico di 35 ritratti in scultura.
Kossuth ha cominciato la carriera nel mondo dell’arte, partendo dal desiderio di analizzare l’animo umano e quanto complesso questo possa essere. Ha poi ampliato le conoscenze tecniche fino a realizzare opere che hanno superato i limiti della realtà, delle vere e proprie realizzazioni surreali.
Una mostra illustra – fino all’autunno 2022 – le varie cariche pubbliche dei magistrati di età repubblicana, il cursus honorum, aspetto fondamentale della vita politica di Roma antica.
Comunicato stampa della Mostra Cursus Honorum. Il governo di Roma prima di CesareParte integrante del progetto La Roma della Repubblica. Il racconto dell’Archeologia, la mostra Cursus honorum. Il governo di Roma prima di Cesare, ospitata ai Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori dal 24 marzo al 2 ottobre 2022, è incentrata sulle cariche pubbliche dei magistrati di età repubblicana, il cursus honorum, aspetto fondamentale della vita politica di Roma antica. Il progetto espositivo è promosso da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è curato da Claudio Parisi Presicce e Isabella Damiani. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Protagonisti di questo racconto sono cinque personaggi anonimi raffigurati da altrettante statue che fungono da narratori di eccezione: quattro sono figure maschili a cui si aggiunge una voce diversa, una figura femminile, che rappresenta una realtà altrimenti assente in una società inevitabilmente dominata dagli uomini. Il loro compito è avvicinare il pubblico a monumenti di valore storico e simbolico che celebrano memorabili imprese belliche, insieme ad altri che ci illustrano ruoli legati all’amministrazione della città e alla costruzione del prestigio sociale degli individui e delle loro famiglie. Con l’aiuto di queste guide particolari, ai visitatori saranno ricordati episodi di guerra e conquiste che segnarono tappe fondamentali nella storia dell’espansione di Roma: esempio di spicco è la prima vittoria navale sui Cartaginesi nelle acque di Milazzo, ricordata dalla Colonna Rostrata eretta in onore del console Gaio Duilio. Questo e altri eventi sono narrati da tre statuae ritratto di travertino della metà del I secolo a.C., già a Villa Celimontana, che vestono il pallio, ossia il mantello che si indossava sulla tunica. Lo ius imaginum, ossia il diritto di conservare in casa i ritratti degli antenati da esibire durante i funerali e in particolari occasioni pubbliche, inizialmente esclusivo del patriziato ed esteso nel IV secolo a.C. anche ai plebei quando ebbero accesso alle cariche pubbliche, è invece narrato dal famoso “Togato Barberini” (dal nome della collezione di provenienza). La maestosa statua in marmo, databile al primo quarto del I secolo d.C., costituisce una testimonianza unica del sistema di autolegittimazione che le famiglie che detenevano il potere mettevano in atto, utilizzando la fama e il prestigio degli avi. La voce che anima la figura femminile, parte di un Gruppo funerario con fanciulla, realizzato in marmo lunense e databile alla metà circa del I secolo a.C., introduce infine ai monumenti funerari, in particolare ai sarcofagi provenienti dal sepolcro della gens Cornelia, rara testimonianza archeologica di una tomba gentilizia di età repubblicana. L’esibizione, lungo le strade che uscivano da Roma, delle architetture e delle pitture dei sepolcri gentilizi costituivano un altro elemento di ostentazione del potere acquisito. Nella mostra si dà conto, inoltre, delle caratteristiche delle magistrature romane: collegiali, e di durata limitata, in prevalenza annuale. I magistrati superiori – consoli, pretori, censori – erano eletti dai cittadini ripartiti in base al censo, riuniti nei comizi centuriati e contraddistinti da speciali attributi come la sedia curule, i fasci (simboli del potere coercitivo) e una speciale toga bordata. Erano i soli a poter celebrare il trionfo. I magistrati minori – questori, edili – erano eletti dai cittadini ripartiti per tribù, riuniti nei comizi tributi. L’ordine di successione delle