Samuel Johnson famously said that: “When a man is tired of London, he is tired of life.” London’s remarkable history, architecture, landmarks, streets, style, cool, swagger, and stalwart residents are pictured in hundreds of compelling photographs sourced from a wide array of archives around the world. London is a vast sprawling metropolis, constantly evolving and growing, yet throughout its complex past and shifting present, the humor, unique character, and bulldog spirit of the people have stayed constant. This book salutes all those Londoners, their city, and its history. In addition to the wealth of images included in this book, many previously unpublished, London’s history is told through hundreds of quotations, lively essays, and references from key movies, books, and records.
From Victorian London to the Swinging ’60s; from the Battle of Britain to Punk; from the Festival of Britain to the 2012 Olympics; from the foggy cobbled streets to the architectural masterpieces of the millennium; from rough pubs to private drinking clubs; from royal weddings to raves, from the charm of the East End to the wonders of Westminster; from Chelsea girls to Hoxton hipsters; from the power to glory: in page after page of stunning photographs, reproduced big and bold like the city itself, London at last gets the photographic tribute it deserves.
Photographs by: Slim Aarons, Eve Arnold, David Bailey, Cecil Beaton, Bill Brandt, Alvin Langdon Coburn, Anton Corbijn, Terence Donovan, Roger Fenton, Bert Hardy, Evelyn Hofer, Frank Horvat, Tony Ray-Jones, Nadav Kander, Roger Mayne, Linda McCartney, Don McCullin, Norman Parkinson, Martin Parr, Rankin, Lord Snowdon, William Henry Fox Talbot, Juergen Teller, Mario Testino, Wolfgang Tillmans, and many, many others.
Ritratti Opere dell’Artista Vittorio Corcos (1859 – 1933).Il pittore livornese, conosciuto in particolare per i suoi ritratti fortemente realistici, è diventato l’immagine della Belle Époque.
Paolo Genovesi Fotoreportage Faggeta Monte Cimino-
Pro Loco di Soriano
“Un tuffo nella fiaba”
“Splendida la faggeta di Soriano, alterna alberi secolari a pietre che determinano una ricca varietà di paesaggio. Servito da decine di sentieri ben segnati, ci immerge in una pace di altri tempi. Da visitare assolutamente”.
Monte Cimino si trova in un territorio profondamente plasmato dall’intensa attività vulcanica esplosiva, avvenuta migliaia di anni fa nella provincia di Viterbo. Più precisamente, l’affascinante geologia dei Monti Cimini ha un’età antica compresa tra 1,35 milioni e 800.000 anni fa. Durante questo intervallo di tempo, la risalita di magmi viscosi acidi lungo la frattura ha originato più di 50 rilievi collinari intorno al rilievo principale, ovvero il Monte Cimino (1.053 m).
Nell’area sono presenti anche altri rilievi, tra cui il Monte Montalto (786 m), il Monte Roccaltia (712 m), il Monte Turello (626 m) e il Monte S. Antonio (617 m), tutti caratterizzati da una morfologia a domi, ovvero ammassi di magma molto viscoso che si presentano come piccole alture con grossi massi tondeggianti sulla cima.
L’altitudine dell’intero complesso varia da 373 a 1.053 m, con un’altezza media di 548 m. La testimonianza dell’intensa attività vulcanica di questa zona si scorge, inoltre, osservando la presenza in tutto il territorio di formazioni rocciose, blocchi sparsi che possono raggiungere volumi di decine di metri cubi che caratterizzano il paesaggio, ricordando la straordinaria geologia di questi monti, oltre che l’enorme portata e la forza del Cimino durante le sue eruzioni. In particolare, sulla vetta del Monte Cimino l’attenzione di molti visitatori è attirata da un grande masso di circa 250 tonnellate, anche conosciuto come sasso “menicante” o sasso “naticarello”, già noto al tempo dei Romani, il cui nome è legato alla sua particolare posizione, sospeso in equilibrio su una sporgenza del terreno.
Il comprensorio del Monte Cimino, identificato con il nome “Monte Cimino (versante nord)”, è stato riconosciuto come Zona Speciale di Conservazione (ZSC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS), compresi nella rete ecologica europea di siti di interesse comunitario denominata “Rete Natura 2000”, con il fine di proteggere il biotopo di notevole interesse fitogeografico, naturalistico e storico-monumentale presente in quest’area.
