-Fotoreportage di Franco Leggeri-associazione CORNELIA ANTIQUA
ROMA-Il cannone del Gianicolo.
In cima al colle (praticamente sotto la statua di Garibaldi) è posto dal 24 gennaio 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto. Lo sparo, nei rari giorni in cui la città è meno rumorosa (particolarmente la domenica, o d’agosto), si può sentire fino all’Esquilino.
La cannonata a salve di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma, in modo che non suonassero ognuna il mezzogiorno del proprio sagrestano. Il cannone era allora in Castel Sant’Angelo, da dove venne spostato nel 1903 a Monte Mario, per qualche mese, per essere poi posizionato al Gianicolo nella sua collocazione attuale.
L’uso non fu interrotto dall’Unità d’Italia, ma dalla guerra sì. Fu ripristinato il 21 aprile 1959, in occasione del 2712º anniversario della fondazione di Roma.
Attualmente il cannone è un obice 105/22 Mod. 14/61, servito da personale dell’Esercito Italiano.
Nota copiata da Internet. Le foto sono del febbraio 2017-
-Articolo di Cinzia Dal Maso-Foto di Franco Leggeri-Associazione Cornelia Antiqua
ROMA- GIANICOLO-“La memoria di lui vivrà eterna quanto il tempo. Roma, l’Italia, lo venereranno quale Martire; e siamo certi che quando sul Campidoglio sventolerà il tricolore vessillo e saranno infugati dal Vaticano i tristi corvi, Roma, decretando onore di epigrafi e di monumenti ai suoi Martiri, inciderà i nomi loro sulla pietra, e in cima a que’ nomi sarà quello di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio”. Così Felice Venosta, nel 1863, concludeva il suo libro dedicato all’eroe trasteverino, fucilato insieme con i suoi figli a Ca’ Tiepolo, la notte tra il 10 e l’11 agosto 1849, durante la lunga marcia di Garibaldi in direzione di Venezia, dopo la caduta della Repubblica Romana.
Bisognò aspettare il centenario della nascita di Garibaldi, il 1892, perché un comitato popolare, di cui era presidente Salvatore Barzilai e di cui facevano parte Luigi Cesana, direttore de “Il Messaggero”, e lo scultore Ferrari, inoltrasse la richiesta di un monumento all’eroe. Fu aperta una sottoscrizione e distribuito un foglio nel quale era scritto che il monumento avrebbe dovuto “glorificare l’anima popolare, espressa dall’eroismo di Ciceruacchio, il quale, dopo aver diffuso le idee liberali in mezzo al popolo romano, cadde vittima della doppiezza politica di Pio IX”.
L’esecuzione dell’opera in bronzo fu affidata allo scultore siciliano Ettore Ximenes, che ne aveva già presentato il progetto con notevole successo all’esposizione di Torino del 1880. La solenne inaugurazione del monumento, collocato sul lungotevere Arnaldo da Brescia, presso il ponte Margherita, avvenne il pomeriggio del 3 novembre 1907. Appena cadde il telo che copriva il gruppo scultoreo, la folla rimase con il fiato sospeso a contemplare la figura imponente e fiera di Angelo Brunetti, che, guardando in faccia il nemico, si scopriva il petto, indicando di mirare al cuore. Ai suoi piedi il figlio Lorenzo, in ginocchio e bendato, con la bocca spalancata in un grido. Dal monumento fu escluso l’altro figlio, Luigi, con un atto giudicato da Aldo Lombardi “antistorico ed inumano”. Ma Luigi Brunetti era un personaggio scomodo: su di lui gravava il sospetto di essere stato l’esecutore materiale dell’assassinio di Pellegrino Rossi, ministro dell’Interno del governo pontificio, accoltellato il 15 novembre del 1848 nel palazzo della Cancelleria.
Nel 1959, in occasione dell’apertura del sottovia del lungotevere Arnaldo da Brescia, il monumento fu spostato di non molto, sul lungotevere in Augusta, dove però i rami di due platani ne ostacolavano la visibilità e il passaggio continuo delle macchine ne compromettevano la conservazione. Ora sembra aver trovato una sede degna e definitiva. La scorsa settimana, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stato trasferito nel parco del Gianicolo, luogo simbolo del Risorgimento romano, poco prima del cancello che dà su Porta San Pancrazio.
Articolo di Cinzia Dal Maso-Foto di Franco Leggeri.
Come è nata la fotografia e come si è sviluppata negli anni-by Antonio PINZA
Ormai scattare una fotografia è un gesto naturale, quotidiano. Basta estrarre dalla propria tasca o borsa lo smartphone ed immortalare un momento in pochi click. Caricando le foto su appositi portali, poi, si possono addirittura creare oggetti personalizzati e quadri su tela. Tuttavia, non è sempre stato così semplice. La fotografia, infatti, ha attraversato diverse fasi nel corso dei secoli.