cariche fu stabilito nel II secolo a.C. con una legge che specificava anche l’età minima dei candidati e il tempo che doveva trascorrere tra una magistratura e la successiva. Le tappe, in ordine ascendente, erano: questura, tribunato, edilità, pretura, consolato e censura, a cui va aggiunta l’investitura temporanea ed eccezionale della dittatura. Con l’avvento della Repubblica i poteri, in precedenza concentrati nella figura del re, erano stati distribuiti tra il pontefice massimo, cui spettavano le principali prerogative religiose, e i consoli, coppia di magistrati con competenze civili e comando militare. Per accedere al cursus honorum erano necessari, oltre a un censo minimo, fama e prestigio degli antenati: chi non apparteneva a poche illustri famiglie era un “uomo nuovo”. Le regole di ingresso alle magistrature e l’articolazione delle cariche subirono modificazioni nel tempo: l’accesso alle magistrature principali (consolato), inizialmente limitato ai membri delle famiglie patrizie, nel IV secolo a.C. fu esteso ai plebei. Con il progressivo aumento della potenza di Roma, si istituirono altre magistrature elettive con competenze circoscritte. La mostra si avvale in modo esclusivo di opere pertinenti alle collezioni capitoline, in parte provenienti dall’esposizione permanente della Centrale Montemartini, in parte solitamente non esposte. È stata questa – secondo un intento che la Direzione Musei Capitolini e musei archeologici persegue con l’organizzazione di mostre basate su materiali delle proprie collezioni – una nuova occasione per procedere con attività di conservazione, restauro e valorizzazione del ricchissimo patrimonio che occorre sempre più rendere accessibile al pubblico. È all’interno di questo quadro che si è proceduto con un allestimento multimediale, coinvolgente, volto ad avvicinare i visitatori ad argomenti complessi e a particolari monumenti; si pensi ai documenti epigrafici, importantissime fonti storiche dirette di non immediata lettura. L’esposizione si colloca, infine, come ideale trait-d’union tra la videoinstallazione L’eredità di Cesare e la conquista del tempo, visibile nella Sala della Lupa e dei Fasti Antichi del Palazzo dei Conservatori e l’esposizione Roma della Repubblica. Il racconto dell’Archeologia, di prossima realizzazione ai Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli. Informazioni utili per la visitaOrari: tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30. Chiuso il lunedì, il 1° gennaio, il 1° maggio, il 25 dicembre. La biglietteria chiude 1 ora prima dell’orario di chiusura. |
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ROMA – Tra passato e presente, finzione e realtà, il fotografo tedesco Ruediger Glatz (Heidelberg, 1975) racconta il suo Pasolini nella personale Reflecting Pasolini, ospitata fino al 4 settembre 2022 al Palazzo delle Esposizioni.
Curata da Alessio de’Navasques, la mostra presenta più di 60 immagini in bianco nero dedicate al grande intellettuale italiano, nella ricorrenza del centenario dalla nascita.
Un ciclo di immagini ripercorre l’esperienza performativa di Embodying Pasolini, ideata e interpretata dall’attrice e performer Tilda Swinton e dal curatore e storico della moda Olivier Saillard, presentata nel giugno 2021 negli spazi del Mattatoio di Roma. L’attrice, Leone d’Oro alla carriera nel 2020, nei costumi di Danilo Donati, ha fatto rivivere la cinematografia pasoliniana nell’assenza e nella memoria dei personaggi che hanno indossato quegli abiti.
In un bianco e nero potente, attraverso l’esposizione prolungata o multipla della pellicola, Glatz ha colto la trasfigurazione dell’attrice, la sacralità austera dei movimenti, la loro ineccepibile e silenziosa drammaturgia.
Ruediger Glatz, EMBODYING PASOLINI Performance di Tilda Swinton e Olivier Saillard con Gael Mamine – Mattatoio, Roma, 2021
Il volto enigmatico della Swinton, il pathos dell’azione, hanno sollecitato la creatività del fotografo, innescando un processo di conoscenza dell’opera di Pasolini nella riflessione e nella rifrazione di questa azione.