Foreste, sorgenti e torrenti caratterizzano l’ambiente dei Monti Cimini estendendosi per circa 975 ettari nel territorio dei Comuni di Soriano nel Cimino, Vitorchiano e Viterbo. È interessante notare come queste aree siano quasi totalmente coperte da formazioni forestali di latifoglie che, nei settori meno disturbati dall’azione dell’uomo, si articolano seguendo una sequenza altitudinale: ai querceti e leccete succedono boschi misti mesofili con una presenza diffusa di castagneti e, infine, una fustaia vetusta di faggi sulla sommità del Monte Cimino.
La principale valenza naturalistica che ha motivato la costituzione della ZSC è legata alla presenza di due habitat forestali di interesse comunitario, che presentano elementi faunistici di particolare interesse, tra cui insetti, crostacei e anfibi, e di una significativa popolazione di gambero di fiume. La designazione come ZPS è motivata dalla segnalazione di alcune specie minacciate o vulnerabili di rapaci forestali e rupicoli, di diversi passeriformi e del succiacapre, uccello protetto dalle abitudini notturne che frequenta ambienti aperti.
Il tipo forestale più diffuso nell’area è senza dubbio rappresentato dai castagneti, sia cedui che da frutto, che si estendono in un intervallo altitudinale tra i 550 e i 950 m, presentando spesso delle compenetrazioni con i querceti alle quote inferiori. La grande diffusione del castagno è stata certamente favorita dall’opera selettiva che l’uomo ha compiuto nei secoli passati, a fini produttivi, e dal substrato vulcanico acido, che risultano fattori fondamentali per la diffusione di questa specie.
Per la bellezza del paesaggio, per la biodiversità degli ambienti rinvenibili e per la particolarità floristica, l’area è stata nel tempo oggetto di numerosi studi riguardanti flora e vegetazione, molti focalizzati proprio sulla faggeta del Monte Cimino.
Foresta
La natura dei suoli di origine vulcanica del Monte Cimino, tra i più fertili di tutta l’Italia centrale, permette ai faggi di crescere rigogliosi sino al raggiungimento di imponenti dimensioni, oltre 50 metri. La faggeta pura si sviluppa per circa 60 ettari, con un’altitudine che varia dai 1.054 m della cima a una quota di circa 800-850 m.
Il faggio, però, si spinge anche a quote inferiori, isolato o a piccoli gruppi, penetrando all’interno dei cedui misti e dei cedui di castagno – dove si presentano condizioni favorevoli di umidità –, nelle sacche di terreno più profondo e negli impluvi. Nel contesto di tale habitat si inserisce il castagno, specie che è stata favorita dall’uomo per la buona qualità del legname e del frutto, e che ha esteso il proprio l’orizzonte fino a dove avrebbe dovuto insediarsi il faggio. Ne consegue che il settore meglio conservato è il settore nord-orientale del Monte Cimino, proprio lungo i valloni dove scorrono i corsi d’acqua, dove i castagneti non sono riusciti a insediarsi. Il faggio è inoltre presente anche in prossimità delle piccole lacune createsi nella copertura dei cedui.
La faggeta vetusta è caratterizzata dalla presenza di numerosi alberi di grandi dimensioni, con fusto per una buona parte sgombero da rami e la chioma inserita in alto. La faggeta oggi è relegata alla sommità del Monte, al di sopra dei 900 m di quota, ed è uno degli ultimi frammenti relitti di un’antica ed estesa foresta, che Tito Livio descrisse come impenetrabile e spaventosa: la Selva Cimina. È caratterizzata da un popolamento puro con età dei grandi alberi che si aggira mediamente intorno ai 150 anni, con alcuni individui che superano i due secoli di età. A questo proposito è interessante osservare come gli individui più vecchi presentino una chioma espansa con grossi rami inseriti anche nella parte basale del fusto: questo particolare portamento testimonia che il loro sviluppo è avvenuto in un ambiente più aperto di quello attuale, per esempio in pascoli arborati dove venivano allevati i maiali allo stato brado.