Dalla prima foto alla dagherrotipia
Il 19 agosto del 1839 è ufficialmente la data di nascita della fotografia. In questa giornata, infatti, la prima macchina fotografica fu presentata in Francia all’accademia delle scienze e delle arti visive. Tuttavia, la prima fotografia in assoluto, venne scattata ben 13 anni prima, da Joseph Nicéphore Niépce. L’uomo, infatti, fu il primo a catturare un’immagine ed anche a fissarla su un supporto (in questo caso una lastra di stagno di 20×25 cm, che ancora oggi è intatta). Nel 1829, Niépce, iniziò un sodalizio con Louis Daguerre al fine di sviluppare questa sua invenzione, ma morì quattro anni dopo, lasciando Daguerre a lavorare a questa innovazione, da cui nacque la dagherrotipia. Con questo termine, si intende una camera oscura dotata di un dorso rimovibile, che conteneva una piastra di rame argentata, sottoposta ad un trattamento con vapori di iodio. Dopo la presentazione della dagherrotipia in Francia, la fotografia si diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo, e sempre più persone facoltose preferirono la fotografia alla realizzazione di quadri su tela. Tuttavia, la stampa sulle lastre risultava essere molto costosa, ed i trattamenti allo iodio e l’utilizzo del mercurio la rendevano dannosa per la salute.
Le tecniche successive
Mentre nel 1840 iniziarono ad aprire diversi studi fotografici, l’inglese William Henry Fox Talbot sviluppò un diverso tipo di stampa, ovvero la calotipia, che prevedeva l’utilizzo della carta invece delle lastre. Tuttavia, anche questa tecnica presentava dei limiti, ed anche in questo caso era impossibile ottenere delle copie delle fotografie. Fu proprio per questo, che alcuni anni dopo (precisamente nel 1851), Frederick Scott Archer sviluppò la procedura del “collodio umido”, che consentiva di riprodurre il negativo nel numero di copie desiderate. Nel 1871, questo sistema venne poi sostituito dalle lastre in gelatina secca, più economiche rispetto al collodio umido. Nel 1875, con la produzione industriale di questo tipo di lastre, finalmente la fotografia divenne alla portata di tutti.
Le fotocamere con rullino
Le lastre vennero definitivamente abbandonate alla fine dell’800, grazie alla diffusione del rullino e, di conseguenza, delle fotocamere a rullino. Fu George Eastman, inventore della compagnia Kodak, a sviluppare la prima macchina fotografica con il rullino, nel 1884. Questo modello, la Kodak nr.1, conteneva 100 fogli arrotolati, e si diffuse rapidamente sul mercato. Un’ulteriore innovazione che contribuì ancora di più a diffondere la tecnica della fotografia, fu l’incapsulatura del rullino. Si trattò di un’innovazione che permise ai fotografi di scattare anche in mobilità. Infatti, i fotografi, potevano in questo modo cambiare il rullino senza dover necessariamente recarsi nel loro studio. Oggigiorno, invece, è possibile stampare le proprie foto e creare dei veri e propri quadri su tela da appendere in casa o in ufficio. Tutto quello che occorre fare è scegliere una foto scattata ad alta risoluzione, scegliere la grandezza della stampa e il gioco è fatto.
La fotografia digitale
Facendo un balzo in avanti di diversi anni, e sorpassando alcune ere come quella delle polaroid, è possibile giungere alla fotografia attuale, ovvero quella digitale. È nel 1975 che un ingegnere americano, ovvero Russell A-Kirsch, progettò il primo scanner digitale. Fu questa tecnologia a porre le basi per lo sviluppo per la fotografia digitale. Nello stesso anno, Steve Sasson realizzò per la compagnia Kodak quella che ora viene considerata la prima antenata delle macchine digitali. Tuttavia, questo prototipo non incontrò il successo sperato, e solo nel 1981 la Sony presentò quella che venne definita la prima macchina digitale, alla quale seguirono diversi modelli e sperimentazioni. Fu poi l’azienda Dycam a presentare alla fiera del computer, nel 1991, una macchina fotografica dalle prestazioni non ottimali, ma con la possibilità di trasportare direttamente sul pc gli scatti.
Articolo di Antonio Pinza-Quando avevo 3 anni volevo fare l’astronauta, oggi ho le idee molto meno chiare, ma d’altronde chi ha detto che bisogna avere un piano preciso? Nella vita ho “fatto” svariati lavori, praticato sport, viaggiato, letto e mangiato di tutto. Mentre continuo a perdermi nei meandri della mia esistenza scrivo su Vanilla Magazine.