Da qui il titolo della mostra Reflecting Pasolini e l’idea del progetto, che si completa con le immagini dei luoghi, quelli che Ruediger Glatz ha incontrato attraversando l’Italia alla ricerca dell’immaginario di Pier Paolo Pasolini.
La seconda parte della mostra è costituita dal ciclo di fotografie denominato On PPP, che restituisce il racconto di questo viaggio geografico ed emotivo, che si muove in un percorso tra passato e presente, registrando con sensibilità cambiamenti e magiche persistenze, ritrovando nei luoghi, negli oggetti, in certe particolari vedute, nei dettagli, quella stessa qualità dirompente così caratteristica del poeta.
“I luoghi topografici, così come le architetture, ma anche gli oggetti – spiega il curatore della mostra – in qualche modo denaturalizzati, tornano ad essere i ‘personaggi’ della narrazione. Pier Paolo Pasolini ha scelto di impostare la propria narrazione partendo da paesaggi urbani, naturali, periferici, con una forza semantica tale da mantenere un carattere antropologico e politico anche nella finzione del cinema. Così, Ruediger Glatz ne restituisce la memoria dello spazio scenico e letterario attraverso i dettagli, con un processo mutuato dallo stesso poeta, che conferisce alle sue immagini un rapporto nuovo e ambivalente con il tempo”.
Dalla purezza luminosa dei dettagli pittura di Giotto e Piero della Francesca, ad Assisi e ad Arezzo, che offrirono a Pasolini suggestioni tanto compositive quanto spirituali, alla casa natale del poeta, a Bologna, alle ombre di Villa Feltrinelli, ultima residenza di Mussolini sul Lago di Garda che ispirò Salò, l’obiettivo di Glatz riesce a cingere e a colmare quel senso di vuoto, a trarne nuove rappresentazioni e significati.
A Roma, lo sguardo del fotografo si sovrappone a quello di Pasolini regista e scrittore, nella rappresentazione di una città-set colta da un punto di vista decentrato, volutamente marginale.
Il viaggio si conclude alla Torre di Chia, immersa nella natura, dove l’obiettivo del fotografo si ferma, senza oltrepassare il cancello dell’ultimo amato rifugio, dove Pasolini scrisse Petrolio.
Palazzo delle Esposizioni
Roma, via Nazionale 194
Orari
Dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00. Chiuso il lunedì.
L’ingresso è consentito fino a un’ora prima della chiusura.
Biglietti
Intero € 10,00 | Ridotto € 8,00 | Ragazzi dai 7 ai 18 anni € 4,00 | gratuito per i bambini fino a 6 anni
Social Media
@PalazzoEsposizioni | Instagram: @PalazzoEsposizioni | @Esposizioni
La Mostra, curata a Roma dalla Sovrintendenza, si prefigge lo scopo di offrire al pubblico la possibilità di conoscere un imperatore spesso trascurato, ma che ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione di Roma e del suo impero così come li percepiamo ancora oggi.
Attraverso le opere selezionate, la mostra intende narrare la vita dell’imperatore e della sua famiglia, nonché quelle della corte che lo circondava e dei suoi sudditi, attraverso le parole degli autori antichi, i monumenti architettonici, l’arte del periodo e gli oggetti quotidiani; la Mostra prevede numerosi prestiti internazionali dai più importanti musei dal mondo.
Biglietto “integrato” Musei Capitolini e Mostra per i non residenti a Roma:
€ 16,00 biglietto “integrato” intero;
€ 14,00 biglietto “integrato” ridotto;
€ 2,00 ridottissimo (per le categorie aventi diritto alla gratuità, ad eccezione degli studenti delle scuole elementari e medie inferiori e dei portatori di handicap e al loro accompagnatore e in occasioni di visite istituzionali)
Ingresso gratuito per i possessori della MIC card
CONTATTI
Telefono: 060608 – bookshop 06 82077434
Sito web: www.museicapitolini.org/mostra-evento/domiziano-imperatore-odio-e-amore
eventi.aziendali@zetema.it per eventi speciali