La struttura del bosco del Monte Cimino nel complesso è ancora in prevalenza di tipo coetaneiforme, ovvero presenta numerosi grandi alberi di età simile. A seguito dell’abbandono colturale, degli schianti verificatisi nel corso degli anni e quindi del successivo processo di rinnovazione, il bosco inizia tuttavia a presentare caratteri di maggiore complessità. Infatti, secondo studi effettuati in quest’area, all’interno del popolamento è possibile riconoscere tre diversi gruppi di piante con una differente età media: piante giovani di età convenzionale attorno ai 30-50 anni con diametri compresi tra 5 e 30 cm, piante adulte di età convenzionale di 135 anni con diametri compresi tra 25 e 90 cm, e piante vetuste con età superiore ai 200 anni con diametro maggiore di 80 cm. La riscontrata coesistenza di gruppi di piante di diversa età dimostra quindi un principio di evoluzione naturale orientato verso un aumento della complessità della foresta. La faggeta, quindi, attraversa attualmente lo stadio denominato di transizione demografica, durante il quale il bosco coetaneo si trasforma gradualmente in una foresta vetusta a elevatabiocomplessità.
La faggeta rappresenta uno dei rari lembi di foresta vetusta di grandi dimensioni presenti in Europa: per questo, uno dei principali obiettivi è garantirne il mantenimento dell’estensione favorendone, se possibile, l’ampliamento e la conservazione.
Sentieri
Monte Cimino con i suoi 1050 m di altezza rappresenta la cima più alta della catena montuosa laziale dei Monti Cimini. La sua superficie è quasi interamente ricoperta da foreste, tra cui la faggeta vetusta oggi inserita della World Heritage List dall’UNESCO.
La faggeta è tutelata da una Zona Speciale di Conservazione la cui gestione è affidata all’Ente di gestione della vicina Riserva Naturale del Lago di Vico, ma il luogo ideale da cui partire per una sua visita è il borgo di Soriano nel Cimino. Qui di seguito viene descritto un semplice anello, scelto tra i numerosi sentieri mantenuti dalla Sezione del CAI di Viterbo, utile per visitare la faggeta e scoprire le sue caratteristiche e peculiarità.
La faggeta vetusta di Monte Cimino
Camminare tra i faggi più alti d’Europa
Lunghezza 2 km
Dislivello in salita 100 m
Tempo complessivo 1 ora circa
Difficoltà bassa per l’assenza di dislivello e la brevità del percorso
Per la visita al sito Unesco è possibile raggiungere il parcheggio della faggeta nei pressi della “Rupe Tremante”, distante circa 15 minuti in auto, seguendo le indicazioni per la frazione Canepina e quindi, appena usciti da Soriano, per la faggeta.
Il percorso si snoda lungo sentieri CAI e consente di attraversare con un breve anello i secolari boschi di faggio, accompagnati lungo il percorso dai famosi massi geologici che derivano dall’attività eruttiva del Monte Cimino. Una breve deviazione consente di raggiungere la cima di Monte Cimino, in cui troviamo una suggestiva torre e alcune testimonianze di antichi insediamenti dell’età del bronzo. Questo percorso, arricchito dalle numerose bacheche sulla fauna, la flora e le caratteristiche del luogo, rappresenta l’alternativa più semplice e suggestiva per visitare il cuore di questa antica faggeta.
Attività
La Tuscia Viterbese è un territorio incantevole e dai paesaggi vari e di notevole interesse, nonostante sia ancora poco conosciuta. Troviamo in quest’area due catene montuose, i Monti Cimini e i Monti Volsini, e due laghi vulcanici, il Lago di Vico e il Lago di Bolsena, sorgenti di acque termali, che convivono con foreste a perdita d’occhio e faggete collinari, oltre che con la Maremma Laziale e una costa che giunge quasi fino all’Argentario. Numerosi sono i borghi e luoghi storici che meritano una visita, tra cui la stessa Soriano nel Cimino, la storica Villa Lante di Bagnaia, primo esempio di giardino formale che si raccorda con una lecceta vetusta nel barco, e la famosa Civita di Bagnoregio, “la città che muore”. Questa porzione di Lazio è inoltre conosciuta per Bomarzo e per il Parco dei Mostri; per le città etrusche di Tarquinia e Tuscania; per le antiche ville e palazzi d’arte come il Palazzo Farnese di Caprarola, oltre che per la stessa Viterbo, per oltre vent’anni sede pontificia, che conserva ancora il soprannome di “antica città dei Papi”. Tra i numerosi eventi culturali merita una menzione la Sagra delle Castagne, una delle più belle e suggestive manifestazioni storico-rievocative d’Italia, che si svolge nel primo e secondo fine settimana di ottobre a Soriano nel Cimino.