Articolo di Marco Fulvio Barozzi –Foto di Franco Leggeri per REDREPORT-
Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che, poco lungi da essa, c’era, ai tempi del grande e infelice poeta, un’altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi.
Un caso.
Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la “t” maiuscola e della quercia del tasso con la “t” minuscola. In verità c’era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall’altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso.
Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano “il tasso del Tasso”; e l’albero era detto “la quercia del tasso del Tasso” da alcuni, e “la quercia del Tasso del tasso” da altri.
Siccome c’era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch’egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: “E’ il Tasso dell’olmo o il Tasso della quercia?”.
Così poi, quando si sentiva dire “il Tasso della quercia” qualcuno domandava: “Di quale quercia?”
“Della quercia del Tasso.”
E dell’animaletto di cui sopra, ch’era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: “il tasso del Tasso della quercia del Tasso”.
Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta “la guercia del Tasso della quercia”, per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due).
Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: “la quercia della guercia del Tasso”; mentre quella del Tasso era detta: “la quercia del Tasso della guercia”: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
Qualcuno più brevemente diceva: “la quercia della guercia” o “la guercia della quercia”. Poi, sapete com’è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l’albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia.
Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.
Viveva.
E lo chiamarono: “il tasso della quercia della guercia del Tasso”, mentre l’albero era detto: “la quercia del tasso della guercia del Tasso” e lei: “la guercia del Tasso della quercia del tasso”.
Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: “il tasso del Tasso”.
Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l’animaletto venne indicato come: “il tasso del tasso del Tasso”.
Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all’ombra d’un tasso perché non ce n’erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: “il tasso barbasso del Tasso”; e Bernardo fu chiamato: “il Tasso del tasso barbasso”, per distinguerlo dal Tasso del tasso.
Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell’animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.
Articolo Pubblicato da Marco Fulvio Barozzi sul sito web Popinga –
venerdì 3 maggio 2013-Scienza e letteratura: terribilis est locus iste-
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI” –
Rivista PAN n°3 -1934
Breve biografia dell’Artista TOSI Arturo
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
L’immaginario collettivo inquadra l’autunno come la stagione della decadenza, dopo i calori portati dall’estate. Per altri, invece, si tratta di un periodo di rinascita. I raccolti e le vendemmie, propri della stagione, rappresentano invece una preparazione in vista dell’inverno.
Roma-Municipio XI-Lungo la Via di Malagrotta, subito a ridosso della più grande discarica d’Europa, stanno venendo alla luce le antichissime vestigia di una necropoli.Questi nuovi scavi sono poco distanti da quelli di via Castel Malnome-Piana del Sole dove sono venute alla luce oltre 300 sepolture. La prima menzione di “Molarupta” è dell’anno 995, si trova negli annali Camaldolesi che citano una permuta al Monastero di S.Gregorio del fondo Notula da parte di Costanza e negli anni 1014 e 1067 risulta come “casale” come scrive il Nibby.
Mentre il Tomassetti scrive che il nome Molarupta, poi Molarotta e Malagrotta, deriverebbe da una mola sul fiume Galeria sono ancora visibili i resti. Ma il nome di Malagrotta, secondo una leggenda medioevale deriva dalla tana , mala grotta, di un terribile drago che terrorizzava queste terre, il drago fu sconfitto da un Anguillara.. Questa leggenda ha ispirato lo scultore Mauro Martoriati che ha realizzato una scultura, tra il surreale e il metafisico, alta più di tre metri e pesante 10 quintali utilizzando ferro riciclato ; la scultura è stata collocata nei giardini comunali di Anguillara. Ancora una volta ci si trova di fronte al dilemma di chi vuole portare alla luce i tesori nascosti di questa Valle Galeria e chi, invece, vuole seppellire la valle con i rifiuti. Tutta l’area intorno è piena di siti archeologici che testimoniano i periodi che vanno dal Neolitico al Medioevo.
Foto poesia di Alessandra FINITI “Novembre in SABINA”
Alessandra Finiti:”Ho fotografato molte volte questa splendida proprietà in Sabina ma mai a novembre. Abbiamo trovato una giornata bella e luminosa, ci siamo sentite telefonicamente quando ero ancora a Roma e nel giro di un’ora ero in questo paradiso. E’ la casa vacanze di Giulia Landor @In Sabina, un luogo speciale curato in ogni particolare ma nello stesso tempo autentico, una cornice perfetta per fotografare la natura e tanti dettagli .E’ lei ,Giulia, che mi ha accompagnato in ogni angolo proprio nell’ora in cui c’era la luce ideale .I suoi pioppi favolosi, visti da lontano, creano delle isole di colore nelle verdissime vallate sabine e per questo ringrazio Giulia perchè valorizzando la sua proprietà con la cura del verde ha contribuito a rendere ancora più bella questa parte di Sabina”.
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