Un viaggio nella Tuscia non può prescindere da un’immersione nella faggeta vetusta di Monte Cimino: percorrendo i numerosi sentieri che si sviluppano nel bosco, la sensazione è quella di entrare in un’altra dimensione, riscoprendo i suoni e il silenzio che solo questo ambiente unico nel suo genere sa regalare, come isolato in un contesto circostante alquanto diverso come naturalità dei paesaggi. La faggeta raggiunge il suo massimo splendore nei periodi primaverili e autunnali dove i vari colori, dovuti al naturale ciclo di vita delle piante, generano variazioni cromatiche irrinunciabili per tutti gli appassionati di fotografia.
Nei numerosi sentieri che circondano e scendono a valle dalla faggeta vengono praticati molti sport tra cui escursionismo, trekking, corsa e mountain bike. I principali punti d’interesse della faggeta sono la torre e i siti proto-storici presenti sulla vetta del Monte Cimino, testimonianze di antichi insediamenti del bronzo nell’area; i massitrachitici sparsi per l’intera faggeta e creati dall’attività vulcanica di lave quarzo-latitiche oltre un milione di anni fa; la rupe tremante o “sasso menicante”.
La vera attrattiva sono, tuttavia, i maestosi faggi secolari arrivati fino ai giorni nostri, grazie a una scelta autonoma pre-ambientalista della comunità locale legata alla bellezza straordinaria dell’ambiente: isolati, sulla cima di Monte Cimino, sono i veri protagonisti indiscussi di questa preziosa foresta.
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna
Palazzo Vigiani, via Guido Brocchi, 7
52015 – Pratovecchio (Ar)
P. IVA 01488410513 info@parcoforestecasentinesi.it
Catalogo della mostra di Milano al Mudec Photo dal 11 novembre 2022 al 19 marzo 2023. In questa mostra e nel catalogo che l’accompagna, vediamo la profonda verità umana degli eventi che Capa ha documentato. Qui abbiamo la quintessenza del lavoro di Capa. Anche in piena guerra, la sua macchina fotografica ha registrato pochi cadaveri o atrocità. Capa si preoccupava soprattutto dei vivi, non dei morti. Il suo vero soggetto come fotografo di guerra era il trionfo dello spirito umano anche sulle più terribili avversità, sebbene abbia realizzato anche immagini di persone il cui destino è stato tragicamente spezzato dalle loro sofferenze.
Ediz. italiana, inglese e francese: L’Opera / The Work / L’Oeuvre 1932-1954
DESCRIZIONE
Gabriel Bauret :«La cronologia dell’opera di Capa, vero e proprio monumento nella storia della fotografia, scandisce le pagine di questo libro ricchissimo di immagini, dando da un lato l’idea della sua vastità e dall’altro delineando il modo in cui il fotografo opera sul campo. Il volume traccia le tappe principali di un percorso la cui brillantezza non ha pressoché eguali, lasciando emergere diverse “icone” da questo corpus eccezionale. I suoi resoconti di guerra ne hanno plasmato la leggenda, come afferma Michel Lefebvre nel suo saggio, ma Capa, pur risultando spesso il primo e il più vicino, ci mostra la realtà anche da altre angolazioni: le sue immagini descrivono momenti che ci rimandano all’uomo, alla sua sensibilità verso vittime e migranti, evocando così il suo viaggio dalla nativa Ungheria. Si dice che la musica riveli se stessa tra le note: questo libro lascia intravedere alcune sfaccettature di un personaggio complesso, intraprendente e indubbiamente mai del tutto soddisfatto, che non esita a rischiare la propria carriera come la propria esistenza. Se Capa ha mostrato una personalità da giocatore, la sua opera assume una dimensione epica che non sfuggirà al finale tragico»
Robert Capa Biografia
Robert Capa nasce a Budapest nel 1913. Il suo vero nome era Endre Ernő Friedmann, che fu costretto a cambiare durante un periodo di clandestinita’ in Francia. E‘ considerato il primo e piu’ famoso fotografo di guerra, e documento’ cinque diversi conflitti : la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d’Indocina (1954). Studio’ Scienze all’Universita’ di Berlino fra il 1931 ed il 1933, quando dovette lasciare la Germania nazista a causa delle sue origini ebraiche. Autodidatta, inizio’ come assistente di laboratorio e inizio’ a fare il fotografo freelance quando si trasferi’ a Parigi.La sua fama esplosa durante la guerra civile spagnola, grazie alla famosa foto “ Il miliziano colpito a morte”, di cui ancora oggi si discute l’autenticita’. Robert Capa si interesso’ anche di cinema. Nel 1936 giro’ alcune sequenze per il film di montaggio “Spagna 36” diretto da Jean Paul Le Chanois e prodotto da Luis Bunuel. · La relazione con l’attrice Ingrid Bergman permise a Capa di scattare alcune foto sul set del film “Notorious” (1946) di Alfred Hitchcock. ·Nel 1947 assieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Georges Rodger e William Vandivert fonda l’ agenzia fotografica “Magnum Photos“. Come la storica compagna Gerda Taro, mori’ facendo il suo lavoro, saltando su una mina in Vietnam nel 1954.Paradossalmente, la sua foto piu’ famosa e’ anche la piu’ controversa. “Il miliziano colpito a morte” rappresenta una vera icona del secolo scorso, ma tutt’ ora si dibatte sulla sua autenticita’. Secondo alcuni, la foto sarebbe infatti preparata ad arte da Robert Capa, e le circostanze dello scatto riportate dal fotografo non sarebbero veritiere. Robert Capa, in un’ intervista radiofonica datata 1947, racconta come riusci’ a realizzare lo scatto: “Ho scattato la foto in Andalusia – racconta – mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto. Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa, e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa”.Documento’ la anche la seconda guerra mondiale, lasciando immagini memorabili delle attivita’ militari degli americani in Sicilia e dello sbarco in Normandia. Si distinse anche come fotografo in tempo di pace, ritraendo attori ed artisti e documentando la vita decadente ed opulenta dei ricchi europei.
Rimmarra’ nella storia come il prototipo del fotografo di guerra e come fondatore dell’ agenzia fotografica Magnum che con i suoi canoni etici ed estetici defrinisce ancora oggi il modo in cui il fotogiornalismo racconta il mondo.
Alla fine del 1983 prima di iniziare le riprese di “Paris, Texas”, Wim Wenders viaggia per mesi attraverso il West americano, dal Texas all’Arizona, dalla California al New Mexico, munito della sua Makina-Plaubel 6×7. Wenders si lascia catturare dalla straordinaria vastità e bellezza di un paesaggio imbevuto di luce e di colore, sperando di «migliorare la mia comprensione, la mia sintonia con quella luce, quel paesaggio». Lo sguardo professionale del regista e la meraviglia dell’europeo che nel West cerca di cogliere la terra originaria del “sogno americano” costituiscono il fascino di questa raccolta di immagini, singolare e irripetibile. Nel 2001 Wenders torna nella sonnolenta cittadina di Paris e scatta nuove fotografie, questa volta con una Fuji 6×4,5. È la testimonianza di una fascinazione rimasta intatta, un viaggio dell’artista nei propri ricordi. Si aggiunge un nuovo essenziale capitolo al classico Scritto nel West, ora Revisited. Con il poscritto dell autore “I like Paris in the winter”.
Corso completo di tecnica fotografica. Edizione illustrata
Traduttori:Riccardo De Biasi – Enrico Passoni -Chiara Finardi –
Editore White Star
DESCRIZIONE
Questa guida alla fotografia, grazie all’esperienza di un professionista del settore, vi condurrà alla scoperta dei segreti dell’utilizzo dei flash e delle luci: vi fornirà preziosi suggerimenti sulla scelta delle apparecchiature e consigli d’uso sui flash della fotocamera ed esterni, sull’allestimento di uno studio di posa domestico e sulle tecniche di post-produzione. Robert Harrington vi fornirà in questo volume tutti gli strumenti per ottenere risultati migliori per le vostre fotografie.
“Le Sabine” è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni – misura infatti 385 x 522 – eseguito da Jacques-Louis David tra il 1796 e il 1799 ed esposto a Parigi al Museo del Louvre. Il soggetto non rappresenta il RattodelleSabine da parte dei Romani, tema già trattato da Giambologna e Poussin, per esempio, ma un episodio leggendario delle origini di Roma nell’VIII secolo, di cui parlano Plutarco e Livio (Ab Urbe condita, I, 9, 5-10).Si tratta di un dipinto di genere storico appartenente alla corrente neoclassica, che segna un’evoluzione nello stile di David dopo la Rivoluzione francese e qualificato da lui stesso come puramente greco. David iniziò il dipinto all’inizio del 1796 e la sua realizzazione durò quasi quattro anni. Il maestro fu assistito da Delafontaine, responsabile della documentazione, e da Jean-Pierre Franque, che in seguito fu sostituito da Jérôme-Martin Langlois e da Jean-Auguste-Dominique Ingres. David dipinse Le Sabine senza aver ricevuto da qualcuno la commissione del quadro e alla fine del 1799 espose il dipinto al Louvre nell’ex gabinetto di architettura.
Nonostante la sua mostra fosse a pagamento, LeSabine attirò un gran numero di visitatori fino al 1805.
Anche la scelta di esporre un quadro e di farlo vedere previo pagamento di un biglietto d’entrata, può sembrare a noi moderni un fatto normale ma, nella mentalità del tempo, costituì un importante passo avanti nella definizione della libertà creativa dell’artista, il quale, precedentemente alla Rivoluzione, era stato in qualche modo sottomesso alla volontà della committenza: per la Francia, in particolare, a quella del re. In questa occasione, David scrisse un testo che giustificava sia questa forma di esposizione sia la nudità dei guerrieri che avevano scatenato grandi polemiche.
Dopo l’espulsione degli artisti dal Louvre tra cui lo stesso David, il dipinto fu spostato nell’ex chiesa del Collegio Cluny in Place de la Sorbonne che fungeva ormai da personale laboratorio di David. Nel 1819 David vendette LeSabine e la sua tela gemella LeonidaalleTermopili” ai musei reali per 100.000 franchi. Prima esposto al PalaisduLuxembourg e, dopo la morte del pittore, il dipinto tornò al Louvre nel 1826.
“La sua emotività si sviluppò a un punto tale che tutto in lui venne spinto agli estremi; e come la sua sensibilità si fece più acuta, crebbe l’intensità delle emozioni. Tale il motivo per cui lo svolgimento delle ultime opere di Modigliani non fa registrare alcuna novità di forma o di tecnica; vi troviamo soltanto mutamenti verso un acume più intenso nelle facoltà percettive di ordine sentimentale, che unisce, fonde definitivamente la composizione, mentre in opere precedenti l’emozione rimaneva spesso localizzata. Possiamo osservare, in questi lavori estremi, una sorta di abbandono all’immediatezza visiva, un abbandono ai fatti impulsivi che vanno oltre qualunque preordinazione e sembrano sottratti ai poteri dello spirito. La rapidità nell’improvvisazione è subentrata alla lentezza derivante dalla riflessione, dal bisogno di sperimentare, dalle difficoltà e dalle speranze. I ritratti e i nudi sono modellati con una rapida calligrafia veloce, come da gesti meccanici, e sono tali felicissimi gesti dell’inconscio a fornire il meglio dell’opera di Modigliani … La profonda tristezza del suo destino permea tutte le opere di lui, caricandole del loro valore sostanziale. Questa tristezza, infusa nei visi delle donne ritratte, li permea di un ineffabile pathos. Difficilmente si da un nudo femminile che non abbia il viso marcato dalla malinconia dell’artista : la tristezza dolente, rassegnata o distaccata, che li fa sembrare incomparabilmente casti. L’opera di Modigliani, così intrisa di straordinarie qualità sensitive, ci concede una sorta di diletto diffìcilmente reperibile fra i migliori pittori dei nostri giorni”
CHRISTIAN ZERVOS
(Catalogo della mostra alla galleria De Hauke & Co., 1929)
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